Consenso informato e contratto nel Codice Deontologico
Consenso informato e contratto nel Codice Deontologico
Il CNOP sta lavorando ad una possibile revisione del Codice Deontologico.
Fra i temi meritevoli di attenzione ci sono sicuramente il contratto professionale e il consenso informato.
Quando il nostro Codice Deontologico è stato scritto mancavano ancora normative chiare sia sul contratto professionale che sul consenso informato per le attività sanitarie.
Sul piano del contratto, si era in un momento di evoluzione della figura del professionista nella sua qualità di operatore economico.
E sul piano del consenso informato in ambito sanitario, si viveva il passaggio da un paradigma di tipo paternalistico e asimmetrico, in cui il sanitario era depositario del sapere e il paziente un destinatario passivo delle cure, ad un paradigma più paritario, in cui il paziente è titolare delle scelte terapeutiche di cui è informato dal sanitario, il quale detiene il sapere tecnico-professionale senza che da questo ne discenda anche un potere di agire senza informare.
Inoltre, per quanto riguarda le prestazioni di cura prestate a minori di età, al tempo della stesura del nostro Codice vi era un concetto del minore (o di chi ha limitazioni della capacità giuridica) come destinatario passivo delle decisioni degli esercenti la ‘potestà’, mentre oggi il minore di età è soggetto pienamente attivo e legittimato – anche giuridicamente, con la legge 219/2917 – ad essere informato, e della cui volontà deve essere tenuto conto.
Infine, il Codice risente di un paradigma professionale di tipo individualistico, e riserva poco spazio al lavoro in istituzione, in cui contratto e consenso informato dipendono anche dal contesto e non solo dall’accordo individuale con lo psicologo.
Sono quindi almeno quattro le questioni relative a contratto professionale e consenso informato da ridefinire nel Codice Deontologico: (1) la distinzione fra contratto professionale e consenso informato in ambito sanitario, (2) il consenso informato come incontro dialogico fra professionista e paziente, (3) il contratto e il consenso informato con i minori di età e (4) il contratto e il consenso informato nei contesti istituzionali.
DISTINGUERE TRA CONTRATTO E CONSENSO INFORMATO
Credo che questa sia la prima operazione da compiere: distinguere chiaramente nel Codice Deontologico ciò che pertiene alle questioni amministrative (contratto), da ciò che riguarda la relazione di cura, di cui il consenso informato è il momento fondativo.
Si vede ancora troppo spesso – perfino nei vari fac-simile degli Ordini – un mescolamento e una sovrapposizione degli aspetti contrattuali (che appartengono a qualunque tipo di prestazione professionale) con gli aspetti informativi e negoziali riguardanti la cura, che costituiscono il consenso informato.
La distinzione fra contratto e consenso informato è necessaria perché sono cose diverse, giuridicamente e sostanzialmente, ma anche perché mescolarle e sovrapporle svilisce il valore civico del consenso informato alle prestazioni di cura.
Il contratto riguarda gli aspetti concreti e amministrativi di qualunque rapporto professionale.
Il suo valore è civilistico e l’interesse tutelato è la chiarezza degli accordi della parte ‘commerciale’ della relazione professionale.
Invece il consenso informato riguarda la sfera della clinica, della dignità della persona, della libertà e volontarietà della cura.
Il consenso informato non è un contratto ma un processo dialogico fra il professionista che presta la cura e il paziente che ne beneficia, che non può in alcun modo essere ridotto ad un modulo da firmare (nemmeno la legge lo prevede!).
Il consenso informato in ambito sanitario è un atto di grande valore clinico e civico, esito di un percorso storico anche sofferto di riconoscimento della dignità delle persone, dopo secoli in cui la medicina e la sanità sono state caratterizzate da un approccio paternalistico in cui il paziente era soggetto passivo delle decisioni del sapere sanitario, a cui era superfluo fornire informazioni.
Ed è stato un percorso costellato di fatti anche crudi e dolorosi, di persone sottoposte a trattamenti sanitari senza essere informate o senza aver acconsentito.
Fra i più recenti quello del neonato Xxxxxxx Xxxxxx, operato a cuore aperto senza anestesia e senza informare la madre nel 1986.
Sono stati questi fatti a mettere in luce la necessità di un profondo ripensamento del ruolo della volontà e dell’informazione del paziente in sanità.
Non è scontato avere una legge che afferma che il paziente ha diritto ad essere informato e scegliere per se stesso, e che la comunicazione fra sanitario e paziente è costitutiva della cura. Tanto che in Italia è avvenuto solo recentemente con la legge 219/2017.
Ecco, svilire tutto questo attraverso un’operazione di appiattimento del consenso informato su un mero adempimento formalistico non è degno della nostra professione, che ha fatto della dignità e dell’autodeterminazione della persona il centro del proprio agire.
Dunque, una prima linea di revisione del Codice dovrebbe riguardare, a mio avviso, la distinzione fra contratto professionale e consenso informato in ambito sanitario, al fine di riconoscere la profonda pregnanza civica di quest’ultimo e non ridurlo ad un mero passaggio burocratico.
IL CONSENSO DEI MINORI DI ETA’
Altra importante linea di revisione riguarda il riconoscimento del ruolo attivo di chi non ha piena capacità giuridica: minori di età, interdetti, inabilitati, amministrati.
Se sul piano amministrativo e contrattuale il minore di età non può siglare in proprio accordi contrattuali, e saranno quindi gli esercenti la responsabilità genitoriale a farlo per lui, sul piano delle attività di cura la situazione è ben diversa.
Nella legge 219/2017 “la persona minore di età o incapace ha diritto (…) a ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute (…) per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà” e “il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale (…) tenendo conto della volontà della persona minore (…) e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.
