INDICE
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI ECONOMIA “XXXXXXX XXX”
Corso di Laurea triennale in Economia e Commercio
“IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE”
“PART-TIME EMPLOYMENT CONTRACT”
Relatore: Rapporto Finale di:
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx
Anno Accademico 2019/2020
INDICE
1. Introduzione pag.1
2. Il lavoro a tempo parziale pag.3
2.1 Nozione di carattere generale sul lavoro part-time pag.3
2.2 Il part time, uno strumento di promozione del lavoro pag.7
2.3 Le donne e il part time in Europa e in Italia pag.11
3. Il nuovo part time pag.15
3.1 Le prime leggi sul part time pag. 16
3.2 Dalla legge Biagi alla legge sul welfare pag. 20
3.3 Dalla riforma Fornero al Jobs Act pag. 25
3.4 La geografia del lavoro a tempo parziale pag. 32
3.5 Tendenza del lavoro part time in Europa pag. 33
3.6 Il part time in Italia pag.36
3.7 Il part time nelle marche pag40
4. Conclusioni pag.42
5. Bibliografia e Sitografia pag.44
1. Introduzione
Scopo del presente lavoro è quello di trattare di una tipologia di contratto in crescente diffusione nel mondo del lavoro: il part time.
Nel primo capitolo, oltre a spiegare che tipo di contratto sia il part time andando a descrivere i suoi elementi costitutivi tratterò, anche, di come questa disciplina sia entrata nel mondo del lavoro e di come quest’ultimo l’ha accolta.
La sua rapida diffusione l’ha portato ad essere al centro di numerose discussioni sia positive che negative.
Tra i numerosi aspetti positivi a farla da padrone è sicuramente l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto da parte delle donne, ed il suo contribuito a soddisfare il crescente bisogno di flessibilità delle aziende.
Come altra faccia della medaglia, però, il lavoro a tempo parziale ha avuto un ruolo decisivo nell’incentivare la segmentazione del mercato del lavoro, alimentando nuove forme di penalizzazione e discriminazione.
Nel secondo capitolo tratterò di come si sia evoluto il part time fino ad arrivare ai giorni nostri.
Entra per la prima volta all’interno dell’ordinamento Italiano nel 1984, anche se precedentemente riconosciuto all’interno del quadro particolare del lavoro giovanile nel 1977.
La sua prima disciplina era molto scarna, trascurava la descrizione su molteplici aspetti inerenti al rapporto di lavoro che si andava stipulando.
Col passare del tempo è stato riformato più e più volte, influenzato anche dalle disposizioni della comunità economica Europea e delle riforme degli ultimi anni.
Infine, nell’ultimo capitolo, analizzerò come il part time si sia radicato in Europa e delle principali differenze con quello Italiano.
In particolare, tratterò di come differenze discipline e modelli abbiano contribuito a diversificare la diffusione del par time in tutto il panorama europeo.
Esistono paesi nei quali si raggiungono incidenze particolarmente elevate sul totale della popolazione, come ad esempio l’Olanda, e paesi nei quali il part-time ha una diffusione davvero marginale come ad esempio la Bulgaria.
Nel 2016 l’Italia era all’11° posto, poco al di sotto della media europea che si aggirava intorno al 20%
2. IL LAVORO A TEMPO PARZIALE
Il lavoro a tempo parziale, comunemente conosciuto come part time, è una forma di rapporto di lavoro, prevista nel diritto del lavoro italiano, caratterizzata da un orario ridotto rispetto a quello normale a tempo pieno.
La normativa italiana, precisamente nell’articolo n. 3 comma 1 del D.lgs n.66 del 2003, definisce come tempo pieno 40 ore settimanali del minor orario fissato dai contratti collettivi di riferimento.
Inizialmente il contratto di lavoro a tempo parziale ha incontrato diverse ostilità. Soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali in quanto ritenevano che esso andasse a peggiorare le condizioni dei lavoratori, surclassando i loro diritti e le loro garanzie a favore dei datori di lavoro.
Col passare degli anni, però, è diventato veramente una formula del futuro come predetto dagli economisti Xxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx in un loro progetto del
1988 intitolato:”Struttura ed evoluzione dell’economia” .
2.1 NOZIONE DI CARATTERE GENERALE SUL LAVORO PART-TIME All’interno del contratto di lavoro part time esistono diversi elementi che vanno, secondo le regole vigenti, a definire la tipologia oraria dello stesso.
Il contratto deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova.
Esso deve contenere la durata complessiva e la collocazione temporale dell’orario stabilito facendo riferimento alla giornata, alla settimana, al mese e infine all’anno. La contrattazione collettiva ammette clausole diverse solo nel caso in cui riguardino clausole elastiche o flessibili.
Sono clausole flessibili quelle pattuizioni che consentono al datore di lavoro di variare
la collocazione temporale delle prestazioni di lavoro. Si parla invece di clausola elastica
quando il datore di lavoro aumenta la qualità della prestazione.
All’interno della contrattazione collettiva vengono anche individuati i limiti massimi di variabilità.
Il datore di lavoro per usufruire di queste clausole deve dare al dipendente un preavviso di almeno due giorni lavorativi, salvo diversi accordi fra le parti, e si presuppone il consenso di quest’ultimo.
Il consenso da parte del lavoratore è infatti obbligatorio ma il rifiuto non integra gli estremi del giustificato motivo per il licenziamento.
Esso deve risultare da un patto stipulato in forma scritta e deve manifestarsi in sede di stipula del contratto o successivamente in caso di mutate esigenze organizzative aziendali.
Le clausole elastiche e flessibili possono essere stipulate anche per i contratti a tempo determinato.
Il rapporto a tempo parziale può essere stipulato dalla generalità dei lavoratori e dei datori di lavoro e si applica interamente anche al settore agricolo.
Nel settore pubblico è possibile ricorrere al lavoro a tempo parziale ma non si applicano le modifiche introdotte per effetto della riforma.
Il rapporto a tempo parziale può essere verticale, orizzontale o misto.
Il part time verticale si verifica quando la prestazione è svolta a tempo pieno ma limitatamente ad alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno. Il part time orizzontale si verifica quando sussiste una riduzione al normale orario giornaliero. Infine, quello misto, è una combinazione tra le modalità dell’orizzontale e del verticale.
Un rapporto di lavoro dipendente può esse instaurato, fin dalla sua origine, come rapporto di lavoro part-time oppure può essere trasformato in un secondo momento.
La riduzione oraria può essere temporanea e reversibile, questo implica che non ci sono limiti nel numero di trasformazioni da full-time a part-time e viceversa. In ogni caso, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non rappresenta un diritto del lavoratore, ma è facoltà del datore di lavoro concederlo o meno.
La trasformazione del rapporto da full time a part-time deve risultare da un atto scritto e convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro.
La riduzione oraria può essere variabile e la distribuzione delle ore lavorative può essere organizzata secondo modalità definite di caso in caso.
Nella determinazione del trattamento economico e normativo il lavoratore non può essere discriminato per il suo orario ridotto, esso infatti ha diritto ad avere un pari inquadramento contrattuale.
