Lezione 1
Lezione 1
Prof. De Acutis
Diritto Commerciale II (10 crediti)
Martedì 8:45 - Lezioni pomeridiane 14:30 Sardei: contratti commerciali
Per i contratti commerciali e operazioni straordinarie basta un buon manuale.
Lʼesame è scritto e si articola su tre domande a risposta aperta. Portare il Codice civile. Orario di ricevimento: mercoledì 9.00-11.00
Campobasso, UTET, Volume II
Introduzione al corso
Cʼè un unico codice per tutta la materia privatistica che copre la parte sulla famiglia (diritti reali, ecco), il diritto del lavoro e una parte commercialistica (attività economiche e attività dʼimpresa).
In altri ordinamenti i codici di diritto privato sono due (Francia, Germania): codice di diritto civile e codice di diritto commerciale.
Il diritto commerciale comprende tutto ciò che attiene allʼattività dʼimpresa (individuale e collettiva) e alla materia dei titoli di credito (cambiale, assegno), oltre che una serie di contratti speciali legati alle attività economiche, come il contratto di leasing o di sub- fornitura.
I confini sono quindi labili.
Unʼaltra parte è dʼapprofondimento di nozioni già apprese nel Commerciale I, ossia le operazioni societarie straordinarie = (termine non usato nella legge, ma nel gergo) operazioni di fusione, scissione e trasformazione, la liquidazione delle società (secondo alcuni).
Terza parte sarà di tipo monografico, dedicata a un tema che attraversa vari istituti, ovvero il finanziamento dellʼimpresa societaria nelle società di capitali (spa e srl). Eʼ un percorso trasversale, che attiene al finanziamento dellʼimpresa: i conferimenti (nella fase di avvio), delle azioni, obbligazioni (istituto per cui le spa possono emettere prestiti obbligazionari
= strumenti di massa rappresentativi di un credito, tipico strumento di raccolta di massa di capitale di credito), gli strumenti finanziari partecipativi, dei patrimoni destinati e delle operazioni di aumento di capitale (procacciamento di capitale di rischio). In riferimento al srl, conferimenti, quote (non azioni), aumenti di capitale ed, infine, istituti caratteristici della srl che non sono contemplati nella spa: i titoli di debito e la disciplina di finanziamento dei soci nella srl.
Vi sarà un incursione per il finanziamento nei gruppi di società, disciplinato per rinvio alla disciplina di finanziamento della srl.
Il finanziamento dellʼimpresa societaria nellʼambito del spa e del srl I due tipi: spa e srl
Va fatta una distinzione. Prima della riforma del 2003 la disciplina della srl era ricalcata per rinvio a quella della spa, e di fatto si diceva che la srl era una “piccola società per azioni”, senza azioni, ma per tutto il resto la disciplina coincideva.
A seguito della riforma non è più così: uno degli elementi caratteristici della spa è la distinzione e separazione fra le disciplina di spa e srl. Eʼ un processo di automizzazione della srl dalla spa, con lʼobiettivo dichiarato di avere due strumenti per usi diversi; spa per la medio-grande iniziativa economica e lʼsrl destinata alla copertura della veste giuridica di iniziative economiche più limitate, che non necessitano di raccolta di capitale nei mercati, e composta maggiormente da soci che partecipano alla vita della società e dellʼimpresa.
Nella spa invece è indifferente chi sia il titolare delle azioni, ciò che rileva è il dato del capitale, mentre la srl si concentra più sul profilo soggettivo sui rapporti fra i soci che intraprendo allʼattività economica, dando maggior rilievo alla persona del socio. Diversi sono pure i profili di finanziamento della società.
Il finanziamento dellʼimpresa nelle società per azioni
Introduzione
Sono tre le caratteristiche fondanti il finanziamento dellʼimpresa:
Prima caratteristica: moltiplicazione degli strumenti per raccogliere risorse finanziarie e una deregolamentazione nellʼambito dei singoli strumenti
Nel passaggio dal vecchio sistema (codice 1942 aggiornato), con lo strumento del regolamento comunitario la disciplina è direttamente applicabile allʼinterno degli stati membri, senza filtro dei legislatori; la direttiva invece è uno strumento legislativo con il quale il legislatore comunitario si rivolge ai legislatori nazionali affinché adeguino la loro disciplina interna alle regola dettate nella direttiva (da uniformare allʼinterno degli stati membri). Ogni stato ha lʼobbligo di aggiornare le proprie leggi in relazione alle direttive.
Con la riforma organica della materia nel 2003, oggi assistiamo alla moltiplicazione degli strumenti per raccogliere risorse finanziarie e una deregolamentazione nellʼambito dei singoli strumenti, ovvero un peso molto importante dato allʼautonomia statutaria, lasciando margini più ampi alla capacità di autoregolamentazione di privati. Lʼultimo aspetto è evidente guardando gli strumenti principali per raccogliere capitale: le azioni e le obbligazioni.
Azioni
Per le azioni si assiste al definitivo tramonto (come per le azioni risparmio delle quotate) del principio della tipicità della categoria di azioni.
In generale, le azioni sono tutte uguali di valore, ma soprattutto, le azioni danno ai loro titolari i medesimi diritti, sia sul piano dei diritti patrimoniale (partecipazioni agli utili e quote di liquidazione) e amministrativi (voto, intervento in assembla, impugnazione delle delibere assembleari). Già in passato era possibile diversificare in categorie le azioni.
Con “categorie diverse” sʼintende categorie di azioni munite di diritti diversi rispetto alle altre, secondo parametri rigidi previsti dalla legge.
Prima della riforma, si poteva prevedere cha una categoria di azioni avesse un privilegio nella distribuzione degli utili, o che avessero una limitazione nel diritto di voto (ovvero i titolari della azioni di quella categoria potevano votare solamente nelle assemblee straordinarie, ma obbligatoriamente bisognava munire questa categorie di diritti patrimoniali privilegiati!).
Oggi questo non è più così, ed è possibile creare categorie di azioni con diritti amministravi diversificati, senza necessità di bilanciare questa compressine dei diritti amministrativi con un incremento dei diritti patrimoniali: significa che possiamo limitare o eliminare il diritto di voto in tutte le società per azioni (prima solo per le società quotate con emissioni di azioni di risparmio), oggi invece è possibile in tutte le assemblee.
Oltre a questa ipotesi, il diritto di voto si può modulare secondo le disposizioni statutarie.
1. Ogni azione attribuisce il diritto di voto.
Art. 2351.
Diritto di voto.
2. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di
voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di
particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale.
3. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in
relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura
massima o disporne scaglionamenti.
4. Non possono emettersi azioni a voto plurimo.
5. Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, possono essere
dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata,
secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell'organo cui partecipano.
Lʼart. 2351: al primo comma si dice che “ogni azione attribuisce il diritto di voto”, ma al secondo comma, si precisa che può essere eliminato a partecipare argomenti o al subordinarsi di particolari condizioni.
Si può stabilire che:
1) una categoria non abbia un voto;
2) solo per determinati argomenti;
3) o che il diritto di voto sia “condizionato”: ad es. una categoria di azioni che normalmente non vota, ma che acquista il diritto di voto se in tre anni la società non distribuisce dividendi.
4) Addirittura (c. 3) si può prevedere solo per le società che non fanno ricorso al capitale di rischio è possibile prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o sia scaglionato. Si può ovvero prevedere che, se un socio ha più di 100 azioni, vota comunque solo con 100 voti; oppure con scaglioni: fino a 100 azioni solo 1 voto, da 100 a 200 50 voti, ecc. Sono meccanismi per garantire una dialettica attiva allʼinterno dellʼassemblea.
Eʼ rimasto il divieto (c. 4) di emettere azioni a voto plurimo, anche se specularmente ciò si può fare emettendo azioni senza diritto di voto.
Art. 2348.
Categorie di azioni.
1. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.
2. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni
fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti
imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. 3. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.
Ex art. 2348 si esordisce che le azioni devono essere di uguale valore e con uguale diritti, ma poi si aggiunge (c. 2) che si possono formare categorie di azioni con caratteristiche diverse e la società può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie, anche se i limiti sono sfuggenti: non cʼè può il bilanciamento della compressione dei diritti amministrativi con quelli patrimoniali privilegiati.
Ancora, possono esserci azioni ex. 2348, c. 2 dotate di diritti diversi per quanto concerne la partecipazione alle perdite, oggi è possibile creare una categoria di azioni che sia postergata ad altre categorie di azioni nella partecipazione alle perdite (ad esempio per effetto di una riduzione di capitale, che in tal modo non si ripercuote più su tutte le azioni, che invece vanno a toccare una determinata categoria di azioni; le azioni postergate vengono toccate solo una volta erose il valore delle precedenti azioni).
Art. 2350.
Diritto agli utili e alla quota di liquidazione.
1. Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni.
2. Fuori dai casi di cui all'articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati
ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi
e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria.
3. Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società.
Oggi inoltre si può emettere (ex. art. 2350) una categoria di azioni correlate, ossia fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati di una determinata sezione, di un settore di un attività (come un ramo dʼazienda).
Lʼunico limite in realtà è quello generalissimo del divieto del patto leonino, quel patto in forza del quale un socio, o ha diritto ad avere tutti gli utili o non partecipa alle perdite. Ovvio che questo limite continua a valere anche con questa deregulation, altrimenti vi sarebbe uno stravolgimento del capitale, da capitale di rischio a capitale di credito (per il quale il rischio si riduce).
Si possono quindi creare categorie di azioni, ma non trattare in modo diverso una sola azione: lʼuguaglianza delle azioni si riproduce allʼinterno di una singola categoria (art. 2348, c.3).
Eʼ rimasto inoltre un altro divieto: non si può mai cambiare il valore delle azioni: si possono creare azioni senza valore nominale, o meglio senza “indicazione” del valore nominale (ma per determinarlo basta dividere capitale/n. azioni).
Nel srl invece le quote possono essere, anzi quasi sempre sono, di diverso valore: le quote sono tante quante i soci: ogni quota rappresenta un socio.
Nella società per azioni, anche se le azioni sono di proprietà di un unico socio, rimangono comunque tali (plurime).
Obbligazioni
Una società può raccogliere denaro richiedendo un mutuo, ma vi è anche uno strumento particolare di raccolta di capitale di credito, rivolgendosi ai risparmiatori, attraverso lʼemissione di titoli che rappresentano un unico grande credito e cercando di piazzarle (di farle sottoscrivere attraverso le banche).
Anche per le obbligazioni, vi è stato un processo di neutralizzazione di questo strumento (per le banche, processo già avviato con gli strumenti ibridi di patrimonializzazione tramite, ad esempio, prestiti irridimibili ossia fra lʼaltro conteggiati nel capitale delle società). Oggi questo fenomeno è generalizzato.
Art. 2411.
Diritti degli obbligazionisti.
1. Il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società.
2. I tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all'andamento economico della società.
3. La disciplina della presente sezione si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società.
- Ex art. 2411 cc. si prevede la possibilità di emettere obbligazioni subordinate: si può stabilire di emettere un prestito obbligazionario per il quale rimane un obbligo di restituire il
capitale alla scadenza, ma ciò potrà avvenire solo se “la società avrà restituito il credito a tutti gli altri creditori della società”, in tal caso il rischio aumenta. Lʼobbligazionista “subordinato” è sempre privilegiato rispetto allʼazionista, ma partecipa comunque allʼandamento della società, perché se il patrimonio di questa non è sufficiente a pagare gli altri creditori, rimarrebbe con nulla (1).
Oppure si può stabilire che può essere data una remunerazione al capitale (interessi) solo se la società produce utili, altrimenti non vi saranno interessi (2).
Oppure, ancora, (c. 3) si può prevedere una forma di prestiti irridimibili (3) ossia la restituzione si ha solo se il patrimonio sociale è sufficiente alla restituzione.
Lʼoperazione sottostante è cioè atipica.
Oggi la distinzione azione = capitale di rischio; obbligazione = capitale di credito, ha mille varianti.
- Vi è inoltre la possibilità di creare nuovi strumenti finanziari partecipativi (ex. art. 2346): è una terza specie di strumenti nuova (fra azioni e obbligazioni), come lʼapporto di servizi che normalmente nella spa sono vietati (non possono mai essere di fare), possono essere riconducibili a beni o crediti, differentemente dalle società di persone.
- Vi sono altri strumenti di raccolta di risorse, quali i patrimoni destinati; la possibilità della legge di separare una parte del patrimonio, destinando tale parte allo svolgimento di determinate operazioni economiche con la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione allo specifico patrimonio destinato.
- Altra forma è il finanziamento destinato, possibilità di concludere un contratto con un finanziatore, al quale viene spiegato un affare lucroso, e “in cambio del suo prestito, tutti i proventi ottenuti dallo svolgimento dellʼaffare saranno destinati a rimborsare il suo finanziamento” ovvero in assenza di fideiussione, di ipoteche o pegni.
Più strumenti sono presenti nella disciplina italiana, maggiore è la concorrenzialità del nostro ordinamento rispetto agli altri.
Seconda caratteristica
Il peso sempre maggiore che in tema di finanziamento va assumendo lʼorgano amministrativo rispetto ai soci e allʼassemblea, ovvero le competenze a decidere sui mezzi finanziari si spostano dai soci agli organi di gestione.
- Comʼè per i patrimoni destinati, le decisioni vanno allʼorgano amministrativo (o meglio detto organo di gestione). Fino al 2003 la decisione di emettere obbligazioni era riservata allʼassemblea straordinaria dei soci; oggi, salvo diversa disposizione, la decisione di emissione è presa dagli organi di gestione; soltanto per obbligazioni convertibili rimane la decisione allʼassemblea dei soci.
- Vale inoltre anche per gli strumenti finanziari partecipativi: per essi, non vi è indicazione del legislatore, è ragionevole aspettarci, quindi, che la decisione vada allʼorgani di gestione.
- Gli amministratori possono avere il potere di aumentare il capitale, coprendo anche la possibilità di aumentare il capitale con esclusione del diritto di opzione dei soci attuali.
Cʼè una dislocazione del potere di decidere sul come, quando e che cosa raccogliere in merito a mezzi finanziari, dallʼassemblea dei soci allʼorgano di gestione, che per altri versi
è titolare esclusivo della gestione ex. 2281. Oggi lʼassemblea (è rimasto un residuo) ha un potere di dare autorizzazioni, ma non decide in merito.
Terza caratteristica
Si cerca di dare spazio anche ai così detti conferimenti atipici. Oggi lavoro, opera e servizi non possono essere oggetto di conferimento di capitale.
Oggi, tuttavia, possono esserci attività molto utili per la società. In passato lʼunica strada era creare azioni con prestazioni accessorie, tramite le quali accanto al conferimento del denaro, ci si impregna a sottoscrivere anche un apporto (tuttʼora hanno disciplina molto rigida).
Mentre i conferimenti atipici trovano un riconoscimento tramite altri sistemi:
- lʼemissione di strumenti finanziari partecipativi;
- con un maggior riconoscimento formale, la possibilità è data dal fatto che la legge prevede la possibilità che vi sia un partecipazione non proporzionale al capitale, vi è la possibilità dellʼassegnazione non proporzionale di azioni (a fronte di un capitale di 100, un socio possa avere azioni per 120: specularmente qualcuno deve avere meno azioni, fermo restando che la somma dei conferimenti deve rimanere pari alla somma del valore del capitale). La funzione tipica di questo strumento è un riconoscimento formale a chi si impegna a svolgere la propria attività di consulente finanziario per la società (oltre allʼapporto di capitale conferito).
Lezione 2
Art. 2325-bis.
Societa' che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
1. Ai fini dell'applicazione del presente titolo (1), sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura
rilevante.
2. Le norme di questo titolo si applicano alle società con azioni (2) quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali.
Occorre fare una distinzione circa il ricorso che la società fa al mercato del capitale rischio. Lʼ art. 2325 bis dovrebbe dare la definizione di “società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio ossia” ovvero “le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante”; a seconda che la società cerchi capitale di rischio sul mercato o meno (si parla di società “chiusa”), la distinzione rileva perché allʼinterno della disciplina generale delle spa:
1) vi sono una serie di norme che si applicano a tutte le società per azioni, la cui applicazione discende soltanto dal fatto che si è scelto tale tipo di società lucrative (= non cooperative o consortili, il cui scopo è produrre utili e distribuirli). Nella spa, viene creato un patrimonio separato rispetto a quello dei soci, anche rispetto ai terzi: la forza di tale contratto è opponibile ai terzi; può trattarsi di norme dispositive, vincolanti, ma anche derogabili dallʼautonomia statutaria;
2) insieme normativi applicabili solamente alle società faccia ricorso al capitale di rischio; ad esempio, per le società chiuse si applicano delle norme ad hoc solo per le società chiuse (ad esempio, lʼart. 2351 in tema di diritto di voto: lo statuto delle società che non fanno xxxxxxx xx xxxxxxx xxx xxxxxxxx xx xxxxxxx). Per quelle che invece ne fanno ricorso, oltre alla disciplina della spa, altre norme speciali: ad esempio, quando la società decide di acquistare azioni proprie, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, è possibile acquistare azioni proprie solamente fino ad un quinto del capitale della società (per quelle chiuse non vi è alcun limite).
Man mano che si entra nel mercato del capitale di rischio, la disciplina si irrigidisce e si accentuano le norme che tutelano le minoranze, aumentano i controlli sulla gestione della società e gli obblighi di trasparenza, in una prospettiva di tutela del mercato, diversa da quella delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Nota bene: “accedere al mercato del capitale di rischio” = si tratta delle società quotate, per definizioni, ma anche quelle che hanno azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante.
Molte norme “speciali” sono contenute anche nel Testo unico della Finanza. Nellʼambito di questi due modelli contrapposti.
1) Non fanno ricorso 2) Fanno ricorso:
a) Quotate
b) Azioni diffuse
Allʼinterno delle Società per azioni abbiamo situazioni diverse a seconda di come la scelta contrattuale viene concretamente attuata. Il fatto che una società rimanga chiusa o che faccia ricorso al capitale di rischio: tale “scelta” è data dal concreto operato della società, è una situazione di fatto. Non è una scelta contrattuale, ma siamo di fronte a discipline diverse, a seconda di come concretamente si sviluppa la volontà della società.
Cʼè una scelta diversa fra i tipi (spa, srl, ecc.) e fra i modelli (ricorso al mercato di rischio o meno).
Le Spa (che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) con azioni diffuse
Eʼ interessante occuparsi del modello di società che sia non quotata, ma che abbia azioni diffuse.
Lʼart. 2325 bis non ci aiuta, ma parla di “società con azioni diffuse”.
In fondo al codice, vi sono le norme transitorie. Lʼart. 111 bis delle disposizioni di attuazione del Codice civile: bisogna far riferimento al TUF, e in particolare, allʼart. 116.
Lʼart. 116 (strumenti finanziari diffusi fra il pubblico) dice che è la CONSOB a stabilire i criteri utili ad individuare e definire unʼemittente che “abbia gli strumenti finanziari diffusi fra il pubblico”.
Il “Regolamento Emittenti”, modificato alla fine del 2003, contiene la definizione di
“strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante”; i criteri sono fondati:
- da un lato, sul numero di azionisti (sono società “con azioni diffuse”, le società che hanno azionisti diversi dai soci di controllo in misura superiore a 200, quando detengono una % di capitale sociale pari ad almeno il 5%);
- queste società non devono avere la società di redigere il bilancio in forma abbreviata;
Il fatto che una società faccia o meno ricorso può dipendere da fatti del tutto accidentali, rispetto alle previsioni statutarie. Per il solo fatto che un socio abbia ceduto delle azioni, si può passare da un regime allʼaltro.
Ci sono disposizioni diverse fra i due modelli, inoltre alcune clausole statutarie rischierebbero di diventare nulle.
La ratio del legislatore per le società con azioni diffuse
Lʼintenzione del legislatore era quella di partire dalla considerazione dellʼendemica sotto- capitalizzazione delle società italiane e dalla ritrosia che hanno sempre avuto verso la
quotazione in borsa. Oggi il nostro mercato è ancora asfittico, il cui flottante è ancora sviluppato in “misura ridicola”.
Essere quotati in borsa significa essere sottoposti a controlli più pesanti, basti pensare alla CONSOB; vi sono numerosi adempimenti e misure di trasparenza.
In tal senso, inventando il gradino delle società che pur non essendo quotate, fanno ricorso al mercato di rischio e comunque vengono applicate le stesse disposizioni per le quotate, il legislatore ha voluto spingere la società verso la quotazione. Eʼ rimasta unʼintenzione.
I conferimenti nelle Società per Azioni
Art. 2342.
Conferimenti.
1. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.
2. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare.
3. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le
azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della
sottoscrizione.
4. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni.
5. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi.
I conferimenti nella società per azioni, come nelle altre società, sono le prestazioni che i contraenti (i soci), coloro che costituiscono la società, si impegnano ad effettuare quando concludono il contratto sociale.
Art. 2247.
Contratto di società.
1. Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Eʼ ciò che i contraenti si impegnano di portare in società; sono le prestazioni.
Comunemente si afferma che caratteristica dei conferimenti è che essi “vanno” a costituire il capitale di una società, affermazione sottoposta a critica perché non diventi fuoriviante.
Ma per “capitale”, nello stesso codice si parla in accezioni diverse fra loro:
- “capitale”, inteso come la cifra espressa in moneta corrente fissata nellʼatto costitutivo e destinata ad esser iscritta nel passivo del bilancio.
- “capitale”, usato anche come frazione ideale del patrimonio sociale composta in origine dai conferimenti dei soci e che potrà essere incrementata o diminuita con aumenti o diminuzione di capitale; il capitale reale (quello in attivo) corrispondente al capitale sociale nominale.
Ad esempio, per le norme sulla riduzione del capitale 2446-7 cc. “quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo... e se permane oltre lʼesercizio in cui si è verificato, bisogna ridurlo in misura pari alle perdite”. Nel primo riferimento al termine, si parla di “capitale reale”, perché il capitale sociale nominale è rigido e si può modificare solo con modificazione assembleare dello statuto. Ciò che va diminuito è solo il capitale reale, non quello statutario.
Il capitale reale può essere “mangiato” da perdite.
Unʼaltra affermazione non è del tutto esatta e va presa con le dovute cautele. La cifra espressa dal capitale nominale, che rappresenta in termini monetari il valore dei conferimenti dei soci.
Quando i conferimenti sono “in natura”, diversi dal denaro, la coincidenza fra beni e conferimenti non è più certa; la legge tollera una certa discrepanza fra valore effettivo del conferimento e valore appostato a capitale. Normalmente è nominato un esperto dal Tributale che attesti che il valore del valore del bene non sia inferiore al valore iscritto a capitale. Se fosse superiore, la legge ammette che anche in sede di costituzione di società, non tutto il valore di conferimento vada a capitale: è cioè ammesso che si crei una riserva in sovrapprezzo. Lʼart. 2343: “lʼesperto deve attestare che il valore dei conferimenti deve essere pari almeno al valore del capitale iscritto al bilancio e la riserva di sovrapprezzo”.
Una parte del conferimento può andare a patrimonio e, unʼaltra, costituire una riserva. Lʼeccesso del valore è tollerato; ciò che non è tollerato è che valga meno, oltre 1/5. Se gli amministratori accertano che la differenza di valore è superiore al quinto, il socio dovrà integrare in denaro o ridurre il capitale; viceversa, se la differenza è inferiore al quinto, non si deve fare nulla.
Vi è quindi un margine di tolleranza.
In tema di conferimenti, di ciò che si può conferire, è necessario stabilire la funzione del capitale sociale nominale. La cifra appostata a passivo di bilancio, perché in questo modo si trattengono allʼattivo valori almeno corrispondenti.
- In passato si diceva che il capitale servisse in funzione di garanzia dei creditori sociali; “dei creditori sociali risponde solo la società con il suo patrimonio”.
- In realtà questa posizione è abbandonata dai giuristi, in favore di una tesi che vede il capitale sociale in funzione produttivistica, cioè serve a trattenere allʼattivo quegli elementi che i soci hanno stabilito essere necessari per svolgere quellʼattività economica oggetto assegnata alla società. Tale tesi trova conferma nella disciplina comunitaria.
Scegliere una funzione o unʼaltra cambia, già da subito si limita di molto ciò che si può conferire. Le entità possono essere aggredite dai creditori e devono essere cioè entità espropriabili, di cui il creditore possa agire passivamente. Un conferimento di un bene attribuito in mero godimento ad una società, rappresenta unʼutilità per la società (la proprietà rimane al socio), però è un conferimento che non può fungere da garanzia per i creditori, perché essi non possono esigere la vendita del bene del socio per soddisfarsi.
La materia dei conferimenti è stata oggetto di provvedimenti comunitari: una direttiva (n.2) del 1976 e una del 2006, recepita nel 2008 (artt. 2342-2345).
Laddove una certa materia sia oggetto di interventi dal legislatore comunitario, la disciplina interna va interpretata alla luce dei principi sanciti dal legislatore comunitario. Qualora vi fossero dubbi interpretativi, la fonte comunitaria è sovra lʼItalia.
La direttiva del ʼ76: “il capitale sottoscritto può essere costituito da elementi dellʼattivo suscettibili di valutazione economica e che questi non possono essere costituiti da impegni di prestazione di lavoro o di servizi”;
Secondo la direttiva del ʼ76, quindi il capitale:
- può essere composto da elementi dellʼattivo suscettibili di valutazione economica;
- con lʼunico limite che le prestazioni devono essere di dare, e non di fare; nelle società di persone invece un socio può conferire una prestazione di fare.
Nella legge delega di riforma del 2001, si diceva che i conferimenti dovevano essere tali da consentire lʼacquisizione nella società di ogni elemento utile per perseguire lʼoggetto della società, con limite che non si trattasse di capitale fittizio.
Con la direttiva del 2006, la previsione che i conferimenti devono essere elementi dellʼattivo non fu tradotto in legge italiana, perché si ritenne che tale principio fosse già presente nella legislazione italiana. Xxxxxxx non si dice nulla.
Lʼart. 2342 non da una definizione di che cosa si possa conferire. Si individuano una serie di beni o servizi, ma non si da una definizione globale.
Ciò che è certo che vige il divieto di conferire di prestazioni di fare: divieto che vigeva anche per le srl prima della riforma, ma che oggi invece non cʼè più.
Tenendo conto della direttiva e delle previsioni della legge delega (funzione produttivistica, non di garanzia), allora “in astratto” ogni entità che rappresenta per lʼimpresa unʼutilità economica dovrebbe essere conferita in una società per azioni, e la stessa funzione di una spa dovrebbe essere individuata come una funzione produttivistica. Ma ci sono dei limiti?
La direttiva ci dice che ciò che si conferisce deve essere dellʼattivo suscettibile di valutazione economica, e che non sia una prestazione di fare. Ciò significa che le prestazioni dʼopera o di servizi, se non ci fosse il divieto espresso dalla direttiva, sarebbero suscettibili di valutazione economica.
Questo è importante perché ci fa capire che lʼinammissibilità di questi conferimenti non dipende dalla possibilità di valorizzare questi conferimenti e di iscrivere nellʼattivo di bilancio il valore di questi conferimenti, ne per la difficoltà di farne una stima, lʼunica ragione è derivante da un divieto espresso dalla legge comunitaria.
Per quanto riguarda gli “elementi dellʼattivo”; secondo alcuni significherebbe solamente “quelli inscrivibili a bilancio”, ma tale ragionamento è errato. La conclusione è che, gli elementi dellʼattivo per il legislatore comunitario, significa che lʼentità deve avere un “valore attivo” e non un “valore passivo”. Un esempio di conferimento può essere unʼazienda (=”gli strumenti materiali attraverso cui unʼattività viene svolta”), essa (come bene o universalità di beni) può avere un valore positivo, come pure un valore negativo. Il legislatore comunitario prescrive lʼobbligo quindi che lʼapporto sia di valore positivo, e mai negativo.
Quindi lʼunico limite dal punto di vista comunitario:
- entità valutabili economicamente
- deve essere di valore positivo;
I limiti dal punto di vista della disciplina interna:
Ex. art. 2342, con la definizione civilistica di “beni” si parla di beni e di crediti: così non è, perché altrimenti sarebbero esclusi i beni immateriali, che invece possono essere oggetto di trasferimento (brevetti, segni distintivi dellʼimprenditore, know how). Con la riforma della legge sui marchi, il marchio si più trasferire anche a prescindere dal trasferimento dellʼazione: quindi stabilito che un marchio ha un valore di scambio autonomo, arricchisce la società (ha un valore positivo), dunque non vi sono ragioni perché non possano essere trasferiti.
Allo stesso modo i brevetti (invenzioni brevettate) sono entità utili alla società e sono tutelabili giuridicamente, oltre che avere un valore economico, seppure immateriali sono qualificabili come beni conferibili.
Stessa cosa vale per il “know how” (insieme di conoscenze e tecniche di cui un soggetto è depositario, ma non brevettate), ivi compresa spesso una prestazione di fare, esso comunque si ritiene essere difendibile da parte di tutti, e di conseguenza, può essere oggetto di conferimento.
Lezione 3
Il riferimento ai beni è in termini generici, non si parla della definizione del codice, in quanto i “beni conferibili” possono essere anche beni immateriali, come pure il “Know how”.
Il conferimento di beni in natura o in crediti
Un secondo punto da analizzare deriva dal fatto che ex art. 2342, c. 3 “quando si tratti di conferire beni in natura o in crediti, le azioni devono essere interamente liberate al momento della sottoscrizione”.
Con sottoscrizione sʼintende il momento in cui i soci firmano lʼatto costitutivo presso un notaio sotto forma di atto pubblico, poiché la costituzione delle società di capitali va fatta sotto forma di atto pubblico, anzi atto solenne.
Ad esempio, nellʼaumento di capitale, si ha un procedimento complesso che porta ad un aumento. Abbiamo una deliberazione di aumento di capitale, lʼassemblea approva una proposta di aumento di capitale che deve incontrare le sottoscrizioni da parte dei soci (che si avvalgono del diritto di opzione) o di terzi. Questi comunque devono dichiarare di voler sottoscrivere le azioni in denaro, in beni o in crediti. Lʼiter di sottoscrizione è individuale.
Quando i conferimenti siano da effettuarsi in beni o in crediti, i conferimenti corrispondenti alle azioni devono essere interamente liberati, al momento della sottoscrizione.
La disciplina comunitaria
La direttiva comunitaria diceva che le azioni corrispondenti “in beni o in crediti” devono essere liberate in 5 anni. La questione è che il legislatore comunitario si è scontrato in una realtà con ordinamenti che dal punto di vista della formazione del contratto hanno prospettive diverse:
- nel sistema latino (francese ed italiano), nella materia contrattuale, per il contratto sociale, domina il principio consensualistico ovvero “salvo casi espressamente previsti, qualunque contratto si perfeziona per il fatto che le parti manifestano il consenso alla conclusione”. Ad esempio, la vendita è un contratto per cui vi è lo scambio di una prestazione di dare contro il pagamento di un prezzo: il contratto si perfeziona oralmente nel momento in cui “ci si accorda” e ci stringe la mano, a tal punto il contratto è perfetto e concluso; la consegna del bene non fa parte del momento formativo, ma esecutivo del contratto. Nel momento del perfezionamento ci si assume un obbligo.
- nei sistemi di tipo germanico, la regola è invece che i contratti, salvo deroghe espresse, si perfezionano non con la manifestazione del consenso, ma con la consegna e lʼeffettuazione della prestazione oggetto del contratto. Ad esempio, la vendita si perfeziona si ha quando il venditore consegna il bene al compratore. Nel nostro ordinamento, anche ci sono contratti reali, come il mutuo, ma è espressamente la legge che lo prevede, altrimenti la regola è che il contratto è consensuale.
Lʼeffettuazione dei conferimenti si riferisce allʼesecuzione del contratto; il legislatore italiano allora, dispetto alla volontà del comunitario, ha previsto che la liberazione delle azioni (lʼeffettuazione della prestazione corrispondente alle azioni che sottoscriviamo) deve avvenire interamente ed immediatamente.
Per i conferimenti “diversi dal denaro”, la liberazione deve essere intera e immediata. A tal punto, lʼentità oggetto del conferimento deve essere messa a disposizione della società al momento della sottoscrizione: quindi lʼentità dellʼoggetto deve essere tale da permettere lʼesecuzione integrale e immediata. e allora significa che i conferimenti possono essere solamente quelli disponibili con un atto, e ciò porterebbe ad escludere come lecito
conferimento una prestazione che consiste nel attribuire un diritto di godimento su un bene.
I beni in godimento
Un bene si può conferire anche in semplice godimento; un socio mantiene la proprietà del bene ma attribuisce alla società il diritto di godere di quel bene. Il godimento può essere:
- reale, si ottiene lʼusufrutto o lʼuso di un bene; è un diritto opponibile verso tutti. Il proprietario trasferisce lʼusufrutto di un bene, mantenendo la nuda proprietà del bene. Ad esempio, i genitori hanno lʼusufrutto legale sui beni dei minori.
- obbligatorio: come lʼaffitto;
Il conferimento in godimento è riconosciuto possibile anche da parte dei rigoristi; questi non sono più dʼaccordo quando il godimento è obbligatorio, che non sarebbe possibile per le società per azioni perché comporterebbero la collaborazione del socio anche in momenti successivi. Questa tesi risulta però minoritaria, perchè lo stesso art. 2342 dice che per i conferimenti in credito si osservano le disposizioni contenute negli art. 2354 o 2355, che dicono che quando il godimento è obbligatorio, si applica le disciplina prevista dalla legge per la locazione. Oltretutto se si assumesse un atteggiamento rigido sulle entità conferibili, si riverificherebbe il fenomeno della sotto-capitalizzazione della società.
La conclusione è secondo la maggior parte degli interpreti il conferimento anche sotto forma di godimento obbligatorio, oltre che reale, è possibile.
Ciò che non si può conferire sono il riferimento di cose generiche o non individuabili, oppure cose future. Il conferimento deve avere un effettività immediata.
Questi sono gli unici limiti, salvo ciò che rappresenta prestazioni di fare (opere e servizi) poiché siamo in presenza di divieti espressi, anche con vincolo del diritto comunitario (possibilità prevista invece per le società di persone e per le società a responsabilità limitata).
I conferimenti in denaro
La legge ci dice che allʼatto della sottoscrizione devono essere liberate le azioni che corrispondono ai beni o servizi, e ancora, se il conferimento è in denaro, al momento della sottoscrizione, deve essere versato alla banca almeno il 25% dei conferimenti in denaro. Se il socio è unico il versamento deve invece essere integrale.
Contratto reale o consensuale?
Ma allora il contratto sociale della Società per azioni è diventato un contratto reale (e non più consensuale) che si perfeziona con lʼeffettuazione delle prestazioni promesse?
Poiché quando si sottoscrive il contratto sociale, si deve dare tutto o il 25% della somma in denaro, allora lʼelemento del versamento o della messa a disposizione del bene o del credito sia da considerare un elemento della formazione del contratto.
In realtà. dottrina e giurisprudenza ritengono che il contratto della Spa rimane un contratto consensuale e cioè lʼeffettuazione o il versamento dei conferimenti appartiene alla fase esecutiva, anche se la legge per ragioni varie impone di effettuare le sottoscrizioni nel momento della formazione dellʼatto. I motivi di tale orientamento sono i seguenti:
- questo perché vige per tutti i contratti, come regola, il principio consensualistico, mentre la realità del contratto deve essere espressamente prevista dalla legge;
- nei casi in cui lʼeffettuazione della prestazione è elemento fondante del contratto, tale elemento è considerato sempre un “evento”, e nel contratto di società invece è previsto come “obbligo” e non come evento.
- non cʼè alcun contratto reale che si perfeziona con lʼeffettuazione parziale della sottoscrizione promessa;
Eʼ confermato che nonostante questi obblighi, il contratto sociale rimane un contratto consensuale.
Anche con la violazione dellʼobbligo di sottoscrizione, il contratto rimane perfetto ed esiste.
Le discipline dei conferimenti in denaro o in bene e crediti
I conferimenti in denaro e in beni o in crediti (il legislatore comunitario li chiama conferimenti diversi dal denaro) hanno discipline diverse. La legge li considera in parallelo. Il credito è trattato come fosse un bene, ma dal punto di vista del regime dei conferimenti, tale credito è accumunato al conferimento di beni.
La differenza deriva dal fatto che la sottoscrizione in denaro dichiara già da se il suo
valore.
Per gli altri conferimenti invece non sappiamo quanto valgono questi beni ed è quindi necessaria una valutazione, sia per i beni che per i crediti (dipende da quanto scadrà, dalle condizioni del debitore).
Per i conferimenti in denaro non si pone un problema di valutazione, per gli altri conferimenti si. Questa è la differenza principale, i due regimi inoltre sono diversi.
I conferimenti in denaro
La legge preferisce i conferimenti in denaro: se nellʼatto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in denaro. Cʼè il primato del conferimento in denaro. Solo con la previsione dellʼatto costitutivo è possibile il conferimento diverso dal denaro. Nel silenzio, è possibile solo il conferimento in denaro.
I motivi del primato dei conferimenti in denaro:
1) secondo una prima tesi, lo scopo della norma sarebbe quello di tutelare i terzi, perché si tratterebbe di un conferimento più sicuro, mentre quello diverse dal denaro è più fluttuante (posizione che risente della funzione del capitale come garanzia);
2) il conferimento in denaro ha una funzione gestionale, perché il denaro è fungibile, elastico, ha maggiore utilizzo.
