Contract
n. 16 del 17/07/2015
DIPARTIMENTO SCIENTIFICO della FONDAZIONE STUDI
Xxx xxx Xxxxxxxxxx 00 00000 Xxxx (XX)
xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
IL TESTO ORGANICO
DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI:
LE NOVITA’ SU APPRENDISTATO E LAVORO ACCESSORIO
Considerazioni introduttive
Attraverso il decreto legislativo 15 giugno 2015, n.81, pubblicato nella gazzetta ufficiale n.34 del 24 giugno 2015 ed in vigore dal giorno successivo, conformemente a quanto stabilito dall’art. 1 comma 7 della Legge n. 183/2014, sono state apportate diverse modifiche volte a “riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo”.
Il Governo è riuscito ad intervenire su una stratificazione normativa complessa e variegata, elaborando un testo semplice ed efficace, e al contempo innovativo sotto molteplici aspetti.
Nella presente circolare, pertanto, saranno analizzate quelle che sono le novità principali relative alle diverse forme contrattuali riscontrabili nella bozza di Decreto. In via preliminare si rappresenta che la riforma ha interessato i rapporti part-time, il lavoro intermittente, il lavoro a tempo determinato, la somministrazione di lavoro, l’apprendistato, i contratti di collaborazione, il lavoro accessorio, nonché il mutamento di mansioni. La circolare in oggetto si occupa di analizzare le novità su apprendistato e lavoro accessorio.
1. Il nuovo apprendistato: premessa
Il D.Lgs. n. 81/2015 modifica ancora una volta il contratto di apprendistato.
Il capo V del testo unico, infatti, agli articoli da 41 a 47 ridisegna l’intera disciplina relativa all’importante contratto di lavoro a causa mista.
Coerentemente, l’articolo 55, al comma 1, lettera g), prevede l’abrogazione del Testo Unico approvato col decreto legislativo 14 settembre 2011, n.167, salvo il regime transitorio previsto per le regioni e province autonome nonché per i settori in cui la disciplina prevista dal nuovo decreto non sia immediatamente operativa.
ANNO 2015 CIRCOLARE NU MERO 16
Le Circolari della Fondazione Studi
In tali casi, infatti, per espressa previsione contenuta nel citato articolo 55, si applica transitoriamente la disciplina contrattuale introdotta in vigenza del testo unico D.Lgs. n.167/2011.
Una puntualizzazione importante finalizzata ad evitare possibili vuoti di applicabilità dell’apprendistato.
Va evidenziato che non si tratta di una riforma strutturale come invece il Testo Organico di riforma prevede per altre forme contrattuali di lavoro: le modifiche, infatti, interessano soprattutto la prima e la terza tipologia contrattuale, ovvero quello finalizzato alla qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore nonché quello di alta formazione e ricerca, che rappresentano oltremodo quelli finora meno utilizzati e, probabilmente, con minori potenzialità.
Peraltro, va ricordato che l’altra forma di apprendistato, definita semplicemente professionalizzante - indubbiamente quello tradizionalmente più in grado di coniugare l’obiettivo della qualificazione dell’apprendista con lo svolgimento dell’attività lavorativa - risulta stata già oggetto di recenti importanti modificazioni.
Infatti, già in occasione dei primi urgenti interventi di riforma del lavoro messi in campo dal Governo Xxxxx nel mese di marzo dello scorso anno con il decreto legge 21 marzo 2014, n.34, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n.78, sono state introdotte diverse modifiche al testo unico sull’apprendistato di cui al X.Xxx. 14 settembre 2011, n.167, in particolare su tale tipologia di apprendistato.
Inoltre, già il D.L. 28 giugno 2013, n.76 convertito dalla legge 9 agosto 2013, n.99 aveva previsto importanti modificazioni, in particolare in ordine alla formazione trasversale o di base, per la tipologia professionalizzante e soprattutto affidato alla Conferenza Stato – regioni e province autonome di Trento e Bolzano, la individuazione di linee guide che sono state successivamente approvate il 20 febbraio 2014.