L’applicazione di tale principio, sul piano del trattamento economico, suppone che al lavoratore part-time spetti la stessa retribuzione oraria del lavoratore a tempo pieno e che vengano riproporzionate, in base alla prestazione lavorativa, la retribuzione complessiva e le singole componenti di essa: la retribuzione feriale, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio, malattia professionale e maternità.
Nel piano del trattamento normativo per accertarsi che il lavoratore a tempo parziale abbia gli stessi diritti del lavoratore a tempo pieno si deve verificare la compatibilità di diversi parametri quali: la durata del periodo di prova; le ferie annuali; la durata del congedo di maternità e del congedo parentale; la durata del periodo di malattia e infortunio; l’infortunio sul lavoro e malattia professionale; la tutela e la sicurezza sul luogo di lavoro; l’accesso alle iniziative di formazione; l’accesso ai servizi sociali
aziendali, i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai Ccnl ed infine i diritti sindacali.
La prestazione lavorativa part-time può prevedere l’effettuazione di lavoro supplementare e di lavoro straordinario. Il lavoro supplementare è prestato oltre l’orario di lavoro ma entro il limiti del lavoro a tempo pieno; infatti non deve superare il 25% delle ore settimanali. Il lavoro straordinario è prestato oltre i limiti dell’orario a tempo pieno. Quest’ultimo è ammissibile solo nel rapporto di lavoro part time di tipo verticale o misto sia a tempo determinato sia indeterminato.
Il lavoratore a tempo parziale gode degli stessi diritti e doveri nei riguardi del datore di lavoro al pari di tutti i lavoratori subordinati.
Gode di speciali diritti solo nel caso di trasformazione del contratto di lavoro. Si parla di diritto di precedenza in quanto il datore di lavoro è tenuto a riconoscere questo diritto in caso di assunzione di persone a tempo pieno ai dipendenti a tempo parziale adibiti alla stessa mansione e diritto all’informazione perché è tenuto a prendere in considerazione eventuali trasformazioni part time prima di darne comunicazione a tutti i dipendenti a tempo pieno.
2.2 Il part time, uno strumento di promozione del lavoro
Il lavoro a tempo parziale viene inserito all’interno dell’ordinamento italiano in tempi pressoché recenti. Le motivazioni sono molteplici, tutte però si aggirano intorno alla più importante ossia promuovere l’occupazione.
Il legislatore vuole promuovere l’occupazione introducendo un lavoro flessibile capace di far leva sull’offerta e sulla domanda in quanto riesce a rispondere alle esigenze di entrambe le categorie prese in esame.
Se da un lato, attraverso la prospettiva di carichi lavorativi ridotti, si è andati ad incentivare la partecipazione al mercato del lavoro di soggetti altrimenti esclusi, dall’altro si sono soddisfatte le crescenti esigenze di flessibilità espresse dalle imprese. In via generale, agendo soprattutto sulla sfera della disoccupazione, il part-time ha consentito di creare nuove opportunità di lavoro andando ad incrementare non solo il livello di partecipazione ma anche quello di occupazione. La progressiva diffusione del part-time ha avuto un’importante funzione di traino per il progressivo innalzamento dei livelli di occupazione, tanto che, nelle statistiche la correlazione tra l’aumento del tasso di occupazione e la crescente incidenza del part-time è netta. Non sempre, tuttavia, la crescita degli occupati, ad opera della progressiva diffusione di rapporti di lavoro a tempo parziale, ha interpretato un reale rafforzamento della domanda di lavoro, così come avviene in una fase di espansione economica. In alcuni momenti, come ad esempio nel corso degli ultimi anni segnati dalla crisi, la diffusione del part-time nel lavoro subordinato ha rappresentato una strategia difensiva adottata dalle aziende per calmierare le difficoltà economiche, con dinamiche di crescita solo in parte marginali imputabili agli effetti di una crescente domanda di lavoro. Solo negli anni più recenti, ed in particolare con l’avvento della crisi e l’accentuarsi di alcune trasformazioni del
tessuto economico-produttivo regionale, il trend parallelo di espansione sembra aver assunto andamenti e connotazioni diverse. Se da un lato si assiste ad una forte battuta d’arresto dell’occupazione nel suo insieme, dall’altro sembra invece non esaurirsi lo sviluppo del part-time, che anzi tende ancor più ad intensificarsi, erodendo progressivamente lo spazio occupato dal full-time.
La crescita del part time, però, non è sempre un segnale positivo all’interno di un paese. In Italia si sta diffondendo un part time che viene definito involontario, ossia imposto delle imprese. I lavoratori si trovano nella condizione di veder mutato il proprio contratto di lavoro senza poter far nulla a riguardo; diventa una scelta tra avere un lavoro e non averlo.
Secondo i dati Istat, nell’ultimo trimestre del 2019 la percentuale di occupati in Italia è effettivamente aumentata seppur di poco dal 2008 ma le ore lavorate e le unità di lavoro,
purtroppo, non seguono lo stesso andamento positivo a causa della diffusione del part time involontario. Dalla tabella si evince che dal 2008 al 2013, anni di forte crisi, le ore di lavoro e le unità di lavoro (ULA) sono diminuiti molto più degli occupati. La causa, secondo l’Istat, è l’aumento delle ore di cassa integrazione, visto l’aumento dei casi di licenziamento, ed il crollo delle assunzioni a tempo pieno in parte a favore del par time. Dal 2013 fino al 2019, le ore di lavoro e le unità di lavoro aumentano e si trovano di poco inferiori alla linea degli occupati. In Italia si assiste ad una leggera ripresa che beneficerà, anche se di poco, il mondo del lavoro. La cassa integrazione si riduce e la ricerca dei posti di lavoro aumenta grazie anche alla diffusione del part time.
Tutto questo sembra positivo, in quanto la percentuali dell’occupazione è tornata al periodo pre-crisi ma purtroppo le motivazioni che spingono i lavoratori a sceglierlo ci fanno analizzare questa crescita sotto un altro punto di vista.
Gli occupati che scelgono il part time perché non sono riusciti a trovare un lavoro a tempo pieno sono il 12,5 per cento rispetto al 5,8 per cento del 2008; mentre quelli che lo scelgono per motivo di studio o per motivi familiari sono 6,7 per cento rispetto al 8,4 per cento .
Il dato più rivelante viene registrato dal part time involontario che risulta raddoppiato negli ultimi dieci anni passando da 1,3 milioni del 2008 a 2,8 milioni del 2019.
Gli occupati in totale nel 2019 erano 23,3 milioni, quelli che hanno dovuto accettare un impiego con un orario e uno stipendio ridotto sono 11,9 per cento.
A subire il colpo maggiore sono le donne che, su un totale di 9,8 milioni di occupate, il 19,5 per cento si è trovato costretto ad accettare un lavoro a tempo parziale. Nel 2008 le lavoratrici erano 9,3 di cui 10,1 per cento svolgeva un lavoro part time.
Anche gli uomini dal 2008 hanno registrato un aumento significativo nel mondo del part time, passando da meno di mezzo milioni a 855.000.