Nella realtà ci portiamo dietro un retaggio storico. Tale previsione infatti è del tutto inutile, perché la previsione nellʼatto costitutivo cʼè sempre. Eʼ diventata una “clausola di stile”.
Per i conferimenti di beni e di crediti cʼè lʼobbligo di integrare effettuazione, mentre per il denaro il legislatore offre versamenti dilazionali, perché allʼatto della sottoscrizione è necessario versare solamente il 25%, soglia minima prevista della legislatore comunitario. Niente impedisce che il contratto stabilisca il versamento integrale in denaro o ad una soglia superiore. Il 25% è la soglia minima di legge, ma convenzionalmente può essere stabilito una soglia superiore o un versamento integrale.
Il versamento deve essere effettuato verso una qualunque banca (una volta solo presso la Banca dʼItalia), perché nel momento in cui viene versata la somma, la società non esiste ancora, perchè la società di capitale nasce alla fine dellʼiter con il deposito dellʼatto del notaio e lʼiscrizione nel Registro delle imprese competente: in quel momento nasce la società. Prima le casse sociali o gli amministratori non ci sono.
La banca non può versare questi denari agli amministratori, se questi non dimostrano che la società è venuta ad esistenza con lʼiscrizione al Registro delle impresa. Da quel momento, la banca svincola quel deposito (prima era vincolato) e lo mette a disposizione della società.
Il fatto che lʼunico socio non versi integralmente il conferimento fa si che il socio non possa godere della responsabilità limitata. Lʼeffetto del mancato versamento è lʼunico socio
sarà chiamato a rispondere personalmente delle obbligazioni sorte. Lʼeffetto quindi non è lʼinvalidità del contratto. Così il socio non godrebbe della responsabilità limitata.
Quando deve avvenire il versamento del 25% del denaro? La legge considera il versamento una delle condizioni di costituzione della società (art. 2329). Le condizioni sono:
- che sia sottoscritto per intero il capitale sociale;
- che siano rispettate per intero le previsioni relative ai conferimenti (integralmente per beni o crediti e 25% per il denaro);
- che siano presenti le varie autorizzazioni.
Senza lʼavverarsi di queste condizioni non si potrà precedere allʼiscrizione del Registro delle imprese, il quale verifica il verificarsi di queste condizioni.
La legge dice che per la costituzione! Eʼ sufficiente che il versamento avvenga prima del Registro: ma non è così nella prassi! Il notaio richiede anche le ricevute bancarie dei versamenti del 25%, altrimenti non stipula il contratto di società.
Nel passato fra la stipula del contratto e lʼiscrizione del Registro delle Imprese, fino al 2000, cʼera un controllo giudiziario del contratto (giudizio di omologazione davanti al Tribunale). Oggi, invece, il notaio deve controllare che ci siano le condizioni per lʼiscrizione al Registro delle imprese.
Art. 2344.
Mancato pagamento delle quote.
1. Se il socio non esegue i pagamenti dovuti, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, gli amministratori, se non ritengono utile promuovere azione per
l'esecuzione del conferimento, offrono le azioni agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti. In mancanza di offerte possono far vendere le azioni a rischio e per conto del socio, a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione in mercati regolamentati.
2. Qualora la vendita non possa aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni.
3. Le azioni non vendute, se non possono essere rimesse in circolazione entro l'esercizio in cui fu
pronunziata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del
capitale.
4. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto.
Nel momento in cui la legge dice che cʼè lʼobbligo di versare solo il 25%, e il 75% quando verrà versato?
Eʼ lo stesso atto costituito a prevedere i tempi entro cui i soci devono completare il versamento. Nel silenzio dellʼatto costitutivo, sono gli amministratori, una volta costituita la società che possono richiamare i centesimi ancora mancanti da parte dei soci. Cʼè la discrezionalità degli amministratori nel richiederli. Potrebbero poi non richiedere mai nulla. Ma non attivandosi gli amministratori si assumono pure un rischio personale. Certo se gli amministratori non hanno richiesto ai soci di completare ed effettuare i versamenti, gli amministratori potrebbero essere chiamati dai creditori sociali a rispondere personalmente, perchè non abbiano usato la dovuta diligenza nel richiamare i decimi xxxxxxxx.Xx discrezionalità è limitata, perchè devono essere “diligenti” nel richiamare i decimi mancanti.
Se il socio non voglia pagare e si rende inadempiente ai suoi obblighi di completamento del versamento. Eʼ lʼipotesi del socio moroso. La legge predispone un meccanismo speciale. La legge invece preferisce individuare un meccanismo specifico ex. lʼart. 2344; il meccanismo formalizzato prevede che dopo che gli amministratori abbiano sollecitato il pagamento nelle casse sociali della somma mancante, se lʼavvertimento non ha esito, la legge stabilisce che gli amministratori devono pubblicare una diffida nella Gazzetta
Ufficiale. Questa previsione è arcaica. Ma il legislatore ha voluto mantenere questa ipotesi, ma di fatto un socio dovrebbe essere attento.
Passati i 15 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, gli amministratori possono:
- procedere esecutivamente in tribunale nei confronti del socio xxxxxx se credono dʼavere la possibilità di ottenere qualcosa dal socio moroso.
- oppure offrire la azioni non coperte agli altri soci in proporzione alla azioni possedute, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti. Qualora non ci siano offerte da parte dei soci, gli amministratori possono tentare di vendere la azioni sul mercato, a mezzo di una banca o di un intermediario qualificato ad accedere ai mercati regolamentati.
- Se la vendita ha successo, il problema è risolto. Se però, nemmeno terzi subentrassero, la legge prevede che quando la vendita non può aver luogo, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio moroso, salvo risarcimento dei danni. Questa è lʼunica ipotesi di “cacciata” (o esclusione) del socio da una società per azioni (lʼesclusione è invece prevista nelle società di persone). La società trattiene il 25% già versato e può chiedere eventuali danni.
- Queste azioni però, per mantenere lʼintegrità del capitale, non vengono annullate. Le azioni possono essere messe in circolazione entro lʼesercizio dal momento in cui è stato dichiarato il decadimento del socio.
- A questo punto, se neanche tale tentativo va a buon fine, le azioni vengono estinte e cancellate e corrispondente deve essere ridotto il capitale sociale, altrimenti vi sarebbe capitale fittizio.
- Un ulteriore sanzione che può spingere il socio moroso ad effettuare i conferimenti: il socio in mora dei versamenti non può esercitare il diritto di voto; il socio è in mora già quando non paga entro i termini previsti, prima della diffida in Gazzetta Ufficiale.
Eʼ dubbio che questa disciplina si applichi solo ai conferimenti in denaro, o anche a quelli in beni e crediti.
Secondo alcuni, siccome quelli non in denaro devono essere effettuati immediatamente e integralmente, non è un ipotesi realistica perchè la società non dovrebbe neppure nascere (in mancanza di essi).
Ma se la società sorgesse per errore del notaio e del Registro delle imprese (che nascerebbe comunque!) (ipotesi astratta), anche in tal caso non si applica la disciplina dellʼart. 2344, perché i conferimenti come farebbero a trasformare in denaro gli obblighi precedenti ed è complesso.
Poi lʼart. 2344, inoltre, parla di “pagamenti da eseguire”. I rimedi contrattuali allora saranno quelli tipici e gli amministratori potranno sciogliere il rapporto sociale e chiedere risarcimento dei danni.
Il regime dei conferimenti dei beni o dei crediti
Per questi è prevista lʼintegrale e immediata effettuazione dei conferimenti, anche se il conferimento “dilazionato” sarebbe astrattamente possibile.
I conferimenti che non consistano in denaro hanno la necessità di una valutazione: come e da chi devono essere valutati? Materia coperta dalla seconda direttiva comunitaria del 1976, integrata poi da unʼaltra direttiva del 2006, integrata/recepita nel 2008 con gli articoli 2343 ter e quater.
Il sistema tradizionale
I conferimenti non in denaro devono subire un duplice controllo del valore. Unʼattribuzione di valore dal carattere provvisorio avviene da parte di un esperto nominato da parte del Tribunale, ex art. 2343, “esperto designato dal tribunale”. Il socio che conferisce un bene, deve attivarsi per ottenere una stima provvisorio (una relazione giurata di stima); nella
seconda fase, il controllo, che può sfociare nella revisione della stima, da parte degli amministratori della società, dopo lʼiscrizione dellʼatto costitutivo nel Registro delle Imprese.
Nella prima fase, lʼesperto deve essere indipendente, dai soggetti coinvolti a discrezionalità dei Tribunali.
Tale procedimento mira, secondo un interpretazione del passato, a tutelare gli interessi del soci conferente ad avere una valutazione equa, o degli altri soci che conferiscono in denaro per evitare che sia sopravvalutato.
Altri ritengono che gli interessi da tutelare siano dei creditori e dei terzi: tesi migliore (principio dellʼeffettività del capitale).
Lʼobbligo della stima cʼè anche quando tutti i soci abbiano dichiarato il loro assenso alla dichiarazione dellʼesperto.
Lʼarticolo parla di esperto persona fisica ma può trattarsi anche di una società di capitali, nei casi di difficoltà, che sia nominata una società di revisione o un ʻentità collettiva (studio associato, ecc.).
Lʼesperto, secondo la legge, deve stendere una relazione giurata (e quindi si assume responsabilità penali in caso di falso) con la descrizione di beni o crediti, e deve attestare che il valore dei beni o dei crediti deve essere almeno pari ad esso quello attribuito a fini della determinazione del capitale sociale e dellʼeventuale sovrapprezzo.
Lʼesperto non deve dire quanto vale, ma attestare che valga almeno quel valore per il quale è stato assegnato a capitale, considerando anche lʼeventuale sovrapprezzo.
Eʼ tollerata unʼeventuale sovra-valutazione, mente non è tollerata la sotto-valutazione. Non sarebbe necessario indicare una stima.
Ciò viene fatto per ridurre la disponibilità dellʼesperto, come nel caso in cui sia unʼazienda ad essere conferita.
Eʼ stato anche risolto il tema della legittimità del sovrapprezzo azioni anche in sede di costituzione della società. Quindi anche in sede di costituzione di società, come previsto espressamente, la società può appostare a capitale solo una parte del valore dei conferimenti e lʼaltra parte inserirla in una riserva sovrapprezzo azioni.
Lezione 4
I provvedimenti per valutare il bene oggetto di conferimento.
Ci sono sistemi alternativi per la valutazione di questi conferimenti, introdotti nel 2008, dopo lʼattuazione della direttiva comunitaria emanata dal Comunitario nel 2006.
Per la valutazione dei conferimenti in natura, ci sono due passaggi:
1) la stima da parte di un esperto del Tribunale, con carattere meramente provvisorio; la relazione è giurata ed espone lʼesperto a responsabilità anche di carattere penale. La caratteristica di questa relazione deve dichiarare che il valore del bene è almeno pari a quello attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale più lʼeventuale sovrapprezzo; la legge non chiede di dichiarare quanto vale quel bene, ma che questʼultimo non sia inferire al valore per il quale verrebbe conferito: quota capitale + riserva di sovrapprezzo. Le sottovalutazioni sono comunque tollerate.
Lʼesperto deve indicare anche:
- quali criteri ha adottato per giungere alla sua valutazione; a seconda dellʼoggetto da valutare, i criteri di valutazione possono essere pienamente legittimi, comunque molto diversi.
- la valutazione deve essere ancorata a dati oggettivi ed esprimere il più possibile il
valore corrente, quindi a valori reali (non secondo le regole ragioneristiche);
- nella valutazione dovranno entrare il valore implicito dellʼavviamento nel caso di unʼazienda, sia il goodwill sia il badwill (valore negativo);
Nel caso di sottovalutazione del bene: in sede di appostazione a bilancio, ci possono essere due tipi di sottovalutazione:
1- convenzionale: lʼesperto ha dato al bene una valutazione “x”, mentre i soci hanno appostato a capitale un valore diverso da questʼultimo. Se tutti i soci sono dʼaccordo, si può procedere ad una sottovalutazione;
2- sottovalutazione prodotta dallʼesperto. In tal caso, gli amministratori non dovranno riportare il valore del bene stimato dallʼesperto, altrimenti si creerebbe una riserva occulta. Se è lʼesperto che ha sottovalutato quel bene, gli amministratori, nella valutazione ai fini dellʼappostazione a bilancio, dovranno abbandonare il valore fornito dallʼesperto e indicare quello maggiore da loro ritenuto.
Dunque, bisogna distinguere la valutazione del bene ai fini del capitale sociale, e quella che deve risultare a bilancio.
Il momento della presentazione della valutazione
Oggi, non cʼè dubbio che la valutazione deve essere presentata nel momento della stipula davanti il notaio. Oggi il notaio ha il dovere di controllare anche la stima (il controllo effettuato del Registro delle Imprese presso le Camere del Commercio è puramente formale che può solo verificare che ci siano tutti i documenti per la costituzione della società, regolari dal punto di vista formale e fiscale). Il notaio è lʼunico soggetto che deve controllare la legittimità sostanziale degli atti predisposti ai fini della costituzione della società.
Lʼesame di legittimità sostanziale da parte del notaio, non può sconfinare nel merito, nella valutazione quantitativa effettuata dallʼesperto.
Il momento in cui si deve valutare il bene è quello in cui viene conferito. Tutte le variazioni che si potrebbero determinare del valore del bene dopo quel momento, non possono portare ad una variazione del valore ai fini della determinazione del capitale iniziale.
Un bene, può darsi nei mesi successivi, potrebbe cambiare di valore, che diminuisca. Potrebbe subire un incendio, essere danneggiato e il valore è inferiore ma nel controllo che fanno gli amministratori non possono considerare questi eventi successivi, non inficiano la valutazione del bene a capitale. Il rischio successivo grava sulla società non sul socio conferente.
2) Il secondo passaggio dopo lʼiscrizione nel Registro delle imprese,
La stima effettuata dallʼesperto ha carattere meramente provvisorio (primo passaggio), infatti, ex art. 2343, gli amministratori devono controllare le valutazioni contenute nella relazione e se sussistono fondati motivi, procedere alla revisione della stima. Lʼattività di controllo è obbligatorio da parte degli amministratori (prima della riforma, lʼobbligo gravava su amministratori e sindaci): è chiaro comunque che i sindaci hanno sempre un obbligo di vigilanza sugli amministratori e in mancanza potrebbero essere chiamati a risponderne personalmente per la mancata diligenza.
Lʼeventuale altra e nuova valutazione, si discute se debba essere fatta dagli amministratori o debba essere nuovamente nominato un esperto. La tesi migliore è quella che debbano essere gli amministratori a procedere con una nuova stima, visto anche il termine entro cui devono procedere di 180 giorni. Ciò non esclude che essi non possano farsi assistere da un loro consulente, in mancanza di competenza.
Quando viene fatta la revisione e si accerta la differenza di valore.
Ogni sovra-valutazione del bene effettuata dallʼesperto non è detto sia rilevante. Lʼart. 2343 dice che se la revisione effettuata dagli amministratori è inferiore di oltre un quinto sono previste delle conseguenze. Le eventuali sovra valutazioni entro il quinto rimangono valide: è un margine tollerato, ci può essere una parziale sovra valutaizone.
Ma se la sovra valutazione è superiore a un quinto, (la revisione da parte degli amministratori deve essere fatta sul bene nel momento della costituzione, non attuale) la conseguenza (principale) di legge è che la società debba ridurre il capitale sociale annullando le azioni che risultano scoperte;
Ma, allo stesso tempo, la legge fa si che sia confermato il capitale attribuito in sede di costituzione, allora si lasciano due possibili alternative al socio conferente per evitare la riduzione del capitale:
1) questo infatti, può decidere di versare la differenza in denaro, confermando il capitale sociale comʼera stato determinano.
2) il socio può avere unʼaltra alternativa: recedere dalla società. Il recesso è quellʼatto attraverso il quale un socio può sciogliere il suo rapporto, cessa di essere socio per sua volontà. Questo dovrà decidere cosa fare entro due settimane o un mese.
Le azioni che corrispondono ai conferimenti oggetto di valutazione sono inalienabili e devono restare presso la società fino a che non viene completato lʼiter di valutazione: la legge non vuole che vengano messe in circolazione delle azioni il cui valore effettivo non è ancora conosciuto, o che rischierebbe addirittura di venire annullate.
La possibilità del recesso della società
Il socio recedente ha diritto alla restituzione del proprio conferimento. Il problema è sapere se il valore della partecipazione è ex tunc o ex nunc ovvero il valore attuale del conferimento o quello iniziale. Il patrimonio sociale infatti potrebbe essersi arricchito e il valore della partecipazione del socio potrebbe essere cresciuto o diminuito.
Le regole generale è il diritto di restituzione del valore attuale della quota.
Quando invece il recesso avviene nella fase iniziale, il valore della quota che spetta al socio deve essere calcolato nel momento in cui si recede.
La legge, inoltre, dovʼè possibile, prevede che la società restituisca il bene stesso
(restituzione in natura):
- impossibile, perchè il bene non cʼè più;
- impossibile, perchè il valore della partecipazione è inferiore a quello del bene.
La società non ha alcun obbligo infatti di conservare i beni oggetto di conferimento. In mancanza, sarà restituito il valore attuale della sua quota.
Si seguono le regole della riduzione per perdite (in parte). Fino al 2008, questo era il sistema tradizionale.
I sistemi di valutazione alternativi
Il legislatore comunitario ha voluto rendere questo procedimento più agevole e meno costoso, sempre come facoltà, individuando principi alternativi per arrivare alla valutazione, in una logica di salvaguardia del valore della azioni. Si dà maggior peso alla velocità e flessibilità rispetto al principio dellʼeffettività.
Questo si può fare quando esiste già un parametro di riferimento che consenta comunque una valutazione di quel bene. Gli art. di riferimento sono 2343 ter e quater cc.
Lʼart. 2343 ter prevede tre fattispecie per evitare la procedura dellʼart 2343:
Prima ipotesi
Caso in cui vengano conferiti valori mobiliari o strumenti del mercato monetario (ex art. 1 TUF ovvero i valori negoziati del mercato regolamentato, azioni, a, bot, cct trattati in un mercato regolamentato, questʼultimo, è la borsa italiana o straniera), quando la valutazione sia pari o inferiore al prezzo medio ponderato al quale questi valori mobiliari sono stati negoziati in un mercato regolamentato nei sei mesi che precedono il conferimento. Ad esempio, se si conferiscono azioni per un valore pari o inferiore al valore medio ponderato degli ultimi sei mesi di negoziazione, la legge ritiene esaurito il problema di valutazione, senza incorrere in un esperto: si può saltare la fase della stima da parte dellʼesperto;
Nella fase pre-costituzione della società, la decisione del sistema di valutazione da adottare spetta al socio conferente la scelta o ai contraenti.
Altro dubbio che lascia la legge riguarda la libertà di scelta solo fra usare il valore medio ponderato negli ultimi sei mesi o si potrebbero eventualmente usare anche i sistemi descritti dopo. Stando alla lettera della legge, non è richiesto la relazione dellʼesperto in altri casi quando si conferiscano beni in natura o crediti diversi da quelli al primo comma (valori mobiliari). Su questo però cʼè un interpretazione che nulla impedisce di adottare anche gli altri criteri.
Entrambi i casi si basano sulla determinazione di una valore equo anche se ricavata in due modalità diverse, quando bene in natura o crediti i valori siano ricavati da un bilancio, purchè sia sottoposto a revisione legale o il revisione non abbia espresso rilievi in relazione allʼoggetto del conferimento.
Seconda ipotesi
Il caso è, ad esempio, un capannone già inserito o valutato nel bilancio della società conferente e tale bilancio viene sottoposto a revisione legale, senza rilievi da parte del revisore sulla consistenza di quel cespite.
Problemi da risolvere:
- “valore equo” che richiamerebbe il fair value o i principi IAS. Ma è più probabile ricondurre ad una cattiva traduzione, altrimenti i beni inscrivibili (quelli valutati a fari value) sarebbero pochi e diventerebbe improbabile lʼuso di questo sistema, ma sembra emergere una tendenza per cui “valore equo” non vada inteso in senso tecnico, ma “contabilmente ricavato in maniera corretta”
- il bilancio deve essere sottoposto a “revisione legale”; ma nel nostro ordinamento revisione legale non è un concetto noto, allora andrebbe inteso come un “controllo contabile anche interno da parte del Collegio sindacale”, oltre che da un revisore esterno o società di revisione, purché i revisioni non abbiano sollevato rilievi in merito allʼoggetto del conferimento.
- il bilancio non deve essere approvato da non oltre un anno, secondo la legge italiana; mentre la direttiva usa la formulazione dei “conti dellʼultimo esercizio” ???
Terza ipotesi
Terza ed ultima ipotesi riguarda il conferimento di un valore equo di un bene o di un credito che risulti da una valutazione precedente non oltre i sei mesi del conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione oggetto del conferimento, effettuata da un esperto dotato di adeguata e comprovata professionalità.
Eʼ il caso di un soggetto che per evitare che venga redatta una relazione giurata o di stima produce un valutazione di quel bene fatta da non oltre sei mesi, il cui esperto abbia le caratteristiche di essere indipendente e professionalmente qualificato.
- anche qui valore equo si intende un “valore corretto dal punto di vista della valutazione di mercato”;
- nulla esclude che questa valutazione sia provocata ad hoc al fine di effettuare il conferimento saltando la valutazione dellʼesperto del tribunale.
- non cʼè bisogno di una relazione giurata, non cʼè controllo e revisione della stima da parte degli amministratori e lʼesperto è scelto dal socio;
- per valutare lʼindipendenza dellʼesperto, si utilizzano criteri simili a quelli dei sindaci, rapporti diretti o indiretti con i soci. La professionalità andrà valutata caso per caso.
Qualcuno ha detto che nessuno avrebbe più usato il sistema tradizionale in favore di questʼultimo.
Non sarà così perché, si è vero si riducono i costi, ma usare questo sistema è più pericoloso: si accentua di molto la responsabilità degli amministratori, i quali qualora rilevino delle differenze significative di valore hanno come unica strada andare in Tribunale per chiedere la nomina di un esperto.
Quando si segue la strada alternativa, ex. 2343 ter, la legge stabilisce che chi conferisce beni o crediti deve presentare al notaio una documentazione dalla quale risulti il valore attribuito ai conferimenti e la sussistenza delle condizioni per evitare lʼapplicazione dellʼart. 2343 e questa documentazione deve essere allegata allʼatto costitutivo. Il notaio, ancora, esercita un controllo.
Gli amministratori, una volta venuta ad esistenza la società, nel termine di 30 giorni dallʼiscrizione al Registro delle imprese devono verificare se si siano realizzati fatti nuovi che possono aver inciso sensibilmente sul valore equo. Il compito degli amministratori è diverso dal sistema tradizionale: essi dovevano controllare che la valutazione dellʼesperto e se ritenessero che vi sia sovra valutazione, procedere alla revisione.
Diverso è il compito per gli amministratori con questo meccanismo, essi controllano che non siano intervenuti fatti straordinari o eccezionali che abbino alterato il valore così riconosciuto.
Nel caso in cui le verifiche degli amministratori avessero esito positivo, essi dovrebbero redigere una relazione che conferma lʼutilizzabilità dei criteri alternativi e procedere allʼiscrizione del Registro delle imprese della loro valutazione.
Se invece ritiengono che siano intervenuti fatti nuovi od eccezionali, ecco allora che la legge impone loro di partire da zero, ricorrere in tribunale e far partire la procedura dellʼart. 2343, con un allungamento dei tempi.
Lʼart. 2343 prevede anche qualora si sia dovuto procedere ad una revisione della stima con conseguente riduzione del capitale e annullamento delle azioni: lʼatto costitutivo può prevedere che, per effetto dellʼannullamento delle azioni, si può riequilibrare il peso delle partecipazioni e ripartire fra i soci.
Eʼ un principio di generale applicazione nelle Spa e anche nella Srl: non è più necessario che ci sia corrispondenza fra valore del conferimento e della partecipazione che ciascun socio ottiene.
Fino alla riforma cʼera una necessaria corrispondenza biunivoca fra conferimenti e capitale; oggi con lʼart. 2346 si prevede una regola come quella del passato, ma la legge aggiunge che lo statuto può prevedere una diversa assegnazione delle azioni. Comunque il valore attribuito al capitale non può mai essere complessivo della
somma dei conferimenti: significa necessariamente che ci saranno altri soci che avranno proporzionalmente meno azioni rispetto al valore dei loro conferimenti.
Garantito questo a livello complessivo, allʼinterno del capitale cʼè libertà di attribuzione delle azioni. Oggi la corrispondenza non è più vista a livello della singola partecipazioni, ma al complesso delle partecipazioni.
Le ragioni per usare questo strumento è dare un riconoscimento rilevante al socio che effettui dei conferimenti atipici, come una prestazione di fare (opera o servizi). Un socio, ad esempio, può svolgere una attività professionale gratuitamente per la società e tramite la ridistribuzione non proporzionale delle azioni, si può dare riconoscimento allʼimpegno da lui assunto (e gli altri rinunciano alla parte cui aspetterebbe).
Ma ci sono dei limiti allʼassegnazione non proporzionale?
Si possono individuare due estremi opposti:
1) il caso di chi non conferisce nulla, ma ottiene comunque una parte del capitale;
2) oppure il caso in cui ,nel contratto sociale, un socio si impegna per un certo conferimento, ma non ottiene alcuna azione;
Si è sempre discusso: cʼè una tendenza maggioritaria nel riconoscere validità anche a questi casi estremi; ma la fattispecie prevista dalla legge è quella di una distribuzione non proporzionale di azioni, ma comunque fra soci.
Si presentano alcuni problemi applicativi: chi deve completare i conferimenti in denaro per il socio che non ha conferito nulla? A chi sarà chiesto di completare il versamento? A chi ha ottenuto le azioni o a chi ha promesso un conferimento?
Normalmente si dice che i denari vanno richiesti a chi ha promesso il conferimento, anche se non ha ottenuto azioni.
Lezione 5
I contratti
I Contratti speciali sono diversi lʼuno dallʼaltro.
Prima del 1942 quando cʼerano due codici contemporaneamente, i contratti avevano una duplice disciplina:
- da una parte, nel codice di commercio, quei contratti che il legislatore pensava in maniera precisa allʼimprenditore;
- e i contratti destinati ai privati, nel codice civile;
Nessuno discuteva sullʼesistenza dei contratti dʼimpresa, perché erano quelli nel codice di commercio; viceversa i contratti privati, erano quelli del codice civile.
Nel 1942 ci fu la riunificazione dei codici, con i contratti dedicati alla contrattazione e alle obbligazioni fra le parti.
Si assiste ad uno sdoppiamento dei contratti. La dottrina si chiede se esistano ancora i contratti commerciali e i contratti dʼimpresa; piuttosto oggi bisogna dire che esiste solo la contrattazione tout court?
Lʼesistenza di una categoria dei contratti dʼimpresa, non è una domanda sterile, ma mirava ad un risultato giuridico e pratico. Se in una politica futura dovessi valutare se un certo problema ha rilievo che si trattasse di un problema dʼimpresa, ciò ha un risvolto pratico.
Secondo alcuni ci sarebbe “una categoria” dei contratti dʼimpresa: ci sarebbero degli
indici normativi nel nostro sistema:
Ad esempio, lʼart. 1330 cc. si occupa della proposta e dellʼaccettazione che siano fatte o rivolte ad un imprenditore.
La regola generale è che quando chi ha fatto la proposta, muore, questa decade; invece per lʼimprenditore cʼè una deroga: la proposta fatta dallʼimprenditore nellʼesercizio dellʼattività dʼimpresa non perde efficacia se muore o diventa incapace.
In questa norma si stabilisce una deroga in funzione della qualifica imprenditoriale di uno dei soggetti coinvolti: quindi lʼessere imprenditore ha rilevanza!
Ogni qual volta una parte è un imprenditore, emerge lʼesigenza dʼassicurare la continuità dellʼimpresa.
Questo è il primo principio dei contratti dʼimpresa: cʼè sempre una continuità oltre la persona, agganciata alla continuità dʼimpresa.
Stessa dinamica nellʼart. 1722 sul mandante. Normalmente la morte o lʼinterdizione del mandante, estingue il mandato. Però se avviene nellʼesercizio dellʼimpresa, non si estingue. Anche qui cʼè lʼidea di continuità costante.
Altro esempio. Negli art. 2203 ss. sulla rappresentanza commerciale sta nellʼart. 2203, diversa dalla rappresentanza privata che ha altre regole.
Di conseguenza si può dire che cʼè un sistema, regolato da una sua ratio.
Primo tentativo di distinguere questi contratti da quello dei privati.
Di pari passo, questo fenomeno è stato accentuato dalla produzione legislativa: il legislatore si è andato delineando un ius speciale dettato in relazione allʼattività dʼimpresa.
Molte leggi si sono susseguite, sia sotto il profilo generale sia sotto il profilo particolare.
Una prima indicazione di una disciplina diversa per i contratti commerciali sia è avuta con il provvedimento della disciplina dei consumatori, di tutela del consumatore.
Questo processo ha portato allʼapprovazione di numerose leggi specifiche che si occupano di singoli contratti (subfornitura, franchising), e dallʼaltra parte cʼè stata una disciplina più generale contenuta nel Codice del consumo, che riguarda la contrattazione del consumatore.
Lʼimprenditore è assoggettato ad una normativa a se riguardo il Codice del consumatore, e inoltre in relazione a specifici contratti qualora siano posti in essere da degli imprenditori, come lʼattività bancaria che può essere svolta solo da un imprenditore.
Ancora una volta lʼimprenditore non è soggetto alla disciplina generale:
- perchè se tratta con il consumatore, gli si applica la disciplina del Codice del consumo;
- perchè per esso sono riservati determinati contratti (come quelli relativi allʼattività bancaria).
La categoria dei contratti dʼimpresa è un nucleo di normativa:
- speciale per regole (codice del consumo);
- per tipi bancari (contratti bancari)
e come tale una categoria che probabilmente è anche una categoria di norme che ha dei suoi principi e delle sue regole: discipline così differenziate ha portato alla concludere che i contratti dʼimpresa rispondano ad una disciplina normativa diversa dai contratti fra privati.
Oltre lʼunificazione dei codici, ci sono un gruppo di norme che si applicano specificatamente alla contrattazione dʼimpresa, dove sicuramente almeno parte almeno è imprenditore, ma alle volte intendiamo anche quei contratti che solo un imprenditore potrebbe fare.
Ad esempio, la compravendita può essere conclusa da chiunque, se però a concludere è un imprenditore, allora la stessa compravendita potrebbe essere soggetta ad un corpus normativo diverso.
Questa particolarità si riflette sulla disciplina in concreto applicabile ad un singolo contratto.
Le principali fonti normative di cui abbiamo a che fare con la contrattazione dʼimpresa.
Eʼ una disciplina che attraversa tutta la contrattazione dʼimpresa, a prescindere dal contratto.
I contratti di massa
Le principali regole:
- la contrattazione dʼimpresa è una contrattazione di massa;
- ex. art. 1341 cc. si ritrovano le condizioni generali di contratto. Eʼ una norma che si disciplina le norme principali e le previsioni disposte unilateralmente da uno dei due soggetti per regolare in maniera standard una massa di contratti uguali con parti diverse. Eʼ una norma che disciplina le regole valide dei contratti di massa.
Caratteristica principali dei contratti di massa (come i contratti di assicurazione o di conto corrente):
- le regole sono unilateralmente predisposte;
- sono fatte per una contrattazione di massa, quindi standardizzata;
Da una parte per la validità del contratto è necessario il consenso di entrambe le parti, ogni parte dovrebbe conoscere tutte le condizioni, quindi lʼimprenditore dovrebbe spiegare tutte le condizioni e ciò che non è stato convenuto.
Il legislatore si è trovato due poli confliggenti:
- la necessità di garantire una parvenza volitiva da parte chi deve contratto;
- sollevare chi deve fare la contrattazione di xxxxx a contrattare più velocemente;
Il contratto si basa sulla mera conoscenza o conoscibilità delle singole clausole: non è necessario che la parte ne sia a conoscenza, ma che le abbia conosciute o solo che sia stato in condizione di conoscerle.
Eʼ il foglio delle Condizioni generali di contratto.
Lʼimprenditore che predispone le clausole in maniera unilaterale, “prendere o lasciare” è gravato dalla condizioni che esse debbano essere conosciute o almeno conoscibili.
Cʼè una tutela più forte che è quella del secondo comma, quello delle clausole vessatorie:
- una clausola vessatoria, per essere efficace, deve essere almeno conoscibile (regola generale);
- cʼè però una regola diversa per talune clausole indicate nel secondo comma che il legislatore valuta negativamente per il soggetto (utente) che si trova a contrattare in condizione di inferiorità; esse non hanno effetto, anche se sono state rese conoscibili, salvo unʼunica situazione: è necessario che siano specificamente approvate per iscritto.
- Fra queste, quelle, ad esempio, che stabiliscono in favore di colui che ha predisposte, di recedere al contratto che stabiliscono decadenze, ecc.
Normalmente ci si trova a fare la prima firma, poi altre firme. Solitamente le seconde firme servono per il clausole vessatorie.
Affinché tutto lʼintero contenuto contrattuale sia efficace, è necessario che tutte le condizioni siano efficaci.
La terza firma è quella della privacy.
Quando la legge sancisce che devono essere approvate “per iscritto” intende che deve essere ripetuta la firma: ma non unica per tutte le clausole vessatorie, ma una firma per ogni clausola vessatoria, riguardo specifici contenuti. Ogni clausola deve essere approvata specificatamente.
Eʼ necessario che sia indicato anche lʼarticolo di riferimento per ogni clausola vessatoria, questo “specificatamente”, è stato inteso come la firma che richiama una certa clausola: è necessario il titolo dellʼarticolo che ha ad oggetto la clausola vessatoria.
La sola passiva accettazione: la tutela è stata ritenuta dai più eccessivamente insufficiente. Questa si configura come una tutela formale, perché di fonte alle clausole vessatorie non ha sancito unʼinefficacia assoluta, ma che la loro efficacia è subornitata ad una firma.
Per concludere il contratto, il consumatore non è nella posizione di contrattare e sarà costretto ad accettare le clausole vessatorie.
Una volta che la prassi della “seconda firma” è divenuta abituale, e la tutela, oltre che sostanziale, ormai anche quella formale è sfumata.
La dottrina ha ritenuto di criticare questa tutela formale, divenuta ridicola nei confronti dellʼimpresa. Al singolo non rimane altro che firmare, e non leggere.
In seguito è arrivata una direttiva comunitaria del 1992 sui contratti dei consumatori che ha disciplinato tutta la contrattazione che si svolge fra un professionista e un consumatore: riguardo a questa specie di contratti, ha disposto una tutela più forte del legislatore nazionale.
La direttiva ha trovato attuazione con una legge del 1996 che aveva introdotto gli art. 1469 bis e seguenti del Codice civile.
Fino al 2005, anno in cui queste norme e altre sono state trasferite nel Codice del consumo.
1) la tutela del Codice del Consumo si aggiunge a quella civilistica appena vista.
2) la disciplina del Codice del Consumo riguarda solo i contratti conclusi fra un professionista e un consumatore.
Conseguenze:
a) con condizioni unilaterali o le condizioni generali di contratto avremmo sempre la necessità che queste siano rese conoscibili, a prescindere che sia o meno un consumatore.
b) stesso dicasi per la “seconda firma”;
c) attenzione: la disciplina consumeristica si applica solo fra professionista e consumatore, perchè se invece non cʼè il BTC (business to consumer), ma business to business (BTB): non ha senso il codice del consumo, ma si applica lʼart. 1341 (normativa codicistica).
La normativa codicistica si applica sempre; per i consumatori si applica pure il codice del consumo.
Il codice del consumo
Lʼobiettivo è riassumere le norme rivolte al consumatore.
La disciplina consiste nel concetto normatistico fra consumatore e professionista.
Il consumatore
Individuazione del consumatore: definizione art. 1 Decreto legislativo n. 206/2005.
Non ogni provvedimento può essere letto tramite la definizione di “consumatore” ex Codice del Consumo, ma solo per alcune del Codice del Consumo, infatti si dice “ove non diversamente previsto”.
Ad esempio, allʼart. 18: non è la definizione del Codice del consumo.
La definizione del consumatore (inclusa nel Codice del Consumo) lo identifica con la persona fisica, lasciando fuori tutto ciò che che è persona giuridica o ente collettivo, perchè la norma dice che deve essere persona fisica.
La persona fisica deve agire per scopi estranei allʼattività imprenditoriale, commerciale, ecc. Cioè agisce per scopi personali. Gli esempi sono questi: compravendita non per attività commerciale (un avvocato che acquista un telefono connesso allʼesercizio di unʼattività economica).
La dottrina ha criticato questa previsione.
Importante è il fatto che questo agisca per scopi legati alla sua attività normale.
Il punto promiscuo: tutto ciò che è effettuato in vista, in una prospettiva inerente allʼattività economica è come se fosse svolto nellʼesercizio dellʼattività economica: anche gli atti funzionali allʼesercizio di unʼattività ancora non intrapresa si considerano non estranei.
Il professionista
Persona fisica o giuridica che agisce nellʼesercizio di una propria attività economica o imprenditoriale. In tal caso può trattarsi sia di singolo che di organizzazione: avvocato, commercialista, imprenditore. Art. 2341
La tutela
Per i contratti “prendere o lasciare”, il codice del consumo prevede una tutela più
sostanziale, perché dispone lʼinefficacia di alcune clausole.