È dunque su queste linee direttrici che il D.Lgs. n.81/2015 si muove per evitare di stravolgere una regolamentazione frutto anche di equilibri ed accordi raggiunti dai diversi soggetti coinvolti per competenza in materia.
Il contratto di apprendistato
Il contratto di apprendistato mantiene inalterato lo scopo tradizionale che è quello della formazione e dell’occupazione dei giovani anche se il legislatore ripropone, con alcune modifiche, la possibilità in alcuni casi di stipula con soggetti senza limiti di età.
Sono previste tre tipologie contrattuali:
a) apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
b) apprendistato professionalizzante;
c) apprendistato di alta formazione e ricerca.
Da un punto di vista sistematico il provvedimento mantiene una disciplina comune a tutte le tipologie (cfr. artt.42, 46 e 47) ed una regolamentazione specifica per ognuna di esse ( cfr. artt. 43, 44 e 45).
La tipologia professionalizzante è espressamente finalizzata al conseguimento della qualificazione professionale ai fini contrattuali e vedrà protagonista soprattutto il datore di lavoro. Egli avrà il compito di fornire l’addestramento all’apprendista attraverso una formazione professionalizzante di cui è responsabile.
Tale formazione viene stabilita dagli accordi e contratti collettivi nazionali stipulati dalle OOSS comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Rimane la formazione di base e trasversale che potrà essere offerta dal sistema pubblico regionale seppure viene confermata la responsabilità dell’ente pubblico di formulare specifica offerta.
Sarà infatti onere della regione o delle province autonome competenti a dover comunicare entro 45 giorni dall’assunzione tempi, luoghi e modalità dell’offerta formativa pubblica (cfr. art.44 c.3).
In assenza nessuna responsabilità può essere imputata al lavoratore qualora la regione non abbia formalizzato l’offerta (cfr. Circ. n.18/2014 Ministero del lavoro e delle politiche sociali).
Rimane confermata la possibilità di svolgimento dell’apprendistato professionalizzante anche a tempo determinato per i datori di lavoro che svolgono attività in cicli stagionali (v. infra).
Le altre due tipologie, invece, integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro per l’occupazione dei giovani con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, nell’ambito del Quadro europeo delle qualificazioni.
Disciplina comune
L’apprendistato è confermato essere di regola un contratto di lavoro a tempo indeterminato con una durata minima di almeno sei mesi.
Potrà essere prevista, la stipulazione a tempo determinato relativamente alla tipologia professionalizzante nonché per quello per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (quest’ultimo per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro), per i datori di lavoro che
svolgono la propria attività̀ in cicli stagionali.
Tuttavia, tale possibilità è ammessa laddove previsto dai CCNL da associazioni sindacali comparativamente più̀ rappresentative sul piano nazionale.
Non è consentito di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato.
La forma del contratto viene confermata quella scritta ma viene ora puntualizzato espressamente che assume rilevanza ai fini della prova.
In esso deve essere contenuto, anche in forma sintetica, il piano formativo individuale che potrà essere predisposto sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, a cura delle parti contrattuali per l’apprendistato professionalizzante, mentre per gli altri due tipi, dall’istituzione formativa di provenienza dello studente con il coinvolgimento dell’impresa.
La risoluzione del rapporto di lavoro
Si è visto che il contratto è a tempo indeterminato ma ai fini della risoluzione occorre distinguere il periodo formativo dal quello di scadenza. Durante il periodo di apprendistato si applicano le regole generali previste per il contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato e cioè che la risoluzione è possibile per giusta causa o giustificato motivo.
Alla scadenza del periodo formativo, invece, le parti possono recedere liberamente ai sensi dell’art.2118 c.c. con il solo onere del preavviso.
Tale periodo decorre dalla scadenza del periodo formativo e durante il medesimo si applicherà la disciplina dell’apprendistato.
