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<.. image(Document Cover Page. Document Number: 13251/20. Subject Codes: SOC 746 EMPL 531 EDUC 419 ECOFIN 1087. Heading: NOTA DI TRASMISSIONE. Originator: Segretaria generale della Commissione europea, firmato da Xxxxxxx XXXXXX, direttrice. Recipient: Xxxxx XXXXXXXX-XXXXXXXXX, segretario generale del Consiglio dell'Unione europea. Subject: PROPOSTA DI RELAZIONE COMUNE SULL'OCCUPAZIONE DELLA COMMISSIONE E DEL CONSIGLIO. Commission Document Number: COM(2020) 744 final. Preceeding Document Number: Not Set. Location: Bruxelles. Date: 24 novembre 2020. Interinstitutional Files: Not Set. Institutional Framework: Consiglio dell'Unione europea. Language: IT. Distribution Code: PUBLIC. GUID: 4994552801465323925_0) removed ..>
Consiglio dell'Unione europea
Bruxelles, 24 novembre 2020 (OR. en)
13251/20
SOC 746
EMPL 531
EDUC 419
ECOFIN 1087
NOTA DI TRASMISSIONE
Origine: Segretaria generale della Commissione europea, firmato da Xxxxxxx XXXXXX, direttrice
Data: 18 novembre 2020
Destinatario: Xxxxx XXXXXXXX-XXXXXXXXX, segretario generale del Consiglio dell'Unione europea
n. doc. Comm.: COM(2020) 744 final
Oggetto: PROPOSTA DI RELAZIONE COMUNE SULL'OCCUPAZIONE DELLA COMMISSIONE E DEL CONSIGLIO
Si trasmette in allegato, per le delegazioni, il documento COM(2020) 744 final.
All.: COM(2020) 744 final
13251/20 md
LIFE.4 IT
COMMISSIONE EUROPEA
Bruxelles, 18.11.2020
COM(2020) 744 final
PROPOSTA DI RELAZIONE COMUNE SULL'OCCUPAZIONE DELLA COMMISSIONE E DEL CONSIGLIO
IT IT
INDICE
1. PANORAMICA DELLE TENDENZE E DELLE SFIDE NELLA SOCIETÀ E NEL MERCATO DEL LAVORO NELL'UNIONE EUROPEA 26
1.1 Tendenze nel mercato del lavoro 26
2. ISTANTANEE TRATTE DAL QUADRO DI VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE SOCIALE 39
2.1 Spiegazione del quadro di valutazione 39
2.2 Elementi tratti dal quadro di valutazione della situazione sociale 42
3. RIFORME OCCUPAZIONALI E SOCIALI - RISULTATI E AZIONE DEGLI STATI MEMBRI 46
3.1 Orientamento 5: rilanciare la domanda di forza lavoro 46
3.1.2 Misure adottate dagli Stati membri 62
3.2 Orientamento 6: potenziare l'offerta di forza lavoro e migliorare l'accesso all'occupazione, abilità e competenze 68
3.2.2 Misure adottate dagli Stati membri 101
3.3 Orientamento 7: migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e l'efficacia del dialogo sociale 117
3.3.1 Indicatori chiave 117
3.3.2 Misure adottate dagli Stati membri 143
3.4 Orientamento 8: promuovere le pari opportunità per tutti, favorire l'inclusione sociale e combattere la povertà 150
3.4.1 Indicatori chiave 150
3.4.2 Misure adottate dagli Stati membri 170
PREMESSA
La relazione comune sull'occupazione della Commissione europea e del Consiglio è prescritta dall'articolo 148 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). La proposta della presente relazione presentata dalla Commissione europea si iscrive nel pacchetto d'autunno. La relazione comune sull'occupazione offre una panoramica annuale dei principali sviluppi sociali e occupazionali nell'Unione europea nonché delle misure di riforma adottate dagli Stati membri in linea con gli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione1. La relazione segue la struttura degli orientamenti: rilanciare la domanda di forza lavoro (orientamento 5), potenziare l'offerta di forza lavoro e migliorare l'accesso all'occupazione, abilità e competenze (orientamento 6), migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e l'efficacia del dialogo sociale (orientamento 7) e promuovere le pari opportunità per tutti, favorire l'inclusione sociale e combattere la povertà (orientamento 8).
