Contract
IL FANTASMA DELLA “CONTRATTAZIONE DI LEGITTIMITÀ” ALEGGIA NUOVAMENTE SULL’AUTONOMIA REGIONALE
(SULLA “DIRETTIVA” DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 23 OTTOBRE 2023)∗
XXXXXX XXXXXXXXX**
SOMMARIO: 1. Il contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni nei primi anni del regionalismo italiano: l’umiliazione dell’autonomia regionale e la nascita della “contrattazione di legittimità”. – 2. La Riforma del Titolo V del 2001: nuovo scenario, vecchi e nuovi problemi. La “sindrome di Stoccolma” delle Regioni e la nuova stagione della “contrattazione di legittimità”. – 3. Il caso della “direttiva” del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 ottobre 2023: alcuni aspetti critici. – 4. Conclusioni provvisorie.
1. Il contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni nei primi anni del regionalismo italiano: l’umiliazione dell’autonomia regionale e la nascita della “contrattazione di legittimità”
Com’è ben noto, la genesi del regionalismo italiano non è stata affatto semplice, né lineare: al riguardo, è chiaro che le iniziali responsabilità debbano essere attribuite al legislatore statale che, anche in età repubblicana, seguitava a ritenere che la Costituzione avesse valore più politico che giuridicamente vincolante1. Nonostante l’Assemblea costituente, dopo un estenuante dibattito e una trattativa difficile, avesse deciso di delineare coraggiosamente i connotati della Regione quale ente politico, cioè
∗ Contributo sottoposto a doppio referaggio anonimo.
** Dottorando di ricerca in “Diritto ed Economia”, Dipartimento DIGIES, Università Mediterranea di Reggio Calabria.
1 Cfr., per tutti, X. XXXXXXX, L’ossessione riformatrice. Alcune osservazioni sul processo di revisione costituzionale permanente, in Osservatorio sulle fonti, 2/2019, 3.
autarchico, autonomo e rappresentativo2 (senza però eccedere, a parte le Regioni a Statuto speciale, nell’attribuzione di funzioni a tale nuovo ente3), per troppo tempo il legislatore ritardò l’attuazione del testo costituzionale.
Con riguardo allo specifico tema oggetto della presente indagine (le distorsioni nel contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni) innanzitutto è necessario accennare brevemente a quali fossero, prima della Riforma del 2001, le modalità di controllo di costituzionalità sulla legge regionale – e la “vistosa asimmetria”4 rispetto alla procedura prevista per la legge statale – indagando soprattutto una prassi patologica, sorta in quegli anni e legittimata anche dalla Corte costituzionale, che avrebbe avuto fortune alterne nel corso degli anni.
L’art. 127 Cost., nel testo precedente, stabiliva che il controllo statale sugli atti legislativi regionali avesse carattere preventivo, e cioè che la delibera legislativa5, in quanto non ancora promulgata, né pubblicata, dopo essere stata approvata dal Consiglio regionale dovesse essere immediatamente trasmessa al Commissario del Governo che, nel caso in cui il Governo avesse riscontrato un vizio di incompetenza («ecceda la competenza») o la lesione dell’interesse nazionale, avrebbe rinviato al Consiglio il testo per una nuova deliberazione; viceversa il Commissario avrebbe apposto il visto, che rappresentava il “lasciapassare” governativo alla conclusione del procedimento legislativo. Nel caso di rinvio, la Regione avrebbe potuto decidere di conformarsi ai rilievi governativi, accogliendo così i motivi di rinvio – anche solo in parte – oppure approvare nuovamente il testo a maggioranza assoluta6; in particolare, in quest’ultimo caso, l’Esecutivo avrebbe potuto impugnare la legge nei quindici giorni successivi di fronte alla Corte costituzionale7. Di converso, la Costituzione nulla prevedeva sull’impugnazione degli atti legislativi statali di fronte alla Corte costituzionale ad opera
2 Al riguardo, è emblematico l’o.x.x. Xxxxxxxx, formulato in II Sottocommissione per la Costituzione, nella seduta del 1° agosto 1946, v. xxxxx://xxxxxxxxxxx.xxxxxx.xx/_xxxx/xxxxxxxxxxx/xxxxxx/xx_xxxxxxxxxxxxxxxx/xxx000/xxx000xx.xxx
3 Non può tacersi, infatti, l’esiguità di poteri attribuiti alle Regioni dalla Costituzione nel primo Titolo V, rispetto ai quali pur sempre sussisteva un’evidente posizione di supremazia-tutela affidata allo Stato, facilmente individuabile sia nel procedimento di approvazione degli Statuti regionali (art. 123 Cost., vecchio testo) che nel controllo capillare sulla legislazione regionale, consentito prima dell’eventuale entrata in vigore della legge regionale (art. 127 Cost., vecchio testo).
4 Cfr. V. ONIDA, I giudizi sulle leggi nei rapporti tra Stato e Regione: profili processuali, in Le Regioni, 1986, 991.
5 Cfr., per tutti, G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1977, 126 ss.; E. XXXXX, Manuale di diritto regionale, Milano, 1981, 625 ss.; X. XXXXXXXX, Il controllo preventivo di legittimità delle leggi regionali nel diritto costituzionale e nella sua attuazione pratica, in Giurisprudenza costituzionale, 1982, 797 ss.; L. PALADIN, Diritto Regionale, Padova, 2000, 406 ss.; A. D’ATENA, Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni ed il ruolo della Corte costituzionale, in xxx.xxxx.xx, 1- 2/2015, 3; X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2022, 279.
6 In realtà, l’approvazione a maggioranza assoluta veniva richiesta anche nel caso in cui la Regione si uniformasse ai rilievi governativi. V. sent. cost. 154/1990; cfr. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX,
A. XXXXXXX, op. cit., 284.
7 Ovviamente per ragioni di legittimità; mentre, per ragioni di merito, nel caso di lesione dell’“interesse nazionale” o delle altre Regioni, di fronte al Parlamento, eventualità mai avvenuta.
delle Regioni8: infatti, tale tipologia di controllo – avente, di contro, natura successiva, cioè potendosi effettuare solo dopo l’avvenuta pubblicazione dell’atto statale, entro trenta giorni – veniva disciplinata dal combinato disposto dell’art. 2, l. cost. n. 1/1948 e dell’art. 32, l. n. 87/1953, soltanto per il caso di invasione della sfera di competenza regionale per mano statale. Insomma: lo Stato poteva inserirsi nel procedimento legislativo regionale con effetti sospensivi, senza che le Regioni potessero agire identicamente; per quanto ciò potesse essere giustificato, oltre che da un’iniziale diffidenza nei confronti dei legislatori regionali, dal fatto che, nel primo caso, si trattava di un ente sovrano, mentre nel secondo di enti autonomi, una tale compressione dell’autonomia regionale – a lungo andare – avrebbe avuto degli effetti negativi sui rapporti tra centro e periferia. In più, si era affermata una lettura molto ampia del vizio di incompetenza regionale da intendersi non già come modalità per tutelare la sfera di competenza statale, bensì come motivo di impugnazione utile a preservare la legalità dell’intero ordinamento, nel quale perciò fare rientrare qualsiasi violazione della Costituzione per mano dei legislatori regionali (cfr. soprattutto sentt. cost. nn. 11-30-47- 50/1959)9. Era chiaro che la posizione di supremazia-tutela dello Stato rispetto alle Regioni andasse ben oltre la differenza ontologica tra il primo (ente originario-sovrano) e le seconde (enti derivati-autonomi), proprio perché l’intero ordinamento era imperniato su un trattamento di sfavore verso le leggi regionali, quasi come se sussistesse una sorta di «presunzione di probabile incostituzionalità a carico delle leggi regionali impugnate e di probabile costituzionalità invece a vantaggio delle leggi statali»10. Purtroppo, proprio un’iniziale assenza di una cultura dell’autonomia ha permesso l’affermazione di una prassi perniciosa, i c.d. rinvii plurimi, emblema della prima stagione della “contrattazione di legittimità”11. In effetti, quest’ultimo termine descrive efficacemente ciò che accadeva allora – e, come dirò, accade in altre forme tuttora – nei rapporti tra Stato e Regioni: il Governo, infatti, forte della sua posizione di supremazia-tutela, aveva iniziato a utilizzare in modo distorto lo strumento del rinvio, non già per tutelare la Costituzione da eventuali lesioni per mano regionale – e, eventualmente, per evitare il ricorso alla Corte costituzionale – bensì come una sorta di
«proposta contrattuale mediante la quale (…) condizionare il contenuto di essa (la legge) rispetto a punti non necessariamente attinenti alla legittimità»12. Spesso, quindi, in concreto non la legittimità bensì il merito costituiva il vero oggetto delle censure governative.
Xxxx succedeva, allora, nel momento in cui l’Esecutivo muoveva dei rilievi alle Regioni? Sostanzialmente queste ultime, in quanto evidente parte debole del “rapporto
8 L’assenza in Costituzione di una disposizione del genere, così come la sedes materiae della disposizione riguardante il controllo statale sugli atti regionali fa emergere con nitidezza il ruolo di “tutore” dello Stato.
9 Cfr. A. CERRI, Xxxxx xx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 115.
10 Così A. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Lineamenti di giustizia costituzionale, VII ed., Torino, 2022, 311
ss.
11 Definita così da X. XXXXXX, Contestazione e contrattazione di legittimità: aspetti di prassi e spunti
ricostruttivi per l’applicazione dell’art. 127 della Costituzione, in Giurisprudenza costituzionale, 1980, 531 ss.; sul punto, v. anche E. ROSSI, La legge controllata. Contributo allo studio del procedimento di controllo preventivo delle leggi regionali, Università degli Studi di Trento, 1993, passim.
12 Cfr. X. XXXXXXXXX, Visti governativi atipici su leggi regionali, in Le Regioni, 1985, 467 ss.
contrattuale”, molto spesso decidevano di adeguarsi alle censure governative, anche solo parzialmente; purtroppo, però, altrettanto spesso accadeva che il Governo non ritenesse sufficienti le modifiche apportate dalla Regione sulla scorta del proprio rinvio. A quel punto, bisognava comprendere se la delibera legislativa, così come modificata dalla Regione, avesse dovuto intendersi quale nuova e diversa rispetto alla precedente già rinviata e, di conseguenza, passibile di nuovo rinvio, oppure se, in quanto già rinviata, il Governo avesse dovuto necessariamente impugnarla di fronte alla Corte (o al Parlamento). La questione diede luogo ad un dibattito dottrinale dal quale emersero due orientamenti diametralmente opposti: il primo, che riteneva “nuova” qualsiasi delibera legislativa anche soltanto lievemente mutata (modifica formale) a seguito del primo rinvio governativo (ciò, è evidente, avrebbe consentito una sorta di regressus in infinitum di rinvii), e il secondo, che considerava “nuova” soltanto quella delibera modificata sostanzialmente nelle parti oggetto di censura governativa, così innovando il significato delle disposizioni. A quel punto, il problema venne risolto dalla Corte costituzionale – inizialmente in modo discutibile, a sommesso parere di chi scrive – la quale, con la sent. n. 40/197713 aderì al primo dei due filoni dottrinali14, adoperando il criterio della “medesimezza del testo” e ponendo le basi per la prassi dei rinvii plurimi. Insomma, la Corte ritenne preferibile, ove possibile, che i due litiganti risolvessero da soli i loro conflitti. Tutto ciò, di fatto, relegò le Regioni in una posizione marginale, “ricattate” dal Governo nazionale sia con lo strumento dei rinvii plurimi che col ricorso alla Corte, inizialmente dimostratasi poco attenta alle esigenze regionali: per questi e altri motivi15, correttamente si utilizzò l’espressione di “fuga dalla giustizia costituzionale”16. Infatti, è evidente che, parzialmente neutralizzata la Corte, la contrattazione di legittimità permettesse allo Stato di imporre alle Regioni – anche in base al diverso colore politico – i propri desiderata, di fatto potendo sospendere ad libitum l’entrata in vigore di una qualsiasi legge regionale, sospesa nel limbo dei rinvii plurimi.
Fortunatamente, dopo circa una decina di anni, la Corte iniziò a prendere le distanze dal precedente orientamento, a partire dalla sent. n. 158/198817 nella quale, pur senza smentire il contenuto della sent. n. 40/1977, operò alcune “precisazioni”. Infatti, dopo un’iniziale argomentazione sul divieto di reiterazione dei rinvii alla luce dall’art.