Lʼart. 33: si considerano vessatorie le clausole che malgrado la buona fede determinano a causa del consumatore uno squilibrio dei diritti e degli obblighi; Lʼart. 36, le clausole considerate qui vessatorie sono nulle. Anche se firmate, queste clausole non sono mai efficaci nel contratto. La tutela è rafforzata, perché la sanzione è uno scudo.
Le clausole che determinano uno “significativo squilibro del diritti e degli obblighi”: quando siamo in grado di provare che la clausola determina una situazione di squilibrio?
Ex art. 33, il codice del consumo, al secondo comma, sancisce che si presumono vessatorie che le clausole che hanno ad oggetto: escludere o limitare la volontà e i diritti al consumatore: per questa lista, detta lista grigia, ci si avvale della presunzione di relativa nullità, questo al di là della conoscibilità.
Altro passo avanti, ex art. 36, si dice che sono nulle le clausole che hanno per oggetto [...]
(lista di clausole detta black list): si ha una presunzione di assoluta nullità.
Sono stare stabilite anche delle norme favorevoli in caso di giudizio.
Al comma 4 art. 34 si dice che, non sono vessatorie le clausole che sono state oggetto di trattativa individuale. Quindi le precedenti tutele valgono nel caso di contrattazione di massa.
Per le clausole contenute nella blak list, però, la norma dice che esse sono nulle anche se fossero oggetto di trattativa.
Ci sono numerose fonti normative che problema difficile il loro coordinamento.
Lezione 6
Gli acquisti pericolosi
Art. 2343-bis.
Acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori.
1. L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di
beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della
società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria.
2. L'alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario
ha sede la società contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i
criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.
3. La relazione deve essere depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono
l'assemblea. I soci possono prenderne visione. Entro trenta giorni dall'autorizzazione il verbale
dell'assemblea, corredato dalla relazione dell'esperto designato dal tribunale, deve essere depositato a cura degli amministratori presso l'ufficio del registro delle imprese.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli acquisti che siano effettuati a condizioni normali
nell'àmbito delle operazioni correnti della società né a quelli che avvengono nei mercati regolamentati o
sotto il controllo dell'autorità giudiziaria o amministrativa.
5. In caso di violazione delle disposizioni del presente articolo gli amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci ed ai terzi.
Lʼart. 2343 bis prevede che lʼacquisto da parte della società per un corrispettivo pari o superiore a un decimo del capitale sociale dei promotori dei soci o degli amministratori deve essere autorizzato dallʼassemblea ordinaria.
Una società per azioni, nei due anni dalla sua costituzione (iscrizione nel Registro delle imprese), può decidere di acquistare beni o crediti da parte di soggetti che hanno a che fare con la società (per pubblica sottoscrizione da parte di soggetti detti promotori).
Eʼ il caso in cui i promotori lanciano un progetto di società per azioni e promuovono una pubblica sottoscrizione, fanno un invito al pubblico affinché chi è interessato può sottoscrivere azioni della società. Promotori:
- soci fondatori
- soci non fondatori
- amministratori
Gli acquisti fatti da queste persone, se fatti per un importo pari o superiori al decimo del capitale, devono essere autorizzati dallʼassemblea della società.
Lʼalienante deve presentare la relazione giurata di un esperto. La legge detta per questa fattispecie, la stessa disciplina che la legge applica per i conferimenti diversi dal denaro (si applica la disciplina propria del sistema tradizionale dei conferimenti): la legge però non prevedere un controllo o una revisione della stima da parte degli amministratori.
Lo scopo è parificare gli acquisti fatti dalla società a quella del conferimento diverso dal denaro, perché attraverso questa tecnica si potrebbe altrimenti aggirare i vincoli posti a tutela del capitale dallʼart. 2343: la società viene conferita con un capitale minimo di 120.000, e con versamento del 25%; poi, dopo averla iscritta al Registro delle Imprese,
fingiamo di acquistare un bene da un socio, è come se sopra-valutassimo un conferimento.
La legge vuole evitare un aggiramento, un elusione dei versamenti diversi dal denaro, una sopra- valutazione dei beni diversi dal denaro: sono acquisti che potrebbero deprimere la consistenza patrimoniale della società.
Che sia questo lo scopo è dubbio, perchè è previsto solo per i primi due anni.
I soggetti che sono considerati critici da questo punto di vista: soci e amministratori attuali, i fondatori anche se non sono più soci, e i fondatori che non siano più soci, i promotori; lʼambito oggettivo: operazioni compiute entro due anni dallʼiscrizione.
Se una società di persone si trasforma in società per azioni: la disciplina si applicherà allora dal momento della trasformazione in spa, è come se nascesse ex novo una spa.
La legge non considera operazioni di scarso valore, “per un valore superiore ad un decimo del capitale”: bisogna guardare allʼeffettività; ci possono essere acquisti frazionati, e quindi bisogna guardare la somma di questʼultimi.
Con il termine “acquisti” va inteso in senso generico: effettuati dalla società per effetto di un contratto con effetto traslativo e a carattere oneroso, non solo per i contratti di compravendita. Il fenomeno della depressione del capitale potrebbe verificarsi anche con un fenomeno di permuta.
La legge prevede un obbligo di autorizzazione da parte dellʼassemblea ordinaria. Queste operazioni di acquisto sono decise dagli amministratori. La gestione appartiene agli amministratori e in modo esclusivo: acquistare un bene è una tipica operazione di gestione.
Unʼanaloga operazione di gestione autorizzata dallʼassemblea è lʼoperazione di acquisto di azioni proprie. Può avvenire solo nelle società azionarie, la società può decidere di acquistare proprie azioni. Tale operazione è particolarmente delicata e pericolosa.
Non è che la decisione o il potere di decidere passa allʼassemblea, rimane agli amministratori. Eʼ solamente un potere condizionato, è lʼelemento dellʼautorizzazione dellʼassemblea.
Ma in ipotesi è possibile che lʼassemblea lʼabbia concessa, ma che gli amministratori decidano di non compiere più lʼoperazione.
Lʼassemblea non vincola gli amministratori, altrimenti vi sarebbe unʼingerenza nella gestione, cosa che la legge non tollera, dopo la riforma.
La norma è eludibile perché è sufficiente, affinché fondare una nuova società, acquistare le azioni di una società già esistenti. Se un soggetto vuole acquistare un immobile e non acquistarlo come persona fisica, può andare da un commercialista e tramite una srl già fondata, acquista una quota della società e poi lʼimmobile.
Xxxx succede se questo acquisto viene deciso dagli amministratori, non viene chiesta lʼautorizzazione o senza effettuare la stima?
La sanzione per questa violazione della legge, ci dice che in caso di violazione delle disposizione del presente articolo, gli amministratori sono responsabili per i danni causati alla società, ai soci e ai terzi. La sanzione non è la nullità dellʼatto o dellʼoperazione, che rimane valida ed efficace; il trasferimento del bene produce i suoi effetti: scatta solo una responsabilità persona dei soggetti coinvolti: gli amministratori e dallʼaltra parte chi ha venduto quel bene (lʼalienante) per i danni che possono essere derivati dalla società per lʼoperazione, ad esempio, per la perdita di patrimonio, se il bene è stato stimato al doppio del suo valore.
La legge introduce però delle esenzioni a tutto ciò (comma 4, 2343 bis); le disposizioni dellʼarticolo non si applicano:
- agli acquisti che si applicano in condizioni normali a condizioni correnti della società;
- o per quelle che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo della società giudiziaria o amministrativa.
Se tali materie prime vengono acquistate a condizioni normali, cioè alle medesime condizioni a cui un terzo avrebbe contrattato, con prezzo di mercato, scadenza di pagamento, ecc.: non ci sarebbe ragione di partire con tale procedimento (autorizzazione e nomina dellʼesperto dal Tribunale);
- allo stesso modo, se lʼamministratore acquista delle azioni in borsa (mercato regolamentato), ma il prezzo non è individualmente stabilito, ma è dato dalla domanda offerta complessiva in quel momento dal mercato.
- quando lʼacquisto è effettuato dallʼautorità giudiziaria o amministrativa; quando un amministratore, ad esempio, acquista un bene dal fallimento, ma anche in tal caso il prezzo viene definito dallʼautorità giudiziaria.
Il fenomeno delle prestazioni accessorie
Art. 2345.
Prestazioni accessorie.
1. Oltre l'obbligo dei conferimenti, l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di eseguire prestazioni
accessorie non consistenti in danaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e
stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni.
2. Le azioni alle quali è connesso l'obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori.
3. Se non è diversamente disposto dall'atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci.
Oltre lʼobbligo dei conferimenti, lʼatto costitutivo può stabilire lʼobbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in denaro, determinando compenso e sanzioni per inadempimento.
Eʼ possibile prevedere a carico dei soci lʼobbligo di effettuare prestazioni ulteriori, oltre i conferimenti. Ovvero che un socio, oltre che conferire denaro, si impegni ad effettuare prestazioni di lavoro per la società.
In tal caso, le azioni devono essere nominative e non trasferibili senza il consenso degli amministratori. Tali azioni accessorie non sono imposte al socio: si può istituire delle azioni a cui è connesso questʼobbligo; chi è titolare di tali azioni dovrà adempiere a quellʼobbligo. Tale obbligo inerisce allʼazione non al titolare della azioni. Mentre nella srl, con forte caratterizzazione personale, gli atti costitutivi possono stabilire che determinati soci abbiano certi diritti particolari diversi da quelli che spettano alla generalità dei soci, mentre nella spa, per attribuire diritto o obblighi particolari, si deve farlo sulle azioni. Ovviamente chi è titolare della azioni avrà determinati diritti particolari.
La differenza è fatta sul piano delle azioni, non sul piano del soggetto.
Tali prestazioni accessorie sono una particolare specie di azioni.
La legge dice che tali prestazioni sono diverse dal denaro, ma in realtà questo istituto veniva utilizzato nella società per inserire apporti di fare qualcosa, che sono vietati.
Oggi lʼutilità di un istituto come questo è venuta scemando, perché ci sono altri strumenti per dare ingresso ufficiale agli apporti di prestazioni di fare;
- la non proporzionalità della azioni;
- lʼemissione di strumenti finanziari partecipativi, a fronte della promessa di determinante prestazioni dʼopera o di servizi;
Queste ultime sono tecniche agevole rispetto allʼemissione di prestazioni accessorie. Allʼultimo comma infatti ci sono dei vincoli:
- le azioni non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori; non tutti i soggetti sanno adempiere allo stesso obbligo, se le azioni vengono vendute ad un soggetto non idoneo, allora il socio deve ottenere il consenso degli amministratori.
- al terzo comma, le prestazioni accessorie non possono essere modificate, senza il consenso di tutti i soci, con una decisione unanime dei soci. Questo è lʼunico caso in cui in una spa è prevista una decisione unanime. Infatti, caratteristica fondante di una società per azioni è quella per cui, per tutte le decisioni anche per le più radicali, vige sempre il principio maggioritario. Questa è una grossa complicazione.
Queste azioni con prestazioni accessorie sono un meccanismo troppo rigido.
Le azioni
Art. 2346.
Emissione delle azioni.
1. La partecipazione sociale è rappresentata da azioni; salvo diversa disposizione di leggi speciali lo statuto
può escludere l'emissione dei relativi titoli o prevedere l'utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e
circolazione.
0.Xx determinato nello statuto, il valore nominale di ciascuna azione corrisponde ad una frazione del capitale sociale; tale determinazione deve riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla società.
In mancanza di indicazione del valore nominale delle azioni, le disposizioni che ad esso si riferiscono si applicano con riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse.
3. A ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritta e
per un valore non superiore a quello del suo conferimento. Lo statuto può prevedere una diversa
assegnazione delle azioni.
4. In nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale.
5. Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o
servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto
nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.
Caratteristica principale della spa sono le azioni.
La partecipazione sociale è rappresentata da azioni. Cʼè pure nella sapa, ma non nella srl, dove vige invece il divieto di rappresentare le partecipazioni sociali tramite le azioni.
Il termine azioni assume tre possibili significati:
1) intesa come frazione del capitale sociale; il capitale sociale è diviso in azioni, tutte del medesimo valore, questo a prescindere che siano emesse azioni senza valore nominale;
2) intesa come termine sintetico per esprimere il complesso di posizioni giuridiche attive e passive della partecipazione sociale, quindi azione come partecipazione sociale. Ogni azione rappresenta una rappresentazione sociale, ovvero un complesso posizioni attive, di diritti e di doveri, ma anche di posizioni passive, come lʼobbligo di completare i conferimenti. Tutto ciò che significa partecipazione sociale, diritti, obblighi e poteri.
3) Azione come titolo azionario, documento che incorpora e menziona la partecipazione sociale e abbia natura di titolo di credito. Questʼultima non trova sempre riscontro in una società per azioni, dove si può prevedere la non emissione dei titoli azionari.
Lʼart. 2346 al c.1: la partecipazione sociale è rappresentata da azioni, salvo che lo statuto può escludere lʼemissione dei relativi titoli. In passato previsto con deliberazione della assemblea straordinaria, oggi invece è lo statuto che prevede la non emissione dei titoli. Anche se non sono emessi i titoli azionari, la società esiste comunque. Ci sono differenze sul piano della circolazione dellʼazienda sociale. La qualità di socio generalmente si trasferisce col trasferimento del titolo azionario,
secondo le regole dei titoli di credito. Se le azioni non sono emesse, la cessione della posizione di socio dovrà avvenire attraverso tecniche diverse.
Art. 2347.
Indivisibilità delle azioni.
1. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106.
2. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti.
I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti.
Le azioni sono indivisibili: mente in una società non azionaria, le quote di partecipazioni sono ragguardate al valore del conferimento. Nella spa ogni azione è il minimo comune denominatore, sotto essa è indivisibile.
In caso di co-proprietà di un azione è necessario un rappresentante comune.
Ogni azioni è indivisibile e rappresenta un complesso standardizzato di posizioni giuridiche attive e passive; ogni azione è una partecipazione sociale pro quota.
“complesso standardizzato” perché tutte le azioni attribuiscono medesimi diritti e medesimi obblighi, si parla di emissione in serie.
Eʼ si possibile creare diverse categorie, ma anche in tal caso lʼuguaglianza delle azioni si riproduce allʼinterno della singola categoria: è unʼuguaglianza relativa.
Ogni azione rappresenta una partecipazione sociale autonoma rispetto alle altre.
Il socio titolare di più azioni può esercitare i diritti delle azioni in modo parziale, e può decidere di presentarsi in assemblea e votare per solo metà delle azioni possedute.
Ci sono solo casi relativi ove non è possibile esercitate i diritti in modo parziale, come il recesso dalla società.
Emerge allora il voto divergente: si può votare con 50 azioni e con 50 contro lʼapprovazione del bilancio? Oppure, caso pratico tipico, è il caso dellʼintestazione fiduciaria delle azioni, non è infrequente che un soggetto titolare delle azioni non voglia apparire come socio della società e allora è previsto un meccanismo di intestazione ad una società fiduciaria; si trasferiscono azioni alle società fiduciaria, sulla fiducia, e questa si impegna a gestire le azioni secondo le direttive del fiduciante.
Una medesima società fiduciaria può ottenere due pacchetti dʼazione di due soci della medesima società (50 di un socio, 50 di un altro): Xxxx dà direttiva alla società fiduciaria di votare a favore, lʼaltro contrario. La società fiduciaria dovrà quindi esprimere voto divergente. Questo è un caso in cui si ritiene lecito il voto divergente.
Vi sono però diritti e doveri che però richiedono un determinato possesso azionario. Lʼart. 2377, ad esempio, prevede che per poter impugnare la deliberazione dellʼassemblea invalide, sia necessario che i soci debbano possedere tante azioni quanti i diritti di voto che rappresentano lʻ1 per mille nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, o del 5% delle altre.
Oggi la legge ha creato questa previsione per evitare il rischio dei disturbatori di assemblea, questi ottenevano una monetizzazione della minaccia purché non impugnassero il bilancio. Così sono stabilite soglie minime per impugnare le delibere assembleari. Qui conta la % del capitale posseduta, non il numero delle azioni.
Normalmente ogni azioni attribuisce il complesso di diritti o poteri, mentre altri necessitano di un determinato possesso azionario e non basta la singola azione.
Partecipazione sociale non significa essere “proprietari” del patrimonio sociale: è importante perché quando si vendono le azioni (partecipazioni sociali), non patrimonio della società: importante per capire i vizi legati alla vendita.
Azione come titolo di credito
Secondo lʼart. 2346, c. 1. Si può decidere di non emettere le azioni o lʼutilizzazione di tecniche diverse di legittimazione o circolazione delle azioni.
Lʼart. 2346 consacra il principio della libertà della forma di partecipazione: oggi è solo una delle possibili forme per rappresentare la partecipazione sociale. Lʼazione è la forma tipica, solo lo statuto può stabilire diversamente.
Se sono emesse, le azioni sono titoli di credito.
I titoli di credito si caratterizzano per il fatto di rappresentare una somma in modo tale che la circolazione del documento vale come circolazione del diritto.
Ad esempio, quando si trasferisce una cambiale, titolo allʼordine, si trasferisce il diritto (ad esempio di riscuotere una somma), con una facilitazione della circolazione perché non occorre fare un contratto di trasferimento.
Consegnando un documento, colui che ne entra in possesso diviene soggetto legittimato ad esercitare il diritto assegnato dal documento; altra caratteristica di un titolo di credito è la non opponibilità delle eccezioni del precedente possessore. Se quando una cambiale, magari girata, viene a scadenza, il titolare della cambiale non può opporre a questʼultimo (il giratario) le eccezioni sollevati nei confronti del primo, il girante, rivelatosi inadempiente. Questo è il principio dellʼobbligazione cartolare.
I crediti normali invece, anche se ceduti, sono si invece opponibili, perché lʼacquisto del credito è a titolo derivativo, acquisto “tutta la storia” del credito, comprese le eccezioni verso il primo cessionario.
Anche quando le azioni sono emesse, sono titoli di credito, un poʼ particolari, perchè sono
a letteralità completa: sono titoli letterali.
Il diritto è quello che sta scritto nel titolo, e circolano sulla base delle regole di circolazione dei diritti di credito.
In particolare, le azioni possono essere nominative o al portatore, a scelta del socio; ma si aggiunge “se lo statuto o le legge speciali non stabiliscono diversamente”: una legge speciale esiste del 1942 che stabilisce la nominalità obbligatoria dei titoli di credito, norma dettata da ragioni speciali. Ancor oggi vige il divieto di emettere azioni al portatore, salvo casi espressamente regolati, come le azioni di risparmio.
La differenza: le azioni al portatore circolano soltanto con la consegna, e con la consegna si trasferisce la legittimazione del diritto ad essere socio; nel caso di azioni nominative, il meccanismo è diverso. Lʼipotesi tipica di circolazione è la circolazione con girata (= al posto mio “pagate” al signor. X), ma è una girata autenticata da un notaio, da un agente di cambio o da quantʼaltro. Inoltre, la regola è che ci vuole una doppia intestazione, risultare titolari sul titolo, ma anche sul registro dellʼemittente (la società, dove sono registrati i titolari dei titoli, è il libro soci).
Per favorire la circolazione delle azioni, la legge non prevede la doppia intestazione, ma basta avere la girata e sarà poi la società che modificherà il libro soci, indicando il nome del nuovo socio, e può essere fatta a posteriori (eccezione fatta per le azioni).
La legge prevede anche la possibilità di non emettere i titoli azionari, e la partecipazione risulta solo dal libro soci. La circolazione avverrà secondo le regole proprie del contratto e non nelle forme facilitate della circolazione del titolo di credito. In tal caso, non è un titolo di credito.
Una cosa è la scelta di non emettere i titoli azionari, altra scelta è quella di non dematerializzare i titoli. La riforma del 2003 prevede anche una dematerializzazione facoltativa per le società non quotate, obbligatoria per le quotate dal 1998.
Sono ipotesi diverse.
Il fatto di dematerializzazione significa che i titoli sono emessi in modo diverso dalla forma cartacea, la circolazione è informatica.
La scelta di emettere o non emettere i titoli deve essere fatta per tutte le azioni.
La legge parla anche di diverse tecniche di rappresentazione e circolazione delle azioni. Non è chiaro quali siano, ma allo stato le ipotesi, parlando delle società non quotate:
- emissione cartacea dei titoli;
- emissione dematerializzata dei titoli;
- opzione per la non emissione dei titoli; al comma 2, si prevede la possibilità di omettere il
valore nominale delle azioni.
Il valore nominale delle azioni
Oggi è una facoltà di non emettere azioni senza valore nominale: è più proprio parlare di azioni senza indicazione del valore nominale. Eʼ facilmente determinabile con una divisione del capitale / azioni.
Lʼutilità è quella per cui con le operazioni di aumento o diminuzione del capitale, se questo non è indicato nelle azioni, non serve ritirare le azioni per emetterne di nuove con il nuovo valore: non occorre cambiare il titolo.
Lezione 7
Il valore nominale cʼè comunque, quello che si può omettere è lʼindicazione del valore nominale.
Lʼart. 2442 prevede lʼaumento gratuito del capitale, non ha come presupposto nuovi conferimenti, ma si realizza per il passaggio di riserve a capitale. Eʼ una pura operazione contabile; la società ha riserve disponibili e decide di aumentarle a capitale.
Questa operazione si realizza:
- o tramite lʼemissione di nuove azioni;
- o lʼaumento del valore nominale delle azioni;
- cʼè una terza possibilità: non facendo nulla con le azioni senza valore nominale, aumentando il capitale, ogni azione cambia naturalmente valore. Stranamente il legislatore che non ha aggiornato la disciplina sullʼaumento del capitale.
Le azioni hanno un valore nominale, espresso o implicito. Accanto al valore nominale cʼè lʼazione con un suo valore patrimoniale. Ogni azione, se rappresenta una frazione del capitale, rappresenta anche idealmente una frazione del patrimonio sociale (i due valori corrispondono solo al momento della costituzione della società, poi questʼultimo fluttua: aumenta se si realizzano utile e poi riserve, o si distrugge con le perdite). Accanto a un valore nominale ogni azione ha un contenuto patrimoniale che può essere un valore molte volte superiore al valore nominale.
La tendenza italiana è la sotto-capitalizzazione della società.
Poi per le quotate, cʼè anche un valore di mercato, che tendenzialmente seguirà il valore patrimoniale.
Quando le azioni quotate hanno un flottante ridotto. Ciò può dipendere anche dal fatto che viene conteso il controllo, che assume anchʼesso un valore.
Frazionamento o raggruppamento delle azioni
Lʼazione è lʼunità minima di una partecipazioni sociali, tantʼè che tutte le azioni devono avere uguale valore nominale, che sia espresso o implicito.
Le operazioni di frazionamento o di raggruppamento delle azioni sono possibili, ma soltanto con una modificazione dello statuto e solo quando riguardi tutte le azioni, soprattutto con le quotate.
Quando le quotazioni in borsa di una società acquisiscono un valore elevato e si ritiene che si opportuno frazionarle per dar accesso al mercato anche ad investitori “minori”.
In ogni caso è un operazione che non può che riguardare tutte le azioni e deve essere modificato lo statuto.
Lʼindivisibilità e la comproprietà delle azioni
La legge deve disciplinare lʼipotesi in cui un azione finisca in comproprietà di più soggetti: in una srl si potrebbe fare un divisione della proprietà e ognuno avrebbe una quota.
Nella spa non è possibile e quando un azione è intestata a due soggetti, è necessario un rappresentante.
Art. 2347.
Indivisibilità delle azioni.
1. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106.
2. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti.
3. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti.
Dopo lʼart. 2347, si stabilisce la previsione per la comproprietà, qualora ci fosse la proprietà di una o più azione, i diritti che aspettano a queste azioni devono essere espressi da un rappresentante comune; in mancanza della nomina di questʼultimo da parte dei titolari, ogni comunicazione effettuata a uno dei due comproprietari, è efficace per entrambi.
La legge stabilisce espressamente la regola dellʼindivisibilità; accanto a questo principio se ne affianca un altro, che non è disciplinato dalla legge, ma è connaturato alla natura dellʼazione: l principio di inscindibilità dellʼazione.
Mentre lʼindivisibilità attiene allʼimpossibilità (divieto) di intervenire da parte dei singoli sul valore dellʼazione, con lʼinscindibilità si attiene allʼinsieme di posizioni giuridiche che ogni singola azione attribuisce a chi ne è titolare.
Non si possono attribuire ai soggetti diversi i diversi diritti e poteri che lʼazione attribuisce:
- partecipazione allʼassemblea;
- percepire gli utili;
- ecc.
Non si può attribuire ad un soggetto una serie di diritti e ad un altro altri diritti: non si possono separare; è la stessa legge, invece, che in una serie determinata di casi, prevede delle deroghe a questi principi.
Ad esempio, quando vengono costituiti diritti reali particolari. Eʼ possibile costituire un usufrutto (= diritto reale limitato per cui un soggetto proprietario di un bene attribuisce ad un altro soggetto il diritto di godere di un bene per un certo periodo, è un diritto opponibile), un pegno, o possono essere oggetto di sequestro. Lʼart. 2352 prevede una divisione.
Anche lʼazione è prevista il diritto di usufrutto.
Art. 2352, c. 1
Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni.
1. Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore
pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode.
Oggi cʼè una tendenza ad ammettere anche deroghe convenzionali a questo principio. Ad esempio, il fenomeno della vendita del diritto di voto, possibile in alcuni ordinamenti degli Stati Uniti, non è possibile in Italia.
I diritti di opzione, invece espressamente previsti, hanno un proprio mercato ed è lecito scambiarli.
Le categorie di azioni
Eʼ possibile invece diversificare altri diritti e creare categorie di azioni diverse sulla base di attribuzione di diritti diversi: sempre categorie di azioni, non singole azioni. Lʼuguaglianza dei diritti deve riprodursi allʼintero della categoria di azioni, quindi è un uguaglianza delle azioni relativa.
Deve essere lo statuto a determinare nuove categorie di azioni, è possibile, ad esempio, modificare lo statuto per rispondere allʼesigenza.
Si parla sempre di azioni con diritti diversi, non di soci con diritti diversi.
Nella srl invece non esistono le categorie di quote, ma soci muniti di diritti diversi, di privilegi diversi rispetto agli altri. Nella spa ciò sarebbe vietato, perché bisogna sempre far riferimento al dato reale delle azioni.
Art. 2348.
Categorie di azioni.
1. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.
2. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni
fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti
imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. 3. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.
Lʼart. 2348 prevede il diritto di creare categorie di azioni.
Al primo comma, è previsto il principio generale che le azioni sono di uguali diritti e che attribuiscono medesimi diritti.
Ma al secondo comma, è prevista una deroga.
Al terzo comma si ribadisce il principio di uguaglianza relativa, perché le azioni allʼinterno di una categoria conferiscono medesimi diritti.
Art. 2376.
Assemblee speciali.
1. Se esistono diverse categorie di azioni o strumenti finanziari che conferiscono diritti amministrativi, le
deliberazioni dell'assemblea, che pregiudicano i diritti di una di esse, devono essere approvate anche
dall'assemblea speciale degli appartenenti alla categoria interessata.
2. Alle assemblee speciali si applicano le disposizioni relative alle assemblee straordinarie.
Eʼ importante stabilire se vi sono più categorie di azioni, perché lʼart. 2376 in tema dʼassemblea che quando esistano diverse categorie di azioni o di strumenti finanziari, le deliberazioni che pregiudicano i diritti di una categoria, devono essere approvate anche dallʼassemblea speciale della categoria dei diritti pregiudicati.
Con più categorie di azioni, ogni qual volta lʼassemblea deliberi un provvedimento che arrechi pregiudizio ad una categoria, questo deve aver conforto da una delibera dʼapprovazione dellʼassemblea speciale della categoria di azioni pregiudicata.
Non è un problema banale perché non tutte le differenze attribuite alle azioni, danno vita a
a categorie di azioni.
Possiamo diversificarle:
- per conferimento: diritti diversi, sia amministrativi che patrimoniali;
- per differenze per quanto riguarda il modo in cui circolano. Astrattamente le azioni di una società potrebbero essere, in parte, al portatore, in parte, nominative, che quindi circolano secondo regole diverse. Ma questʼultima non è una differenza che fa nascere categorie diverse: quello che cambia è un fatto esterno, è un modo in cui si trasferiscono le azioni. Con diverse categorie si parla di azioni munite con diritti diversi. Nel caso della possibile coesistenza di azioni al portatore e azioni nominative non avremo lʼapplicazione dellʼart. 2376 e neppure la creazione di categorie differenti.
- ci possono essere differenze nel modo in cui sono state emesse: un emissione di azioni offerte ai dipendenti e non ai soci, a volte rappresentano una categoria, ma nulla esclude che siano offerte azioni privilegiate ai dipendenti, ma se non sono privilegiate, non è detto che venga creata una nuova categoria.
Cʼè una categoria solamente quando sono attribuiti diritti diversi rispetto alle altre azioni.
La legge stabilisce la più ampia libertà dello statuto nella creazione di categorie di azioni diverse: è possibile liberamente creare il contenuto delle azioni (art. 2348).
Oggi cʼè una convivenza di azioni tipiche e poi cʼè un numero “n” di possibili categorie atipiche: è rimesso alla fantasie degli operatori quali diritti possono essere attribuiti ad una categoria di azioni.
Oggi questi limiti siano estremamente labili, lʼunico limite da rispettare è il divieto di patto leonino, patto in forza del quale un socio si accaparra di tutti gli utili, mentre alle altre categorie non è assegnata alcuna partecipazione agli utili; oppure che una categoria di azione goda di unʼesenzione di partecipazione alle perdite.
La creazione di categorie diverse può riguardare anche la partecipazione alle perdite, fermo restando il divieto di patto leonino: ovvero la creazione di azioni postergate alla partecipazione alle perdite; dopo che queste vengono assorbite da tutte le riserve, lʼincidenza sul capitale viene registrato solo sulle azioni ordinarie: solo le azioni ordinarie verranno aggredite dalle perdite e, in un secondo momento, su quelle postergate: non cʼè un esclusione, ma una postergazione.
1. Ogni azione attribuisce il diritto di voto.
Art. 2351.
Diritto di voto.
2. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di
voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di
particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale.
3. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in
relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura
massima o disporne scaglionamenti.
4. Non possono emettersi azioni a voto plurimo.
Secondo Lʼart. 2351 si può giocare sul diritto di voto fino alla sua completa eliminazione.
Rimangono come limiti:
- il divieto di emettere azioni a voto plurimo; è un divieto assurdo perché limitando il diritto di voto o completamente o ad argomenti, si può ottenere il medesimo effetto: attribuendo più voti ad una categoria di azioni invece che ad un altra.
- le azioni che sulle quali comunque si viene ad incidere il diritto di voto devono al massimo rappresentare il 50% del capitale; ovviamente sommando tutte le categorie.
Questo perché si vuole che non ci possa essere il controllo della società con una percentuale troppo bassa del capitale. Se si potesse emettere il 98% delle azioni con diritto di voto e il 2% col voto, sarebbe sufficiente avere 1,1% del capitale per avere il controllo della società.
Non esiste invece più il limite del necessario bilanciamento di limitazione del diritto di voto ed attribuzione di privilegi sul piano patrimoniale. Oggi non è più necessario ed è concepibile che sia una categoria senza diritto di voto e senza alcun privilegio dal carattere patrimoniale.
Il regime delle assemblee speciali
Quando ci sono categorie diverse, ciò comporta lʼapplicazione del regime delle assemblee speciali. Ogni qual volta una deliberazione dellʼassemblea pregiudichi i diritti di una categoria, allora deve essere a questʼultima riapprovata.
Il “pregiudizio” di cui si parla deve essere di diritto: una categoria dotata di un certo privilegio, questo viene in quale misura ridotto, e si tratterebbe di un pregiudizio di diritto. Lʼassemblea speciale della categoria potrebbe approvarlo o bocciarlo.
Il pregiudizio deve essere solo diretto o può anche essere indiretto? Ad esempio, viene introdotta una nuova categoria di azioni con privilegio per cui quella categoria ha diritto ad avere una maggiorazione del 2% del dividendo dato alle ordinarie; poi si crea una categoria di azioni con un privilegio patrimoniale sugli utili, per cui prima devono essere soddisfatte quelle nuove azioni, e poi le altre. La precedente categoria in tal caso viene pregiudicata in modo indiretto, in quando soddisfatta patrimonialmente dopo la prima: è indiretto. Si ritiene, secondo i più, che anche tale delibera deve passare dallʼassemblea speciale della categoria.
Il rapporto fra lʼassemblea generale e quella speciale: lʼorientamento maggioritario è tale per cui la delibera dellʼassemblea speciale è condizione dʼefficacia: solo se interviene una delibera conforme della categoria speciale, il provvedimento avrà effetto.
Le categorie di azioni tipiche
Ci possono essere categorie tipiche e atipiche. Categorie tipiche sono:
- azioni correlate;
- azioni di godimento;
- azioni di risparmio (solo per la società quotate in borsa e disciplinate dal TUF);
Le azioni correlate
Art. 2350.
Diritto agli utili e alla quota di liquidazione.
1. Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni.
2. Fuori dai casi di cui all'articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati
ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi
e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria.
3. Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società.
Le azioni correlate sono disciplinate allʼart. 2350 al secondo comma, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati allʼandamento di un settore dellʼattività sociale. Queste azioni non partecipano ai risultati positivi di tutta lʼattività sociale, ma solo di quella di un determinato settore dellʼattività sociale.
Ma cosa vuol dire “correlate...settore”?
N.B. Patrimoni destinati: è possibile che una spa destini parte del patrimonio allo svolgimento di un determinato affare: creare un patrimonio separato a svolgere un affare di cui solo questʼultimo godrà dei risultati di quellʼaffare. I due patrimoni sono insensibili lʼuno rispetto allʼaltro.
Ma è diverso dalle azioni correlate: settore e affare sono due fattispecie diverse. “settore” è inteso come ramo dʼazienda. “affare” invece è un concetto giuridicamente contrapposto ad “impresa”.
Nulla impedisce di creare una categoria di azioni correlate ad un affare, pure limitato nel tempo.
Eʼ possibile creare anche una categoria di azioni se collegate ad un ramo dʼazienda sono in vita fino alla fine della società; mentre con la conclusione dellʼaffare si deve prevedere un meccanismo di conversione delle azioni della categoria in azioni ordinarie o annullate, o di rimborso, concluso lʼaffare.
Queste azioni hanno “diritti correlati” ma se il settore produce delle perdite anziché utili? Non ci sarà una distribuzione di dividendi alla particolare categoria di azioni. Eʼ possibile prevedere che le perdite, se rilevanti, siano imputate da prima per intero alle azioni correlate al particolare settore e, solo dopo, alle altre? Ragionevolmente è possibile, questo sarebbe un caso particolare di postergazione alle perdite: se questʼultime vanno ad incidere su un determinato settore e, quindi, vanno ad incidere sulle azioni della categoria, e, solo dopo alle altre azioni ordinarie o di altre categorie.
La legge però prevede un meccanismo affinché non si vada oltre i limiti: “nei limiti degli utili risultanti del bilancio generale della società”; se il settore produce utili di 1 milione, ma nel contempo la società chiude il bilancio complessivo (compreso quel settore) con un utile di 500.000: a tal punto gli utili distribuibili alle azioni correlate sono solo 500.000 altrimenti si realizzerebbe un indebita distribuzione del patrimonio non di utile, si distriggerebbe patrimonio.
La legge parla anche di diritti patrimoniali correlati a questo settore, ma potrebbero essere anche amministrativi? Si ritiene che vi possano essere particolari diritti amministrativi correlati ad un certo settore, ci debba essere unʼautorizzazione dellʼassemblea speciale degli azionisti o un controllore del settore.
Servono anche per diversificare il rischio.
Le azioni di godimento
Art. 2353.
Azioni di godimento.
1. Salvo diversa disposizione dello statuto, le azioni di godimento attribuite ai possessori delle azioni
rimborsate non danno diritto di voto nell'assemblea. Esse concorrono nella ripartizione degli utili che
residuano dopo il pagamento delle azioni non rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale e, nel caso di liquidazione, nella ripartizione del patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale.
Altra categoria tipica di azioni, poco utilizzate.
Art. 2353. Sono azioni che possono essere attribuite a coloro che si vedono rimborsare le loro azioni ordinarie. Una società può ridurre il capitale oltre che per perdite, anche in termini reali, restituendo parte dei conferimenti ai soci ex art. 2445.
Spesso succede che lʼoperazione venga realizzata addirittura tramite sorteggio delle azioni da rimborsare a qualche socio. Si determina una sorta di disparità di trattamento,
chi viene sorteggiato è in svantaggio: tutte le riserve verranno ripartite, in ipotesi di scioglimento, fra meno soci.
In casi come questi si dovrebbe creare la categoria delle azioni di godimento, che sono azioni che dovrebbero essere date in cambio di quelle annullate con la riduzione di capitale.
La azioni di godimento comportano: esse concorrono nella ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento delle azioni non rimborsate di un dividendo pari allʼinteresse legale: se una società si scioglie partecipano al pari della altre anche le azioni di godimento.
Tali azioni possono avere anche il diritto di voto, ma si avrebbero delle azioni senza capitale con diritto di voto. Si vogliono tutelare i soci che si vedono rimborsate i soci con valore nominale in seguito di una riduzione reale.
Rimangono comunque problemi aperti, ma con scarso impatto pratico.