2.3 Le donne e il part time in Europa e in Italia
L’introduzione e la diffusione del part-time ha avuto effetti importanti nell’aumentare la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Esso veniva e viene tutt’ora visto come strumento di riavvicinamento alle componenti più deboli del mondo del lavoro: le donne e i giovani. Grazie al suo orario ridotto la donna riesce ad accudire nel miglior modo possibile la famiglia, i giovani riescono ad avere un’occupazione e magari continuare a studiare. Il part time rappresenta, quindi, una delle modalità più efficaci per incentivare la partecipazione giovanile e femminile nell’ingresso del mercato del lavoro. Se ci focalizzassimo sulla partecipazione femminile possiamo capire come, insieme al part time, sono subentrati diversi altri fattori che hanno contribuito , anch’essi, in maniera rilevante, come ad esempio : l’eliminazione di un diffuso approccio culturale che vedeva le donne relegate al lavoro familiare e domestico, la crescita dei livelli di istruzione, un mutato nucleo familiare ed infine una crescente domanda di lavoro proveniente da alcuni comparti dei servizi alla persona, come il lavoro di cura.
Anche a livello europeo la crescita dell’occupazione femminile è stata fortemente promossa dalla diffusione del tempo parziale ma anche in questo bisogna fare una distinzione tra part time volontario e involontario. In Europa centro-settentrionale si parla di lavoro a tempo parziale volontario mentre in Europa meridionale è involontario. In Italia dal 2008 al 2018 le donne occupate sono aumentate dell’8 per cento, ossia quasi 740 mila in più, e il tasso di occupazione è pari al 56per cento rispetto al 51 per cento del 2008.
Rispetto alla media europea del tasso di occupazione femminile, l’Italia non la raggiunge di almeno sette punti percentuali.
Per l’Eurostat i motivi principali per cui gli uomini e le donne cercano un lavoro part time sono tre: non riescono a trovare un’occupazione a tempo pieno, devono accudire la propria famiglia oppure devono finire gli studi.
I dati riportati nella tabella sottostante fanno riferimento all’Europa del 2018.
A livello europeo l’impossibilità di trovare un impiego a tempo pieno vale nel 25,6 per cento dei casi, la necessità di occuparsi di un bambino o di un adulto non autosufficiente riguarda il 23,5 per cento di chi ha un contratto di lavoro part time, solo l’8 per cento adotta questo contratto perché deve completare gli studi.
Possiamo fare un’ulteriore scissione che ci porta a far capire la differenza dei motivi che spinge un uomo o una donna a lavorare part time.
Tra i soggetti che si trova in questa condizione perché non trovano un’occupazione a tempo pieno, il 22,6 per cento sono le donne contro il 35,6 per cento degli uomini. Al contrario per la seconda motivazione, ovvero, prendersi cura della famiglia il 28,7 per cento sono rappresentate dalle donne e solo il 5,9 per cento dagli uomini.
A livello italiano, la differenza è ancora più marcata rispetto al quadro europeo.
Le stime fanno riferimento sempre al 2018, in Italia solo 1,2 per cento degli uomini scelgono un’occupazione a tempo ridotto per occuparsi di un famiglia contro il 18,7 per cento delle donne.
Questa motivazione, come sottolineata nel grafico sottostante, non è la principale.
La motivazione che riscontra maggior successo sia tra gli uomini che tra le donne è il fatto di non riuscire a trovare un lavoro a tempo pieno. Questo è veritiero per l’80,4 per cento degli uomini e per il 60,7 per cento delle donne.
Come fanalino di coda rimane la scelta del part time per finire gli studi.
La percentuale di donne costrette a lavorare a tempo parziale è cresciuta molto nei paesi europei che più hanno sofferto la crisi. In Irlanda è salita dal 3 per cento del 2008 al 12 per cento del 2013, in Spagna dall’8 per cento a quasi il 16, in Grecia dal 4 per cento a oltre l’8 per cento e anche in Italia dal 10 per cento a oltre il 18 per cento.
Il problema in Italia è il part time involontario. Il part time per motivi diversi da quello precedentemente definito diminuisce dal 2008 al 2018 di 4,5 punti percentuali. In altri
paesi europei soprattutto in Germania, Austria e Belgio aumentano i casi di part time volontario.
3. Il nuovo part time
Le prime leggi sul part time in Italia, come precedentemente detto, fu introdotta nell’ordinamento italiano il 30 ottobre 1984, poi convertito nello stesso anno nella legge 863 del 19 dicembre. La prima disciplina organica era composta da otto articoli e tralasciava molti aspetti importati, infatti fu successivamente abrogata.
Le esperienze italiane ed europee degli anni ’80 hanno dimostrato un uso disinvolto della forza lavoro che però non era conforme al principio di eguaglianza sostanziale.
Per questo motivo è intervenuta la Corte di giustizia mediante una direttiva comunitaria che obbligatoriamente doveva entrare a far parte di tutti gli ordinamenti.
Essa assicurava parità di trattamento fra lavoratori a tempo pieno e quelli a tempo parziale ed una convenienza reciproca fra le parti nella scelta della durata della prestazione.
L’attuazione italiana della direttiva 97/81/CE, citata sopra, è incorsa solo il 25 febbraio del 2000 con il decreto legislativo numero 61, il quale ha dato attuazione sul punto alla legge comunitaria del 1999.
Il lavoro part time nel corso degli anni ha subito notevoli cambiamenti.
Basti pensare che dopo solo tre anni dall’attualizzazione della normativa comunitaria, arriva il prima cambiamento radicale introdotto con la riforma di Xxxxx Xxxxx.
L’obiettivo di tale riforma è quello di renderlo più snello e trasparente possibile.
Nel 2007 con il protocollo sul welfare, legge numero 247, si modificano le clausole di flessibilità ed elasticità e si cerca di regolamentare la trasformazione da tempo pieno a quello ridotto e viceversa.
L’obiettivo, invece, della legge numero 92 del 2012, la riforma Fornero, mira a rendere più agevole, per la lavoratrice e il lavoratore, la modifica del regime variabile di orario concordato.
Infine, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, si arriva alla normativa, tutt’ora vigente in Italia, in tema di lavoro part time.
Il decreto prende il nome di Jobs Act e prevede il riordino dei contratti di lavoro.
3.1 Le prime leggi sul lavoro a tempo parziale
Il rapporto di lavoro part-time venne disciplinato per la prima volta con il decreto legge
n. 726 del 30 ottobre 1984, poi convertito nella legge 863 del 19 dicembre sempre dello stesso anno.
La potenzialità del part time sta nel fatto che ha dei punti di forza per entrambi le parti che lo firmano ossia il datore di lavoro e il lavoratore. Per il datore di lavoro è uno strumento adatto ad attuare una redistribuzione del lavoro, mentre per il lavoratore rappresentava la migliore possibilità per conciliare il lavoro e gli impegni sociali relativi alla famiglia.
Visti gli effetti positivi sulle parti firmatarie e visto l’ottimo contributo strategico sull’occupazione, il consiglio europeo dedicò una particolare attenzione a questa forma di lavoro, infatti, emanò nel 1997 una direttiva comunitaria: la n.97/81.
La direttiva del Consiglio del 15 dicembre 1997 recepisce l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE (unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro dell’Europa), dal CEEP (centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica) e dalla CES (confederazione europea dei sindacati).
Dal punto di vista della formazione di questo particolare tipo di direttive, bisogna ricordare che la normativa comunitaria ricalca lo schema generale di legislazione posto in essere dal protocollo numero 14 inerente alla politica sociale del trattato CE, e si propone come attuazione della Carta sociale del 1989 sottoscritta dagli Stati membri ad eccezione del Regno Unito.