13 V. spec. partt. 4-5 del cons. in dir.
14 Cfr. S. CALZOLAIO, La delibera governativa di impugnazione delle leggi regionali nella prassi, in Forum di Quaderni Costituzionali, 25 settembre 2007, 6: «Poteva dunque accadere, ed accadeva, che il consiglio regionale facesse addirittura proprie le censure contenute nel rinvio governativo (o buona parte di esse: normalmente i rinvii non contenevano materialmente la “riscrittura” dei passi della legge regionale che il Governo richiedeva fossero sostituite in luogo di quelli “originali”), che riuscisse a riapprovare la legge a maggioranza assoluta e che, tuttavia, si ritrovasse di lì a poco a dover ricominciare l’iter a causa del rinvio della “nuova” delibera legislativa».
15 In quegli anni, era maturato un ingente arretrato di ricorsi che la Corte era chiamata a risolvere, tanto che «dopo il lungo percorso che la delibera legislativa regionale doveva (…) seguire prima di arrivare di fronte al giudice costituzionale, si verificava, per il fatto stesso dell’impugnazione statale, uno stallo che poteva durare qualche anno prima che la Corte si pronunciasse», così S. CALZOLAIO, ibidem.
16 Così A. BARBERA, Le istituzioni del pluralismo. Regioni e poteri locali: autonomie per governare, Bari, 1977, 258.
17 Corroborata anche dalla successiva sent. n. 973/1988. Sul punto, cfr. A. CERRI, op. cit., 114.
31, l. n. 87/1953 (oggi abrogato)18, aggiunse che tale divieto operava «sul presupposto che, in sede di riapprovazione da parte del Consiglio regionale, la legge non abbia subito modifiche tali da poter essere considerata come una legge “nuova” (…)», considerando “non nuova” quella legge che fosse stata riapprovata nello stesso testo che aveva formato oggetto della prima deliberazione e del relativo rinvio. Ed è a questo punto che la Corte, come se stesse semplicemente precisando quanto detto nella sentenza di circa undici anni prima, operò un importante revirement, avvicinandosi all’altro orientamento precedentemente illustrato; infatti, la stessa sancì che la legge fosse «identica o “non nuova” (…) non solo nell’ovvia ipotesi che nessuna modifica sia stata apportata al suo testo, ma anche in quella in cui l’intervento di eventuali modifiche in sede di riapprovazione non sia tale da comportare un mutamento del significato normativo delle disposizioni oggetto del rinvio. È, infatti, una nozione giuridica comune che il testo legislativo è soltanto un mezzo materiale per esprimere un significato normativo (o norma) e che, ai fini della valutazione della legittimità di una certa disposizione, ciò che rileva è il testo in relazione al suo significato normativo, non certo il bruto materiale linguistico in se considerato»19. Inoltre, con la sent. n. 973/1988, la Corte chiarì altresì che il Governo avrebbe dovuto censurare le disposizioni della delibera legislativa e rinviarla al Consiglio regionale in un’unica soluzione – one shot si direbbe – non potendo frazionare le censure in plurimi e distinti rinvii, a meno che non riguardassero disposizioni nuove, cioè aggiunte/modificate dopo un precedente rinvio20. Ad ogni modo, era abbastanza evidente che l’istituto del rinvio si fosse prestato a gravi abusi, menomando profondamente l’autonomia regionale: per questo motivo, nell’ultimo decennio del secolo scorso, sull’onda di un rinnovato interesse per le riforme21, alcuni Governi provarono a razionalizzare l’istituto; ad esempio, il Ministro Xxxxxxxx (Governo Xxxx), tentò un decentramento parziale dell’istruttoria, valorizzando il ruolo del Commissario governativo22. Meritevole di maggiore interesse, invece, è la c.d. “procedura” o “xxxxxx Xxxxxxxxx”23, così chiamata dal nome dell’allora Ministro degli Affari Regionali, per esporre sinteticamente la quale – sulla base di un’efficace ricostruzione dottrinale24, articolata in cinque fasi – è opportuno proporre uno schema.
18 Cfr. sent. cost. n. 158/1988, part. 1.1 del cons. in dir.
19 Così decidendo la Corte, al fine di considerare “nuova” la delibera legislativa per un eventuale ulteriore rinvio, richiedeva qualcosa in più della modifica formale.
20 Cfr. sent. cost. n. 973/1988, part. 2 del cons. in dir.
21 Per quanto concerne il livello delle autonomie locali, basti ricordare la l. n. 81/1993 (sull’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia) che condurrà alla riforma costituzionale con l. n. 1/1999; oppure, ai lavori delle diverse commissioni bicamerali succedutesi in questi anni; o, da ultimo, le riforme Xxxxxxxxx (l. n. 59/1997) e il c.d. federalismo a Costituzione invariata (d. lgs. n. 112/1998).
22 Circolare n. 22 del 27 novembre 1995, sulla quale x. xxxx xx xxxx. x. 00/0000. Sul punto, F. DAL CANTO, Il controllo sulle leggi regionali secondo la prassi introdotta dal Governo Prodi, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Il contraddittorio nel giudizio sulle leggi, Torino, 1998, 454 e S. CALZOLAIO, La delibera governativa di impugnazione delle leggi regionali, cit., 10.
23 Così F. DAL CANTO, op. cit., 451 ss.
24 Ibidem, 448-449. Tra l’altro, lo stesso evidenziava che la medesima procedura, con termini necessariamente dimezzati (fase istruttoria entro 8 gg., memorie regionali entro 2 gg.) veniva adottata in caso di impugnazione delle delibere legislative regionali di fronte alla Corte.
È evidente che il tentativo promosso dal Ministro Xxxxxxxxx fosse volto ad una corretta razionalizzazione della prassi – spesso distorta – fino a quel momento invalsa: infatti, la contrattazione era «caratterizzata da contatti informali tra Dipartimento ed esecutivi regionali, o anche (…) direttamente tra i rispettivi apparati burocratici»25, con il chiaro obiettivo di negoziare modifiche più convenienti alla parte forte del rapporto, cioè lo Stato; tutto ciò era reso ancora più semplice proprio a causa della mancanza di qualsiasi forma di pubblicità delle trattative, aspetto che la procedura Xxxxxxxxx intendeva contrastare valorizzando maggiormente il momento del contraddittorio, sia attraverso l’informazione sull’istruttoria che la presentazione delle successive memorie regionali26. Si riteneva che così la procedura avrebbe lasciato senz’altro qualche traccia.
25 Ibidem, 451 ss., che evidenziava come «in alcuni casi, l’accordo raggiunto tra le due parti fosse fondato sul mero scambio di utilità (…) in contrasto con la tradizionale idea di un controllo statale teso a tutelare il rispetto della legalità costituzionale. Così come (…) derivasse una progressiva emarginazione dei Consigli regionali rispetto alle Giunte (…) come gli accordi così conclusi fossero in realtà opera di soggetti (assessori, funzionari…) quasi sempre privi della relativa legittimazione (…). In realtà, anche coloro che hanno sposato la tesi che giudica con minore severità la prassi della “contrattazione” non hanno taciuto sui rischi che da essa potevano derivare: in particolare, quello della possibile incompatibilità della complessiva procedura con il disposto costituzionale (…)».
26 Ancora F. DAL CANTO, op. cit., 453, ha parlato di passaggio dalla “contrattazione” al “contraddittorio”; in più, ha evidenziato come gli spazi d’ombra – cioè di trattativa informale – non si esaurissero, potendo comunque aversi sia nel caso in cui le Regioni – come solevano fare nel caso di leggi particolarmente importanti – si rivolgessero preventivamente al Dipartimento per ottenere una sorta di placet ufficioso, che nel caso in cui, non raggiunto l’accordo alla penultima seduta utile del Consiglio dei Ministri (quinta fase), dovendosi riaprire l’istruttoria, fosse necessario trovare un punto di incontro in tempi necessariamente ristretti, valorizzando così i contatti informali tra gli esponenti degli enti.
In verità, per quanto apprezzabile, la procedura rappresentava ormai una soluzione insufficiente di fronte ad una grave patologia nel rapporto tra lo Stato e le Regioni: l’atteggiamento del primo, che sfruttava ogni mezzo per imporre la propria prospettiva centralistica, avrebbe dovuto necessariamente lasciare spazio ad una maggiore, e più consapevole, autonomia delle seconde.
2. La Riforma del Titolo V: nuovo scenario, vecchi e nuovi problemi. La “sindrome di Stoccolma” delle Regioni e la nuova stagione della “contrattazione di legittimità”
Come si sa, la riforma del Titolo V della Costituzione, realizzata con la legge cost.
n. 3 del 2001 e anticipata dal c.d. federalismo a Costituzione invariata, aveva proprio l’ambizioso obiettivo di mutare radicalmente i rapporti tra lo Stato e le Regioni, rendendo così queste ultime più libere dal giogo opprimente del primo, pur sempre nell’alveo della forma di Stato regionale voluta dai Costituenti. Tuttavia, l’evoluzione concreta del regionalismo italiano avrebbe ben presto riportato tutti alla realtà: gli innumerevoli contrasti – dovuti alla riscrittura criptica e infelice del Titolo V27 – in ordine all’interpretazione e all’esercizio delle competenze materiali, per di più acuiti sia dall’assenza di una Camera delle Regioni che da uno scontro politico particolarmente acceso – senza tralasciare le diverse crisi economiche – avrebbero reso inevitabile una
«funzione di supplenza non richiesta e non gradita»28 della Corte costituzionale, divenuta così principale interprete della riforma costituzionale. Per ciò che interessa in questa sede, il legislatore di revisione decise di porre mano anche all’art. 127 Cost., finalmente attenuando la disparità di armi e la “vistosa asimmetria” che avevano caratterizzato in precedenza la disciplina del controllo di costituzionalità sugli atti legislativi statali e regionali29.
Intanto, e in primo luogo, il legislatore di revisione ha deciso di disciplinare la proponibilità della questione di legittimità costituzionale, senza distinzioni con riferimento all’attore – Stato o Regione – nell’art. 127 Cost.; in secondo luogo, ha
27 Secondo A. XXXXXXX, Giudizi sulle leggi in via principale e giurisprudenza costituzionale, a seguito della riforma del Titolo V (“modello” ed esperienza a confronto), in Le Istituzioni del Federalismo, 5/2006, 799: «il quadro costituzionale mostra le sue maggiori carenze, a motivo della assai bassa capacità espressiva dei nomina costituzionali, fortemente esposti ad incisive, frequenti manipolazioni semantiche, da parte del legislatore in primo luogo e, quindi, della stessa giurisprudenza costituzionale, ieri come oggi particolarmente sensibile nei riguardi di interessi unificanti di cui si fanno portatori gli atti statali».
28 Come la definì l’allora Presidente della Corte G. ZAGREBELSKY, Conferenza stampa sulla giustizia costituzionale nel 2003, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2 aprile 2004.
29 Cfr. X. XXXXXXX, L'accesso al giudizio in via principale e “la parità delle armi”? tra Stato e Regioni, in A. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Prospettive di accesso alla giustizia costituzionale, Torino, 2000, 227-265. Dopo la riforma, v. X. XXXXXX, L’asimmetria del giudizio in via principale. La posizione dello stato e delle regioni davanti alla Corte costituzionale, Padova, 2006, e X. XXXXXXX, Politicità e asimmetria nel giudizio in via principale: un binomio in evoluzione?, in I ricorsi in via principale. Atti del seminario svoltosi in Roma al Palazzo della Consulta 19 novembre 2010, Milano, 2011, 45 ss.; più di recente, X. XXXXXX, La garanzia dell’unità della Repubblica. Studio sul giudizio di legittimità in xxx xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000 e B. LIBERALI, Un processo bifronte. Stato e Regioni davanti alla Corte costituzionale, Torino, 2022.