Siamo lontani anni luce dall’attuale testo dell’articolo 31 del Codice Deontologico, che (1) non distingue fra consenso civilistico e consenso informato all’atto sanitario (2) mette
al centro la situazione di conflitto dei genitori (3) non considera minimamente la volontà del minore di età (4) non pone l’obiettivo della salute al centro della decisione.
I risultati sono ben noti: l’articolo 31 del codice deontologico è diventato un frequente oggetto di contesa all’interno delle liti per separazione, con atteggiamenti aggressivi da parte di legali e genitori e con un assetto difensivo da parte degli psicologi, più preoccupati di procurarsi la famosa ‘firma di entrambi i genitori’ che di costruire un processo di comunicazione finalizzato alla salute del minore di età.
Una revisione di questa parte del Codice a mio avviso dovrebbe tendere a ridurre l’esposizione del professionista a rivalse dei genitori, attraverso un ferreo richiamo a (1) considerare preminente l’informazione e la volontà del minore (2) considerare la salute del minore come l’interesse prevalente.
IL CONTRATTO E IL CONSENSO INFORMATO NEI CONTESTI ISTITUZIONALI
Quale che sia la ragione storica, il Codice Deontologico sembra disegnato sulla figura di uno psicologo che opera in modo sostanzialmente solitario e indipendente, e gli articoli che trattano del lavoro in istituzione sembrano più tesi a istruire la delimitazione dei confini con il contesto, che a tracciare indicazioni per il lavoro dentro e con il contesto.
Lo si vede negli articoli 4, 6, 9, che disegnano uno psicologo nell’atto di stabilire le regole, prendere le distanze, decidere se e quanto riferire, porsi come terzo rispetto sia al destinatario della prestazione che all’istituzione.
Ma non sempre funziona così. Più spesso, lo psicologo che opera in istituzione (scuola, azienda, ASL, comunità, etc) è parte del contesto, di cui co-costruisce le regole insieme ad
altri attori, dentro un quadro ancora più ampio costituito dalle norme giuridiche e dagli assetti organizzativi, sociali e culturali.
Questo tema si è posto con molta chiarezza in occasione del protocollo CNOP-MIUR per la psicologia scolastica, che ha fatto emergere tutta l’inadeguatezza del Codice Deontologico nel regolare contratto e consenso informato in un contesto istituzionale.
L’aggiornamento del Codice dovrebbe superare la visione di uno psicologo solitario che si adatta con fatica ai contesti istituzionali, per approdare a uno psicologo che riesce ad operare nei contesti istituzionali in modo flessibile avendo chiari i principi della chiarezza contrattuale per la parte amministrativa, e dell’informazione e rispetto della volontà per la parte del consenso informato alle cure.
ALLA FINE SERVE UN ARTICOLATO.
Dopo questa lunga premessa, non posso non tener conto di una considerazione espressa da Xxxxxxx Xxxxxxxxxx: i dibattiti sono un’ottima cosa, ma alla fine serve un articolato.
Ed è vero: la sfida della revisione del Codice è produrre un altro Codice, cioè un testo composto da capi, articoli e commi, abbastanza sintetico da essere maneggevole, abbastanza chiaro da essere comprensibile da psicologi e cittadini, e abbastanza preciso da essere utile nella vita quotidiana.
Raccolgo quindi l’invito ad andare oltre il discorso generale, e ad immaginare anche un articolato.
Ovviamente si tratta solo di un esercizio, senza alcuna velleità di riscrittura del Codice, onere che è compito di altri. Ma voglio cogliere l’invito di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx ad essere pratici e concreti nel dibattito.
PROPOSTA DI REVISIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO: CONTRATTO E CONSENSO INFORMATO.
La proposta che qui immagino sostituisce gli attuali articoli 18, 23, 24, 31, 32 del Codice Deontologico con il capo unico ‘CONTRATTO PROFESSIONALE E CONSENSO INFORMATO’.
Inoltre, elimina dall’articolo 9 l’espressione ‘consenso informato’ (andrebbe sostituita), così da non lasciare ambiguità sul fatto che con essa ci si riferisca esclusivamente alle prestazioni di natura sanitaria.
La proposta distingue fin dal titolo il contratto, come elemento civilistico che regola gli aspetti concreti e amministrativi, e il consenso informato che invece riguarda solo le prestazioni sanitarie e la volontà del paziente a beneficiarne.
Un parte è dedicata alle persone che non possono esprimere legalmente un consenso autonomo (minori di età, inabilitati, interdetti, amministrati).
Infine l’ultima parte è dedicata al contratto e al consenso in contesti istituzionali (ad esempio scuola, famiglia, istituzioni, enti sanitari, tribunale).
——————————-
CAPO N – CONTRATTO PROFESSIONALE E CONSENSO INFORMATO PER LE PRESTAZIONI SANITARIE
Articolo 1. CONTRATTO PROFESSIONALE
Le prestazioni professionali dello psicologo sono regolate da un contratto, eventualmente redatto in forma scritta, che ne stabilisce l’oggetto e le modalità economiche e organizzative di espletamento. Il contratto deve contenere le informazioni eventualmente stabilite da leggi e regolamenti.
Per i minori di età e per chi ha limitazioni della capacità negoziale, il contratto professionale è stipulato con chi esercita la responsabilità o la tutela.
La mancata chiarezza negli accordi contrattuali costituisce infrazione deontologica lieve o grave, anche in considerazione del danno prodotto.
Articolo 2. CONSENSO INFORMATO PER LE PRESTAZIONI SANITARIE
Le prestazioni sanitarie sono subordinate al consenso informato. Il consenso informato è un processo dialogico nel quale si incontrano l’autonomia decisionale della persona e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del professionista. Nessuna prestazione sanitaria dello psicologo può essere iniziata o proseguita senza il consenso libero e informato della persona interessata.
L’informazione è il presupposto del consenso. Il consenso è valido se lo psicologo ha fornito alla persona interessata chiare e comprensibili informazioni sulla situazione di salute riscontrata, sui possibili interventi da effettuare, sulle prospettive di evoluzione, sulle possibili alternative alle cure proposte e sulle conseguenze di un eventuale mancato trattamento.