Pseudo-categorie di azioni
Ci sono altre categorie di azioni disciplinate dalla legge, ma che non costituiscono attribuzione di diritti diversi, per questo dette pseudo-categorie:
- azioni attribuite ai dipendenti ex art. 2349;
- azioni riscattabili ex 2437 sexies.
Le azioni attribuite ai dipendenti
Art. 2349.
Azioni e strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro.
1. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea straordinaria può deliberare l'assegnazione di utili ai prestatori di
lavoro dipendenti delle società o di società controllate mediante l'emissione, per un ammontare
corrispondente agli utili stessi, di speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento ed ai diritti spettanti agli azionisti. 2. Il capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente.
3. L'assemblea straordinaria può altresì deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti della
società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o anche
di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto.
Sono previsti dei meccanismi di favore nei confronti dellʼazionariato dei dipendenti; due possibilità:
1) azioni attribuite gratuitamente ai dipendenti: si parla di appostazione a capitale di quote di utile della società che invece dʼessere distribuite o messe in riserva, vengono utilizzate per essere “regalate” ai dipendenti; sono utili passati a capitale;
2) ex art. 2441, oppure in caso di aumento di capitale a pagamento: si può decidere di riservare unʼaumento di capitale in sottoscrizione ai dipendenti, escludendo il diritto di opzione ai soci; in questo caso i dipendenti devono sottoscriverle ed effettuare il conferimento.
Per la quota riservata alla sottoscrizione dei dipendenti:
- per la quota loro riservata, queste azioni possono essere emesse al valore nominale; infatti, si stabilisce un divieto di alienazione delle azioni per un certo arco di tempo.
- altra ipotesi di favore consiste nel fatto che normalmente non è consentito alla società fornire prestiti ad un terzo, ma questi prestiti possono essere erogati ai dipendenti affinché questi sottoscrivano azioni della società;
Lezione 8
La società può decidere di far passare a capitale una quota di utile e con le azioni che si possono emettere, le azioni vengono date ai dipendenti.
Queste azioni la legge le chiama pseudo categorie, che potrebbero però essere uguali a tutte le altre azioni. Eʼ il modo in cui vengono emesse che è particolare: potrebbero dunque non formare una categorie speciali.
La legge prevede invece che possano avere forma o modo di trasferimento differente oppure con norme particolare riguardo i diritti spettanti gli azionisti. Se fossero stabiliti diritti diversi in capo a queste azioni, si sarebbe formata una nuova categoria di azioni.
Questo passaggio da utile e capitale è consentito solo con una apposita previsione statutaria, altrimenti è necessaria una modifica dello statuto.
Le azioni riscattabili
Art. 2437-sexies. Azioni riscattabili.
1. Le disposizioni degli articoli 2437-ter e 2437-quater si applicano, in quanto compatibili, alle azioni o
categorie di azioni per le quali lo statuto prevede un potere di riscatto da parte della società o dei soci. Resta
salva in tal caso l'applicazione della disciplina degli articoli 2357 e 2357-bis.
Il riscatto delle azioni viene calcolato come quota, come se vi fosse un recesso della società.
Eʼ una possibilità che lasciava la seconda direttiva comunitaria: una caratteristica che le azioni possano essere riscattabili. Il riscatto può essere in favore di una società o in favore di altri soci.
Le disposizioni degli articoli 2437 ter e quater prevedono lʼipotesi di riscatto:
- in capo alla società: la società acquista proprie azioni, a condizioni e limiti ben precisi;
- in capo ai soci;
Il potere di riscatto rimane in capo allʼorgano amministrativo.
Le categorie atipiche di azioni
Sono fornite da diritti diversi dalle categorie tipiche, sia sul piano dei diritti patrimoniali che sul piano dei diritti amministrativi.
Lʼart. 2350: ogni azione attribuisce gli stessi diritti patrimoniali, salvo i diritti stabiliti in favore di particolari categoria di azioni.
Con diritti patrimoniali sʼintendono diritti agli utili e alla quota di liquidazione.
Nella società di capitale, è lʼassemblea che decide sulla destinazione degli utili: non bisogna confondere il diritto astratto al percepimento di una quota degli utili e la decisione di che cosa degli utili verrà distribuito: lʼassemblea potrà decidere di ripartire fra i soci solo una parte degli utili distribuiti.
Certamente una politica di dividendi la legge la permette. Non cʼè un diritto intangibile del socio ad avere una quota di utili e una quota nella ripartizione finale del patrimonio che risulta in sede di liquidazione.
Una società può sciogliersi: vi sono varie cause di scioglimento che si possono verificare, durante la quale si inserisce una fase di liquidazione, e solo al termine della fase di liquidazione la società si scioglierà. In quella fase vengono soddisfatti i creditori sociali e, sul residuo attivo, si fa la ripartizione fra tutti i soci.
Sia sul versante della distribuzione degli utili che su quello della quota di liquidazione, si possono creare categorie di azioni diverse.
I diritti diversi possono assumere varie conformazioni.
Le azioni che appartengono ad una categoria di azioni privilegiate o di preferenza hanno diritto ad avere una quota di utili maggiori rispetto alle altre: una maggiorazione di utili rispetto alle azioni ordinarie.
Le categorie di azioni di priorità, dove non cʼè un diritto ad avere un utile maggiorato, ma ad avere una certa quantità di dividendo, prima che partecipano agli utili le altre azioni. Se lʼutile non è sufficiente a soddisfare tutti, queste azioni hanno diritto a ricevere gli utili in anticipo rispetto alle altre categorie. Il privilegio si realizza nei “periodi di magra”.
Ulteriore variante delle azioni di priorità. Lʼassemblea potrebbe decidere di non distribuire utili, ma si può prevedere un privilegio che preveda la distribuzione di un dividendo, eliminando la mediazione dellʼassemblea. Si può eliminare lʼultimo passaggio della distribuzione degli utili, lʼunico presupposto è la presenza di utili distribuibili sufficienti a dare dividendi a queste azioni.
Ci può essere un privilegio nella ripartizione finale: si va a stabilire un privilegio sulla ripartizione delle perdite. Se, concluse le operazioni di liquidazione, prima devono essere soddisfatte le privilegiate, questo significa una postergazione delle azioni nella ripartizione finale. Eʼ un vantaggio alla partecipazione alle perdite, lecitamente introducibile.
Un privilegio sulla ripartizione finale può essere stabilito anche durante la vita della società.
Si può cioè prevedere una categoria di azioni, il cui valore nominale non venga toccato finchè, dalle perdite, non venga toccato il valore nominale delle altre azioni. Eʼ una categoria di azioni postergato alla partecipazione alle perdite. Si può fare, ma alla fine dellʼoperazione di riduzione di capitale si finirà per avere azioni con diverso valore nominale, è inevitabile. Ma tutte le azioni devono avere lo stesso valore nominale: lʼunica soluzione è quello di operare per raggruppamento o frazionamento delle azioni affinché tutte le azioni abbiano lo stesso valore nominale.
La differenza di diritti sul piano amministrativo
Eventuali limitazioni fra diritti amministrativi e patrimoniali sono indipendenti. Lʼart. 2351 prevede come regola generale “ogni azione attribuisce il diritto di voto”.
Ma anche qui è derogabile. Eʼ un diritto di voto, non un dovere. Mentre gli amministratori hanno lʼobbligo di perseguire lʼinteresse sociale o un suo interesse personale, ma non devono venirsi a trovare in una situazione di conflitto dʼinteressi.
Le deliberazioni non deve essere stata approvata con voto determinante con il socio in
conflitto di interessi, altrimenti sarebbe annullabile qualora qualcuno la impugni.
Vale sempre il divieto di voto plurimo.
- oggi si possono avere azioni senza diritto di voto (in passato solo per le azioni risparmio);
- oppure può essere stabilito un diritto di voto limitato; in passato era possibile alcune per categorie di azioni esercitare il diritto di voto solo per lʼassemblea straordinaria e non per quella ordinaria.
- La limitazione può riguardare il contenuto della delibera, solo per determinati argomenti (come lʼapprovazione del bilancio e non la nomina degli amministratori);
- Si possono prevedere azioni con voto condizionato. Lʼunico limite è che la condizione debba essere meramente potestativa, cioè deve essere ancorata a dati oggettivi, quindi qualora si verifichi o meno una determinata condizione.
Esempio, si prevede che le azioni senza diritto di voto acquistano tale diritto, qualora non venga assegnato loro per tre esercizi i dividendi (categoria tipizzata in Francia).
Altro limite che pone la legge è che tutte le azioni sulle quali si è andato ad incidere sul diritto di voto pieno, non possono mai superare la metà del capitale sociale: ci devono essere almeno il 50% delle azioni a voto pieno.
Se, come può capitare, le azioni che hanno una limitazione del diritto di voto e contemporaneamente privilegiate sul piano patrimoniale, e il privilegio consiste nella postergazione nella partecipazione alle perdite. La conseguenza di una riduzione di capitale potrebbe essere la riduzione del valore delle azioni ordinarie e quindi si scenderebbe sotto la quota del 50%.
Lʼunica possibilità è applicare la norma in tema di azioni di risparmio: si prevede un meccanismo per cui diventa obbligatorio un aumento del capitale riservato solo alle azioni ordinarie, in misura tale da riportare i valori al 50-50: se non si volesse o potesse fare, unica conseguenza è lo scioglimento della società, oppure le azioni a diritto limitato diventano azioni a diritto pieno, se prima fosse stato previsto nello statuto.
La legge consente anche ex 2351, c.3 per le spa che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio delle limitazioni al voto sulla base del possesso azionario: qualunque sia il numero che possiede un soggetto, a questo vengono assegnate metà di essi; oppure può essere previsto uno scaglionamento di voto.
Questo intervento non va a creare una categoria di azioni, ma va a toccare il possesso del diritto azionario.
Le azioni sono indivisibili e i diritti che le azioni attribuiscono sono inscindibili.
Questo principio subisce una deroga anche dal punto di vista della legge. Cʼè un caso in cui sulle azioni venga costituito un diritto reale limitato (pegno o usufrutto) o siano soggette a sequestro.
Il pegno è una variante dellʼusufrutto a scopo di garanzia (che si costituisce sui beni mobili, mentre lʼipoteca sui beni immobili). Mentre con lʼipoteca lʼimmobile rimane nelle disponibilità dellʼipotecario, con il pegno si realizza con la consegna al creditore del bene, lo custodisce il creditore, e questʼultimo non può venderlo se il debitore sia inadempiente. Un sequestro:
- giudiziario: due soggetti litigano sulla proprietà di un bene e il giudice dispone i sequestro del bene, viene affidato ad un custode e terminato il giudizio il proprietario si riapproprierò del bene;
- conservativo: in una disputa legale, in attesa di una vittoria per ottenere soddisfazione del credito, per evitare che i debitori faccia sparire i beni, si può chiedere o durante o prima di iniziare la causa che venga sequestrato del bene; lʼobiettivo è conservare il bene affinché il debitore non lo faccia sparire.
Art. 2352.
Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni.
1. Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode.
2. Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le
azioni in base ad esso sottoscritte. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al
versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione e qualora gli altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato per suo conto a mezzo banca od intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati.
3. Nel caso di aumento del capitale sociale ai sensi dell'articolo 2442, il pegno, l'usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione .
4. Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle
somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza il creditore pignoratizio può
vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo comma del presente articolo. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto.
5. Se l'usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell'articolo 2347.
6. Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da
quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore
pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode.
Art. 2352: la legge stabilisce che il voto spetta a chi abbia il diritto reale (usufruttuario, creditore pignoratizio o custode), oppure si può stabilire convenzionalmente che vada al nudo proprietario. Questi devono comunque sempre votare senza ledere i diritti del socio, pena essere chiami a risarcire il danno.
Per quanto riguarda il diritto patrimoniale, spetta allʼusufruttuario o al creditore pignoratizio. Xxxxxx è che vada a chi ha disposto il sequestro.
Per quanto riguarda il diritto di opzione, ossia le azioni devono essere in primo luogo offerte ai soci e solo in mancanza di sottoscrizione possono essere collocate presso terzi. Il diritto di opzione spetta al socio, e le nuove azioni non sono soggette al vincolo: qualora il socio non provveda a versare le somme necessarie per versare il diritto di opzione, entro 3 giorni, questo diritto di opzione deve essere alienato per suo conto per mezzo banca o autorizzato alla negoziazione dei mercati regolamentati.
Qualora lʼaumento del capitale sia gratuito (e non a pagamento), va a vantaggio del creditore pignoratizio o dellʼusufruttuario, sulle eventuali nuove azioni emesse dallʼaumento gratuito.
Il diritto di recesso spetta a chi è dissenziente, se cʼè stato voto a favore, il diritto non potrà essere esercitato.
Cʼè una dissociazione ex lege dei soggetti a cui spettano alcuni diritti.
Le azioni possono essere emesse o non emesse; lʼemissione delle azioni ha la variante dellʼemissione materiale dei titoli o della dematerializzazione dei titoli.
Lʼart. 2354 stabilisce come devono essere i titoli azionari nel caso in cui vi sia stato lʼemissione dei titoli; i titoli possono essere nominativi o al portatore, in astratto, a scelta del socio. Ma una legge speciale prevede per ragioni fiscali lʼobbligatorietà dellʼemissione delle azioni nominative per le società non quotate.
Anche qualora fosse possibile la scelta della circolazione al portatore, non può realizzarsi fino a quando le azioni non siano completamente liberate.
La legge prevede un contenuto minimo delle azioni: art. 2354.
Art. 2354.
Titoli azionari.
1. I titoli possono essere nominativi o al portatore, a scelta del socio, se lo statuto o le leggi speciali non stabiliscono diversamente.
2. Finché le azioni non siano interamente liberate, non possono essere emessi titoli al portatore. 3. I titoli azionari devono indicare:
1) la denominazione e la sede della società;
2) la data dell'atto costitutivo e della sua iscrizione e l'ufficio del registro delle imprese dove la società è iscritta;
3) il loro valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero complessivo delle azioni emesse, nonché l'ammontare del capitale sociale;
4) l'ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate ;
5) i diritti e gli obblighi particolari ad essi inerenti.
4. I titoli azionari devono essere sottoscritti da uno degli amministratori. È valida la sottoscrizione mediante riproduzione meccanica della firma.
5. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai certificati provvisori che si distribuiscono ai soci prima dell'emissione dei titoli definitivi.
6. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali in tema di strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati.
7. Lo statuto può assoggettare le azioni alla disciplina prevista dalle leggi speciali di cui al precedente comma.
La società a richiesta del socio può emettere dei certificati multipli che rappresentano più azioni, ma questa prassi di creare certificati multipli non significa che si siano creati raggruppamenti, è solo una questione di comodo.
La circolazione delle azioni
Art. 2355.
Circolazione delle azioni.
1. Nel caso di mancata emissione dei titoli azionari il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci.
2. Le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna del titolo.
3. Il trasferimento delle azioni nominative si opera mediante girata autenticata da un notaio o da altro
soggetto secondo quanto previsto dalle leggi speciali. Il giratario che si dimostra possessore in base a una
serie continua di girate ha diritto di ottenere l'annotazione del trasferimento nel libro dei soci, ed è comunque legittimato ad esercitare i diritti sociali; resta salvo l'obbligo della società, previsto dalle leggi speciali, di aggiornare il libro dei soci.
4. Il trasferimento delle azioni nominative con mezzo diverso dalla girata si opera a norma dell'articolo 2022.
5. Nei casi previsti ai commi sesto e settimo dell'articolo 2354, il trasferimento si opera mediante
scritturazione sui conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in tal caso, se le azioni
sono nominative, si applica il terzo comma e la scritturazione sul conto equivale alla girata.
Le azioni sono naturalmente destinate alla circolazione; le principali caratteristiche principali della spa:
- il fatto di suddividere il capitale in frazioni minime;
- rendere facilmente circolabili le azioni;
- la responsabilità limitata del socio;
La spa si caratterizza proprio per il fatto che è destinata a circolare.
Se si fa una scelta di non emissione dei titoli, la circolazione è meno facile, in tal caso nei confronti della società il trasferimento avrà luogo solo con lʼiscrizione nel libro dei soci il nuovo nome del titolare delle azioni.
Nei rapporti fra le parti, il trasferimento ha luogo solo con lʼincontro dei consensi: non essendoci lʼemissione dei titoli, esiste solo il diritto allʼiscrizione nel libro dei soci.
Nella srl è stato abolito il libro soci.
Se sono stati emessi i titoli, lʼefficacia del trasferimento fra le parti è affidata alla consegna dei titoli di credito. Nei confronti della società è necessario il possesso del titolo e, quindi, il fatto che il titolo sia stato consegnato allʼacquirente. Per poter opporre alla società la proprietà, è necessario avere il possesso del titolo. Questo basta per i titoli al portatore, basta lʼesibizione del titolo.
Se invece i titoli sono nominativi, è sempre necessario, oltre alla consegna del titolo, anche effettuare la girata: sul titolo viene scritto che il titolare è “_”. La girata deve essere autenticata e “in pieno”: è necessario che la firma sia autenticata da una “Sim” (società di intermediazione immobiliare) o da un notaio; “in pieno” invece significa che deve contenere il nome dellʼacquirente.
La legge per favorire la circolazione delle azioni: a differenza dei titoli nominativi (generici), per questi bisogna aver ottenuto lʼannotazione nel libro dellʼemittente: ma per le azioni non è richiesta lʼiscrizione al libro soci a priori; se un soggetto si presenza allʼassemblea con titolo e girata, ma senza iscrizione nel libro soci, può lecitamente votare. Questo è pensato proprio per le società quotate.
La società, successivamente, provvede ad annotare il cambiamento del titolare.
Per le azioni dematerializzate, il trasferimento si realizza con un operazione di giro che viene fatta con un operazione di tipo telematico, che però ha lo stesso valore della consegna e della girata: riproduce virtualmente ciò che accade per i titoli cartacei.
In ogni caso, ci potrebbe essere un conflitto fra più acquirenti delle azioni, perchè alla base di circolazione delle azioni e registrazione del trasferimento ci sono sempre contratti di vendita. Eʼ possibile che ci siano più acquirenti di un unico pacchetto azionario: se non cʼè stata emissione di azioni si ritiene che vale il principio per cui “chi prima ha acquistato ha efficacia”.
Il libro soci, attenzione, non ha efficacia dichiarativa.
Chi riesce a dimostrare dʼaver concluso il contratto dʼacquisto prima dellʼaltro ha diritto ad essere iscritto a libro soci.
Lezione 9
Nel caso di titoli emessi al portatore li cambia, nel caso di più acquirenti prevale il primo che abbia conseguito, in buona fede, il possesso. Quando ci sono dei titoli al portatore ci si legittima con il possesso e il trasferimento si realizza mediante la consegna del titolo. Se i titoli sono nominativi, e il trasferimento del titolo avviene mediante girata, è legittimato chi abbia avuto la girata a suo favore e abbia avuto il possesso del titolo. Quando si parla di titoli di credito, cmq il possesso del titolo è sempre un elemento fondamentale per legittimarsi.
Se si parla di azioni de materializzate prevale colui che per primo in buona fede abbia ottenuto la registrazione sul proprio conto. Esistono dei sistemi telematici per cui vengono registrati i trasferimenti.
Parlando di azioni di società per azioni, esse possono circolare anche a causa di morte, mentre nelle società di persone, la morte del socio determina naturalmente lo scioglimento del rapporto sociale, non cʼè un trasferimento delle partecipazioni agli eredi del socio, la legge però ammette che i soci prevedano nel contratto sociale delle clausole che consentono la continuazione società. La conseguenza di legge è che quando muore il socio, il suo rapporto sociale si estingue e gli eredi hanno diritto ad ottenere in denaro il valore della quota che di partecipazione del scio defunto.
Nelle spa la regola è che naturalmente con la morte del socio, le sue azioni si trasferiscono agli eredi o legatari (chi succede a quel rapporto). Cioè la regola generale della spa è che le azioni circolino liberamente anche a causa di morte, oltre che per atto tra vivi.
Lʼart. 2355 stabilisce la possibilità di porre dei limiti alla circolazione delle azioni, ma partendo dal presupposto che la circolazione della partecipazione sociale della spa è libera. Come vedremo non è cosi in tutte le società di capitali, perché nella srl è possibile, nonostante viga il principio della libera trasferibilità delle quote, prevedere una clausola statutaria la totale intrasferibilità delle quote.
Una clausola di questo genere, in una spa, sarebbe nulla, in quanto andrebbe contro uno dei principi ispiratori della spa. La legge però consente in vario modo di limitare o condizionare questa libera circolazione delle azioni. Quando parliamo della possibilità che
hanno gli statuti di condizionare o limitare la libera circolazione delle azioni, parliamo di limiti convenzionali, introdotti cioè nellʼambito della autonomia delle parti. Altra cosa sono gli eventuali limiti legali alla circolazione delle azioni: es. quando ci sono azioni che sono liberate con conferimenti in natura e finchè non si è provveduto da parte degli amministratori dopo la costituzione della società a revisionare la stima, fino a quel momento le azioni non possono essere alienate. A noi però interessano limiti che i soci possono introdurre in uno statuto di una spa e ci riferiamo allʼart. 2355 bis.
Libertà dello statuto di limitare o condizionare la libertà di circolazione delle azioni fra le parti.
Altra cosa sono i limiti legali alla circolazione delle azioni, ad esempio:
- se ci sono azioni liberate con conferimenti in natura, fino a quando non si è proceduto alla costituzione della società e a controllo o revisione della stima, fino a quel momento le azioni non possono essere alienate: è un limite di legge.
Art. 2355-bis.
Limiti alla circolazione delle azioni.
1. Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può
sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni
dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento.
2. Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali
o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto
oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437-ter.
3. La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari
condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia
concesso.
4. Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo .
A noi interessano i limiti convenzionali ex 2355 bis:
- sui limiti convenzionali, la legge ci pone già un limite: possono essere previsti limiti convenzionali in statuto soltanto con riferimento alle azioni nominative o al caso in cui si sia stata statuariamente prevista la non emissione dei titoli. Questa previsione perchè se le azioni sono al portatore, esse per definizione circolano liberamente, e non è possibile stabilire limiti statutari alla circolazione: non avrebbe alcun senso inserire questi limiti, che sarebbero ingestibili;
- per quanto riguarda le azioni dematerializzate: questi limiti li ricaviamo perché il regolamento per la Consob, che prevede che non possono essere immesse nel sistema della circolazione telematica azioni che abbiano in sè dei limiti alla circolazione, questo in base ad un regolamento della Consob, non in base alla legge.
In definitivo, limiti convenzionali possano essere stabiliti:
- nei casi di azioni nominativi;
- e nel caso di non emissione dei titoli azionari;
SI va ad incidere su uno dei principi fondativi della spa: nel passato, anche se la legge non diceva nulla, cʼera un orientamento pacifico della giurisprudenza nellʼaffermare che i limiti alla circolazione delle azioni potevano essere introdotti o modificati dallo statuto soltanto con decisione unanime da tutti i soci, salvo non fosse previsto diversamente con lʼatto costitutivo in sede di costituzione (momento in cui non vige il principio maggioritario, ma è richiesta lʼunanimità per la conclusione del contratto sociale).
Questa posizione giurisprudenziale è stata superata dal legislatore della riforma del 2003: oggi sappiamo che per disposizione di legge, lʼintroduzione di clausole che limitino la circolazione della azioni può essere decisa con delibera di assemblea straordinaria, quindi a maggioranza, in presenza anche di una minoranza contraria.
Questa informazione la ricaviamo dalla disciplina di recesso del socio: lʼart
Il recesso è il diritto di sciogliere il suo rapporto sociale e ottenere la liquidazione della quota: fra le varie ipotetici di scioglimento vi è quella dovuta allʼintroduzione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari: chi ha diritto di recedere è solo il socio assente, astenuto o che ha votato contro (non ha approvata la suddetta delibera).
Non è quindi necessaria lʼunanimità dei consensi. Con questa previsione è stata eliminata il precedente orientamento giurisprudenziale.
Dei limiti convenzionali (ovvero frutto delle scelte contrattuali) possono aversi due prospettive:
1) limiti statutari alla circolazione della azioni;
2) limiti previsti fuori dallo statuto nei così detti patti parasociali;
Molte volte, i patti parasociali sono contratti che tutti o alcuni soci concludono a latere del contratto di società: accanto a questʼultimo si prevedono ulteriori regole che riguardano la vita della società, ma che non vengono inserite nello statuto.
Esistono vari tipi di patti parasociali: come i sindacati di voto: accordi fra alcuni soci che si impegnano reciprocamente a disciplinare il modo in cui questi soci andranno a votare in assemblea. Ad esempio, prima di ogni assemblea, questi si trovano in una loro assemblea di sindacato e in quella sede decidere come tutti loro andranno a votare in assemblea: serve per tenere insieme un gruppo di comando della società. Prevedendo lʼobbligo di riunirsi prima è chiaro che la maggioranza delle azioni sindacate avranno lo stesso orientamento di voto.
Altro tipo sono i sindacati di blocco: accordo fra i soci che si impegnano reciprocamente a non cedere le proprie azioni a terzi.
Eʼ diversa la forza dellʼaccordo fra i due casi. In genere, un contratto della società si distingue perché ha una forza (di legge) tale per cui le previsioni dei contratti si impongono anche nei confronti dei terzi.
Lʼautonomia patrimoniale che si crea nella società è opponibile anche ai terzi.
Il comune contratto, come quello parasociale, invece ha valore di legge fra le parti, ma è irrilevanti rispetto ai terzi.
Il limite statutario, invece, è opponibile anche nei confronti dei terzi: vincola la circolazione delle azioni, è sempre opponibile alla società, così come anche ad un terzo che acquista le azioni per effetto di una violazione nel limite delle circolazione.
Se il limite è infranto in un contratto parasociale (che ha meno forza del contratto sociale), lʼatto che viene compiuto violando tale contratto è perfettamente valido ed efficace. Lʼunica conseguenza è che gli altri contraenti del patto potranno agire nei miei confronti e chiedere il risarcimento dei danni (stessa cosa per i sindacati di voto).
Le clausole contenute nello Statuto
VI sono varie tipologie di limiti che possono essere inseriti.
Divieti temporaneo di circolazione
Eʼ un primo limite introdotto della riforma che prima sarebbe stato nullo: si può prevedere nello statuto un divieto assoluto di trasferire le azioni per un periodo che non può essere superiore ai 5 anni dalla costituzione della società; se fosse stabilito in numero superiore, verrebbe ridotto ex lege a 5 anni.
Lo scopo è garantire una stabilità della compagine sociale della società start-up, dellʼavvio della società: il divieto temporaneo può essere stabilito non soltanto in sede di costituzione, ma anche con modifica statutaria e il limite di 5 anni varrebbe sempre.
Eʼ un divieto temporaneo di trasferimento delle azioni: ogni trasferimento che si realizzasse sarebbe efficace nei confronti della società.
Mentre fra il socio che ha venduto ignorando il divieto e il nuovo socio:
- qualcuno dice che lʼinefficacia vi sarebbe anche fra le parti;
- altri sostengono che lʼefficacia è sospesa fino a quando saranno passati i cinque anni. Nei confronti della società, invece, è come se la vendita non si fosse mai realizzata.
Scaduti il limite, deve esserci un intervallo di tempo, altrimenti non può essere rinnovabile e vi altrimenti sarebbe un divieto perpetuo.
Eʼ un limite non molto usato.
Altri limiti/clausole che nella pratica sono usate sono la clausola di prelazione, oppure clausole che preselezionano i soggetti che possono diventare soci, e vi sono poi clausole di gradimento ed infine le clausole di riscatto in caso di morte di un socio.
La clausola di prelazione
Clausola tipica nelle società a ristretta base azionaria. Si prevede che quando un socio abbia lʼintenzione di trasferire in tutto o in parte le sue azioni, nel trasferimento devono essere preferiti gli altri soci, che hanno diritto di prelazione.
Quando un socio intende vendere le proprie azioni, deve preferire gli altri soci, prima di poter vendere ai terzi.
Il meccanismo di preferenza prevede che il socio che intende trasferire le proprie azioni abbia lʼobbligo di effettuare una comunicazione, cioè una dichiarazione in cui dice “intendo vendere le 100 azioni a Xxxxx per 100 euro ciascuna”: una dichiarazione che permette agli altri soci di essere preferiti al terzo nella vendita.
Più che un limite è una condizione alla circolazione. Il socio non è libero di decidere a chi vendere, devo offrire le azioni ai soci.
Gli elementi minimi della dichiarazione del socio:
- lʼobbligo di comunicazione;
- lʼindicazione dellʼorgano a cui è rivolta: nella maggioranza dei casi va fatta allʼorgani di gestione;
- tempi entro cui il consiglio comunichi agli altri soci la possibilità di esercitare la prelazione: è posto un limite di tempo; scaduto il termine, il socio è libero di far circolare le azioni con il socio accordato.
Ci sono dei problemi:
- il diritto prelazione può essere esercitato da tutti o da parte dei soci: si deve prevedere un meccanismo di prelazione da parte dei soci. Lʼunico limite è un possesso azionario, cioè le azioni andranno ai soci che hanno esercitato prelazione in proporzione alle azioni possedute.
- a quali negozi di trasferimento di applica la clausola di prelazione. Tipicamente il trasferimento avviene attraverso la vendita, ma si possono trasferire azioni anche attraverso una permuta, si può donare le azioni; posso conferire le azioni in una terza società (è sempre un contratto di trasferimento): le azioni diventano di proprietà della società B. A quali tipi di contratti può essere applicata questa clausola?
Le regole del diritto di prelazione, in generale, si dice che cʼè il diritto di essere preferito al terzo in forza di un accordo alle stesse condizioni a cui avrebbe stabilito al terzo. Sia il prezzo, sia i tempi di pagamento devono essere i medesimi: parità di condizioni.
Se dovessimo applicare la clausola di prelazione ai possibili contratti, se ad esempio decido di conferire le mie azioni ad un altra società, la parità di condizioni è possibile da esercitare: conferendo ad una società non ottengo in cambio una somma, ma altre azioni che non possono essermi offerte dagli altri soci; o la stessa la permuta con altre azioni; oppure con la donazione, gli altri soci avrebbero il diritto di averle a titolo gratuito.
Secondo alcuni, solamente in caso di vendita varrebbe il diritto di prelazione: ma si potrebbe aggirare facilmente: basterebbe creare una srl a cui conferisco le azioni e avrei aggirato il diritto di prelazione. Il giorno dopo faccio cedere le azioni al Tizio a cui volevo cederle precedentemente, oppure gli cedo direttamente le quote della società appena costituita.
Lʼopinione maggioritaria è che la parità di condizioni non sarebbe requisito essenziale, e quindi la clausola di prelazione sarebbe applicabile anche ad altri tipi di contratti.
Ma se si vogliono coprire tutti i contratti di trasferimento, non si deve scrivere “vendita” nella clausola ma “in ogni ipotesi di trasferimento”. Affinché la clausola produca effetti, inoltre, bisogna prevedere un meccanismo per la determinazione del prezzo che i soci devono pagare un prezzo per esercitare la prelazione.
Nei casi non di vendita, il valore delle azioni (e quindi quanto i soci dovranno dare al socio che intende vendere) verrà stabilito da un terzo arbitro scelto dalle parti o in caso di disaccordo dal tribunale: bisogna trovare un meccanismo neutrale per determinare il valore da pagare: viene detta prelazione impropria, ma è ritenuta legittima.
Altro dubbio è se la clausola si applichi ai trasferimenti interni della società o anche verso soggetti terzi della società: bisogna dire se il blocca vale anche fra i soci o fra i terzi.
Se la clausola di prelazione è mantenere il rapporto nella compagnie sociale, anche le vendite fra soci hanno importanza; se invece lo scopo è controllare lʼaccesso di terzi in società, le eventuali operazioni interne non avrebbero rilievo.
Se viene violata la clausola o il socio non effettua la denuntiatio e vende ai terzi: la clausola di prelazione non ha efficacia reale: significa che la violazione della clausola di prelazione comporta lʼinefficacia del trasferimento: sia nei confronti della società, sia in confronto dei soci che sono stati messi da parte. La vendita non avrebbe effetti.
Altri parlano di nullità di negozio di trasferimento, ma questo riguarderebbe tutti: società soci e rapporti fra venditore e compratori.
Altra clausola, è una clausola che delimita a priori le categorie di soggetti che possono entrare in società: ad esempio, solo una certa categoria di imprenditori “solo calzaturieri”. Queste clausole sono ritenute valide: una cessione nei confronti di un soggetto non provvisto delle caratteristiche indicate nella clausola non ha efficacia nei confronti della società e probabilmente anche nei confronti del compratore.
La clausola viene chiamata di gradimento predeterminato.
Le clausole di gradimento
Alta cosa è stabilire una clausola in cui si dica che quando un socio vende una partecipazione ad un altro soggetto, su questo soggetto deve esprimersi un organo sociale, normalmente un organo amministrativo, e deve esprimere il suo gradimento oppure il suo non gradimento.
Lo scopo è impedire lʼingresso in società a soggetti sgraditi. Il gradimento è rimesso alla valutazione di un organo sociale.
Per molti anni, si è sempre interpretato con libertà queste clausole, anche quando la clausola diceva che “in caso di cessione delle azioni, sul gradimento dellʼacquirente deve esprimersi il consiglio dʼamministrazione: senza alcuna motivazione, con pura discrezionalità, senza indicare nello statuto a quali criteri deve essere espresso o no il gradimento”.
Ad un certo punto la Corte di Cassazione, con una sentenza del 1995, ha mutato opinione sulle clausole di gradimento: esse sarebbero nulle quando “non sono indicati i criteri attraverso cui lʼorgano deputato dovesse esprimersi”.
A questo punto, intervenne il legislatore con una norma che stabiliva lʼinefficacia di tutte le clausole dette di mero gradimento, recependo lʼorientamento della Cassazione, con la differenza che il legislatore dice essere inefficaci, mente la Cassazione nullità: in ogni caso da quel momento non potevano più operare tali clausole.
La Cassazione stabiliba tramite una sua interpretazione estensiva della legge che, secondo il legislatore, il socio non deve rimanere prigioniero della società e non riuscire a vendere la azioni: se il Consiglio di Amministrazione dice sempre no, il socio non riuscirebbe a vendere le sue azioni.
La Cassazione disse: se lʼobiettivo del legislatore è impedire che il socio rimanga prigioniero, si possono ritenere valide le clausole di mero gradimento, purché la clausola preveda che il Consiglio di Amministrazione sia obbligato ad indicare al socio (che intende vendere) un acquirente gradito a cui vendere le azioni della società: non venderà a tizio, ma a Caio.
Il diniego di gradimento è possibile solo se si indica un altro nome. Tale previsione è contenuta anche nellʼordinamento francese.
Nel 2003 la riforma ha introdotto nel codice una disciplina delle clausole di gradimento 2355 bis.
Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento del Consiglio di Amministrazione o altri organi, sono inefficaci se non prevedono altrimenti che possano siano acquistate dalla società o da alti soci.
La legge recepisce lʼordinamento della Cassazione del 1995. La clausola precede che quando venga negato il trasferimento, il socio può recedere dalla società, ottenendo il medesimo effetto della vendita.
La legge prevede che resta fermo lʼ art. 2357 che disciplina la possibilità della società di acquistare proprie azioni. I limiti e condizioni devono essere rispettati anche se allʼacquirente viene negato il gradimento. La società infatti non è sempre libra di acquistare azioni proprie, allora alternativamente è previsto la possibilità del recesso o quella di acquisto delle azioni da parte degli altri soci.
Il corrispettivo dellʼacquisto o la quota di liquidazione, sia in caso di recesso sia se determinati nella modalità prevista del 2437 ter sono identici: come quantificare la quota di liquidazione del socio che recede? Dal punto di vista del socio le alternative sono indifferenti.
Secondo i più, anche la clausola di gradimento alla francese è efficace anche in presenza di un gradimento mero.
In definitiva, oggi si può dire che sono efficaci le clausole di mero gradimento purché contengano un meccanismo che garantisca lʼuscita del socio da parte della società.
Se un socio vende, ignorando lʼesistenza della clausola o nonostante il non gradimento espresso dellʼorgano deputato, la traslazione sarà inefficace nei confronti della società; dubbi possano essere nei rapporti fra le parti:
- per i più è inefficace anche fra le parti;
- altri sostengono che chi acquista ha diritto di riavere il prezzo e restituire le azioni.
Il potere di esprimere il gradimento è espresso dallʼorgano amministrativo: può essere stabilito anche ad altri soci, ad esempio, una categoria di azioni, oppure da un terzo estraneo alla società.
Quasi sempre la clausola di prelazione e gradimento sono previste entrambe, per blindare la compagine societaria. Abbinandole se non cʼè prelazione, scatta il gradimento e potrebbe venire il recesso, bloccando lʼingresso in società di un soggetto sgradito.
Il soggetto che vende, può anche mutare idea e non recedere o rifiutare lʼacquisto delle azioni proprie da parte della società.
Storicamente altro problema della clausola era la sua applicabilità anche nellʼipotesi di successione. I soci azionisti diverrebbero anche suoi eredi, ma un problema si potrebbe porre anche per gli eredi, sui quali potrebbe essere espresso un non gradimento: nel passato si dubitava che una clausola simile potesse applicarsi anche ai trasferimenti in caso di morte, ma in tal caso si avrebbero azioni senza titolari. Si diceva che le clausole di gradimento non si applicano nella successine in caso di morte.