“uniformato”: a) la tipologia del controllo sugli atti legislativi, non più preventivo (su leggi regionali) e successivo (su leggi statali), bensì in entrambi i casi successivo30; b) i tempi, fissando il medesimo arco temporale, cioè entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge statale o regionale31; c) i tre parametri che entrambe le fonti devono rispettare, ex. art. 117, I c. (Costituzione, vincoli comunitari, obblighi internazionali). Invero, sebbene sembri annullata la disparità tra Stato e Regioni, «una piena “parità delle armi”, ad ogni buon conto, non si è avuta, neppure dopo la riforma (…) su piani diversi da quello relativo al “tempo” ed alle modalità del controllo»32: infatti e com’è noto, un’evidente asimmetria è ancora riscontrabile nei motivi di impugnazione, cioè nei vizi denunciabili di fronte alla Corte, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale. Tale differenza – persino più grave nel quadro ordinamentale attuale che, rispetto al passato, prevede il rovesciamento della tecnica di enumerazione delle materie ex art. 117 Cost.33 – si fonda sulla diversa interpretazione delle formule «legge regionale ecceda la competenza della Regione» e «legge (…) dello Stato (…) leda la sua sfera di competenza»: così, nel primo caso, si è ritenuto legittimato l’Esecutivo a impugnare le leggi regionali per qualsiasi vizio di legittimità, come accadeva in vigenza del precedente testo34; mentre, nel secondo caso, si è ritenuta legittimata la Regione a impugnare gli atti legislativi statali soltanto se lesa, anche indirettamente35, nella propria sfera di competenze garantita dalla Costituzione36. Quest’interpretazione, avallata dalla Corte costituzionale, ha perpetuato il mantenimento di prassi precedenti, giustificate dalla posizione riservata allo Stato a tutela dell’unità dell’ordinamento.
Al di là di quest’ultimo problema, comunque, la Riforma del 2001 aveva – finalmente – privato lo Stato del rinvio governativo della legge regionale, così impedendo la riproposizione della “contrattazione di legittimità” nelle medesime modalità in precedenza sperimentate. Fu proprio in quegli anni, allora, anche se per
30 Anche nel caso di impugnazione di una legge regionale ad opera di un’altra regione, eventualità rara ma disciplinata.
31 Cfr. A. XXXXXXX, X. XXXXXXX, op. cit., 310 ss.
32 Ibidem, 312.
33 Sul punto, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, op. cit., 289 ss.: «le formule avrebbero, allora, dovuto essere ribaltate: (…) le leggi statali dovrebbero essere impugnate se si spingono al di fuori del loro campo «ristretto», ed è dunque per queste che dovrebbe parlarsi di vizio di «eccesso di competenza»; per contro, le leggi regionali dovrebbero essere impugnate quando invadono la competenza riservata allo Stato, ledendola, ed è dunque per quest’ultimo che dovrebbe parlarsi di interesse a ricorrere in caso di danno».
34 Cfr., fra gli altri, X. XXXXXX, «Soggetti» ed «oggetti» del giudizio in via principale al banco di prova: i chiaroscuri della giurisprudenza costituzionale, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi, Torino, 2007, 293 ss., che riteneva l’attuale quadro costituzionale più incoerente rispetto al precedente; sul punto anche M. X’XXXXX, Le zone d'ombra nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi, Torino, 2007, 222 ss.
35 Ibidem, «fonti primarie statali che incidano, sia pur indirettamente, sulla loro competenza, arrecando ad esse un danno», cioè la c.d. ridondanza sulla sfera di competenza regionale; v. sentt. cost. nn. 274/2003, 12-107/2009, 220-234/2013, 137/2018, 247/2019.
36 Cfr. A. XXXXXXX, X. XXXXXXX, op. cit., 313 ss.
cause eterogenee37, che esplose il contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni, raggiungendo numeri mai toccati prima: «non a caso, nel 2003 e nei primi sette mesi del 2004 le sentenze della Corte costituzionale relative a ricorsi in via principale ed ai conflitti di attribuzione fra Stato, Regioni e Province autonome hanno superato – ed è un dato assolutamente eccezionale nell’attività della Corte – la metà del numero complessivo delle sentenze (su 261 complessive, si contano ben 108 sentenze originate da giudizi di legittimità costituzionale in via principale e 35 sentenze originate da conflitti di attribuzione intersoggettivi)»38.
A quel punto lo Stato, non potendo più sospendere l’entrata in vigore delle leggi regionali e dovendo fare i conti con un giudizio di costituzionalità il cui esito non era necessariamente già scritto – a maggior ragione nei primi anni di interpretazione del nuovo Titolo V – decise di far valere la propria supremazia per altra via39. Agli Esecutivi che non volevano puntare esclusivamente sull’esito favorevole del giudizio, una volta proposto il ricorso in via principale, residuava la possibilità di utilizzare tale strumento quale “spauracchio” per ridurre le Regioni a più miti consigli; prospettando, cioè, quale preferibile e più vantaggioso un compromesso40 – «una qualche forma di accordo politico-istituzionale che porti (…) ad assecondare, magari compensandole, le aspirazioni delle parti ad occupare spazi di autonomia ritenuti di propria competenza»41 – piuttosto che affrontare l’alea del giudizio42. Più in particolare, poteva accadere che le Regioni, nelle more del giudizio, approvassero atti legislativi modificativi, sostitutivi o abrogativi di norme impugnate43, determinando così uno ius superveniens conforme alle “indicazioni” governative (cc.dd. accordi legislativi), oppure stipulassero accordi di natura politica (cc.dd. accordi extra-legislativi44), senza
37 Per alcune delle cause, cfr. S. CALZOLAIO, La delibera governativa di impugnazione delle leggi regionali, cit., 12.
38 Così U. DE SIERVO, Il sistema delle fonti: il riparto della potestà normativa tra Stato e Regioni, in
Le Regioni, 6/2004, 1246 ss.
39 Cfr. A. XXXXXXX, Giudizi sulle leggi in xxx xxxxxxxxxx, xxx., 000.
40 Del circuito «parallelo e semi-informale» di trattative e delle sue conseguenze parla X. XXXXXXX, Dieci anni dopo la riforma del Titolo V: il “ruolo” delle fonti regionali, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Il regionalismo italiano dall'Unità alla Costituzione e alla sua riforma, Milano, 2012, 270 ss.
41 Così A. STERPA, “Negoziare le leggi”: quando Stato e Regioni fanno a meno della Corte costituzionale, in Xxxxxxxxxxx.xx, 17/2011, 4.
42 Cfr. A. XXXXXXX, La pericolosa anomalia della “contrattazione” Stato-Regioni: una storia senza fine…, in Xxxxxxxxxxx.xx, 17/2013, 4 ss.: «Accanto al contenzioso in senso stretto (…) in cui l’ente ricorrente mira semplicemente a “vincere” sul piano processuale nella controversia, esiste anche un contenzioso usato dal ricorrente quale mero espediente per “convincere” il resistente a desistere in via extra-processuale dal suo provvedimento».
43 Sul punto cfr. F. DAL CANTO, La Corte e lo ius superveniens: esplosione e crisi del giudizio di costituzionalità in via principale, in Consulta Online, 2014, 2-3 ss.: «eliminata la fase del rinvio della delibera legislativa al Consiglio regionale, la trattativa Stato-regione ha inizio subito dopo la pubblicazione della legge regionale e, dato il ristretto termine di sessanta giorni per la sua impugnazione, essa prosegue anche dopo il promovimento del ricorso governativo alla Corte costituzionale. All’esito di tale trattativa, condotta con il Dipartimento Affari regionali, spesso la regione (…) proprio allo scopo di evitare una dichiarazione di incostituzionalità, approva una nuova legge che sostituisce, modifica o abroga, in tutto o in parte, la disciplina sub iudice. (…) una sorta di “accordo legislativo” stretto all’indomani del promovimento da parte del Governo del ricorso costituzionale, quest’ultimo sovente promosso proprio per forzare la mano alla regione».
44 Sui quali v. A. STERPA, op. cit., 10 ss.: «casi in cui l’accordo tra i legislatori sottrae (la controversia) alla Corte costituzionale senza comportare la formale modifica delle norme impugnate (…)
modificare contestualmente le norme impugnate, riservandosi di intervenire successivamente. Pertanto, nel caso di interventi legislativi abrogativi/modificativi satisfattivi delle pretese avanzate dal ricorrente e qualora la norma impugnata non fosse stata mai applicata45, l’epilogo del giudizio poteva consistere nella cessazione della materia del contendere46, oppure in un’estinzione per rinuncia47 se regolarmente accettata dalla controparte costituita; di fatto, per la finalità perseguita dallo Stato – ovvero recuperare quella posizione di supremazia-tutela ormai sbiadita, condizionando per altra via l’esercizio della funzione legislativa regionale – le due soluzioni erano del tutto fungibili48. Inoltre, la negoziazione veniva spesso condotta dai funzionari dei rispettivi enti, attribuendo un ruolo particolarmente centrale alla burocrazia49, a
casi nei quali l’estinzione del processo per rinuncia/accettazione delle parti avviene a seguito di formale “accordo” tra Stato e Regioni; accordo che, nelle forme più varie (intesa, accordo o altro, tra le parti o in sede di “sistema delle conferenze”) formalizza una trattativa tesa a soddisfare i legislatori e a stabilizzare, modificandolo o neutralizzandolo (in sede applicativa), il quadro normativo primario. Sono questi i casi nei quali l’incontro delle parti non avviene sul piano della produzione immediata di diritto come nelle ipotesi di ius superveniens (…), ma quelli nei quali si forma una volontà “extra o pre-legislativa” ritenuta comunque rilevante dalle parti».
45 Sul punto, v. A. XXXXXXX, X. XXXXXXX, op. cit., 183 ss.; X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X.
XXXXXXX, op. cit., 288. Inoltre, cfr. sent. n. 238/2018 e, ex plurimis, sentt. nn. 44,171,185/2018.
46 Cfr. A. XXXXXXX, LA pericolosa anomalia, cit., 5-6, che evidenzia che la cessazione della materia del contendere può verificarsi per «ius superveniens (traduzione: quasi sempre “ripensamento” regionale sulla propria normativa); ma anche per “mancata applicazione” della normativa regionale (destinata comunque alla revisione o abrogazione nel senso richiesto dal Governo); per sopravvenuta sentenza di accoglimento della Corte che modifica il quadro normativo (n. 68/2001); per risoluzione in sede di Conferenza Stato- Regioni della controversia (sent. n. 214/2006); per mutamento delle maggioranze politiche regionali e quindi di indirizzo in ordine alla richiesta di adeguamento alle richieste statali (clamoroso il caso del revirement calabrese sull’utilità del ponte sullo Stretto: cfr. dec. n. 375/2010)»; sul punto, v. anche B. LIBERALI, Un processo bifronte, cit., 145 ss., che chiarisce come la «“contrattazione” ben si accorda con il carattere disponibile del rapporto processuale sotteso al giudizio costituzionale (…) ma pare contraddire (…) la natura indisponibile delle attribuzioni costituzionali. In particolare, attraverso le modifiche satisfattive per il ricorrente – e sempre che le disposizioni censurate non abbiano avuto applicazione medio tempore – le censure oggetto del ricorso vengono sottratte a una (quantomeno approfondita) valutazione di merito da parte della Corte, che si deve limitare a considerare la sussistenza di dette condizioni.
47 V. art. 25, N.I. Può anche accadere che la rinuncia – se non regolarmente accettata dalla controparte
– non estinguendo il processo, possa ugualmente comportare cessazione della materia del contendere per carenza di interesse del ricorrente, così A. STERPA, “Negoziare le leggi”, cit., 1 ss. Per un approfondimento sulla «scelta politica della rinuncia» x. X. XXXXXXXX, Xxxxxx, 000 ss.
48 Cfr. F. DAL CANTO, La Corte e lo ius superveniens, cit., 4 ss., il quale, dopo aver individuato lo strumentario che la Corte adopera in risposta allo ius superveniens, traccia le differenze tra rinuncia e cessazione della materia del contendere (10 ss.): «mentre l’estinzione per rinuncia, accettata dalla parte resistente, è in tutto e per tutto una decisione processuale, che in linea di principio prescinde dall’oggetto del giudizio, la cessazione della materia del contendere comporta invece una valutazione, per così dire, “di merito” circa la persistenza dell’interesse oggettivo a proseguire il giudizio»; E. XXXXXXXXXXXXX, Il giudizio in via principale oggi: prevenire è meglio che reprimere. Sì, ma come?, in xxx.xxxx.xx, 1/2013, 7: «la circostanza che la Corte subordini la dichiarazione di cessazione della materia del contendere alla mancata concreta applicazione della disciplina impugnata non toglie che quelle norme siano state vigenti per un certo periodo (…) condizionando gli interpreti e risultando difficile assicurare che esse non abbiano realmente avuto alcun tipo di applicazione».