La Commissione manifestò inizialmente l’intento di voler armonizzare la legislazione europea in tema di lavoro a tempo parziale.
Avviata la procedura, le parti sociali hanno trasmesso il testo alla Commissione, congiuntamente alla richiesta di xxxxx attuazione ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2 dell’accordo del 1989. Quest’ultima, dopo averne informato il Parlamento europeo, lo ha infine proposto al Consiglio, confermando altresì la necessità che la materia venisse affrontata in sede comunitaria secondo quanto previsto dal principio di sussidiarietà.
Una volta concluso questo iter il testo dell’accordo viene allegato alla direttiva.
Si può dire che l’istituto del part time si prefigura come uno strumento elastico per la disciplina di questa materia.
Nella direttiva è previsto che gli Stati membri possano addirittura lasciare che siano anche le associazioni di categoria a darne insieme l’attuazione, senza l’intervento statale, sulla base di una loro richiesta congiunta.
Tutto ciò risulta ammissibile sempre a condizione che gli Stati membri prendano tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prestabiliti dalla stessa.
Il termine stabilito per l’attuazione della direttiva era di due anni, prorogabile di un anno, in caso di particolari problemi o ritardi nell’attuazione attraverso la contrattazione collettiva.
L’attuazione italiana è incorsa con il decreto legislativo 61 del 2000. Il ritardo è stato causato, oltre che dal passaggio delle consegne tra i Ministri del lavoro Xxxxxxxxx e Xxxxx, anche dalla tragica morte del Prof. Xxxxxxx X’Xxxxxx.
Xxxxxxx X'Xxxxxx è stato un giurista e docente italiano, assassinato dalle Nuove Brigate Rosse il 20 maggio del 1999, a Roma, a pochi passi dalla sua abitazione
Fu assassinato dai brigatisti rossi, come nel caso di Xxxxx Xxxxx, nella logica terroristica di annientamento di professionisti e servitori dello Stato legati ad un contesto di ristrutturazione del mercato del lavoro
L’obiettivo prioritario di questa direttiva, è promuovere questa forma occupazionale cercando di eliminare ogni discrimine tra i lavoratori a tempo pieno e quelli a tempo parziale.
Il presente accordo enuncia principi generali e prescrizioni minime relative al part-time in quanto prende in esame le diverse situazioni presenti all’interno degli Stati membri e riconosce che il lavoro a tempo parziale è caratteristico dell'occupazione in certi settori ed attività.
Esso rappresenta la volontà delle parti sociali di definire un quadro generale per l'eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e per contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale, su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori.
La direttiva espone le condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo parziale, rinviando alle decisioni degli Stati membri le questioni relative ai regimi legali di sicurezza sociale. Nel quadro del principio di non discriminazione, le parti firmatarie hanno tenuto conto della dichiarazione sull'occupazione del Consiglio europeo di Dublino del dicembre 1996. Essa sottolineava, tra l'altro, la necessità di rendere i sistemi di sicurezza sociale
più favorevoli all'occupazione, sviluppando "sistemi di protezione sociale capaci di adattarsi ai nuovi modelli di lavoro e di offrire una tutela sociale appropriata alle persone assunte nel quadro di queste nuove forme di lavoro".
L’attuazione italiana della direttiva 97/81/CE è incorsa solo il 25 febbraio del 2000 con il decreto legislativo numero 61.
Il percorso formativo, oltre ad essere condizionato da eventi tragici come detto in precedenza, ha subito una digressione rispetto al modello comunitario.
Nell’iter tradizionale, per delineare le linee guida della futura legislazione sul lavoro a tempo parziale si sarebbe dovuto raggiungere un accordo fra le parti, invece, nel nostro caso è stato emanano dal Governo, dopo aver ricevuto la delega da parte del Parlamento.
Il legislatore, con il decreto legislativo numero 61 del 2000, ha previsto un’articolata e complessa disciplina rivolta a garantire all’impresa un utilizzo flessibile della prestazione promessa.
Definisce nel dettaglio la differenza tra lavoro supplementare e straordinario oltre che definire la differenza tra clausole flessibili ed elastiche, spiegate nel capitolo precedente. A differenza della prima normativa, il lavoro straordinario è ammesso ora anche nel part time verticale o misto, ma lascia intendere che non sia ammessa nell’ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, essendo ammesso in questa ipotesi solo il lavoro supplementare sino alla soglia massima prevista dalla contrattazione collettiva. Si ipotizza che questo divieto sia stata aggiunto per evitare che il datore possa sistematicamente preferire la forma del lavoro part time, a scapito della disciplina ordinaria, prolungando poi di fatto la prestazione concretamente resa, sino oltre la durata della prestazione ordinaria, quando ne abbia concreta convenienza.
Il decreto legislativo, citato sopra, è stato fatto oggetto di plurime modifiche, spesso di segno contrapposto: il decreto legislativo numero 100 del 26/02/2001, il decreto legislativo numero 276 del 2003; la legge numero 247 del 24/12/2007, la legge numero 183 del 12/11/2011 ed infine, la legge numero 92 del 28/6/2012.
L’attualizzazione della normativa comunitaria contiene, anch’essa, una sezione che tutela le possibili discriminazioni subite dal lavoratore ad orario ridotto che è rimasta inalterata pur a fronte dei numerosi interventi di revisione.
Si prevede così uno specifico dovere di non discriminare il lavoratore «per il solo motivo di lavorare a tempo parziale», che viene ad aggiungersi all’ormai folto quadro di previsioni legislative relative sia alle forme dirette che indirette di discriminazione.
3.2 dalla legge Biagi alla legge sul welfare
Il 24 ottobre 2003, a seguito della pubblicazione all’interno della Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo numero 271 del 10 settembre 2003 di attuazione della legge numero 30 del 14 febbraio 2003, è formalmente entrata in vigore la cosiddetta riforma Biagi del mercato del lavoro.
Xxxxx Xxxxx è stato un giuslavorista e accademico italiano. Assassinato, anch’esso, da un commando di terroristi appartenenti alle Nuove Brigate Rosse. L'omicidio avvenne il 19 marzo 2002, un anno prima dell'approvazione della legge ispirata a una maggior flessibilità dei contratti di lavoro.
Per avviare la sua riforma è partito dall’elaborazione di alcuni schemi di che disciplinavano il lavoro a progetto, per poi affinare una serie di testi sulle tipologie contrattuali a orario ridotto, modulato e flessibile: il lavoro intermittente e il lavoro a tempo parziale.
L’obiettivo centrale di questa riforma si basa sulla realizzazione di un mercato del lavoro più trasparente e inclusivo. Per raggiungerlo, Xxxxx Xxxxx fornisce un quadro di norme di regolazione del mercato del lavoro maggiormente effettivo ed esigibile, in modo da ricondurre alla piena legalità i collaboratori coordinati e continuativi ed i lavoratori irregolari che popolano l’economia sommersa con effetti negativi per la tutela dei lavoratori.
In tema di lavoro a tempo parziale, questa riforma riesce ad alleggerire alcuni vincoli sindacali e normativi, eliminando alcune tutele del lavoratore considerate ostacoli, come ad esempio la complicazione dell’accesso alle flessibilità e il diritto di ripensamento del lavoratore.
