LE RETI IDRICHE INTERNE
LE RETI IDRICHE INTERNE
DEGLI EDIFICI
valutazione dei rischi
Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
LE RETI IDRICHE INTERNE DEGLI EDIFICI
valutazione dei rischi
Edizione aprile 2022
Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
SOMMARIO
INTRODUZIONE 3
CAPITOLO 1
Campo d’applicazione 6
CAPITOLO 2
Descrizione della rete idrica interna 9
Punto di ingresso nell’edificio 10
Approvvigionamenti d’acqua non proveniente dall’acquedotto 10
Tubazioni e sistemi di stoccaggio 11
Dispositivi per il riscaldamento e la fornitura di acqua calda sanitaria 12
Rete idrica dedicata all’acqua calda sanitaria 13
Xxxxxxxxxx e elettrodomestici installati al POU 14
Sistemi di trattamento dell’acqua al POU 14
CAPITOLO 3
I materiali degli impianti idrici 16
CAPITOLO 4
Contaminazioni di origine microbiologica 19
CAPITOLO 5
Rischi di contaminazioni chimiche – parametri emergenti 21
CAPITOLO 6
Ulteriori elementi di rischio di un edificio 24
Uso discontinuo 24
Altri fattori di rischio 25
CAPITOLO 7
Come predisporre una valutazione dei rischi di un impianto idrico di un edificio 26
Descrizione del sistema 26
Qualità dell’acqua 27
Funzionalità dell’impianto 27
La pressione 28
La temperatura 28
Altre reti idriche 28
Valutazione dei rischi 28
ALLEGATO 1
Legionella 32
ALLEGATO 2
Pulizia dei serbatoi dell’acqua potabile 40
ALLEGATO 3
Le torri evaporative 44
ALLEGATO 4
La contaminazione da piombo nelle acque destinate al consumo umano 49
ALLEGATO 5
Il trattamento dell’acqua calda sanitaria 53
ALLEGATO 6
Retrocontaminazione della rete idrica 57
INTRODUZIONE
L’acqua è un bene prezioso e l’acqua di buona qualità lo è ancor di più.
In Italia vengono prelevati volumi d’acqua destinati all’uso potabile per quasi 10 miliardi di metri cubi annui: per circa l’80% di origine sotterranea, per il 18% di origine superficiale (laghi, fiumi e invasi) e per la restante quota si tratta di acque marine o salmastre (dati Ministero della salute, 2017).
Come dato medio, il livello qualitativo di tutte le acque, sia sotterranee che superficiali, è per il 70% classificato come “buono” mentre per il restante 30% è da considerarsi “scarso” (dati ISPRA 2017). Infatti, in seguito a fenomeni naturali più o meno complessi, le acque interne, superficiali o sotterranee, per effetto degli scambi che hanno luogo nei differenti comparti geologici, si ar- ricchiscono di minerali, micro- e macronutrienti, che presentano funzioni biologiche essenziali nell’organismo umano, ma, in presenza di particolari rocce, terreni o sedimenti, le acque possono arricchirsi di concentrazioni significative di elementi tossici quali arsenico, fluoro, boro o uranio. Ciò è rilevante in Italia, data la storia geologica del nostro paese, molto lunga e complessa, e carat- terizzata dalla presenza di numerose aree vulcaniche attive.
Inoltre, i corpi idrici superficiali e sotterranei sono esposti a contaminazione di origine antro- pica che può risultare particolarmente significativa in corrispondenza di aree a forte pressione agricola e/o industriale, insediamenti umani privi di adeguati trattamenti di reflui, sversamenti di inquinanti, eventi metereologici estremi o fenomeni accidentali di altra natura.
Ultimo aspetto problematico è il così detto rischio di “stress idrico”, cioè condizioni di tempo- ranea carenza d’acqua, che in Italia coinvolge circa il 26% della popolazione (dato Legambiente 2020), e che comporta il peggioramento della qualità della risorsa quando il prelievo è eccessivo e la risorsa a disposizione diminuisce.
Nonostante queste criticità, grazie ai continui controlli analitici ed ai trattamenti di potabilizza- zione che vengono effettuati dai gestori dei servizi idrici municipali, l’acqua che viene condottata e distribuita è idonea all’uso potabile anche per bambini, anziani e altre fasce deboli di popolazione. I valori analitici, fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, vengono calcolati applicando il principio di precauzione ad un quantitativo di 2 litri al giorno per 70 anni.
La normativa vigente, il Decreto Legislativo 31/2001, recepimento della direttiva CE 98/83, pre- vede che il gestore, sia responsabile della qualità dell’acqua fino al punto di consegna all’utente, rappresentato dal contatore, attraverso un sistema di controllo di parametri microbiologici, chi- mico-fisici e indicatori, monitorato costantemente anche dalle autorità sanitarie locali.
Entro il gennaio 2023 questa normativa sarà sostituita dal recepimento della nuova direttiva (la UE 2020/2184) che introduce una serie di novità sostanziali, sia dal punto di vista tecnico che politico-gestionale a favore della protezione della salute e dell’ambiente.
Tra questi i principali sono:
- dare concreta attuazione alla prima iniziativa popolare dei cittadini europei per l’accesso sicuro all’acqua potabile;
- il nuovo approccio basato sull’analisi di rischio;
- tutelare la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano;
- aumentare e migliorare le informazioni dei cittadini sull’acqua del rubinetto diminuendo il ricorso al consumo di acqua confezionata.
Alla luce dei progressi tecnici e scientifici, l’elenco dei parametri da monitorare regolarmente è stato modificato: alcuni parametri sono stati eliminati, per altri è stato modificato il valore limite, altri ancora sono stati introdotti. Tra questi è opportuno ricordare i così detti parametri “emergenti” quali gli PFAS (inquinanti di origine industriale) e gli interferenti endocrini (tra cui il nonilfenolo e il beta estradiolo), la microcistina-LR (prodotta da alghe tossiche) e la Legionella. Quindi l’acqua fornita attraverso il sistema acquedottistico, alla luce dei controlli effettuati, an- che in funzione dell’approccio basato sul rischio, presenta caratteristiche sanitarie tali da essere preferibile a moltissime acque imbottigliate. Infatti, questo approccio fa sì che possano essere evi- denziate sostanze nocive sito specifiche, applicando i valori limite di parametro fissati dall’OMS. L’approccio basato sull’analisi di rischio è già stato introdotto nel 2015, con i cosiddetti Piani di Sicurezza dell’Acqua (PSA) per i gestori di acquedotti di grandi dimensioni. Con il recepimento della direttiva 2020/2184 questa valutazione dovrà essere applicata anche alle sorgenti e ai bacini idrografici destinati alla fornitura di acqua potabile, e ai gestori di piccole forniture, comprenden-
do così tutta la filiera di estrazione, trattamento, trasporto e distribuzione.
Resta, al momento, non obbligatoria la valutazione dei rischi sugli impianti di distribuzione domestica e interna agli edifici, oggetto del presente manuale.
La direttiva stessa ritiene che l’introduzione di tali sistemi debba avvenire gradualmente af- finché: le valutazioni siano almeno credibili, e non comportino eccessivi aumenti dei costi per i cittadini, anche individuando una scala di priorità per le diverse tipologie di utilizzo degli edifici. Questa priorità deve tener conto della gravità delle conseguenze che, ad esempio, un eventuale focolaio infettivo potrebbe causare all’interno di un edificio. Pertanto, deve essere valutata la ti- pologia ed estensione delle strutture e la tipologia di utenza, la vulnerabilità ed il tempo di perma- nenza dei soggetti fruitori dell’edificio.
Nell’ambito delle attività di recepimento di questa direttiva, il Ministero della salute, attraverso un gruppo ristretto di esperti afferenti all’Istituto Superiore di Sanità, ha elaborato le Linee Gui- da per la valutazione e gestione del rischio per la sicurezza dell’acqua nei sistemi di distribuzione interni degli edifici prioritari e non prioritari e in talune imbarcazioni ai sensi della direttiva (UE) 2020/2184, con le quali vengono classificati gli edifici e stabiliti gli obblighi e le raccomandazioni.
Gli edifici vengono distinti in:
- Classe A – edifici prioritari: strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali in regime di ricovero;
- Classe B – edifici prioritari: strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali non in re- gime di ricovero, inclusi centri riabilitativi, ambulatoriali e odontoiatrici, strutture recettive alberghiere, campeggi, palestre e centri sportivi, fitness e benessere, imbarcazioni marittime che desalinizzano l’acqua da destinare al consumo umano e, contestualmente, trasportano passeggeri;
- Classe C – edifici prioritari: ristorazione pubblica e collettiva incluse mense aziendali (pub- bliche e private) e scolastiche;
- Classe D: caserme, istituti di istruzione dotati di strutture sportive, istituti penitenziari;
- Classe E: altri edifici pubblici e privati, quali condominii, abitazioni, uffici, istituti di istru- zione ed educativi, stazioni, aeroporti, attività commerciali, ecc.
Per gli edifici prioritari di Classe A le Linee Guida indicano come obbligatoria l’attuazione di un Piano di Sicurezza dell’Acqua, completo delle matrici di attribuzione di responsabilità, ed in
particolare del Gestore Idrico della Distribuzione Interna (GIDI). Per le classi successive, con in- dice di rischio decrescente, è prevista l’introduzione di un Manuale di Autocontrollo o di piani di verifica e monitoraggio igienico-sanitaria degli impianti idrici interni.
Per gli edifici di classe E non viene inserito alcun obbligo, fatte salve le raccomandazioni di verifica della presenza del parametro Piombo e, solo su base volontaria, l’implementazione di un piano di controllo.
Per tutte queste misure da adottare la direttiva indica la necessità di:
a) incoraggiare i proprietari di locali pubblici e privati a effettuare una valutazione del rischio del sistema di distribuzione domestico;
b) informare i consumatori e i proprietari di locali pubblici e privati in merito alle misure volte a eliminare o ridurre il rischio di non conformità alle norme di qualità delle acque destinate al consumo umano a causa del sistema di distribuzione domestico;
c) avvisare debitamente i consumatori circa le condizioni di consumo e di uso dell’acqua desti- nata al consumo umano e le eventuali azioni per evitare che il rischio si ripresenti;
d) promuovere corsi di formazione per gli idraulici e gli altri professionisti che operano nei settori dei sistemi di distribuzione domestici e dell’installazione di prodotti e materiali da costruzione che entrano in contatto con l’acqua destinata al consumo umano;
e) per quanto concerne la Legionella, assicurare che siano attuate efficaci misure di controllo e di gestione — proporzionate al rischio — per prevenire e contrastare l’insorgere di eventuali epidemie; e
f) per quanto concerne il piombo, se economicamente e tecnicamente fattibile, attuare misure tese a sostituire le componenti in piombo nei sistemi di distribuzione domestici esistenti.
Lo scopo di questo manuale è proprio quello di gettare le basi di questa attività raccomanda- ta dalla nuova direttiva, iniziando così a costruire la necessaria cultura tecnico-scientifica indi- spensabile per affrontare la valutazione dei rischi per la qualità dell’acqua destinata al consumo umano.
Mentre le Linee Guida del Ministero della salute sono indirizzate fondamentalmente ai respon- sabili degli edifici prioritari seguendo le impostazioni dei Piani di Sicurezza dell’Acqua, che at- tualmente coinvolgono solo i gestori d’acquedotto, in questo testo si contemplano gli edifici non prioritari, e si forniscono informazioni di carattere generale, necessarie per intraprendere l’attivi- tà di valutazione dei rischi per la qualità dell’acqua destinata al consumo umano nelle reti idriche interne degli edifici.
CAPITOLO 1
Campo d’applicazione
Questo manuale è indirizzato agli amministratori di condominii e ai responsabili, a vario titolo, della gestione e della conduzione di un edificio, o complesso di immobili e strutture, di qualsiasi natura o funzione: sia abitazioni private sia pubbliche che assolvono a scopi sociali, come uffici, scuole, ospedali, edifici commerciali, residenze per anziani, stazioni, alberghi, ecc. e a tutti i sog- getti che, in regime di obbligo o con carattere di volontarietà a seconda del grado di rischio degli edifici delle vie di esposizione e della vulnerabilità dei soggetti esposti, sono interessati a conoscere il sistema idraulico interno dell’edificio per valutare, identificare e controllare le poten- ziali sorgenti di pericoli microbiologici o chimici, nonché sviluppare programmi di ispezione o verifiche analitiche su specifici parametri – come Legionella spp. e Piombo.
Infatti, la normativa vigente in materia di qualità dell’acqua destinata al consumo umano attri- buisce al gestore del servizio idrico municipale tutte le responsabilità inerenti all’acqua distribuita fino al “punto di consegna” genericamente individuato con il contatore che, nella maggior parte dei casi, è collocato all’esterno dell’edificio. Va da sé che il tratto di impianto che va dal contatore al rubinetto di effettivo utilizzo dell’acqua da parte dell’utente, e che potrebbe presentare proble- matiche che possono incidere sulla salubrità dell’acqua, ricade nelle responsabilità della figura giuridica preposta, in funzione della tipologia di edificio: l’amministratore per i condominii, il direttore scolastico per le scuole, il direttore sanitario per le strutture di ricovero e cura, il diret- tore responsabile per le strutture turistico alberghiere, i centri commerciali, le strutture ludico sportive, ecc. così come il proprietario per una singola abitazione civile.
Questi soggetti sono i responsabili del mantenimento dei valori limite previsti per le acque de- stinate al consumo umano nel tratto della rete idrica che va dal contatore al rubinetto.
In particolare, per i proprietari delle singole abitazioni non ci sono, né ci potrebbero essere, ob- blighi o richieste specifiche da parte delle autorità sanitarie ma, nell’ottica della corretta gestione della struttura impiantistica del proprio bene e delle responsabilità civili e penali che ne derivano, anche i singoli proprietari dovrebbero ritenere corretto e funzionale eseguire una valutazione dei rischi igienico sanitari della rete idrica interna del proprio immobile.
Già da molti anni le autorità sanitarie di tutto il mondo hanno indirizzato il controllo dell’ac- qua destinata al consumo umano verso un approccio globale di valutazione e gestione del rischio preventivo su tutta la filiera di approvvigionamento, noto come “Water Safety Plan” (Piani di sicurezza dell’acqua) e in Italia, nel 2014, con la pubblicazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità delle prime linee guida1 si è avviato il processo di graduale implementazione di questa me- todica. Successivamente, con il decreto Ministero della Salute del 14 giugno 2017 di recepimento della direttiva (UE) 2015/1787 è stata introdotta la possibilità di derogare ai parametri e alle fre- quenze di campionamento a condizione che venga effettuata una valutazione del rischio sulla base dell’opportuno piano di sicurezza.
Questo vuol dire che, se in precedenza la normativa relativa ai controlli da effettuare sull’acqua al fine di giudicarla salubre e pulita, erano stabiliti a priori, con un elenco di parametri, i relativi valori di concentrazione da non superare e le frequenze di controllo, con l’approccio dei piani di
1 Linee Guida per la valutazione e gestione del rischio nella filiera delle acque destinate al consumo umano secondo il modello dei Water Safety Plan (Piani di sicurezza dell’acqua) A cura di Xxxx Xxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx Xx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxx – Rapporto ISTISAN 14/21.
sicurezza dell’acqua si ha una valutazione preliminare del rischio che stima l’effettiva presenza di quei parametri, con la probabilità di superare il valore limite ma, soprattutto, esamina la pro- babilità che non ne siano presenti altri, nocivi per la salute, sito-specifici di quell’impianto e di quel territorio.2 Pertanto, un piano di sicurezza efficace è rappresentato da un sistema integrato di prevenzione e controllo dei rischi specifici del singolo impianto, e questo consente di considerare ogni evento pericoloso plausibile in tutta la filiera idro-potabile.
La direttiva 2020/2184, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano ed in fase di recepimento entro gennaio 2023, va a completare il campo d’applicazione dei piani di sicu- rezza inserendo la valutazione del rischio per i bacini idrografici destinati all’estrazione di acqua ad uso potabile, rendendo obbligatoria la valutazione e gestione del rischio di ciascun sistema di fornitura che includa l’estrazione, il trattamento, lo stoccaggio e la distribuzione delle acque de- stinate al consumo umano fino al punto di erogazione, ed inserendo la valutazione del rischio dei sistemi di distribuzione domestici.
In riferimento a questi ultimi, però, sia l’OMS che l’Unione Europea raccomandano che gli adempimenti relativi a tali attività siano sempre “proporzionali ai rischi” e, al contempo, sot- tolineano e rimarcano quanto sia fondamentale che i responsabili della gestione di un edificio pubblico e privato siano incoraggiati a elaborare una valutazione specifica, siano informati su tutte le misure volte a eliminare o ridurre un rischio, nonché sulle condizioni di uso dell’acqua e le eventuali azioni che possono danneggiarne la qualità.
L’OMS rileva che, nell’Unione Europea, tra tutti gli agenti patogeni presenti nell’acqua, i batteri della Legionella pneumophila causano il maggiore onere sotto il profilo sanitario. Questi batteri raggiungono il sistema respiratorio umano mediante aerosol e, pertanto, tutte le istallazioni che producono acqua nebulizzata costituiscono dei siti favorevoli alla sua diffusione (docce, rubinetti, fontane, impianti di condizionamento, ecc.). Va da sé che il sistema di distribuzione domestico rappresenta un ambiente ad alto rischio per la trasmissione di questo batterio. Tuttavia, imporre un obbligo unilaterale di monitorare tutti i locali pubblici e privati per rilevare la presenza di tale patogeno comporterebbe costi eccessivi, e una valutazione dei rischi della distribuzione dome- stica sembra più indicata per affrontare questo problema. Inoltre, la valutazione dei rischi degli impianti idrici degli edifici fonda i suoi presupposti sulla conoscenza dei materiali con cui gli impianti sono costruiti e questo aspetto è fondamentale non solo per la previsione di un rischio microbiologico ma anche dei rischi chimico fisici.
Atteso quindi che, come sottolinea la direttiva europea, imporre un obbligo generalizzato di valutazione dei rischi nella distribuzione domestica sarebbe una misura troppo onerosa e per- tanto “sproporzionata”, è invece necessario che vengano individuati gli edifici definiti “prioritari”
– come ad esempio gli ospedali, le strutture sanitarie, le case di ricovero e cura, e comunque tutte quegli edifici che possono, con maggiore probabilità, essere frequentati da soggetti vulnerabili – e che ai gestori di questi edifici prioritari vengano richiesti adempimenti precisi di valutazione dei rischi. Per tutte le altre strutture o complessi di edifici in cui si svolgono attività di interesse collettivo o sociale, così come nelle abitazioni civili, vengono fatte raccomandazioni di incorag- giamento ad effettuare la valutazione del rischio del proprio sistema di distribuzione domestico, ad informare i consumatori, i proprietari, e tutti i professionisti che operano nei settori dei sistemi di distribuzione domestica e dell’istallazione dei prodotti e materiali da costruzione che entrano
2 Un esempio eloquente di un parametro sito-specifico è il Tallio, minerale estremamente tossico, ma, per fortuna, non così frequente negli acquiferi destinati alla produzione di acqua potabile da richiedere una ricerca sistematica e continuativa su tutto il territorio nazionale.
in contatto con l’acqua destinata al consumo umano.
Per quanto riguarda i condominii, il D.lgs. 31/2001 ha disposto che per tutti gli edifici e le strut- ture in cui l’acqua è fornita al pubblico, il titolare ed il responsabile della gestione dell’edificio de- vono assicurare la salubrità dell’acqua che non deve contenere impurità, microrganismi, parassiti e concentrazioni oltre il limite di alcune sostanze, che possano rappresentare un rischio potenzia- le per la salute. Per gli edifici ad uso abitativo né l’amministratore né i condomini (laddove non vi sia l’amministratore) hanno l’obbligo di effettuare i controlli analitici stabiliti dalla legge ma solo quello di verificare costantemente lo stato di adeguatezza e manutenzione dell’impianto in modo da mantenere i valori di conformità previsti dalla legge.