Lo psicologo integra le informazioni e verifica la presenza del consenso anche nel corso dell’intervento, ogni volta che lo ritenga necessario o quando siano intervenuti cambiamenti significativi nella situazione.
Il consenso informato deve essere documentato in forma scritta.
La mancata o parziale informazione al paziente, specialmente se comporta una limitazione della sua possibilità di prestare un consenso libero e informato, costituisce grave infrazione deontologica.
Articolo 3. IL CONSENSO INFORMATO DEL MINORE DI ETÀ,
DELL’INTERDETTO, DELL’INABILITATO E DI CHI HA LIMITAZIONI DELLA CAPACITÀ NEGOZIALE.
Il consenso informato al trattamento sanitario del minore di età, dell’interdetto o dell’inabilitato è espresso dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore, tenendo conto della volontà del destinatario della prestazione e della tutela della sua salute psicofisica.
I destinatari minori di età, interdetti o inabilitati partecipano alle decisioni relative alla propria salute psicologica. Lo psicologo li informa in modo consono alle loro capacità, e si fa garante della possibilità che esprimano la loro volontà rispetto alle prestazioni psicologiche.
In caso di disaccordo sulle prestazioni psicologiche destinate a minori di età, interdetti o inabilitati, lo psicologo informa gli interessati rispetto alle prevedibili conseguenze per la salute del permanere di un disaccordo.
Qualora permanga un disaccordo sulle prestazioni psicologiche, lo psicologo considera preminente la tutela della salute del minore di età, dell’interdetto o dell’inabilitato, e qualora lo ritenga necessario può ricorrere al giudice tutelare.
Articolo 4. PRESTAZIONI PSICOLOGICHE IN CONTESTO ISTITUZIONALE
Nei casi in cui opera in contesti istituzionali, lo psicologo tutela la salute, la libertà e la dignità delle persone. Si accerta, sia per le prestazioni sanitarie di sua diretta responsabilità che per quelle di cui ha conoscenza diretta, che i destinatari siano adeguatamente informati e abbiano espresso la propria volontà di beneficiarne.
Qualora la documentazione scritta del consenso informato alle proprie prestazioni sia gestita dall’istituzione o da terzi, lo psicologo si accerta comunque che l’interessato sia adeguatamente informato e che la sua volontà sia presente, e conforme a quanto documentato.
Deontologia: appunti di viaggio
Qualche giorno fa ero in aula con studenti e studentesse di un corso di laurea in psicologia, per trattare il tema “Deontologia e Legislazione” e il primo nodo che abbiamo sviscerato è stato “quanto ci interessa essere qui?”.
Sapevo già di partire in salita, mi attendevo, come è stato, risposte del tipo “non ho familiarità con le leggi, io voglio studiare psicologia” o “faccio fatica con le cose da imparare a memoria”.
E’ purtroppo un sentire diffuso anche tra i professionisti di lungo corso: il mio lavoro sta di qua, la deontologia di là dal guado.
Un po’ come il codice stradale: tocca conoscerlo, sottostare per evitare le multe, ma come sarebbe comodo fare un po’ come ci pare!
Il bello degli anni dedicati solo alla formazione è avere ore di lezione per potersi fermare a riflettere, discutere, confrontarsi, condividere pareri e posizioni e uscire da questo un po’ arricchiti.
Dopo si perde questa attitudine, si entra nel mondo del lavoro, delle scadenze, delle agende fitte di appuntamenti e allora ci si limita ad un dare e ricevere informazioni, o più spesso indicazioni: dimmi che modulo devo far firmare, quanto devo pagare, “ma io vorrei dirti una cosa” … “non serve, grazie, siamo a posto così”.
Ma se a volte un sigaro è solo un sigaro, altre volte un modulo, un articolo del codice, un regolamento, non sono solo
pezzi di carta da liquidare in fretta, ma il corpo vivo su cui scrivere la nostra pratica professionale e il modo in cui potremo in maniera diversa incidere nelle vite degli utenti che si affidano a noi.
Il tema di chi abbia la responsabilità di giudicare se uno psicologo lavora in maniera corretta o meno, se dare questa responsabilità in mano ad un giurista (ovvero un estraneo alla categoria) se ad uno psicologo esperto o ad una giuria popolare estratta a sorte non è un sigaro.
Perché domani ad essere giudicato e sanzionato potrei essere io, potresti essere tu.
La realtà è che io potrei avere la fortuna di appartenere ad un Ordine che mi dà tempi certi per conoscere la mia sorte, che mi permette di essere accompagnata da un collega esperto per difendermi, che possiede delle linee guida per definire che sanzione darmi in base alla gravità della mia condotta e non alla luna della giuria.
E tu no.
In realtà linee guida sulle sanzioni non le ha nessuno, né mi risultano essere in programma… mal comune mezzo gaudio o ‘mezza epidemia!’ (cit. Xxxxxxx Xxxxxxxxx).
In base ad alcune di queste riflessioni, quando come AltraPsicologia abbiamo avuto notizia che il CNOP voleva licenziare un regolamento prodotto nel chiuso della sua commissione, un regolamento che poteva stravolgere il modus operandi dei procedimenti deontologici sulla base di assunti che non ci tornano, abbiamo deciso di inviare il nostro contributo. Nell’intento, proprio come avviene nelle aule universitarie, di far nascere nuovi saperi dal confronto.
Il contributo, nato dal lavoro di sintesi di più voci interne all’Associazione, in particolare di quella competente e autorevole di Xxxxxx Xxxxxx, coordinatore della Commissione
Deontologica dell’Ordine Lazio, ha forse un tono un po’ troppo tecnico per un articolo divulgativo, ma riteniamo importante condividerlo con la comunità: con chi vuole appassionarsi al tema, con chi vorrà approfondire e dialogarne con noi, e in ultimo per stimolare chi legge alla partecipazione attiva alla vita politica e culturale della professione.