Nell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore una novità del nuovo testo consiste nella previsione che costituisce giustificato motivo di licenziamento anche il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi come attestato dall’istituzione formativa di provenienza.
La prosecuzione del rapporto di lavoro determina l’applicabilità delle normali regole del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Confermato l’impianto generale del previgente Testo Unico sull’apprendistato relativamente ai principi cui si devono attenere accordi interconfederali e contratti collettivi, sul numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro che occupa più di 49 lavoratori può assumere e sulle clausole di stabilizzazione contrattuali o legale; anche se la nuova disciplina limita la condizione di stabilizzazione esclusivamente all’apprendistato professionalizzante.
Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore
Tale tipologia di apprendistato risulta modificata significativamente rispetto a quello analogo previsto dal D.Lgs. n.167/2011.
Lo scopo è quello di coniugare la formazione sul lavoro effettuata in azienda con l’istruzione e formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che operano nell'ambito dei sistemi regionali di istruzione e formazione.
Il ricorso all’apprendistato di primo livello è possibile in ogni settore e riguarda i giovani che hanno compiuto i 15 anni di età e fino al compimento dei 25; potrà avere una durata fissata in
relazione alla qualifica o al diploma da conseguire.
Comunque, la durata non potrà superare tre anni, ovvero quattro nel caso di diploma quadriennale professionale.
Sono peraltro possibili in alcuni casi proroghe per il consolidamento e l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico- professionali e specialistiche, ovvero qualora l’apprendista non abbia conseguito il titolo di qualifica, diploma o specializzazione professionale.
Una novità consiste nella possibilità di stipula di contratti di apprendistato, di durata non superiore a quattro anni, rivolti a giovani iscritti a partire dal secondo anno dei percorsi di istruzione secondaria superiore, per l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico professionali rispetto a quelle previste dai vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del conseguimento di un certificato di specializzazione tecnica superiore.
Possono essere stipulati contratti di apprendistato, di durata non superiore a due anni, per i giovani che frequentano il corso annuale integrativo che si conclude con l’esame di Stato, di cui all’art. 6, comma 5, del D.P.R n. 87/2010.
Tale possibilità è chiaramente finalizzata a favorire l’ingresso dei giovani al lavoro ma anche ai datori di lavoro di poter valutare e formare nuove risorse umane degli istituti tecnici e professionali. Viene abrogato il programma sperimentale, ai sensi del comma
2 dell’art. 8-bis del D.L. n. 104/2013, per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014-2016. Sono fatti salvi, tuttavia, fino alla loro conclusione, i programmi già attivati.
La disciplina dei profili formativi dell'apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, ma poiché la volontà del legislatore è quella di far decollare tale tipologia contrattuale, è previsto che in assenza di regolamentazioni regionali la disciplina per l’attivazione è rimessa al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
Il funzionamento è il seguente: il datore di lavoro che intende stipulare il contratto di apprendistato sottoscrive un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, secondo
uno schema definito con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell’Istruzione dell’Università̀ e della Ricerca, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, che stabilisce il contenuto e la durata degli obblighi formativi del datore.
Lo stesso provvedimento definisce i criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato negli istituti tecnici e professionali e, in particolare, il monte orario massimo del percorso scolastico che può̀ essere svolta in apprendistato ed i
requisiti delle imprese nelle quali si svolge.
Molte novità sono rinvenibili sul fronte della formazione, sia quella esterna che quella da svolgersi presso il datore di lavoro. La formazione esterna all’azienda si svolge nell’istituzione formativa cui è iscritto lo studente e, salvo non sia previsto diversamente dai contratti collettivi, non è retribuita.
L’ammontare della componente formativa esterna non può essere superiore al 60 per cento dell’orario ordinamentale per il secondo anno e del 50 per cento per il terzo e quarto anno,
nonché́ per l’anno successivo finalizzato al conseguimento del
certificato di specializzazione tecnica.