Oggi il legislatore invece, con il terzo comma, prevede che la clausola si applichi anche nei trasferimento a causa di morte. Il concetto è: si può introdurre una clausola di gradimento che copra i trasferimenti in caso di morte, ma anche in questa ipotesi la clausola dovrà prevedere un correttivo in caso di diniego dellʼerede: lʼobbligo di acquisto delle azioni da parte della società e/o da parte dei soci o il recesso.
Ma, mentre nellʼipotesi di atto fra vivi, chi recede è il venditore (il socio), in questo caso il socio è morto, agli eredi viene liquidata la quota come se fossimo in una situazione di recesso del socio: non è lʼerede che recede, ma a questo viene liquidata la quota.
Per evitare debbi interpretativi, è meglio inserire questa “interpretazione” nella clausola.
Le clausole di riscatto
Nella pratica, si possono prevedere le clausole di riscatto. In caso di morte di un socio, gli altri soci hanno diritto di riscattare le azioni che sono pervenute agli eredi, ma entro un certo termine, i soci superstiti hanno diritto di imporre agli eredi di cedere a loro le azioni che sono pervenute in forza della successione del socio defunto.
Eʼ una clausola valida, ma meno utilizzata.
Nel nostro sistema vige, infatti, il divieto dei patti successori secondo cui un soggetto si impegna a destinare il patrimonio a un soggetto: da noi un patto simile è nullo. Vale invece la scelta successoria, le ultime volontà che devono essere “ultime”.
Con questa clausola, gli eredi diventano soci, ma le azioni possono essere riscattate dai superstiti.
Lezione 10
La circolazione di azioni il cui conferimento non è completato
Art. 2356.
Responsabilità in caso di trasferimento di azioni non liberate.
1. Coloro che hanno trasferito azioni non liberate sono obbligati in solido con gli acquirenti per l'ammontare dei versamenti ancora dovuti, per il periodo di tre anni dall'annotazione del trasferimento nel libro dei soci.
2. Il pagamento non può essere ad essi domandato se non nel caso in cui la richiesta al possessore dell'azione sia rimasta infruttuosa.
Allʼatto di costituzione della società, il conferimento promesso può essere versato solamente nella misura del 25%, rinviando il versamento del restante 75% a quando gli amministratori richiameranno i decimi mancanti.
Lʼart. 2356 prevede che possono circolare le azioni con conferimento in denaro. Ma la legge prevede però un meccanismo di tutela della società: il divieto legale alla circolazione è previsto per le azioni che devono essere integralmente liberate in natura
Lʼart. 2356 prevede che colui che cede azioni che non siano integralmente liberate rimane obbligato in solido con colui che le acquisite, dal momento del trasferimento della titolarità nel libro di soci.
Eʼ una norma in favore della società. Raddoppia i soggetti che entrano in obbligo con la società: ogni alienante rimarrà obbligato in solido con gli altri alienanti. Tutti coloro che si sono succeduti si assumono la responsabilità solidale (=quando cʼè più di un debitore e il creditore può chiedere il pagamento integrale ad ogni debitore, salvo diritto di rivalsa).
Il pagamento non può essere chiesto a chi ha ceduto le azioni, se non nel caso in cui la richiesta delle azioni al nuovo acquirente sia rimasta infruttuosa: si instaura un meccanismo di responsabilità solidale: ma la società deve richiedere il pagamento a chi è titolare delle azioni, e solo in un secondo momento può richiederlo a chi era stato titolare delle azioni (il cedente).
Questa responsabilità solidale dura per un periodo massimo di tre anni dal momento (prima della riforma tale punto non era chiaro) non dallʼatto del trasferimento, ma dal momento dellʼannotazione del nuovo titolare del libro dei soci della società.
Questo è un incentivo a completare il prima possibile i versamenti, altrimenti chi è intenzionato a cedere le azioni non ancora liberate, si troverebbe il fardello della responsabilità solidale per un triennio.
La disciplina delle azioni proprie
Le Spa e le Sapa (le società azionarie) hanno la possibilità di acquistare le proprie azioni. Eʼ un fenomeno straordinario perché è come se la società venisse proprietaria di parte di se stessa. Le azioni sono frazione del capitale sociale, ma idealmente anche del patrimonio della società: la società diviene titolare di proprie azioni; la società acquisita sè stessa e questo non si giustifica se non nel fatto che nelle società azionarie vi sia una oggettivazione della partecipazione, che diventa un bene in se a prescindere da chi ne sia titolare.
Art. 2357.
Acquisto delle proprie azioni.
1. La società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni
interamente liberate.
2. L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in particolare il
numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale
l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo.
3. Il valore nominale delle azioni acquistate a norma del primo e secondo comma dalle societa' che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio non puo' eccedere la decima parte del capitale sociale, tenendosi
conto a tale fine anche delle azioni possedute da societa' controllate. (1)
4. Le azioni acquistate in violazione dei commi precedenti debbono essere alienate secondo modalità da
determinarsi dall'assemblea, entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al
loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. Qualora l'assemblea non provveda, gli
amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il
procedimento previsto dall'articolo 2446, secondo comma.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.
Eʼ una disciplina eccezionale quella dellʼacquisto delle azioni proprie arr. 2357 e seguenti. Eʼ unʼoperazione che presenta due ordini di rischi:
1) nel momento che la società acquista delle azioni dai soci paga un prezzo, cʼè quindi unʼuscita del patrimonio della somma necessaria per lʼacquisto delle azioni. Se fosse libera di acquistare queste azioni e potesse acquistare azioni non integralmente liberate, lʼeffetto sarebbe che nessuno completerebbe il conferimento, perché sarebbe la società a dover versare e completare il proprio conferimento. Il rischio è quello di annacquare il capitale.
2) interazione dei rapporti fra maggioranza e minoranza e su un possibile affrancamento degli amministratori dal controllo assembleare: dal momento in cui la società è libera di acquistare azioni proprie, queste sarebbero gestite dallʼorgano amministrativo che deciderebbe come comportarsi con questa partecipazione: se non ci fossero limiti o condizioni per lʼacquisto, gli amministratori potrebbero arrivare a conquistare la maggioranza assembleare, e ad auto-perpetuarsi come amministratori, si rinnoverebbero sempre.
La legge, di conseguenza, da un lato ammette queste operazioni, ma le circonda di cautele particolari e pone dei limiti e condizioni a questo possibile acquisto di azioni proprie.
La disciplina dellʼacquisto delle azioni proprie
Disciplina riformata dalla riforma del 2003, ma per effetto dellʼattuazione della seconda direttiva comunitaria del 2006.
Art. 0000-xxx.
Xxxx speciali di acquisto delle proprie azioni.
1. Le limitazioni contenute nell'articolo 2357 non si applicano quando l'acquisto di azioni proprie avvenga:
1) in esecuzione di una deliberazione dell'assemblea di riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto e annullamento di azioni;
2) a titolo gratuito, sempre che si tratti di azioni interamente liberate; 3) per effetto di successione universale o di fusione o scissione;
4) in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società, sempre che si tratti di azioni interamente liberate.
2. Se il valore nominale delle azioni proprie supera il limite della decima parte del capitale per effetto di
acquisti avvenuti a norma dei numeri 2), 3) e 4) del primo comma del presente articolo, si applica per
l'eccedenza il penultimo comma dell'articolo 2357, ma il termine entro il quale deve avvenire l'alienazione è di tre anni (1).
Quando una società vuole acquistare azioni proprie: di per se lʼacquisto è una scelta gestionale (la gestione appartiene esclusivamente agli amministratori).
La legge prevede che questa operazione sia compiuta e decisa dagli amministratori ma che richieda unʼautorizzazione assembleare: lʼacquisto deve essere autorizzato (non deciso) dallʼassemblea. Rimane allʼorgano di gestione la scelta di decidere o meno se effettuare lʼacquisto delle azioni. Lʼautorizzazione quindi non è vincolante.
La legge, inoltre, non chiede una semplice autorizzazione, ma questa deve indicare:
1) condizioni e modalità di acquisto delle azioni proprie;
2) numero massimo di azioni che gli amministratori sono autorizzati ad acquistare;
3) quanto dura lʼautorizzazione, salvo il limite per cui la legge dispone che non può durare oltre 18 mesi.
4) deve essere indicato il corrispettivo minimo e massimo, il range di prezzo entro il quale gli amministratori sono obbligati a compiere lʼoperazione;
Eʼ unʼautorizzazione a termine!
La legge non specifica che assemblea deve autorizzare, sʼintende quindi che sia lʼassemblea ordinaria che autorizza le operazioni di acquisto.
La legge aggiunge che lʼacquisto può essere fatto nei limiti degli utili distribuibili e dalle riserve disponibili risultanti dallʼultimo bilancio regolarmente approvato.
La legge vuole cioè evitare lʼannacquamento del capitale, una riduzione di fatto: il capitale verrebbe dato come pagamento del prezzo ai soci per il pagamento delle loro azioni.
Il limite è dato dalla somma degli utili distribuiti e dalle riserve disponibili. Ci possono essere riserve disponibili per operazioni societarie, ma che non possono essere distribuite ai soci, come ex art. 2431: la riserva sovrapprezzo azioni non può essere distribuita ai soci, fino a che la riserva legale non abbia raggiunto un quinto del capitale sociale.
Ciò non toglie che la riserva sia una riserva sovrapprezzo azioni disponibile, perché può essere utilizzata per un aumento di capitale sociale o per acquistare azioni proprie.
Ci possono essere riserve statutarie vincolate per un certo uso, ma si può procedere con delibera dellʼassemblea straordinaria che le svincoli e che possa essere utilizzata per acquistare le azioni proprie.
Le riserve e utili devono “risultare dallʼultimo bilancio regolarmente approvato”: è lʼultimo bilancio precedente allʼacquisto delle azioni proprie.
Ciò non significa che gli amministratori possono lavarsi le mani: lʼutilizzo delle riserve dipende anche dalla diligenza degli amministratori per verificare che la riserva sia ancora esistente e che non sia stata erosa dalle perdite.
Altro limite: si possono acquistare da parte della società solo azioni interamente liberate, per evitare che la società rimanga senza completamento dei versamenti.
Fino al 2008 queste previsioni erano presenti nella disciplina precedente: con la nuova è stata introdotta una variante molto significativa. La legge prevedeva che le azioni proprie non potevano mai superare ill 10% del capitale sociale, considerando tutte le operazioni di acquisto.
Con lʼattuazione della direttiva 2006, è stato mantenuto un limite quantitativo, ma con riferimento solo alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Il limite invece è stato eliminato per le altre società.
Per quelle che ne fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il limite era stato mantenuto al 10% e nel 2009 è stato portato al 20%, ora ad un quinto del capitale.
In teoria, quindi, una società potrebbe rendersi proprietaria del 100% del capitale. Eʼ ipotesi accademica. Non cʼè un limite alle società chiuse.
Se il limite cʼè, e solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, si deve tener conto anche della azioni possedute da società controllate.
Cʼè unʼunica eccezione del mercato del capitale di rischio: il limite può essere superato se un socio può recedere.
Se gli amministratori violano questi limiti? La sanzione non è la nullità dellʼacquisto; sicuramente le norme di cui abbiamo parlato sono imperative (non possono essere violate,
= la cui sanzione è normalmente la nullità del negozio); ma in tal caso non è così, la sanzione non è lʼ invalidità dellʼatto, ma da un obbligo di rivendere le azioni acquistate in eccesso.
Le azioni devono essere alienate entro un anno dal loro acquisto.
Se non si riesce a venderle, bisogna procedere senza indugio alla riduzione del capitale e allʼannullamento delle azioni. Xxxx non si può accettare questa situazione.
La stessa regola vale per lʼacquisto di azioni in eccesso o non usando utili o riserve disponibili. Se non si riesce a venderle si deve annullarle e ridurre il capitale.
Tale obbligo è così vincolante che gli amministratori o i sindaci, essa deve essere disposta dal tribunale, se non vi abbia provveduto allʼassemblea.
Inoltre, bisogna che siano cedute secondo modalità che garantiscono il ritorno alla situazione precedente (ovvero deve realizzarsi una riduzione nominale, non reale).
Lʼultimo comma dice che “le disposizioni del presente articolo si applicano anche per le società fiduciarie o per interposta persona”. Anche se fatta in questo modo, lʼoperazione non può eccedere i limiti di legge.
Lʼart. 2357 bis indica quattro ipotesi che la legge non considera pericolose in cui le limitazioni dellʼart. 2357 non si applicano nellʼacquisto di azioni proprie:
1) quando lʼacquisto si è effettuato in esecuzione di una delibera dellʼassemblea mediante riscatto; se si fa unʼoperazione di riduzione del capitale effettiva con restituzione dei conferimenti e la modalità è il riscatto delle azioni della società per annullarle, non cʼè alcun rischio. Le azioni sono acquistate della società e si non presentano i rischi che dicevamo prima.
2) quando lʼacquisto sia fatto a titolo gratuito sempre e che si tratti di azioni interamente liberate; non essendoci stato alcun esborso da parte della società, è un operazione in guadagno da parte della società. Se le azioni pervengono da una società a titolo gratuito lʼoperazione non soffre i limiti e condizioni di cui sopra.
Stessa cosa accade in caso di successione universale o di scissione o fusione:
3) ipotesi di successione universale: se qualcuno morendo lascia come erede la società; la società ci guadagna e riceve azioni a tutolo gratuito;
4) può capitare nella fusione per incorporazione. Se la società A incorpora la società B e questa aveva azioni della B, alla fine dellʼoperazione, nel patrimonio che riceve ci sono anche le azioni che A aveva di B. Stessa cosa può avvenire anche in caso di scissione.
5) Ultima ipotesi è quando lʼacquisto sia fatto in occasione di esecuzione forzata in soddisfacimento di un credito della società verso un socio, il quale non ha pagato. La società agisce esecutivamente nei confronti del socio e fra questi beni del socio ci sono le azioni che il socio ha. Lʼesecuzione forzata può riguardare il pacchetto di azioni che ha il socio. La società in tal modo si rifà su un credito: sempre meglio prendere azioni proprie che non prendere nulla.
Se però questi casi sono fatti in misura superiore alla quinta parte del capitale, la legge stabilisce che cʼè un obbligo di rivendere le azioni in eccesso. In questa situazione la legge però concede un termine più ampio: in tal caso le azioni non devono essere alienate/rivendute tento un anno, ma entro tre anni. Se non si trovasse un compratore, si dovrà procedere allʼannullamento e riduzione del capitale per la parte eccedente un quinto del capitale.
La gestione delle azioni proprie
Se le società ha acquistato (legittimamente) le azioni proprie, nel portafoglio titoli si torva le sue azioni.
Art. 2357-ter.
Disciplina delle proprie azioni.
1. Gli amministratori non possono disporre delle azioni acquistate a norma dei due articoli precedenti se non
previa autorizzazione dell'assemblea, la quale deve stabilire le relative modalità. A tal fine possono essere
previste, nei limiti stabiliti dal primo e secondo comma dell'articolo 2357, operazioni successive di acquisto ed alienazione.
2. Finché le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti
proporzionalmente alle altre azioni; l'assemblea può tuttavia, alle condizioni previste dal primo e secondo
comma dell'articolo 2357, autorizzare l'esercizio totale o parziale del diritto di opzione. Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell'assemblea.
3. Una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate.
Così come per lʼacquisto è necessaria lʼautorizza assembleare, anche per la disposizione delle azioni proprie, gli amministratori devono ottenere unʼautorizzazione dellʼassemblea. Rimane un atto di gestione che spetta esclusivamente agli amministratori.
Lʼautorizzazione, in maniera più generica, ma deve indicare le modalità con cui gli amministratori possono soddisfarsi. Lʼautorizzazione è meno pregnante: si dicono solo le modalità, ad esempio, se tali azioni possono essere cedute sono a titolo oneroso.
A tal fine, possono essere previste, nei limiti stabiliti dallʼart. 2357, “operazioni successive di acquisto ed alienazione”: ovvero il trading di azioni proprie (acquisto e rivendita successive), quando si tratta di una società quotata. Ovvio che sarebbe impossibile fare ciò se gli amministratori dovessero chiedere ogni volta lʼautorizzazione dellʼassemblea: cʼè quindi unʼautorizzazione una tantum che gli autorizzi al trading delle azioni proprie.
Ci sono conseguenze che riguardano i diritti: come ad esempio i diritti ai dividendi.
il diritto agli utili è attribuito proporzionalmente alle altre azioni.
Riguarda anche il diritto di opzione ovvero il diritto che dà al titolare dʼessere preferito in caso di aumento di capitale. Mentre sul diritto agli utili non cʼè problema, con quello di opzione è prevista una deroga: il diritto di opzione è attribuito proporzionalmente, ma lʼassemblea deve autorizzare lʼesercizio totale o parziale del diritto di opzione. Le azioni proprie, ordinariamente, possono non dare diritto di opzione, ma può essere consentito lʼesercizio parziale o totale del diritto di opzione.
Certamente, in questo caso, non cʼè nessuno che conferisce: vero è che ci sono utili e riserve disponibili in misure sufficienti; lʼoperazione diventa un aumento del capitale: è un operazione che può lasciare qualche perplessità.
Lʼart. 2357-quater prevede un divieto generale di sottoscrivere azioni delle società.
Uno dei pericoli che si corrono con lʼacquisto delle azioni proprie consta nel fatto che gli amministratori potrebbero rendersi indipendenti dallʼassembla: una cosa è quando lʼamministratore con proprie risorse acquista azioni, altra cosa è che utilizzi denaro della società attraverso lʼacquisto delle azioni proprie.
Per tutto il tempo in cui le azioni restano nel patrimonio della società, il diritto di voto è sospeso: è solo una sospensione nel diritto di voto, che altrimenti cʼè. Il voto è sospeso, ma le azioni proprie continuano ad essere computare nel capitale al fine di stabilire il quorum della deliberazione: è più difficile arrivare al quorum, è più complicato raggiungerlo.
In definitiva, il diritto agli utili è attribuito proporzionalmente alle altre azioni; lo stesso vale per il diritto di opzione (con autorizzazione dellʼassemblea); il diritto di voto è sospeso, ma le azioni sono computate nel quorum.
Se cʼè un aumento gratuito del capitale, a questa operazione partecipa anche la società con le sue azioni.
Ulteriore conseguenza del possesso di azioni proprie è che per tutto il tempo che le azioni proprie restano in proprietà della società deve essere mantenuta e costituita una riserva indisponibile pari allʼimporto delle azioni proprie iscritte allʼattivo del bilancio.
Anche le azioni proprie vanno iscritte allʼattivo del bilancio, ma a differenza di una normale riserva di pari importo al valore di iscrizione allʼattivo, tale riserva deve essere costituita e mantenuta per tutto il tempo del possesso azionario. Eʼ difficile considerarla una riserva, ma, per definizione, è sempre qualcosa che può essere aggredito dalle parti: in questo caso però la riserva non può essere toccata dalle perdite perché la riserva deve essere mantenuta finché le azioni sono nel portafoglio (verranno prima erose le altre riserve ed eventualmente il capitale sociale).
In realtà è una posta rettificativa dellʼattivo, secondo i più. Ma il bilancio ha una funzione informativa che deve essere garantita e lʼinformazione è importante che venga dataa soci e terzi.
Va corretta al passivo per evitare di rappresentare due volte lo stesso patrimonio dellʼattivo. Le azioni proprie esprimono una parte idea del patrimonio che è già rappresentato per le stesse voci. Se non correggessi al passivo questa voce si avrebbe una duplicazione dei valori dellʼattivo anche se la partecipazione ha un suo valore.
Art. 2357-quater.
Divieto di sottoscrizione delle proprie azioni.
1. Salvo quanto previsto dall'articolo 2357-ter, secondo comma, la società non può sottoscrivere azioni proprie.
2. Le azioni sottoscritte in violazione del divieto stabilito nel precedente comma si intendono sottoscritte e
devono essere liberate dai promotori e dai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale, dagli
amministratori. La presente disposizione non si applica a chi dimostri di essere esente da colpa.
3. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società, azioni di quest'ultima è
considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni rispondono
solidalmente, a meno che dimostrino di essere esenti da colpa, i promotori, i soci fondatori e, nel caso di aumento del capitale sociale, gli amministratori.
In conclusione, a parte il caso eccezionale per cui lʼassemblea può consentire agli amministratori di esercitare il diritto di opzione sulle azioni proprie: la regola generale è il divieto di sottoscrivere proprie azioni.
Salvo quanto previsto dallʼart. 2357 ter, la società non può sottoscrivere azioni proprie: si creerebbe capitale nominale contro il quale non ci sarebbe conferimento. Prima, lʼoperazione si giustificava perché cʼè un passaggio di riserve a capitale.
Se invece la società sottoscrive azioni proprie, senza già averne (azioni proprie), vi sarebbe capitale fittizio.
Ma anche qui la legge a fronte di una norma imperativa, non stabilisce la nullità dellʼazione, ma il secondo comma dellʼart. 2357 quater dice che le azioni sottoscritte in violazione del divieto si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai promotori, soci fondatori o dagli amministratori.
Gli amministratori, ad esempio, in caso di aumento, fanno sottoscrivere parte dellʼaumento alla società: ma chi è responsabile e deve sottoscrivere le azioni sono gli amministratori, i quali risponderanno di eventuali danni provocati alla società.
Cʼè una sorta di sostituzione soggettiva: applicazione simile si trova allo stesso modo per la sottoscrizione delle azioni della controllante effettuato dalla controllata.
Art. 2359-quinquies.
Sottoscrizione di azioni o quote della società controllante.
1. La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società controllante.
2. Le azioni o quote sottoscritte in violazione del comma precedente si intendono sottoscritte e devono essere liberate dagli amministratori, che non dimostrino di essere esenti da colpa.
3. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società controllata, azioni o quote della
società controllante è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle
azioni o quote rispondono solidalmente gli amministratori della società controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa.
Art. 2359 quinquies: la società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della controllante: viene considerata unʼoperazione di annacquamento del capitale.
La sanzione non è la nullità, ma le azioni o quote devono essere sottoscritte e liberate dagli amministratori della controllante.
Entrambe le operazioni sono vietate, “ma se vengono fatte rimangono fatta e si sostituiscono il soggetto che si sottoscrive”.
La società può sottoscrivere solo quando ha già azioni proprie o senza azioni proprie (in caso dʼesercizio del diritto di opzione), con delibera autorizzativa. Il divieto di sottoscrizione vale quando la società non possiede azioni proprie.
Come non è mai possibile che la controllata può sottoscrivere azioni della controllante, anche se per ipotesi ne detenesse già.
Articolo 2358. (c.1 e 2)
Altre operazioni sulle proprie azioni.
1. La societa' non puo', direttamente o indirettamente, accordare prestiti, ne' fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal presente articolo.
2. Tali operazioni sono preventivamente autorizzate dall'assemblea straordinaria.
Fino al 2008 la legge vietava alla società di fare una serie di operazioni in relazione alle azioni proprie: accordare prestiti o fornire garanzie (come una fideiussione) per la sottoscrizione delle azioni proprie a un soggetto che aveva intenzione di acquistare azioni proprie della propria società.
In passato tali operazioni erano consentite solo quando venivano concessi prestiti o fornite garanzie perché questi sottoscrivessero proprie azioni.
Con il 2008, lʼart. 2358 che vietata queste operazioni è stato stravolto. La legge al comma 1 dice che è vietato fare queste operazioni, se non alle condizioni previste nei successivi commi (con tutte le deroghe).
Queste operazioni devono essere autorizzate dallʼassemblea. In tal caso la legge prevede che lʼautorizzazione deve provenire dallʼassemblea straordinaria (con quorum più rafforzati): si tratta sempre di autorizzazione, mentre la decisione rimane agli amministratori.
Lezione 11
La legge anche per queste operazioni richiede lʼautorizzazione assembleare: a differenza lʼart. 2357, deve essere data dallʼassemblea in sede straordinaria.
Gli amministratori devono redigere una relazione descrivendone lʼoperazione ed individuando gli obiettivi che la giustificano, lʼimpatto finanziario sul patrimonio della società e qualʼè lʼinteresse sociale che attraverso questa operazione si intende realizzare. Gli amministratori devono giustificare o motivare perché si forniscono garanzie o prestiti in cambio dellʼacquisto di azioni, dando conto dellʼinteresse sociale che si persegue.
Non solo, essi devono anche attestare che lʼoperazione ha luogo a condizioni di mercato. Sono condizioni che gli amministratori devono valutare prima di accordare prestiti o finire garanzie.
Inoltre, gli amministratori possono effettuare queste operazioni anche nei confronti di amministratori della società o della controllante. Tale operazioni possono svolgersi anche con una controparte diversa: qualora la controparte rientri fra questi soggetti, la relazione degli amministratori non solo deve giustificare che cʼè un interesse sociale, ma anche che lʼoperazione realizza “al meglio” interesse sociale: lʼoperazione deve avere una particolare convenienza per la società.
Tale relazione deve essere depositata nei trenta giorni che precedono lʼassemblea. Questo fa si che il termine sia maggiore per quello di convocazione dellʼassemblea. Per cui si ritiene che per queste operazioni, anche il termine per la convocazione dei soci diventi di 30 giorni.
Se lo scopo è far si che i soci ne prendano visione, bisogna che siano avvisati della convocazione con analogo termine.
La legge prevede unʼulteriore operazione consentita. Al quarto comma si disciplina lʼipotesi in cui lʼoperazione sia effettuata con oggetto azioni proprie già in possesso della società: questa è unʼoperazione considerata meno pericolosa e meno desiderata. La legge contempla rischi minori perché sul piano del patrimonio della società, è un operazione neutra. Ci vuole pur sempre unʼautorizzazione dellʼassemblea e il prezzo dʼacquisto di tali azioni deve essere determinato secondo i criteri e i paramenti che la legge prevede per la liquidazione del socio che abbia receduto dalla società (art. 2437 ter).
La legge favorisce tale operazione, perché con tale operazione la società si disfa di azioni proprie.
Siamo di fonte ad un limite stabilito dalla legge per lʼesercizio dei poteri degli amministratori. Se lʼautorizzazione assembleare è un limite, la mancanza dellʼautorizzazione assembleare dovrebbe comportare lʼinefficacia dellʼatto nei confronti del terzo: si ritiene che i limiti legali ai poteri degli amministratori siano opponibili ai terzi. Si ritiene che il terzo non poteva ignorare tali limiti.
Nel caso manchi la presentazione o il deposito della relazione illustrativa, ciò comporta la possibilità che sia annullata la delibera di autorizzazione.
La legge ritiene che non sia possibile per la società accettare azioni proprie in garanzia: qui lʼoperazione è speculare (è consentito fornire garanzie per lʼacquisto da parte di terzi di azioni proprie della società): in tal caso invece la società che concede un prestito a qualcuno chiede una garanzia. Non è consentito che la garanzia sia data da azioni proprie della società. Questa è un operazione che non è consentita e si ritiene sia nulla.
Rimane lʼesenzione per il caso in cui lʼoperazione sia finalizzata a favore lʼacquisto di azioni della società da parte dei dipendenti diretti della società o di quelli della controllante o della controllata.
In tal caso la norma consente non solo la concessione di prestiti o di garanzia, ma anche lʼaccettazione di prestiti in garanzia, in ossequio ad operazioni che tendono a favorire lʼazionariato dei dipendenti.
Si è molto discusso se questo divieto di concedere prestiti o fornire garanzie dovesse essere un segnale di illegittimità di una certa operazione economica che si ritrova spesso, ovvero del lavarage byout = nella sua configurazione più semplice, è un operazione per cui ci sono soggetti che tentano dʼaggredire una società per acquisirne il controllo (sono spesso amministratori o terzi): questi costituiscono una newco con un ridotto capitale, al quale va da un finanziatore a chiedere un prestito. Quando la newco avrà acquisito il controllo, le due società saranno fuse e la garanzia della restituzione del prestito è dato dal patrimonio della società bersaglio. In questo modo non ho garanzie da offrire alla banca.
Prima della riforma alcuni dubitavano che dal punto di vista giuridico fosse vietata ex art. 2358: è un modo con cui una società offre garanzie a terzi per offrire un finanziamento. Eʼ il patrimonio che viene usato come garanzia. In realtà alcune sentenze del Tribunale di Milano sanciscono che se lʼoperazione portasse benefici sul piano economico, insieme alla dottrina, tende a permettere tali operazione.
La riforma inoltre ha introdotto una norma ex 2301 bis “Fusione per incorporazione”. In seguito, inoltre, vi sono state altre modifiche dellʼart. 2358 dati derivanti dalle direttive europee.
Oggi si può dire certamente che operazioni di questo tipo sono lecite nel nostro sistema con determinati limiti.
Con questa riforma della seconda direttiva comunitaria che, da un lato ha consentito di valutare i conferimenti in natura con metodi tradizionali di minor rigore e dallʼaltro ha consentito operazioni di questo tipo, assistiamo ad un ridimensionamento della tutela della certezza del capitale e la garanzia della sua conservazione. Il disegno ha come sbocco finale lʼeliminazione del capitale sociale minimo e di una verifica periodica continua del capitale: la tutela dei creditori è affidata ad altri parametri.
Art. 2360.
Divieto di sottoscrizione reciproca di azioni.
1. È vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.
Art. 2360. Oggi è vietato comunque e sempre che due società sottoscrivano reciprocamente azioni. Con unʼoperazione simile, il patrimonio complessivo delle due società non muta, nonostante sia aumentato il capitale nominale di entrambe: è una tecnica per creare capitale fittizio.
Anche qui la legge non prevede una sanzione per la violazione di questo divieto, e lʼunica conseguenza non può che essere la nullità delle reciproche operazioni. Non ci sono deroghe al divieto assoluto.
Art. 2361.
Partecipazioni.
1. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è
consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato
l'oggetto sociale determinato dallo statuto.
2. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni
delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno
specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.
La società può anche acquisire partecipazioni in altre società o in altre imprese. Prima della riforma cʼera una norma che si limitava a dire che lʼassunzione di partecipazioni è vietata quando per misura ed oggetto della partecipazione è modificato lʼoggetto sociale determinato dallo statuto. Dopo la riforma, si è aggiunto un secondo comma: lʼassunzione di partecipazioni di altre imprese che comporti una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali che si acquista deve essere deliberata dallʼassemblea e di tali informazioni deve essere data informazioni nella nota integrativa.
Lʼart 2361 disciplina due ipotesi:
1) il limite alla possibilità della società di assumere partecipazioni in un altra, ed in seguito a tale operazione, per natura ed entità della partecipazioni non ne risulti snaturato lʼoggetto sociale, elemento molto importante per una società di capitale.
La modifica dellʼoggetto sociale implica il diritto di recesso della società: si potrebbe aggirare la tutela data dallʼaumento del quorum deliberativo o dal recesso del socio, non facendo la deliberazione di modifica dellʼoggetto sociale, ma acquisendo un altra società che possa mutare lʼoggetto sociale o il rischio che ne deriva. Il rischio è corso dalla società acquisita. La legge inoltre precisa che deve trattarsi di un operazione che per la misura e natura lʼoggetto sociale è modificato in modo sostanziale: tali operazioni sono vietate.
Questo limite non riguarda tutte le società (se la società è una finanziaria il limite non si applica); come non si applica se lo statuto non consenta lʼacquisizione unʼaltra società.
La valutazione del superamento o meno del limite è discrezionale e comporta valutazioni di merito. In caso di violazione del divieto non è prevista una nullità dellʼoperazione dʼacquisto, ma una responsabilità degli amministratori per tutti i danni derivanti da essa. Si ritiene quindi dai più che lʼacquisizione rimanga valida, ma che comporti responsabilità degli amministratori.
2) La seconda operazione: prima della riforma vi era un orientamento forte nella giurisprudenza che considerava vietata lʼacquisizione da parte di una spa di una partecipazione in unʼaltra società che comportasse per la spa i rischi propri della società che si andava a partecipare. Le uniche partecipazioni che si potevano assumere erano in altre società di capitali, mai in società di persone. Questo perché si riteneva venisse meno la responsabilità limitata derivante dalla forma giuridica della spa: ciò non vero perché la spa rispondeva illimitatamente con il limite del patrimonio della società stessa, non dei soci. Inoltre la Cassazione diceva che nella società di persone ci sono meno garanzie e, di conseguenza, ne risulterebbe annacquata la disciplina prevista per la società di capitali. La Cassazione considerava vietata anche la spa che diventata accomandante.
Il legislatore è intervenuto e sancì la liceità di queste operazioni, seppure con lʼobbligo che siano deliberate dallʼassemblea e che di tale operazioni sia data informazione nella nota integrativa. La legge usa in tal caso il termine “approvazione”, non autorizzazione: i più ritengono che per “approvazione” si intende “autorizzazione” sempre in virtù del principio per cui gli atti di gestione siano di competenza dellʼorgano amministrativo.
Il socio unico nella Spa
Prima della riforma, non era possibile possibile costituire una società per azioni con un unico socio. Con la riforma anche la spa, come la srl, possono costituirsi anche tramite atto unilaterale. Lʼunica possibilità prima della riforma era la situazione in cui una società finisse per avere un unico socio.
Nelle società di persone quando viene meno lʼultimo socio, lʼunica possibilità trovare in sei mesi un altro socio, pena lo scioglimento della società. Nella società di persone non è possibile la continuazione di una società con un solo socio.
Prima della riforma, per la spa invece era possibile continuare una società con un socio unico, ma nella spa lʼunico azionista in caso di insolvenza della società rispondeva illimitatamente per le obbligazioni della società sorte mentre era unico socio.
Con la riforma è divenuto possibile costituire una spa con atto unilaterale: inoltre lʼunico socio non incorre nella responsabilità limitata, nel rispetto di determinate condizioni.
Stabilire la disciplina complessiva è complicato, in quanto essa è sparpagliata in varie norme:
- art. 2325: prima norma in tema di spa: al comma 2, si aggiunge che in caso dʼinsolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte in presenza di socio unico, questo risponde solo quando ”
- art. 2331: gli effetti delle iscrizione della società per azioni nel registro delle imprese;
- art. 2342: in tema di conferimenti, nel c. 2 si stabilisce che alla sottoscrizione dellʼatto costitutivo, se viene costitutiva con atto unilaterale deve essere versato il 100% del conferimento in denaro.
- al c. 4 quando viene meno la pluralità dei soci durante la vita della società, se ci sono ancora versamenti dovuti, questi devono essere versati entro 90 giorni.
- lʼultima norma è lʼart. 2362 dove si stabilisce gli adempimenti e le regole che si devono seguire anche qualora le azioni siano di una persona sola.
Lʼunicità del socio: in senso formale o sostanziale? Magari un unico soggetto ha 999 azioni e lʼaltra un suo parente. Ci sono scuole diverse, la posizione maggioritaria è che sia da considerare la condizione formale: la responsabilità eventuale personale del socio è un fatto del tutto eccezionale e quindi le norme eccezionali vanno interpretate dal punto di vista restrittivo e non ammettono interpretazioni analogiche.
Il dato deve essere formale. Anche se cʼè un azione intestata a qualcun altro, essa non fa scattare la disciplina del socio unico.
Prima della riforma si discuteva se il socio unico di una spa dovesse fallire anche lui personalmente. Nel caso di società con responsabilità illimitata, il fallimento della società comporta in automatico anche il fallimento automatico dei soci in responsabilità illimitata.
Oggi la nuova formulazione dellʼart. 147 della legge fallimentare ci chiarisce che tale previsione vale solo nel caso del fallimento di società che istituzionalmente hanno uno o più soci a responsabilità illimitata: non vale nel caso in cui non ci sono soci a responsabilità illimitata.
La responsabilità illimitata è solo una sanzione in caso di violazione di certe regole. Oggi è certo che pure un socio unico di spa (limitatamente responsabile) non fallisce insieme alla società, qualora sia dichiarata fallita.
Adempimenti che riguardano obblighi di tipo pubblicitario
Art. 2362.
Unico azionista.
1. | Quando | le | azioni | risultano | appartenere | ad | una | sola | persona | o | muta | la | persona | dell'unico | socio, gli |
amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente | |||||||||||||||
l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di |
costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.
2. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.
3. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.
4. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione.
5. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai
creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
Secondo lʼart. 2362, quando muta la persona di un unico socio, gli amministratori devono depositare una dichiarazione contente cognome e nome, ecc.: deve essere identificato lʼunico socio e tale dichiarazione deve essere nota a tutti attraverso la diffusione di questi dati al registro delle imprese.
Analoga comunicazione va data quando si ricostruisce la pluralità di soci.
Tale pubblicità dovrebbe essere fatta dagli amministratori, ma può provvedervi anche lʼunico socio (o la pluralità ricostituita).
Questi dati vanno anche trascritti nel libro soci.
Se si costituisce una spa con un unico socio non cʼè bisogno di procedere con questi adempimenti. Già lʼatto di costituzione è oggetto di pubblicità nel registro delle imprese: semmai lʼunico onere si produce quando è necessario depositare una dichiarazione che attesti il passaggio da una situazione di unico socio a pluralità di soci.
Inoltre, i contratti di una società con socio unico o le operazioni dellʼunico socio sono opponibili ai creditori solo se risultano iscritti nel libro soci o da altro atto.
La situazione è delicata. La struttura organizzativa della spa con socio unico rimane quella tradizionale.