La legge Xxxxx reintroduce una diversa disciplina tra il part time nel lavoro privato e il part time nel pubblico dato che le regole del 2003 non risultano applicabili al personale delle pubbliche amministrazioni.
Così facendo, il part-time pubblico resta disciplinato dalla formulazione originaria del decreto legislativo numero 61/2000.
Il nucleo particolarmente innovativo si trova negli interventi relativi a clausole flessibili ed elastiche e nel lavoro supplementare, tesi a liberare da limiti e procedure il mutamento di durata e collocazione della prestazione lavorativa parziale.
Viene meno, poi, l’esclusione del settore agricolo dalla disciplina comune che troverà a questo punto applicazione generale, comportando, però, importanti conseguenze pratiche e difficoltà di adeguamento.
Viene abolito un adempimento burocratico ossia l’obbligatoria comunicazione dell’assunzione a tempo parziale alla Direzione provinciale del lavoro competente per
territorio, mediante invio di copia del contratto entro trenta giorni dalla stipulazione dello stesso. Di conseguenza viene meno anche l’annessa sanzione.
Rimane, solo, l’obbligo di comunicazione annuale alle rappresentanze sindacali aziendali, ove costituite, sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia e il ricorso al lavoro supplementare.
Anche sul fronte sanzionatorio, ci furono importanti mutamenti. La disciplina ora prevede che la mancata determinazione, nel contratto scritto, delle indicazioni sulla durata e collocazione temporale dell’orario di lavoro, non comporta la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale; qualora l’omissione riguardi la durata della prestazione, può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto a tempo pieno; qualora l’omissione riguardi la collocazione temporale dell’orario sia il giudice a provvede a determinare le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa facendo riferimento alle previsioni dei contratti collettivi o, in mancanza, ad una valutazione equitativa.
Con l’attuazione del Protocollo welfare mediante la legge n. 247 del 2007 sono state introdotte alcune significative modifiche alla normativa sul lavoro a tempo parziale di cui al decreto legislativo numero 61/2000. Variazioni riguardanti, da una parte, la disciplina delle clausole elastiche e flessibili e, dall’altra, la disciplina delle trasformazioni del rapporto da full time a part time e viceversa.
In materia di clausole elastiche e flessibili, viene eliminata la possibilità, in assenza di disposizioni di contratto collettivo, di concordare direttamente tra le parti il ricorso a queste prestazioni.
Il legislatore individua i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, gli unici autorizzati a disciplinare le clausole elastiche o flessibili.
Si prevede, inoltre, l’aumento del periodo di preavviso minimo di almeno cinque giorni anziché due, come da precedente legislazione.
Riguardo invece alle novità in tema di trasformazione del rapporto, la riforma prevede un diritto di precedenza della trasformazione del contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno a favore del lavoratore che abbia già trasformato il rapporto originariamente a tempo pieno, per compiere le stesse mansioni o di tipo equivalente.
Il protocollo di welfare descrive due casi in cui si deve verificare un diritto di priorità alla trasformazione a tempo parziale. Il primo si potrebbe verificare quando un familiare del lavoratore o anche una persona assistita da esso sia affetto da patologie oncologiche o abbia una permanente inabilità lavorativa. Nel secondo caso avviene in presenza di un figlio convivente di età non superiore a tredici anni oppure portatore di handicap.
Il primo caso descritto si estende anche al pubblico impiego.
Il grafico sopra rappresentato riporta la situazione del lavoro part time involontario e volontario dopo la legge Xxxxx e dopo il Jobs Act, di cui parleremo nel prossimo capitolo.
Focalizzandoci sull’andamento della curva possiamo capire l’incidenza significativa che la riforme ha provocato sull’accesso al mondo del lavoro che non sempre è positivo. Come possiamo infatti vedere dal grafico in aumento non c’è soltanto il lavoro a tempo parziale volontario ma anche quello involontario.
Gli anni che vanno dalla legge Biagi del 2003 al protocollo sul welfare del 2007 sembrano far emergere il part time volontario tanto da registrare il maggior differenziale con il part time involontario nel 2008. Ma purtroppo questa situazione non porterà all’effettiva eliminazione del lavoro involontario.
3.3 Dalla riforma Fornero al Jobs Act
La legge numero 92 del 28 giugno 2012 segna un altro capitolo del lavoro part time. Molte delle riforme in materia rinunciano a mettere in campo una complessiva riforma del diritto del lavoro e sindacale ed intervengono in modo mirato su alcuni istituti preesistenti ossia le clausole di flessibilità e di elasticità.
Le clausole in esame vengono regolamentate per la prima volta all’interno del decreto legislativo 25 febbraio 2000 numero 61, che ha provveduto a disciplinare la flessibilità della durata della prestazione lavorativa nel part time, riconoscendo al datore di lavoro la possibilità di modificare, dietro congruo preavviso, l’orario di lavoro tramite l’introduzione di dette clausole.
La riforma prende il nome da un’economista, accademica e politica italiana chiamata Xxxx Xxxxx Xxxxxxx. Ha ricoperto, inoltre, la carica di ministro del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle pari opportunità, nel governo Monti, dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013.
La riforma Fornero si focalizza su due punti: da un lato, attribuisce al lavoratore, in presenza di determinate condizioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva, la possibilità di rivedere il regime variabile di orario concordato; dall’altro, sopprime la disciplina sperimentale che consentiva, fino al 31 dicembre 2012, ai part-timers di svolgere, presso datori diversi, in tutti settori produttivi, prestazioni di lavoro occasionale.
La legge descrive, anche, delle cause per cui il lavoratore ha diritto di revocare il consenso prestato ad una clausola flessibile o elastica: in presenza di figli, conviventi del lavoratore, che hanno un’età inferiore ai tredici anni; in presenza di lavoratori studenti ossia “iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione
primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali” come riporta la legge numero 300 del 1970; quando il lavoratore è affetto da patologie oncologiche, per i quali sussista una ridotta capacità lavorativa oppure convive con coniuge, figli o genitori affetti da patologie oncologiche o portatori di handicap.
La scelta di implementare la flessibilità interna al rapporto di lavoro è demandata alle parti, sia pure dietro formalizzazione del consenso del lavoratore in uno specifico patto scritto, anche contestuale alla stipula del contratto di lavoro.
Il tutto previa concessione di un termine di preavviso, salve diverse indicazioni, di almeno due giorni, e fermo restando il riconoscimento del diritto a specifiche compensazioni, nella misura o nelle forme indicate dalla contrattazione collettiva.
Queste novità sebbene incitino al rafforzamento dell’autonomia del lavoro non lo tutelano pienamente. Il datore di lavoro potrebbe imporre il patto di flessibilità o elasticità al lavoratore per dissuaderlo dal richiedere l’assistenza sindacale.
L’ultima riforma del mercato del lavoro è stata emanata con il decreto legislativo numero 81 del 15 giugno 2015 di riordino dei contratti di lavoro e di revisione della normativa in tema di mansioni, a norma della legge numero 183 del 10 dicembre 2014. Il Jobs Act ha introdotto una serie di importanti novità che hanno radicalmente cambiato il mercato del lavoro, il welfare e gli ammortizzatori sociali in genere.