49 Cfr. A. XXXXXXX, op. cit., 5: «la mediazione viene svolta da un lato da semplici “funzionari” regionali, di Giunta e/o dei Consigli regionali di cui comunque si fanno portavoce, e dall’altro dai semplici “funzionari” del ricordato Xxxxxxx XX, Ufficio che un Ministro della repubblica – quello per gli affari regionali Xxxxx Xxxxx del Governo Xxxxx – non ha esitato addirittura a qualificare “come “camera di compensazione” tra le esigenze di unità rappresentate dallo Stato e le istanze per la differenziazione e il pluralismo proprie delle Regioni e delle Province autonome”. Ciò è detto, si badi bene, non di un organo
discapito dei rappresentanti della Nazione. Peraltro, se i casi testé menzionati possono essere ricondotti alla c.d. mediazione ordinaria, cioè una volta venuta alla luce la legge regionale, si è parimenti affermata un’altra prassi – la c.d. mediazione straordinaria – che vede le Regioni, spontaneamente, sottoporre ai funzionari governativi i disegni di legge di particolare rilevanza, quasi per ottenere un ufficioso lasciapassare preventivo50. Comunque, i decenni di dipendenza delle Regioni dallo Stato non solo avevano annichilito la capacità dei legislatori regionali, ma avevano sostanzialmente fatto credere agli stessi che, alla fine, fosse preferibile scendere a compromessi con l’Esecutivo, piuttosto che rivolgersi all’organo di garanzia costituzionale. Così, pur godendo ora – in teoria – di maggiore autonomia, in pratica le Regioni seguitavano a “consegnarsi” al Governo: penso possa definirsi questo atteggiamento una vera e propria “sindrome di Stoccolma” delle Regioni nei confronti dello Stato. Insomma, alla luce di quanto visto finora, è possibile affermare che, pur essendo scomparso il rinvio governativo, di fatto, la contrattazione di legittimità ha resistito sotto mentite spoglie, tra l’altro trasformando «la Corte più che in un arbitro, in un notaio che registra ex post l’esito della contrattazione»51. Invero, soluzioni di siffatto genere, cioè volte alla risoluzione alternativa del contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni, erano state fortemente caldeggiate e – in modo programmatico – razionalizzate dal Governo Prodi II, in particolare ad opera dell’allora Ministra per gli Affari Regionali, xx. Xxxxxxxxxxx, la quale aveva adottato la
Direttiva 20 giugno 200652, brevemente schematizzata di seguito.
La suddetta “procedura” o “prassi Xxxxxxxxxxx” – contenente un punto particolarmente rilevante, oggi richiamato dalla “procedura” o “prassi Meloni-
costituzionale, né di un organo previsto dal legislatore, ma di un semplice “ufficio” amministrativo di Palazzo Chigi».
50 Ibidem, 6. Cfr. infra, nt. 87.
51 Così X. XXXXXXXX, La “manutenzione” del giudizio in via principale, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx., 2011, 15.
52 Presentata alla Commissione Affari Costituzionali del Senato dalla stessa Ministra, v. Resoconto stenografico n. 6, XVIII seduta, 13 luglio 2006.
Calderoli”, che a sua volta tenta la razionalizzazione della contrattazione tra Stato e Regioni – merita un approfondimento, soprattutto per quanto concerne la stipulazione dei cc.dd. “accordi politici” (o, come già detto, extra-legislativi). In questi casi, infatti, accadeva che, valutato l’atto legislativo regionale, in seguito alla comunicazione governativa dei punti censurati di quest’ultimo, lo Stato e la Regione raggiungessero un accordo (s’é detto: una sorta di gentlemen’s agreement53) con il quale la seconda si impegnava a modificare l’atto in conformità ai rilievi mossi, mentre il primo rinunciava alla proposizione della questione di legittimità costituzionale nel termine ex art. 127 Cost., così precludendosi la possibilità di farlo in seguito, o in alternativa, «quando si ritengono i profili di incostituzionalità particolarmente evidenti, impugna la legge regionale col patto di rinunciare al ricorso al momento in cui le modifiche concordate vengono approvate»54. Al di là del percorso incerto e compromissorio testé riportato, occorre evidenziare un altro punto problematico della c.d. prassi Xxxxxxxxxxx, ovvero che gli accordi summenzionati – benché relativi ad atti legislativi – venivano stipulati esclusivamente fra organi esecutivi: il Governo nazionale e il Presidente della Giunta Regionale55; quest’ultimo, pertanto, avrebbe speso la propria parola per la modifica/sostituzione/abrogazione dell’atto legislativo “impegnando” il Consiglio regionale che – pur dovendosi presupporre l’esistenza di una maggioranza a sostegno del Presidente – certo non dovrebbe tollerare una tale compressione della propria autonomia56. Ad ogni modo, dopo l’introduzione della prassi Xxxxxxxxxxx è stato riscontrato un calo del contenzioso tra Stato e Regioni, sebbene per un limitato arco temporale57.
In definitiva, è chiaro che la scomparsa del rinvio governativo non avesse fatto uscire di scena la prassi della contrattazione di legittimità, benché ormai contra Constitutionem. Infatti, se è bene rimarcare che lo Stato non abbia alcun obbligo di impugnare la legge della Regione (e viceversa), essendo piuttosto una facoltà che, per espressa formulazione testuale dell’art. 127 Cost. e conferma giurisprudenziale58, viene riconosciuta agli enti suddetti, determinando così la coloritura politico-discrezionale del
53 L’accordo in questione era stato definito in questo modo proprio per la sua natura informale e, soprattutto, in quanto non giustiziabile in caso di violazione. In teoria, tali accordi potrebbero essere ricondotti in modo generico allo sfuggente principio, ormai costituzionale, di «leale collaborazione».
54 Cfr. S. CALZOLAIO, La delibera governativa di impugnazione, cit., 23 ss.
55 Ibidem, nt. 73.
56 Con le dovute differenze, un caso parzialmente analogo potrebbe essere individuato nella perniciosa prassi dei cc.d. visti governativi atipici. Durante la vigenza del precedente Titolo V, infatti, si erano diffusi alcuni visti commissariali che, pur rappresentando formalmente una non-opposizione governativa alla delibera legislativa regionale, in verità pretendevano di vincolare la Regione all’adozione di un’altra legge regionale, modificativa della delibera vistata. Intanto e in primo luogo, questa prassi – con riguardo al precedente assetto ordinamentale – si poneva certamente contra Constitutionem, in quanto una tipologia siffatta di visti in alcun modo poteva essere ricondotta all’istituto previsto dalla Carta; in secondo luogo, l’elemento di contatto tra la prassi in commento e i gentlemen’s agreement di cui alla prassi Xxxxxxxxxxx consiste non soltanto nella natura informale e non giustiziabile di tali impegni, ma soprattutto nei soggetti contraenti: al solito, l’esecutivo regionale e la burocrazia ministeriale. Sul punto,
v. X. XXXXXXXXX, Visti governativi atipici su leggi regionali, cit., 457 ss.
57 Cfr. E. XXXXXXXXXXXXX, Il giudizio in xxx xxxxxxxxxx xxxx, xxx., 0; inoltre, v. F. DAL CANTO, E. XXXXX, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via principale, in X. XXXXXXX (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2005-2007), Torino, 2008, 179 ss.
58 Cfr. soprattutto sent. cost. n. 107/2016.
giudizio in via principale59, cionondimeno, riconoscere la natura politica del controllo e la relativa discrezionalità degli esecutivi nell’azione, non può voler dire automaticamente consentire che si sviluppino prassi collaterali volte alla deflazione dei conflitti tra enti, in assenza di una qualsivoglia indicazione (quantomeno) legislativa e nell’attuale silenzio della Costituzione sul punto, la quale non dà più diritto di cittadinanza al “rinvio” governativo60. A questo punto, piuttosto, ci si dovrebbe chiedere se l’eliminazione di quest’ultimo impedisca qualsiasi forma di negoziazione in una fase anteriore rispetto all’eventuale impugnazione governativa.
La questione non è di poco momento, anche alla luce della graduale ri-espansione dei poteri dello Stato. Se in linea del tutto teorica l’attuale Titolo V riconosce la competenza negativo-residuale alle Regioni in alcune materie (art. 117, co. 4) e la concorrente-ripartita con lo Stato (art. 117, co. 3), non permettendo a quest’ultimo di ingerirsi direttamente, come in passato, nelle scelte liberamente espresse dai rappresentanti della collettività regionale – eletti democraticamente sulla base di un programma politico che, se rispettoso dei vincoli costituzionali, non può e non deve, in alcun modo, essere condiviso/contrattato con Roma – è altrettanto vero che, in pratica, l’evoluzione giurisprudenziale, sulla base dell’individuazione delle cc.dd. “materie trasversali” o delle “materie-non materie”61, abbia legittimato l’intervento statale anche ben oltre gli spazi che, in astratto, sembravano rientrare nella sua competenza62.
Purtroppo, in definitiva, mentre l’istituto “formale” del controllo con richiesta di riesame63 usciva dalla porta, la funzione “sostanziale” ad esso sottesa rientrava dalla finestra.
3. Il caso della “direttiva” del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 ottobre 2023: alcuni aspetti critici
Nell’attuale temperie riformista che sta connotando l’azione politica del Governo Meloni, soprattutto con riguardo al versante dei rapporti tra centro e periferia e dell’autonomia regionale in particolare64, si inserisce perfettamente il tentativo «in
59 Inoltre, proprio in quanto giudizio di parti, ognuna a difesa della propria sfera legislativa, al ricorrente è consentito rinunciare al giudizio, come visto supra.
60 Insomma, qualora si ravvisi l’esistenza di un vizio nella legge regionale, il Governo deve o può impugnarla? Nel primo caso, in effetti, è difficile giustificare l’attuale prassi discrezionale alla luce della Costituzione; nel secondo caso, di contro, nel più (non impugnare) potrebbe forse stare il meno (impugnare con riserva di rinuncia o non impugnare ma stipulare un accordo politico). Ma questo meno è quantomeno equivoco.
61 Cfr. A. D’ATENA, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quaderni costituzionali, 1/2003, 15 ss.
62 Cfr. X. XXXXXXX, Dieci anni dopo la riforma del Titolo V, cit., 201 ss.
63 Cfr. X. XXXXXXXXX, Il controllo mediante richiesta di riesame, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1954, 376.
64 È appena il caso di citare l’A.S. n. 615, sul regionalismo differenziato, recentemente approvato al Senato: fra i moltissimi commenti sul punto, se si vuole, può vedersi E. BOLOGNESE, La concreta attuazione del regionalismo differenziato: su alcune criticità del DDL Xxxxxxxxx, in Diritti Regionali, 3/2023, 1 ss.; fino ad arrivare alla possibile revisione del sistema delle Conferenze, inaugurata con l’istituzione – mediante decreto (3 maggio 2023) del Ministro per gli Affari Regionali – della
materia di razionalizzazione dell’attività istruttoria del Governo e di riduzione del contenzioso Stato-Regioni davanti alla Corte costituzionale»65, perseguito attraverso la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 ottobre 2023. Chiaramente, l’oggetto di tale direttiva – ossia la riduzione del contenzioso costituzionale – è finalità in sé lodevole. Ma – per una lettura critica della direttiva, meglio definibile «Xxxxxx- Xxxxxxxxx» (poiché adottata dal PdC su proposta del Ministro) – essa va esaminata in dettaglio secondo:
a) la natura;
b) i destinatari e la procedura per l’adozione dell’atto;
c) gli scopi e il procedimento di negoziazione previsti dall’atto.
Va osservato che, a fronte di un interesse ad oggi (sembrerebbe) limitato della dottrina giuridica, la stampa nazionale aveva invece lasciato trapelare alcune indiscrezioni sulle attuali prassi governative. In particolare, un’inchiesta de La Repubblica – che ha dato luogo ad un’interrogazione parlamentare presentata dall’on. Grimaldi66 e rivolta al Ministro Xxxxxxxxx – dopo aver sottolineato il calo delle impugnazioni governative delle leggi regionali67, aveva altresì evidenziato come il Dipartimento affari regionali adoperasse largamente nei rapporti con le Regioni delle
«lettere vincolanti di impegno per far modificare le norme incostituzionali e quelle che confliggono con prerogative dello Stato ed equilibri di bilancio»: in particolare, «nei primi otto mesi del 2023 sono state firmate 262 lettere di impegno per le Regioni contro le 179 dello stesso periodo del 2022»68. In breve, rebus sic stantibus, il Governo Xxxxxx si starebbe astenendo dall’impugnazione di leggi regionali che ritiene incostituzionali, piuttosto prediligendo la sottoscrizione di impegni – con i Presidenti delle Regioni – volti alla modifica delle norme censurate: in altre parole, si tratterebbe (come del resto ricorda la stessa direttiva: cfr. n. 1, c. 7) della riproposizione dello schema dei gentlemen’s agreement introdotti con la procedura Xxxxxxxxxxx.
Ma veniamo al punto sub a), ovvero la natura dell’atto in questione.