Una novità riguarda l’esonero da ogni obbligo retributivo per il datore di lavoro relativamente alle ore di formazione svolte nella istituzione formativa.
le ore di formazione a carico del datore di lavoro, invece, è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta.
Apprendistato professionalizzante
Sostanzialmente confermata la disciplina dell’apprendistato professionalizzante. D’altronde, sarebbe stato difficile pensare di poter rivisitare nuovamente una materia che vede coinvolti Stato, Regioni e province autonome, organizzazioni sindacali dopo gli interventi degli ultimi due anni.
Come evidenziato (v. supra) prima il D.L. n.76/2013, poi l’accordo della Conferenza Stato - Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano del 20 febbraio 2014 e poi il D.L. n.34/2014, hanno definito un quadro di regole finalizzato a consentire ai datori di lavoro di avere una maggiore certezza circa il momento in cui la formazione di base e trasversale deve intendersi obbligatoria.
Ed anche il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fornito chiarezza circa l’obbligatorietà dell’offerta formativa da parte delle regioni entro i tempi e le modalità previste (cfr. circ. n.35/2013).
Apprendistato professionalizzante per lavoratori disoccupati e in mobilità
Viene modificata la possibilità di stipulazione di contratti di apprendistato professionalizzante per il reinserimento di lavoratori attraverso la loro qualificazione o riqualificazione professionale.
Rispetto al passato, viene puntualizzato che il contratto è quello professionalizzante ed i soggetti che possono essere assunti non sono quelli iscritti nelle liste di mobilità come previsto all’art.7 del D.Lgs. n.167/2011 ma coloro che percepiscono un’indennità di mobilità. Inoltre, vengono compresi ora anche coloro che percepiscono il trattamento di disoccupazione.
Conformemente al passato nei confronti di tali soggetti non si applicano i limiti di età in quanto il requisito è esclusivamente quello della percezione della prestazione di sostegno al reddito. Per tali lavoratori, tuttavia, non si applica la possibilità di recesso ai sensi dell’articolo 2118 c.c. al termine del contratto in quanto si rendono applicabili le normali regole in materia di licenziamenti individuali previste per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (anche tale principio era già presente nella precedente disciplina).
Sul fronte delle agevolazioni, ai percettori di indennità di mobilità si applica il regime contributivo agevolato di cui all'articolo 25, comma 9, della legge n. 223/1991 nonché l'incentivo di cui all'articolo 8, comma 4, della medesima legge.
Apprendistato di alta formazione e di ricerca
Anche tale tipologia di apprendistato è oggetto di modifiche finalizzate a consentirne il ricorso in maniera più efficace.
Sostanzialmente invariati settori e limiti anagrafici dei soggetti che possono essere assunti: il contratto può essere stipulato in tutti i settori di attività, dai datori di lavoro sia pubblici che privati per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, i diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori, nonché per il
praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore o di un diploma professionale conseguito nei percorsi di istruzione e formazione professionale integrato da un certificato di istruzione e formazione Tecnica Superiore.
Il funzionamento presenta analogie con il contratto di apprendistato di primo livello: il datore di lavoro che intende stipulare il contratto sottoscrive un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, o con l’ente di ricerca, secondo uno schema definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’istruzione dell’Università e della ricerca che stabilisce l’entità e le modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro.
Con il protocollo viene stabilito il numero dei crediti formativi riconoscibili a ciascuno studente per la formazione a carico del datore di lavoro entro il massimo di sessanta.
La formazione esterna all’azienda è svolta nell’istituzione formativa cui è iscritto lo studente e, di norma, nei percorsi di Istruzione Tecnica Superiore non può essere superiore al 60 per cento dell’orario ordinamentale.
Una novità del nuovo testo, che ricalca quanto previsto per la prima tipologia di apprendistato, riguarda l’esonero del datore di lavoro da ogni obbligo retributivo per quanto attiene la parte di formazione svolta nella istituzione formativa, mentre per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta se avesse lavorato.