Ovviamente, l’amministratore è libero di fare tutti i controlli interni in ogni momento, qualora ritenga che l’acqua sia in qualche modo insalubre nel tratto dal contatore all’utenza, ed è altresì le- gittimato a richiedere un controllo approfondito da parte della ASL competente e, eventualmente, agire per eliminare ogni rischio e ristabilire la salubrità e la potabilità dell’acqua:
- eseguendo periodicamente una manutenzione del tratto comune dell’impianto idrico, per evitare la formazione di calcare, incrostazioni e fenomeni corrosivi;
- sostituendo eventuali raccordi o tubi vecchi;
- facendo pulire e disinfestare cisterne, boiler, ed ogni altro componente dell’impianto comu- ne in cui si accumula l’acqua.
Nell’ambito di queste attività, l’introduzione di un sistema di valutazione dei rischi potrebbe rappresentare uno strumento adiuvante e di supporto per l’amministratore con grandi benefici comuni.
CAPITOLO 2
Descrizione della rete idrica interna
Per effettuare un’efficace valutazione dei potenziali pericoli e rischi di alterazione della qualità dell’acqua attribuibile al tratto della rete idrica interno ad un edificio, è di fondamentale impor- tanza conoscere quanto meglio possibile tale tratto della rete di distribuzione.
Tuttavia, una descrizione esaustiva della rete idrica interna può essere in molti casi difficile, se non impossibile per quegli edifici di notevoli dimensioni che nel corso del tempo hanno subito interventi di ristrutturazione o interventi all’impianto idraulico e di cui non esiste una adeguata documentazione.
L’architettura dello stabile, gli impianti idraulici, i materiali utilizzati, l’ubicazione di installa- zioni e attrezzature, il collegamento a dispositivi che utilizzano acqua e le condizioni di funziona- mento previste, le dichiarazioni di conformità (dei prodotti in contatto con acqua calda e fredda sanitaria) e qualsiasi altra documentazione disponibile sull’infrastruttura dell’edificio rappresen- ta una buona base per la descrizione del sistema idrico.
La documentazione dovrà essere verificata con un sopralluogo per confermare che le informa- zioni siano aggiornate e corret-
te; infatti, molto spesso la map- patura dei sistemi idrici negli edifici non viene adeguatamen- te riveduta dopo riparazioni o ristrutturazioni.
L’analisi del sistema idri- co dovrebbe seguire il flusso dell’acqua, dal punto di ingres- so (Point of Entry - POE) a tutti i punti di erogazione o utilizzo all’interno dell’edificio (Point of Use - POU).
Nella figura seguente viene schematizzato un sistema idrico interno ad un edi- ficio, con tutti i principali elementi che lo caratteriz- zano.
Fig.1: schema di sistema idrico di un edificio
1. punto di ingresso nell’edificio (POE) dell’acqua proveniente dall’acquedotto;
2. approvvigionamenti d’acqua non proveniente dall’acquedotto;
3. tubazioni e sistemi di stoccaggio;
4. dispositivi per il riscaldamento e la fornitura di acqua calda sanitaria;
5. rete idrica dedicata all’acqua calda sanitaria;
6. elettrodomestici installati al POU;
7. sistemi di trattamento dell’acqua al POU.
A seguire un breve approfondimento dei principali punti critici della rete idrica interna di un edificio.
Punto di ingresso nell’edificio
Il punto di ingresso (POE), identificato con il contatore d’acqua, stabilisce il luogo in cui ter- mina la responsabilità da parte del gestore d’acquedotto in merito alla qualità dell’acqua fornita e inizia quella del “titolare ed il gestore dell’edificio o della struttura”.
Il contatore dell’acqua è generalmente collocato in prossimità dell’edificio ed è considerato un punto critico per la valutazione del rischio proprio perché è da quel punto che l’analisi ha inizio.
In alcuni casi gli edifici possono avere più di un POE, oppure gruppi di edifici possono essere approvvigionati attraverso un’unica derivazione e condividere un contatore comune.
Ogni POE dovrebbe idealmente essere identificato, così come la propria condizione d’uso (per- manente, intermittente, ecc.) e il tipo di collegamento al sistema idrico interno e, in presenza di altri punti di ingresso, se essi sono interconnessi o tenuti separati.
Tra i principali aspetti tecnici che devono essere considerati in un POE vanno inclusi i seguenti:
• qualità e composizione dell’acqua fornita dall’acquedotto, queste informazioni sono sempre disponibili e vengono normalmente fornite dal gestore del servizio idrico attraverso la bolletta oppure condivise sul proprio sito WEB aziendale;
• continuità e quantità dell’approvvigionamento idrico;
• condizioni di accessibilità al POE;
• presenza di un contatore dell’acqua e sistemi di prevenzione del riflusso (vedi appendice 6) per prevenire la contaminazione della rete pubblica;
• presenza di sistemi di trattamento installati presso il POE (ad esempio, dosaggio di reagenti, filtri, addolcitori d’acqua, filtri a carbone attivo, condizionatori d’acqua con campo elettrico o magnetico), compreso l’eventuale uso e stoccaggio di sostanze chimiche.
Approvvigionamenti d’acqua non proveniente dall’acquedotto
Non sono rari i casi di edifici che, non essendo collegati direttamente alla rete dell’acquedotto, utilizzano fonti d’acqua private, come pozzi e sorgenti.
Se l’acqua proveniente da fonti alternative all’acquedotto non è destinata per il consumo umano (ad es. utilizzata per flushing dei servizi igienici), devono essere previste precauzioni (ad es. tra- mite cartellonistica) per evitare che tale approvvigionamento venga utilizzato direttamente come acqua potabile, o sia collegato alla rete di distribuzione dell’acqua potabile al fine di incrementar- ne la portata.
È molto importante in questo caso riuscire a descrivere in maniera esaustiva la natura dell’ap- provvigionamento e la sua gestione, attraverso un’indagine che consenta di rispondere almeno alle seguenti domande:
• qual è la natura e l’ubicazione della fonte di approvvigionamento?
• come viene protetta dall’inquinamento esterno?
• come viene consegnata l’acqua all’edificio e quali sono le possibilità di contaminazione? (ad es. stato delle tubazioni, presenza di serbatoi di stoccaggio non protetti, materiali inadeguati a contatto con acqua, ecc.)
• quale trattamento viene applicato al POE?
• quali sono le precauzioni in atto per garantire che l’acqua non venga utilizzata in modo improprio o collegata alla fornitura di acqua potabile?
Se invece l’acqua prelevata da pozzi e/o sorgenti viene adibita per uso potabile allora l’approccio, per un suo utilizzo corretto e sicuro, deve seguire un’altra procedura.
Innanzitutto, occorre ricordare che l’utilizzo di acqua prelevata da pozzi, sorgenti o corsi d’ac- qua è vincolato da specifiche concessioni che ne regolamentano la destinazione d’uso (uso umano, agricolo e zootecnico, industriale, ecc.), il volume che ne può essere attinto e la struttura dell’opera di presa.
In generale l’uso di queste captazioni per approvvigionamento di acque destinate a consumo umano dovrebbe essere consentito solo in casi di dimostrata impossibilità di allacciamento alla rete del gestore idrico e la procedura da seguire, per poter ottenere tale concessione, è stabilita su base regionale, con disposizioni specifiche a livello di provincia o comune, sulla base di problema- tiche relative al controllo per un uso sostenibile delle risorse idriche nel territorio.
I principi generali per l’impiego di queste acque possono essere reperiti nel testo del Decreto Ministeriale 26 marzo 1991, che rinvia all’autorità sanitaria locale la valutazione circa la necessità o meno di un trattamento di potabilizzazione e/o di disinfezione nonché sulla sua tipologia, attra- verso una serie di analisi atte a definire la fisionomia dettagliata dell’acqua e le sue variazioni nel corso di un periodo di almeno un anno solare.
Nei casi in cui sia stato autorizzato l’uso di impianti di captazione autonomi per la fornitura d’acqua (ad un singolo immobile, ad un complesso di immobili, a piccole comunità di abitazione residenziale o turistica o ad attività non sottoposte ad autorizzazione sanitaria) la normativa vi- gente prevede che il responsabile della fornitura sia assimilato al “gestore idrico”, e come tale deb- ba adempiere agli obblighi previsti dalla normativa di riferimento. In pratica chi utilizza l’acqua si assume gli oneri e le responsabilità della sua conformità al consumo umano.
Gli impianti di trattamento, eventualmente installati per garantire la conformità di queste ac- que ai parametri previsti dalla legislazione vigente, sono dei veri e propri potabilizzatori da non assimilare alle apparecchiature per il trattamento di acqua potabile, di cui al DM 25/2012. I prin- cipi di questo decreto sono applicabili solo ai dispositivi utilizzati su acqua distribuita attraverso sistemi acquedottistici, già idonea all’uso potabile, allo scopo di migliorarne le caratteristiche organolettiche o per aumentarne il livello di sicurezza.
Tubazioni e sistemi di stoccaggio
I sistemi di distribuzione dell’acqua negli edifici possono differire molto tra loro per diversi fattori quali lunghezza, complessità strutturale, materiali utilizzati, presenza di vasche, ecc.
La struttura di un sistema di tubazioni deve essere stabilita esaminando la documentazione esistente, ma anche da un’indagine in loco in quanto i prospetti grafici non vengono sempre ag- giornati a fronte di interventi di riparazione o rifacimento delle reti idriche. L’operazione di studio della struttura del sistema attraverso la documentazione può essere molto difficile, se non prati- camente impossibile, soprattutto in quegli edifici grandi e complessi in cui tratti di tubazione si trovano incassati nelle opere murarie.
È comunque buona norma catalogare, quanto meglio possibile, tutto il sistema idrico e conser- vare tutte le documentazioni anche per interventi futuri.
In particolare, dovrebbero essere identificate e valutate le seguenti parti del sistema idrico di
distribuzione:
– presenza di serbatoi di stoccaggio dell’acqua all’interno (o all’esterno) dello stabile, in particolare i materiali, lo stato di conservazione e l’adeguato isolamento dall’ambiente esterno. Uno dei punti più critici del sistema di distribuzione dell’acqua all’interno degli edifici è rappresentato proprio dalle vasche di accumulo, soprattutto se non viene fatta una regolare pulizia periodica (sono consigliate un’ispezione e una pulizia annuale). I serbatoi posizionati sopra ai tetti degli edifici esposti al sole diretto non rappresentano la migliore condizione per conservare l’acqua destinata al consumo umano, inoltre i sistemi di copertura grossolani, che non assicurano un adeguato isolamento dall’ambiente esterno, rappresentano una forte criticità. Al tema dei serbatoi per acqua potabile è stato dedicato un allegato specifico in questo documento, a cui si rimanda per approfondimenti.
– punti di consegna, compresi gli impianti ed i collegamenti agli elettrodomestici o altri eventuali dispositivi centralizzati che utilizzano acqua (ad es. torri di raffreddamento, piscine, fontane ornamentali, ecc.);
– installazione di adeguati dispositivi di protezione anti riflusso per le apparecchiature che utilizzano l’acqua e nei punti di collegamento agli impianti per usi specifici (es. impianti antincendio) per la prevenzione del ritorno nella rete dell’acqua potabile;
– separazione fisica dei sistemi di acqua fredda e calda e separazione dell’acqua potabile da quella non potabile;
– presenza di etichettatura e identificazione delle tubazioni e dei punti di prelievo;
– presenza di isolamento termico dei sistemi di tubazioni;
– presenza di terminali ciechi, che possono essere a vista o murati, e che vanno, per quanto possibile, eliminati in quanto zone di stagnazione, quindi di proliferazione della carica microbica e potenziale causa di contaminazione dell’acqua distribuita;
– zone con utilizzo intermittente o stagionale;
– accesso adeguato all’esecuzione degli interventi di manutenzione;
– materiali utilizzati nei tubi e negli altri componenti, che devono rientrare tra quelli ammessi per il contatto con l’acqua potabile. Negli edifici datati possono essere presenti tubazioni vetuste, realizzate in piombo o ferro dolce. Un’acqua lievemente acida può disciogliere sensibilmente il metallo dei tubi e delle raccorderie, sino a valori fuori norma, tale fenomeno è più evidente dopo lunghi periodi di sosta dell’acqua nel circuito idraulico, che può arrivare a presentarsi lievemente colorata (giallastra o rossastra). Al contrario, in caso di durezza elevata, la formazione di incrostazioni tende ad occludere le tubazioni e gli aeratori dei rubinetti con depositi di calcare che, oltre a ridurre sensibilmente la portata, fungono anche da nido di proliferazione microbica.
Dispositivi per il riscaldamento e la fornitura di acqua calda sanitaria
La produzione di acqua calda sanitaria può essere istantanea oppure la fornitura può avvenire sfruttando accumuli in serbatoi coibentati. Gli edifici possono essere serviti da sistemi centra- lizzati per la produzione di acqua calda o da più sistemi per alimentare singoli piani, sezioni di edifici o singole unità abitative.
Il principale problema associato ai sistemi di produzione di acqua calda sanitaria è il bilancia-
mento corretto della temperatura, che da un lato richiede la necessità che non scenda mai al di sotto di 50°C in nessun punto dell’impianto idrico, dall’altro comporta grande dispendio energe- tico e rischio di scottature. Ciò vale in particolare nelle strutture per l’assistenza agli anziani o per la prima infanzia e per le strutture sanitarie.
Il DPR 412/93, Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, all’art. 5, comma 7, recita: “Negli impianti termici di nuova installazione e in quelli sottoposti a ristrutturazione, i generatori di calore destinati alla produzione centralizzata di acqua calda per usi igienici e sanitari per una pluralità di utenze di tipo abitativo devono essere progettati
e condotti in modo che la temperatura dell’acqua, misurata nel punto di immissione della rete di distribuzione, non superi i 48°C, + 5°C di tolleranza”.
Peraltro, le Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi, approvate in Con- ferenza Stato-Regioni, nella seduta del 7 maggio 2015 (Atto n. 79/CSR/2015) e pubblicate dal Mi- nistero della Salute3, indicano che, al fine di minimizzare il rischio di colonizzazione e crescita di Legionella la temperatura dell’acqua deve essere mantenuta costantemente a 50°C, indicando che nei serbatoi di accumulo la temperatura deve essere ≥ 60°C.
Queste indicazioni, già apparentemente incongruenti tra loro, devono inoltre essere raccordate con le norme di prodotto in vigore e in particolare sulle prestazioni energetiche degli apparecchi (EN 50440 Efficienza degli scaldacqua elettrici domestici ad accumulo, EN 16147 Pompe di calore con compressore elettrico per la produzione di acqua calda sanitaria, EN 13203 Apparecchi a gas domestici per la produzione di acqua calda, ecc.).
L’armonizzazione di questi presupposti si ottiene soltanto grazie ad un corretto adattamento alle condizioni reali di lavoro tenendo conto di tutte le altre variabili come: le dimensioni del serbatoio, la quantità d’acqua mediamente prelevata, la probabilità di svuotamento e, soprattutto, la valutazione del rischio che la legionella possa o meno proliferare in quel contesto di impianto.
Rete idrica dedicata all’acqua calda sanitaria
I sistemi di distribuzione dell’acqua calda sanitaria dovrebbero essere mappati e catalogati in modo simile a quelli dell’acqua potabile fredda.
Similmente a quanto già detto per la distribuzione dell’acqua fredda, quando si mappano i si- stemi di acqua calda sanitaria dovrebbero essere identificati e valutati almeno i seguenti punti:
– dispositivi per la produzione di acqua calda e accumuli;
– isolamento termico dei sistemi di tubazioni e un adeguato distanziamento fisico dalla rete di acqua fredda;
– mantenimento delle temperature in tutto il sistema di distribuzione, compresi i punti più distanti mediante opportuno bilanciamento del circuito di ricircolo;
– installazione di dispositivi di termoregolazione per ridurre il rischio di scottature (es. miscelatori termostatici) ai POU;
– lunghezza e numero di diramazioni e presenza di rami morti;
– presenza di aree con potenziale di utilizzo intermittente o stagionale;
– materiali delle tubazioni e dei componenti e dispositivi costituenti la rete dell’acqua calda;
– accesso adeguato ad effettuare gli interventi di manutenzione.
3 xxxxx://xxx.xxxxxx.xxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxx/x0_0_0_0.xxx?xxx0000
Apparecchi ed elettrodomestici installati al POU
La descrizione dei sistemi idrici interni agli edifici dovrebbe identificare anche tutte le apparec- chiature che utilizzano l’acqua, comprese le apparecchiature al POU nelle varie tipologie, dimen- sioni e portate. Tali dispositivi includono lavelli, rubinetti, bagni e docce, lavastoviglie, lavatrici, dispositivi medici, sistemi di irrigazione, erogatori per acqua potabile, fontane decorative, idropu- litrici e macchine per la produzione del ghiaccio. Tutti i dispositivi dovrebbero essere identificati, insieme alla loro frequenza di utilizzo e i fenomeni di riflusso idrico, che devono essere impediti con adeguati dispositivi di protezione.
Sistemi di trattamento dell’acqua al POU
Esiste una vasta gamma di apparecchiature per il trattamento dell’acqua al POU. Le soluzioni impiantistiche si differenziano per tipologia degli elementi filtranti, forme, prestazioni, ecc.
In generale la classificazione più efficace dei sistemi di trattamento dell’acqua si basa sulla na- tura del mezzo filtrante, in base a tale criterio i vari dispositivi si distinguono in filtri meccanici, filtri a carbone attivo, separazione a membrana, sistemi a scambio ionico, addolcitori d’acqua, deionizzatori, sistemi di disinfezione chimica o a ultravioletti, frigogasatori.
Xxxx apparecchiature devono essere sempre conformi al DM 25/2012 e sia l’istallazione che la manutenzione devono essere effettuate da parte di personale qualificato e certificato ai sensi del
D.M. 37/08 e s.m.i., relativo all’attività di installazione di impianti negli edifici.
I dispositivi di trattamento di acque idonee al consumo umano sono principalmente offerti ai consumatori per perseguire modifiche nelle caratteristiche organolettiche delle acque, e quindi aumentarne la gradevolezza al gusto, combinandosi in molti casi con sistemi di refrigerazione e gasatura per conferire all’acqua caratteristiche di effervescenza.
L’affinamento delle acque potabili, ottenuto mediante uno o più processi fisici e/o chimici realiz- zati all’interno dei sistemi di trattamento, si prefigge in molti casi di agire su caratteristiche chi- miche, fisiche e microbiologiche, tenendo anche conto delle interazioni delle acque con le reti di distribuzione domestica. Le modifiche attuate mediante i trattamenti possono anche perseguire effetti sugli utilizzi domestici delle acque diversi dal consumo: ad esempio, nel caso di trattamenti di addolcimento, mirare ad un effetto di protezione delle reti di distribuzione e di elettrodomestici o ad una migliore efficienza nell’utilizzo delle acque per fini igienici4.
La nuova direttiva 2020/2184 recita testualmente: “Per condizioni di sicurezza delle acque desti- nate al consumo umano si intende non solo l’assenza di sostanze e microrganismi nocivi, ma anche la presenza di determinate quantità di minerali naturali ed elementi essenziali, tenendo conto del fatto che il consumo a lungo termine di acque demineralizzate o con quantità molto esigue di ele- menti essenziali quali il calcio e il magnesio può essere pregiudizievole per la salute umana. Una determinata quantità di tali minerali è altresì fondamentale per far sì che le acque destinate al consumo umano non siano aggressive o corrosive e per migliorarne il sapore.”
Come riportato nelle Linee guida sui dispositivi di trattamento delle acque destinate al con- sumo umano ai sensi del D.M. 7 febbraio 2012, n. 255, l’assunzione di tali elementi con l’acqua è sostanziale soprattutto per individui che ricevano contributi marginali degli stessi elementi
4 Rapporto ISTISAN 15/8
5 Consultabile all’indirizzo xxxxx://xxx.xxxxxx.xxx.xx/xxxx/X_00_xxxxxxxxxxxxx_0000_xxxxxxxx.xxx.
da altre fonti alimentari, quali ad esempio individui intolleranti al lattosio o praticanti di diete pressoché esclusivamente vegetali. L’OMS, in considerazione dell’importanza della presenza di minerali essenziali nell’acqua destinata al consumo umano e riferendosi non solo alle acque potabili ottenute mediante trattamenti di dissalazione ma anche ad acque ottenute da tratta- menti domestici che comportino riduzione delle concentrazione di minerali essenziali tra cui calcio e magnesio, prevede che “Gli utilizzatori di questi dispositivi devono essere informati delle modifiche nella composizione minerale causate dai trattamenti e delle possibili conse- guenze sull’assunzione totale di sostanze nutritive. Ad esempio, coloro che vendono o installano questi dispositivi possono essere motivati ad attirare l’attenzione degli utilizzatori di queste apparecchiature circa l’eventualità di una ridotta assunzione di minerali.” L’OMS conclude con la raccomandazione generale che “Occorre informare i consumatori della composizione minerale dell’acqua, indipendentemente dal fatto che sia trattata o no”.