Di seguito la nota critica inviata alla Commissione Deontologia del CNOP, in risposta al Regolamento e la relativa “Relazione di accompagnamento” messi in discussione nell’ultima riunione di Consiglio.
—————————————————————————————————————————-
La presente nota mira ad evidenziare che:
— Il testo di un Regolamento disciplinare emanato dal Consiglio Nazionale non può avere carattere vincolante per gli Ordini territoriali, ma solo esserne assunto come atto di indirizzo o come linee-guida, nell’osservanza e nel pieno rispetto dell’autonomia che la L. 56/1989 riconosce agli stessi in materia disciplinare;
— così stando le cose, alcune delle regole proposte dal testo
– e il razionale che le sostiene – appaiono prive di utilità in quanto formulate con criteri che decadono automaticamente proprio in conseguenza della loro mancata rispondenza alla normativa primaria (L. 56/1989, L. 3/2018).
(1)
Il profilo metodologico è quello che desta maggiori perplessità, e pertanto viene qui preso in esame per primo. A sua volta il profilo metodologico va visto sia per quanto riguarda la dimensione giuridica nel senso più strettamente tecnico-letterale, sia per quanto riguarda la ratio juris, cioè la logica istituzionale che ispira le norme.
(1.a)
Per quanto è dato di comprendere, l’iniziativa parte da una interpretazione arbitraria e in un certo senso bizzarra della
L. 3/2018. Si assume infatti che detta Xxxxx imponga anche alla nostra professione una revisione delle procedure relative alla funzione disciplinare, cosa che invece non è in alcun modo prevista dall’articolato.
Di più: la L. 3/2018 interviene in modo diverso sulle diverse professioni sanitarie, e in specifico per la nostra interviene sulle sole procedure elettorali con l’obiettivo inequivoco di aumentarne il carattere di rappresentatività (su cui diciamo qualcosa al punto 1.b). Non solo quindi vale in astratto
– anche se tanto basterebbe – il principio Ubi lex dixit voluit, ubi tacuit noluit, ma appare evidente che il silenzio della L. 3/2018 sulla materia disciplinare degli psicologi sia intenzionale: è una materia su cui il Legislatore, diversamente da quanto ha fatto per altre professioni sanitarie, non ha inteso intervenire, lasciando intatto il dispositivo già previsto dalla L. 56/1989, art. 12, comma 2.i e art. 27.
Per dire ancora meglio: la L. 3/2018 esprime una normativa che trova applicazione diretta, riorganizzandone ogni aspetto, a quasi tutte le professioni sanitarie, mentre per alcune di esse, pur qualificate esplicitamente come tali, si limita a dettare norme di qualificazione ma non organizzative. È sufficiente consultare l’art. 4 che, andando a modificare la
L. 561/1956, indica direttamente quali siano le professioni sanitarie per le quali viene (ri)definita in modo estensivo tutta la struttura organizzativa a livello territoriale e centrale. Ed è significativo che nel testo dell’art. 1 di questa nuova, importante normativa regolatrice delle professioni sanitarie non sia compreso, tra gli altri, proprio l’Ordine degli Psicologi, per il quale l’intervento normativo non ha la valenza sostitutiva prevista per le altre professioni, ma è limitato alla previsione (art. 9, comma 4) di qualificarla come ricompresa tra le professioni sanitarie di cui alla L. 561/1956, senza in alcun modo prevedere che le disposizioni di quella Legge si sostituiscano a quelle
istitutive della professione, contenute nella L. 56/1989
In altri termini: con la previsione dell’art. 9, comma 4, della L. 3/2018, la professione dello psicologo viene qualificata come professione sanitaria, ma l’apparato normativo che la organizza, quello della L. 56/1989, per la parte che concerne la materia disciplinare rimane intatto e non viene sostituito dalle nuove norme che invece riguardano le altre professioni, alle quali viene fatto riferimento esplicito. Nessuna applicazione “analogica” a quelle è pertanto ammissibile per l’organizzazione della professione di psicologo.
(1.b)
Può essere utile alla ulteriore, migliore comprensione del quadro normativo nel suo insieme, riportare qui in sintesi la successione temporale delle disposizioni di Xxxxx che hanno riguardato le professioni sanitarie. Apparirà più chiaro come la pretesa di disporre una nuova regolamentazione della materia disciplinare con un criterio top/down e senza interpellare gli Ordini territoriali, contraddica lo spirito stesso delle innovazioni succedutesi nel tempo, sino appunto alla L. 3/2018.
Si inizia con il DLCPS (Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato) del 13-09-1946, n. 233, ratificato dal DPR 221/1950 – che detta le norme regolamentari per l’esecuzione del DLCPS – e dalla L. 561/1956. Il citato DLCPS, rubricato Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse, è il testo normativo che contiene la disciplina degli Ordini e degli Albi professionali delle professioni sanitarie riconosciute all’epoca. L’intero articolato di quel Decreto è stato sostituito dall’art. 4 della L. 3/2018.
La scelta del Legislatore del 2018 è stata di mantenere la cornice del vecchio Decreto Legislativo del 1946, all’interno
del quale fare confluire la nuova normativa organizzatrice degli Ordini delle professioni sanitarie. Tra le principali disposizioni vi è quella che definisce gli Ordini quali “Enti pubblici non economici”, che «agiscono quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale».