La regolamentazione e la durata del periodo di apprendistato per attività di ricerca o per percorsi di alta formazione è rimessa alle regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico. Tuttavia, in assenza delle regolamentazioni regionali, l'attivazione dell'apprendistato di
alta formazione o ricerca è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca.
Incentivi
Confermata la regola secondo la quale, salve le eccezioni espressamente previste da specifiche disposizioni dai contratti collettivi, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti.
Tale vantaggio, si aggiunge al minor costo del lavoro derivante dal sottoinquadramento, ovvero dalla riduzione in forma percentuale della retribuzione eventualmente prevista, nonché dalla riduzione della retribuzione per le ore di formazione prevista per la prima e la terza tipologia di apprendistato.
Rimane inoltre il regime contributivo agevolato vigente in materia di apprendistato, nonché il diritto alle agevolazioni per ulteriori dodici mesi in casi di prosecuzione del rapporto di lavoro, con esclusione dei lavoratori assunti quali percettori di indennità di mobilità o disoccupazione.
Tuttavia è previsto che con il decreto di riforma degli incentivi previsto dall’art. 1, comma 4, lettera a), della legge 10 dicembre 2014, n. 183, sono definiti gli incentivi per i datori di lavoro che assumono con l’apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale e con l’apprendistato di alta formazione e ricerca.
Come si può notare, non si intende mettere mano alla contribuzione ed alle agevolazioni previste per l’apprendistato professionalizzante.
Sanzioni
Confermato il regime sanzionatorio così come previsto dal D.Lgs. n.167/2011.
In particolare, in caso di inadempimento nella erogazione della formazione a carico del datore di lavoro, di cui egli sia esclusivamente responsabile, e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità cui è preordinato il contratto di apprendistato, il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al
livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento, con esclusione di qualsiasi sanzione per omessa contribuzione.
Nel caso in cui rilevi un inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali adotta un provvedimento di disposizione, ai sensi dell'articolo 14 del D.Lgs. n. 124/2004, assegnando un congruo termine al datore di lavoro per adempiere. Ricordiamo a tal fine che con la circolare n.5/2013 il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fornito al personale ispettivo le concrete modalità per utilizzare tale strumento, al fine di consentire un uniforme comportamento sul territorio.
Per le violazioni di minore rilevanza, invece, vengono riproposte le sanzioni amministrative pecuniarie da 100 a 600 euro. In caso di recidiva la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata da 300 a 1500 euro.
2. Il lavoro accessorio dopo la Riforma
Il decreto legislativo n. 81/2015 interviene per la regolazione del lavoro accessorio al Capo VI, articoli da 48 a 50, su espressa delega contenuta nell’art. 1, comma 7 della legge. n. 183/2014 ed in particolare della lettera h) che prevede, “tenuto conto di quanto disposto dall'articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la possibilità di estendere, secondo linee coerenti con quanto disposto dalla lettera a) del predetto comma, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati [...].
Natura giuridica
Giova ricordare preliminarmente come i ripetuti interventi in materia di prestazioni di lavoro accessorio ne hanno modificato nel tempo gli ambiti di applicazione allargandone progressivamente le aree di utilizzo.
La finalità è stata quella di consentire l’emersione di tutte quelle attività lavorative che, per la loro natura accessoria, difficilmente possono essere ricondotte alle consuete tipologie contrattuali del lavoro autonomo, parasubordinato o subordinato, e pertanto spesso sacche di lavoro sommerso;
inoltre, di mantenere nel mercato del lavoro soggetti in procinto di uscirne ovvero agevolare coloro che non vi sono ancora entrati.