Nella corrente normativa europea sulla qualità delle acque destinate al consumo umano non viene espressamente regolamentato il parametro “durezza” e, nella normativa nazionale, la “durezza” è considerata tra i parametri indicatori (Allegato 1, parte C, del D.lgs. 31/2001) con un valore consigliato compreso tra 15°-50°F, in cui il limite inferiore vale per le acque sotto- poste a trattamento di addolcimento o di dissalazione.
Le principali criticità legate all’uso di sistemi di trattamento POU vanno ricercate nella ne- cessità di corrette procedure di installazione e manutenzione. In generale qualsiasi tipologia di elemento filtrante richiede un intervento periodico di manutenzione. I filtri devono essere sosti- tuiti regolarmente una volta che hanno perso la loro capacità di filtrazione, o dopo un periodo di utilizzo prestabilito, di solito indicato dal produttore. Ad esempio, per i filtri al carbone vengono in genere indicati due parametri di controllo per la loro sostituzione al fine di prevenire la proli- ferazione batterica: il volume d’acqua trattabile e il periodo di utilizzo.
L’installazione di adeguati dispositivi di protezione è indispensabile per garantire che, in caso di temporanea perdita di pressione, non avvenga riflusso nella rete dell’acqua potabile.
CAPITOLO 3
I materiali degli impianti idrici
Con i processi di erosione delle rocce attraversate dai corpi idrici sotterranei, l’acqua si arric- chisce di numerosi sali minerali che, in concentrazioni ottimali, rappresentano un apporto essen- ziale per la salute umana. Al fine di garantire un giusto equilibrio di acidità/alcalinità delle acque destinate al consumo umano si preferisce mantenere un corretto bilanciamento salino in modo da ridurre eventuali azioni aggressive o corrosive nei confronti degli impianti di distribuzione.
La corrosione, infatti, è il principale fenomeno che causa il degrado della qualità dell’acqua lungo una rete idrica che, per lo più, è costituita da tubazioni metalliche.
Tracce di ferro, rame, manganese e zinco possono provocare un’alterazione delle caratteristiche organolettiche (colore, sapore, torbidità) dell’acqua ma non sono generalmente dannosi per la sa- lute. Invece, altri metalli, come piombo, cromo, mercurio, cadmio e nichel sono altamente tossici e non vengono eliminati dall’organismo accumulandosi e rappresentando un fattore aggravante o determinante in numerose malattie croniche.
In particolare, la cessione di piombo rappresenta il maggior rischio sanitario soprattutto per i bambini al di sotto dei 6 anni e, nonostante il progressivo abbandono di questo materiale avvenu- to negli ultimi trent’anni, ancora oggi la sua presenza negli impianti idrici è molto elevata.6
Il passaggio dell’acqua attraverso tubazioni vetuste, così come la presenza di vasche e serbatoi e di impianti di trattamento, può comportare un deterioramento della qualità dell’acqua, soprattut- to all’interno di edifici con vecchie tubazioni di ferro e piombo, con raccorderie in acciaio nichela- to, cromato, ottone e rame, in particolare se si verificano lunghi periodi di sosta, con conseguente aumento dell’acidità dell’acqua che, a sua volta, aumenta la cessione di questi elementi dalle pareti degli impianti.
Se un impianto di distribuzione interno di un edificio presenta queste criticità, quando econo- micamente e tecnicamente fattibile, è indispensabile attuare misure di sostituzione dei compo- nenti al fine di eliminare il piombo e le varie leghe che potrebbero essere soggette a fenomeni di cessione di sostanze tossiche.
Al momento dell’acquisto e della fornitura di nuovi materiali e prodotti, però, spesso risulta dif- ficile sapere se un prodotto soddisfa o meno i requisiti sanitari necessari a salvaguardare l’igiene dell’acqua potabile. Infatti, questi prodotti non hanno una marcatura europea che ne certifichi la qualità né dal punto di vista igienico sanitario né funzionale.
Dalla fine degli anni ’90, con la graduale entrata in vigore delle disposizioni dello spazio eco- nomico europeo (SEE), la maggior parte delle normative tecniche che disciplinano tutto ciò che è messo in commercio in Europa si sono uniformate, con grande vantaggio dei consumatori e dei fornitori. Questo non è accaduto per tutti i materiali da costruzione e per quelli che costituiscono le reti idriche e che sono destinati al contatto con l’acqua potabile, mentre sono state regolamen- tate le disposizioni relative ai materiali che entrano in contatto con gli alimenti, sia nelle fasi di produzione e preparazione, che negli imballaggi.
Di conseguenza esistono, nei singoli Stati, normative per l’autorizzazione all’uso di questi ma- teriali molto diverse tra loro, che si basano su requisiti e criteri concettualmente diversi con il ri- sultato che, ad oggi, è possibile trovare in commercio materiali e prodotti, apparentemente molto simili, anche di provenienza europea, ma con prezzi molto diversi, privi di riferimenti a certifi-
6 Per un approfondimento su questo tema si veda l’allegato 4 - Contaminazione da piombo.
cazioni di qualità che possano indirizzare i consumatori alla corretta scelta di materiali che non alterino le proprietà dell’acqua.
La normativa vigente in Italia è il decreto ministeriale 6 aprile 2004, n.174, che disciplina tutti i materiali costituenti le tubazioni, i raccordi, le guarnizioni e gli accessori utilizzati negli impianti fissi di captazione, di trattamento e di distribuzione delle acque potabili, compresi gli oggetti e i prodotti di assemblaggio (ad es. le valvole), che devono essere utilizzati negli impianti nuovi e per sostituzioni nelle riparazioni.
Questo decreto impone che ogni fornitura deve essere corredata da opportuna etichettatura o stampigliatura o marcatura attestante che gli oggetti sono conformi al suddetto regolamento e, laddove non sia possibile, ad esempio per componenti molto piccoli, deve essere disponibile una dichiarazione in tal senso.
I responsabili degli interventi di realizzazione o di ristrutturazione degli impianti idrici devono, pertanto, essere forniti della dichiarazione di conformità al DM 174/2004 per tutti i materiali im- piegati e devono operare in accordo con il DM 37/2008 per quanto riguarda l’effettuazione degli interventi stessi.
Per la conformità al DM 174/2004 un materiale destinato a venire in contatto con l’acqua potabile deve:
– essere indicato nelle liste positive allegate al decreto,
– possedere i limiti di composizione definiti e i relativi limiti di impurezze,
– possedere una migrazione globale al di sotto dei limiti indicati per ogni singolo materiale e,
– nel caso vengano superati i limiti di migrazione globale (intesa come trasferimento di massa che segue le leggi della diffusione), deve rispondere ai test di migrazione specifica per le sostanze nocive per la salute, risultando nei limiti fissati.
Il fenomeno della migrazione nell’acqua di sostanze potenzialmente tossiche dai materiali con cui sono assemblati gli impianti è l’aspetto più complesso della certificazione di idoneità igienico sanitaria e, ai sensi del DM 174/2004, devono essere valutati attraverso specifici test di migrazione globale (che indica la quantità totale di sostanze cedute) e di migrazione specifica (che individua quale sostanza viene ceduta ed in quale quantità). Le metodiche di questi test sono molto rigorose ma è sempre bene tener presente che il rilascio di sostanze e impurezze da parte dell’impianto può essere notevolmente incrementato dalla vetustà dell’impianto stesso, dalla temperatura di eserci- zio e dalle caratteristiche dell’acqua (ad es. il pH leggermente acido, un addolcimento spinto al di sotto dei 15°F o un tempo prolungato di stagnazione, aumentano le capacità estrattive dell’acqua stessa).
Per molti materiali esiste una discreta correlazione tra l’idoneità al contatto con l’acqua desti- nata al consumo umano e l’idoneità all’uso a contatto con alimenti. D’altro canto, l’acqua stessa è di per sé un alimento sia in quanto ingerita come bevanda sia in quanto incorporata nella pre- parazione e produzione degli xxxxxxxx0. Ad esempio, per gli acciai inox, gli smalti porcellanati, le ceramiche e i vetri, ma soprattutto per tutto il settore delle plastiche, i test di migrazione globale
7 REGOLAMENTO (CE) N. 178/2002 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
e specifica effettuati per l’idoneità al contatto con l’acqua e quelli per gli alimenti sono i medesi- mi. Ma, al di là di questi materiali, è necessario effettuare una valutazione caso per caso perché, nei diversi usi, possono cambiare vari fattori, come la superficie di contatto o la temperatura o il tempo del contatto stesso, influenzando così il rischio di rilascio nell’acqua di elemento tossici.
In conclusione, dal punto di vista strettamente legislativo, e di conseguenza per le responsabilità degli amministratori e gestori di impianti idrici di un edificio, la normativa di riferimento per la valutazione dell’idoneità dei materiali in caso di nuove costruzioni o di sostituzioni o riparazioni dell’esistente, è il DM 174/2004, la cui applicazione è vincolante fino ai punti di utilizzo da parte degli utenti, compresi i rubinetti. Negli edifici destinati ad abitazioni civili, inoltre, dovrebbe es- sere cura dell’amministratore del condominio sensibilizzare i singoli proprietari affinché anche le parti interne alla singola proprietà immobiliare, siano gestite correttamente e conformemente alla normativa vigente.
CAPITOLO 4
Contaminazioni di origine microbiologica
L’acqua destinata al consumo umano contiene sempre un discreto numero di microrganismi, così come le acque imbottigliate, anche se definite in etichetta “microbiologicamente pure”. La maggior parte dei microrganismi presenti sono saprofiti ambientali, che vivono e si riproducono senza causare danni, o opportunisti che sono normalmente innocui ma che possono diventare patogeni solo se presenti in numero molto elevato o su soggetti immunocompromessi.
Su tutte le acque viene effettuata costantemente la ricerca di microrganismi patogeni, in parti- colare l’Escherichia coli e gli enterococchi intestinali, che si prestano molto bene come indicatori di una contaminazione fecale, sia umana che animale: la ricerca è semplice, poco costosa e veloce (per l’Escherichia coli esistono anche test rapidi da effettuare in loco).
La loro presenza indica con certezza che vi è stato un inquinamento e che gli interventi di pota- bilizzazione e di disinfezione non sono stati sufficienti a rimuovere la contaminazione.
Oltre a questi, però, i gestori dei servizi idrici svolgono frequentemente anche altre analisi batte- riologiche, come la conta batterica a 22°C e batteri coliformi, per verificare che non siano presenti variazioni anomale e che i sistemi di disinfezione siano perciò adeguati e ben funzionanti.
Quando si siano verificate falle del sistema idrico o guasti nei sistemi di trattamento, vengo- no ricercati anche virus, miceti, spore e altri parassiti che potrebbero diffondersi rapidamente nell’acqua e provocare effetti acuti sulla salute.
Nonostante questi controlli effettuati dai gestori, le reti idriche interne di un edificio possono essere soggette a contaminazioni dovute a crescita anomala di microrganismi ambientali, com- prese specie autoctone potenzialmente patogene, come la Legionella pneumophila, o micobatteri non-tubercolari che possono dare origine a sapori e odori sgradevoli.
Inoltre, è indispensabile sempre verificare che l’impianto idrico sia integro, cioè che non abbia subito nel tempo interventi, ad esempio, di collegamenti trasversali con i sistemi di depurazione o di riciclo delle acque, e che i serbatoi di stoccaggio siano adeguatamente coperti e isolati da animali infestanti.
Un’altra origine di contaminazione microbiologica preoccupante è la formazione di biofilm all’interno di condutture di tratti morti, o scarsamente utilizzati della rete.
Il biofilm, o biopellicola, è un aggregato complesso di microrganismi racchiusi in una matri- ce adesiva e protettiva che si può formare su qualunque superficie o substrato quando il flusso dell’acqua è ridotto, o addirittura stagnante. In queste situazioni alcuni batteri “coloni” iniziano a aderire alle superfici stesse e danno origine ad una matrice che faciliterà l’adesione di ulteriori microrganismi. Una volta che il processo di colonizzazione ha avuto inizio il biofilm cresce ra- pidamente e si organizza in comunità che ha la funzione fondamentale di consentire la soprav- vivenza dei batteri proteggendoli dal sopraggiungere di ostilità ambientali, come variazioni di temperatura o di pH, e dall’azione di eventuali sostanze disinfettanti.
I biofilm si formano su qualunque substrato sommerso o esposto a soluzioni acquose; a volte si possono formare anche su superfici liquide formando tappeti o masse galleggianti. Queste masse sono tenute insieme da una matrice di composti polimerici, escreti dai batteri stessi che le com- pongono, e a volte sono tanto forti da fossilizzarsi e organizzarsi in consorzi veri e propri in cui ogni specie batterica svolge differenti funzioni metaboliche, convoglia nutrienti, acqua e ossigeno all’interno e sostanze di scarto verso l’esterno.
I batteri che vivono su un biofilm solitamente hanno proprietà significativamente differenti dai batteri delle stesse specie che vagano liberamente, poiché l’ambiente denso e protetto del film permette loro di cooperare e interagire in varie maniere. Un beneficio di questo ambiente è l’au- mentata resistenza a detergenti e agenti biocidi, dato che la densa matrice extracellulare e lo strato esterno delle cellule protegge la parte interna della comunità. In alcuni casi la resistenza agli an- tisettici può aumentare in maniera eccezionale: il cloro risulta da 150 a 2000 volte meno efficace e le clorammine da 10 a 150 volte meno, rispetto all’efficacia di questi biocidi su medesime specie batteriche non protette da biofilm.
Dopo qualche tempo, i batteri adesi al biofilm sono in grado di staccarsi, andando a costituire una massa indipendente che periodicamente si sfoglia e può dare origine alla formazione di un nuovo biofilm in un altro posto.
Tra i batteri più frequenti nella composizione di biofilm all’interno di impianti idrici predomi- nano la Pseudomonas aeruginosa, la Pseudomonas fluorescens, l’Escherichia coli e lo Staphylococ- cus aureus nonché la Legionella pneumophila, l’Helicobacter pylori e persino il Vibrio cholerae, rappresentando così un grave rischio per la salute dei consumatori.
I biofilm hanno delle conseguenze molto dannose perché, oltre a creare ambienti di alta prote- zione dei batteri essendo estremamente resistente verso la maggior parte dei disinfettanti, causano fenomeni di corrosione delle superfici. Infatti, nel biofilm si ritrovano facilmente batteri solfatori- duttori, che riducono i solfati in acido solfidrico, solfoossidanti, capaci di ossidare lo zolfo, il ferro e i solfuri producendo acido solforico, batteri ferroossidanti, che traggono energia dall’ossidazio- ne del ferro e ferroriducenti che aumentano la reattività della superficie metallica e determinano gravi eventi di corrosione metallica.
Il processo di adesione del biofilm ad una superficie è un processo multifattoriale e anche le caratteristiche della superficie solida hanno un’importanza primaria. L’estensione della coloniz- zazione microbica sembra aumentare proporzionalmente con la rugosità della superficie, e inoltre le caratteristiche di un biofilm su un materiale metallico sono, sia qualitativamente che quantita- tivamente, diverse da quelle di un biofilm formatosi su un materiale plastico.
Ad esempio, il polietilene 8che è un materiale sintetico leggero, impermeabile e atossico, è il materiale che più favorisce la formazione di biofilm, mentre il polipropilene e l’acciaio sono i ma- teriali che meno vengono intaccati da queste colonizzazioni batteriche9
Anche l’azione dei disinfettanti varia in funzione dei diversi materiali: ad esempio il cloro è più efficace su biofilm prodotti su vetro e su superfici di ferro galvanizzato rispetto a biofilm cresciuti su PVC. Quest’ultimo in particolare se sottoposto a diversi disinfettanti ha un comportamento variabile che comporta una prima riduzione della carica microbica seguita da un successivo au- mento.
Da quanto su esposto è facile dedurre che non esistono criteri applicabili a tutti i sistemi per l’eliminazione del biofilm e che la principale misura da attuare è il controllo preventivo con la costante verifica dei livelli di materia organica disciolta o in sospensione nell’acqua. Inoltre, i trattamenti di disinfezione devono essere valutati caso per caso, associando trattamenti chimici e fisici con modalità d’azione differente e differente efficacia. La manutenzione costante ed il con- trollo periodico dello stato dell’impianto idrico, con l’applicazione dell’opportuna sanificazione e/o disincrostazione, è l’unica vera metodologia che può contrastare la formazione del biofilm.
8 Il PET è il materiale con cui vengono normalmente imbottigliate le acque minerali.
9 Xxxx xxx xxx Xxxxx, Xxxx X. Xxxxxxxxxx, Xxxx X.X. Xxxxxxxx – Biofilm formation and multiplication of Legionella in a model warm water system with pipes of copper, stainless and cross-linked polyethylene – Water Research 00 (0000) 0000-0000.
CAPITOLO 5
Rischi di contaminazioni chimiche – parametri emergenti
La presenza di inquinanti chimici in acque destinate al consumo umano - a differenza di quan- to avviene per la contaminazione microbiologica - raramente è causa di patologie di tipo acuto, ma deve essere associata, invece, ad un potenziale rischio di malattie cronico-degenerative, in primo luogo patologie tumorali.
La protezione della salute umana dai rischi derivanti dalla contaminazione delle acque poggia su principi scientifici e pratiche gestionali consolidate da tempo, sviluppate nelle linee guida per la qualità dell’acqua potabile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che fissano i “valori guida” considerando un consumo di acqua di 2 litri al giorno tutto l’arco dell’intera vita.
Le contaminazioni chimiche dell’acqua possono avere cause ed origini differenti. Le più fre- quenti sono quelle di origine naturale prodotte dal dilavamento delle rocce e dai terreni o da corpi idrici superficiali influenzati da scarichi fognari e attività agricole. Ne sono un esempio tipico l’arsenico, il fluoro, le cianotossine o il tallio. Molto pericolose sono, inoltre, le contaminazioni originate da fonti industriali, sia estrattive che manufatturieree industrie di trasformazione, de- purazione, rifiuti solidi urbani, deflusso o perdite di carburante, e da pratiche agricole con utilizzo di concimi, fertilizzanti, allevamenti intensivi e pesticidi.
Un’altra fonte di contaminazione da non trascurare è quella derivante dai trattamenti di pota- bilizzazione, che possono rilasciare nell’acqua trattata sostanze coagulanti e sottoprodotti della disinfezione, e dai materiali a contatto con l’acqua, soprattutto le tubazioni.
La conoscenza approfondita di queste problematiche consente ai gestori dei servizi idrici di ef- fettuare la corretta valutazione dei rischi, specifica per ogni singolo territorio, e orientarsi ai con- trolli necessari secondo l’approccio dei piani di sicurezza dell’acqua (PSA). Questo approccio, già introdotto su base volontaria in Italia con il DM 14 giugno 2017, verrà applicato da tutti i gestori dei servizi idrici entro il 2029 ai sensi del recepimento della direttiva 2020/2184, con particolare attenzione ai piccoli acquedotti, visto che l’esperienza nazionale e le valutazioni elaborate a livello europeo indicano come questi ultimi siano maggiormente a rischio di non conformità.
Effettuati tutti i controlli previsti dalla normativa vigente (il decreto legislativo 31/2001), le ac- que consegnate dal gestore al contatore sono sicure, ovvero idonee al consumo umano in quanto l’eventuale presenza di sostanze indesiderabili è mantenuta al di sotto delle concentrazioni con- sentite dai valori di parametro.
I gestori del servizio idrico devono rendere disponibili le informazioni relative alla qualità dell’acqua fornita, (come deliberato dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, AEEG, oggi ARERA – Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente, già nel 2013) ed in particolare de- vono comunicare i valori di: pH, residuo fisso, durezza, conducibilità elettrica, calcio, magnesio, ammonio, cloruri, solfato, potassio, sodio, arsenico, bicarbonato, cloro residuo, fluoruri, nitrati, nitriti e manganese.
La maggior parte dei gestori mettono a disposizione dei consumatori l’analisi dell’acqua fornita tramite il proprio sito web, o attraverso copia cartacea allegata alla bolletta, indicando i valori medi delle analisi effettuate in un certo periodo di tempo (solitamente semestrale).