L’abrogazione dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è fra quelle più importanti ed è stato il punto sul quale il Governo ha incontrato le maggiori difficoltà per trovare un accordo con i sindacati. Questo articolo sanciva il reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato nelle aziende sopra i 15 dipendenti.
Il Jobs Act, ha infatti omesso di regolamentare il licenziamento illegittimo per superamento del comporto, cioè il periodo di malattia o di infortunio che ha un termine regolato dai contratti collettivi normalmente pari a 180 giorni annuali. L’art. 2 del decreto 23 del 2015 fa salva la previsione di reintegro in caso di disabilità fisica o psichica del lavoratore. Ma nulla dice sulla malattia prolungata, lasciando il dubbio che il licenziamento durante il periodo di comporto non sia privo di effetti, portando direttamente al reintegro del lavoratore, ma in maniera non lecita. E come tale sanzionato con il solo indennizzo economico: due mensilità di retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio con un minimo di quattro e un massimo di due anni di retribuzione. Nelle aziende piccole il lavoratore potrà chiedere una mensilità di retribuzione per ogni anno di anzianità con un minimo di due e un massimo di sei mensilità.
Con questa riforma il governo voleva applicare una tutela risarcitoria a tutti i casi di licenziamento illegittimo, salvo quello discriminatorio, ma entravano in gioco dei diritti costituzionalmente garantiti.
Viene poi sostanzialmente abolita la definizione di part-time orizzontale, verticale e misto, modificando la qualificazione che determinava una diversa disciplina delle clausole elastiche e flessibili, rinviando ai contratti collettivi o in mancanza al contratto sottoscritto fra le parti. Il Jobs Act elimina le restrizioni delle clausole citate sopra introdotte nel Decreto Legislativo numero 61 del 2000.
L’art. 8 della presente riforma riprendere un tema introdotto nella legge numero 92 del 2012 ossia quello dell’obbligatorietà alla trasformazione da full time e part time in presenza di casi specifici.
Se il lavoratore risulta affetto da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico degenerative, accertate da una commissione medica istituita presso l’unità sanitaria territoriale, per quali provocano una ridotta capacità lavorativa, è riconosciuto il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Se le patologie sopra descritte riguardano il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore oppure il lavoratore assiste una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, il decreto riconosce solo la priorità nella trasformazione non il diritto.
Si prevedere, nel secondo caso, la possibilità di richiedere il congedo parentale a ore, previsto nel decreto conciliazione tempi vita lavoro.
Il nuovo articolo 10 parla invece di sanzioni. Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia della sentenza.
Qualora l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro.
Le norme emanate ed approvate nel 2015 dovranno integrarsi fra loro nell’ambito della riforma complessiva. Il decreto numero 81, ad esempio, dovrà conciliarsi con il decreto legislativo numero 80 del 2015 relativo al congedo per le donne vittime di violenza di genere. Quest’ultimo permette alle lavoratrici, inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a
tempo parziale, verticale od orizzontale ove disponibili in organico, e di ritrasformarlo a tempo pieno su richiesta unicamente della lavoratrice.
Dal 2012 al 2015, come riportato in tabella, si registra un aumento di 1,5 punti percentuali dalla riforma Fornero, nel 2012, alla legge su Jobs Act, nel 2015, per poi crescere di un ulteriore 0,3 punti percentuali complessivi nel 2016.
La crescita, nel 2016, si registra in tutte le regioni in maniera quasi uguale. Le differenze vengono riscontrate se confrontassimo i lavoratori part time con quelli full time. Il Nord-ovest ed il Nord-est hanno i valori più alti di lavoratori a tempo pieno, rispettivamente 76,9 e 75,3 per cento, mentre il Centro presenta i valori più alti dei tempi indeterminati, 89,6 per cento. Al contrario nelle Isole e nel Sud si registrano le
percentuali più elevate di lavoratori a tempo parziale, rispettivamente 40,2 per cento e 36,6 per cento, e di lavoratori a tempo determinato, rispettivamente 14,3 per cento e 14,7 per cento.
Un’ulteriore problema, come ben sappiamo, sta nel capire se effettivamente l’aumento del part time sia voluto o imposto ai lavoratori. Tutte le riforme mirano ad estirpare il part time involontario ma purtroppo ancora con scarsi risultati. Complessivamente nel 2016, in Italia, il 62,6 per cento sono part timers involontari, di questi il 74,4 per cento sono uomini e il 58,2 per cento sono donne. La percentuale più alta si è registrata proprio nel mezzogiorno.
Tra i lavoratori dipendenti il 73 per cento ha un regime orario a tempo pieno, anche se il lavoro a tempo parziale risulta in progressiva crescita, e l’87,5 per cento è a tempo indeterminato. Al settore costruzioni e industria, dove quasi il 90 per cento dei lavoratori è a tempo pieno e, rispettivamente, l’88,7 e il 93,6 per cento sono a tempo indeterminato, si contrappongono i settori degli altri servizi e del commercio, trasporto e magazzinaggio, alloggio e ristorazione in cui 1 lavoratore su 3 è a tempo parziale e 1 su 6 a tempo determinato.
4. La geografia del lavoro a tempo parziale
Dopo aver analizzato gli elementi essenziali del part time nel primo capitolo e aver compreso l’evoluzione normativa nel secondo, il terzo capitolo tratta di come il part time si sia caratterizzato in maniera differente anche in base al contesto geografico di riferimento.
Nel 2018 sono stati ben 40,7 milioni gli occupati europei di età compresa tra i 20 e i 64 anni sottoposti ad un contratto part-time. La cifra, pari al 19% del totale dei lavoratori, è composta da 31,2 milioni di donne e 9,5 milioni di uomini.
Se analizzassimo la situazione, paese per paese in Europa, ci renderemmo conto che non è omogenea per tutti. Il paese con la più alta percentuale di part timers è l’Olanda, ormai da diversi anni si classifica la prima in Europa in quanto quasi la metà dei lavoratori hanno un contratto a tempo parziale. L’Italia invece nel 2018 si è classificata 11esima.
Il nostro paese non si è mai distinto per numero di occupati a tempo parziale, è sempre stata una percentuale che si aggirava intorno alla media europea.
La caratteristica italiana che ci ha contraddistinto, non in maniera positiva, è il part time involontario. E’ sempre più alta la percentuale di contratti stipulati sotto minaccia del datore di lavoro o come detto in precedenza perché non si riesce a trovare un’occupazione a tempo pieno.
Per svolgere un’analisi più dettagliata in materia, questo lavoro si concentra anche sulla realtà marchigiana.
Nelle Marche, uno studio condotto nel 2018 dall’Inps attesta che il numero di lavoratori part time è pari a 142 mila su un totale di 417 mila lavoratori.
Rappresentano il 34% dei lavoratori complessivi; un lavoratore su tre ha un contratto di lavoro part time. Purtroppo le cause sono legate alle precarietà nel mercato del lavoro nella maggior parte dei casi.
4.1 Tendenza del lavoro part time in Europa
Il lavoro a tempo ridotto in Europa, seppur incoraggiato con diverse leggi comunitarie, ha prodotto modelli e discipline diverse a seconda del paese in cui ci si ritrova. La mappa sotto riportata rappresenta i paesi dell’Unione Europe con colori differenti, più il colore è scuro più è alta la percentuale di part time presente in quel paese.