La relazione comune sull'occupazione monitora inoltre i risultati degli Stati membri in relazione al quadro di valutazione della situazione sociale, istituito nell'ambito del pilastro europeo dei diritti sociali. Il pilastro è stato proclamato congiuntamente dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione il 17 novembre 2017 e individua principi e diritti in tre settori: i) pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, ii) condizioni di lavoro eque, nonché iii) protezione sociale e inclusione. Il monitoraggio dei progressi compiuti in questi settori è sostenuto da un'analisi dettagliata del quadro di valutazione della situazione sociale che accompagna il pilastro.
La relazione comune sull'occupazione è strutturata come segue: un capitolo introduttivo (capitolo 1) illustra le principali tendenze nella società e nel mercato del lavoro nell'Unione europea per definire il contesto. Il capitolo 2 presenta i principali risultati dell'analisi del quadro di valutazione della situazione sociale associato al pilastro europeo dei diritti sociali. Il capitolo 3 fornisce una descrizione transnazionale dettagliata degli indicatori chiave (derivanti anche dal quadro di valutazione della situazione sociale), tenendo conto dei risultati degli Stati membri, nonché delle sfide affrontate e delle politiche attuate in risposta agli orientamenti per le politiche a favore dell'occupazione.
1 L'ultimo aggiornamento degli orientamenti in materia di occupazione è stato adottato dal Consiglio dell'Unione europea nell'ottobre 2020 (GU L 344 del 19.10.2020, pag. 22).
MESSAGGI FONDAMENTALI
Prima della crisi COVID-19 la crescita dell'occupazione nell'UE era costante ma in rallentamento: i risultati positivi sui mercati del lavoro iniziati nel 2013 erano progrediti e nel 2019 l'occupazione era ulteriormente aumentata fino a raggiungere un livello record alla fine dell'anno. Le riforme attuate dagli Stati membri in seguito alla crisi finanziaria avevano contribuito a questa crescita economica creatrice di occupazione, anche se in alcuni Stati membri e in alcune regioni persistevano le sfide, anche per quanto riguarda l'integrazione dei gruppi vulnerabili nel mercato del lavoro.
La pandemia di COVID-19 ha invertito questa tendenza, modificando improvvisamente il nostro modo di vivere e lavorare. La pandemia ha imposto un pesante tributo di vite umane e ha provocato uno shock economico senza precedenti. La risposta delle autorità europee e nazionali è stata rapida e la salvaguardia della salute e dei posti di lavoro dei cittadini è divenuta una priorità politica assoluta. Gli Stati membri hanno fornito sostegno soprattutto ai gruppi e ai settori che sono stati particolarmente colpiti. L'attuazione di tali misure ha finora evitato l'emergere di un'enorme crisi occupazionale e sociale in tutta l'UE. Permangono tuttavia molte incertezze, in particolare per quanto riguarda la durata della pandemia, il momento in cui si concretizzerà una ripresa economica sostenibile e le conseguenze per i più vulnerabili. La situazione varia da un paese all'altro, anche per il retaggio del passato. Gli Stati membri che già prima della pandemia si trovavano ad affrontare gravi sfide socioeconomiche adesso sono ancora più vulnerabili.