Partendo dalla conoscenza dei dati forniti dal gestore, ed effettuando un’analisi qualitativa e quantitativa dell’acqua prelevandola dal rubinetto più lontano dal contatore, è possibile eviden- ziare eventuali variazioni nella composizione dell’acqua attribuibili al tratto d’impianto idrico
interno all’edificio.
I parametri da analizzare in questi casi non saranno evidentemente tutti quelli previsti dal D.lgs. 31/2001 per stabilire la potabilità di un’acqua, ma soltanto quelli che potenzialmente po- trebbero essere interessati ad un’alterazione dei loro valori (es. metalli pesanti) causata dalla rete idrica interna dello stabile, oppure quelli non previsti dal controllo del gestore per escludere o quantificare la presenza di eventuali altri contaminanti sito specifici.
Il rilascio di metalli pesanti da parte di tubazioni vetuste, o comunque con un discreto grado di corrosione, è certamente uno dei fenomeni più comuni di peggioramento della qualità dell’acqua. Questo fenomeno è particolarmente rilevante nei vecchi edifici dove ancora oggi sono presenti tubazioni in ferro e piombo, ed è favorito da condizioni di acidità dell’acqua.
La contaminazione da materiali metallici non avviene soltanto in presenza di tubazioni obsole- te ma anche negli appartamenti di più recente costruzione dove sono spesso presenti raccorderie in acciaio nichelato, cromato, ottone, rame, ed altri elementi che possono rilasciare particelle metalliche, soprattutto dopo lunghi periodi di sosta dell’acqua nel circuito idraulico. Questo è il motivo per cui, dopo un periodo relativamente lungo di inutilizzo, alla riapertura dei rubinetti la prima acqua può apparire colorata (giallognola o rossastra). Per la stessa ragione è sempre consi- gliato al mattino far scorrere l’acqua per alcuni secondi prima di utilizzarla.
Un altro gruppo di sostanze che devono essere oggetto di particolare attenzione sono i sotto- prodotti della disinfezione.
Infatti, la disinfezione sistematica dell’acqua potabile, che può essere sicuramente considerata una delle più importanti conquiste della società moderna, genera una serie di sottoprodotti che non possono essere evitati e che, normalmente, vengono mantenuti entro limiti molto bassi che non danneggiano la salute umana, calcolando un consumo d’acqua di due litri al giorno per l’in- tero arco della vita.
Tra i reagenti utilizzati in Italia nell’ambito acquedottistico per la disinfezione, i prodotti a base di cloro sono sicuramente quelli di gran lunga più utilizzati e i sottoprodotti che vengono analiz- zati di routine nell’acqua potabile sono il clorito e i trialometani.
La nuova Direttiva (UE) 2020/2184 introduce il controllo di ulteriori parametri sottoprodotti della disinfezione: il clorato e gli acidi alo-acetici. Lo ione clorato è anche una tipica impurezza dell’ipoclorito di sodio: è dimostrato che soluzioni di ipoclorito di sodio preparate in condizioni non corrette o sottoposte a prolungati stoccaggi possono contenerne elevate quantità. Gli acidi alo-acetici, invece, sono sottoprodotti della disinfezione che si generano dall’interazione del clo- ro, usato tal quale o in forma di ipoclorito o clorammine, con la materia organica naturalmente presente nell’acqua.
Le ricerche scientifiche in continua evoluzione sui possibili contaminanti chimici dell’acqua hanno portato le autorità sanitarie ad introdurre la necessità di controlli su nuovi parametri, co- siddetti “emergenti” in quanto la loro presenza nelle falde idriche è emersa solo di recente. Si tratta delle microplastiche, degli interferenti endocrini e dei prodotti farmaceutici che destano sempre più preoccupazione e per i quali la nuova direttiva ha individuato metodiche di monitoraggio dinamiche e flessibili con l’introduzione di specifici elenchi di controllo.
Per alcuni di questi sono già stati fissati valori limite: il bisfenolo A (BPA), le sostanze perfluo- roalchiliche (PFAS) e la microcistina-LR. Il bisfenolo A, prodotto sin dagli anni ‘60, è una sostan- za chimica molto utilizzata in tutti i paesi industrializzati. È impiegato nella produzione delle plastiche in policarbonato, utilizzate nei recipienti per uso alimentare, e nelle resine epossidiche
che compongono il rivestimento protettivo interno presente nella maggior parte delle lattine per alimenti e bevande. Il BPA è considerato un interferente endocrino, ovvero una sostanza in grado di danneggiare la salute alterando l’equilibrio endocrino, soprattutto nella fase dello sviluppo all’interno dell’utero e nella prima infanzia, per questo motivo dal 2011 ne è vietato l’impiego per la produzione di tettarelle e biberon. Il BPA può passare, in piccole quantità, dai recipienti che lo contengono ai cibi e alle bevande, soprattutto se i materiali non sono perfettamente integri e sono utilizzati ad alte temperature.
Gli PFAS, invece, sono sostanze caratterizzate dalla presenza di una catena alchilica idro- fobica completamente fluorurata nella molecola, generalmente costituita da 4 a 16 atomi di carbonio, e da un gruppo idrofilo. I PFAS costituiscono una numerosa famiglia di sostanze perfluorate, delle quali particolare interesse rivestono i PFOS (acido perfluorooctansulfo- nico) e i PFOA (acido perfluorooctanoico), a causa della loro diffusa applicazione in vari settori industriali, basti pensare alla produzione del “Teflon” e del “Goretex”. La particolare struttura di queste molecole e il forte legame tra fluoro e carbonio le rende assai resistenti al degrado, con un’elevata persistenza ambientale, notevole capacità di bioaccumulo e con effetti tossici sull’uomo di varia natura.
La microcistina-LR è una cianotossina, molto tossica per l’uomo, come anche per tutti gli animali domestici, selvatici e di allevamento, prodotta da alcune alghe, cianobatteri ver- di-azzurri, che possono proliferare soprattutto in acque superficiali. La presenza di questi cianobatteri è in accrescimento nelle nostre fonti, soprattutto nei periodi estivi, probabil- mente influenzata dai cambiamenti climatici e dall’aumento di altre sostanze inquinanti che fungono da nutrienti.
Anche e soprattutto nel caso degli inquinanti emergenti l’adozione dei piani di sicurezza dell’ac- qua, che convergono nella risoluzione dei problemi all’origine, sarà di fondamentale importanza nell’individuare preliminarmente tali sostanze, consentendo di rimuovere le fonti di pressioni.
CAPITOLO 6
Ulteriori elementi di rischio di un edificio
Uso discontinuo
Partendo dal presupposto che gli impianti idrici di un edificio siano stati progettati in maniera corretta e realizzati con materiali idonei, il principale evento che può determinare un rischio di contaminazione dell’acqua è quello del flusso lento, con conseguente ristagno d’acqua, e l’uso discontinuo o intermittente dell’edificio stesso o di una parte di esso. Ne sono un tipico esempio gli istituti scolastici durante le vacanze, o le residenze ad occupazione stagionale, ma anche un piano o un’ala di un albergo utilizzata solo saltuariamente. Inoltre, nella maggior parte degli edi- fici, sono presenti bracci morti, tubazioni molto lunghe e non adeguatamente isolate dal punto di vista termico.
Tutti i segmenti di un impianto idrico in cui ci sia la possibilità di un ristagno o un rallenta- mento del flusso dell’acqua rappresentano i punti di maggiore criticità per i quali è opportuno impostare la valutazione del rischio di contaminazione dell’acqua.
L’uso discontinuo è il fattore che determina maggiormente la formazione di biofilm e gravi colonizzazioni batteriche nelle incrostazioni che si formano sulle pareti degli impianti, nelle tu- bazioni, nelle cisterne di stoccaggio o semplicemente all’interno dei rompigetto e dei soffioni delle docce.
La valutazione del rischio generato dall’uso discontinuo deve tenere presente tutti i fattori che lo caratterizzano, tra cui:
– la durata del fermo dell’impianto con ristagno dell’acqua,
– la temperatura dell’acqua durante il periodo di fermo,
– la tipologia di utilizzo dell’edificio stesso,
– la pressione dell’acqua durante il normale esercizio di distribuzione.
La durata del fermo dell’impianto rappresenta il parametro fondamentale: se in uno stabile normalmente frequentato, il fermo di un fine settimana può essere considerato trascurabile e facilmente risolvibile facendo scorrere l’acqua per alcuni minuti da ogni rubinetto, le strutture ad utilizzo prevalentemente stagionale richiedono sempre, alla riapertura, una sanificazione attenta e completa. La valutazione del rischio per periodi di fermo relativamente brevi prevede, invece la necessità di approfondire tutti i parametri citati, quali temperatura ambientale, pressione d’eser- cizio, condizioni generali di manutenzione, tipologia di utenti, ecc.
Questi fattori devono essere valutati attentamente e in maniera interconnessa l’uno con l’altro: ad esempio, la durata del fermo dell’impianto in un edificio scolastico chiuso durante le vacanze natalizie per un periodo che può essere anche superiore a una quindicina di giorni. Il periodo è abbastanza lungo e potrebbe rappresentare una criticità, ma se le temperature ambientali sono basse e l’immobile molto probabilmente non viene riscaldato, se la pressione di esercizio al mo- mento del ripristino è discretamente alta e costante, il rischio determinato dal fermo è molto basso. Inoltre, gli insegnanti, gli alunni e il personale amministrativo possono essere validamente informati sull’utilizzo dell’acqua nei servizi igienici nei primi giorni di riapertura e possono avere
a disposizione una alternativa per l’acqua potabile. Ma nel caso in cui uno o più fattori di questo esempio non dovesse essere di conforto, la probabilità del rischio potrebbe elevarsi con la necessità da parte del gestore dell’edificio di mettere in atto alcune misure preventive e valutare la neces- sità di un’opportuna sanificazione dell’impianto prima della riapertura. Una identica durata di quindici giorni di fermo di un impianto idrico, ad esempio, in un settore di un impianto sportivo con spogliatoi e docce, in un periodo estivo con alte temperature atmosferiche, in una tipologia di struttura edilizia in cui la rete idrica non è sufficientemente isolata, presenta un livello di rischio decisamente più elevato, per il pericolo di sviluppo di colonie batteriche patogene (Legionella, Pseudomonas, Listeria, ecc.).
Va inoltre segnalato che l’uso discontinuo rappresenta una importante criticità anche per gli impianti di trattamento dell’acqua potabile finalizzati al miglioramento delle caratteristiche or- ganolettiche.
I filtri a carboni attivi sono gli elementi nei quali i vari microrganismi si organizzano più facil- mente in colonie, anche se il trattamento con ioni d’argento limita e rallenta, ma non evita, questo fenomeno. Lo stesso vale per tutte le altre tipologie di filtri, sia meccanici sia con meccanismo di filtrazione a membrana, compresi i sistemi ad osmosi inversa.
Nel caso di mancato utilizzo di queste apparecchiature per un certo periodo di tempo, anche breve, il fenomeno della colonizzazione batterica diventa diffuso all’interno delle sue tubazioni e soprattutto nei tratti post filtrazione in cui l’acqua è stata privata dei residui di disinfettante.
Vanno, pertanto, applicate le procedure di manutenzione, disinfezione e conservazione dell’im- pianto in base a quanto indicato nel manuale di istruzioni fornito dal produttore.
Inoltre, nel caso di acqua fornita al pubblico, è necessario effettuare il prelievo di campioni di acqua prima di rimettere in esercizio il sistema al fine di convalidare l’efficacia del processo di disinfezione.
Altri fattori di rischio
Quando gli edifici sono di grandi dimensioni, i sistemi idrici possono essere molto complessi con molteplici ramificazioni: possono essere presenti cisterne di stoccaggio, utilizzate per man- tenere la pressione costante all’interno dell’edificio (quasi sempre installate nei sottotetti dove la temperatura può aumentare notevolmente) oppure sistemi antincendio che tendono a provocare un ristagno e a sviluppare biofilm. Idealmente i sistemi antincendio dovrebbero essere dotati di connessioni separate dai sistemi idrici esterni di rete, ma dove questo non fosse possibile, devono essere installati opportuni dispositivi di prevenzione del riflusso.
Altri dispositivi di prevenzione del riflusso devono essere obbligatoriamente installati prima di ogni apparecchiatura che utilizza acqua, come ad esempio, addolcitori, torri di raffreddamento, caldaie, lavastoviglie, lavatrici, e i dispositivi domestici di miglioramento delle caratteristiche or- ganolettiche installati al punto d’uso. Per questi ultimi dispositivi, anche se installati all’interno di una zona di proprietà privata, il gestore dell’edificio, o l’amministratore del condominio, deve esserne informato ed avere tutte le indicazioni tecniche relative alle interconnessioni idrauliche che sono state realizzate.
CAPITOLO 7
Come predisporre una valutazione dei rischi di un impianto idrico di un edificio La valutazione dei rischi è, per definizione, il processo per la stima di tutti i fattori significativi che intervengono in uno scenario di esposizione causato dalla presenza di pericoli e dalla proba-
bilità che gli stessi si manifestino in termini potenzialmente dannosi.
Per un ottimale valutazione dei rischi è importante che i pericoli e gli eventi correlati siano specificamente identificati per i singoli edifici in esame. In questo contesto:
– pericolo è un agente biologico, chimico, fisico che ha la potenzialità di provocare danni;
– evento pericoloso è un incidente o una situazione che può portare ad un rischio (quello che può accadere e come);
– rischio è la probabilità di identificazione di pericoli che causano danni agli utenti esposti in un arco di tempo specifico, compresa l’entità del danno e/o le conseguenze.
Si tratta quindi di un processo complesso e multidisciplinare per il quale è opportuno orga- nizzare piccoli gruppi di lavoro che includano figure professionali esperte dei singoli argomenti.
Descrizione del sistema
Una valutazione efficace dei pericoli potenziali per la salute e dei rischi richiede una buona descrizione e documentazione della struttura del sistema idrico dell’edificio (ad esempio: architet- tura, idraulica, materiali, ubicazione degli impianti e delle attrezzature, collegamento a dispositivi che utilizzano acqua, ecc.) e le condizioni di funzionamento previste. I piani di costruzione e ogni altra documentazione disponibile relativa alle infrastrutture dell’edificio costituiscono una buo- na base per la descrizione del sistema. Un disegno di alto livello, degli schemi di flusso semplici aiuteranno a cogliere i vari elementi del sistema idrico dell’edificio e contribuiranno a individuare pericoli, rischi e controlli. La documentazione esistente e lo schema di flusso devono essere verifi- cati tramite un esame in situ per confermare che essi siano aggiornati e corretti.
Questa è una delle fasi più laboriose perché, nella maggior parte dei casi, non sono disponibili schemi, mappe o planimetrie, né dell’impianto originale né delle eventuali modifiche intervenute nel tempo, anche in seguito a riparazioni. Spesso questi interventi sono effettuati, in aree di pro- prietà privata, dai singoli proprietari nell’ambito della propria legittima autonomia, e non ne viene data comunicazione al curatore dell’edificio stesso, per ignoranza del fatto che gli interventi stessi potrebbero causare variazioni di funzionalità dell’impianto globale.
Anche alla luce di questo comportamento molto comune, nell’ambito delle normali attività di gestione di un edificio, così come di amministrazione di un condominio, potranno essere avviate campagne di informazione e sensibilizzazione sul tema della qualità dell’acqua distribuita e della conseguente necessità di collaborazione per la migliore gestione degli aspetti igienico sanitari degli impianti idrici.
Nei casi in cui non siano disponibili le planimetrie degli impianti dovranno essere elaborati degli schemi ipotetici, cioè basati sulle sezioni ispezionabili dell’impianto ipotizzando le parti che risultano interrate o inglobate nelle opere murarie dell’edificio.
È importante dettagliare il più possibile la mappatura dell’impianto idrico e in particolare:
– il punto di ingresso all’edificio e gli eventuali trattamenti installati presso il punto di
entrata (ad esempio: cloratori, filtri, addolcitori d’acqua, carbone attivo), ivi compresa la selezione, la conservazione, l’utilizzo e il controllo dei prodotti chimici;
– possibili approvvigionamenti non provenienti da rete municipale (pozzi o sorgenti private) e i dispositivi di trattamenti associati;
– i serbatoi di stoccaggio dell’acqua tenendo conto delle dimensioni in relazione alle esigenze di affiusso e di utilizzo (flussi totali e di picco) all’interno dell’edificio, con attenta osservazione dello stato di conservazione e dell’integrità e dell’isolamento dei serbatoi stessi;
– i punti di fornitura, inclusi gli impianti di connessione alle apparecchiature (per questi dovranno essere indicate le istallazioni di sistemi anti-riflusso);
– le valvole anti-sifonamento o altri sistemi con la medesima funzione;
– i tubi in rame;
– i tubi morti;
– le aree con uso discontinuo o stagionale;
– i materiali utilizzati per le tubazioni e per gli altri componenti;
– ricerca di eventuali collegamenti tra sistemi di acqua potabile e non potabile;
– l’identificazione delle tubazioni referenti a diversi sistemi idrici (acqua potabile, acqua reflua, acque piovane, ecc.);
– i dispositivi per il riscaldamento e la distribuzione dell’acqua calda;
– la temperatura e l’isolamento termico delle condutture;
– l’accesso per la manutenzione e la sanificazione.
Tutte le informazioni disponibili andranno a costruire la descrizione fisica del sistema idraulico che dovrà successivamente essere completato con l’indicazione dei materiali che compongono tutto il sistema e dello stato di integrità dei vari tratti e di tutti i singoli componenti.
Qualità dell’acqua
Nell’elaborazione del documento di descrizione del sistema, dovranno essere inserite le infor- mazioni relative alla natura e qualità dell’acqua fornita fino all’identificazione di tutti i punti d’uso (rubinetti e bocchette di uscita) attraverso le indicazioni degli utenti dell’edificio.
È indispensabile richiedere al gestore del servizio idrico municipale i referti analitici secondo le indicazioni di legge (il D.lgs. 31/2001) e verificare periodicamente la qualità dell’acqua al rubinet- to scegliendo punti il più possibile significativi della rete interna. Solo dallo studio del confronto dei due referti è possibile comprendere l’effettivo rischio, sia esso di origine microbiologica che chimica. Nel caso siano utilizzate acque provenienti anche da altre forme di approvvigionamento, per esempio pozzi o sorgenti private, deve essere implementato un sistema di analisi periodica in accordo con le autorità sanitarie locali e in funzione dell’uso specifico che ne viene fatto.
Funzionalità dell’impianto
Una buona conoscenza delle reti idriche necessita, infatti, dell’acquisizione di informazioni sull’uso che si fa dell’acqua all’interno dell’edificio. Dovrebbero essere stabiliti tutti gli usi dell’ac- qua (previsti ed effettivi), nonché i requisiti per diversi gruppi di utenti all’interno di un edificio
in relazione alle singole differenti destinazioni d’uso dei locali che fanno parte dell’edificio (ad esempio se sono presenti, oltre alle comuni abitazioni, anche locali destinati ad attività aperte al pubblico – bar, ristoranti, studi professionali, bed & breakfast, ecc.).
Nel caso siano disponibili diverse fonti di approvvigionamento di qualità differente è opportu- no indicare con chiarezza gli usi specifici a cui quest’acqua è destinata (torri di raffreddamento, piscine, impianti antincendio, irrigazione giardini, ecc.). Le reti di acqua di diversa qualità devono essere tenute separate ed etichettate chiaramente: deve essere assicurato che non se ne possa fare un uso improprio o che sia allacciata alla rete d’acqua potabile.
Altri aspetti vanno a completare la globalità delle conoscenze del sistema:
La pressione
Le reti di distribuzione dell’acqua sono in genere progettate per fornire acqua con una pressione sufficiente e un flusso simile a tutti i rubinetti, anche nei piani alti o in punti molto distanti dell’e- dificio, evitando cadute di flusso e ristagni. Al fine di mantenere la corretta pressione vengono spesso istallate pompe di rilancio o altri dispositivi similari. La non corretta manutenzione di tali dispositivi può causare depressione a monte dell’impianto, con rischio di riflusso dai sistemi installati al punto d’uso, oppure fenomeni di sifonaggio negli edifici adiacenti.