L’Olanda si caratterizza per la più alta percentuale d’Europa di utilizzo del part-time sia tra gli uomini che tra le donne. Si è diffuso in maniera uniforme in tutte le classi, viene frequentemente utilizzato anche dagli studenti per conciliare i percorsi di studio con eventuali attività lavorative. In Olanda è prevista una normativa specificatamente dedicata alla regolazione part-time ossia il Part-time Employment Act, parte integrante
del Work and care act. L’obiettivo di questa disciplina è quello di promuovere il doppio reddito familiare, incentivando contemporaneamente la condivisione dei compiti di cura familiari. A tutto ciò si accompagna uno sforzo diffuso, multisettoriale, volto a promuovere l’immagine positiva di questa modalità occupazionale. Nel 2020 la percentuale registrata è di 49,8 percento, nessun’altro paese in Europa ci si avvicina.
Il caso Xxxxxxxx non è d’esempio solo per l’alta percentuale di utilizzo ma per il fatto che nella quasi totalità dei casi si tratta di part-time volontario. Solo l’8,2 percento dei lavori a tempo ridotto non lo hanno scelto, una situazione anomala rispetto ad altri paesi come riportato sotto.
La Spagna, l’Italia, la Grecia, la Bulgaria e la Romania sono tra i paesi con il più alto tasso di lavoratori part time involontari. Le percentuali vanno dal 70,2 percento della Grecia al 55,8 percento della Romania.
In questi casi, il part time risulta un obbligo più che un’opportunità per i lavoratori.
Nei primi mesi del 2020 l’Europa, come il resto del mondo, ha dovuto affrontare una disastrosa pandemia che ha colpito tutti i settori economici. La strategia per combattere
questo virus è stata il lockdown delle imprese. Purtroppo questa soluzione è stata essenziale per combatterlo ma deleterio per l’economia, per questo motivo i ministri finanziari hanno varato diverse idee per aiutare i paesi europei. Una di queste proposte riguarda proprio il part time.
La proposta, fortemente incentivata dalla presidente della commissione Europea Xxxxxx Xxx Xxx Xxxxx, mirava all’attivazione di uno strumento temporaneo per aiutare gli Stati membri a sostenere l’occupazione con meccanismi di lavoro part-time.
Questa modalità lavorativa, insieme al lavoro di smart working, è stata utilizzata dalle poche imprese ancora in funzione ancor prima della proposta inviata dalla commissione europea.
4.2 Il part time in Italia
In Italia il part time ha incontrato molte difficoltà nel suo percorso di introduzione nel mercato del lavoro. La sua difficoltà non è dovuta alle leggi in quanto, come ben sappiamo, se ne sono susseguite parecchie ma è legato al suo utilizzo e alle cause per le quali i lavoratori scelgono il part time al posto del full time.
L’Italia, in ambito comunitario, non si è mai distinta per numero di lavoratori part time. La sua percentuale si è quasi sempre aggirata intorno alla media dell’Unione Europea. La posizione dell’Italia si differenzia dagli altri paesi europei per il divario di genere. In quasi tutti i paesi la crescita del part-time femminile è associata fra il 2001 e il 2013 a un miglioramento del tasso di attività, tendenza che tuttavia subisce una battuta di arresto un po’ ovunque con la recessione in corso.
L’Italia è senz’altro uno dei paesi in cui l’espansione del part-time femminile è stata più netta, come registrato nel grafico sopra riportato, nel 2001 la sua incidenza era pari alla metà rispetto alla media della zona euro mentre a fine periodo il divario si riduce a cinque punti percentuali. Ciò ha tuttavia avuto un effetto relativamente modesto sulla chiusura del gap sui tassi di occupazione, che è rimasto sostanzialmente invariato.
In Italia il part time non è diffuso come negli altri paesi comunitari in quanto esistono diverse forme di orario lavorativo ridotto sia contrattuali, basti pensare al comparto scolastico, sia di fatto, in quanto il 9,3% degli occupati a tempo pieno lavora meno di 35 ore alla settimana.
Il lavoro part-time in Italia presenta una serie di altre caratteristiche distintive:
- E’ in crescita come strumento flessibile sia nei settori ad elevata occupazione femminile: si concentra infatti in pochi settori ad esempio il 24% in commercio e ristoranti-alberghi, il 26% in servizi pubblici, il 13% servizi alle imprese ed infine il 13% agricoltura; sia grazie alla crescita di forme atipiche del lavoro come collaborazioni coordinate e continuative, partita IVA, lavoro interinale e a tempo determinato
- Si è diffuso specialmente fra l'occupazione meno istruita, il 44% degli occupati part-time non ha nessun titolo di studio o arriva alla scuola dell'obbligo.
- E’ considerato un part-time lungo in quanto il numero medio delle ore lavorate è superiore alle 23 ore settimanali.
Purtroppo esistono, inoltre, aspetti critici che caratterizzano il part time in Italia.
Il lavoro a tempo ridotto tende di fatto ad essere una condizione più instabile rispetto al full-time, nonostante la normativa garantisca gli stessi diritti: all'interno del lavoro
dipendente la durata media del rapporto di lavoro è inferiore di 6 mesi su un arco di 4 anni e mezzo.
L’incidenza del part-time involontario è relativamente più elevata che in altri paesi dell’Unione Europea non soltanto per gli uomini ma anche per le donne. Questo aspetto divide l’Italia in due penisole in quanto nel Centro-Nord il part-time è di natura volontaria mentre nel Mezzogiorno prevale il part time involontario.
In definitiva, più fattori concorrono a spiegare il forte aumento del part time negli anni: dal lato dell’offerta la maggiore presenza delle donne che, in alcuni casi, utilizzano questa forma di impiego per conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari, da quello della domanda come strumento da parte delle imprese per fronteggiare il ciclo economico sfavorevole, nonché la ricomposizione verso il terziario, soprattutto nei comparti a basso valore aggiunto, e verso le professioni dei servizi e non qualificate.
Un fattore che ha contribuito alla crescita del lavoro a orario ridotto è la progressiva terziarizzazione del mercato del lavoro, in particolare nei comparti dove il part time è più diffuso, a cui si associa la diminuzione nei settori dove il lavoro a tempo parziale è meno presente.
Nel secondo trimestre 2019 l’incidenza del tempo parziale oscilla da un minimo del 7,5% nelle costruzioni a un massimo del 57% nei servizi alle famiglie e del 35% di alberghi e ristorazione. Rispetto al 2008 si può stimare che circa un terzo dell’aumento del lavoro a orario ridotto sia dovuto al cambiamento della struttura dell’occupazione per settore di attività economica.
Anche l’andamento per professioni, legato a quello settoriale, ha portato un aumento di quelle svolte nelle attività commerciali e non qualificate dove il part time è più diffuso (30,3% e 36,9%) e la diminuzione delle professioni operaie e qualificate per le quali il lavoro a tempo parziale rimane meno diffuso.