Commissione di studio e analisi dei temi legati all’organizzazione e al funzionamento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza Stato-città e autonomie locali e della Conferenza Unificata. A tale Commissione è stato assegnato il compito di analizzare le disposizioni vigenti, la loro applicazione e le relative prassi in materia di organizzazione e funzionamento delle Conferenze. V. anche gli atti (in corso di pubblicazione) del Seminario del “Gruppo di Pisa” dal titolo Il regionalismo differenziato, tra attuazione e resistenze, organizzato a Bari il 1° dicembre 2023.
65 V. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xx-xxxxxxxx/xxxxxxxxxx/0000/xxxxxxx/xxxxx-xxxxxxxxx-xxxxxxxx- calderoli-importante-direttiva-in-gazzetta-ufficiale-avanti-con-lavoro-per-migliorare-raccordo-tra-stato-e- territori/
66 Atto Camera, Interrogazione a risposta scritta 4-01758, presentata il 20/10/2023, seduta n. 181.
67 L’inchiesta parte dall’articolo di A. FRASCHILLA, L’autonomia ancora non c’è, Xxxxxxxxx già la applica. Crollano le impugnative delle leggi regionali, in xxxxxxxxxx.xx, 15 ottobre 2023, per il quale
«L’istruttoria per impugnare le norme viene curata dal ministero degli Affari regionali, sentititi i pareri di altri ministeri coinvolti nelle leggi in questione (…)»; ID., Alle Regioni più libertà di legiferare. Calderoli in silenzio anticipa l’autonomia, ivi, 15 ottobre 2023; seguito da I. DIAMANTI, Regioni ignorano le indicazioni su spese e leggi, Xxxxxxxxx non interviene. L’opposizione: “Riferisca in Parlamento”, ivi, 21 ottobre 2023.
68 Così I. DIAMANTI, ibidem: «quanti di questi “impegni” a oggi sono stati rispettati modificando le norme come chiesto dal ministero? Da gennaio ad agosto le riposte sono state appena 32, il 12 per cento».
Intanto e in primo luogo, la direttiva è un atto che rappresenta la concreta manifestazione del potere di «direzione della politica generale del Governo» che, ex art. 95 Cost., spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri; di fatto, quindi, pur non trattandosi di un atto avente natura legislativa, né tantomeno regolamentare (DPCM), sembrerebbe quasi assurgere al rango di espressione di un «potere normativo sostanziale» proprio del Presidente del Consiglio69. Tale «potere di direttiva» rintraccia la sua disciplina in una serie di atti, ovvero la l. n. 400/1988 (artt. 2 e 5, co. 2, lett. a-e), il d. lgs. n. 303/1999 (art. 4, co. 1) e il d. lgs. n. 165/2001 (art. 4). Per ciò che concerne, in particolare, la natura dell’atto in commento, è necessario richiamare la laconica distinzione tra: 1) a: direttive politiche e/o amministrative del PdC, attuative delle deliberazioni del Consiglio; b: direttive connesse alla responsabilità di direzione della politica generale del governo, in ogni caso aventi quali destinatari i ministri (art. 5, co. 2, lett. a, l. n. 400/1988); 2) direttive a garanzia dell’imparzialità, buon andamento ed efficienza dei pubblici uffici (art. 5, co. 2, lett. e, l. n. 400/1988). Pare a chi scrive, anche ragionando a contrario, che la direttiva Xxxxxx-Xxxxxxxxx rientri nella prima delle due categorie, non perseguendo in senso stretto l’imparzialità o il buon andamento della P.A.; tuttavia, ragionando sui sotto-tipi del primo gruppo, cioè del carattere «politico- amministrativo»70 o di «direzione della politica generale» dell’atto in oggetto, qualche difficoltà classificatoria può sorgere71. Invero, volendo a tutti i costi cedere alla tentazione definitoria tipica del giurista, è plausibile ritenere che, poiché spetta al Consiglio dei Ministri la deliberazione in merito all’impugnazione di una legge regionale di fronte alla Corte costituzionale (art. 31, co. 3, l. n. 87/1953 e art. 2, co. 3, lett. d), l. n. 400/1988), ogni direttiva volta alla razionalizzazione/innovazione della fase antecedente tale momento dovrebbe essere ricondotta nel novero delle direttive connesse alla responsabilità di direzione della politica generale del governo72; ciò, in realtà, anche alla luce di uno degli obiettivi (n. 2, c. 1) della direttiva Meloni-Calderoli, cioè la tutela dell’«esercizio delle attribuzioni costituzionali del Consiglio dei ministri (…) titolare del potere di impugnazione».
69 Cfr. E. XXXXX, La mutazione del potere di direttiva del Presidente del Consiglio nella prassi più recente, in Osservatorio sulle fonti, 1/2009, 2 ss. che chiarisce come «il Presidente è del tutto libero nella scelta del contenuto delle direttive, la cui efficacia è misurata in relazione alla capacità che egli ha di mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo e di coordinare l’attività dei ministri». Così X. XXXXX, ibidem.
70 Per un approfondimento sulle direttive amministrative e, in particolare, sul loro rapporto con le linee guida v. X. XXXXXXXX, Le linee guida nel “sistema” delle fonti del diritto, Napoli, 152 ss.
71 E. XXXXX, op. cit., 7 ss. propone – sulla scorta della distinzione di X. XXXXXXXX, L’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia, Milano, 1957, 102, fra direttiva politica, contenente «la determinazione dei fini ultimi di una data attività (legislativa, politica, amministrativa)» e direttiva amministrativa, riguardante «la scelta dei mezzi adeguati per raggiungere fini predeterminati» – un’interessante tripartizione delle direttive in relazione al loro contenuto: a) d. che fissano linee guida e norme tecniche di indirizzo; b) d. a contenuto meramente interpretativo; c) d. a contenuto marcatamente politico.
72 Peraltro, che la direttiva difficilmente sia ascrivibile al novero di quelle politiche e/o amministrative sembra anche deducibile dall’assenza di deliberazione in merito alla sua adozione da parte del Consiglio dei Ministri, come invece sembra richiedere sul punto la l. n. 400/1988 per quel sotto-tipo di direttive. Sul punto, v. comunicato stampa Consiglio dei Ministri n. 55 del 23/10/2023, nel quale si evidenzia che il Consiglio «ha preso atto» dell’«informativa» resa dal Ministro Xxxxxxxxx, senza menzionare alcuna deliberazione specifica dell’organo “Consiglio”.
Per quanto concerne il punto sub b) ossia i destinatari (e la procedura per l’adozione) dell’atto73, è quest’ultimo espressamente a indicare la totalità dei Ministri («a tutti i Ministri»); tuttavia, a parere di chi scrive, la direttiva sembra distinguere implicitamente tra destinatari diretti o immediati (i Ministri) e destinatari indiretti o riflessi74, cioè soggetti ai quali, pur non essendo direttamente destinata la direttiva, “conviene” ugualmente tenere in considerazione le disposizioni ivi contenute, in quanto le stesse potrebbero incidere sulle loro situazioni giuridiche. Ad esempio, in questa categoria potrebbero senz’altro rientrare le stesse Regioni che, secondo la procedura predisposta dalla direttiva, potrebbero essere richieste – dal Dipartimento – di fornire chiarimenti (le cc.dd. “controdeduzioni”) in merito a norme della cui costituzionalità si dubita. Sempre le Regioni, inoltre, potrebbero accettare di sottoscrivere l’impegno per la modifica/abrogazione delle disposizioni censurate – come si vedrà a breve – «in conformità al rispettivo ordinamento»; tuttavia, se – come è verosimile – i vari Statuti regionali75 non prevedessero nulla al riguardo, tale formula rappresenterebbe una sorta di…invito alle Regioni ad accogliere, in seno al proprio ordinamento, modalità di risoluzione del contenzioso sintoniche con quelle previste dalla direttiva. Un altro destinatario potrebbe essere la Conferenza Stato-Regioni, alla quale si demanda l’adozione di un accordo proprio relativo alle modalità di assunzione dell’impegno suddetto da parte delle Regioni e Province Autonome; e, ovviamente, l’ultimo destinatario – quale mero «spettatore», in questo caso – sarebbe la Corte costituzionale, non a caso richiamata nella direttiva quale soggetto beneficiario dei tentativi di conciliazione Stato-Regione. In ultimo, avuto riguardo al procedimento di formazione della direttiva in questione, emerge chiaramente la sua natura complessa, in quanto ha richiesto che fosse: sentita l’Avvocatura generale dello Stato (parere?), informata la
73 Cfr. E. XXXXX, La mutazione del potere di direttiva del Presidente del Consiglio, cit., 14, che individua tre diversi possibili destinatari: 1) i soli ministri – sembrerebbe questo il caso; 2) la P.A. in generale, con riferimenti ai Ministri per i settori di specifico interesse; 3) la sola P.A.
74 Sui destinatari impliciti cfr. X. XXXXXXX, La direttiva del presidente del Consiglio dei ministri sulla fase precontenziosa nei giudizi di costituzionalità in via principale. Prime osservazioni, in Osservatorio sulle fonti, 3/2023, 229.
75 Negli Statuti delle Regioni a statuto ordinario, al di là del potere – più o meno diffuso in tutte le Regioni e declinato diversamente – del Consiglio regionale di indirizzare risoluzioni al Presidente della Giunta (ad es., St. Marche, art. 21, co. 2, lett. k) o formulare orientamenti (ad es., St. Molise, art. 16, co. 2, lett. o) su questioni rilevanti concernenti i rapporti con lo Stato, e a latere di un generalizzato dovere di informazione che ricade sul Presidente nei confronti dell’assemblea legislativa per quanto riguarda i lavori della Conferenza Stato-Regioni, è possibile riscontrare qualche altro elemento di interesse. Ad esempio, l’art. 76, co. 4, St. Basilicata afferma che: «le intese tra lo Stato e la Regione a qualsiasi titolo sono siglate dal Presidente della Giunta, previa informazione al Consiglio regionale, il quale può dettare indirizzi e direttive; il Presidente comunica al Consiglio le ragioni di eventuali scelte difformi dagli indirizzi ricevuti». Tale disposizione esplicita chiaramente che le «intese…a qualsiasi titolo siglate» – potendo rientrare in questa dicitura anche gli impegni in oggetto – devono essere precedute da un’attività informativa che consenta al Consiglio regionale di assumere le determinazioni che ritiene opportune; in questo caso, quindi, sarebbe possibile “indirizzare” le decisioni del Presidente della Giunta, recuperando parzialmente la centralità perduta dall’assemblea legislativa, n.b.: senza che tuttavia nulla assicuri che il destinatario delle indicazioni le tenga in debita considerazione, potendosene discostare con adeguata motivazione. A quel punto, la questione senz’altro coinvolgerebbe gli equilibri politici tra maggioranza consiliare e Presidente. Comunque, la disposizione riportata sembra avvicinarsi, più di altre, ad una sorta di disciplina di parte del procedimento di sottoscrizione degli impegni regionali alla modifica/abrogazione
«in conformità al rispettivo ordinamento».
Conferenza Stato-Regioni (informativa del Ministro Xxxxxxxxx resa alla seduta del 12/10/202376), informato il Consiglio dei ministri (informativa del Ministro Xxxxxxxxx resa nella seduta del 23/10/202377); quindi, su proposta del Ministro per gli affari regionali, che la direttiva fosse adottata dal Presidente del Consiglio e, in seguito, pubblicata in Gazzetta ufficiale78.
Quanto al punto sub c), è imprescindibile individuare gli scopi perseguiti espressamente dalla direttiva Meloni-Calderoli. Quest’ultima, infatti, dopo aver auto- qualificato se stessa come rimedio al crescendo dei ricorsi in xxx xxxxxxxxxx00, xxxxxxxxx che «intende impartire alla procedura di esame delle leggi regionali e provinciali, da parte degli organi ministeriali, un’articolazione strutturata entro i termini previsti per la proposizione dell’impugnativa statale», perseguendo così due obiettivi diversi, cioè a)
«assicurare un efficace esercizio delle attribuzioni costituzionali del Consiglio dei ministri»80 e b) «creare le condizioni per sciogliere, ove possibile, i dubbi di legittimità costituzionale (…) attraverso forme di coordinamento tra lo Stato e la regione o la provincia autonoma e, qualora ciò non risulti possibile, assicurare un tempo adeguato al fine di consentire un confronto politico con la regione o la provincia autonoma interessata»81.