La temperatura
La temperatura dell’acqua distribuita dovrà essere sempre al di sotto dei 20 °C per l’acqua xxxx- da e al di sopra dei 50°C per la calda, per prevenire la colonizzazione da Legionella. Per ridurre il rischio di ustioni spesso vengono montati dispositivi per l’abbassamento della temperatura ma questi devono essere posizionati vicino al punto d’uso.
Per l’efficientamento dell’intero sistema, limitando il consumo energetico, possono essere ne- cessari interventi di isolamento delle reti sottoponendo anche i sistemi di isolamento a ispezione periodica e manutenzione.
Altre reti idriche
Gli edifici generalmente includono anche una rete di acque reflue e possono includere altre reti per la distribuzione di altri tipi di acque (ad esempio, acqua piovana, acqua per dispositivi antincendio, acque grigie, acqua di riuso). Tutte le reti devono essere identificate ed etichettate chiaramente.
Valutazione dei rischi
La valutazione dei rischi rappresenta il processo sistematico per la stima di tutti i fattori si- gnificativi che intervengono in uno scenario di esposizione causato dalla presenza di pericoli e dalla probabilità che gli stessi si manifestino in termini potenzialmente dannosi. Il rischio (R) può essere quindi definito come il prodotto tra il livello di gravità (L) associato ad un evento e la probabilità (P) che lo stesso si manifesti:
R = L x P
R = Rischio
L = Livello di gravità
P = Probabilità di accadimento
Pertanto, dopo avere raccolto tutte le informazioni sull’impianto idrico e aver valutato le singole criticità, è possibile analizzarle una ad una, determinando la probabilità che accadano degli even- ti pericolosi e la gravità dell’accadimento.
A ciascuna categoria di probabilità e gravità deve essere associata un’interpretazione numerica, definendo a priori il numero di categorie (di solito 4 o 5) e la sua significatività nell’applicazione alla valutazione del rischio sito specifica.
Si riporta un esempio di definizione delle categorie di probabilità e gravità:
PROBABILITÀ ACCADIMENTO | DEFINIZIONE | GRAVITÀ ACCADIMENTO | DEFINIZIONE |
1 | IMPROBABILE | 1 | LIEVE |
2 | RARO | 2 | MEDIO |
3 | POCO PROBABILE | 3 | GRAVE |
4 | PROBABILE | 4 | GRAVISSIMO |
5 | MOLTO PROBABILE | - | - |
Categorie di probabilità:
- IMPROBABILE = zero volte in cinque anni
- RARO = una volta in cinque anni
- POCO PROBABILE = una volta all’anno
- PROBABILE = una volta al mese
- MOLTO PROBABILE = una volta a settimana o più
Categorie di gravità:
- LIEVE = nessun impatto sulla salute o non rilevabile
- MEDIO = potenzialmente pericoloso per i gruppi sensibili (esempio pazienti immunocompromessi, bambini e anziani), in seguito ad esposizione cronica.
- GRAVE = potenzialmente pericoloso per tutte le persone che usano l’edificio in seguito ad esposizione acuta
- GRAVISSIMO = potenzialmente letale per tutte le persone che usano
l’edificio, inclusi i gruppi sensibili, in seguito ad esposizione acuta.
Incrociando le due scale si ottiene il calcolo del livello di rischio, secondo la tabella comunemen- te accettata, che si riporta di seguito in versione semplificata.
Ai singoli livelli di rischio dovranno corrispondere le azioni da intraprendere.
Le azioni correttive, che costituiscono la fase di “gestione del rischio”, rappresentano il risultato della valutazione ed è sito-specifica. Infatti, gli eventi pericolosi, di cui si è parlato nei capitoli precedenti, e la probabilità che si verifichino in un impianto possono essere identificati ed elabo- rati anche in fase pianificazione e progettazione. Invece, per la valutazione del livello di gravità è necessario tener presente del numero delle persone esposte, della loro vulnerabilità, della tipologia e del tempo di esposizione. Il risultante livello di rischio metterà in evidenza i rischi inaccettabili per i quali è indispensabile dare priorità di intervento con l’opportuna azione correttiva per quello specifico impianto.
L’esito della valutazione del rischio è un piano d’azione che documenta le misure di controllo necessarie, addizionali o correttive, inclusi i limiti di tempo e le responsabilità per la loro attua- zione.
Si riporta di seguito un esempio di valutazione del rischio di un sistema idrico presente in una scuola con 600 alunni. L’edificio comprende anche una palestra con due bagni con doccia (40 docce in totale) e vengono riscontrati i seguenti problemi:
– Un tubo di distribuzione all’interno dell’edificio è di piombo. Questo tubo fornisce acqua a tre bagni e ad una piccola cucina.
– È stata trovata una piccola perdita in un tubo nello scantinato.
– L’acqua calda è fornita da un sistema centralizzato posto nell’edificio principale tarato ad una temperatura di 60°C. Non c’è circolazione ad anello. I tubi per l’acqua calda delle docce della palestra non sono stati isolati correttamente. I tubi dell’acqua fredda sono vicini ai tubi dell’acqua calda.
La valutazione del rischio viene predisposta indicando per ciascun tipo di “pericolo” il livello di probabilità e di gravità ottenendo i seguenti risultati:
Pericolo 1 – Contaminazione chimica da piombo
La probabilità che i bambini ogni giorno bevano acqua contaminata da piombo è MOLTO PRO- BABILE = 5, mentre la gravità può essere definita MEDIA = 2. Il rischio risultante è pertanto = 10, cioè medio ma che necessita di misure correttive. In questo caso è stata fatta una segnalazione agli insegnanti e agli alunni che l’acqua può essere bevuta solo da alcuni rubinetti e sono stati contrassegnati i rubinetti da cui esce acqua contaminata da piombo, in attesa della sostituzione di tutte le tubazioni in piombo.
Pericolo 2 – Tubazione vetusta e fessurata
La probabilità che tale fessura comporti una contaminazione chimica o microbiologica è stata considerata IMPROBABILE = 1, e la gravità MEDIA = 2. Il rischio risultante è = 2. Al momento non si intraprendono azioni e si controlla nel tempo.
Pericolo 3 – Temperatura dell’acqua delle docce <48°C con rischio di crescita microbica ed in particolare di Legionella.
La probabilità è alta e definita come MOLTO PROBABILE = 5 mentre la gravità di un eventuale episodio è sicuramente da catalogarsi come GRAVE = 3 con un rischio risultante di 15, cioè elevato e che necessita di interventi immediati ed investimenti economici. In questo caso nell’immediato sono state chiuse le docce e successivamente è stato installato un sistema di circolazione dell’acqua calda, controllato termostaticamente, con idonee misure di isolamento dell’acqua fredda.
ALLEGATO 1
Legionella
In questi ultimi anni i casi di legionellosi accertati sono molto aumentati e questo ha fatto sì che l’attenzione verso questo batterio si sia moltiplicata e siano stati pubblicati vari documenti sulle modalità di prevenzione della contaminazione e, più in generale, sui rischi legati alla sua presenza in acqua. Per districarsi tra i vari testi, come punto di riferimento, è indispensabile partire dalle “Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi”10, pubblicate dal Ministero della salute nel 2015, con tutte le indicazioni necessarie incluse quelle per la corretta applicazione delle disposizioni di cui al Decreto legislativo 81/2008, noto come “Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”. Infatti, questo decreto legislativo impone al da- tore di lavoro di esercitare tutte le misure di sicurezza appropriate al fine di prevenire il possibile contagio in quanto la Legionella è inserita tra gli “agenti biologici patogeni che possono produrre malattie su lavoratori sani in qualsiasi ambiente lavorativo”. Questo vuol dire che, nei confronti di tali microrganismi, è obbligatorio mettere in pratica la più completa attività di prevenzione per ogni singolo e specifico ambiente in quanto il rischio di contagio è indipendente dalla pregressa sorveglianza sanitaria e da eventuali condizioni preesistenti dei lavoratori. Pertanto, il responsa- bile della conduzione di una qualsiasi struttura nella quale vengano svolte attività lavorative ha l’obbligo di applicare un corretto protocollo di controllo del rischio legionellosi.
Le medesime linee guida entrano nel dettaglio e danno tutti i riferimenti necessari per la strut- turazione di opportuni documenti di valutazione del rischio per le strutture turistico-recettive, per gli stabilimenti termali e per le strutture sanitarie, indicando anche la periodicità, i controlli, la gestione e la comunicazione del rischio.
La direttiva 2020/2184 ha inserito il parametro Legionella, con un valore di parametro <1000 CFU/l, nell’Allegato I parte D, insieme al piombo, come parametri pertinenti per la valutazione del rischio dei sistemi di distribuzione domestici, disciplinando così con quali strumenti attuare l’applicazione del recepimento dell’articolato. Infatti, la direttiva, sulla base della considerazione che introdurre un obbligo unilaterale di monitorare tutti i locali pubblici e privati per rilevare la presenza di tale patogeno comporterebbe costi eccessivi e irragionevoli, definisce la valutazione del rischio la metodica più indicata per affrontare il problema, con una gestione “proporzionata al rischio” e distinguendo tra strutture “prioritarie” e no.
Con le Linee Guida per la valutazione e gestione del rischio per la sicurezza dell’acqua nei sistemi di distribuzione interni degli edifici prioritari e non prioritari e in talune imbarcazioni ai sensi della direttiva (UE) 2020/2184, vengono fornite tutte le indicazioni per la corretta individuazione delle tipologie di strutture alle quali applicare le metodiche di valutazione del rischio adeguatamente proporzionate all’effettiva probabilità di contagio. Le linee guida del 2015 indicavano come ob- bligatorie per la prevenzione della legionellosi solo le strutture sanitarie, le turistico-ricettive e gli stabilimenti termali, mentre la direttiva 2020/2184 suggerisce l’inserimento delle scuole, delle strutture per l’infanzia, i ristoranti, bar, i centri sportivi e commerciali, le strutture per il tempo li- bero, ricreative ed espositive, gli istituti penitenziari e campeggi. La direttiva pone anche l’accento sulla necessità di incoraggiare i proprietari di locali pubblici e privati a effettuare una valutazione
10 “Linee guida per il controllo e la prevenzione della legionellosi” Atto conferenza Stato Regioni n. 79/2015.
del rischio del sistema di distribuzione domestico e di informare i consumatori in merito alle misure volte a eliminare o ridurre il rischio di non conformità alle norme di qualità delle acque destinate al consumo umano a causa del sistema di distribuzione domestico.
Per quanto riguarda i condominii, non c’è, e presumibilmente non ci sarà nel prossimo futuro, alcun obbligo riguardo alla Legionella, se non ché l’amministratore, che ha l’obbligo e la responsa- bilità di monitorare lo stato degli impianti idrici ed eventualmente agire in caso di necessità, deve tenere sotto controllo quelle condizioni che possono essere favorevoli alla proliferazione della Legionella, ed in particolare:
– la temperatura dell’acqua tra i 20 e i 50 °C,
– le condizioni di stagnazione dell’acqua,
– eventuali tubature vetuste,
– la presenza di sporco, incrostazioni e sedimenti che favoriscono la crescita di biofilm con la proliferazione di colonie batteriche.
In presenza di uno o più dei suddetti fattori, anche l’amministratore di condominio ha l’obbligo di verificare che lo stato di adeguatezza e manutenzione dell’impianto non incida sulla salubrità dell’acqua erogata dai rubinetti domestici dei singoli appartamenti. È importante ricordare che la Legionella non compromette la potabilità di un’acqua e quindi non è richiesta l’assenza di tale batterio.
In caso di dubbio l’amministratore è tenuto, e legittimato, a richiedere al gestore del servizio idrico informazioni circa la qualità dell’acqua fornita al contatore di ingresso dell’edificio e a ri- chiedere un controllo approfondito da parte dell’autorità sanitaria competente.
Detto questo, il presente documento vuole riassumere molto brevemente e semplificare quanto riportato nelle linee guida di attuazione del D.lgs. 81/2008, alle quali si rinvia per gli approfondi- menti tecnici, in attesa del recepimento della direttiva 2020/2184, cercando di evidenziare tutte quelle indicazioni che possono essere significative per strutturare una corretta valutazione del rischio in un edificio non prioritario.
Aspetti generali
Le legionelle sono batteri gram-negativi presenti negli ambienti acquatici naturali e artificiali: acque sorgive, comprese quelle termali, fiumi, laghi, fanghi, ecc. Da questi ambienti esse rag- giungono quelli artificiali come condotte cittadine e impianti idrici degli edifici, quali serbatoi, tubature, fontane e piscine, che possono agire come amplificatori e disseminatori del microrgani- smo, creando una potenziale situazione di rischio per la salute umana. Le patologie che derivano dall’infezione con questi batteri sono chiamate legionellosi, hanno diverse forme di morbosità di cui la più grave è la polmonite da Legionella pneumophila, che ha un elevato grado di mortalità.
L’OMS rileva che, nell’Unione Europea, di tutti gli agenti patogeni presenti nell’acqua, i batteri della Legionella causano il maggiore onere sotto il profilo sanitario. L’uomo contrae l’infezione attraverso aerosol, cioè quando inala acqua in piccole goccioline (1-5 micron) contaminata da una sufficiente quantità di batteri. Solo raramente sono stati segnalati contagi per aspirazione. Si tratta come detto di un rischio chiaramente collegato anche al sistema di distribuzione domestico.
Ogni anno viene pubblicato, da parte del ECDC- il Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie - un rapporto annuale sull’incidenza della legionellosi basato sul sistema
di sorveglianza degli Stati membri dell’Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo da cui vengono tratti i dati riportati in Tabella 1.
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Tabella 1. Distribuzione dei casi di legionellosi e rateo per 100.000 abitanti nei paesi dell’UE dal 2015 1l 2019.
Come si può vedere l’Italia ha il più alto numero di casi notificati nel 2019, con 3143 casi, di cui il 7% mortali. Si tratta per il 70 % di maschi, con un’età superiore ai 65 anni, per lo più viaggiatori ed che hanno contratto l’infezione in comunità turistico alberghiere prevalentemente nei mesi di giugno, luglio e agosto.
Dal grafico, disponibile sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità, il numero assoluto di casi se- gnalati in Italia segue un andamento molto preoccupante e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie fa notare che probabilmente questa crescita così marcata negli anni può essere attribuita al miglioramento degli strumenti diagnostici disponibili e alla maggiore sensi- bilità dei clinici nei confronti della malattia, ma la causa principale è sicuramente l’aumento delle occasioni di esposizione dovute all’aumento del turismo.
Fig.2: Numero di casi e tasso di incidenza della legionellosi in Italia dal 1997 al 2018
Essendo il microrganismo ubiquitario, la malattia può manifestarsi con epidemie dovute ad un’unica fonte, con esposizione limitata nel tempo e nello spazio, oppure con una serie di casi indipendenti in un’area ad alta endemia o con casi sporadici senza un evidente raggruppamento temporale o geografico. Focolai epidemici si sono ripetutamente verificati in ambienti collettivi a residenza temporanea, come ospedali o alberghi, navi da crociera, esposizioni commerciali, ecc. I casi di polmonite da Legionella pneumophila di origine comunitaria si manifestano preva- lentemente nei mesi estivo-autunnali, mentre quelli di origine nosocomiale non presentano una particolare stagionalità. Non sono ancora noti tanti aspetti importanti su questo batterio e sulla sua capacità di infettare individui sani, come ad es. la dose infettante o la diversa virulenza delle varie specie o la capacità di mantenere una discreta virulenza dopo l’essiccamento. Normalmente l’infezione viene acquisita per via respiratoria per inalazione di goccioline d’acqua che, più sono piccole, di diametro inferiore a 5 micron, più arrivano facilmente alle basse vie respiratorie.
Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, nell’ultimo rapporto epide- miologico annuale per il 2019 per la legionellosi, pubblica anche la mappa della distribuzione del numero di casi di accertati di malattia associati a soggiorni turistici. Come si vede l’Italia detiene il non invidiabile primato (Fig.3).
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Fig.3: Distribuzione del numero di casi accertati di legionellosi associati a soggiorni turistici
Legionella e COVID-19
Alcuni autori hanno evidenziato che il 20% dei pazienti COVID-19 avevano presumibilmente contratto una co-infezione da Legionella pneumophila avendo un titolo di anticorpi specifici IgM anti-Legionella positivo.11 Anche se questa evidenza non è stata ancora compresa completamente, in occasione della pandemia di COVID-19, sono stati redatti nuovi documenti ad integrazione delle misure routinarie di prevenzione e controllo per contenere la proliferazione di Legionella negli impianti indicati nelle linee guida nazionali. In particolare, l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato, il 3 maggio 2020, il Rapporto 21/202012 in cui, tra l’altro, si annota che gli specifici obblighi in materia di prevenzione e controllo della legionellosi si possono inquadrare nella più generale valutazione e gestione dell’acqua negli edifici in accordo con i dettami del DM 14 giugno 2017.
Questo documento è dedicato principalmente agli edifici, o parti di essi, che, per effetto dei provvedimenti normativi recanti misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da CO- VID-19, hanno avuto una chiusura o una drastica riduzione della frequenza che, se non gestita in modo adeguato, può aumentare il rischio di crescita di Legionella negli impianti idrici e nei dispositivi associati. Sebbene sia rivolta principalmente ad alberghi, campeggi, e altre strutture recettive (rientranti nel codice ATECO 55), questa guida è rilevante per tutti gli edifici ad uso
11 ESCMID: ESGLI Study Group for Legionella Infections.
12 Rapporto ISS covid-19 – n.21/2020 Guida per la prevenzione della contaminazione da Legionella negli impianti idrici di strutture turistico recettive, e altri edifici ad uso civile e industriale non utilizzati durante la pandemia COVID-19.
civile e industriale, quali ad esempio luoghi di lavoro, scuole università, strutture per l’infanzia, istituti scolastici, attività di ristorazione − fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, mense, centri sportivi e commerciali, ecc. − con sistemi idrici similari, in cui per effetto delle disposizioni attinenti il “lockdown” si sono verificate condizioni di stagnazione prolungate di acque nelle reti di distribuzione interna.
Il Rapporto ISS 21/2020 fornisce tutte le indicazioni operative dettagliate che devono essere messe in atto al momento della riapertura di un edificio a ospiti, visitatori e personale, ricordando i punti chiave del rischio di contaminazione da Legionella, e tutte le azioni da intraprendere per attuare un controllo straordinario degli impianti nonché la tenuta del registro di manutenzione e la descrizione delle azioni correttive adottate che dovranno essere disponibili un’eventuale ispe- zione, completi di data e firma di chi ha espletato tali attività.
Protocollo di controllo del rischio
Le linee guida del 2015 dedicano grande spazio al “Protocollo di Controllo del Rischio legio- nellosi”, affidato ai direttori responsabili e i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei siti civili, industriali, produttivi e le loro associazioni di categoria. Il Protocollo è diviso in tre fasi sequenziali, e correlate tra loro, di: valutazione, gestione e comunicazione del rischio e le linee guida indicano specifici protocolli di controllo per le tipologie di edifici maggiormente a rischio, quali le strutture turistico-recettive, gli stabilimenti termali e le strutture sanitarie. Per questi settori vengono date tutte le informazio- ni necessarie allo sviluppo del protocollo adeguato, in linea con le richieste normative (fase 1 e 2 del D.lgs. 81/2008) sia per la fase valutativa di individuazione delle condizioni che possono incide- re sulla potenziale presenza di Legionella e la conseguente probabilità di provocare un’infezione, sia con l’indicazione di tutti gli interventi per rimuovere o contenere le criticità, nonché le azioni di informazione a tutti i soggetti interessati dal rischio potenziale.
La complessità del sistema per rilevare la presenza di Legionella nelle tipologie di edifici indivi- duati dalla normativa, rende impraticabile la sua applicazione su tutti i locali pubblici e privati, ma certamente la conoscenza dei principi su cui si basa il sistema è fondamentale per un approccio corretto al problema.
In allegato alle linee guida viene fornita una lista di controlli da utilizzare, da parte degli organi di vigilanza pubblici, durante le attività ispettive per la verifica della valutazione del rischio legio- nellosi. Tale lista può essere utilizzata come base preliminare di stima del rischio, sulla cui traccia il responsabile della struttura potrà redigere la sua valutazione completa.