L'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali è fondamentale per garantire che la ripresa sia equa e inclusiva. È necessario che i principi del pilastro, coniugati nelle tre dimensioni delle pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, delle condizioni di lavoro eque e della protezione sociale e inclusione, guidino l'elaborazione di misure strategiche a sostegno dei lavoratori e delle famiglie. Per contrastare gli effetti della pandemia e preparare la ripresa è necessario favorire la resilienza sociale e la convergenza verso l'alto ponendo al centro le persone. Gli orientamenti in materia di occupazione adottati di recente contengono indicazioni specifiche volte ad attenuare l'impatto occupazionale e sociale della pandemia di COVID-19 e forniscono agli Stati membri indicazioni concrete per modernizzare le istituzioni del mercato del lavoro, l'istruzione e la formazione nonché i sistemi sanitari e di protezione sociale al fine di renderli più inclusivi ed equi. Tali orientamenti presentano anche nuovi elementi che rispecchiano le priorità dell'Unione, in particolare per quanto riguarda le transizioni verde e digitale socialmente giuste. Trasformare i problemi legati al clima e all'ambiente in opportunità e rendere la transizione giusta e inclusiva per tutti è uno degli obiettivi principali del Green Deal europeo.
La reazione dell'UE alla crisi è stata rapida e forte. Agli Stati membri è stato offerto un sostegno finanziario senza precedenti per attenuare l'impatto economico, sociale e sanitario della crisi e rafforzare la ripresa, anche mediante il nuovo strumento SURE, lo strumento per il sostegno di emergenza e una maggiore flessibilità nell'uso dei fondi della politica di coesione nell'ambito dell'Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus. Inoltre il dispositivo per la ripresa e la resilienza (che è il nucleo dello strumento Next Generation EU) fornirà un sostegno finanziario su larga scala per le riforme e gli investimenti volti a favorire la creazione di posti di lavoro e a rendere le economie, le società e i sistemi sanitari dell'UE più resilienti e meglio preparati per la duplice transizione. Si tratta di un'opportunità unica per promuovere gli investimenti nelle persone e accelerare la ripresa economica. Questa rapida
risposta rientra in una strategia a lunga scadenza e contribuisce alla capacità dell'Unione di realizzare i propri obiettivi a lungo termine.
L'obiettivo della relazione comune sull'occupazione è aiutare gli Stati membri a individuare i settori prioritari per le riforme e gli investimenti. Prescritta dall'articolo 148 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la relazione comune sull'occupazione offre una panoramica dei principali sviluppi sociali e occupazionali in Europa e dell'attuazione degli orientamenti in materia di occupazione. La relazione, che si iscrive nel pacchetto d'autunno, è stata sin dall'inizio parte integrante del semestre europeo ed ha evidenziato le principali sfide occupazionali e sociali da affrontare nel ciclo annuale. Nell'eccezionale semestre europeo 20212 la relazione comune sull'occupazione contribuirà anche ad aiutare gli Stati membri nell'individuare i settori prioritari per le riforme e gli investimenti da includere nei loro piani per la ripresa e la resilienza, nel contesto degli orientamenti in materia di occupazione. Nella relazione comune sull'occupazione sono presentati i risultati del quadro di valutazione della situazione sociale che accompagna il pilastro europeo dei diritti sociali; tali risultati possono essere utili per elaborare i piani nazionali. Mediante documenti analitici che accompagnano le proposte di atti di esecuzione del Consiglio la Commissione valuterà inoltre il contenuto dei suddetti piani tenendo conto anche della relazione comune sull'occupazione. In collaborazione con il comitato per l'occupazione e il comitato per la protezione sociale, la Commissione continuerà inoltre a monitorare da vicino tutti gli sviluppi sociali e del mercato del lavoro aggiornando regolarmente il monitoraggio dei risultati in materia di occupazione e il monitoraggio dei risultati in materia di protezione sociale.