Xxxx Xxxxxx dei medici-chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti vengono aggiunti gli Ordini dei biologi e delle professioni infermieristiche, della professione di ostetrica e dei tecnici sanitari di radiologia medica nonché delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
Ora, benché la L. 3/2018 abbia interpolato l’ordinamento degli psicologi con un art. 01 nella L. 56/198, nel quale si dispone che «La professione di psicologo di cui alla presente Legge è ricompresa tra le professioni sanitarie di cui al Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, ratificato dalla Legge 17 aprile 1956, n. 561», gli psicologi non compaiono nell’elenco delle professioni sanitarie di cui all’art. 1 del DLCPS 233/1946, come sostituito dall’art. 4 della L. 3/2018. Una spiegazione, senz’altro plausibile, sta nel fatto che la “riforma Xxxxxxxx” contenuta nella L. 3/2018 ha lasciato per lo più ferma l’attuale normativa in materia di organizzazione della categoria degli psicologi contenuta nella L. 56/1989.
E veniamo così alla ratio juris della riforma per quanto concerne gli psicologi: pur lasciando intatta la cornice normativa della L. 56/1989, la riforma vi ha introdotto solo alcune modifiche: quelle relative alla elezione degli organi dell’Ordine. Ma qual è il senso di tali modifiche? Esse sono limitate, e si riferiscono in modo evidente alla garanzia della più ampia partecipazione possibile alla scelta dei rappresentanti nei Consigli territoriali attraverso la riorganizzazione delle modalità di voto. Queste sono state
ripensate nel senso di aumentare per gli iscritti le possibilità di partecipazione al voto, disponendo che esso occupi più giorni e più sedi, in modo da rendere i Consigli territoriali maggiormente e più compiutamente rappresentativi della volontà generale della comunità professionale, in modo che l’Ente amministrato sia di essa davvero, e non solo formalmente, “esponenziale”, come vuole il principio generale di diritto amministrativo ribadito in più passaggi dalla stessa L. 3/2018.
A proposito della L. 56/1989, per altro, si può notare come già in quelle disposizioni normative un elemento di “democrazia diretta” veniva introdotto con il referendum approvativo del Codice Deontologico (art. 28, comma 6.c) a compensare proprio la possibilità che un atto di tale importanza potesse imporsi alla base associativa con un voto del Consiglio Nazionale a maggioranza semplice dei presenti alla votazione: ciò che potrebbe determinare il paradosso di un atto di interesse generale approvato e imposto con soli 6 voti su 11 componenti del Consiglio Nazionale (cioè la maggioranza semplice di una seduta valida con la metà più 1 degli aventi diritto).
Appare dunque evidente che un’operazione quale l’emanazione di un Regolamento disciplinare da parte del Consiglio Nazionale senza alcun coinvolgimento programmatico degli Ordini territoriali non è solo un atto incompatibile sia con il dettato della L. 56/1989 che con il dettato della L. 3/2018, ma anche con lo spirito che informa entrambe, quello di garantire il diritto di massima partecipa- zione della base associativa ai processi decisionali, appunto tramite l’articolazione costituita dagli Ordini territoriali.
(2)
Il testo della bozza di Regolamento in oggetto contiene anche alcune affermazioni di cui si fatica a comprendere il razionale. Qui di seguito alcuni esempi, quanto meno quelli
che più colpiscono anche a una lettura affrettata, quale ci è stata imposta dalla tempistica affrettata dell’operazione.
(2.a)
Art. 1 e 7 — Una lacuna o ambiguità del testo lascia imprecisata una regola fondamentale su cui invece occorre fare chiarezza una volta per tutte: il rapporto fra la Giustizia penale e la disciplina dell’ordinamento professionale.
La Giustizia penale è la sola che possa pronunciarsi sulla sussistenza e la consistenza dei fatti per ragione dei quali uno psicologo — come chiunque — può essere rinviato a giudizio ed eventualmente condannato in riferimento alla propria responsabilità in un atto contrario alla Legge. Questa ovvietà viene dimenticata o trascurata quando si afferma: «Il procedimento disciplinare […] è volto ad accertare la sussistenza della responsabilità disciplinare dell’incolpata o dell’incolpato per le azioni od omissioni che integrino la violazione di norme di legge e regolamenti» (art.1. comma 1).
Occorre invece distinguere l’attività istruttoria collegata a violazioni del Codice Deontologico da quella collegata ad accuse di violazione di Xxxxx e Regolamenti: questa seconda possibilità non può considerarsi autonoma dall’accertamento previo dei fatti e delle relative responsabilità da parte della Giustizia penale, almeno fino alla sentenza di primo grado. Questa deve infatti considerarsi fonte privilegiata quanto alla base concreta dell’impianto accusatorio, e cioè
(a) se i fatti si siano effettivamente svolti, (b) se, al caso, abbiano costituito violazione di Leggi o Regolamenti,
(c) se, al caso, la persona accusata ne sia considerata responsabile, (d) e, al caso, se a titolo doloso, colposo o preterintenzionale; se vi siano aggravanti o attenuanti della gravità della condotta, e, al caso, se generiche o specifiche. Tutto questo per quanto riguarda l’accertamento della condotta quanto alla rilevanza penale: solo sulla base di queste acquisizioni si può iniziare a valutare la sussistenza e la
consistenza di una responsabilità anche sotto il profilo disciplinare.
(2.b)
Art. 4, comma 2 — La Commissione Deontologica istruttoria, secondo il documento in oggetto, dovrebbe essere composta da un numero di membri da 5 a 11, che abbiano almeno 10 anni di anzianità di iscrizione all’Ordine e non potrebbe includere Consiglieri in carica. Il numero dei componenti andrebbe stabilito sulla base della «esperienza pregressa del tasso di litigiosità» di un territorio (cfr. p. 9). Questa ultima tesi appare francamente surreale: quasi il “tasso di litigiosità” fosse misurabile, fosse predittivo del numero di segnalazioni disciplinari da evadere nel tempo, fosse indipendente dalla corretta o scorretta amministrazione del Consiglio territoriale nel tempo e soprattutto dalla sua capacità di ridurre la litigiosità grazie a politiche culturali di informazione/formazione degli iscritti; e, ancora di più, come se si potesse stabilire un nesso lineare di efficienza fra il presunto “tasso di litigiosità” e il numero di membri della Commissione chiamata ad affrontarlo.