Si potrebbero fare delle operazioni che depauperano il patrimonio dei creditori. La legge non vieta le operazioni fra il socio unico e società e sono validi i contratti conclusi fra società e socio unico, ma questi atti, pur validi, sono opponibili ai terzi solo se di questi si da una certa forma:
- tali contratti sono opponibili ai creditori solo se risultano dal libro delle adunanze;
- o da atto scritto anteriore al pignoramento. La legge immagina un creditore che cerca di pignorare i beni della società e non trova un cespite perché è stato venduto. Tale atto deve avere data certa. Queste operazioni sono anche opponibili ai creditori sociali.
In mancanza di data certa o se non risultassero da libro soci o atto scritto , tali contrati sono inopponibili e nei confronti dei creditori sociali non sono efficaci, se non si è provvisto con gli adempimenti dovuti.
Adempimenti relativi ai conferimenti
Vige un obbligo di conferimento integrale allʼatto della sottoscrizione e un obbligo di completare il versamento quando, durante la vita della società, venga meno la pluralità di soci: lʼunico socio a tal punto deve completare i versamenti ancora dovuti.
Non è chiaro da che momento decorrono i 90 giorni previsti, forse dallʼiscrizione nel libro soci dellʼunico socio.
Lʼeventuale responsabilità dellʼunico socio si riflette normalmente come nella pluralità di soci. Se la società diviene insolvente e cʼè violazione degli art. 2342 o 2362, scatta la responsabilità illimitata del socio.
Per la pubblicità prevista dallʼart. 2342 si dice che lʼunico socio risponde illimitatamente fino a quando non sia stata effettuata la pubblicità prevista dallʼart. 2362. Cʼè una responsabilità limitata che viene meno per effetto di un mancato adempimento degli obblighi pubblicitari, seppur tardivo.
Se si adempie scaduto il termine, la conseguenza è che per le obbligazioni sorte nel periodo precedente rimane la responsabilità illimitata, mentre continua la responsabilità limitata per il periodo successivo. Lʼadempimento tardivo è sufficiente a recuperare la responsabilità limitata solo per il futuro.
Mentre gli obblighi connessi ai trasferimenti determinano una situazione di responsabilità limitata che non è rilevante. Il termine che la legge concede nei 30 gironi.
Ancora per le operazioni compiute prima della costituzione, per tali operazioni rispondono in generale coloro che hanno agito in nome e per conto, ma, in più, se cʼè socio unico risponde anchʼesso. Eʼ una responsabilità da posizione, non da inadempimento.
Il controllo di una società
Art. 2359.
Società controllate e società collegate.
1. Sono considerate società controllate:
1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
2. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
3. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza
si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un
decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.
Non cʼè coincidenza nella situazione di controllo. Il gruppo presuppone che chi ha il controllo svolga unʼattività di direzione unitaria allʼinterno di una società.
Una norma dice che quando cʼè una situazione di controllo: questo fa presumere in capo alla controllante lo svolgimento un attività di direzione e coordinamento. Cʼè una presunzione, un inversione dellʼonere dalla prova: è al società che deve dimostrare di non svolgere tale attività. Sono due cose diverse. Normalmente alla base del gruppo cʼè una situazione di controllo.
Una società è controllata da un altra secondo tre fattispecie di controllo:
1) sono controllate le società in cui unʼaltra società dispone della maggioranza dei voti (non del capitale, potrebbero esserci azioni senza diritto di voto ad esempio) esercitabili in assemblea straordinaria: è il controllo di diritto. Il controllante può approvare il bilancio e nomina gli amministratori. Se il 50% del capitale è azioni senza diritto di voto, basta avere il 25% del capitale più un azione con diritto di voto per avere il controllo.
2) Seconda fattispecie è il controllo di fatto: si realizza quando si dispone di voti sufficienti per esercitare un influenza dominante nellʼassemblea ordinaria. Non cʼè un controllo di diritto, ma per varie ragioni, ad esempio in presenza di capitale polverizzato, per dominare la gestione è sufficiente avere una quota minoritaria. In questo caso il capitale di fatto si accerta è in grado di far passare le sue posizioni per effetto della polverizzazione. Inoltre deve esserci la maggioranza della azioni presenti.
3) Terza ipotesi, è quando la società è sotto lʼinfluenza dominante di unʼaltra in virtù di particolari vincoli contrattuali che rende lʼuna soggiogata allʼaltra. In Germania la legge riferimento ai contratti di dominazione: è lecito che una società si sottometta volontariamente per contratto alla direzione di unʼaltra società. In Italia invece è unʼoperazione illecita. Lʼipotesi è diversa: lʼuna dipenda per le sue fortune dallʼaltra, magari perché dipende dallʼindotto: formalmente sono entità indipendenti ma di fatto sono dipendenti, magari perché lavora in esclusiva.
Lezione 12
Le obbligazioni
Introduzione
Prestito obbligazionario: tipico strumento di raccolta di massa del capitale di credito, a differenza delle azioni che sono lo strumento tipico del capitale di rischio.
Capitale di rischio e quindi rischio di impresa: essendo che chi investe rischia il capitale, il rischio del capitale di credito, tipico di qualsiasi creditore, è dellʼinsolvenza del debitore, debito che dovrebbe prescindere dallʼandamento economico della società creditrice.
Il prestito obbligazionario è un istituto riservato unicamente alle società azionarie.
Le srl non possono emettere obbligazioni, anche se dopo la riforma si sono accentuate altre differenze, ma su questo versante si assiste ad avvicinamento: è vero che rimane il divieto per le società a responsabilità limitata di emettere obbligazioni, ma contestualmente la legge introduce un nuovo istituto tipico, e cioè i titoli di debito che consentono anche alle srl di raccogliere tra il pubblico capitale di rischio.
Le obbligazioni sono un tipico strumento di raccolta di massa del capitale di credito.
La tipicità di questo strumento è data dal fatto che sia una raccolta di massa, cioè il prestito obbligazionario viene visto economicamente come operazione unica, ma si fraziona in un numero x di titoli: il credito verso la società è rappresentato da un titolo al portatore o nominativo.
È prestito di massa perché il prestito obbligazionario di 1milione di euro è suddiviso in 100mila obbligazioni da 10euro ciascuna: cʼè unʼunica operazione economica. Lʼoperazione sottostante è un mutuo che viene frazionato dal creditore in numero x di titoli. Il prestito viene fatto alla società con alcune varianti viene frazionato in un numero x di titoli.
Il prestito obbligazionario è stato molto spinto dalla riforma: tradizionalmente cʼera un limite molto rigido al quantum della delibera di emissione di prestiti obbligazionari. Oggi invece cʼè un limite allʼemissione che è più permissivo rispetto al passato.
La competenza a decidere sullʼemissione, tipicamente riservato allʼassemblea straordinaria, è invece passata allʼorgano di gestione. “Competenza naturale dellʼorgano amministrativo” perché prevista dalla legge, salvo diversa disposizione dello statuto.
Infine, vi è stato un esplicito riconoscimento della piena legittimità di alcuni tipi speciali di obbligazioni, indicizzate e subordinate, di cui in passato di dubitava quanto alla legittimità della loro emissione.
La disciplina delle obbligazioni ex art. 2410-2420 ter.
Art. 2410.
Emissione.
1. Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l'emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori.
2. In ogni caso la deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da notaio ed è depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436.
Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, lʼemissione delle obbligazioni è deliberata dagli amministratori.
Prima della riforma vi erano già delle deroghe settoriali, come nel settore bancario. Lʼart. 2410 eʼ una norma dispositiva (= salva diversa disposizione). Già il TU Bancario del 1993 allʼart. 12 disciplinava unʼipotesi diversa.
Lʼart. 2420 bis infatti disciplina lʼipotesi delle obbligazioni convertibili in azioni: competenza a deliberare il prestito obbligazionario convertibile è riservata allʼassemblea straordinaria, con lʼunica possibile variante che la competenza può essere delegata agli amministratori, con precisi limiti quantitativi e di tempo.
La decisione di emettere un prestito obbligazionario è unʼoperazione di gestione.
“salvo diversa disposizione”
Quello bancario è stato il primo settore che spostava agli amministratori la competenza, ma in tal caso non è possibile stabilire diversamente!
Se lʼemissione di un prestito obbligazionario è unʼattività di gestione, dobbiamo tenere presente e confrontare la disposizione dellʼart. 2410 con la previsione dellʼart. 2480 bis dettato in tema dʼamministrazione, dove si ribadisce che la gestione è di competenza esclusiva degli amministratori. Se è così e, non si può derogare alla competenza esclusiva, secondo i più la “diversa disposizione” dello statuto non potrebbe spostare la competenza in capo allʼassemblea ordinaria, se non nei limiti di un obbligo degli amministratori di ottenere unʼautorizzazione allʼemissione di un prestito: questo è sempre possibile.
Contemporaneamente, se si vuol mantenere un senso a questa disposizione ovvero “che si possa statuariamente prevedere una competenza diversa” lʼunica possibilità è che lo statuto ritorni al regime pre riforma ovvero che sia competente lʼassemblea straordinaria, parificando la decisione alle modifiche dello statuto.
“amministratori”
Competenti sono gli amministratori: lʼarticolo ne parla genericamente; ci si potrebbe chiedere se la competenza è collegiale o delegabile.
Quando si prevede unʼamministrazione pluripersonale, la legge prevede che più amministratori vadano a formare un collegio e che le decisioni vengano prese collegialmente.
Al tempo steso, quando vi sia un consiglio di amministrazione, è prevista la possibilità di delegare le funzioni dellʼorgano (collegiale) a singoli amministratori o a un comitato più ristretto. Non tutte le funzioni sono però delegabili, come, ad esempio, lʼapprovazione del progetto di bilancio dʼesercizio, la cui approvazione deve essere collegiale.
La decisione di emettere prestiti obbligazionari non è presente fra le materie non delegabili ex art. 2381, quindi non cʼè motivo di escludere che tale decisione sia attribuita a singoli amministratori delagati o al comitato esecutivo.
Art. 2420-bis, c. 1 e 2 Obbligazioni convertibili in azioni.
1. L'assemblea straordinaria può deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il
rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se
il capitale sociale non sia stato interamente versato.
2. Contestualmente la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontare
corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del
secondo, terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2346.
Altro problema che si pone: la competenza per le obbligazioni convertibili rimane in capo allʼassemblea straordinaria. Articoli 2410-2420 bis (norma eccezionale): qualʼè la connessione fra questi articoli?
Consideriamo la previsione dellʼart. 2420 bis rappresenti una norma eccezionale che deroga alla norma generale dellʼart. 2410 (le obbligazioni convertibili sono uno speciale
tipo di obbligazioni che partecipano comunque alla disciplina generali sulle obbligazioni, salvo deroghe).
Le obbligazioni convertibili hanno in se di speciale che consentono a chi ne è titolare, in certi margini di tempo, di decidere di convertire quel titolo in azioni della società, tramutando un credito in un conferimento (da capitale di credito a capitale di rischio): è un opzione.
Ma la legge per garantire questa facoltà di conversione prevede che obbligatoriamente .quando si deliberi unʼemissione di prestito obbligazionario convertibile, venga deliberato anche un aumento di capitale al servizio di coloro fra gli obbligazionisti convertibili vogliano convertire le obbligazioni in azioni, affinché vi siano azioni disponibili. Quindi lʼemissione delle obbligazioni convertibili è accompagnata da una delibera di modifica dello statuto (per procedere con lʼaumento del capitale): per questo motivo si è mantenuta la competenza allʼassemblea straordinaria.
Per tutti gli altri tipi di obbligazioni, la competenza torna allʼorgano amministrativo.
Pur non essendo una modifica statutaria, lʼemissione di un prestito obbligazionario (tale possibilità esiste per legge, non occorre che lo statuto preveda questa possibilità), la legge forse per la delicatezza dellʼoperazione, prevede al c.2 dellʼart. 2410 che qualsiasi sia la competenza (organo amministrativo o assemblea straordinaria disposta per statuto), la deliberazione di emissione di un prestito obbligazionario deve risultare dal verbale redatto dal notaio; inoltre, si deve seguire il procedimento di deposito ed iscrizione del Registro delle imprese, tipico del procedimento di modifica statutaria.
La delibera quindi è trattata come le delibere di modifica statutaria, e lʼefficacia si ha solo con lʼiscrizione nel Registro delle imprese: lʼefficacia è dunque costitutiva.
Con la riforma vengono disciplinati tipi speciali di obbligazioni che prima della riforma non trovavano posto nella legge.
Lʻart. 2411, che impropriamente il legislatore rubrica come “diritti degli obbligazionisti”,
stabilisce la disciplina delle speciali categorie di obbligazioni.
Le obbligazioni hanno perso la caratteristica di contratto di mutuo ad interesse classico, perché sono diventate uno strumento finanziario, il cui contenuto può essere vario fino a toccare la soglia del capitale di rischio. Oggi si riconosce spazio a questi tipi, in particolare alle obbligazioni subordinate e indicizzate, che pur mantenendo la funzione di finanziamento, in qualche modo legano di più gli obbligazionisti al rischio di impresa.
Ciò che resta incompatibile con lo strumento obbligazionario è lʼattribuzione al titolare delle obbligazioni di diritti di natura amministrativa: è lʼunico limite: la partecipazione alle decisioni rimane incompatibile con lo strumento obbligazionario.
Art. 2411.
Diritti degli obbligazionisti.
1. Il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società.
2. I tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all'andamento economico della società.
3. La disciplina della presente sezione si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società.
Sul piano dei diritti patrimoniali oggi è possibile unʼamplissima gamma di opzioni.
Le obbligazioni subordinate
Il primo comma dellʼart. 2411 dice che i diritti degli obbligazionisti possono essere in tutto o in parte subordinati ai diritti di altri creditori della società.
Si parla delle obbligazioni subordinate: il pagamento del capitale, degli interessi o di entrambi possono essere contrattualmente postergati al soddisfacimento di uno o più o tutti gli altri creditori della società.
Le obbligazioni subordinate erano già previste per le banche dallʼart. 12 del Testo unico bancario del 1993, ma nulla diceva per le altre società per azioni.
Con la clausola di subordinazione, si comporta dal punto di vista giuridico lʼapposizione di una condizione sospensiva dellʼesigibilità: “io sono creditore, ma questo credito non lo si può esigere liberamente quando scade lʼobbligazione” ovvero il diritto è subordinato alla soddisfazione che la società è in grado di dare agli altri suoi debiti. Il problema si pone solo quando la società diviene insolvente.
Quando il patrimonio della società non è più in grado di onorare i suoi debiti, le obbligazioni subordinate saranno le ultime ad essere pagate se e quando, pagati tutti gli altri creditori, qualora residuasse qualcosa del patrimonio sociale. Dal punto di vista pratico, il problema emerge solo quando la società è insolvente o è sottoposta/ sottoponibile ad una procedura concorsuale. Finché non cʼè insolvenza, evidentemente la suboridinazione non interessa.
Questa clausola non muta il rapporto che rimane di credito/debito di obbligazionisti. Il prestito obbligazionario non diventa capitale proprio, rimane capitale di credito dal punto di vista bilancistico, anche se comporta un rischio maggiore.
La subordinazione può essere totale o parziale: rispetto a tutti i creditori o a uno o più categorie di creditori (ad esempio, i debiti della società nei confronti dei dipendenti o delle banche).
Così come la subordinazione può riguardare solo la correspensione degli interessi, ovvero per il capitale.
Nonostante questo, gli obbligazionisti subordinari sono considerati come tutti gli altri creditori della società.
Dal punto di vista dellʼinsolvenza, il fallimento e le altre procedure concorsuali sono riservate sono agli imprenditori commerciali. Quando un soggetto diviene insolvente si azzerano tutti i termini di pagamento e tutti i crediti diventano esigibili in quel momento.
Nel fallimento, i crediti degli obbligazionisti saranno trattati come crediti condizionali ovvero crediti sottoposti a condizione, che partecipano al concorso, anche se ovviamente si realizza la condizione, ovvero se lʼattivo fallimentare sarà sufficiente a pagare i debiti.
Cʼè comunque un limite invaricabile alla possibilità di subordinare le obbligazioni. La postergazione può essere parziale o totale, ma non può mai essere una postergazione rispetto alle pretese dei soci in sede di liquidazione. Comunque gli obbligazionisti postergati hanno diritto ad essere postergati prima che si faccia una ripartizione fra i soci, altrimenti si perderebbe la caratteristica del capitale di credito.
Allo stesso modo sarebbe inammissibile una clausola che collocasse queste obbligazioni sullo stesso piano o in concorrenza con i soci. Tale prestito diverrebbe capitale di rischio. Il limite logico e giuridico è dato dal fatto che gli obbligazionisti devono essere pagati prima dei soci.
Le obbligazioni indicizzate
Una tipologia di obbligazioni speciali individuate dalla legge sono le obbligazioni indicizzate: i tempi e le entità del pagamento egli interessi possono variare in dipendenza a parametri oggettivi, anche relativi allʼandamento economico della società.
Sono obbligazioni indicizzate quanto agli interessi, lʼobbligo di restituzione del capitale rimane fisso.
La strutturazione dellʼinteresse, in generale, può essere vario: periodico, alla fine, tutto allʼinizio. Siccome non è vietato emettere obbligazioni sotto la pari (zero-coupon, non cʼè una cedola per gli interessi), sopra la pari o alla pari.
Quando invece viene emessa unʼobbligazione indicizzata: rimane fisso lʼobbligo di restituzione il capitale, mentre lʼinteresse da corrispondere può essere indicizzato a parametri oggettivi (non deve dipendere dalla volontà della società).
La legge dice che tali “indici” possono anche relativi allʼandamento economico della società, sia esterni sia parametri interni alla società (come un paniere di titoli); un parametro interno può essere fissato sulla base, ad esempio, della produzione di utili della società.
Attenzione che lʼindicizzazione riguarda lʼentità del pagamento degli interessi, ma può essere legato anche i tempi: ad esempio può essere stabilito un parametro che stabilisca quando viene pagato un interesse fisso.
Altri tipi di obbligazioni sono le partecipanti: una cosa è che si preveda che lʼinteresse sia parametrato agli utili della società emittente, altra cosa è prevedere che le obbligazioni partecipino direttamente agli utili delle società! Una cosa è che gli interesse è pari al tasso di % di utili prodotta in una società. Altra cosa è dire che le obbligazioni partecipano agli utili della società, quando lʼutile funziona come indice, siamo di fronte comunque ad un costo per la società; se le obbligazioni partecipano direttamente allʼutile, questo non è un costo, ma un utilizzo dellʼutile.
La disciplina della seguente sezione (settima) ovvero tutta la disciplina delle obbligazioni si applica anche agli strumenti finanziari comunque denominati che condizionano tempi e entità di rimborso del capitale allʼandamento economico della società.
La legge consente di individuare degli strumenti indicizzati anche in linea di capitale. Parlando del secondo comma, lʼindicizzazione deve essere legata a parametri oggettivi anche relativi allʼandamento economico della società sia interni che esterni. Quando parliamo invece della specie del terzo comma, la legge non prevede unʼindicizzazione in linea di capitale legata a parametri esterni della società, ma deve necessariamente basarsi su un parametro interno.
La disciplina delle obbligazioni si applica anche ad una speciale categoria di obbligazioni che prevede unʼindicizzazione dellʼobbligo di restituzione del capitale, che varia allʼandamento economico della società. La disciplina non cambia. Eʼ un inserimento di questi titoli fra le obbligazione, cʼè una disciplina analogica.
Storicamente, cʼè sempre stata unʼobiezione sulla possibilità di indicizzare il capitale di un prestito obbligazionario. Il capitale doveva rimanere fisso, perché la legge fissa dei limiti quantitativi allʼemissione di un prestito obbligazionario.
Un limite alla quantità di un prestito obbligazionario sarebbe di ostacolo al fatto di indicizzare il capitale: facendo ciò non sarebbe possibile prevedere a priori quanto dovrebbe essere rimborsato agli obbligazionisti.
Si dice che questo può far si che ciò che dovrà essere restituito in misura superiore di quello che è il tetto allʼemissione dellʼobbligazione.
Certamente dalla riforma risulta confermata la tesi pre-riforma, che fosse già possibile emettere obbligazioni indicizzate in linea di capitale. La legge pone dei limiti allʼemissione per evitare che ci sia squilibrio fra capitale proprio e capitale di credito.
Art. 2413.
Riduzione del capitale.
1. Salvo i casi previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2412, la società che ha emesso
obbligazioni non può ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se rispetto all'ammontare
delle obbligazioni ancora in circolazione il limite di cui al primo comma dell'articolo medesimo non risulta più rispettato.
2. Se la riduzione del capitale sociale è obbligatoria, o le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite,
non possono distribuirsi utili sinché l'ammontare del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve
disponibili non eguagli la metà dell'ammontare delle obbligazioni in circolazione.
Lʼart. 1413 disciplina ciò che la società può fare del suo capitale di rischio, mentre è in corso un prestito obbligazionario: la società non può ridurre volontariamente il capitale sociale o restituire riserve, se rispetto allʼammontare del prestito obbligazionario, il limite non risulta più rispettato. La legge, quindi, stabilisce una modalità per rimediare a possibili sbilanciamenti successivi con un divieto a ridurre il capitale sociale o di distribuzione di riserve in forma di dividendi, fino a quando non è rispettato il limite allʼemissione. Non si fa distinzione fra le cause che possono aver determinato lo sbilanciamento successivo.
Legare i tempi o il quanto della restituzione del capitale non vuol dire altro che indicizzare in linea dei capitale delle obbligazioni.
Cʼè solo il limite: mentre per quanto riguarda gli interessi è sempre possibile che il parametro a cui agganciare il quanto o il tempo sia sia esterno che interno, in caso di indicizzazione del capitale, il parametro può essere solo lʼandamento economico della società (interno) per evitare che si crei uno stress finanziario della società. In questo modo invece si garantiscono gli obbligazionisti.
Gli strumenti finanziari partecipativi Art. 2411 c. 3
Lʼambito è più ampio dellʼindicizzazione del capitale e può riguardare anche altri strumenti finanziari che non hanno tutte le caratteristiche proprie delle obbligazioni: tali strumenti potrebbero essere dotati anche di diritto di tipo partecipativo o associativo.
Art. 2346.
Emissione delle azioni.
6. Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o
servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto
nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.
Lʼultimo coma dellʼart. 2346
Resta salva la possibilità che la società, a seguito dellʼapporto anche di opera o servizi, emetta degli strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o amministrativi.
Questi strumenti vanno messi in confronto con la forma dellʼart. 2411, ovvero strumenti che prevedono un indicizzazione in linea di capitale.
Su questo rapporto per capire se siamo di fronte ad obbligazioni o strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346 lo analizzeremo in seguito.
Art. 2411 c. 3
Il problema: tale previsione può farci dire che una società per azioni possa emettere obbligazioni irredimibili, strumenti noti nella disciplina bancaria.
Lʼart. 12 TUB per le banche: sono prestiti per i quali la correspensione di interessi può essere sospesa in caso di difficoltà economica dellʼemittente; ovvero si può prevedere a chiamare queste obbligazioni a coprire perdite di esercizio;
Spesso hanno durata perpetua o a lunghissima scadenza con la sola possibilità dellʼemittente di rimborsarli in anticipo.
Questi nella disciplina bancaria vengono chiamati strumenti finanziari ibridi: dal punto di vista bancario vanno a costituire capitale proprio o di garanzia.
Questa possibilità rimane dubbia se in forza dellʼart. 2411 c. 3 possa essere ritenta un opzione per le spa. Se li ammettiamo, come bisogna ammetterli, fino a precedere la Ia non restituzione o con una restituzione a lungo termine, si pongono problemi di contabilizzazione fra capitale netto o passività.
In definitiva, possiamo avere obbligazioni:
- ordinarie: interesse e capitali fissi stabiliti nel regolamento del prestito, documento da redigere ogni volta che viene emesso un prestito obbligazionario;
- convertibili
- indicizzate, sia per capitale che per interessi.
Lezione 13
LImiti allʼemissione di un prestito obbligazionario
La riforma è intervenuta nel senso di incrementare le ipotesi per derogare il limite, rendendole più omogenee e accrescendole.
I limiti che la legge pone sono indicati nellʼart. 2412.
Art. 2412.
Limiti all'emissione.
1. La società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per somma complessivamente non
eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo
bilancio approvato. I sindaci attestano il rispetto del suddetto limite.
2. Il limite di cui al primo comma può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono
destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma
delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali.
3. Non è soggetta al limite di cui al primo comma, e non rientra nel calcolo al fine del medesimo, l'emissione
di obbligazioni garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del
valore degli immobili medesimi.
4. Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli importi relativi a garanzie comunque prestate dalla società per obbligazioni emesse da altre società, anche estere.
5. Il primo e il secondo comma non si applicano all'emissione di obbligazioni effettuata da società con azioni
quotate in mercati regolamentati, limitatamente alle obbligazioni destinate ad essere quotate negli stessi o in
altri mercati regolamentati.
6. Quando ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale, la società può essere
autorizzata con provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere obbligazioni per somma superiore a
quanto previsto nel presente articolo, con l'osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso.
7. Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività.
La società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per una somma non eccedente il doppio del capitale sociale della riserva legale e della riserva disponibile dellʼultimo bilancio.
Mentre prima della riforma, il limite era molto stretto, era dato solo dal capitale versato ed esistente entro cui si doveva rimanere. Con “esistente” sʼintende che si dovevano contare eventuali perdite.
Oggi il limite raddoppia: il doppio del capitale sociale e si aggiungono anche le riserve legali e disponibili.
“doppio del capitale sociale”: quando la legge non aggiunge alcun aggettivo al termine capitale, il riferimento è al capitale sottoscritto. Bisogna aver presente il doppio del capitale sottoscritto.
Se il capitale non fosse tutto sottoscritto, non potrebbe essere indicato nello statuto. Il capitale non è indicabile nello statuto: sarà solo quando ci saranno sottoscrizioni corrispondenti che quella somma diverrà capitale.
Quello che è detto capitale deliberato è una proposta; capitale sottoscritto = capitale nominale, perché nello statuto si trova il capitale sottoscritto.
Mentre prima la legge era il capitale versato ed esistente, che poteva essere meno del sottoscritto, oggi si parla del doppio del capitale sottoscritto.
La legge aggiunge dopo “il doppio della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dallʼultimo bilancio”.
Eʼ chiaro che dalla somma del capitale sottoscritto e riserva, andranno sottratte le eventuali perdite, che comunque mangiano le poste. Cʼè la necessità di verificare la sussistenza del capitale netto (se vi sono perdite), anche se formalmente non si è deciso in quale riserve allocare le perdite finora maturate.
Non è spiegabile perché la legge parli di riserva legali e di “riserve disponibili risultanti dallʼultimo bilancio”. Nel senso che sarebbe stato più opportuno parlare del doppio del patrimonio netto: non si vede perché solo le riserve disponibili devono entrare nel tetto delle obbligazioni, ma se si deve conteggiare anche la riserva legale, è evidente che sfugge il senso dellʼaffermazione del legislatore, tantʼè che il calcolo va fatto tenendo conto delle sole riserve disponibili.
“Riserve disponibili”, come già detto, non è lo stesso di “riserva distribuibile”. “Distribuibile” deve essere per forza disponibile. Ma riserva disponibile può non essere distribuitibile (come quella sovra-prezzo azioni, che è indistribuibile fino a a quando la riserva legale non ha raggiungo il tetto previsto dalla legge).
La legge ha previsto, infine, che questi dati sono quelli che risultano dallʼultimo bilancio approvato.
“ultimo bilancio approvato” non vuol dire che una spa non può emettere obbligazioni nel corso del primo anno. La legge dice così, perché vuole che ci sia un bilancio approvato ove risulti la consistenza di capitale e riserve, ma, eventualmente e in mancanza, si può fare un bilancio straordinario.
Oggi la legge parla di “doppio di capitale sociale più riserve” vuol dire che non è in funzione di garanzia questo parametro.
Sono stati previste delle deroghe dei limiti.
La prima deroga, che prima non esisteva, è al secondo comma secondo cui tale limite può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate ad investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma di leggi speciali. In tal caso non
occorre rispettare alcun limite quando non vengono offerte sul mercato di risparmiatori, ma vengono collocati presso investitori professionali (banche, sim, intermediari finanziari previsti dal TUF o previsti nel TUB).
Nel TUB è stato introdotto un ulteriore limite per gli investitori professionali: essi devono rispettare idonei requisiti patrimoniali stabiliti dallʼautorità di vigilanza, limiti di soglie patrimoniali per poter essere considerati “investitori sottoposta a vigilanza prudenziale”.
Si può superare il limite, ma la legge aggiunge al secondo comma, “in caso di successivo trasferimento di obbligazioni, chi le trasferisce si assume la responsabilità se vengono trasferiti a investitori non professionali (Cirio, Parmalat): se questi investitori professionali rivendono queste obbligazioni ad investitori non istituzionali, a questo punto lʼintermediario cedente assume le responsabilità per la solvenza della società.
Dipende anche come si identificano le obbligazioni emesse in eccedenza: tali limiti valgono solo per le azioni emesse in eccedenza. Ciò è facile se in eccedenza è un unico prestito obbligazionario.
Ma se invece è così solo in parte, se lʼeccedenza cʼè solo per una percentuale della nuova emissione (soprattutto se le obbligazioni sono al portatore).
La legge non dice come risolvere questo problema: la soluzione vale quindi che lʼassunzione di responsabilità vale per tutto il prestito obbligazionario; per esso valgono le regole per 2412 , c.2: per cui lʼinvestitori professionale se ne assume responsabilità per lʼintero prestito, anche se è ovvio che basta avere un poʼ di accortezza.
Altro problema può sorgere per identificare gli investitori responsabili: nulla esclude che un investitore professionale le ceda ad unʼaltro investitore professionale e questʼultimo ad un non professionale: se le obbligazioni sono al portatore, la storia non è tracciabile!
La soluzione è che la responsabilità ricada solidalmente su tutti gli sottoscrittori del prestito, su coloro che non riescono a dimostrare di non essere stati loro a cedere le obbligazioni ad investitori non professionali.
Se le obbligazioni sono nominative, la tracciabilità è possibile e, ricostruita la storia, consente di identificare in relazione a quali ricada la responsabilità che risponde dellʼinsolvenza della società.
Altra deroga: se le obbligazioni sono destinate ad essere quotate da parte di una società che abbia già azioni quotate: per queste non si applica il primo e il secondo comma.
La quotazione comporta una serie di controlli che non richiedano più la necessità di mantenere quei limiti rigorosi di cui sopra.
I requisiti quindi sono due:
- lʼemittente è già quotate;
- le obbligazioni sono destinate alla quotazione; Questʼultime sono due deroghe nuove.
Cʼerano già altre deroghe in passato.
Una prima deroga è quando lʼemissione di obbligazioni sia garantita da unʼipoteca di primo grado su beni immobili di proprietà della società (i gradi delle ipoteche: su un bene ci può essere un soggetto garantito con ipoteca di primo grado, e un altro soggetto può fare una seconda ipoteca) fino a due terzi in favore del prestito obbligazionario: in tal caso non cʼè necessità di rispettare i limiti.
La legge dice che lʼipoteca deve calcolarsi sui due terzi degli immobili. Ma al valore di mercato o contabile degli immobili?
Prima della riforma la maggior degli interpreti sosteneva che si doveva far riferimento ai valori di bilancio, ma è dubbio il problema, e la legge non risolve espressamente il problema.
Seconda deroga: questi limiti possono essere superati quando ricorrano particolari ragioni che interessano lʼeconomia nazionale: la società può essere autorizzata.
La legge, infine, può aggiungere le disposizioni particolari per le banche, per le società di cartolarizzazione di beni immobili dello stato, per singole categorie o tipologie di interesse.
Sono limiti superabili: le quotate possono superarlo, se vengono sottoscritte da investitori professionali (anche se assumono responsabilità).
Tutele per gli obbligazionisti dopo lʼemissione del prestito
La legge ha dedicato lʼart. 2413 dove si dice che, salvi i casi previsti dal 3 e 4 art. 2412, la società che ha emesso obbligazioni non può ridurre volontariamente capitale sociale o distribuire riserve, se il limite al primo comma non risulta rispettato.
La società deve rispettare i limiti allʼemissione, ma dopo non si può ridurre o distribuire il capitale, aggirando la norma sui limiti. Sono vietate per tutta la durata del prestito tutte le operazioni di riduzione del capitale o distribuzione delle riserve, sempre che i limiti non vengano mantenuti.
Ma se vengo superati i limiti, le operazioni sono vietate.
Se la riduzione è obbligatoria, o quando le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite, la riduzione del capitale si deve fare: le riserve diminuiscono per forza, ma non possono distribuirsi utili finché lʼammontare del capitale sociale non raggiunga i limiti di cui sopra.
Anche la riduzioni per perdite facoltative sono vietate: la legge ci impone di ridurre il capirle per perdite, solo, non quando si registrano perdite superiori a un terzo, ma quando alla fine dellʼesercizio successivo, la perdita si è mantenuta.
Se una società volesse invece ridurre subito il capitale, questa operazione non la si può fare se vengono superati i limiti.
Il problema è la riduzione obbligatoria o facoltativa.
Se viene violata questa prescrizione la conseguenza è la nullità della delibera di riduzione del capitale facoltativa.
Gli obbligazionisti e la loro organizzazione
Art. 2415.
Assemblea degli obbligazionisti.
1. L'assemblea degli obbligazionisti delibera:
1) sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune; 2) sulle modificazioni delle condizioni del prestito;
3) sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato;
4) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul rendiconto relativo;
5) sugli altri oggetti d'interesse comune degli obbligazionisti.
2. L'assemblea è convocata dagli amministratori o dal rappresentante degli obbligazionisti, quando lo
ritengono necessario, o quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentino il ventesimo dei
titoli emessi e non estinti.
3. Si applicano all'assemblea degli obbligazionisti le disposizioni relative all'assemblea straordinaria dei soci
e le sue deliberazioni sono iscritte, a cura del notaio che ha redatto il verbale, nel registro delle imprese. Per
la validità delle deliberazioni sull'oggetto indicato nel primo comma, numero 2, è necessario anche in seconda convocazione il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non estinte.
4. La società, per le obbligazioni da essa eventualmente possedute, non può partecipare alle deliberazioni. All'assemblea degli obbligazionisti possono assistere gli amministratori ed i sindaci.
Gli obbligazionisti si organizzano nellʼassemblea degli obbligazionisti. Lʼassemblea degli obbligazionisti riunisce tutti coloro che sono titolari o possessori di obbligazioni al portatore di unʼautonoma organizzazione. Lʼassemblea ha una serie di attribuzioni: nomina e revoca di un rappresentante comune; sulla costituzione di un fondo spese, sugli altri oggetti di interesse comuni.
La funzione più importante al numero 2: è chiamata a deliberare sulle modificazioni delle condizioni del prestito.
Se non ci fosse questa previsione, tutte le volte che la società volesse modificare le condizioni del prestito dovrebbe ottenere lʼapprovazione di tutti gli obbligazionisti, perché concluso il contratto, la società non può modificare le condizioni, che possono essere modificate solo con il consenso di entrambi i contraenti.
Nel caso del prestito obbligazionario, è lʼassemblea a maggioranza a decidere se approvare o meno modifiche alle condizioni del prestito obbligazioni.
Si riunisce e approva con le previsioni dellʼassemblea straordinaria dei soci, quindi a maggioranza.
Le condizioni del prestito possono essere modificate concordamente durante la vita del prestito: cambiare la natura del prestito non è concepibile, ad esempio, trasformazione un prestito obbligazionario convertibile con uno ordinario.
Art. 2417.
Rappresentante comune.
1. Il rappresentante comune può essere scelto al di fuori degli obbligazionisti e possono essere nominate
anche le persone giuridiche autorizzate all'esercizio dei servizi di investimento nonché le società fiduciarie.
2. Non possono essere nominati rappresentanti comuni degli obbligazionisti e, se nominati, decadono dall'ufficio, gli amministratori, i sindaci, i dipendenti della società debitrice e coloro che si trovano nelle condizioni indicate nell'articolo 2399.
3. Se non è nominato dall'assemblea a norma dell'articolo 2415, il rappresentante comune è nominato con decreto dal tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli amministratori della società.
4. Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a tre esercizi sociali e può essere
rieletto. L'assemblea degli obbligazionisti ne fissa il compenso. Entro trenta giorni dalla notizia della sua
nomina il rappresentante comune deve richiederne l'iscrizione nel registro delle imprese .
Art. 2418.
Obblighi e poteri del rappresentante comune.
1. Il rappresentante comune deve provvedere all'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli
obbligazionisti, tutelare gli interessi comuni di questi nei rapporti con la società e assistere alle operazioni di
sorteggio delle obbligazioni. Egli ha diritto di assistere all'assemblea dei soci.
2. Per la tutela degli interessi comuni ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti anche
nell'amministrazione controllata, nel concordato preventivo, nel fallimento, nella liquidazione coatta
amministrativa e nell'amministrazione straordinaria della società debitrice.
Il rappresentante comune che può essere sia un persona fisica che un ente collettivo, o una società fiduciaria o di gestione del risparmio, è nominato dallʼassemblea degli obbligazionisti.
Il primo comma dellʼart. 2417: il rappresentante comune può essere scelto al di fuori degli obbligazionisti. Il limite: non può fungere un amministratore, sindaco o dipendente dalla società.
Il rappresentante comune è un organo necessario, perché se non viene nominato dallʼassemblea, magari perché non viene raggiunto del quorum, allora può essere nominato dal presidente del tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o dagli amministratori della società.
Eʼ in carica per tre mandati e si applicano le regole proprie degli amministratori.