Sostanzialmente, la direttiva intenderebbe assicurare un’istruttoria adeguata – secondo la procedura predisposta – coordinando l’attività dei diversi Ministeri, cosicché il Consiglio dei Ministri possa esprimere in modo consapevole e ponderato82 i propri
76 V. o.d.g. convocazione pt. 1.
77 V. comunicato stampa Consiglio del Ministri, n. 55, 23/10/2023.
78 Invero, non esiste un procedimento di formazione tipico delle direttive, in quanto atti estremamente flessibili; al riguardo, E. XXXXX, op. cit., 12 ss., che individua tre diversi procedimenti di formazione: 1) su proposta di un Ministro (cc.dd. direttive a contenuto politico); 2) su proposta di un Comitato di Ministri o in base a più atti ministeriali; 3) procedimento complesso, svolto in una sede diversa dal Consiglio dei ministri.
79 X. x. 0, dir., rubricato «Premessa. Il contenzioso Stato-regioni davanti alla Corte costituzionale»:
«se si creassero le condizioni per realizzare un ancor più efficace raccordo, in ossequio al principio di leale collaborazione, già prima del decorso del termine per l’impugnazione e (…) se il Governo disponesse di un tempo congruo per interloquire con la regione o la provincia autonoma interessata, si potrebbe ridurre in misura significativa il numero delle impugnative proposte».
80 X. x. 0, c. 1, lett. a: «Tale esigenza (…) rimane frustrata nei casi in cui i pareri delle amministrazioni centrali recanti proposte di impugnazione siano definite e pervengano al Dipartimento a ridosso della scadenza del termine perentorio di sessanta giorni fissato nel richiamato art. 127 della Costituzione, impedendo, così, al Consiglio dei ministri (…) di effettuare una valutazione ponderata delle questioni».
81 X. x. 0, c. 1, lett. b: «Tale confronto dovrebbe mirare a individuare soluzioni conciliative, da concretizzarsi con un impegno, da parte regionale o provinciale, ad apportare le modifiche normative necessarie a ricondurre la legislazione regionale o provinciale a conformità con il quadro costituzionale con la sollecitudine resa indispensabile dall’esigenza di evitare che, nel frattempo, abbiano a prodursi effetti non conformi con il predetto quadro».
82 Cfr. X. XXXXXX, Il Governo si riorganizza e si dispone a trattare con le Regioni prima della impugnazione delle leggi: verso il regionalismo contrattuale, in Xxxxxxxxxxx.xx, 1/2024, v ss., secondo il quale la direttiva: «appare, invece, pervasa dalla necessità di ristabilire un modello delle relazioni Stato- regioni improntato sulla dimensione del cd. “regionalismo amministrativo”, come se il rapporto tra gli attori politici, Stato e Regione, fosse solamente un rapporto tra amministrazioni. Da questo punto di vista l’unico che manterrebbe la possibilità di un indirizzo politico prevalente è solamente lo Stato che predispone la direttiva al fine di (punto 1 lett. a) “assicurare un efficace esercizio delle attribuzioni costituzionali del Consiglio dei ministri”. Questa è la ratio, tutta interna agli uffici ministeriali, perché le proposte di impugnazione delle leggi regionali e provinciali possano essere istruite in tempo per essere discusse dal Consiglio dei ministri. Il Presidente del consiglio chiede alla complessa struttura
intendimenti riguardo l’eventuale impugnazione delle norme regionali indubbiate, rifuggendo “impugnazioni alla cieca”83; e, al contempo, individuare percorsi alternativi di risoluzione della controversia, cioè composizioni amichevoli, come gli impegni assunti dall’esecutivo regionale e quello statale in luogo del contenzioso costituzionale. In verità, soprattutto la formulazione linguistica adottata nel punto sub b), poc’anzi riportato, dà da pensare: infatti, lo “scioglimento” dei dubbi di costituzionalità compete, nel nostro ordinamento, “solo” alla Corte costituzionale. Naturalmente non può escludersi che l’espunzione di una norma incostituzionale presente nella legge regionale avvenga “in via preventiva” grazie alla negoziazione proposta sulla base dei dubbi presentati dal Governo, ma nessuno può sapere se davvero il Governo abbia ragione o se, invece, nasconda divergenze di stretto indirizzo politico camuffate da questioni di legittimità. Dunque, dovrebbe essere la Corte, e solo la Corte, a confermare/smentire tali dubbi, “in via successiva” con una sentenza di accoglimento o manipolativa. Non sta scritto da nessuna parte, infatti, che la sostituzione, seppur eventuale, del processo costituzionale con la negoziazione sia un fenomeno fisiologico, tant’è che la riforma del Tit. V mirava essenzialmente proprio a espungere il meccanismo dei rinvii. Ad ogni modo, proprio per giungere a tali “soluzioni conciliative”84 – che, purtroppo (o per fortuna: a seconda dei punti di vista), già esistono nella prassi85 – la direttiva introduce un articolato procedimento di negoziazione/confronto, brevemente schematizzato di seguito.
statale di proporre in tempo e in modo chiaro le motivazioni che possano essere utili per poter prendere decisioni “ponderate”. (…) appare evidente lo scopo di voler restituire tutta la politicità della scelta al Consiglio dei ministri, ma per far ciò si cerca di anticipare “il confronto politico” ad una fase prodromica che deve essere istruita dagli apparati amministrativi. In sintesi, una mediazione politica che deve essere anticipata da un lavoro di tipo prettamente amministrativo (…)».
83 Così rendendo più semplice il lavoro dell’Avvocatura: infatti, la direttiva «per i casi in cui il Consiglio dei ministri valuti comunque necessario procedere all’impugnazione della legge regionale, dovrebbe, innanzitutto, consentire che la relazione deliberata dal Consiglio dei ministri per l’individuazione delle norme regionali o provinciali da impugnare, dei parametri costituzionali violati e delle eventuali norme interposte contenga tutti gli elementi necessari alla proposizione del ricorso da parte dell’Avvocatura generale dello Stato, sì da soddisfare pienamente i requisiti di ammissibilità dello stesso in base alla ormai consolidata giurisprudenza costituzionale» (n. 2, c. 2).
84 Di cui parla anche F. G. XXXXXXX, La Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 23 ottobre 2023: un’iniziativa per l’ulteriore rafforzamento della leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, in Xxxxxxxxxxx.xx, 31/2023, 26.
85 Cfr. direttiva Meloni-Calderoli, n. 1: «Si ricorda, infine, che un’ulteriore modalità di deflazione del contenzioso già in uso, ispirata al principio di leale collaborazione, si realizza anche tramite tavoli di concertazione preventiva. Le amministrazioni delle regioni o delle province autonome possono richiedere al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri (…) di avviare un confronto con le amministrazioni statali competenti, prima dell’approvazione di leggi regionali o provinciali di particolare complessità o delicatezza (c.vo aggiunto). In tal caso, le amministrazioni competenti sono invitate dal Dipartimento a voler comunicare il parere di competenza entro il termine di volta in volta fissato dal Dipartimento medesimo». A parere di chi scrive, questo strumento non è altro che l’ennesimo utile alla compressione dell’autonomia regionale, rientrante appieno nei casi di c.d. mediazione straordinaria.
Orbene, la procedura di valutazione in oggetto è stata articolata secondo una struttura a tre fasi86, di cui la prima – coinvolgente le diverse strutture ministeriali interessate87 – è propedeutica all’emissione di una nota-parere avente ad oggetto le norme della cui costituzionalità si dubita. Tale nota-parere è utile per quanto concerne l’individuazione degli elementi identificativi della q.l.c., individuati diffusamente dalla Direttiva, n. 4, c. 3 ss. – e riportati brevemente nello schema – sulla base della copiosa
86 Cfr. X. XXXXXX, La direttiva sulla “razionalizzazione” della procedura governativa di esame delle leggi regionali. Prime considerazioni, Lettera AIC in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx., 11/2023.
87 Un dubbio legittimo e condivisibile è espresso da X. XXXXXX, Il Governo si riorganizza e si dispone a trattare con le Regioni prima della impugnazione delle leggi, cit., vi: «non è chiaro se il Ministro degli affari regionali, oppure un qualsiasi altro Ministro che non si è espresso, possa poi farlo in sede della riunione del Consiglio dei ministri nella quale si discuta della eventuale impugnazione della legge regionale o provinciale. Peraltro, la sede del Consiglio dei ministri è l’unica nella quale può essere presa la decisione di impugnare o meno la legge regionale e provinciale e, di conseguenza, nessuna procedura di “razionalizzazione” introdotta con direttiva potrà mai impedire al singolo Ministro di intervenire in Consiglio dei ministri».
giurisprudenza costituzionale; tuttavia, i risvolti rilevanti di tali note ministeriali non terminano qui: infatti, gli uffici ministeriali, inopinatamente trasformati in “piccoli legislatori”, suggeriscono alle Regioni le soluzioni per superare l’incostituzionalità. Ora, se in passato era ben noto che la contrattazione avvenisse tra le strutture burocratiche (basti pensare al summenzionato Xxxxxxx XX), ora la prassi viene istituzionalizzata per mezzo di un atto che – sebbene non legislativo, né regolamentare – per la rilevanza riconosciutagli è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale88.
La seconda fase, invece, è essenzialmente fondata sull’instaurazione di un contradditorio (pareri e richieste di chiarimenti vs controdeduzioni) con la Regione, in modo tale da giungere ad una valutazione ponderata riguardo l’esito della procedura
Nella terza e ultima fase, il Consiglio dei Ministri deve adottare una deliberazione in merito all’impugnazione della legge regionale, sulla base della proposta di impugnazione/non impugnazione pervenuta.
Rebus sic stantibus, come correttamente ha rilevato la dottrina89, non è più tra due opzioni – impugnare o non impugnare? – che il Consiglio dei Ministri deve decidere, bensì ora fra tre, evidentemente potendo soprassedere sulle censure di incostituzionalità a patto che la Regione si impegni alla modifica/abrogazione delle disposizioni indubbiate.
Quali gli aspetti critici di tale direttiva? Innanzitutto, la sua problematica collocazione nel sistema delle fonti90. L’atto in questione ha di norma e formalmente quali destinatari i soli Ministri, ma in realtà e sostanzialmente – come già evidenziato prima – si rivolge in modo implicito ad altri soggetti (Regioni, Conferenza Stato- Regioni e Corte cost.), di fatto “ridisegnando” il procedimento antecedente la deliberazione del Consiglio dei Ministri sull’impugnazione in via principale di una legge regionale. Se l’atto, vista la sua natura, si fosse limitato a disciplinare un momento solo interno all’articolazione ministeriale, verosimilmente alcuna problematica sarebbe sorta. Tuttavia, proprio la sua attitudine a spiegare effetti, anche indiretti, nei confronti di soggetti del tutto estranei al potere esecutivo – soprattutto le Regioni91 – fa dubitare seriamente della correttezza/idoneità giuridica dello strumento utilizzato; strumento che,
88 Peraltro, non è detto che la nota-parere venga sempre prodotta entro il termine di trenta giorni: in quel caso, si formerebbe il «silenzio assenza» (di osservazioni), come definito da X. XXXXXX, op. et loc. cit., vi: «se le amministrazioni statali non scrivono, non hanno nulla da dire, o meglio non rispondono e il loro silenzio è considerato significativo di una assenza».
89 Cfr. F POLITI, ibidem: «viene così a delinearsi (in un atto, peraltro, dalla indefinita natura giuridica, quale appunto la “direttiva”) una “terza opzione” (fra impugnativa o meno della legge regionale) cui è assegnata (laddove vi sia impegno della regione) una posizione preferenziale rispetto all’impugnativa (che invece viene ad assumere la qualifica di extrema ratio)».
90 Problema rilevato ancora da X. XXXXXX, op. cit.: «viene da porsi la domanda relativa alla configurazione giuridica (e dunque alla vincolatività) della direttiva ed alla eventuale collocazione della stessa sul piano delle fonti del diritto soprattutto in ragione dell’assenza di un esplicito fondamento legislativo della stessa».