Gli stessi interventi normativi non hanno tuttavia definitivamente risolto il dibattito instauratosi sin dall’origine circa la natura giuridica del lavoro accessorio. Infatti, se da un lato parte della dottrina lo ritiene riconducibile “a mere prestazioni lavorative” con precise caratteristiche oggettive (limiti reddituali) e quindi estraneo ad ogni altra possibile qualificazione, dall’altro si sostiene che sia necessario invece qualificare il rapporto di lavoro accertando nel concreto le effettive modalità di svolgimento delle stesso. Seguendo quest’ultimo orientamento la conseguenza è che, qualora si accertassero gli elementi tipici del lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., ancorché vengano rispettati i limiti reddituali e quindi le condizioni oggettive prima richiamate, occorrerebbe procedere alla trasformazione del rapporto accessorio in lavoro subordinato con le connesse conseguenze sanzionatorie (contra circolare Ministero del lavoro n. 4 del 18 gennaio 2013 e circolare INPS n. 49 del 29 marzo 2013).
Tale ultima ricostruzione parte dall’assunto secondo il quale nemmeno il legislatore potrebbe “negare la qualificazione giuridica di rapporto di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura” ( Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx 00 febbraio 1996, n. 30).
Il nuovo testo normativo, nella versione approvata preliminarmente dal Consiglio dei Ministri ed inviata alle camere per il parere ,forse anche per tentare di dissolvere i dubbi interpretativi e accogliendo le interpretazioni di quella parte della dottrina che ritiene possibile per il legislatore prevedere una specifica disciplina derogatoria per peculiari attività lavorative.
In particolare, aveva specificato all’articolo 48, che per prestazioni di lavoro si intendevano “ attività lavorative di natura subordinata o autonoma che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7000 euro nel corso di un anno civile.” In tal modo sarebbe forse definitivamente venuto meno il significato che taluni attribuiscono al concetto di accessorietà intendendolo come
mera marginalità, nel tentativo di circoscrivere l’utilizzo delle prestazioni ritenendole possibili solo in attività aziendali collaterali ed episodiche.
Peraltro sarebbero rimasti i dubbi circa la possibilità di ricondurre ad una diversa tipologia contrattuale un rapporto di lavoro che presentasse gli elementi tipici del lavoro subordinato (v. supra).
Il decreto legislativo n.81/2015 invece non ha mantenuto tale previsione in quanto viene soppressa quella parte dell’articolo 48 presente nello schema iniziale in cui risultava puntualizzato che le attività lavorative relative al lavoro accessorio potevano essere di natura subordinata o autonoma.
Il lavoro accessorio pertanto, può essere legittimamente utilizzato nel rispetto delle limitazioni introdotte ovvero entro il limite economico, per singolo soggetto, di € 7.000 percepiti nel corso di un anno civile ma rimane aperta l’interpretazione secondo la quale l’eventuale sussistenza della subordinazione possa condurre ad una diversa qualificazione del rapporto.
Un’importante novità, rispetto alla precedente formulazione contenuta nell’art. 70 comma 1 D.Lgs. n. 276/2003, riguarda il periodo di osservazione da verificare per il raggiungimento del limite di compensi percepiti ai fini dell’utilizzo dei voucher (7 mila o 3 mila).
Ora è previsto che occorre riferirsi all’anno civile e non più all’anno solare.
Dall’entrata in vigore della norma in commento occorrerà pertanto valutare i confini reddituali prendendo come riferimento l’arco temporale dall’ 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno.
Ambito di applicazione
Vi è però da rilevare che, essendo stati, i buoni lavoro, rivalutati, attualmente il limite in vigore è pari a 2020 € quindi il nuovo testo normativo introdurrebbe un valore meno elevato. Va da sé che la soglia massima di utilizzo per soggetti non imprenditori (datori di lavoro domestico, associazioni senza scopo di lucro, condomini…) sarà pari a 7.000€.
I committenti “imprenditori o professionisti” potranno utilizzare il sistema dei buoni lavoro per erogare compensi non superiori a
€ 2.000 annui (cfr. art. 51 c.1). Come per gli anni precedenti i
limiti dovranno essere intesi netti per il lavoratore (nel caso di specie il valore nominale corrisponde a € 2.667).