Le linee guida fissano la periodicità per la suddetta valutazione di: almeno ogni due anni (ma preferibilmente ogni anno) per le strutture recettive turistico-alberghiere e ogni anno per le strut- ture termali e sanitarie. Viene anche indicata l’opportunità di una revisione della documentazio- ne di valutazione del rischio Legionella ogni volta ci sia motivo di considerare che la situazione possa essersi modificata (ad esempio per lavori di ristrutturazione o rifacimento di parti d’im- pianto). Per le strutture a funzionamento stagionale, viene richiesto che il campionamento sia sempre effettuato prima della loro riapertura, e particolare attenzione viene data per le vasche idromassaggio per le quali viene indicata una frequenza di controllo di 3 mesi per la Legionella ed un programma mensile di controllo microbiologico per conta aerobica totale, coliformi, E. coli e Pseudomonas aeruginosa, effettuando tamponi di biofilm all’interno dei getti e delle tubazioni. Anche per le modalità di campionamento le linee guida riportano, in allegato, una serie di do-
cumenti che descrivono i vari protocolli operativi e le relative modalità, indicando di effettuare i prelievi, per l’acqua calda sanitaria alla mandata (oppure al rubinetto più vicino al serbatoio), al ricircolo, al fondo del serbatoio e almeno in 3 punti rappresentativi, scegliendo i più lontani nella distribuzione idrica e i più freddi; mentre per l’acqua fredda, al fondo del serbatoio e almeno in 2 punti rappresentativi, ovvero il più lontano nella distribuzione ed il più caldo.
Prevenzione e controllo della contaminazione da Legionella
La prevenzione delle infezioni da Legionella si basa essenzialmente sulla corretta progettazione e realizzazione degli impianti idrici e sulla loro corretta manutenzione, per quanto tali misure non garantiscano che un sistema o un suo componente siano privi di Legionella, esse contribuiscono a diminuire la probabilità di una contaminazione batterica grave.
Le linee guida richiamano le principali indicazioni sulle caratteristiche degli impianti, i mate- riali con i quali sono realizzati, le modalità d’esercizio e manutenzione, nonché tutte le indica- zioni per un corretto trattamento di disinfezione che potrà essere adottato, singolarmente o in combinazione, previa valutazione del singolo sistema idrico. Ciascun trattamento descritto nelle linee guida presenta limitazioni nell’uso e nell’efficacia ed è pertanto necessario valutare le ca- ratteristiche dell’impianto, la presenza di biofilm e di depositi di calcare, i materiali di cui è fatto l’impianto ed il livello di corrosione, eventuali aree di ristagno, le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua (quali ad esempio il pH, la durezza, la temperatura). Eventuali nuove tecniche o mo- dalità di disinfezione non indicate nelle linee guida dovranno essere compatibili con i criteri di potabilità dell’acqua e sottoposte alla valutazione del Ministero della salute.
È buona prassi, inoltre, fare sempre riferimento alle norme tecniche di settore ed in par- ticolare la UNI CEN/TR 16355.
Microfiltrazione
La microfiltrazione consente la rimozione di Legionella dall’acqua in uscita al punto di utilizzo mediante l’impiego di una barriera meccanica (0,2 μm). È un sistema di trattamento localizzato, facile da installare, basato sull’impiego di filtri che devono essere sostituiti con regolarità a causa del progressivo intasamento. Trova applicazione, in particolar modo, nei reparti dove sono ricove- rati pazienti ad elevato rischio in associazione con altri trattamenti (solitamente biossido di cloro).
Trattamento termico
Numerosi studi hanno dimostrato che negli impianti, ove l’acqua è costantemente mantenuta a temperature comprese tra 50 e 55°C, viene inibita la proliferazione di Legionella. Per il tratta- mento di disinfezione si utilizzano due approcci: lo shock termico e la disinfezione termica. Nelle linee guida vengono descritte in dettaglio le procedure operative e ne vengono indicati vantaggi e svantaggi in funzione della tipologia di impianto da trattare che a volte rendono impraticabili tali procedure.
Clorazione
Il cloro è un agente ossidante utilizzato con successo nel controllo igienico sanitario delle ac- que potabili. L’inattivazione e la soppressione di L. pneumophila richiedono una con- centrazione costante compresa tra 1 e 3 mg/L.
Come per il trattamento termico, anche con la clorazione si può optare per un trattamento shock o un’iperclorazione continua da preferire in base allee proprietà chimiche e fisiche dell’ac-
qua e alle caratteristiche strutturali dell’impianto. Tali procedure implicano un conseguente au- mento della concentrazione del cloro residuo e dei potenziali sottoprodotti di disinfezione.
Biossido di cloro
Il biossido di cloro è stato utilizzato con successo in acquedottistica e successivamente applicato nel controllo della contaminazione da Legionella negli impianti per la produzione di acqua sanitaria. Rispetto al cloro ha il vantaggio di essere più attivo nei confronti del biofilm. Mostra una diversa efficacia in funzione dei materiali impiegati nella rete di distribuzione (maggiore su gomma rispetto alla plastica, mentre non sembra impiegabile in presenza di tubazioni in rame). Le linee guida indicano le diverse procedure operative specificando le concen- trazioni ed i tempi di contatto necessari.
Irraggiamento UV
È un metodo alternativo di disinfezione efficace in quanto la luce ultravioletta a 254 nm è in grado di inattivare i batteri, non altera il sapore o altre caratteristiche igienico sanitarie dell’acqua e, ad oggi, non è stata riscontrata alcuna formazione di sottoprodotti. Il suo limite principale è che la sua efficacia è limitata a piccole portate (in genere il filetto fluido non deve superare i 3 cm) e deve essere installato in prossimità del punto di utilizzo.
Disinfezione con perossido di idrogeno e ioni argento
Il trattamento viene effettuato tramite una soluzione stabile e concentrata contenente perossido di idrogeno (acqua ossigenata) e ioni argento, sfruttando l’azione battericida di ciascun compo- nente e la sinergia che tra di loro si sviluppa (effetto catalitico dello ione argento). L’azione ossidan- te del perossido di idrogeno è meno aggressiva di quella esercitata dal biossido di cloro o dal cloro e, ad oggi, non è stata segnalata la formazione di sottoprodotti inorganici ed organici. Inoltre, la concentrazione di ioni argento è estremamente modesta e se ben gestita non determina carichi inquinanti.
Altri disinfettanti utilizzati
Le linee guida declinano nel dettaglio le informazioni disponibili per procedure di disinfezione eseguite utilizzando altri prodotti, ed in particolare:
– ozono generato in situ,
– acido peracetico,
– monoclorammina,
– ioni rame e argento,
per i quali sono evidenziati vantaggi e svantaggi e la necessità di conferme sperimentali che si stanno via via elaborando.
ALLEGATO 2
Pulizia dei serbatoi dell’acqua potabile
Per quanto riguarda i serbatoi di accumulo dell’acqua potabile si precisa che non esiste una do- cumentazione ufficiale che riporti indicazioni uniformi in merito ai controlli e alle procedure di manutenzione necessari per garantire un livello igienico adeguato.
Esistono svariate indicazioni per la pulizia dei serbatoi, fornite da ditte specializzate che opera- no nel settore delle sanificazioni, dai produttori di prodotti chimici disinfettanti, ma anche dalle ASL territoriali.
Informazioni sulla disinfezione dei sistemi di distribuzione dell’acqua sono presenti nella nor- ma UNI EN 805 “Requisiti per sistemi di approvvigionamento acque” e nelle “Linee Guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi” elaborate dal Ministero della Salute nel 2015.
Sicuramente il materiale con cui è realizzato il serbatoio deve essere idoneo al contatto con l’acqua potabile, in conformità al DM 174/04, inoltre, a prescindere da inconvenienti igienico sanitari, il serbatoio deve essere periodicamente ispezionato ed eventualmente sottoposto a svuo- tamento e lavaggio con opportuni disinfettanti.
I serbatoi di raccolta dell’acqua potabile tendono ad accumulare nel tempo depositi di materiale sedimentabile e a formare biofilm che può compromettere la salubrità dell’acqua distribuita; per questo motivo è necessario programmare una serie di manutenzioni periodiche atte alla rimozio- ne delle eventuali impurità.
L’ispezione e l’eventuale sanificazione dei serbatoi per l’acqua potabile, siano essi ad uso privato (abitazione) o ad uso collettivo (condominio), dovrebbe essere effettuata con cadenza annuale, e sicuramente ogni volta che si presentano le condizioni che possono rappresentare un potenziale pericolo di contaminazione, come ad esempio interventi sulla rete idrica interna all’edificio.
La frequenza annuale non va interpretata come un imperativo di legge, ma come un’indicazione di buona prassi igienica relativamente alla valutazione dei rischi della rete idrica interna di un edificio.
La sanificazione delle cisterne d’acqua è un’operazione di primaria importanza nel contrasto alla proliferazione della carica batterica, ed in particolare della Legionella, nell’acqua destinata al consumo umano.
Gli accumuli d’acqua, infatti, se non manutenuti con attenzione, possono diventare l’habitat ideale dove gli agenti patogeni possono svilupparsi.
Particolarmente critici sono gli accumuli d’acqua esposti all’irraggiamento solare.
Un serbatoio non interrato o non posto al coperto è maggiormente suscettibile alle variazioni termiche dovute all’azione del sole, ma anche all’azione del materiale di cui è costituito o che ne garantisce la coibentazione.
L’esposizione ad alte temperature favorisce la proliferazione dei batteri per cui le vasche esposte all’irraggiamento solare, a maggior ragione, devono essere sottoposte a regolari controlli.
Fig.4: Vasca per l’acqua potabile con evidenti depositi e materiale in sospensione
Fig.5: Serbatoi di acqua potabile sul tetto di un edificio
Fig.6: Serbatoi a tetto per acqua potabile sprovvisti di adeguate coperture
Non esiste un regolamento nazionale per la messa in opera e la corretta gestione dei serbatoi condominiali, tuttavia, indicazioni più specifiche sono reperibili nei regolamenti comunali delle varie città. Tali informazioni non sono uniformi ma si presentano con un panorama diversificato in funzione di vari parametri, quali la conformazione del territorio, la disponibilità della risorsa idrica, la rete idrica di distribuzione e l’efficienza del servizio, ecc.
A Genova, per esempio, il “Regolamento Edilizio”13 prevede, tra le dotazioni tecniche degli edi- fici, che gli stessi siano dotati di riserva d’acqua destinata al consumo umano, con caratteristiche specificate nel “Regolamento per l’igiene del suolo e dell’abitato” e aventi capacità minime in re- lazione al numero degli alloggi. Nel documento si precisa che le case provviste di acqua potabile dalle condutture pubbliche devono avere un serbatoio quale deposito di riserva per brevi interru- zioni di distribuzione idrica o per periodi di minor pressione degli acquedotti. Tali serbatoi devono essere accuratamente protetti da ogni causa di inquinamento e ne è obbligatoria la ripulitura e la disinfezione almeno con cadenza annuale.
I serbatoi, di capacità non mai inferiore a litri 400 per appartamento, devono essere collocati in apposito locale, chiuso, debitamente ventilato, indipendente e facilmente accessibile, nei sottotetti o sul terrazzo. Ripartitori e serbatoi dell’acqua potabile devono essere formati con materiale che non possa alterarne la purezza anche con una lunga permanenza; internamente, devono avere superficie levigata, scaricatore di fondo per rendere facile e completo l’allontanamento dei depositi, ed essere protetti da idonei coperchi.
Occorre quindi ispezionare periodicamente l’interno dei serbatoi dell’acqua potabile e, nel caso siano visibili depositi o sporcizia, provvedere alla pulizia e successiva sanifica.
Pur non esistendo una procedura ufficiale, solitamente la pulizia di una cisterna per l’accumulo di acqua ad uso umano può prevedere le seguenti fasi:
• Svuotamento: mediante chiusura della valvola a galleggiante far defluire l’acqua contenuta nel serbatoio sino allo svuotamento.
• Pulizia: effettuato lo svuotamento provvedere all’eliminazione dei depositi sul fondo e le pareti.
• Sanificazione: la pulizia meccanica dovrà essere completata con una sanificazione, utilizzando prodotti idonei.
13 Comune di Genova – Regolamento Edilizio del 18/08/2020
• Risciacquo: è l’ultima fase, che precede il riutilizzo del serbatoio; è molto importante per eliminare eventuali residui chimici dall’acqua distribuita.
Può essere necessario in alcune circostanze effettuare la disinfezione dell’acqua contenuta nel serbatoio, in aggiunta o in alternativa allo svuotamento e pulizia.
Anche in questo caso non esiste una procedura operativa ufficiale. Generalmente per questa operazione vengono utilizzati prodotti a base cloro, questo perché si tratta di un disinfettante che:
– possiede un efficace potere biocida,
– ha un eccellente rapporto qualità/prezzo,
– è facilmente reperibile sul mercato, in varie forme commerciali: liquido, in granuli o pastiglie.
Per ottenere un risultato efficace è molto importante calibrare le dosi, ovvero la concentrazione del principio attivo, che deve agire per un periodo sufficiente.
I prodotti chimici professionali utilizzabili per la disinfezione dell’acqua e dei serbatoi sono sempre accompagnati da schede tecniche e di sicurezza, sulle quali sono riportate le modalità di impiego con le relative quantità da dosare e i relativi tempi di contatto.
Un’indicazione generale è quella di utilizzare una concentrazione di 50 mg/L di cloro residuo li- bero (principio attivo) per almeno un’ora. I prodotti presenti in commercio utilizzati per la clora- zione delle acque sono normalmente soluzioni di ipoclorito di sodio al 12-13%, pertanto nel calco- lo della concentrazione del principio attivo si deve tener conto di queste percentuali di diluizione.
Scaricare quindi il serbatoio facendo passare l’acqua nelle tubazioni interne, tenendo aperto i rubinetti.
Riempire nuovamente il serbatoio aprendo la valvola di ingresso e facendo scorrere l’acqua per circa 30’ tenendo i rubinetti aperti allo scopo di eliminare l’eccesso di cloro.
Questa operazione deve essere sempre effettuata a fronte di lavori che possono dare luogo a contaminazioni o a un possibile ingresso di acqua non potabile.
ALLEGATO 3
Le torri evaporative
Le “torri evaporative” o “torri di raffreddamento” o “condensatori evaporativi” sono il sistema più flessibile ed economico per raffreddare l’acqua; questa tecnica infatti è quella di gran lunga più utilizzata nelle industrie che devono raffreddare grossi quantitativi di acqua, ma anche nelle grandi strutture commerciali e nei grandi edifici residenziali dove sono presenti sistemi di condi- zionamento centralizzati dell’aria.
Il raffreddamento evaporativo è la tecnica oggi più efficiente per rimuovere il calore in eccesso dai moderni sistemi di condizionamento d’aria e dai processi industriali; si tratta di una tecno- logia utilizzata da oltre mezzo secolo, che consuma poca energia e consente di risparmiare oltre il 95% dell’acqua in circolazione che si basa su un principio fisico molto semplice: l’evaporazione. Grazie al contatto tra l’acqua da raffreddare e un flusso d’aria, parte del calore viene ceduta all’aria mediante l’evaporazione di una piccola quantità di acqua, che viene trasportata nell’aria
di scarico, calda e satura.
Esistono diverse configurazioni di torri evaporativa (a circuito aperto, circuito chiuso, tiraggio forzato e tiraggio indotto), ma le principali parti costituenti l’impianto sono le seguenti:
– sistema di distribuzione e raccolta dell’acqua;
– sistema di ventilazione;
– pacco di scambio (o riempimento)
Il funzionamento di una torre evaporativa può essere riassunto attraverso le seguenti fasi:
• la torre evaporativa riceve dall’utenza una massa di acqua ad elevate temperature che necessita di essere raffreddata;
• l’acqua viene distribuita dall’alto in maniera uniforme sul pacco di scambio mediante degli ugelli spruzzatori;
• il pacco di scambio rappresenta la sezione all’interno della torre evaporativa dove avviene lo scambio di calore con l’aria in controcorrente, questo dispositivo ha la funzione di espandere la superficie dello scambio termico e di favorire l’evaporazione di una parte dell’acqua;
• l’incontro diretto dell’aria con l’acqua provoca l’evaporazione di una piccola quantità di acqua ed il raffreddamento della parte rimanente, portandola ad una temperatura più bassa;
• una volta raffreddata l’acqua viene convogliata nel bacino della torre evaporativa, da cui partono delle tubazioni collegate alle pompe di rilancio che consentono di far ripartire il ciclo all’interno dell’utenza.
Il processo descritto può essere schematizzato con la figura seguente:
Fig.7: Schema di funzionamento di una torre evaporativa
Perché parlare di torri evaporative in un documento sulla valutazione dei rischi nelle reti idri- che interne degli edifici? Perché in questo processo ci sono delle zone critiche, come il bacino di raccolta dell’acqua e il sistema di distribuzione, dove possono verificarsi proliferazioni batteriche e la conseguente dispersione nell’ambiente esterno attraverso l’aria espulsa dalla torre.
Particolare attenzione va fatta in presenza di Legionella, che in condizioni favorevoli può svi- lupparsi e diffondersi rappresentando un fattore di rischio per la salute umana.
L’acqua trattata dalla torre può formare goccioline di piccole dimensioni (5 micron) che, se tra- scinate dall’aria non vengono arrestate dal separatore di gocce, possono veicolare all’esterno della torre la Legionella.
La proliferazione della Legionella nelle torri evaporative può essere favorita da:
– ristagno dell’acqua nella vasca;
– temperatura dell’acqua nella vasca superiore ai 20°C;
– presenza di sostanze nutritive;
– produzione di aerosol.
L’acqua delle torri di raffreddamento deve quindi essere opportunamente trattata, non solo per mantenere elevato il rendimento di scambio termico e proteggere il circuito dalle incrostazioni, ma anche per contrastare la proliferazione di batteri potenzialmente pericolosi.
A tal proposito le Linee Guida del Ministero della Salute pubblicate nel maggio 2015, in merito alla prevenzione ed il controllo della legionellosi negli impianti di raffreddamento a torri evaporative, prevedono che la qualità dell’acqua sia controllata attraverso analisi microbiologiche periodiche. Il testo raccomanda di sottoporre a trattamento chimico, o analogo per risultati, l’acqua di raffreddamento al fine di controllare l’eventuale sviluppo microbico, che può essere favorito in caso di mancanza di un’adeguata copertura biocida.
Il trattamento dell’acqua di raffreddamento deve essere anche finalizzato a ridurre il rischio incrostazioni e corrosioni nell’impianto, la cui influenza indiretta nei confronti del potenziale di proliferazione batterica è significativa. Tali trattamenti devono costituire parte integrante del processo di valutazione del rischio legionellosi nelle torri evaporative.
Il trattamento biocida su base continua (il cui utilizzo deve essere modulato sulla base del corretto esercizio tecnologico dell’impianto), deve essere supportato mediante interventi di disinfezione routinari, le cui modalità e frequenza devono essere motivati dalla valutazione del rischio legionellosi.
Per minimizzare i problemi dovuti alla precipitazione di sali, responsabili di incrostazioni, va previsto il ricambio periodico di parte della massa d’acqua circolante e, l’addolcimento dell’acqua di reintegro all’impianto. I separatori di gocce sulle torri di raffreddamento e sui condensatori evaporativi devono essere mantenuti sempre in perfetta efficienza.
In sintesi, un breve elenco di problematiche correlate al funzionamento di una torre evaporativa e le possibili soluzioni da adottare:
Possibili problematiche:
• Incrostazioni (durezza dell’acqua, pH, concentrazione salina);
• Depositi (impurità dell’aria, sviluppo biologico);
• Corrosione (concentrazione salina, arricchimento in ossigeno);
• Sviluppo biologico
Possibili soluzioni:
• Impianti per il trattamento dell’acqua di reintegro (addolcimento o osmosi inversa)
• Dosaggio di reagenti chimici (antincrostanti, anticorrosivi, disperdenti, biocidi)
Oltre a questi trattamenti ormai consolidati, hanno trovato recentemente applicazione nuove tecnologie, come quella del condizionamento d’acqua con campo elettrico, che dichiarano l’inibizione di incrostazioni e di biofilm, nonché un’azione battericida, senza utilizzo di prodotti
chimici. Non essendo esse incluse nelle Linee Guida, si consiglia di effettuare sempre dei test prima di una loro eventuale adozione a regime.
Le Linee Guida Legionellosi (2015) danno le seguenti indicazioni in merito alla progettazione, realizzazione e gestione di questo tipo di impianti.