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La crisi COVID-19 ha fortemente influito sui risultati del mercato del lavoro nell'UE. Sebbene i dati sull'occupazione mostrassero evidenti segni di rallentamento già nella seconda metà del 2019, la tendenza positiva della maggior parte degli indicatori del mercato del lavoro si è interrotta allo scoppio della pandemia. Il numero totale di occupati (che dalla metà del 2013 era aumentato di 15 milioni) è diminuito di 6,1 milioni tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020: si tratta del calo più drastico mai osservato in due trimestri consecutivi. Nel 2020, dopo sei anni di progressi verso il raggiungimento dell'obiettivo occupazionale di Europa 2020, il tasso di occupazione si è allontanato da tale obiettivo. Grazie alla rapida adozione dei regimi di riduzione dell'orario lavorativo e di altre misure di mantenimento del mercato del lavoro nonché ad un calo dei tassi di attività, finora vi è stato solo un aumento moderato del tasso di disoccupazione, pari a 1 punto percentuale a settembre 2020. La disoccupazione giovanile (fascia di età 15-24 anni) è invece cresciuta in misura più
2 Come indicato nella strategia annuale di crescita sostenibile 2021, il ciclo 2021 del semestre europeo sarà adattato per tener conto dell'introduzione del dispositivo per la ripresa e la resilienza. La Commissione valuterà il contenuto dei piani per la ripresa e la resilienza presentati dagli Stati membri in documenti analitici che accompagneranno le proposte di atti di esecuzione del Consiglio. Tali documenti analitici sostituiranno le consuete relazioni per paese. Data la natura programmatica globale e orientata al futuro dei piani per la ripresa e la resilienza, nel 2021 non sarà necessario che la Commissione presenti raccomandazioni specifiche per paese per gli Stati membri che avranno presentato il loro piano. Nel 2021 la Commissione proporrà comunque raccomandazioni sulla situazione di bilancio degli Stati membri, come previsto dal patto di stabilità e crescita.
marcata rispetto a quella di altre fasce di età e la percentuale di giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano (NEET) è drasticamente aumentata. Anche i lavoratori nati al di fuori dell'UE sono stati gravemente colpiti. Questi risultati variano considerevolmente da un paese all'altro e tra regioni e settori diversi e richiedono un attento monitoraggio e impegni politici per evitare ripercussioni negative ancor più marcate a breve termine.
Il ricorso massiccio a regimi di riduzione dell'orario lavorativo ha contribuito ad attenuare le conseguenze dello shock sul mercato del lavoro. Le ore lavorate per lavoratore sono diminuite bruscamente, con un calo dell'11,3 % nel secondo trimestre del 2020 rispetto all'ultimo trimestre del 2019; allo stesso tempo le assenze dal lavoro sono aumentate passando dal 9,7 % nel quarto trimestre del 2019 al 21,8 % nel secondo trimestre del 2020 (circa la metà di tale aumento è imputabile ai licenziamenti temporanei). Dall'inizio della crisi gli Stati membri hanno esteso (o introdotto, quando non erano precedentemente disponibili) regimi di riduzione dell'orario lavorativo e/o altri regimi di conservazione dei posti di lavoro, allo scopo di limitare la perdita di occupazione, evitare la dispersione del capitale umano e sostenere la domanda aggregata. L'Unione europea sostiene tali sforzi mediante lo strumento di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza (SURE). Il ricorso straordinario e sincronizzato ai regimi di riduzione dell'orario lavorativo ha consentito di affrontare le conseguenze immediate della crisi e impedire un drastico aumento della disoccupazione; tuttavia quanto più a lungo si protrarrà la crisi, più elevato sarà il rischio di sovvenzionare posti di lavoro in imprese che non sono più economicamente sostenibili. Nel valutare l'eliminazione graduale dei regimi di riduzione dell'orario lavorativo è dunque importante ponderare attentamente, da un lato, la necessità di proteggere le imprese e i lavoratori finché le condizioni economiche lo richiedono e, dall'altro, l'introduzione di politiche volte a promuovere i cambiamenti strutturali e la ridistribuzione dei lavoratori (ad esempio attraverso incentivi all'assunzione e misure di riqualificazione ben concepiti).