Vi è però da rilevare che il valore dei buoni lavoro, rivalutati secondo la precedente disciplina, al 24 giugno 2014 avevano raggiunto un valore di pari a € 2.020. Dunque il nuovo testo normativo introduce un valore meno elevato rispetto alla precedente disciplina.
La soglia massima di utilizzo per soggetti non imprenditori (es. datori di lavoro domestico, associazioni senza scopo di lucro, condomini) è invece pari a € 7.000.
Il lavoro accessorio è ammesso anche nel settore agricolo ma con specifiche limitazioni:
a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università;
b) alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
In sostanza sarà quindi possibile, per il settore agricolo, utilizzare i buoni sino al limite di € 7.000 netti.
Il compenso percepito, pur essendo utile ai fini della determinazione del limite reddituale per l’ottenimento o il rinnovo del permesso di soggiorno, è esente da imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupazione o inoccupazione (cfr. art. 48. c.5 e art. 49 c. 4).
La norma in commento, al comma 6, specifica espressamente che le prestazioni di lavoro accessorio non potranno essere utilizzate nell’ambito della esecuzioni di appalti, tranne per quelle specifiche ipotesi che saranno individuate con decreto ministeriale da emanarsi entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto. Tale previsione inserisce in una norma quella che finora era una interpretazione della prassi amministrativa
(circolare INPS n. 88/2009 e circolare Ministero Lavoro
n. 4/2013) che era stata peraltro non condivisa dalla giurisprudenza la quale ha ritenuto che “non vi sono, nella normativa vigente (art. 70 D.Lgs. n. 276/2003 ndr) indicazioni che confinino la liceità del lavoro accessorio nell’ambito di utilizzazione diretta dei lavoratori da parte dell’utilizzatore con esclusione dei rapporti di appalto o di somministrazione” (Tribunale di Milano sent. n. 318 dell’1 aprile 2014).
Prestatori di lavoro
Per quel che attiene ai prestatori di lavoro la norma prevede che possano essere rese da qualsiasi soggetto, compresi gli inoccupati o pensionati e coloro i quali siano percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito (es. CIG, CIGS, NASpI, ASDI). In relazione a tale ultima categoria però il limite generale dei € 7.000 scende a € 3.000 sempre riferiti all’anno civile. In tale contesto l’INPS provvederà a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni di integrazione salariale e di sostegno al reddito quanto accreditato derivante dalla prestazione occasionale. In pratica la contribuzione IVS, pari ad € 1,3 per ogni buono, non verrà accreditata nella posizione assicurativa del singolo percettore.
Per particolari categorie di soggetti svantaggiati (soggetti in stato di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o di fruizione di ammortizzatori sociali) per i quali è prevista una contribuzione figurativa, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, può stabilire specifiche condizioni, modalità e importi dei buoni orari utilizzati nell'ambito di progetti promossi da amministrazioni pubbliche.
Disciplina per l’utilizzo
I committenti imprenditori o professionistiche intendono utilizzare il lavoro accessorio dovranno acquistare i buoni esclusivamente con modalità telematiche, tale modalità risponde all’esigenza di rendere tracciabile il voucher stesso. Gli altri committenti, non imprenditori o professionisti, potranno continuare ad acquistare i buoni presso le rivendite autorizzate (sedi territoriali INPS, tabaccai aderenti alla convenzione
INPS-FIT, banche popolari abilitate e uffici postali).
Una riflessione merita di essere fatta relativamente all’acquisto dei voucher nel periodo transitorio: in attesa dell’emanazione
del decreto di cui all’art 48 comma 7 con il quale il Ministero determina il nuovo concessionario, i concessionari restano l’Inps e le agenzie per il lavoro. Merita, però, prestare attenzione alle modalità di acquisto.
Infatti, anche se il concessionario resta lo stesso, in attesa del Decreto, le modalità di acquisto devono già rispondere al nuovo dettato normativo.