I 10 anni di anzianità di iscrizione in che modo garantirebbero la competenza ad affrontare le delicate e complesse problematiche che l’azione disciplinare presenta?
Ancora: «Deve poi essere nominato anche un soggetto estraneo alla professione con esperienza in materie giuridiche per dare sostegno tecnico all’Ufficio [la Commissione]». Si prefigura una Commissione in cui l’unico componente dotato delle indispensabili competenze giuridiche che l’applicazione della Deontologia richiede, sia un non psicologo: quasi si ignorasse che la deontologia non è costituita come “etica professionale
+ diritto”, ma è un territorio di interfaccia in cui etica professionale e diritto sono compenetrati e si bilanciano vicendevolmente a seconda dei contesti, delle situazioni, della tipologia dei soggetti coinvolti e delle stesse regole
del Codice Deontologico che vanno continuamente interpretate per misurarne la congruenza con tutte queste condizioni operative concrete. Sarebbe bene che anche gli psicologi che entrano a fare parte della Commissione abbiano, piuttosto che un certo numero di anni di anzianità di iscrizione, soprattutto competenze deontologiche ostensibili, anche e soprattutto per quanto concerne elementi di diritto sostanziale applicato alla professione.
(3)
L’art. 51 del Regolamento contenuto nel DPR del 5 aprile 1959,
n. 22, dispone che l’azione disciplinare si prescrive in 5 anni. Tale termine prescrizionale decorre non dal momento in cui si sono verificati i fatti presunti che vengono addebitati, bensì dalla data in cui il Consiglio dell’Ordine ne ha acquisito la conoscenza. Merita precisare che l’azione disciplinare si deve intendere iniziata con la deliberazione formale di sottoporre a procedimento il professionista sanitario e con la notifica a quest’ultimo della contestazione degli addebiti: pertanto detta notifica è da considerarsi valida purché effettuata entro cinque anni dal verificarsi dei fatti contestati (o dallo loro cessazione se si tratta dei medesimi fatti ripetuti nel tempo) e a partire da quel momento il procedimento disciplinare deve potersi concludere entro ulteriori cinque anni. In pratica, non è ammesso che dal verificarsi dei fatti all’emissione di sanzioni possano trascorrere più di dieci anni: ciò che dà all’azione disciplinare un margine estremamente ampio di dispiegamento.
(4)
In sintesi, sottolineando che si condivide l’obiettivo di rendere omogenee, per tutti gli Ordini regionali, le procedure disciplinari adottate, va comunque rilevato quanto segue:
(4.a)
Rappresenta un impedimento a qualunque velleità di separare la
funzione istruttoria da quella giudicante la stessa legge 56/89 laddove afferma (art. 12 lettera i) che il Consiglio territoriale dell’Ordine «adotta i provvedimenti disciplinari ai sensi dell’art. 27».
Quindi, tutto il Consiglio vota la decisione, il giudizio e (articolo 27, c. 1) «Il Consiglio dell’Ordine inizia il procedimento disciplinare».
Il procedimento disciplinare inizia (incolpazione) e finisce (giudizio) con il Consiglio, unico attore. Il nodo per cui le due azioni fondamentali – avviare il procedimento disciplinare ed esprimere il giudizio – fanno capo allo stesso collegio, non è risolvibile senza una modifica della L. 56/89
(4.b)
Altri sono gli elementi essenziali che un Regolamento disciplinare unico per tutti gli Ordini territoriali dovrebbe regolamentare:
(1) Le fasi e gli attori
(2) I tempi e la prescrizione, così che la situazione segnalata riceva l’attenzione che merita in tempi congrui.
(3) La tutela uniforme del diritto di difesa con l’introduzione della figura dell’esperto, così da non limitarsi al legale o allo psicologo.
(4.c)
In ultimo: un Regolamento dovrebbe avere, come caratteristica fondamentale, la chiarezza. I destinatari, che sono gli psicologi e i cittadini, devono poter comprendere e sapere con quali regole verranno trattate le loro questioni. E i collegi giudicanti devono avere chiarezza e certezza sulle procedure, in modo che il procedimento si svolga in modo chiaro e univoco.
Certi che questo primo contributo sia tenuto in debita considerazione per la prosecuzione dei lavori istruttori, e che sia accolta la richiesta di coinvolgere direttamente gli
Ordini regionali per l’acquisizione di loro osservazioni, si rappresenta la completa disponibilità ad una proficua collaborazione.
Dal meeting: programma politico di Altrapsicologia
Tra i vari cambiamenti del processo di riforma, esitato nel nuovo Statuto associativo, un’importanza rilevante la assume la definizione del principale momento di elaborazione delle linee politiche e programmatiche dell’Associazione: Il Meeting Nazionale.
In linea con i nostri valori di democrazia, trasparenza e partecipazione, questo luogo è aperto a tutte le tipologie di Associat3 ed è spazio di accoglienza dell3 nuov3 Associat3, delle loro proposte e delle loro energie operative.
I Meeting si concludono con indicazioni programmatiche, sancite in un documento e votate dall3 Associat3 presenti, che rappresentano il principale documento di orientamento delle politiche Associative.
Il 5 Settembre 2021 a Napoli c’è stato il primo Meeting nazionale avvenuto dopo l’approvazione del nuovo Statuto e, come deciso, ci siamo confrontat3 su tantissime tematiche che saranno oggetto di approfondimento e lavoro associativo fino al prossimo Meeting.
Abbiamo definito alcune aree ritenute meritevoli di sviluppo nell’attuale contesto politico-professionale.