La crisi COVID-19 ha interrotto un periodo di sei anni di tendenza positiva sul mercato del lavoro | ||
6,1 milioni di occupati in meno nel secondo trimestre del 2020 rispetto al quarto trimestre del 2019 72 % tasso di occupazione nel secondo trimestre del 2020 (inferiore di 1,1 punti percentuali rispetto all'anno precedente) 7,5 % tasso di disoccupazione a settembre 2020 (superiore di 1 punto percentuale rispetto a marzo) -11,3 % ore lavorate per lavoratore nel secondo trimestre del 2020 rispetto al quarto trimestre del 2019 | Tassi di attività, disoccupazione e NEET nell'UE-27, percentuale Ore lavorate per lavoratore e assenze dal lavoro nell'UE-27 | Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. Dati destagionalizzati, senza correzione degli effetti di calendario. |
Lo shock economico è stato avvertito in modo diverso nei vari settori e nelle varie categorie di lavoratori. Il numero di occupati è diminuito in tutte le attività economiche, ad eccezione del settore delle costruzioni, nel secondo trimestre del 2020 rispetto al secondo trimestre del 2019, ma i cali più drastici si sono osservati nel comparto ricettivo, nel settore culturale e di intrattenimento e nelle attività professionali. Il calo dell'occupazione ha colpito in misura maggiore i lavoratori atipici, sebbene con forti differenze tra i vari paesi. Il lavoro a
tempo determinato ha subito gravi ripercussioni, con una diminuzione su base annua del 16,7 % nel secondo trimestre del 2020, mentre il lavoro a tempo indeterminato è rimasto stabile, anche grazie alla risposta politica. Questa situazione si è tradotta in un calo significativo della quota di lavoratori a tempo determinato rispetto al totale dei lavoratori, anche in questo caso con ampie differenze tra i vari paesi.
La pandemia ha avuto effetti diversi a seconda dei posti di lavoro e dei settori | ||
4,2 milioni di lavoratori a tempo determinato in meno nel secondo trimestre del 2020 rispetto al secondo trimestre del 2019 Aumento dell'occupazione nei settori delle costruzioni, della pubblica amministrazione e delle TIC In termini relativi le flessioni maggiori si sono registrate nei settori del commercio, delle arti e intrattenimento e dell'agricoltura | Occupazione (15-64 anni) per tipo di contratto: variazione percentuale tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 | Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. Nota: *attività NACE Rev. 2. |
A causa della COVID-19 gli Stati membri rischiano di dover affrontare un aumento drastico della disoccupazione giovanile; si impongono quindi riforme e un sostegno rafforzato. La disoccupazione giovanile a livello di UE, che nel 2019 aveva registrato una costante diminuzione, è balzata da un minimo pari al 14,9 % del marzo 2020 al 17,1 % in settembre, con un aumento più rapido rispetto al dato relativo alla disoccupazione totale. Inoltre, a causa della crisi, i tassi di giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano (fascia di età 15-24 anni) hanno subito l'aumento maggiore tra due trimestri consecutivi (dal 10,4 % all'11,6 % tra il primo e il secondo trimestre 2020) dall'inizio della serie Eurostat nel 2006. Nel 2019 un giovane su dieci di età compresa tra i 18 e i 24 anni ha terminato l'istruzione o la formazione con una qualifica inferiore all'istruzione secondaria superiore e più di un quarto delle persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni non possedeva una qualifica con accesso diretto al mercato del lavoro (ossia una qualifica di istruzione e formazione professionale secondaria o di istruzione terziaria). Le proposte della Commissione per una raccomandazione relativa all'istruzione e formazione professionale (IFP) e per lo spazio europeo dell'istruzione hanno indicato obiettivi di miglioramento dei risultati sia
nell'istruzione e formazione professionale sia nell'istruzione terziaria. Poiché l'aumento dei tassi di NEET deriva in larga misura dalla caduta della domanda di manodopera, saranno essenziali interventi a sostegno della creazione di posti di lavoro, dell'istruzione e delle competenze. Sarà fondamentale un'attuazione efficace della garanzia per i giovani rafforzata, basata sul buon funzionamento dei servizi pubblici per l'impiego e dei sistemi di istruzione e formazione. Per le giovani donne NEET, maggiormente interessate dall'inattività rispetto agli uomini, le riforme dovrebbero includere anche misure volte a eliminare i disincentivi fiscali al lavoro e a favorire l'equilibrio tra il lavoro e le responsabilità assistenziali (cfr. infra).