Cʼè un organizzazione per lʼassemblea e un rappresentante comune: lʼassociazione decide sugli oggetti di interesse comuni.
Art. 2419.
Azione individuale degli obbligazionisti.
1. Le disposizioni degli articoli precedenti non precludono le azioni individuali degli obbligazionisti, salvo che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell'assemblea previste dall'articolo 2415 .
La legge fa salva anche unʼazione individuale da parte degli obbligazionisti ex art. 2419. Le disposizioni degli articoli precedenti non precludono le azioni individuali degli obbligazioni, salvo non siano compatibili con le altre delibere dellʼassemblea.
Qualora lʼasse degli obbligazioni si sia già espressa sul punto, il singolo non può agire controlla decisione dellʼassemblea.
Art. 2420-bis.
Obbligazioni convertibili in azioni.
1. L'assemblea straordinaria può deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il
rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se
il capitale sociale non sia stato interamente versato.
2. Contestualmente la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontare
corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del
secondo, terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2346.
3. Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all'emissione delle azioni spettanti agli
obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli
amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione dell'aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 2444.
4. Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare né la
riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la
ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso depositato presso l'ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convocazione dell'assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione.
5. Nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura dell'aumento o della riduzione.
6. Le obbligazioni convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell'articolo 2414, il rapporto di cambio e le modalità della conversione.
Art. 2420-ter.
Delega agli amministratori.
1. Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di emettere in una o più volte obbligazioni
convertibili, fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data di
iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso la delega comprende anche quella relativa al corrispondente aumento del capitale sociale.
2. Tale facoltà può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.
3. Si applica il secondo comma dell'articolo 2410.
A questo punto ci resta da dire della particolare specie di obbligazioni che sono le obbligazioni convertibili in azioni ex articoli 2420 bis e 2420 ter.
Eʼ una disciplina di relativamente introduzione al codice. Allʼinizio il codice non la prevedeva: è stata introdotta per la prima volta nel 1974, con il regolamento della CONSOB.
Venivano create in un vuoto di diritto.
Si tratta di un prestito obbligazionario, a cui si applica la disciplina generale sulle obbligazioni, salvo deroghe espresse, ed è un prestito obbligazionario che oltre a rappresentare un credito verso la società, attribuiscono anche la facoltà a chi le ha sottoscritte di:
1. rimanere obbligazionisti fino alla scadenza del prestito;
2. o in alternativa di optare per una conversione delle obbligazioni in azioni, in scadenza predeterminate.
Nellʼipotesi tipica, nel programma del prestito si prevede che ogni anno cʼè una finestra nella quale gli obbligazionisti possono dichiarare di voler convertire le loro obbligazioni in azioni.
Lʼobbligazionista può scegliere se rimanere creditore fino al termine o trasformarsi in socio.
Lʼoperazione può favorire lʼaccesso al capitale di rischio anche a soggetti che ne siano interessati.
Attenzione perché la legge disciplina solo una possibile tipologia di obbligazioni convertibili cioè in azioni della medesima società che emette il prestito obbligazionario.
Si può pensare che la società ad emettere obbligazioni sia quella per cui le obbligazioni li sono convertibili in azioni della stessa società (procedimento diretto di emissione).
Nella pratica si verificano anche altre ipotesi:
- ovvero che le obbligazioni siano convertiti in azioni proprie che detiene in portafoglio;
- altra ipotesi (procedimento indiretto di emissione): il prestito prevede la conversione delle obbligazioni in azioni di una società diversa con due sottospecie:
1) o di altra società le cui azioni sono già possedute nel portafoglio della società emittente;
2) o di unʼaltra società, le cui azioni si impegna ad emettere a servizio del prestito. Si presuppone un accordo fra le due società. E facile che ciò avvenga allʼinterno di un gruppo.
Queste ipotesi sia di procedimento diretto sia di procedimento indiretto non sono disciplinate dalla legge e può essere creato qualche problema.
La legge nellʼart. 2420 bis disciplina solo lʼipotesi di emissione di prestito obbligazioni convertibili in azioni della stessa società emittente e di nuova emissione.
Prima bisogna fare una distinzione con un istituto che ha qualche tratto di analogica: obbligazioni con warrant o con opzione di sottoscrizione.
Eʼ frequente, nella pratica, che la società emetta delle obbligazioni munite di questo diritto di opzione di sottoscrizione o di acquisto di azioni. In tal caso, il sottoscrittore ha, oltre ai normali diritti di obbligazionisti, anche un diritto agganciato allʼobbligazione di sottoscrivere azioni, a condizioni o momenti di acquistare azioni di un aumento del capitale o che già ha.
Nel prestito obbligazionario convertibile, lʼobbligazionario ha due scelte, restare obbligazionista o diventare socio. Mentre nelle obbligazioni con warrant i due diritti si cumulano, si può continuare ad essere obbligazionista ed anche socio.
La disciplina delle obbligazioni convertibili
Mentre ogni un prestito obbligazionario ordinario può essere emesso, salva diversa previsione dagli amministratori, lʼemissione delle obbligazioni convertibili sono di competenza dellʼassemblea straordinaria, salva possibilità di delega agli amministratori.
La delibera ha un contenuto specifico: la legge dice che la delibera deve obbligatoriamente prevedere anche la determinazione del rapporto di cambio e il periodo e modalità di conversione.
Xxxxx che sottoscrive deve sapere la convenienza dellʼobbligazione, data non solo da tasso di interesse, ma anche dal rapporto di cambio.
La legge ci dice che lʼemissione di un prestito convertibile, si può adottare se il capitale esistente è già stata versato. Altrimenti è vietata. Se ci sono azioni non interamente liberate, non si può emettere il prestito.
In generale, la legge non dice che è vietato deliberare un aumento di capitale quando ci sono azioni da liberare, ma dice che non si può eseguire una delibera di aumento di capitale. Questa è adottabile legittimamente, anche con azioni non liberate. Quello che non si può fare è dare esecuzione alla delibera, ovvero distribuzione di azioni.
Mentre nel caso di emissione di prestito obbligazionario convertibile, invece, la delibera sarebbe già nulla.
La legge stabilisce che contestualmente allʼemissione di un prestito obbligazionale convertibile, bisogna anche deliberare un aumento del capitale per un ammontare corrisponde alle obbligazioni da convertire in azioni.
In passato poteva accadere che quando arrivava il momento di convertire le obbligazioni, non cʼerano azioni. Oggi invece nella stessa assemblea, bisogna deliberare un aumento di capitale tale da coprire lʼipotesi che tutti gli obbligazioni decidano di convertire. Lʼobbligazionista deve avere la garanzie che le azioni di conversione ci saranno. Eʼ un aumento di captale sui generis, per il quale istituzionalmente è escluso il diritto di opzione dei soci.
Eʼ un aumento a servizio dellʼemissione del prestito. I soci invece hanno diritto di opzione sulle obbligazioni convertibili stesse!
In secondo luogo, è un aumento di capitale ad esecuzione differita, proporzionale e progressiva. Quando ci saranno le finestre temporali entro cui potranno essere convertite le azioni, lʼaumento del capitale sarà progressivo.
Se non è diversamente stabilito, ogni aumento di capitale a pagamento è inscindibile.
O vengono sottoscritte le obbligazioni convertite, o lʼaumento cade. Solo con una previsione di scindibilità, lʼaumento di capitale può avere successo in entrambi i casi, qualunque sia la quota di obbligazioni che verrà deciso di convertire. In caso in cui lʼaumento di capitale sia a servizio, lʼinscindibiità è fissa.
Nella disciplina pre riforma, è scomparso il divieto di emettere le obbligazioni convertibili con disaggio, cioè sotto la pari.
il capitale deve essere sempre coperto ed è vietato emettere azioni sotto la pari, salvo che complessivamente il capitale deve essere coperto dal valore complessivo dei conferimenti. Si deve cioè determinare un rapporto di cambio per cui ciò che chiedo agli obbligazioni copra lʼaumento di capitale a cui darò corso, altrimenti si creerebbe capitale fittizio. ?
Eʼ chiaro che, pendente il termine entro cui gli obbligazionisti hanno diritto di convertire, può succedere che ci siano situazioni che alternano il diritto degli obbligazionisti di ottenere la conversioni, con operazioni pregiudizievoli sul capitale.
La legge allora tutela li obbligazionisti che hanno diritto a diventare soci. Lʼart. 2441 prevede che il diritto di opzione sullʼaumento di capitale a pagamento che la società dovesse fare durante la vigenza di un prestito obbligazionale convertibile. A tale aumento dl capitale, gli obbligazionisti hanno diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione.
Ex art 2420 bis, fin quando non sono scaduti i termini di esercizio di conversione, la società non può deliberare riduzione di capitale o proporzioni di diritto agli utili, salvo agli obbligazionisti convertibili sia data la facoltà di esercitare e il diritto di conversione entro 30 giorni dalla pubblicazione di questi documenti.
Se rendi possibile agli obbligazioni partecipare allʼassemblea di cambiare tali modifiche future, allora questi hanno diritto alla conversione anticipata.
Se la società vuole aumentare il capitale gratuitamente mediane imputazione di riserve o ridurre il capitale per perdite, in questo caso il rapporto di cambio è modificato in proporzione allʼaumento di capitale o per riduzione per perite (variazioni nominali del capitale: va aggiustato in proporzione il rapporto di cambio).
In caso di fusione o scissione della società che ha emesso prestito obbligazionario, ex art. 2503 bis e art. 2503 ter prevede che è il possessore di obbligazioni convertibili deve essere data facoltà dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale, di esercitare il diritto di conversione anticipata (per votare poi contro la fusione).
Lezione 14
In sede di riduzione del capitale per perdite, la società si scioglie almeno che non si provveda a ricostruire il capitale sociale ai minimi previsti.
Non si capisce se il diritto degli obbligazionisti si ricostituisce come diritto di opzione sul capitale sociale.
Il diritto alla conversione anticipata è una tutela per modo di dire. Proprio perchè ha avuto un lungo tempo per valutare se rimanere obbligazionista o diventare socio.
Iniziando il discorso sulle obbligazioni convertibili la legge disciplina solo il procedimento diretto con diritto di conversione delle azioni della medesima società che emette il prestito obbligazionario o con azioni di nuova emissione.
Anche nella pratica si sono venuti a creare altri metodi. Il primo caso è quello del procedimento diretto.
Non cʼè nessuna necessità di una contestuale deliberazioni di capitale nel caso in cui il procedimento si avvalga delle azioni proprie: si può deliberare lʼemissione senza la contestuale aumento del capitale.
Per il resto si ritiene applicabile la disciplina generale delle obbligazioni: finché pende ancora la possibilità di convertire, tutte le cautele valgono anche in questo caso.
Ma poiché in questo caso non si crea nuovo capitale e non si vanno a ledere i diritti degli azionisti, le azioni ci sono già nel portafoglio della società, torna competente a deliberare lo statuto lʼorgano amministrativo.
Poi cʼè lʼaltra tecnica non considerata dalla legge del procedimento indiretto, ovvero del prestito obbligazionario convertibile con azioni di una società terza: di una società del gruppo o di una società terza, previo accordo. Lʼaumento del capitale diventerebbe per questʼultima un aumento di capitale riservato agli obbligazionisti. Eʼ necessario quindi un accordo preventivo perché ci sia una adeguata tutela del diritto di conversione degli obbligazionisti.
Anche per questo tipo di operazione, la competenza è degli amministratori, semmai nellʼaltra società lʼaumento di capitale deve essere deliberato dallʼassemblea straordinaria.
La legge poi prevede che lʼemissione di un prestito obbligazionario convertibile che è di competenza dellʼassemblea straordinaria può essere delegato allʼorgano amministrativo. Allo stesso modo, questa delega può prevedere lʼattribuzione una delega per lʼemissione del prestito obbligazionario convertibile. Questa delega non può però essere indeterminata: può essere previsto dallo statuto (in sede di costituzione di società) fino ad un ammontare predeterminato e per un amassimo di cinque anni e in questo caso la delega, comprende anche la delega per lʼaumento del capitale sociale.
La delega non può mai superare i cinque anni, se per caso fosse previsto un periodo maggiore ci sarebbe una riduzione automatica a cinque anni.
Tale delega non è necessario sia contenuta nello statuto originario, ma può essere attribuita tramite modificazioni dello statuto, ma per un periodo di cinque anni da quando viene deliberata la modifica.
Anche se decide lʼorgano amministrativo, il procedimento di iscrizione di delibera è lo stesso, perché la legge prescrive per le modifiche dello statuto.
Gli strumenti finanziari partecipativi
Eʼ una novità della riforma, suo oggetto misterioso, di difficile inquadramento e collocazione.
Pur essendo nominati in varie parti del codice, la disciplina è demandata quasi interamente allʼautonomia statutaria.
Il quadro normativo è farraginoso:
Lʼart. 2346 è il primo articolo dedicato allʼemissione delle azioni: resta salva la possibilità che la società a seguito dellʼapporto da parte di soci o di terzi anche di opera o servizi emetta strumenti finanziari muniti di diritti patrimoniali o amministrativi. Accanto alle azioni possono essere emessi altri strumenti, emessi a fronte di un apporto che può consistere anche in opera o servizi, che normalmente non sarebbero conferibili in una spa.
Questi strumenti finanziari si caratterizzano per il fatto che attribuiscono diritti patrimoniali o anche diritti amministrativi, che lʼart. 2346 si occupa di limitare.
Lʼultimo comma, infine, prevede che lo statuto ne disciplina le modalità di emissione, i diritti, le sanzioni in caso di inadempimento e, se ammessa, la circolazione.
I diritti attribuiti sono demandati in toto allʼautonomia statutaria e anche la circolazione viene ammessa.
Si potrebbero avere titoli al portatore o nominativi, ma si potrebbero avere anche degli strumenti finanziari non incorporati in titoli, che dovranno essere ceduti come le azioni in caso di non emissione delle stesse.
Strumenti finanziari del genere si trovano anche nellʼart. 2349 (la possibilità di emettere azioni in favore dei prestatori di lavoro). Possono essere in favore di questʼultimi anche gli strumenti finanziari. Eʼ un applicazione generale dellʼart. 2346: anche in sede di attribuzione di utili ai dipendenti è possibile utilizzare questi utili come apporti figurativi con lʼemissione di strumenti finanziari partecipativi.
Art. 2376: disciplina sulle assemblee speciali
Quando la società crea più categorie di azioni viene istituita unʼassemblea speciale: tale regola è estesa anche in presenza di strumenti finanziari partecipativi.
Se esistono diverse categorie di azioni o strumenti finanziari partecipativi, ma solo con accanto diritti patrimoniali. Anche se quando cita “strumenti finanziari” sembrerebbe necessaria la creazione di categorie diverse di strumenti finanziari. In realtà, non dovrebbe essere così, però la lettera della legge non è chiara.
Di strumenti finanziari si parla nellʼart. 2411, di tipologie di obbligazioni: la disciplina si applica anche agli strumenti finanziari che condizionano lʼandamento economico della società.
Lʼart. 2447 bis e seguenti disciplinano i patrimoni destinati: nella delibera che istituisce un patrimonio destinato è possibile lʼemissione di strumenti finanziari con specifica indicazione dei diritti che attribuiscono la partecipazione allʼaffare del patrimonio destinato. Tra lʼaltro, mentre in generale per gli strumenti ex art. 2376 ultimo comma si demanda allʼautonoma statutaria, qui invece si stabiliscono delle regole: qualora siano emessi tal strumenti, la società deve tenere un libro speciale (...): la società quando crea strumenti finanziari partecipativi al patrimonio destinato, deve creare un libro sociale in più.
Art. 2447 octies: per ogni categoria di strumenti finanziari, lʼassemblea dei possessori delibera una serie di attribuzioni prevista per lʼassemblea degli azionisti: traccia di questi
strumenti la troviamo in sede di bilancio della società. La norma al n. 19 ex 2417 devono essere indicati il numero e le caratteristiche, i diritti attribuiti: ciò in nota integrativa.
La terminologia è poco rigorosa: “diritto partecipativo” usato come sinonimo di “amministrativo”.
Con il consenso unanime dei soci e degli altri strumenti finanziari, lʼorgano amministrativo può in caso di scissione ex art. 2506 ter.
In tema di società cooperative, è stata nominata una commissione ministeriale per la redazione della riforma. Nellʼart. 2526 si rinvia per la loro disciplina per quanto previsto per gli analoghi strumenti della società per azioni: ma qui non cʼè alcuna disposizione! Anzi la disciplina nella società cooperativa è più ricca.
La fonte principale di disciplina rimane comunque per legge lo statuto.
Questi apporti possono essere? Questi strumenti prevedono apporti che vanno ad integrare il patrimonio della società.
Quanto durano questi strumenti? O per tutto il tempo di vita della società, o con una durata limitata.
Bisogna avere la prestazione comʼè disciplinata, come devʼessere prestata questʼopera o servizio.
Altro problema emerge circa la trasferibilità di questi strumenti, a seconda delle prestazioni oggetto degli strumenti.
Cʼè una miriade di situazioni che gli statuti dovrebbero disciplinare.
La legge neppure sceglie quale organo abbia il potere di emettere tali strumenti. Eʼ sorto un contrasto fra interpreti:
- fra chi ritiene che spetti allʼassemblea straordinaria perché potrebbero ledere i diritti dei soci;
- lʼemissione di questi strumenti è pur sempre un atto di gestione, quindi allʼorgano amministrativo. Cʼè anche un argomento testuale in favore di questa tesi: la costituzione di un patrimonio destinato è di competenza dellʼorgano amministrativo e siccome lʼemissione di strumenti finanziari partecipativi deve essere contenuta nella deliberazione di emissione, spetterebbe agli amministratori emettere questi strumenti finanziari.
Eʼ lo statuto comunque ad indicare lʼorgano deputato.
In base alla tipologia xxxxxxxxx:
- se sono apporti che vanno ad integrare il patrimonio sociale, verrà creata una riserva;
- se sono apporti di opera o servizi, non saranno iscritti fra le poste del netto, ma rimarranno come arricchimento della società non contabile;
- se addirittura si ammette che questi apporti sono di capitale di credito, allora andranno a costituire una posta del passivo reale.
Eʼ evidente che questi strumenti potranno rappresentare unʼutile alternativa al fenomeno dei versamenti dei soci in conto capitale ovvero quei versamenti a fondo perduto che vanno a costituire una riserva della società, preferendo mantenere un capitale ridotto, creandosi una riserva comunque disponibile con vincolo ridotto rispetto al capitale.
Questi strumenti devono essere dotati di diritti patrimoniali: la legge demanda agli statuti la definizione di questi diritti:
- diritto a partecipare alla distribuzione degli utili;
- a partecipare alla liquidazione in caso di scioglimento;
Potrebbe essere lʼattribuzione di un diritto ragguagliato alla misura degli utili.
Eventuali diritti amministrativi, salvo lʼart. 2346 del divieto di voto, potrebbero essere simili a quelli delle azioni:
- di esercitare un controllo sullʼoperato degli organi sociali;
- di impugnare le delibere sociali;
- di attribuire ai titolare di questi strumenti di autorizzar determinate situazioni della società;
Il punto più delicato è il voto: lʼart. 2351 dedicato al diritto di voto per le azioni, si aggiunge una norma che strude con il 2346: “gli strumenti finanziari del possono essere dotati del diritto di voto su argomenti”. Questa disposizione va coordinata con quella dellʼart. 2346 dove si esclude il voto nellʼassemblea generale.
Questo eventuale diritto di voto si esercita:
- nel senso di nominare un amministratore o un sindaco: siccome è prevista lʼassemblea speciale, questa provvederà secondo le previsioni dellʼassemblea straordinaria, provvederà a nominare amministratore o sindaco.
- se invece la previsione del diritto di voto riguarda specifici argomenti, che sono di competenza dellʼassemblea dei soci. Se lʼargomento particolare è “approvazione del bilancio”, lʼassemblea degli strumenti finanziari voterebbe contro? Se si applicassero le disposizioni dellʼassemblea speciale degli azionisti, essi avrebbero un diritto di veto sul bilancio
Per questʼultimo problema, ci sono allora solo due possibili soluzioni da adottare nello statuto:
- stabilendo quanto vale il voto rispetto alla maggioranza dellʼassemblea generale. Bisogna stabilire un rapporto, parametrare il peso del voto degli strumenti rispetto allʼassemblea ordinaria. In tema di cooperativa è previsto che il voto non può mai superare il terzo rispetto a quello dei soci.
- Il legislatore avrebbe voluto dire che il diritto di voto non può mai avere una portata generale, ma che sia specifico di determinati argomenti. Ma se lo specifico argomento è lʼapprovazione del bilancio, votano anche i possessori degli strumenti finanziari partecipativi.
La legge non dispone neppure una proporzione massima fra strumenti partecipativi e quantità di azioni. Questo è grave perché potrebbe essere dʼaiuto al fenomeno della sotto- capitalizzazione. Potrebbero trovare più comodo trovare apporti di patrimonio senza capitalizzarli, piuttosto che ricorrere alla capitalizzazione vera e propria.
Questo è un buco nella legge perché un tetto forse andava previsto.
Altro problema è la tutela dei possessori di questi strumenti: solo la costituzione di unʼassemblea speciale che ha come funzione unica che la sua deliberazione deve essere conforme alla deliberazione dellʼassemblea dei soci che deliberi pregiudicando i diritti dei possessori dei strumenti finanziari.
Manca una previsione, come accade per le obbligazioni, una previsione contro le modifiche alle condizioni del prestito; perché ci sono una serie di operazioni che la società potrebbe fare. Lʼassemblea speciale decide sulla codificazioni dei diritti finanziari.
Soprattutto ci possono essere una serie di pregiudizi indiretti che non trovano tutela allʼapprovazione di diritti speciali che possono venire ad alterare nei fatti i diritti a favore degli strumenti finanziari.
Ad esempio un aumento a capitale gratuito che di fatto porta alla compressione dei diritti di strumenti: aumenta la distruzione di utili a capitale a discapito degli strumenti finanziari.
Non è previsto un diritto di recesso, anche in casi gravi, alla codificazione dellʼoggetto sociale. Casi in cui i soci dissenzienti hanno diritto di recesso.
Ci possono essere pregiudizi che possono arrivare agli strumenti finanziari per effetto della gestione rovinosa da parte degli amministratori. Mentre i soci possono revocarli, i possessori di strumenti finanziari non hanno modo di incidere sugli amministratori.
Problema ultimo che va ripreso riguarda il rapporto fra la previsione dellʼultimo comma dellʼart. 2356 e lʼultimo comma dellʼart. 2311: bisogna isolare la fattispecie strumenti finanziari partecipativi dalla fattispecie azioni ed obbligazioni.
La distinzione sarebbe sterile: con lʼelasticità che cʼè con le categorie di azioni avrebbero più forti sul piano amministrativo o patrimoniale, o viceversa.
Lʼunica possibilità per recuperare questa distinzione è far si che gli strumenti finanziari aperti dotati o meno diritti amministratori siano sempre emessi con apporto di rischio, con nessuna garanzia di restituzione dellʼapporto, o meglio qualora si sia conservato.
Forse ci sono elementi ricavabili dalla legge per sostenere questa soluzione. Non cʼè mai lʼʻindicazione che lo statuto deve precedere la disciplina del ricorso;
- si usa il termine “apporto” anziché prestito. è qualcosa che va a finire a patrimonio;
- gli strumenti finanziari trovano la loro disciplina insieme alle azioni.
Se questo quadro ha un senso allora la distinzione rispetto alle azioni è chiara.
Le obbligazioni, infatti, danno sempre restituzione allʼapporto, anche se condizionata o subordinata. Sono trattati come i soci, non come gli obbligazionisti.
Per distinguerli dalle azioni cʼè solo un dato esteriore, cioè si tratterebbe di apporti che anche quando lo potrebbero essere non sono mai capitalizzati, perché sono strumenti e non capitale.
La differenza sarebbe quindi solo esteriore.
In questa prospettiva lʼart. 2411 ultimo comma, questi danno comunque alla restituzione di un rimborso.
Cʼè una bella differenza fra obbligazioni e strumenti finanziari. Ma per limiti e altre previsioni dispone lo statuto:
1) Si cerca una ricostruzione del rapporto di tipo diverso: si arriva a dire che quando si creano strumenti privi di poteri amministrativi e attribuiscono diritto pieno al rimborso, siamo nellʼambito delle obbligazioni. In questo caso bisognerebbe comunque stabilire un tetto allʼemissione. Anche se non considerate obbligazioni con queste previsioni bisogna applicare la norma sui tetti allʼemissione.
2) Se invece vi sono strumenti che non attribuiscono diritti al rimborso, allora si applicherebbero le regole degli strumenti finanziari partecipativi.
In realtà, la pure moltiplicazione degli strumenti può causare confusione.
Lezione 15
Il patrimonio destinato
VI sono due modelli di patrimonio destinato.
Primo modello
Patrimonio destinato in senso proprio o modello operativo o organizzativo: allʼinterno del patrimonio complessivo della società, se ne isola una parte che viene separata e destinata in via esclusiva a svolgere uno specifico affare (una specifica operazione economica): unʼoperazione simile può servire come strumento di finanziamento, perchè è possibile quando si costituisce un patrimonio destinato prevedere che questo patrimonio possa essere arricchito anche da apporti di terzi (società con propria soggettività o persone fisiche), con la possibile emissione a fronte di questi apporti di strumenti finanziaria partecipativi, come già accennato.
Oltre che come strumento di finanziamento, può essere, assieme o in alternativa, uno strumento di collaborazione fra più società perchè ad esempio due società che si mettono dʼaccordo di costituire entrambe patrimoni destinati, è possibile creare un intreccio di partecipazioni reciproche (come strumento di collaborazione), una sorta di joint venture; oppure nellʼipotesi più semplice può essere un mezzo per compartimentare i rischi allʼinterno di una semplice società, in tal modo ciò può determinare una situazione per cui una certa operazione economica più rischiusa, la società destinando e separando una parte del patrimonio, al massimo rischia quella parte del patrimonio per quellʼoperazione e non risponde con il resto del patrimonio. Quindi presenta una molteplicità di opzioni:
- strumento di finanziamento;
- strumento di collaborazione
- strumento di limitazione di rischi.
Secondo modello
Alla lettera b), si dice che la società può convenire che nel contratto operativo al finanziamento di uno specifico affare, al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati i proventi dellʼaffare stesso.
La fattispecie è molto semplice: la società ha bisogno di essere finanziata e adotta un finanziatore a cui dico: “ho un operazione in mente con buone prospettive di reddito”, ma nessuna garanzia: lʼunica garanzia sono le prospettive di guadagno: “tutti i proventi che si realizzeranno dallʼaffare saranno in primo luogo destinato a rimborsarsi, sari preferito a tutti gli altri creditori. Non cʼè alcuna separazione patrimoniale.
Eʼ un modello finanziario, in cui non cʼè allʼinizio una destinazione di un patrimonio, ma cʼè unʼaffare che viene finanziato da un terzo e sui proventi dellʼaffare si crea un patrimonio separato per garantire al terzo la restituzione del prestito. Eʼ quindi uno strumento pensato per facilitare lʼaccesso al credito per società che non sono in grado di offrire altri tipi di garanzie.
Nel primo caso, nel modello operativo, la separazione patrimoniale riguarda il patrimonio della società ed è una scissione entro societaria (la scissione è quel fenomeno opposto alla fusione per cui una società isola parte del suo patrimonio e la trasferisce ad un altra società di nuova costituzione o già esistente, in cui quindi si scorpora una parte del patrimonio.
Il patrimonio destinato è analogo, ma con la differenza che il patrimonio destinato rimane allʼinterno della società e rimane in capo dello stesso soggetto che ha fatto lʼoperazione.
Nel caso del modello finanziario, la separazione patrimoniale non riguarda il patrimoniale della società in quanto tale ma i proventi dellʼoperazione che non vanno a confondersi con il patrimonio della società.
La disciplina del patrimonio destinato
Nel senso proprio, la società costituisce una o più patrimonio destinato. Tale fenomeno di separazione del patrimonio è già ben noto prima della riforma.Storicamente fenomeni simili si sono trovati sempre nellʼambito del diritto civile, ad esempio per la famiglia, con un fondo patrimoniale della famiglia. Oppure in tema di successione, basti pensare al caso in cui il soggetto muore e il figlio accetta lʼeredità con beneficio dʼinventario. Se uno accetta lʼeredità con beneficio, accetta lʼeredità, ma risponde dei debiti solo col patrimonio attivo che mi arriva, e si mantiene separato il patrimonio del defunto rispetto al mio patrimonio.
Fenomeni di separazione patrimoniali si ritrovano in settori più vicini a noi, come nel TUF, con molti esempi di questi tipo, come lʼart. 22, “nella prestazione dei servizi dʼinvestimento costituiscono patrimonio destinato a tutti gli effetti da quello dellʼintermediario e da quello degli altri clienti: tutto viene raccolto dai clienti va a costituire patrimoni separati rispetto a quelli dellʼintermediario e degli altri clienti: viene fatto per impermeabilizzare le singole operazioni, affinché non vengano travolte tutte.
Nel caso di società costituite per la cartolarizzazione dei debiti: ogni cartolarizzazione va a costituire un patrimonio separato dagli altri.
La novità fondamentale della riforma è che la possibilità di creare patrimoni separati è diventato una possibilità concessa a tutte le società per azioni, e si caratterizza da una separazione patrimoniale che si fonda su un vincolo di destinazione. Qui cʼè una destinazione patrimoniale in funzione dello svolgimento di una certa attività.
Eʼ importante, perché chiude un cerchio storicamente perché nellʼultimo tassello di un lungo cammino che era iniziato quando per la prima volta alle società azionarie era stata concessa la limitazione della responsabilità.
In origine, il fenomeno della responsabilità limitata sorge con la Compagnia delle Indie (1600) nasce lʼSocietà per azioni: si afferma la limitazione integrale della responsabilità e la società risponde delle sue obbligazioni sociali solo con il loro patrimonio, i soci non rispondevano, se non rischiando ciò che avevano conferito. Era un concessione fatta dal sovrano, che garantiva loro la responsabilità limitata.
Il secondo passaggio del fenomeno è quando la responsabilità limitata non è più concessione straordinaria del sovrano, diventa un fatto ordinario e divengono ammesse le società anonime (chiamate così fino allʼ800) che godevano di per se della responsabilità limitata.
Il passaggio successivo è la possibilità di costituire una spa con socio unico con responsabilità limitata.
Allʼinterno stesso della società è possibile creare unʼulteriore separazione patrimoniale. Il soggetto è diviso.
In questo modo la società rende impermeabili le due parti del suo patrimonio indistintamente. Se viene destinato parte del patrimonio per una certa attività economica, di queste obbligazioni risponderà la società ma solo con la parte del patrimonio destinata per quel specifico affare. Per le restanti obbligazioni, risponderà il patrimonio residuo.
Nel caso lʼaffare vada male, i creditori dello stesso potranno aggredire solo quel patrimonio destinato: è il fenomeno della separazione patrimoniale. Allo stesso modo gli altri creditori della società non potranno aggredire il patrimonio destinato.
“specifico affare”: “specifico” perché lʼoperazione deve essere individuata, e potersi
distinguere dalla residua attività della società.
“affare” = è un termine già usato nellʼordinamento, ad esempio, quando la legge disciplina lʼassociazione in partecipazione: contratto con il quale soggetto attribuisce ad un altro soggetto una partecipazione agli utili; o ancora, “affare” si ritrova anche nella mediazione: il mediatore ha diritto ad una provvigione per gli affari che mette in moto.
“affare” individua unʼinsieme coordinato di atti giuridici (operazione economica) tali da rendere possibile la produzione di un utile.
Si distingue lʼ “impresa” da un “affare”, perché lʼaffare è un operazione economica in se conclusa che ha un inizio e una fine. Eʼ unʼattività coordinata.
Il problema è capire se la legge per il patrimonio destinato ha inteso “affare” in questʼultimo senso. Ritorna il problema delle azioni correlate: particolare categorie di azioni che la legge consente di introdurre nello statuto della società, secondo cui queste azioni partecipano ai risultati della società.
La legge ha voluto riservare quella separazione contabile quando si fanno azioni correlate ad un settore, o quando si vuole destinare una componente patrimonio ad un affare: sono interscambiabili “settore” e “affare”?
Il legislatore ha dato vita a questa fattispecie di patrimonio destinato perché vuol favorire la creazione di patrimoni impermeabili senza necessità di costituire nuove società, forse il legislatore ha voluto lʼuso più largo possibile di questo strumento: questo vuol dire che si può destinare parte del patrimonio non solo in ragione di un affare, ma anche di un ramo dʼazienda: questa posizione è dubbia.
Si dice che lʼistituto del patrimonio destinato non è alternativo alla creazione di una spa. In passato era possibile costituire una nuova società o deliberare una scissione: quindi con questo strumento cʼè un favor verso questo istituto per non moltiplicare il numero di società.
Il limite che rimane sempre è lʼoggetto sociale. Siccome non creiamo nuovi soggetti e rimane la società: è necessario che lʼattività che si vuol esercitare col patrimonio destinato sia qualcosa che sia entro lʼoggetto sociale della società, non si possono superare i limiti dellʼoggetto sociale. Altrimenti lʼunica possibilità per uscire dallʼoggetto sociale è cambiare lʼoggetto sociale con modifica statutaria, o costituire una nuova società.
Questa possibilità di dar vita a patrimoni destinati ha due limiti:
- un limite quantitativo;
- un limite che concerne lʼoggetto dellʼattività. Il limite quantitativo
Art. 2447 bis, c. 2: salvo quanto disposto da leggi speciali, il patrimonio destinato ai sensi della lettera a) (modello operativo) non può essere costituito per un valore superiore al 10% del patrimonio netto della società.
Cʼè un limite che è dato dal 10% del patrimonio della società che riguarda solo la prima ipotesi dellʼoperazione.
Tale limite non è ben compreso, in quanto costituisce un freno allo sviluppo di questo strumento. Per il patrimonio destinato del secondo tipo non ci sono limiti, perché non cʼè nessuna separazione iniziale del patrimonio della società, riguarderà solo ciò che si guadagna con lʼaffare.
Lʼunico dubbio potrebbe riguardare il momento in cui calcolare il valore del patrimonio netto per determinare il 10%: è lʼultimo bilancio approvato (come per lʼemissione delle obbligazioni) o il momento in cui viene costituito il patrimonio destinato? Inoltre non è
prevista alcuna relazione patrimoniale prima di effettuare lʼoperazione. Devono essere gli amministratori a stabilire il momento.
Al patrimonio destinato si possono trasferire passività o anche attività?
La soluzione cambia radicalmente ciò che si può trasferire. Se si possono spostare anche passività, ipotizzando una società che ha un patrimonio di 100 con debiti di 900, si potrebbe stabilire un valore di patrimonio separato con 10 di PN e 900 di debiti: di fatto ho spostato tutti i debiti al patrimonio destinato. Se invece si possono destinare solo attività al patrimonio separato, si potrà spostare solo 10. Sono situazioni radicalmente diverse.
Entrambe queste tesi hanno argomenti a loro favore:
1. Lʼassegnazione anche di passività viene giustificata con i seguenti argomenti: se lʼobiettivo è rappresentare unʼalternativa alla costituzione della nuova società è chiaro si possa conferire anche debiti, purché il saldo sia sempre attivo; e ancora, altro argomento, è che nellʼart. 2347 ter dove si indica il contenuto della deliberazione del patrimonio destinato, fra le deliberazioni, si parla di indicazione di beni e di rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato. Un rapporto giuridico può essere sia passivo che attivo: nulla impedirebbe che venissero assegnate anche passività e non solo attività.
2. I sostenitori ella tesi più rigorosa: lʼeffetto dellʼammettere passività al patrimonio destinato sarebbe che alcuni creditori si vedrebbero restringere la loro garanzia solo al patrimonio destinato (1) e verrebbe svuotato il limite del 10% del capitale che la legge che potuto prevedere (2): di fatto di potrebbe destinare la totalità delle passività.
3. Qualcuno ha posizioni intermedie, ossia che il limite del 10% vada calcolato solo sulle attività e non sulle passività.
Questo rapporto 1 a 10 viene imposto dalla legge solo allʼatto di costituzione del patrimonio destinato: non è previsto nulla nel caso il rapporto si rompa in seguito. Il caso è diverso dal capitale sociale, dove la legge ex art. 2413 predispone dei meccanismi di riduzione del patrimonio per perdite: sono meccanismi di tutela del rapporto sociale.
Nel patrimonio destinato il vincolo cʼè nel momento della costituzione, ma poi le vicende successive potrebbero mutare il rapporto.
Il rapporto di 1 a 10 va comunque valutato complessivamente, sullʼinsieme dei patrimoni destinati costituiti successivamente: la società infatti può costituire uno o più patrimoni destinati. Il limite va rapportato allʼinsieme dei patrimoni destinati.
Lʼultimo patrimonio netto destinato costituito deve rimanere allʼinterno del rapporto 1 a 10. Si dovrà tener conto del netto della società, scontando i patrimoni già costituiti: dovrà sottrarre al PN della società le componenti già destinati e sul residuo calcolare il 10%;
i patrimoni inoltre vanno calcolati sul valore attuale e non su quello contabile. Nel momento in cui si costituisce un nuovo patrimonio si dovrà valutare, per restare entro il 10%, ai valori reali del patrimonio della società e dei patrimoni destinati.
Il primo limite è quello quantitativo ed è molto rigoroso, se si ritiene che non si possano assegnare anche passività.