Pertanto, per i committenti imprenditori e professionisti sarà utilizzabile solo l’acquisto on-line. Su tale passaggio è intervenuta la FIT - federazione italiana tabaccai in data 26 giugno 2015 evidenziando come “la convenzione in essere con l’INPS, rinnovata dalla FIT lo scorso febbraio, identifica l’emissione dei voucher in tabaccheria come servizio svolto con modalità telematica. Lo stesso Istituto Previdenziale, come confermato per le vie brevi, nelle sue comunicazioni al competente Ministero del Lavoro durante l’iter di approvazione di detto decreto, ha sempre individuato il servizio svolto dai tabaccai come servizio svolto in modalità telematica. In ragione di ciò i tabaccai, salvo diverso esplicito chiarimento o decreto del Ministero del lavoro, continueranno ad erogare il servizio sia per i committenti privati che per i committenti imprenditori e liberi professionisti”.
La norma specifica però che il valore nominale orario del buono fissato dalla norma a € 10 , per i committenti imprenditori o professionisti, potrà subire una modifica a seguito dell’adozione di apposito decreto ministeriale il quale terrà conto, nella determinazione del valore orario, anche della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative. E’ evidente qui una grande differenza rispetto all’art. 72 del D.Lgs. n. 276/2003 in quanto viene ora specificato che l’unità di misura del buono sarà inequivocabilmente l’ora: 1 buono per ogni ora di lavoro. Nel settore agricolo saranno le associazioni sindacali a stabilire, nel contratto collettivo, il valore orario.
La disposizione prevede il valore nominale del buono stabilendo anche quali saranno le trattenute che il prestatore subirà, in particolare viene previsto che dovrà essere trattenuto il 13% da versarsi alla gestione Separata INPS ai fini previdenziali, il 7% ai fini assicurativi all’INAIL ed un’ulteriore quota (la previgente disciplina indicava il 5%) quale compenso al concessionario stabilita con successivo decreto interministeriale.
Novità anche nel campo della comunicazione di attivazione della prestazione di lavoro accessorio. Il comma 3 dell’art. 52 prevede che i committenti imprenditori o professionisti siano tenuti, prima dell’inizio della prestazione lavorativa (anche il giorno stesso) a comunicare, attraverso modalità telematiche, alla Direzione Territoriale competente (prima la comunicazione era diretta all’INPS) i dati anagrafici e il codice del lavoratore oltre all’indicazione del luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a trenta giorni decorrente dalla data della prestazione (nella precedente interpretazione la decorrenza era dall’acquisto Min. Lav. circ. n.4 del 18 gennaio 2013). Nulla viene detto per la comunicazione dell’attivazione da parte degli altri soggetti ma pare questo una mera dimenticanza in quanto si creerebbe una evidente disparità di applicazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in data 25 giugno 2015, rende noto che, al fine dei necessari approfondimenti in ordine alle novità introdotte dal nuovo dettato normativo e nelle more dell’attivazione della nuova procedura, le comunicazioni preventive continueranno ad essere effettuate secondo le attuali procedure in vigore.
Limite massimo complessivo di compensi per percettore nell’anno civile | € 7.000 nette al prestatore / € 9.211 costo voucher |
limite massimo prestazioni richiedibili dal committente imprenditore o professionista al singolo prestatore nel corso dell’anno civile | € 2.000 nette al prestatore / € 2.666 costo voucher |
limite massimo prestazioni richiedibili dal committente non imprenditore o professionista al singolo prestatore nel corso dell’anno civile | € 7.000 nette al prestatore / € 9.211 costo voucher |
Abrogazioni e disciplina transitoria
L’art. 55, abroga gli artt. da 70 a 73 del decreto legislativo n. 276/2003. Tuttavia prevede una disciplina transitoria che consente ai committenti che hanno già richiesto buoni di prestazione di lavoro accessorio al 25 giugno 2015 (data di entrata in vigore del decreto), di continuare ad utilizzarli fino al 31 dicembre 2015 secondo le previgenti regole (cfr. art. 49, comma 8).