4.3 Il part time nelle Marche
Nelle Marche sono occupati 417 mila lavoratori dipendenti privati. Un numero che cresce in misura significativa, con un incremento di circa 23 mila lavoratori, pari a 5,8 punti percentuali in più rispetto al 2018, in cui per la prima volta l’occupazione era tornata a crescere. Incremento positivo e superiore sia al dato nazionale sia alla media delle regioni del Centro. I lavoratori di genere maschile sono 232 mila, pari al 55,6% del totale, mentre le lavoratrici sono 185 mila, pari al 44,4%, infine i giovani lavoratori con meno di 29 anni rappresentano il 19,5 percento del totale.
I lavoratori part time sono cresciuti nel 2019 in modo significativo rispetto al 2016, quasi 14 mila unità in più, rappresentano il 34,0% dei lavoratori complessivi (32,7% nel 2016 e 24,0% nel 2008).
Anche in questo caso il part time si tinge di rosa. Le lavoratrici che hanno un rapporto di lavoro part time sono il 67,5% contro il 30,7% che hanno un contratto a tempo pieno e indeterminato.
I settori con una elevata incidenza di contratti di lavoro a tempo parziale sono: l’agroalimentare, dove i contratti di lavoro part time interessano la metà degli occupati ossia il 49,3%, il commercio, il settore alberghiero, l’assistenza sanitaria e sociale, i servizi a persone e famiglie, le attività informatiche e servizi alle imprese ed, infine, le attività artistiche culturali ed associative.
Da un’analisi condotta presso uno studio di consulenza del lavoro in Ancona, capoluogo delle Marche, si evince che su realtà di 33 aziende almeno 20 hanno un numero considerevole di lavoratori part time.
Tutte le altre tredici aziende hanno lavoratori a tempo ridotto ma sono in percentuale al numero totale di lavoratori meno di un quinto. Quasi tutte le aziende citate sopra, a parte
qualche eccezione, sono realtà piccole rispetto alle grandi città come Roma o Milano ma rispecchiano perfettamente la realtà marchigiana. Come riportato nel foglio di excel, riportato sotto, su 674 lavoratori totali 372 presentano un contratto di lavoro part time. (per motivi di privacy ho oscurato i nomi delle aziende)
I settori con una percentuale più alta, come riscontrato anche in altre precedenti analisi, sono: il commercio, i servizi alla persona, la ristorazione ed infine il settore dell’industria metalmeccanica.
5. Conclusioni
In questo elaborato si è sviscerato il tema del part time andando a descrivere i suoi elementi fondamentali, le sue evoluzioni in termini normativi e per finire ho analizzato come esso si è distinto in base alla località geografica.
Sin dall’inizio ho descritto il part time come un contratto lavorativo flessibile ed elastico andando ad enfatizzare la possibilità che esso offre per trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata.
Sono d’accordo nel descriverlo come tale ma al tempo stesso sono fermamente convinta che non viene utilizzato per queste finalità. Quasi nella totalità dei casi, come detto più volte, il part time non viene scelto dai dipendenti ma imposto dal titolare, quindi non si può parlare di flessibilità ma più di convenienza. Si può definire anche uno strumento necessario in quanto molte volte viene scelto per colmare il vuoto dell’assenza di un lavoro a tempo pieno. Non si è ancora sviluppata la mentalità, a distanza di diversi anni dalla sua introduzione nel panorama normativo italiano, di saper cogliere le opportunità generate dal part time come nei paesi del nord.
L’Olanda è il paese con la più alta percentuale di part timers e aimè siamo molto distanti da quel numero e da quella mentalità.
Questa non deve essere una critica ma quanto più uno spunto per trovare una soluzione per questo strumento creato ad hoc per ogni esigenza personale e lavorativa.
Il part time potrebbe essere, se utilizzato correttamente, la soluzione ai problemi ancora attuali di disparità di trattamento tra uomo e donna.
L’altra faccia delle medaglia della quella raramente si parla è il fatto che in alcuni casi il part time potrebbe essere richiesto da diversi dipendenti ma non accettato dai datori di
lavoro per i motivi più disparati. In questo caso viene tolto al dipendente la facoltà di poter usufruire di tutti i vantaggi che lavorare metà giornata ti offre.
I vantaggi del part time sono molteplici come il fatto di poter scegliere quali momenti del giorno dedicare al lavoro e quali al riposo, ti permette di svolgere un doppio lavoro, di coltivare un proprio hobby o di dedicare tempo allo studio qualora fossi uno studente, ti permette di acquisire esperienza per imparare a muoversi nel mercato del lavoro.
Il part time ha numerosi aspetti positivi ma altrettanti aspetti negativi. Uno tra i tanti potrebbe essere la riduzione delle possibilità di scatti di carriera in quanto più tempo dedichiamo al lavoro più possibilità abbiamo di svolgere compiti diversi e di acquisire responsabilità. Lo stipendio, i contributi previdenziali dell’INPS e l’indennità di disoccupazione in caso di perdita del lavoro per licenziamento, cessazione del contratto o sospensione dell’attività lavorativa dell’azienda, sarà inferiore rispetto a un contratto a tempo pieno. Infine, un contratto part time non trasmette la sicurezza di un full time in quanto esiste un legame tra esso e i contratti precari.
Sarebbe un’utopia pensare che si possa lavorare meno ore e avere gli stessi benefici di chi lavora a tempo pieno. La scelta del part time, infatti, dovrebbe ricadere non sul lato economico ma sul lato della praticità.
Il part time è sicuramente uno strumento utile se non indispensabile ma solo per alcune tipologie di lavoratori.
6. Bibliografia e Sitografia
1. Il part time, Xxxxx Xxxx, Xxxxxxx editore, seconda edizione, 1990
2. Il nuovo part-time: nel settore privato e pubblico, Xxxxx Xxxxxxxxx, Cedam,2004
3. Il part time, portale dell’Inps
4. Contratto di lavoro part time: cos’è e come funziona, lavoro diritti
5. Lavoro a tempo parziale di Xxxxxxxx Xxxxxxxx , Diritto on line (2013)
6. Il part time: la direttiva comunitaria e la legge italiana di Xxxxxxx X. Xxxxxxxx - Xxxxxxx Xxxxxxxx
7. Direttiva 97/81/ce del consiglio del 15 dicembre 1997 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES; Gazzetta ufficiale delle Comunità europee
8. Il lavoro a tempo parziale nella riforma Fornero, il sole 24 ore, Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Donati Professore associato - Università di Xxxxxx Xxxxxxxx XX
9. Il contratto di lavoro part time dopo la riforma del lavoro, lavoro e diritti online dal 2009
10. Jobs Act, governo promette welfare ma toglie reintegro per chi è malato a lungo, il fatto quotidiano
11. Lavoro jobs act: novità nel lavoro part-time artt. 4-12 del d. lgs 81/2015, di Xxxxxxxx Xxxx e Xxxxxxxx xx Xxxxxxxx.
12. Le novità sul part time, Uilca Uil credito, esattorie e assicurazioni, Xxxxxx Xxxxxxxx, Dipartimento Politiche Pari Opportunità
13. Il mercato del lavoro, fonte Istat, anni di riferimento dal 2012 al 2016.
14. Coronavirus, all’Eurogruppo misure urgenti per l’occupazione; il sole 24 ore del 24 marzo 2020
15. Part-time, chi lo usa meno non lo fa per scelta. Il caso Italia; il sole 24 ore del 4 luglio 2018
16. Marche: il lavoro è sempre più precario, rassegna stampa , 10 maggio 2019