91 Qualora, invece, il Consiglio dei ministri abbia deliberato di sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge regionale o provinciale e, successivamente, le disposizioni censurate siano state modificate, il Dipartimento chiede alla regione o alla provincia autonoma una dichiarazione relativa alla mancata applicazione medio tempore delle disposizioni impugnate e agli uffici e settori legislativi dei Ministri di volere fare conoscere il proprio parere circa la possibilità di procedere alla rinuncia del ricorso pendente, con celerità e, comunque, entro il termine di volta in volta indicato, al fine di evitare che la rinuncia al ricorso sia proposta nell’imminenza della data fissata per l’udienza.
al di là di quanto a breve si dirà, non sembrerebbe per nulla atto a produrre alcun effetto realmente vincolante92, in particolare verso le Regioni, tutt’al più e al massimo libere di prestargli spontanea osservanza93: ciò, quantomeno, renderebbe meno invasiva che in passato la rediviva negoziazione, potendosi svolgere ora a processo costituzionale non iniziato e senza che l’eventuale impugnazione sospenda l’efficacia della legge regionale. Infatti, la direttiva non è semplicemente ricognitiva di prassi già esistenti, ma pretende di regolare in modo innovativo il momento prodromico alla decisione del Consiglio dei Ministri, riesumando – nei rapporti con le Regioni – una forma di contrattazione di legittimità difficilmente giustificabile alla luce del mutato quadro costituzionale introdotto dalla novella del 2001. Per far ciò, l’atto in oggetto non attua tanto, in funzione meramente esecutiva, le leggi esistenti, ma semmai si “incunea” tra le disposizioni costituzionali (soprattutto, gli artt. 95, 123, 127 e 137) e quelle primarie direttamente attuative delle stesse (in part. le ll. nn. 400/1988 e 87/1953). Insomma, aspetti così rilevanti (prodromici alla deliberazione del Consiglio dei ministri e legati alla leale cooperazione con le Regioni) probabilmente non potrebbero essere disciplinati forse neanche un DPCM, occorrendo piuttosto una legge94.
Peraltro, l’atto in esame, vista la sua peculiare (e non casuale) natura, non è stato chiaramente oggetto né di emanazione né di promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, così sfuggendo al controllo di uno degli organi di garanzia del nostro ordinamento. Parimenti, ovviamente è da escludere che tale direttiva possa essere impugnata di fronte alla Corte costituzionale in un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, non essendo un atto legislativo. In teoria è però impugnabile in un conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni, ma in concreto ormai il termine è ampiamente decorso. Ove vi fosse stata la volontà di percorrere tale strada, verosimilmente si sarebbe trattato di un conflitto da menomazione commissivo, cioè scaturente da un uso illegittimo (abuso?) delle competenze statali, perpetrato a mezzo di un atto inidoneo.
In definitiva, se è vero che allo Stato è stata riconosciuta una posizione di primazia quale tutore dell’unità della Repubblica da ogni sua possibile lesione e se è vero che il Governo – in base al carattere facoltativo del controllo di costituzionalità sugli atti – può discrezionalmente valutare se e quale atto regionale impugnare, potendo altresì disciplinare la procedura interna con la quale giungere alla decisione finale, è
92 Osserva X. XXXXXXXX, Il presidente del Consiglio dei ministri, Bologna, 2023, 80: «l’autorevole forza del presidente del Consiglio pesa infatti (…) sui singoli ministri e sui loro ministeri per mantenere e promuovere una direzione chiara, univoca e comune dell'attività di governo (…) sebbene l'inadempimento o la mancata osservanza, in tutto o in parte, di una direttiva non determini effetti giuridici automatici ma anzitutto politici, alla luce degli equilibri che reggono la maggioranza di governo»; lo stesso a., al cap. II, par. IV, parla diffusamente dei «poteri normativi» del Presidente del Consiglio.
93 Il richiamo al principio di “leale collaborazione”, presente nella direttiva (n. 1, c. 9), non può essere un appiglio sufficiente per dedurne alcun tipo di vincolo giuridico.
94 È vero, però, che plausibilmente nessuna maggioranza avrebbe adottato una legge di siffatto contenuto, poiché avrebbe rischiato notevolmente di esporsi a un controllo di costituzionalità dall’esito incerto; ed è proprio per questo che, anche nelle occasioni passate, tutti i Governi hanno deciso di adottare strumenti la cui natura permettesse di collocarli in una zona d’ombra, difficilmente illuminabile da un giudizio di fronte alla Corte costituzionale.
pure vero che la procedura approntata incida notevolmente sulla posizione di qualsiasi Regione, mettendola quasi di fronte ad una scelta dal vago sapore ricattatorio: ancora una volta, come in passato, sottoscrivere l’impegno a modificare/abrogare la/le norme indubbiate (così ledendo, di fatto, l’autonomia legislativa costituzionalmente riconosciuta alle Regioni) oppure rischiare di essere trascinata in un giudizio di legittimità costituzionale.
Né può sottacersi l’anomalia/incostituzionalità dell’impegno95, assunto dal Presidente della Giunta Regionale per la sua Regione, con il quale promette una modifica/abrogazione delle disposizioni legislative rispetto alle quali l’«amministrazione competente» ha mosso dei rilievi. Come già accennato, tale atto è equiparabile sostanzialmente ai gentlemen’s agreement previsti dalla procedura Xxxxxxxxxxx: atti non legislativi, non regolamentari, ma sostanzialmente di natura politica, con i quali il Presidente pretenderebbe di vincolare il Consiglio regionale. Quest’ultimo, in pratica, sarebbe mero esecutore dell’impegno assunto dal Presidente, perdendo – con un colpo di spugna – la funzione assegnatagli dalla Costituzione, ovvero quella legislativa, della quale è unico detentore96. Ove il Consiglio regionale cedesse, anche solo per conseguenza del principio che Presidente della Regione e Consiglio simul stabunt et simul cadent, soccomberebbe, diventando la longa manus presidenziale e imprimendo un’evidente torsione all’intero sistema regionale. Peraltro, in quanto atto politico, un accordo fra Governo e Presidente di Regione potrebbe essere disatteso dal Consiglio regionale, non incline ad accettare il compromesso deciso a Roma, di fatto
«sfiduciando» (seppur non in senso tecnico) il Presidente97; o ancora potrebbe anche darsi il caso di una vera e propria riserva mentale del Presidente, il quale, pur sottoscrivendo l’accordo, sarebbe del tutto incurante del contenuto dello stesso, ben sapendo che anche in caso di inosservanza non subirebbe alcuna conseguenza negativa. Infatti, come potrebbe l’accordo-impegno sottoscritto vantare efficacia vincolante verso il Presidente della Regione e, di conseguenza, nei confronti la Regione stessa? In alcun modo: sostanzialmente si tratterebbe di un atto atipico, non equiparabile – come s’è detto – a una concretizzazione del principio di leale collaborazione; davvero troppo poco per dare rilievo giuridico alla sua inosservanza98.
95 Sulla problematicità di un impegno di tale natura, con riferimento alle passate esperienze, v. E. XXXXXXXXXXXXX, Il giudizio in via principale oggi, cit., 13 ss.
96 Correttamente osserva X. XXXXXX, op cit..: «aldilà dell’agevole rilievo della peculiarità rappresentata da un atto politico sui generis (indefinito e privo di fondamento legislativo) con il quale il presidente della regione (a nome dell’intera regione) si assume l’impegno di non applicare norme di grado primario, bisogna interrogarsi sull’incidenza di tale impegno sulle disposizioni regionali interessate laddove ad esempio le stesse non si limitino a disciplinare aspetti organizzativi, ma assegnino diritti o facoltà».
97 Comunque, è in ogni caso difficile ipotizzare che, a seguito del diniego del Consiglio regionale di adeguarsi all’impegno sottoscritto dal Presidente della Giunta, quest’ultimo poi concretamente decida di dimettersi.
98 Sul punto, cfr. X. XXXXXXXX, I rapporti Stato-Regioni nel nuovo titolo V alla luce dell’interpretazione della Corte costituzionale, Milano, 2007, 139 ss., e sent. cost. n. 160/2009, part. 2 del cons. in dir.: «si assume che in data 14 maggio 2007 si era tenuta una “riunione tecnica” in cui “la Regione si era impegnata a modificare alcune disposizioni” della legge in questione “in modo da superare i profili di illegittimità costituzionale già rilevati dal Dipartimento affari regionali, nonché dal Ministero delle infrastrutture e dall’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”. Orbene, sul punto deve rilevarsi come, in mancanza di disposizioni che consentano di attribuire rilevanza sul
Invero, la sottoscrizione dell’impegno sembrerebbe una sorta di extrema ratio, in quanto subordinata «alla verificata impraticabilità di altre soluzioni quali (…) interpretazioni adeguatrici costituzionalmente conformi; circolari interpretative concordate, che assicurino un’applicazione conforme alle disposizioni costituzionali; prevalenza di disposizioni dell’Unione europea, tali da rendere irrilevante il contenzioso costituzionale» (cfr. n. 2, c. 1, lett. b). Al riguardo, sembra problematico l’utilizzo di circolari (atti amministrativi interni) concordate (tra le rispettive burocrazie?) per interpretare delle norme regionali in senso costituzionalmente conforme. Spesso accade, infatti, che tali accorgimenti si rivelino utili quando, pur concordando Stato e Regione sull’opportunità di modificare la legge regionale nei punti censurati, non sia possibile approvare una legge regionale modificativa/abrogativa e così «le parti concordano che i vizi della legge regionale siano “compensati” in sede attuativa della medesima, attraverso regolamenti, circolari rivolte all'amministrazione regionale, prassi interpretative che “pieghino” l’interpretazione delle norme contestate nel senso in grado di soddisfare i rilievi governativi»99. Pertanto, al di là della questione riguardante la trasparenza di tali procedure, il rischio di operazioni siffatte consiste nell’attribuzione di un significato del tutto eccentrico, se non potenzialmente equivoco, alla disposizione censurata, rispetto a quello effettivamente desumibile dalla stessa; con l’ulteriore pericolo di ingenerare «gravi conseguenze in termini di certezza del diritto, con possibile contenzioso innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria od amministrativa sullo scarto tra interpretazione della legge e sua applicazione, potendo la questione addirittura tornare lì dove si era cercato di evitare che giungesse: la Corte costituzionale, questa volta chiamata a pronunciarsi in sede incidentale (…)»100. Insomma, sorge più di un dubbio sulla costituzionalità di tale disciplina, soprattutto alla luce del fatto che gli unici soggetti in grado di “imporre” un’interpretazione conforme a Costituzione sono la Corte costituzionale (con efficacia erga omnes) o i giudici (nel corso di un processo).
Comunque, la direttiva introduce delle linee guida per l’attività di monitoraggio successiva alla sottoscrizione dell’impegno regionale101, a seguito della quale il Governo abbia desistito dal proporre l’impugnazione delle norme regionali ritenute
piano costituzionale ad eventuali “accordi normativi” diretti a determinare il contenuto di testi legislativi (cfr., ex multis, sentenze nn. 371 e 222 del 2008; n. 401 del 2007), non può trovare ingresso nel giudizio di costituzionalità la censura che si fonda sulla violazione del principio di leale collaborazione».
99 Così E. XXXXXXXXXXXXX, Il giudizio in via principale oggi, cit., 12.
100 Ibidem, 13: «sia che ci si trovi di fronte ad una interpretazione correttiva che ecceda i limiti del consentito, sia che si sia in presenza dell’ipotesi fisiologica in cui l’interpretazione/attuazione riesce a valorizzare uno dei significati normativi possibili (e costituzionalmente legittimi) della legge regionale, resta il limite dell’assenza di pubblicità e trasparenza di tutto questo procedimento, il quale si esaurisce in intese tra Dipartimento ed amministrazione regionale, ma resta nascosto ad una serie di soggetti, tra i quali i privati destinatari delle norme regionali e lo stesso Xxxxxxx chiamato a verificare la corretta applicazione delle norme regionali, nell’interpretazione “concordata”, ai casi concreti della vita. La conseguenza è che una serie di elementi rilevanti per lo svolgimento del sindacato sulla legittimità della sequenza legge regionale–regolamenti lato sensu attuativi–circolari e direttive di indirizzo dell’amministrazione–provvedimenti amministrativi concreti (si pensi al sindacato sull’eccesso di potere) si lasceranno cogliere dal Giudice solo nella misura in cui l’amministrazione regionale renda palesi le convenzioni interpretative intercorse con il Dipartimento Affari regionali od il Giudice riesca a ricostruirle in xxx xxxxxxxx».