Per quanto riguarda il posizionamento il documento precisa che le torri evaporative non devono essere installate:
• in prossimità di finestre, prese d’aria a parete di edifici, prese d’aria di impianti di condizionamento, in modo da evitare che l’aria di scarico proveniente dalle torri e dai condensatori evaporativi entri negli edifici;
• in zone destinate a frequentazione o raccolta di pubblico.
In particolare, le bocche di scarico delle torri e dei condensatori devono essere posizionate almeno 2 metri al di sopra della parte superiore di qualsiasi elemento o luogo da proteggere (finestre, prese d’aria, luoghi frequentati da persone) o ad una distanza, in orizzontale, di almeno 20 metri (preferibilmente superiore ai 50 metri o più elevate in presenza di venti dominanti). Per il calcolo delle distanze, si considerino come riferimento i punti più vicini tra loro tra la bocca di scarico ed il luogo da proteggere. Se la bocca di scarico dovesse essere posizionata al di sotto dei luoghi da proteggere, per calcolare la distanza minima di separazione, si deve tenere conto dell’entità del flusso di emissione, della sua velocità e della direzione del pennacchio nell’atmosfera.
Per quanto riguarda l’impiantistica si specifica che:
I materiali costitutivi del circuito idraulico devono resistere all’azione aggressiva dell’acqua, del cloro e di altri disinfettanti, al fine di evitare fenomeni di corrosione.
Si devono evitare materiali porosi e/o assorbenti che facilitano lo sviluppo di batteri e funghi quali cuoio, legno, fibrocemento, cemento, derivati della cellulosa.
Si raccomanda che le parti metalliche del sistema siano sottoposte a trattamento chimico, fisico- chimico o fisico per agevolare la prevenzione delle corrosioni durante il suo esercizio.
L’impianto deve essere facilmente accessibile anche nelle parti interne, onde favorirne l’ispezione e le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria, pulizia, disinfezione e campionamento. Le superfici interne della vasca di raccolta devono essere il più possibile lisce, con angoli arrotondati, di facile pulizia e disinfezione. Il fondo della vasca deve essere realizzato in maniera da evitare il ristagno di acqua e possedere almeno uno scarico, posizionato nel punto più basso, per l’evacuazione del sedimento.
Gli impianti devono disporre dei separatori di goccia ad alta efficienza, che coprano tutta la superficie di scarico, di alta efficienza in modo che le perdite di acqua sotto forma di aerosol siano contenute a meno dello 0,05% della massa d’acqua circolante.
Per quanto riguarda la qualità dell’acqua, i trattamenti e i relativi controlli si precisa che:
La qualità dell’acqua utilizzata nelle torri evaporative e nei condensatori evaporativi deve essere controllata attraverso analisi microbiologiche periodiche.
Si raccomanda di sottoporre a trattamento chimico, o analogo per risultati, l’acqua di raffreddamento, al fine di controllare il rischio che possa essere favorito lo sviluppo microbico a
causa della mancanza di un’adeguata copertura biocida.
Il trattamento dell’acqua di raffreddamento deve essere anche finalizzato a ridurre il rischio incrostazioni e corrosioni nell’impianto, la cui influenza indiretta nei confronti del potenziale di proliferazione batterica è significativa.
Tali trattamenti devono costituire parte integrante del processo di valutazione del rischio legionellosi. Il trattamento biocida su base continua (il cui utilizzo deve essere modulato sulla base del corretto esercizio tecnologico dell’impianto) deve essere supportato mediante interventi di disinfezione routinari, le cui modalità e frequenza devono essere motivati dalla valutazione del rischio legionellosi.
Vanno inoltre attuati interventi, di pulizia e drenaggio del sistema, accompagnati dalla sua disinfezione:
• prima del collaudo
• alla fine della stagione di raffreddamento o prima di un lungo periodo di inattività (la cui durata, dipendendo dalla tipologia di struttura presso cui l’impianto è esercitato, deve essere definita dalla valutazione del rischio legionellosi)
• all’inizio della stagione di raffreddamento o dopo un lungo periodo di inattività (la cui durata, dipendendo dalla tipologia di struttura presso cui l’impianto è esercitato, deve essere definita dalla valutazione del rischio legionellosi)
• almeno due volte l’anno nel caso di funzionamento continuativo dell’impianto.
Per minimizzare i problemi dovuti alla precipitazione di sali, responsabili di incrostazioni, va previsto il ricambio periodico di parte della massa d’acqua circolante e, qualora necessario, l’addolcimento dell’acqua di reintegro all’impianto.
I separatori di gocce sulle torri di raffreddamento e sui condensatori evaporativi devono essere mantenuti sempre in perfetta efficienza.
L’impianto di trattamento acque va posizionato sulla tubazione di reintegro delle torri evaporative, in modo da pretrattare l’acqua prima dell’immissione in torre; il sistema di spurgo automatico va invece posizionato sullo scarico della torre, prima dell’immissione nel corpo ricettivo.
Nei grossi edifici commerciali o residenziali dove sono presenti torri evaporative, il responsabile dello stabile ha l’obbligo di predisporre adeguati trattamenti all’acqua di raffreddamento, oltre a redigere un piano di controlli e manutenzioni periodiche all’impianto, al fine di prevenire il rischio di contaminazioni microbiologiche, in particolare di Legionella, nell’ambiente circostante attraverso l’emissione dei vapori in atmosfera.
Per quanto riguarda l’installazione, la trasformazione e l’ampliamento degli impianti idraulici che prevedono l’inserimento di un sistema per il trattamento dell’acqua di raffreddamento, viene redatto un progetto, da parte di un professionista iscritto all’albo, o direttamente dal responsabile tecnico dell’impresa installatrice. In ogni caso è di fondamentale importanza fare sempre riferimento ad un’azienda di provata esperienza e competenza nel settore del trattamento delle acque, che sia in grado di dimensionare, fornire ed installare l’impianto idoneo per l’uso specifico e garantirne i risultati.
Le Amministrazioni locali o gli Enti delegati devono predisporre e curare la tenuta di un apposito “Catasto” delle torri di raffreddamento ad umido e dei condensatori evaporativi esistenti, da implementarsi mediante notifica da parte dei responsabili degli impianti di raffreddamento.
ALLEGATO 4
La contaminazione da piombo nelle acque destinate al consumo umano
Il piombo (Pb) è un componente naturale della crosta terrestre, ed è il più comune dei cosid- detti metalli pesanti. Oggi è considerato un inquinante ubiquitario in quanto, nel tempo, è stato ampiamente utilizzato in svariate attività antropiche, come nella produzione delle batterie, nelle leghe e nelle saldature, nelle vernici e negli smalti, nella produzione di rubinetti e nei sistemi di distribuzione dell’acqua, nella produzione di munizioni e attrezzatura da pesca, nonché come piombo-tetraetile e tetrametile in qualità di antidetonante nella benzina per autoveicoli e nel car- burante per gli aerei.
Molti degli utilizzi descritti sono oggi proibiti in gran parte del mondo, come in Europa e nel Nord America, ma questo metallo può ancora essere ritrovato in molti prodotti, soprattutto in quelli importati da paesi extraeuropei. Il piombo è un metallo tenero, duttile e malleabile, che bene si presta alla lavorazione; grazie a queste sue caratteristiche è stato impiegato sin dall’antichi- tà (massicciamente al tempo dell’Antica Roma) per la realizzazione di tubazioni per il trasporto dell’acqua. Sino a tempi recenti il piombo è stato impiegato in molti paesi d’Europa, compresa l’Italia, nella realizzazione di tubazioni e altri componenti delle reti idriche acquedottistiche, ma anche e soprattutto nelle reti di distribuzione interne agli edifici.
Esiste un generale consenso scientifico sull’associare l’esposizione al piombo (sebbene a con- centrazioni generalmente molto superiori a quelle rilevabili nell’acqua potabile) ed alcuni effetti patologici, anche gravi, di diversa natura, quali: disturbi neurologici e comportamentali, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, ipertensione, ridotta fertilità e aborti, ritardo nella matu- razione sessuale ed alterato sviluppo dentale. Tra i soggetti maggiormente sensibili e a rischio si considerano le donne in gravidanza e i feti, i neonati e i bambini fino a 6 anni di età e gli individui adulti con disfunzioni renali e gli ipertesi.
Venuti a conoscenza degli effetti tossici che il piombo può avere sull’uomo, a partire dagli anni ‘60 nel nostro paese se ne è ridotto drasticamente l’utilizzo in tutti i settori dove questo metallo era ampiamente impiegato, compresa la realizzazione di tubazioni e componenti per la distribuzione dell’acqua.
Per quanto riguarda l’acqua destinata al consumo umano, in Italia ci sono pochissime zone in cui l’acquifero sotterraneo presenta sedimenti di piombo o rocce che lo possono rilasciare per fenomeni naturali di dilavamento. Per questo motivo la presenza di piombo nelle risorse idriche utilizzate dai gestori è generalmente trascurabile. Ciò nonostante, nei campionamenti eseguiti durante monitoraggi effettuati all’interno delle abitazioni private sono state spesso rilevate con- centrazioni superiori ai 10 µg/litro ascrivibili agli impianti di distribuzione domestica, soprattut- to nei centri storici e in edifici realizzati prima degli anni ‘60.
I principali fattori che possono favorire il rilascio di piombo dai materiali sono legati alle carat- teristiche chimico-fisiche delle acque in contatto, in grado di influenzarne il potere “corrosivo”, che risulta essere più elevato nel caso di acque:
• debolmente acide;
• con concentrazioni di cloruro e ossigeno disciolto relativamente elevate;
• con basso tenore di durezza (acque dolci o addolcite);
• con alte temperature nell’impianto.
Un altro fattore determinante nell’incremento della concentrazione di piombo nelle acque al rubinetto è il tempo di contatto dell’acqua con il materiale contenente piombo, favorito dall’assen- za di flusso dell’acqua nell’impianto. Se nell’impianto dell’edificio sono presenti materiali conte- nenti piombo, questi a contatto con l’acqua, per tempi di stagnazione nella rete superiori a circa 4 ore, potrebbero rilasciarne tracce nell’acqua arrivando anche a concentrazioni superiori ai limiti di legge. Il medesimo fenomeno vale anche per gli altri metalli, costituenti la rete idrica, che pos- sono essere ritrovati disciolti nell’acqua dopo periodi di mancato flusso.
Per questo motivo dopo una stagnazione notturna o, a maggior ragione, al rientro nell’abita- zione dopo un periodo prolungato di assenza, l’acqua che è rimasta a contatto con le tubazioni può mostrare concentrazioni di piombo (o altri metalli) relativamente più alte rispetto ai valori normalmente presenti.
Dal momento che l’eliminazione o mitigazione del rischio di contaminazione da piombo si correla alla sostituzione in tutto o parte del sistema di distribuzione idrica, azione che richiede notevoli risorse in termini economici e di tempo, la legislazione europea, da cui quella italiana ne è derivata, ha dato una serie decrescente di valori consentiti con lunghi periodi di transizione: dal 1988 al 2003 il valore era pari a 50 µg/l; successivamente, con il D.lgs. 31/2001 è passato a 25 µg/l e dal dicembre 2013 ad oggi il valore di parametro vigente è di 10 µg/l.
La nuova direttiva (UE) 2020/2184, che dovrà essere recepita entro il 12 gennaio 2023, apporta ulteriori restrizioni al parametro piombo inserendolo, assieme al parametro Legionella, tra i para- metri pertinenti per la valutazione del rischio dei sistemi di distribuzione domestici. A tal propo- sito la direttiva richiede, quando economicamente e tecnicamente fattibile, di attuare misure tese alla sostituzione dei componenti in piombo nei sistemi di distribuzione domestici esistenti; inoltre stabilisce che, entro quindici anni dall’entrata in vigore, ovvero entro il 12 gennaio 2036, il valore limite per la concentrazione di piombo nell’acqua potabile sia pari a 5 µg/l.
Quindi il legislatore ha tenuto conto dell’entità degli interventi e delle risorse economiche ne- cessarie a ridurre la presenza di piombo nelle acque, offrendo lunghi periodi di transizione ma richiede l’impegno degli amministratori e gestori degli edifici pubblici e privati per ottenere il risultato richiesto, anche attraverso lo strumento della valutazione del rischio.
Le concentrazioni di piombo nell’acqua potabile sono generalmente inferiori a 5 µg/l, sebbene concentrazioni molto più elevate, anche superiori a 100 µg/litro, siano state ritrovate in impianti dove sono presenti condutture in piombo e correlate a stagnazioni delle acque ed a condizioni chimico-fisiche tendenti a favorire la dissoluzione dell’elemento nel mezzo acquoso. La quantità di piombo rilasciata dall’impianto idrico dipende infatti da diversi fattori, tra cui la presenza di clo- ruro ed ossigeno disciolto, pH, temperatura, durezza dell’acqua e tempo di stagnazione dell’acqua nelle tubature; acqua addolcita e a basso pH influenza un maggior rilascio di piombo. Diverse evi- denze indicano che il rilascio di piombo diminuisca con il tempo ma non scompare totalmente.
Nel diagramma che segue (Fig.8) è possibile vedere il rilascio di piombo da rubinetterie di otto- ne a diverse concentrazioni: ottone depiombato (richiesto dall’OMS), a 0,5%, 2% e 3%.
Fig.8: Rilascio di piombo da ottone a diverso contenuto di piombo
L’unico modo per determinare la presenza del piombo nell’acqua della rete di distribuzione idrica condominiale è attraverso un’analisi di laboratorio di un campione prelevato al rubinetto.
Su un campione prelevato in acqua corrente si ha indicazione del valore di piombo normalmen- te presente al rubinetto, mentre un campionamento fatto dopo ristagno dà indicazioni del rilascio dovuto a contatto prolungato. I valori del piombo al contatore possono invece essere forniti diret- tamente dal gestore idrico.
Se le analisi al rubinetto mostrano valori più elevati rispetto a quelli dichiarati dal gestore idrico significa che c’è presenza di questo metallo nella rete idrica interna all’edificio e, conseguente- mente, c’è cessione.
Nel caso si verifichi una condizione di eccesso di piombo dovuta al rilascio da materiali costi- tuenti l’impianto idrico di un edificio, la risoluzione del problema, da parte del titolare o del gesto- re della struttura o dell’edificio, è solo la sostituzione delle tubature e dei materiali dell’impianto contenenti piombo con materiali e tubi in cui sia assente il piombo. Nel periodo che intercorre tra l’evidenza del superamento del valore di parametro e la soluzione definitiva posso essere attuate soluzioni temporanee quali:
– non utilizzare per bere o preparare alimenti acqua che ha ristagnato (ovvero che non ha subito nessun flusso per mancata apertura dei rubinetti) nelle tubature per un tempo pro- lungato (orientativamente superiore alle 4 ore)
– qualora l’acqua non sia stata utilizzata per un periodo di tempo prolungato (ad esempio nel caso del primo flusso della mattina dopo stagnazione notturna o dopo un periodo prolungato di assenza dall’abitazione) è necessario lasciar scorrere l’acqua per alcuni mi- xxxx prima di utilizzarla per bere o cucinare, poiché il deflusso dell’acqua dall’impianto
consente di diminuire la probabilità di riscontrare concentrazioni elevate di piombo nelle acque. Il tempo necessario per il ricambio dell’acqua nell’impianto domestico dell’edificio è differente a seconda della lunghezza e complessità dell’impianto. L’acqua non utilizzata può essere raccolta in un opportuno serbatoio e adoperata per servizi igienici, per lavatrici o altro ma è bene raccomandare il non utilizzo di acqua potenzialmente contenente alti livelli di piombo alle donne in gravidanza, ai neonati e i bambini fino a 6 anni di età, ai soggetti con insufficienza renale e agli ipertesi.
– non utilizzare per preparare o cuocere alimenti o bevande acqua prelevata calda dal rubi- netto dell’abitazione, in quanto le temperature elevate favoriscono la corrosione e la cessio- ne di piombo dall’impianto all’acqua,
– assicurare una pulizia frequente delle retine rompigetto o eventuali filtri applicati ai rubi- netti, a livello dei quali si potrebbero depositare residui di materiali contenenti piombo.
Quando la sostituzione dei materiali costituenti l’impianto idrico interno all’edificio non è re- alizzabile, è possibile dotarsi di un dispositivo di trattamento dell’acqua adeguato alla riduzione del piombo: o l’osmosi inversa o lo scambio ionico con resine chelanti, efficaci nella rimozione dei metalli pesanti. Entrambi queste tecnologie non sono scevre da problematiche, soprattutto gestio- nali, e dovranno pertanto essere valutate attentamente per il singolo caso specifico.
ALLEGATO 5
Il trattamento dell’acqua calda sanitaria
Per quanto riguarda la valutazione dei rischi nella rete idrica interna degli edifici, una parte di notevole interesse riguarda il trattamento dell’acqua calda sanitaria, al fine di ottimizzare il ren- dimento e la sicurezza degli impianti, garantirne la regolarità di funzionamento e minimizzare i consumi energetici.
Quando si parla di acqua calda sanitaria, il parametro di principale interesse è senz’altro la durezza dell’acqua, per tutti gli impieghi tecnologici dell’acqua, da quelli domestici a quelli indu- striali.
Un’acqua è definita “dura” quando è caratterizzata da un’elevata concentrazione di calcio e ma- gnesio, i cui sali hanno la capacità di depositarsi formando incrostazioni calcaree.
Al contrario si definisce “addolcita” un’acqua trattata con addolcitori che utilizzano speciali resine a scambio ionico, in grado di ridurre la concentrazione dei sali di calcio e magnesio sosti- tuendoli con quelli di sodio, che non sono incrostanti.
La temperatura elevata è una condizione che favorisce il deposito del calcare, per questo motivo le superfici maggiormente esposte a questo fenomeno sono quelle che vengono in contatto con l’acqua calda e il deposito di incrostazioni calcaree sulle superfici metalliche di scambio termico riduce l’efficienza energetica degli impianti.
In un circuito di acqua calda sanitaria, oltre alle perdite energetiche, vi sono altri effetti negativi dovuti alle incrostazioni:
• aumento dei consumi e delle relative emissioni di anidride carbonica nell’ambiente;
• riduzione della vita utile degli impianti;
• riduzione dei livelli operativi di sicurezza;
• riduzione delle condizioni igieniche degli impianti che favoriscono lo sviluppo della carica batterica (es. la Legionella si annida facilmente nei depositi calcarei).
Il trattamento dell’acqua calda sanitaria acquisisce particolare rilevanza nelle caldaie, preposte al riscaldamento di grossi volumi d’acqua, precisando inoltre che l’effetto incrostante è cumulati- vo, per cui anche acque con durezza modesta, con il passare del tempo, possono provocare danni significativi alle caldaie murali e, a maggior ragione, alle caldaie.
Va comunque ricordato che l’addolcimento totale dell’acqua implica un aumento dell’aggressi- vità, con possibili conseguenze ad alcuni componenti dell’impianto (es. in acciaio zincato), moti- vo per cui è consigliato il valore di durezza residua di almeno 10 °F.
L’addolcimento non deve essere applicato senza l’integrazione di un condizionamento chimico, che nel caso di prodotti a base di fosfati richiede un valore di durezza residuo per poter esplicare un’efficace azione protettiva.
La norma di riferimento del settore è la UNI 8065:201914, che prevede per la produzione di acqua calda sanitaria (ACS) l’adozione di un sistema di trattamento dell’acqua in funzione del grado di durezza e della potenza della caldaia, come riportato in maniera riassuntiva nella seguente tabella:
14 Norma Italiana UNI 8065:2019 “Trattamento dell’acqua negli impianti per la climatizzazione invernale ed estiva, per la produzione di acqua calda sanitaria e negli impianti solari termici”
Potenza del focolare (kW) | Durezza dell’acqua (°f) | Trattamento previsto |
≤ 100 | Qualsiasi valore | A monte del generatore termico • filtro meccanico di sicurezza (consigliato > 50µm) • dosatore condizionante chimico ACS A valle del generatore termico • filtro defangatore • condizionante chimico impianto di riscaldamento |
>100 | ≤ 15 | A monte del generatore termico • filtro meccanico di sicurezza (consigliato > 50µm) • dosatore condizionante chimico ACS A valle del generatore termico • filtro defangatore • condizionante chimico impianto di riscaldamento |
>100 | >15 | A monte del generatore termico • filtro meccanico di sicurezza (consigliato > 50µm) • addolcitore • dosatore condizionante chimico ACS A valle del generatore termico • filtro defangatore • utilizzo di acqua addolcita impianto di riscaldamento • condizionante chimico impianto di riscaldamento |
Per potenze termiche installate maggiori di 100 kW e in presenza di acqua di reintegro con durezza >15°f è obbligatoria l’installazione di un addolcitore, proprio per prevenire gli inevitabili inconvenienti tecnici dovuti alle incrostazioni calcaree a cui si andrebbe incontro. Lo schema seguente illustra un esempio di installazione nel caso di produzione combinata di riscaldamento e acqua calda sanitaria, per una potenza di focolare > 100 kW e una durezza dell’acqua > 15°f.