Deontologia
Considerata la centrale funzione identitaria del Codice Deontologico per la professione e la sua funzione cruciale di tutela della salute pubblica, è necessario prendere posizione e aprire una discussione nella comunità professionale sul CD e sul procedimento disciplinare, al fine di mettere in evidenza le criticità ed esplicitare i bisogni di riforma, anche alla luce dei cambiamenti sociali e normativi intervenuti negli ultimi 30 anni.
In particolare emergono quali aree problematiche:
• lacune e importanti disomogeneità nelle procedure disciplinari applicate dai diversi Ordini regionali, e la necessità di un regolamento disciplinare nazionale che definisca anche i punti attualmente incerti, che Altrapsicologia si impegna a individuare e definire puntualmente;
• ambiguità nella definizione operativa di alcuni importanti precetti deontologici, e quindi la necessità di esplicitare in modo omogeneo alcuni concetti a livello nazionale;
• necessità di aggiornamento lessicale del testo del CD, per allinearlo alle novità normative e alle nuove istanze sociali emerse in questi anni;
• necessità di individuare i criteri per la definizione e l’erogazione delle sanzioni.
Formazione continua
Il tema della formazione continua degli Psicologi richiede che vengano evidenziati i limiti del sistema ECM e che questi vadano rappresentati all’interno e all’esterno della comunità professionale.
I collegh3 vanno informat3 e sostenut3, soprattutto in merito alla gestione dell’autoformazione, per la quale sarà necessario – attraverso gli Ordini – trovare soluzioni per il riconoscimento di attività di formazione continua che già l3 psicologh3 svolgono (es., supervisione, partecipazione a spazi
di elaborazione e conoscenza, letture specialistiche) ma che al momento non possono essere accreditate e riconosciute ai fini ECM se non con molte difficoltà.
È anche necessaria un’analisi sistematica del fabbisogno formativo dei colleghi che porti gli Ordini a proporre di percorsi di formazione e aggiornamento più aderenti, sia ai bisogni dell3 collegh3, sia ai bisogni emergenti della società.
Tutela
In via preliminare, la funzione di tutela è intesa all’interno di AltraPsicologia come tutela della salute collettiva e della sicurezza pubblica, e la lotta all’abusivismo è principalmente attuata a questo scopo. La tutela non va intesa come tutela corporativa del lavoro dell3 psicolog3, che ne è semmai una ricaduta secondaria e solo se accompagnata da un solido percorso di aumento della qualità dell’operato professionale dell3 psicolog3.
Sul piano applicativo attuale, sono emersi alcuni nodi problematici comuni alle diverse esperienze degli Ordini territoriali impegnati nella funzione di tutela prevista dalla legge 56/89:
• la mancanza di procedure gestionali ed operative
• la scarsa percezione del valore della Tutela anche in seno ai Consigli
È necessario un impegno per la diffusione della cultura della tutela quale strumento per la protezione della salute collettiva.
Tirocinio/esame abilitante
Tenuto conto delle importanti novità intervenute nel tempo (dal 3+2 fino al disegno di legge Xxxxxxxx di abolizione del tirocinio post-laurea), è necessario riconsiderare il tema del
tirocinio e dell’Esame di Stato alla luce dell’attualità, senza preclusioni sulle possibili e radicali novità che potranno intervenire.
Queste tematiche sono state declinate in Strumenti/Azioni da intraprendere che saranno oggetto di lavoro associativo e che saranno, come sempre, declinate sul piano nazionale e territoriale.
Come Direttivo ci siamo impegnati ad essere organizzatori del processo di sviluppo ed implementazione di queste tematiche e, insieme a tutta l’associazione, lavoreremo quotidianamente per confrontarci anche con tutti gli interlocutori istituzionali esistenti, per una messa a terra di piani operativi che rispecchino la cornice valoriale di Altrapsicologia, come espressa e sancita dallo Statuto associativo.
Deontologia Pratica per Psicologi
Padova, sabato 9 febbraio
Sala Xxx Xxxx – Presso la residenza del Collegio mazza in xxx Xxxxxxxxxx 000, Xxxxxx
ore 10.30 – 13.00 (registrazione ore 10.15)
Il Codice Deontologico è la nostra legge professionale: ci aiuta a lavorare bene, e garantisce i cittadini contro le condotte scorrette.
Siamo sicuri di conoscerlo bene? Sappiamo cosa succede in caso di segnalazione deontologica a carico di uno/a psicologo/a? Siamo in grado di individuare la condotta più corretta in
situazioni complesse?
Questo evento nasce dall’esperienza dei soci di Altrapsicologia nelle commissioni deontologiche e negli Ordini, in cui si gestiscono i procedimenti disciplinari nei confronti degli psicologi.
OBIETTIVI: imparare a riflettere sul proprio lavoro anche dal punto di vista deontologico, sviluppando ragionamenti su casi concreti. Apprendere a sviluppare e adottare condotte corrette dal punto di vista deontologico, specie nelle situazioni a rischio. Imparare come si svolge un procedimento disciplinare.
METODO: dopo una sintetica introduzione sul CD e sullo svolgimento dei procedimenti disciplinari, si lavorerà in piccoli gruppi. Ciascun gruppo costituirà una simulazione di Commissione Deontologica e lavorerà su casi concreti, ispirati alle principali casistiche di segnalazione e violazione che si presentano nei procedimenti disciplinari.
Al termine, i casi trattati saranno discussi in un Consiglio dell’Ordine simulato, che produrrà decisioni disciplinari sui casi, sulla base degli elementi raccolti.
ARGOMENTI: Si parlerà e di ragionerà sugli interventi per minori e famiglia, sul segreto professionale, sulla pubblicità professionale, sulle commistioni fra vita privata e professione e su tutti gli argomenti più delicati che possiamo incontrare nella nostra attività quotidiana.
CONDUCE: Xxxxxxxx Xxxxx. Psicologo specialista in Psicologia Clinica, dal 2010 al 2014 ha fatto parte della Commissione Deontologica dell’Ordine Psicologi Veneto. Presidente di Altrapsicologia dal 2014 e Vicepresidente ENPAP dal 2013.