000 Cfr. n. 5, rubricato «Il monitoraggio degli impegni assunti e le rinunce ai ricorsi pendenti».
plausibilmente incostituzionali; infatti, è previsto che «nei casi in cui il Consiglio dei ministri, in virtù dell’assunzione di un impegno (…) ad approvare i necessari interventi legislativi, abbia deliberato di non impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la normativa regionale o provinciale di interesse, il Dipartimento acquisisce aggiornamenti in merito dalle regioni e province autonome. Sulla base di tali dati, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, con cadenza semestrale, riferisce al Consiglio dei ministri sullo stato di attuazione degli impegni assunti dalle regioni e dalle province autonome». È evidente che si tratta semplicemente di buone intenzioni e auspici: nulla che il Governo possa utilizzare per costringere la Regione ad ottemperare all’impegno assunto102. Peraltro, quanto appena esposto presenta un risvolto senz’altro patologico: il Governo, sulla base dell’astratto impegno assunto dalla Regione – non passibile di alcuna ottemperanza, nel caso di inerzia/inosservanza – finisce col rinunciare definitivamente ad impugnare le norme regionali ritenute in contrasto con la Costituzione. Poco male, nel caso in cui l’Esecutivo tentasse soltanto di piegare la Regione ai suoi desiderata, spacciando delle censure di merito per censure di legittimità; fatto gravissimo, di contro, qualora ci si trovasse di fronte a norme per davvero incostituzionali: ma ormai, decorso il termine dei sessanta giorni successivi alla pubblicazione, non si potrebbe fare alcunché.
Di contro, qualora il Governo abbia deliberato la proposizione della questione di legittimità costituzionale della legge regionale e, in seguito, le disposizioni censurate siano state modificate, «il Dipartimento chiede alla regione o alla provincia autonoma una dichiarazione relativa alla mancata applicazione medio tempore delle disposizioni impugnate e agli uffici e settori legislativi dei Ministri di volere fare conoscere il proprio parere circa la possibilità di procedere alla rinuncia del ricorso pendente, con celerità e, comunque, entro il termine di volta in volta indicato, al fine di evitare che la rinuncia al ricorso sia proposta nell’imminenza della data fissata per l’udienza». È chiaro che anche quest’eventualità riproponga quanto avvenuto anche in seguito all’eliminazione del controllo con richiesta di riesame, durante la seconda stagione della contrattazione di legittimità: cioè, una sorta di impugnazione preventiva…atta a ridurre a più miti consigli la Regione. Insomma e per concludere sul punto, sembra proprio che tale accordo rischi di essere foriero più di problematiche rispetto a quante tenti di risolverne.
Da ultimo, alla luce del procedimento seguito per l’adozione di tale direttiva, emerge sostanzialmente anche l’assenza di qualsivoglia intervento del Parlamento, non essendo pensabile il ricorso alla Commissione bicamerale per le questioni regionali che, se debitamente integrata con i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali103 – alla
102 Cfr. X. XXXXXX, ibidem: «Quid iuris in caso di inadempimento? Quali modalità concrete il governo pensa di adottare in caso di inadempimento da parte della regione? Basti pensare – ad esempio – al caso di mutamento di presidente della regione e alla non condivisione da parte del subentrante di un impegno assunto dal predecessore (nonché, di converso, al mutamento della compagine e/o della maggioranza di governo)».
103 Per un maggiore coinvolgimento della Commissione bicamerale v. F. G. XXXXXXX, La Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 23 ottobre 2023, cit., 32 ss.; lo stesso a. (25 ss.) individua l’assenza di un coinvolgimento della Prefettura-UTG: Ai Prefetti dei capoluoghi di Regione è infatti attribuita la qualifica di “Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie”, in virtù della quale
luce dell’art. 11, l. Cost. n. 3/2001 – avrebbe forse potuto partecipare con l’emissione di un atto di indirizzo, coinvolgendo così anche il legislatore regionale104. Sarebbe stato già qualcosa.
A parere di chi scrive, per quanto sia nobile lo scopo dell’atto sulla base del tentativo di ridurre il contenzioso di fronte alla Corte, rendendole più semplice e meno gravoso il proprio lavoro, anche questa direttiva rischia di mortificare l’autonomia regionale. Con un’aggravante, ovvero il rischio ulteriore che sia sempre di più (e soltanto) il colore politico a guidare le decisioni governative, plausibilmente risparmiando, per le maggiori competenze, soprattutto le future «regioni differenziate».
Ultima questione degna di interesse concerne il ruolo della Conferenza Stato- Regioni, alla quale la direttiva demanda il compito di adottare – ex art. 4, D. Lgs. n. 281/1997 – un accordo che potrebbe modificare le modalità attualmente previste dalla direttiva stessa per la conclusione degli impegni regionali volti a modificare le norme ritenute incostituzionali. Sul punto, però, qualche dubbio sorge, nella misura in cui una direttiva pretenda di condizionare le decisioni della Conferenza, ledendo il principio di legalità105.
4. Conclusioni provvisorie
L’esame della direttiva «Meloni-Calderoli» appena effettuato ha permesso di riscontrare alcune criticità riguardanti, in primo luogo, la natura dell’atto prescelto per il fine perseguito – atto sostanzialmente atipico e politico – e la sua problematica collocazione nel sistema delle fonti, di modesta efficacia vincolante verso gli stessi primi destinatari, avendo effetti soltanto persuasivi106; in secondo luogo, lascia perplessi il possibile epilogo della contrattazione prevista dalla direttiva in oggetto, ovvero la
i predetti sono tenuti alla “tempestiva informazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie e ai Ministeri interessati degli statuti regionali e delle leggi regionali, per le finalità di cui agli articoli 123 e 127 della Costituzione” (…). Non può sfuggire, infatti, come l’operatività del Prefetto sul territorio possa dar modo di aver già un’idea della legittimità costituzionale di una legge regionale già durante l’iter della sua approvazione in Consiglio regionale (ad esempio, attraverso la valutazione dell’impatto della relativa delibera regionale sull’opinione pubblica in relazione all’andamento del dibattito consiliare o alle contrapposizioni politiche che possano manifestarsi anche all’esterno su temi particolarmente divisivi suscettibili di intaccare le competenze legislative dello Stato)».
104 Il quale sembra avere subito un’assoluta marginalizzazione: come già detto, il Consiglio regionale sarebbe in balia delle decisioni del Presidente della Giunta, assunte in solitaria.
105 Cfr. X. XXXXXX, Il Governo si riorganizza e si dispone a trattare con le Regioni prima della impugnazione delle leggi, cit., ix: «Sarà interessante capire se la Conferenza, sede di negoziazione tra esecutivi, punterà ad anticipare il conflitto; per esempio, prevedendo che l’impegno possa essere anche confermato da un o.d.g. favorevole da parte dei Consigli regionali interessati: oppure se proverà a proporre la rivitalizzazione “la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata…con i rappresentanti dei consigli regionali e delle Province autonome.” Entrambe le soluzioni non sembrano tuttavia soddisfare le esigenze sottese a un rapporto di leale collaborazione che possa anticipare realmente un conflitto di natura politica. La prima annacqua la responsabilità del Presidente della Regione che si pone come parte garante nel confronto tra esecutivo regionale e nazionale. La seconda prevede un confronto impari tra Parlamento nazionale e singoli Consigli regionali».
106 La direttiva del 23 ottobre 2023 si conclude con un monito eloquente: «Si confida nella puntuale osservanza della presente direttiva» (n.5, 3 c.).
sottoscrizione dell’impegno tra Stato (Governo) e Regione (Presidente della Giunta), con il quale quest’ultimo assicura la modifica/abrogazione delle norme sulle quali l’esecutivo nazionale ha sollevato dei dubbi di costituzionalità. In tal caso, infatti, al di là del travalicamento delle competenze legislative riservate dalla Costituzione al Consiglio regionale, così costretto a ratificare un impegno assunto dal massimo esponente dell’esecutivo, è difficile riuscire a qualificare giuridicamente un impegno di siffatto genere, peraltro non potendo spiegare alcuna efficacia vincolante né verso il Presidente firmatario, né per il Consiglio regionale, probabile vero “destinatario” del contenuto dell’accordo. Non esiste – e, per fortuna, neanche può esistere – un rimedio coercitivo all’inerzia dei destinatari.
Invero, se si volesse per davvero ridurre il contenzioso costituzionale, bisognerebbe agire su diversi fronti – che non possono essere diffusamente approfonditi in questa sede – cioè, in primo luogo dando attuazione legislativa integrale al Titolo V della Costituzione (soprattutto gli artt. 117 c. 2107, lett. m, 118 e 119); in secondo luogo, nonostante la perdurante inerzia sul punto non faccia presagire un esito positivo, sul fronte statale, sarebbe utile attuare l’art. 11, l. n. 3/2001, che prevede l’integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali quale tappa obbligata per la riforma del bicameralismo perfetto108; in terzo luogo, sul fronte regionale, la valorizzazione delle Consulte statutarie regionali – anche ipotizzando una loro costituzionalizzazione – alcune delle quali ancora oggi inesistenti109.
Così operando, da un lato, si potrebbe ridurre la litigiosità dei contendenti, ricercando davvero il confronto attraverso le Assemblee legislative, meno ingombranti dei personalismi presidenziali; dall’altro, sarebbe possibile valorizzare un primo e utile filtro di auto-controllo “interno” di legittimità per le leggi regionali.
Si potrebbe forse obiettare che, alla fine dei conti, dubitare della conformità a Costituzione di prassi ricognitive/innovative di contrattazione di legittimità, introdotte mediante atti atipici, potrebbe sembrare “fuori dal tempo” o antistorico, soprattutto alla luce dell’esistenza di un intricato contesto multilivello. Infatti, è noto che la governance dell’Unione Europea si serva anche di momenti concertativi/negoziali, condizionando in misura evidente la legislazione nazionale e, in generale, le scelte politiche gli ordinamenti interni degli Stati membri: basti pensare, ad esempio, alle Country-Specific Recommendations, c.d. CSRs110.
107 Sulle questioni recenti riguardanti il procedimento di determinazione dei LEP richiesto dall’A.S. n. 615 e dalla l. n. 197/2022, v. per tutti A. XXXXX, Il regionalismo differenziato nella “forma” del d.d.l Calderoli: alcune chiare opzioni politiche, ancora nodi che sarebbe bene sciogliere, in Xxxxxxxxxxx.xx, 3/2024, vii ss.
108 Sul punto v. X. XXXXXXXX, Il sistema delle Conferenze, Bologna, 2023, 91 ss.
109 È tristemente noto il caso della Calabria, che ha addirittura espunto dal proprio Statuto la disciplina degli organi di garanzia statutaria. Sulle consulte di garanzia statutaria, v. spec. A. XXXXXXX, op. cit., 12 ss.; ID, Dal “custode della Costituzione” ai “custodi degli Statuti”. Il difficile cammino delle Consulte statutarie regionali, in Le Regioni, 6/2006; ID, Ancora sugli organi regionali di garanzia statutaria, fra tante luci e qualche ombra, in Le Regioni, 3/2010.
110 Sul momento negoziale v. X. XXXXXX, Il punto d’incontro: il negoziato nell’Unione Europea, Roma, 2020).
Tuttavia, bisogna prestare massima attenzione al fatto che l’ordinamento dell’Unione Europea è sui generis, combinando in modo del tutto peculiare elementi di transnazionalità, sovranazionalità e intergovernabilità – ovviamente assenti nelle relazioni fra enti dell’ordinamento interno – e che, in una certa misura, momenti negoziali tra gli Stati membri siano imprescindibili; altro, invece, è ritenere che tali momenti siano altresì strettamente necessari all’interno del nostro ordinamento, nel quale si riconosce a livello costituzionale – oltre la piena autonomia legislativa regionale – il “principio di leale collaborazione”, che non va mai confuso con quello di “contrattazione”, legato invece alle espunte – ormai ventitré anni fa – forme di controllo sulla legislazione regionale.
“Collaborare” (in posizione paritaria) non è “negoziare” (contrattando come si fa nei mercati). E a ben poco serve indorare la pillola, incentivando – come fa anche la Direttiva “Meloni-Calderoli” – un tavolo di “concertazione”: concertare è un modo edulcorato di intendere il processo di “negoziazione”. Il criterio di separazione di competenza fra fonti statali e fonti regionali esige, oggi, la cooperazione fra i due enti, ma non dovrebbe ammettere la contrattazione/negoziazione. Non si nega che, in astratto, la contrattazione di legittimità possa avere la nobile finalità di ridurre il contenzioso costituzionale in via d’azione. Tuttavia, è innegabile, in concreto, la pericolosa “asimmetria” nella forza contrattuale dei due enti, oltre che – nel caso in esame, come peraltro nella precedente esperienza – la particolarità dello strumento adottato dalla compagine governativa per la disciplina di tali rapporti.
In conclusione, soltanto il tempo potrà chiarire se la scelta del mezzo (direttiva) sia stata opportuna per conseguire il fine, o se il fantasma della “contrattazione di legittimità” sia tornato prepotentemente a mortificare l’autonomia regionale.