LEGENDA:
A = filtro meccanico di sicurezza con grado di filtrazione > 50 µm B = addolcitore
C = condizionamento chimico a protezione del generatore termico D = filtro defangatore
E = condizionamento chimico a protezione del circuito di riscaldamento
Indipendentemente dal valore di durezza totale dell’acqua e dalla potenzialità dell’impianto, sono obbligatori indicati nella seguente tabella (vedi Norma UNI 8065:2019 par.7.3):
Impianto nuovo | Impianto esistente | |
Lavaggio o disinfezione | X | |
Verifica perdite | X | |
Risanamento | X | |
Disinfezione impianto contaminato | X | |
Filtrazione di sicurezza dell’acqua | X | X |
Condizionamento chimico | X | X |
Gli obiettivi fondamentali del condizionamento chimico dell’acqua sanitaria sono:
• inibizione delle incrostazioni,
• inibizione dei fenomeni corrosivi;
• controllo delle formazioni microbiologiche,
• correzione del pH;
• attenuazione delle incrostazioni pregresse.
Il dosaggio dei condizionanti nell’acqua degli impianti sanitari deve essere effettuato in modo proporzionale alla portata. Le quantità dosate devono essere sufficienti ad ottenere gli effetti
desiderati senza compromettere in nessun modo i requisiti di potabilità.
Il dosaggio va effettuato a monte delle apparecchiature e dei circuiti da proteggere.
I processi alternativi basati sull’applicazione di campi elettrici, magnetici, elettromagnetici sep- pur di crescente impiego, non sono considerati ammissibili ai fini della norma UNI 8065:2019.
Oltre alle indicazioni sui sistemi di trattamento per la produzione di acqua calda sanitaria, la norma UNI 8065:2019 ha anche per oggetto la definizione e la determinazione delle caratteristi- che chimiche e chimico-fisiche delle acque impiegate negli impianti di climatizzazione invernale ed estiva e negli impianti solari termici.
ALLEGATO 6
Retrocontaminazione della rete idrica
Una delle possibili cause di alterazione della qualità dell’acqua delle reti idrauliche è dovuta a fenomeni di retrocontaminazione, ovvero inquinamento tramite infiltrazioni di agenti esterni da componenti non a tenuta (come raccordi, giunzioni o microfessure nelle tubazioni), oppure per aspirazione dai terminali o da reti di fluidi non potabili.
I fenomeni che possono causare tale tipo di contaminazione sono essenzialmente due:
• aumento della pressione della rete di acqua non potabile (riflusso da contropressione)
• diminuzione della pressione della rete di acqua potabile (riflusso da sifonaggio)
Riflusso da contropressione
Il riflusso da contropressione può avvenire quando vi è una connessione tra la rete di adduzione dell’acqua potabile e un sistema contenente acqua non potabile o altri liquidi inquinanti ad una pressione maggiore di quella della rete di adduzione. Questi collegamenti possono consentire l’in- gresso di inquinanti all’interno della distribuzione di acqua potabile.
Fig.9: Schema di riflusso da contropressione
I sistemi di pressurizzazione delle reti secondarie sono la principale causa di questo tipo di ri- flusso e possono trovarsi in una molteplicità di situazioni. Vediamo alcuni esempi.
Impianti di riscaldamento
Negli impianti di riscaldamento è sempre presente un punto di reintegro di acqua; se questo non viene protetto con opportuni sistemi, è possibile che durante la fase di accensione degli im- pianti, l’aumento di pressione nei circuiti di riscaldamento sia tale da determinare un travaso di fluido verso la rete di alimentazione.
Sistemi di irrigazione alimentati da pozzi o da raccolta di acque piovane
La presenza di pozzi privati per l’irrigazione, collegati in modo non opportuno alle reti di di-
stribuzione sanitarie, rappresenta un’altra causa, altrettanto comune, di riflusso da contropres- sione. Se la pompa di pozzo genera un incremento di pressione tale da superare quella presente nella rete nel punto di interconnessione (e questo non è protetto in modo opportuno), l’acqua non potabile proveniente dal pozzo può riversarsi nella rete. Analogo discorso vale per le vasche di raccolta di acqua piovana.
Reti antincendio
Nelle reti antincendio a idranti o sprinkler, è possibile che all’attivazione della pompa di pressu- rizzazione si crei, nel punto di interconnessione delle reti, una pressione maggiore rispetto a quella della rete di alimentazione di acqua potabile, con conseguente introduzione di acqua potenzial- mente non idonea al consumo.
Impianti industriali
Negli impianti idrici a servizio di realtà industriali può essere prelevata acqua potabile dalla rete di distribuzione, se ciò avviene senza interporre alcun dispositivo di protezione può sussistere il rischio di inquinamento da fluidi molto pericolosi per la salute dato che, spesso, si trovano ad una pressione maggiore di quella della rete di distribuzione.
Riflusso da sifonaggio
Il riflusso da sifonaggio può avvenire quando si creano le condizioni opposte a quelle della contropressione, ovvero quando una diminuzione di pressione può causare l’aspirazione di fluidi potenzialmente pericolosi.
Fig.10: Schema di riflusso da sifonaggio
Il riflusso per sifonaggio può verificarsi sia quando si sviluppa una depressione nella rete di ad- duzione interna agli edifici sia quando si ha un calo di pressurizzazione degli acquedotti pubblici. Vediamo alcuni esempi, alcuni dei quali possono essere frequentemente trovati all’interno degli edifici qualora non sia previsto un dispositivo rompivuoto.
Tubo flessibile
Se si crea un vuoto nella linea di alimentazione dell’acqua mentre l’estremità dell’ugello di un tubo flessibile è immerso in un lavandino pieno d’acqua, l’acqua inquinata può essere travasata dal lavandino nella rete idrica potabile o nell’acquedotto pubblico.
Vaso sanitario
In caso di un’ostruzione nel tubo di scarico di un vaso sanitario con valvola di risciacquo a passo rapido, l’acqua inquinata potrebbe salire al di sopra del livello normale del vaso ed essere aspirata nella rete di distribuzione dell’acqua potabile.
Immissioni sommerse
Nel caso in cui l’alimentazione dell’acqua si trova al di sotto del pelo libero e si verifica un vuoto nella fornitura di acqua potabile, l’acqua contenuta può essere travasata nella rete potabile attra- verso valvole di alimentazione aperte o con perdite.
Aspirazione per effetto Venturi
Esistono applicazioni che utilizzano dispositivi aspiratori per effetto Venturi che vengono uti- lizzati per il dosaggio, all’interno del flusso d’acqua, di varie sostanze come: disinfettanti, additivi disincrostanti o anticorrosivi, prodotti di lavaggio e detergenti.
Esempi tipici sono i dosatori di disinfettanti negli erogatori degli studi medici o dei dentisti, oppure i dosatori di additivi come i polifosfati per l’acqua calda sanitaria.
Nel caso di depressione della rete di alimentazione, il prodotto dosato può essere aspirato, con- taminando la rete di alimentazione.
Impianti di subirrigazione
L’irrigazione eseguita con sistema a subirrigazione, tramite tubazioni microforate interrate o con gettini a scomparsa, alimentato con acqua di rete acquedottistica, può creare, in caso di de- pressione della rete di adduzione ed assenza dei dispositivi di protezione, una grave fonte di in- quinamento.
Impianti di aumento della pressione
Negli edifici di elevata altezza e dove la pressione della rete non è sufficiente per raggiungere i piani più alti, si rende necessario l’inserimento nella rete interna di distribuzione dell’acqua di una pompa per l’aumento della pressione. In questi impianti si possono creare depressioni a mon- te del gruppo di sollevamento in grado di causare l’aspirazione di acque non potabili.
Per evitare fenomeni di retrocontaminazioni, siano essi causati da contropressioni o da sifonag- gi, nei punti di interconnessione con la rete di alimentazione di acqua potabile è indispensabile prevedere l’inserimento di sistemi anti-riflusso.
In fase di progettazione occorre quindi:
• individuare gli apparecchi che, in caso di riflusso, possono condizionare l’acqua potabile nel sistema di distribuzione;
• definire quale protezione risulta idonea in base alla categoria di fluido;
• controllare che gli apparecchi scelti (o già installati) abbiano quel tipo di protezione;
• installare tutte le protezioni identificate se non presenti.
Le normative di riferimento per la protezione anti-riflusso delle reti idriche sono:
EN 1717:2000 “Protezione contro l’inquinamento dell’acqua potabile negli impianti idraulici e requisiti generali dei dispositivi atti a prevenire l’inquinamento da riflusso’’.
EN 806:2012 “Specifiche relative agli impianti all’interno di edifici per il convogliamento di acque destinate al consumo umano”.
L’Associazione Italiana Acqua di Qualità (AIAQ) nasce nel 2013 dalla collaborazione tra alcune delle principali aziende operanti nel settore del trattamento delle acque.
Fin dalla sua costituzione, AIAQ ha dimostrato il proprio impegno su più fronti, mantenendo sempre tra gli obiettivi primari la crescita tecnica e culturale del mondo del trattamento dell’ac- qua.
Punto di forza è il modus operandi, sempre pronto a favorire i contatti fra persone, enti e associa- zioni. Nello specifico, lo scopo principale risulta essere la diffusione della cultura del trattamento delle acque nel settore agroalimentare, rappresentando gli interessi delle aziende operanti nel settore.
A oggi (febbraio 2022), AIAQ è presente in 12 regioni del territorio nazionale, in rappresentanza di 39 importanti aziende che operano nel settore della progettazione, costruzione e installazione di impianti per il trattamento dell’acqua potabile.
EVENTI
AIAQ promuove differenti attività culturali, quali convegni, conferenze, dibattiti e seminari, ma anche attività di formazione interna (corsi di aggiornamento teorico/pratici per soci) ed ester- na (lezioni, corsi di formazione).
Tra i principali eventi e iniziative recentemente svolte da AIAQ ricordiamo:
Partecipazione alla stesura delle “Linee guida per l’informazione sulle apparecchiature per il trat- tamento dell’acqua destinata al consumo umano”, a cura di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx (Ministero della Salute) e Xxxx Xxxxxxxxx (Istituto Superiore di Sanità) - Edizione 2015
Convegno nazionale: “Il trattamento dell’acqua potabile nei pubblici esercizi” rivolto ai gestori di pubblici esercizi, costruttori/installatori e manutentori di impianti di trattamento dell’acqua e agli organi di controllo ufficiali. Con la partecipazione dell’Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute – Roma, marzo 2017
Corso di formazione: “Acqua tra trattamenti, nutrizione e fake news”, con la partecipazione dell’Istituto Superiore di Sanità e l’Università Cattolica Sacro Cuore - Roma, settembre 2018
3° Summer Shool “Qualità dell’acqua e salute” – Bari, 28 giugno 2019
Convegno, in collaborazione con l’ISS “Il trattamento dell’acqua al punto d’uso: stato dell’arte e prospettive future” Amatrice, 29-30 novembre 2019
Webinar 4 marzo 2021: “La direttiva (UE) 2020/2184 - aspetti innovativi introdotti dalla nuova direttiva europea sulla qualità delle acque destinate al consumo umano”
Webinar 29 aprile 2021: “La direttiva (UE) 2020/2184 – i parametri di controllo” FESTIVAL DELL’ACQUA 2021 – AIAQ partener tecnico, 16 giugno 2021
DOCUMENTAZIONE
Oltre agli eventi, AIAQ promuove numerose attività editoriali (atti di convegni, libri, pubblica- zioni di studi e ricerche specifiche).
– Tra le pubblicazioni, ha particolare rilevanza il “Manuale di Corretta Prassi Igienica per gli impianti di trattamento dell’acqua potabile nei pubblici esercizi” - Edizione 2017. Il documento, nato dalla necessità di disporre di uno strumento guida unico, valido a livello nazionale, per l’installazione e la gestione dei sistemi di distribuzione dell’acqua per uso alimentare, è stato riconosciuto e approvato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute.
– “PIANO DI SICUREZZA per gli impianti di trattamento dell’acqua al punto d’uso”, di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Edizione 2019
– “IL MANUALE DELL’ACQUA” libro di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Erga Edizioni, 2022
– L’associazione pubblica semestralmente AIAQ News, un magazine contenente notizie e informazioni sul settore del trattamento acque. Tutti i numeri di AIAQ News sono disponibili nell’area “magazine” del sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx
– Sempresul sito web dell’associazione èpresente un’interessante areainformativa, contenente gli approfondimenti dei nostri esperti sui principali temi di attualità del mondo dell’acqua. Tramite la newsletter, è possibile ricevere via email tutte le novità pubblicate sul sito.
CONTATTI
AIAQ - Associazione Italiana Acqua di Qualità INDIRIZZO: xxx Xxxxxx, 00 - 00000 Xxxxxxxx Xxxxxx (XX) WEB: xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx
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ANIMA Confindustria
ANIMA Confindustria Meccanica Varia tutela, rappresenta e promuove l’industria meccanica italiana, tra cui tecnologie, prodotti e macchinari per il mondo acqua (pompe, valvole, impianti di trattamento delle acque primarie civili e industriali) e termosanitario (sistemi di climatizzazione, di riscaldamento e produzione di acqua sanitaria).
Le Associazioni federate ANIMA che operano in questi specifici ambiti sono:
AQUA ITALIA – Associazione Costruttori Trattamento Acque Primarie da 40 anni rappre- senta i costruttori di impianti, apparecchiature, accessori, componenti e prodotti chimici per il trattamento acque primarie civili e industriali. Ambiti di intervento: impianti di produzione ac- qua destinata ad uso potabile; impianti per ii trattamento acqua ad uso domestico; impianti per il trattamento acque per uso tecnologico; impianti per l’industria alimentare, farmaceutica e ospe- daliera; impianti per il trattamento acqua nelle piscine ad uso pubblico e privato; impianti per la produzione di acqua refrigerata/gassata ed affinata; apparecchiature non collegate alla rete idrica (caraffe filtranti). Aderisce a Aqua Europa (Federazione Europea delle Associazioni per il tratta- mento dell’acqua) di cui è socio fondatore ed opera attivamente all’interno di numerosi comitati tecnici del CEN (Comitato Europeo di Standardizzazione) e dell’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione).
Aqua Italia partecipa alla stesura di Linee guida tecnico-pratiche in collaborazione con l’Istitu- to Superiore di Sanità, il Ministero della Salute e associazioni della filiera, quale autorevole punto di riferimento per il mercato.
Per maggiori informazioni:
xxxx@xxxxx.xx | xxx.xxxxxxxxxx.xx | xxx.xxxxxxxxxxx.xx
ASSOCLIMA – Costruttori Sistemi di Climatizzazione è l’associazione che rappresenta le azien- de costruttrici di sistemi per la climatizzazione estiva e invernale di edifici e di processi industria- li. Il comparto rappresentato da ASSOCLIMA occupa più di 7.200 addetti per un fatturato totale di circa 2.300 milioni di euro e una quota export/fatturato del 30%. La produzione merceologica si articola in diversi gruppi di specializzazione, tra cui: pompe di calore - gruppi refrigeratori d’acqua - motocondensanti - ventilconvettori - condizionatori autonomi - unità di trattamento aria - ventilatori - aerotermi - scambiatori di calore - torri di raffreddamento - componenti per la distribuzione e la diffusione dell’aria - impianti per il disinquinamento atmosferico - filtri d’aria.
Per maggiori informazioni: xxxxxxxxx@xxxxx.xx | xxx.xxxxxxxxx.xx
ASSOTERMICA – Tecnologie per il Comfort è l’associazione che rappresenta la quasi totalità delle industrie produttrici di apparecchi e componenti destinati al comfort climatico ambientale, un settore caratterizzato da una costante evoluzione tecnologica che fa della produzione italiana una realtà di assoluta eccellenza. L’associazione conta oltre 60 aziende, più di 11.000 addetti diret- ti a cui si aggiungono diverse migliaia di operatori specializzati e quasi 3.000 milioni di euro di fatturato con una quota di export del 60%.
Per maggiori informazioni: xxxxxxxxxxx@xxxxx.xx | xxx.xxxxxxxxxxx.xx
ASSOPOMPE – Associazione Italiana Produttori Pompe rappresenta i costruttori italiani di pompe. Le pompe, componente fondamentale negli impianti, sono utilizzate in moltissimi settori: costruzioni, ciclo dell’acqua, industria, generazione di energia, chimica, oil&gas. In qualità di so- cio fondatore di Europump, che riunisce le associazioni nazionali europee, accede alla conoscen- za delle normative più aggiornate, ad un vasto repertorio di pubblicazioni tecnico-scientifiche e ad un insieme di informazioni statistiche sull’andamento dei mercati. La Commissione Tecnica Assopompe lavora in stretta sintonia con la Commissione Standard/Tecnica di Europump in col- laborazione con Università ed Associazioni scientifiche internazionali.
Per maggiori informazioni: xxxxxxxxx@xxxxx.xx | xxx.xxxxxxxxx.xx
AVR – Associazione Italiana Costruttori Valvole e Rubinetteria è l’associazione industriale di categoria che rappresenta a livello nazionale ed internazionale le aziende italiane del settore. AVR raggruppa oggi 65 tra le più qualificate e prestigiose aziende di un settore che in Italia conta oltre
27.000 addetti e sviluppa un fatturato di 7.700 milioni di euro, di cui il 61% destinato all’export. Le aziende aderenti a AVR realizzano una vasta gamma di prodotti per l’edilizia civile (rubinetteria sanitaria, valvole per impianti di riscaldamento e valvole antincendio, componenti e accessori), per l’industria in generale e speciale (chimica, petrolchimica, energia, siderurgia, cantieristica navale e alimentare) e per le opere di pubblica utilità (acquedotti, impianti trattamento acque, depuratori e irrigazione). AVR aderisce al CEIR, associazione internazionale delle valvole e dei rubinetti.
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ANIMA Confindustria Meccanica Varia
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WI WATERCOOLERS ITALIA è l’Associazione che riunisce le principali aziende italiane che operano nel settore dell’imbottigliamento e della distribuzione dell’acqua in “boccioni” e Point of Use, nonché dei fabbricanti di prodotti ed apparecchiature attinenti.
L’Associazione persegue i seguenti scopi:
1. valorizzare la funzione economica e sociale delle imprese associate, promuovendo con le pubbliche istituzioni forme di collaborazione finalizzate al progresso e allo sviluppo del proprio settore;
2. tutelare gli interessi di carattere generale e collettivo degli Associati, rappresentandoli, nei limiti del presente Statuto, nei rapporti con le Istituzioni e Amministrazioni, altre Autorità e Enti, Organizzazioni economiche, merceologiche, tecnologiche, sociali, culturali, nazionali e estere;
3. agevolare e armonizzare l’attività dei propri Associati, fornendo ad essi l’assistenza per il raggiungimento degli scopi che si prefiggono, comunque in coerenza con gli scopi della Associazione;
4. svolgere le seguenti particolari funzioni:
a) istituire e/o partecipare ad associazioni a livello europeo e internazionale;
b) svolgere attività di collegamento tra le imprese del Settore, armonizzandone l’attività e gli indirizzi oltre a favorirne la cooperazione;
c) organizzare e curare iniziative dirette al costante aggiornamento (economico, tecnico, normativo, professionale ecc.) degli Associati;
d) provvedere, mediante la raccolta di notizie e dati o collaborazioni con altri Enti, alla elaborazione di ricerche di mercato e di studi relativi al Settore;
e) designare e nominare propri rappresentanti presso Enti, Amministrazioni, Istituzioni, Organizzazioni in genere, sia italiane che europee, in cui la rappresentanza sia necessaria o utile per il perseguimento dello scopo associativo.
Il marchio WI WATERCOOLERS ITALIA conferito agli Associati è garanzia di sicurezza e qualità per il consumatore.
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