Evento gratuito, prenotazione obbligatoria: clicca qui
Gentili Consiglieri, |
con questa lettera Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx intendono comunicare le proprie dimissioni dalla Commissione di Garanzia di OPL.
La decisione nasce in seno a una discussione molto più ampia e complessa, legata alla gestione globale dell’Ente nel corso di questa consigliatura, e le seguenti riflessioni sono condivise dall’intero gruppo di opposizione, che si riconosce in AltraPsicologia.
Nei giorni scorsi ci siamo confrontati seriamente sulla possibilità di dimetterci tutti dal nostro incarico di consiglieri. Xxxxxxx considerato, tuttavia, un preciso dovere quello di rimanere e continuare a svolgere il mandato per il quale i colleghi ci hanno eletti.
Le dimissioni dalla Commissione di Garanzia rappresentano quindi il nostro atto politico e fattivo, essendo stata la commissione stessa, in frequenti occasioni, specchio di una gestione globale – appunto – da noi nient’affatto condivisa:
mancanza di capacità e/o volontà politica di indirizzo, gestione orientata all’approvazione e al finanziamento di progetti spesso privi di sostanza per la professione, costante noncuranza per alcuni aspetti formali (che per un’istituzione dovrebbero essere sostanziali)[*].
Riteniamo, in particolare, che il nostro apporto all’azione consultiva della Commissione – cioè collaborare nella
preparazione delle decisioni da portare in riunione di Consiglio, tenendo conto degli elementi utili per permettere ai Consiglieri di esprimere il proprio voto – sia tendenzialmente fallita. I nostri pareri e suggerimenti riguardanti l’opportunità di prendere determinate decisioni, ed eventualmente la modalità da seguire – tranne in rari casi e su progetti certamente “secondari”- sono stati sistematicamente tralasciati.
Aggiungiamo che a più di 6 mesi dalla conclusione del progetto sulle Pari Opportunità (portato avanti da 3 consigliere dell’opposizione) non solo sul sito internet non è presente alcun materiale che testimoni il compimento di questa prima fase, ma nonostante i ripetuti solleciti – e anche le riunioni di revisione del nuovo progetto alle quali comunque 2 consiglieri di maggioranza hanno partecipato -, semplicemente stiamo assistendo a un “ne parleremo”.
Constatiamo di aver ricevuto la rendicontazione di tutti i progetti OPL così come promesso: a distanza di 2 mesi, tuttavia, non vi è stato spazio per discuterne né in garanzia, né (quale sede naturale) in Consiglio. A nostro parere – già espresso ripetutamente – varrebbe la pena di convocare una riunione di Consiglio supplementare, per poter discutere insieme dei singoli progetti, ove possibile anche incontrando e conoscendo i colleghi che se ne sono occupati, e valutare accuratamente come vengono spesi i soldi dell’intera comunità professionale. Viceversa, quello che si verifica è un appiattimento della gestione dei progetti su un piano squisitamente tecnico: quello dell’approvazione del bilancio, che purtroppo non permette di entrare nel merito dei contenuti e della qualità di ciò che viene offerto.
Ultimo, ma non meno importante, segnaliamo nuovamente il tema della deontologia: la decisione assunta durante l’ultimo Consiglio disciplinare ci ha colti completamente impreparati: la gravità dei contenuti emersi e del caso di specie (con possibili rilevanti ricadute sull’intera comunità
professionale) – e la conduzione dell’audizione all’iscritto da parte di singoli Consiglieri, evidenziavano tutt’altra posizione. Riteniamo, infatti, che la votazione si sia svolta in modo frettoloso e poco responsabile, senza discutere approfonditamente le diverse opzioni di sanzione disciplinare, come sarebbe stato auspicabile per un caso così complesso. Sembra sia stato completamente eluso il fatto che la democraticità della decisione maggioritaria all’interno di un Consiglio giudicante debba potersi sostenere sul consenso della comunità scientifica, non sulla prevalenza di chi ha il potere. Secondo noi, invece, quello che è successo è anche frutto dell’esistenza di una commissione deontologica gestita senza competenze radicate e anche per questo continuamente a rischio di appiattimento su una deriva giuridica che non può certamente rendere conto della complessità dei temi professionali che ci troviamo ad affrontare.
Pur essendo consapevoli del fatto che l’attuale maggioranza abbia proposto e realizzato anche progetti validi, siamo rammaricati per quanto sta accadendo, e riteniamo un nostro preciso dovere morale rendere noto ai colleghi Consiglieri di maggioranza e alla comunità professionale questioni che sin dall’inizio della consigliatura sono state poste come problematiche, e che riteniamo non siano nemmeno state affrontate.
Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx.
[Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xx Xxx, Xxxxxx Xxxxxxxxx]
*******
*[NOTA]: … come ad esempio il costante invio dei materiali del Consiglio a distanza di sole poche ore dalla riunione, o la proposta di delibere da portare al voto quasi sempre incomplete se non addirittura errate; e per la garanzia in particolare:
la commissione non viene mai convocata ufficialmente tramite mail dalla segreteria: per estensione di quanto contenuto nell’art. 17 del Regolamento di OPL, la chiamata dovrebbe avvenire almeno 48 ore prima tramite mail, con la specificazione dell’ordine del giorno e con la indicazione del giorno, del mese, dell’anno, dell’ora di inizio e di conclusione. Mai visto nulla di simile, non abbiamo un coordinatore ufficiale della commissione (anche questo previsto dal regolamento),
questo significa anche che nessuno relaziona al Consiglio ogni trimestre tramite resoconto scritto,
il foglio firme per la verifica delle presenze dei componenti la commissione non c’è praticamente mai,
i verbali della commissione non vengono protocollati in segreteria, o almeno questo risulterebbe da alcuni errori commessi dalla contabilità dell’Ente.