Il limite che concerne lʼoggetto dellʼattività
Lʼart. 2347 bis c.2, secondo limite: non possono essere costituiti patrimoni destinati per affari attinenti ad attività destinati a specifi (...)
Lʼattività bancaria è riservata a determinati soggetti con precise autorizzazioni. La creazione di patrimonio destinato non può essere costituito per aggirare queste riserve di legge. Inoltre, rimanendo sempre unico il soggetto, lʼaffare non può mai essere fuori dallʼoggetto sociale. Se non è lʼoggetto sociale svolgere attività bancaria, non si potrà svolgerla con un patrimonio destinato.
In questo caso la costituzione del patrimonio destinato sarebbe nulla, per violazione di legge di modifica dellʼoggetto sociale.
Tutti questi articoli sono destinati al primo modello di patrimonio destinato, salvo lʼultimo comm decies.
1247 ter, cc.2
Salvo diverse disposizioni dello statuto, la deliberazione di costituzione di patrimonio destinato è adottata dallʼorgano amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi componenti: cʼè la competenza naturale dellʼorgano amministrativo.
Lo statuto potrebbe contenere una diversa previsione.
Quando cʼè un Consiglio di amministrazione ed è costituito con la maggioranza dei componenti, ma vota a maggioranza semplice: questa è la regola generale; mentre in questo caso è necessaria la maggioranza assoluta: si richiede una maggioranza rafforzata rispetto a quella ordinaria.
La legge poi non richiede che la possibilità di costituire patrimoni destinati sia presente in statuto: il regime è lo stesso per lʼemissione di obbligazioni: anche se lo statuto non dispone nulla. Mentre per gli strumenti finanziari è possibile emetterli, solo se previsto dallo statuto.
Si accentua anche per questa xxx xx xxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx amministrativo nella gestione della società.
La legge fa salva la possibilità di una diversa previsione dello statuto e sarà possibile prevedere che la competenza sia assegnata allʼassemblea, sia ordinaria che straordinaria, anche se si può discutere. Ciò che non si può prevede statuariamente, è modificare i quorum previsti. Eʼ pacifico che quellʼespressione “salvo diversa previsione” non può riguardare la decisione in Consiglio di amministrazione secondo un quorum ordinario, non sarebbe lecito.
La deliberazione deve avere un contenuto che la legge dettaglia in modo complesso. Questa deliberazione in forma dellʼart. 2447 quater impone che la deliberazione sia depositata ed iscritta a norma dellʼart. xxx: a legge applica alla costituzione di un patrimonio destinato lo stesso iter le modificazioni statutarie. La delibera va verbalizzata da un notaio, questo verifica le condizioni di legge e poi iscrive la delibera nel registro delle imprese. Il verbale è redatto al notaio e anche il controllo che egli fa è lo stesso per la modifica dello statuto: vi è unʼintegrale applicazione dellʼart. 2436.
Anche il controllo della legittimità della deliberazione è in capo al notaio, in modo che sia conforme allʼart. 2447 ter. Il notaio deve controllare che siano state rispettate le previsioni di legge: che abbia i contenuti di legge, rispettati i limiti.
Lʼeffetto che si vuole raggiungere dalla costituzione del patrimonio destinato, la sia ha con il passaggio di due mesi dal momento in cui la deliberazione viene iscritta nel Registro delle imprese, e questo ritardo nella produzione degli effetti (normalmente le delibere prendono effetto dal momento dellʼiscrizione nel Registro delle imprese): per delibere più delicate lʼeffetto è differito, ad esempio, la delibera di riduzione effettiva del capitale sociale non diviene efficace e non può venire eseguita perché la legge concede un termine ai
creditori per opporsi alla costituzione. Anche in casi di delibera di fusione e scissione bisogna lasciare un margine di tempo per lʼopposizione dei creditori sociali.
a) nella lettera a) si indica lʼaffare destinato al patrimonio;
c) beni e rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato (che fa pensare che anche passività possano passare al patrimonio destinato): non devono avere particolari qualità, non è necessario che ciò che viene separato debba essere utilizzato per lʼaffare specifico. Lʼaffare può comunque essere realizzato utilizzando i beni della società.
La legge parla di beni e di rapporti giuridici senza parlare di beni organizzati!
La genericità di ogni bene o rapporti giuridici è trasferibile non cʼè alcun limite salvo per quanto già detto per le passività.
c) deve essere contenuto il piano economico finanziario da cui risulti: bisogna che ci sia una reazione, un piano economico finanziario che individui i risultati economici che si attende dallo svolgimento dellʼaffare. Il rapporto di congruità delle risorse: concetto introdotto solo in tal caso, ma non quando si costituisce una società (eccetto il limite minimo dei capitali). In tal caso è necessario dimostrare che i mezzi siano congrui: questo perché il patrimonio destinato non ha un capitale minimo, mentre nella società cʼè un meccanismo di tutela di integrità del capitale. Nulla di tutto questo cʼè per il patrimonio destinato. Non è necessaria un stima di un terzo, è un operazione che si svolge allʼinterno della società.
Questa valutazione va fatta allʼinizio e non cʼè alcun strumento di controllo, almeno che, quando lʼaffare diventi impossibile, la legge stabilisce le regole per la cessazione della destinazione patrimoniale. La legge non impone nessun controllo del mantenimento del rapporto di congruità fra risorse.
Per “le modalità e le regole per lʼimpiego di questo patrimonio”: disposizione strana perché il patrimonio destinato deve utilizzato in via esclusiva per la realizzazione dellʼaffare. Eʼ una disposizione sovrabbondante.
d) nella deliberazione devono essere indicati gli apporti di terzi, le modalità di controllo della gestione (...). Lʼaffare può essere perseguito solo con i mezzi della società, ma si può prevedere che anche terzi apportano mezzi a riguardo e ciò può avvenire in una sorta di “associazione in partecipazione”: operazione per cui a qualcuno in cambio di un apporto viene attribuito una partecipazione agli utili.
Lʼapporto di terzi non deve rimanere nel limite del 10% del patrimonio netto della società. Questo apporto di terzi deve essere documentato come con lʼemissione di strumenti finanziari partecipativi, a fronte di apporti che possono essere costituiti anche di opera o servizi. La legge può prevedere che a fronte di questi apporti vengano emessi strumenti finanziari parteciparti.
Eʼ possibile un conferimento al patrimonio destinato che riguarda solo il patrimonio destinato e quellʼoperazione.
Gl amministratori lo costituiscono e possono contrattare che i terzi possano apportare qualcosa a fronte di una partecipazione agli utili con una remunerazione di rischio: non è necessario alcuna modifica dello statuto.
Gli apporti di terzi non si devono conteggiare nel calcolo del limite del 10%.
La legge è oscura sui diritti che possono essere attribuiti a questi strumenti. Quando ci sono strumenti finanziari partecipativi devono essere previsti degli apporti.
Non si parla di diritti amministrativi, ma si dice nella lettera d) che si debbano indicare le modalità di controllo sulla gestione affidata ai terzi: oltre a questi eventuali potere di controllo, qualcuno sostiene che i diritti amministrativi sarebbero attribuibili solo in ragione allʼaffare, ad esempio per determinate autorizzazioni in relazione a operazioni particolari nellʼambito della gestione dellʼaffare.
La legge prevede in maniera più dettagliata una disciplina di questi strumenti: prevede unʼorganizzazione della categoria, prevedendo unʼassemblea speciale e un rappresentante comune. Viene copiata la disciplina delle obbligazioni da questo punto di vista. Quando vengano emessi strumenti di partecipazione allʼaffare, si prevede che venga emesso un nuovo libro sociale.
Lezione 16
Ci siamo chiesti se accanto ai diritti patrimoniali, se gli strumenti finanziari possano essere dotati anche di diritti amministrativi. Quando una legge parla di strumenti finanziari rappresentativi, la legge dice che sono dotati di diritti patrimoniali o amministrativi, nel lʼart. 2347 ter, si parla di strumenti partecipativi, senza parlare di altri diritti amministrativi, che devono comunque riguardare soltanto lo svolgimento dellʼaffare specifico e non lʼintera vita della società in quanto tale.
Siccome la legge prevede alla lettera d) che si debbano prevedere le modalità di controllo della gestione di terzi, è ovvio che se siano emessi strumenti finanziari, il possessore avrà diritto di esercitare questi strumenti di controllo nei confronti dei terzi che abbiano effettuato apporti.
La legge prevede anche unʼorganizzazione particolare di categoria e un libro per gli strumenti finanziari di partecipazione.
Nella delibera deve essere contenuta la nomina di un revisione legale, quando la società non sia sottoposta a revisione legale. Se la società non è sottoposta ad un regime di revisione legale, se si costituisce un patrimonio destinato, è necessario comunque individuare un revisione sterno, che sia una persone fisica o una società di revisione. Cʼè un obbligo nel caso la società non sia già sottoposta alla regime di revisione.
Alla lettera g) Xxxxxx essere poi indicare le regole di rendicondazione dello specifico affare. Si parla dellʼaspetto sulla contabilità del patrimonio destinato.
Questo è il contenuto obbligatorio o eventuale (nel caso siano emessi strumenti finanziari partecipativi).
Eʼ lʼorgano di gestione incaricato ad emettere tali strumenti, con maggioranza assoluta dei componenti e non dei presenti, come prevede la regola generale.
Lʼatto di delibera ha la funzione di tutela dei creditori sociali: quando si delibera lʼistituzione del patrimonio destinato, si separa una parte del patrimonio sulla quale i creditori sociali non potranno più rivalersi: è evidente che i possessori sono pregiudicati, perché nel momento in cui si consolida il patrimonio destinato, la garanzia diminuisce.
Non cʼè molta differenza rispetto a quanto accade quando la società riduce il capitale in modo effettivo. Dato 100 in patrimonio, dopo lʼoperazione sarà inferiore.
Lo stesso effetto si determina nei confronti dei creditori quando si costituisce un patrimonio destinato.
Art. 2447 quater
Ecco allora che la legge prevede in primo luogo che la deliberazione deve essere depositata a norma di quanto previsto per le modifiche statutarie, anche se tale istituzione non è una modificazione statutaria: la delibera deve essere verbalizzata dal notaio, subire controllo notarile e iscrizione della deliberazione nel Registro delle imprese (pubblicità legale necessaria).
Al secondo comma, entro il termine dei 60 giorni, i creditori sociali anteriori allʼiscrizione della delibera nel Registro delle imprese, i creditori sociali possono fare opposizione: la delibera è sospesa nella sua efficacia perché si deve dare tempo ai creditori sociali di fare opposizione; stessa cosa accade nellʼipotesi di delibera di riduzione del capitale effettivo, per dar modo anche in tal caso ai creditori di fare opposizione.
In tal senso sono solo i creditori anteriori a dover fare opposizione. Evidentemente un creditore che diventi tale dopo lʼiscrizione nel Registro dellʼimprese, si presume essere a conoscenza (o fosse conoscibile) il fatto nuovo dellʼistituzione del patrimonio destinato, quindi sulla base di un patrimonio già decurtato. Lʼesigenza di tutela quindi cʼè solo per i creditori anteriori.
La legge aggiunge ancora che nonostante lʼopposizione, il tribunale può disporre che sia data esecuzione allʼoperazione, previa reale garanzia prestata dalla società nei confronti dei creditori oppositori.
Lʼopposizione non blocca lʼoperazione, perché se la società presta reali garanzie nei confronti dei creditori oppositori: il tribunale può reputare tale garanzia idonea, e dar corso allʼoperazione, al di la se lʼoperazione in sè sia o meno idonea.
Ex art. 2445, invece, il tribunale può dar corso allʼoperazione non solo quando la società abbia prestato idonea garanzia, ma anche quando non esista il fumus di un pericolo di pregiudizio).
In caso di istituzione di patrimonio, Il tribunale invece dovrà valutare solo se vi sia o no pregiudizio per i creditori, e non il fumus.
Il tribunale verificherà lʼidoneità della garanzia offerta dalla società, che riguarda i soli creditori che fanno opposizione, mentre quelli che non fanno opposizione si ritiene si sentano sufficientemente tutelati.
Superato questo ostacolo e solo una volta superato questo ostacolo (la sospensione di 60 giorni o anche per un tempo più a lungo nellʼattesa si pronunci il giudizio di opposizione), solo dopo si determinano gli effetti dellʼistituzione del patrimonio destinato:
- disciplinati nellʼart. 2447 quinques: la separazione patrimoniale si sostanzia in due aspetti speculari: da un lato nella regola che i creditori generali della società non possono far valere più alcun diritto ne sui beni ne sui proventi cui si riferisce al patrimonio destinato, salvo tali proventi spettino alla società. I creditori sociali per la soddisfazione dei loro crediti avranno soddisfazione solamente sulla parte restante del patrimonio, e neppure sui proventi maturati dal patrimoni destinato, salvo per la parte dei proventi destinati alla società stessa (1) .
- Specularmente a questo, cʼè la regola che i creditori particolari possono rivalersi dei loro creditori unicamente su ciò che va a istituire il patrimonio destinato.
Lʼeffetto è creare unʼimpermeabilità fra due patrimoni, ma la differenza avviene allʼinterno di un unico soggetto: nellʼambito di un unico soggetto si possono avere due patrimoni, i creditori maturati nellʼesercizio dellʼaffare specifico potranno rivolgersi solo al patrimonio dellʼaffare.
Vi sono però delle eccezioni importanti:
a) eccezione convenzionale a questa permeabilità ex 2447 quinquies, è possibile che la stessa deliberazione di istituzione del patrimonio destinato preveda una responsabilità della società anche nella parte restante del patrimonio per tutte o per alcune delle operazioni svolte nella gestione dello specifico affare: cʼè una responsabilità sussidiaria della società rispetto a tutte o una parte delle obbligazioni svolte nellʼesercizio dellʼaffare speciale. Tale responsabilità sussidiaria opera solamente a favore dei creditori sorti nellʼesercizio del patrimonio destinato: se questo è stabilito nella delibera del patrimonio destinato. Dallʼaltra parte, i creditori sociali continueranno a poter soddisfarsi solo sul restante patrimonio, avendo in più la concorrenza anche dei creditori particolari: saranno quindi più pregiudicati: ciò vero solo sono ella eventualità che vi sia una specifica previsione in tal senso nella delibera del patrimonio destinato.
b) In ogni caso, infatti, non può mai essere esclusa la responsabilità della società con tutto il suo patrimonio per le obbligazioni derivanti da fatto illecito, ovvero quelle che derivano dalla violazione dellʼart. 2043 e seguenti (un dipendente della società investe un passante e fa sorgere una responsabilità extra contrattuale da fatto illecito e fa nascere un credito): questo credito che deriva da fatto illecito, la responsabilità della società è generale con tutto il suo patrimonio. Siamo di fronte a creditori involontari. Se un soggetto fa un mutuo nei confronti del patrimonio destinato della società, è gusto che basti la responsabilità del patrimonio destinato, ma quando la responsabilità sorge da fatto involontario, in tal caso è giusto che la società risponda con tutto quanto abbia a disposizione. Questa è una regola di generale applicazione, soprattutto nellʼordinamento americano. La regola per cui creditori che nascono da fato illecito e ci sarebbero altre ipotesi sorte non da obbligazioni da fatto illecito, ma che comportano unʼinvolontarietà nellʼassunzione del creditori: ma è dubbio se tale responsabilità generale opera che per questʼultime.
c) Ancora, può esserci responsabilità generale della società se negli atti compiuti nello specifico affare non si fa menzione del vincolo di destinazione. Cʼè si la pubblicità nel Registro dellʼimprese, ma la legge rinforza la pubblicità. Se la società conclude un contratto relativo allo svolgimento dello specifico affare, deve sempre dichiarare e menzionarlo nel contratto il vincolo di destinazione, rendendo edotto il terzo con cui sto concludendo il contratto, che le obbligazioni non saranno garantite da tutto il patrimonio, ma solo dal particolare patrimonio destinato. Non basta lʼindicazione nel Registro delle imprese, ma non si può scaricare nel terzo capire se quello specifico contratto riguarda lʼaffare destinato o lʼattività generale della società.
d) Sullʼaltro versante del diritto esclusivo dei creditori particolari di soddisfarsi sui beni del patrimonio destinato, la legge prevede che nellʼambito della separazione patrimoniale, se nella separatezza patrimoniale siano compresi beni immobili o beni mobili registrati, la legge prevede che la separazione operi solo quando il vincolo di destinazione venga trasferito nei registri pubblici (registri immobiliari), altrimenti tale vincolo non sarebbe opponibile per il creditorie in buona fede. La legge dice che questo vincolo per cui questi beni vanno a costituire un patrimonio destinato è vero solo quando si è fatta unʼadeguata pubblicità nei registri pubblici, perché altrimenti non si può opporre al terzo, quindi il creditore potrebbe presumere faccia parte della società generale.
e) I creditori generali non solo non possono rivalersi sulla parte del patrimonio destinato allo specifico affare, ma neppure sui proventi dello specifico affare, “se non i proventi non siano destinati allo specifico affare”. Se non cʼè specificazione, si presume tutti i proventi vadano allo specifico affare, come lʼassegnazione degli utili. Soltanto nellʼeventuale eccedenza ritornerà in favore della società ????. Bisogna verificare cosa prevedere la delibera di istituzione del patrimonio destinato, perché può anche essere previsto che gli utili che spetterebbero agli affare della società una volta soddisfatti i
xxxxx, devono essere rinvestiti nel patrimonio destinato. Xxxx, secondo alcuni, fino alla realizzazione dellʼaffare tutti gli utili andrebbero reinvestiti nel patrimonio destinato. Eʼ bene che sia la delibera a decidere la destinazione dei proventi.
f) Si possono determinare varie situazioni: nel caso in cui la società generale abbia avuto utili, e lʼaffare perdite. Lʼutile prodotto della società non sarà ridotto dallʼaffare, e potrà essere distribuito. Le perdite del patrimoni destinato, a sua volta, rimarranno allʼinterno del patrimonio destinato.
Abbiamo piè volte citato che lʼistituzione del patrimonio destinato ha implicazioni sul piano contabile della società: articoli 2447 sexies e septies.
La legge stabilisce che i gestori della società quando sia istituito un patrimonio destinato, devono tenere libri e scritture obbligatorie: cʼè una duplicazione delle scritture contabili obbligatorie che devono essere tenute separate fra lʼattività generale e lʼaffare specifico. Ciò significa che per ogni singolo patrimonio destinato, vi sarà un libro specifico, ecc.
Quindi cʼè un notevole appesantimento, perché tante scritture conta il obbligatorie. Eʼ necessario tenere tante scritture contabili, quanti sono i patrimoni destinati. Se la legge voleva attraverso lʼintroduzione dei patrimoni destinati consentire un strumento più semplice, non cʼè alcun vantaggio.
Rispetto al libro degli inventari del patrimonio destinato, i beni dovranno essere valorizzati con lo stesso criterio dei quelli dellʼattività generale, e il patrimonio destinato non può divenire un mezzo di rivalutazione dei beni.
Eʼ pur vero tuttavia che il soggetto titolare rimane unico, e i dati della contabilità separata dovranno confluire in quella generale.
Un problema importante è lʼimputazione dei costi comuni: è probabile che molti dei costi siano sostenuti nello svolgimento dellʼattività generale che nellʼaffare specifico. Ad esempio, i servizi amministrativi: ma come vengono imputati? Ex art. 2447 septies si prevede che gli amministratori, nella nota integrativa, devono mostrare i criteri dʼimputazione dei costi comuni.
In qualche modo, le somme destinate a patrimonio destinato, e concorrerà in qualche modo anche allʼattività generale. Quindi fra questi costi sorgerebbe una sorta di “credito” fra i due patrimoni e per queste voci la società concorre per avere indietro le spese sostenute.
Altrimenti i conti non tornerebbero. La legge poi non si ferma a questo e prevede al secondo comma che, per ciascun patrimonio destinato, gli amministratori redigono un separato rendiconto secondo gli art. 2423 e seguenti.
Nello Stato patrimoniale del Bilancio generale, i cespiti e i crediti o altro nellʼattivo dello stato patrimoniali devono essere indicati quali, fra queste voci, vanno a patrimonio destinato.
Il rendiconto per ogni patrimonio, è un vero e proprio bilancio relativo allʼaffare specifico, e deve essere composto quanto meno da Stato patrimoniale e Conto economico; non occorre una distinta Nota integrativa per il patrimonio destinato, perché al 2447 septies al
c.3 è previsto che nella nota integrativa del bilancio generale gli amministratori devono mostrare e beni e rapporti, crediti, regime di responsabilità ecc: le notizie contenute nella nota integrativa sono già contenute nella nota integrativa generale e non cʼè necessità di unʼulteriore nota integrativa specifica. Altro peso ulteriore.
Problemi specifici si pongono quanto alla contabilizzazione degli apporti di terzi: si tratterà di considerare la natura degli apporti e il titolo di questʼultimi.
- vi potrebbero essere apporti in denaro, di beni e proprietà e, in tal caso, avremmo che questi beni vanno ad integrare la componente attiva della società e al passivo andrà costituita una riserva corrispondente;
- potrebbero essere beni in puro godimento: allʼattivo andrà solo al capitalizzazione del bene del terzo attribuito alla società.
- siccome questi apporti non vanno a capitale possono trattarsi di prestazione di opera o servizi (non cʼè il limite come nellʼart. 2242).
Ma si potrebbe anche ipotizzare che in realtà gli apporti di terzi non siano a patrimonio della società, ma che siano apporti con diritto alla restituzione, ovvero apporti di capitale di credito e non di rischio: molti sostengono che nulla escluderebbe un apporto con diritto alla restituzione “come fossero obbligazionisti”. In tal caso, al passivo, cʼè una posta di diritto reale ala restituzione.
Se invece lʼapporto va ad integrare lʼattivo, va inserita una specifica riserva.
La legge prevede che va data indicazione separata nello Stato patrimoniale, indicazione di beni e rapporti separati, ma non parla del Conto economico. Ma in questʼultimo potrebbe essere inserito solo un saldo attivo e passivo dello specifico affare, oppure anche per quanto riguarda il Conto economico andrebbe inserita una specifica voce per ogni componenti.
Il problema che si deve porre sullʼistituzione del patrimonio destinato è in relazione alla conservazione del patrimonio sociale. Nel momento in cui viene istituito il patrimonio, la legge prescrive soltanto che il patrimonio destinato non superi il 10% del patrimonio della società, senza una distinzione fra capitale e riserve e, quindi in teoria nulla impedirebbe che sia destinata a patrimonio destinato appunto, una parte del capitale sociale: potremmo avere una società che come netto ha solo capitale sociale e non riserve e che tuttavia questi 10% del capitale sociale a patrimonio destinato, con lʼeffetto che una parte del capitale verrebbe sottratta ai creditori sociali: ragion per cui qualcuno ha sostenuto che il limite del 10% sarebbe stato meglio parametrarlo sulle voci di netto diverse dal capitale sociale. Ma questo non crea particolari problemi.
Eʼ nel corso della vita della società che può creare qualche problema in relazione al capitale sociale, soprattutto nel caso di perdite della società. Se il capitale sociale risulta intaccato, assorbito dalle perdite per oltre un terzo del suo valore, la legge impone di ridurre obbligatoriamente il capitale sociale in ragione delle perdite.
Se cʼè un patrimonio destinato, qualʼè la soglia che determina lʼobbligo di riduzione? Ad esempio, abbiamo un capitale di 1000 di cui 100 a patrimonio destinato; e cʼè una perdita di 320 con patrimonio destinato che rimane intatto. Siamo nella fattispecie che obbliga a ridurre il capitale sociale di un terzo? Quindi 320 non saremo ancora nellʼipotesi di riduzione obbligatoria del capitale: ma dobbiamo considerare il patrimonio al netto del patrimonio destinato o al lordo? Perché consideriamo lʼipotesi che fosse al netto, dovremmo ridurre il capitale obbligatoriamente.
Sarebbe più grave, se addirittura con la perdita si andrebbe al di sotto del limite legale.
Dallʼaltro lato, il patrimonio destinato è comunque parte del capitale della società, ma è altrettanto vero che le perdite del patrimonio destinato non vanno a toccare lʼaltro patrimonio, e che le perdite della società non possono assorbire quel patrimonio.
Comunque il problema è aperto e la tesi prevalente è che per valutare se siamo nellʼart. 2446 o nellʼart. 2447, bisogna tenere sommato patrimonio generale o patrimoni destinato. Eʼ un problema di cui la legge non tiene conto.
La legge prevede anche unʼapposita organizzazione per gli strumenti finanziari: è criticato perché in tal caso vi sono maggiori previsioni per lʼorganizzazione in caso di emissione in corrispondenza di un patrimonio destinato, ma non per lʼemissione e lʼorganizzazione degli strumenti partecipativi generali. La disciplina allʼ 2447 octies è ricalcata su quella degli obbligazionisti.
2447 novies, impropriamente rubricato “rendiconto finale”, non è altro che la fine del patrimonio destinato. Si distinguono i casi in cui il patrimonio destinato alla fine dellʼaffare risulti sufficiente per parare integralmente tutti i creditori particolari, da quello più complesso se risulti insufficiente.
Il patrimonio destinato cessa; cause di cessazione del patrimonio destinato: lʼaffare cui è destinato il patrimonio quando diventi impossibile la sua realizzazione: è lʼipotesi generale.
La legge prevede che anche la delibera costitutiva possa prevedere ulteriori ipotesi di cessazione, rispetto a queste legali; poi precisa che causa di cessazione è il fallimento della società: se la società fallisce, cessa il patrimonio destinato, e su questo aspetto è intervenuta anche la nuova legge fallimentare agli art. 155 e 156 che disciplinano il fallimento di una società che abbia costituito patrimoni destinati.
1) Primo punto, ovvero prima causa di cessazione è la realizzazione dellʼaffare: se non cʼè più la ragione per la destinazione del patrimonio, non ha più ragione dʼesserci lʻesistenza del patrimonio stesso. Lʼaffare è concluso e non cʼè ragione che rimanga in vita. Eʼ una separazione patrimoniale in funzione di una destinazione.
Da questa previsione, qualcuno, rispetto al problema se si possa costituire un patrimonio non sono in ragione della compimento di un affare, ma anche se possa essere concepito in ragione di un settore dellʼattività che ciclicamente potrebbe riprodursi. Secondo alcuni, poiché la legge dice che cessa la separazione quando si realizza lʼaffare, “ecco vedete la legge intente solo lʼaffare e non il settore”. In realtà questo non sembra un argomento forte, anche osservando le cause di scioglimento della società in generale, fra le altre cause vi è il conseguimento dellʼoggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, e quindi non è affatto detto che lʼʻoggetto sociale debba avere una fine di unʼattività che può essere continuamente esercitata.
2) Altra causa legale di cessazione è lʼimpossibilità di realizzazione dellʼoggetto sociale, sia materiale o giuridica (ad esempio se cʼè un divieto allʼesecuzione dellʼeffetto sociale).
Quando si verifica una causa di cessazione, allʼart. 2447 novies, gli amministratori redigono un rendiconto finale che accompagnata la revisione di sindacale effettuata da un revisione esterno che deve essere iscritta e depositata nel Registro delle imprese: scatta lʼobbligo per gli amministratori di rendiconto finale, sarebbe il bilancio di chiusura.
Nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni, i creditori possano ordinare lʼesecuzione: in tal caso si applicano le disposizione per la liquidazione della società di capitali, in quanto compatibili.
Nel momento in cui cessa la separazione patrimoniale (primo effetto) in funzione di una destinazione patrimoniale: si tratta di un patrimonio che deve essere utilizzato per lʼesecuzione di un determinato affare, ha uno scopo e solo per questo deve essere eseguito.
Quando viene compito lʼaffare, con il rendiconto finale, cessa sicuramente la destinazione del patrimonio, e il patrimonio non ha più una destinazione specifica e rimane ancora la separazione del patrimonio, anche se non più destinato.
Anche se leggiamo al terzo comma: ancora si devono sistemare le cose e cʼè ancora la separazione. La società potrà utilizzare quei beni. Se cʼè lʼimpossibilità di pagare integralmente tutti i creditori particolari, ovvio che non cʼè problema e tutto ciò che residua andrà a confondersi nellʼalveo del generale patrimonio della società e cesserà anche la separazione patrimoniale, fino a quando non verrano pagati tutti i creditori integralmente. Se non cʼè la possibilità di pagare integralmente dei creditori particolari, che non trovano nel patrimonio separato ciò che serve al loro pagamento. Al secondo comma, si dice che ferma la destinazione, il patrimonio deve essere liquidato su richiesta dei creditori particolari, e sul residuo si soddisferanno i creditori particolari.
La cosa un poʼ singolare è che la legge dice che i creditori possono chiedere la liquidazione del patrimonio, ma non potrebbero fare altro! La liquidazione deve essere fatta su richiesta dai creditori, altrimenti il patrimonio continuerebbe a rimanere separato e su questo potranno agire esecutivamente, ma ragionevolmente chiederanno la liquidazione.
Si seguono le regole della liquidazione di una società che si è sciolta.
In conclusione, quando si determina una causa di cessazione del patrimoni destinato:
1) primo obbligo: rendiconto degli amministratori, sindaci e revisore;
2) con il suo deposito, cessa il vincolo di destinazione;
3) mentre permane la separazione patrimoniale che durerà fino a quando siano soddisfatti i creditori se possibile; e una volta soddisfatti tutti creditori, si avrà solo una ricostituzione del patrimonio nella sua integrità.
4) se invece il patrimonio residuo non è sufficiente a soddisfare i creditori, questi chiederanno la liquidazione del patrimonio destinato, ancora separato e sul frutto di questa liquidazione (vendita dei beni separati) = si soddisferanno.
Il punto delicato è la causa del fallimento ella società. Lezione 17
La cessazione di un patrimonio a causa del fallimento della società
Stando alla disciplina dellʼart. 2447 novies, su questo aspetto è intervenuta anche la legge fallimentare. Ci sono due articoli 155 e 156 che sono destinati a disciplinare gli effetti sul patrimonio destinato della dichiarazione del fallimento della società che ha istituito un patrimonio destinato.
Le ipotesi sono due:
a) nel caso in cui il patrimonio destinato sia capiente: il patrimonio destinato è sufficiente per pagare tutti i creditori particolari;
b) ipotesi in cui il patrimonio destinato destinato non sia capiente.
Lʼart. 155 prevede che, se dichiarato il fallimento del patrimonio della società, la liquidazione é attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata. Il curatore subentra nella gestione del patrimonio destinato, per tutto il tempo in cui dura il fallimento: egli non può compiere alcun atto relativamente al suo patrimonio. Il patrimonio destinato è normale vada sotto la gestione del curatore.
“gestione separata” sʼintende rispetto alla gestione del restante patrimonio.
Il curatore in base allʼart. 155 sembra avere due alternative:
- il curatore provvede, a norma dellʼart. 107, a cedere a terzi, come procedere alle vendite, una volta accertato il passivo, si procede alla vendita del patrimonio in blocco.
Le vendite vanno fatte secondo certe modalità e usando certi criteri: si deve privilegiare la vendita in blocco dellʼazienda, piuttosto che i singoli beni per garantire la conservazione del surplus di valore dellʼinsieme organizzato dei beni che potrebbe avere. Allo stesso modo deve fare il curatore.
- altrimenti se non vi fosse il compratore dellʼintero patrimonio, ovvero non vi fosse possibile la cessione, il curatore provvedere alla liquidazione del patrimonio, secondo le regole di liquidazione della società, non secondo le regole della legge fallimentare. Si procede si alla vendita, ma secondo le regole proprie della liquidazione volontaria della società, del codice civile.
Primo caso: patrimonio destinato capiente
Con il ricavato della vendita o della liquidazione dei beni o dellʼazienda, il curatore deve
soddisfare i creditori particolari del patrimoni destinato.
Al terzo comma, i corrispettivi della gestione sono acquisiti dal curatore fallimentare. Quindi con il ricavato della vendita o della gestione, in primo luogo il curatore deve pagare i creditori particolari, che non sono considerati creditori concorsuali (pur essendo creditori di una società fallita), perché godendo loro della separazione del patrimonio, è come se fossero creditori di una società che sta bene: da questo punto di vista non fanno concorso. I creditori particolari saranno soddisfatti secondo le regole della soddisfazione di un creditore di un soggetto non fallito. Soddisfare i creditori particolare, per poi detrarre ciò che spetta ai terzi, in presenza di apporti di terzi (secondo le regole della delibera).
Ciò che residua, detratto ciò che spetta ai terzi, è acquisito allʼattivo fallimentare: finisce la separazione. Tutto ciò che rimane, torna nel patrimonio della società e sarà trattato come attivo fallimentare.
Secondo caso: patrimonio destinato non capiente
Lʼart. 156 disciplina lʼipotesi in cui il patrimonio destinato non sia capiente.
Al primo comma, se al seguito del fallimento della società o durante la gestione della prima ipotesi, il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente, provvede alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili. Anche in tal caso, quindi, la liquidazione avviene secondo le regole della liquidazione volontaria.
Al secondo comma, i creditori particolari possono rappresentare domanda di insinuazione del passivo; nella delibera del patrimonio destinato, inoltre, è possibile prevedere una responsabilità sussidiaria della società per le obbligazioni. Per la parte non soddisfatta dei creditori particolari, se è stata prevista una responsabilità sussidiaria, essi potranno a loro volta insinuarsi nel fallimento.
La scelta è quella di non sottoporre a fallimento il patrimonio destinato: esso viene estinto come se la società non fosse in buono stato, non è influenzato dal fallimento della società.
Il fallimento del patrimonio destinato
La legge però non contempla lʼipotesi in cui sia il patrimonio destinato ad essere insolvente (o incapiente) e la società vada bene: tale fattispecie non è contemplata dalla legge e, in generale, la legge ex art. 2447 novies consente solo di chiedere la liquidazione del patrimonio, cʼè solo il diritto di ottenere la liquidazione del patrimonio destinato: ci sta dicendo che il patrimonio destinato non fallisce.
Qualcuno voleva prevedere la fallibilità del patrimonio destinato. Nel nostro sistema chi fallisce è sempre il soggetto imprenditore, sia esso persona fisica o società.
Certamente questa è stata la scelta del legislatore e non esiste la possibilità di fare istanza di fallimento del patrimonio destinato. Si è determinata una disparità di trattamento grave. In tal caso tutte le azioni non sono possibili, come le azioni revocatorie fallimentari, salvo lʼazione revocatoria ordinaria: ma questa è difficile da esercitare, mentre quella lʼazione revocatoria fallimentare è più facile da esercitare. Questo perché non può essere dichiarato il fallimento.
Questo per quanto riguarda il primo modello di patrimonio destinato (operativo).
il patrimonio destinato - secondo modello (art. 2447 decies)
Tale modello si distingue radicalmente dallʼaltro. Prima cʼè una costituzione unilaterale attraverso una delibera di un patrimonio destinato: una separazione di un patrimonio destinato allo svolgimento di un affare specifico, a cui si può aggiungere la partecipazione di terzi con contraltare lʼemissione di strumenti finanziari.
Il secondo tipo è una cosa diversa: è una particolare forma di finanziamento che ha come obiettivo di ricorrere al credito fornendo come garanzie al finanziatore i proventi derivanti dallo svolgimento di un affare specifico: i proventi sono in primo luogo vincolati alla soddisfazione del finanziatore.
Eʼ un contratto fra lʼorgano amministrativo e il finanziatore. La fattispecie si realizza tramite un contratto.
La separazione patrimoniale concerne solo i futuri proventi derivanti dallʼaffare, destinati in primo luogo dai finanziatori.
La legge dice che, nel secondo modello, la società può convenire con il contratto che siano destinati tutti i proventi dellʼaffare stesso o parte di essi.
Non è chiaro a cosa deve riferirsi questo finanziamento: sembra riferirsi ad un determinato investimento nuovo che, quando viene realizzato, produrrà proventi che saranno utilizzati per restituire il prestito ottenuto dal finanziatore; quindi non sembra che lʼoperazione possa essere utilizzata per coprire generiche necessità della società.
Nella disciplina si fa spesso riferimento allʼesecuzione dellʼoperazione, alla realizzazione dellʼoperazione e il legislatore sembra riferirsi al finanziamento che viene destinato ad un determinato investimento nuovo che intende fare la società, che quando viene realizzato produrrà proventi per restituire il prestito ottenuto dal finanziatore. Non sembra, anche se su questo cʼè incertezza, che lʼoperazione possa essere utilizzata per generiche necessità finanziarie della società, prevedendo soltanto come garanzia i proventi dello specifico affare. Il finanziamento di per sé non avrebbe una destinazione. Su questo punto cʼè incertezza. Ma la tesi maggioritaria è che anche il finanziamento che deve avere un suo vincolo di destinazione, cioè deve essere usato per realizzare quellʼoperazione sui cui proventi si soddisferà il finanziatore.
Su questo punto cʼè qualche incertezza: il finanziamento deve essere utilizzato per quellʼoperazione, cʼè un vincolo di destinazione del provento, ma su questo punto la legge non è chiara fino in fondo.
Se il finanziamento deve essere diretto a svolgere una determinata operazione, saremmo di fronte a quello che in diritto si chiama mutuo di scopo.
Chi riceve i denari ha un altro vincolo: lʼobbligo di impiegare il denaro in un certo modo o per fare certe cose: uso frequente nei finanziamenti pubblici per determinate attività economiche.
Anche in tal caso, se intendiamo che ci sia un vincolo di destinazione, cʼè lʼobbligo di impiegare il denaro in una cera direzione, è un mutuo di scopo.