La crisi COVID-19 ha determinato un aumento significativo dei tassi di NEET | ||
11.6% giovani NEET (15-24 anni) nel secondo trimestre 2020 (1,2 punti percentuali in più rispetto al trimestre precedente) -12% giovani occupati con basso livello di competenze tra la fine del 2019 e il secondo trimestre del 2020 26 % di giovani (30-34 anni) con qualifiche che non danno accesso diretto al mercato del lavoro (IFP secondaria o istruzione terziaria) | Giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano (NEET) nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni (secondo trimestre 2020) | Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. |
Negli ultimi cinque anni il divario di genere nei livelli di occupazione non è variato mentre il divario retributivo si è ridotto, ma la crisi ha generato nuovi rischi e ha messo in evidenza la necessità di riforme e investimenti. Sebbene i tassi di occupazione femminile siano aumentati, dal 2013 il divario retributivo di genere si è ridotto solo di poco benché il livello di istruzione medio delle donne sia più elevato. La sovrarappresentazione delle donne in settori e occupazioni a basso salario le rende particolarmente vulnerabili nei mercati del lavoro colpiti dalla crisi COVID-19. I divari di genere sono maggiori tra le donne con figli piccoli, per le quali nel 2019 il divario occupazionale era negativo di 14,3 punti percentuali rispetto alle donne senza figli, mentre per gli uomini nella stessa situazione il divario era positivo di 9,6 punti percentuali. I risultati occupazionali sono più scarsi in particolare per le donne anziane, per le donne nate al di fuori dell'UE e per le donne con basso livello di competenze o con disabilità. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro potrebbe essere rafforzata mediante riforme e investimenti relativi ai sistemi di educazione e cura della prima infanzia nonché ai servizi di assistenza a lungo termine, come pure mediante politiche a
favore dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata, come i congedi parentali e per assistenza equilibrati sotto il profilo del genere. Tra le altre riforme e investimenti potrebbero figurare misure che garantiscano pari progressione di carriera, misure di trasparenza salariale e adeguamenti del sistema fiscale e previdenziale, come la tassazione a livello individuale e non familiare nonché le detrazioni familiari, le detrazioni per coniuge a carico e quelle trasferibili.
I divari di genere nei livelli di occupazione e retribuzione rimangono considerevoli in vari Stati membri | ||
11,4 punti percentuali divario di genere nei livelli di occupazione nel secondo trimestre 2020, pressoché stabile dal 2013 14,3 punti percentuali effetto della genitorialità sull'occupazione (minore tasso di occupazione delle donne con figli piccoli rispetto alle donne senza figli) | Xxxxxxx retributivo di genere non corretto nel 2014 e nel 2018 (punti percentuali) | Fonte: Eurostat. |
La crisi si ripercuoterà con ogni probabilità in modo sproporzionato sui migranti di paesi terzi, imponendo la necessità di intensificare gli sforzi per garantirne l'integrazione nel mercato del lavoro. Tra il 2017 e il 2019 il tasso medio di occupazione dei migranti di paesi terzi era migliorato (passando dal 61,5 % al 64,2 %), ma poiché i migranti di paesi terzi sono sovrarappresentati tra i lavoratori a tempo determinato e in settori fortemente colpiti dalla crisi, il loro tasso di occupazione è diminuito considerevolmente dall'inizio della crisi (scendendo al 60,8 % nel secondo trimestre del 2020) sebbene durante la pandemia i migranti di paesi terzi abbiano avuto un ruolo fondamentale svolgendo funzioni essenziali in prima linea. I lavoratori migranti di prima generazione hanno inoltre maggiori probabilità di ricoprire occupazioni meno qualificate, anche se in possesso di un'istruzione terziaria, ma le risposte politiche degli Stati membri relative all'offerta di corsi di lingua, all'accesso all'istruzione e alla formazione, all'orientamento occupazionale e al riconoscimento delle competenze e delle qualifiche hanno contribuito a migliorarne l'integrazione nel mercato del lavoro. Il mantenimento e il rafforzamento di tali politiche contribuirebbe a rendere la ripresa più inclusiva e a sfruttare le competenze e il potenziale dei migranti, compresi i rifugiati.
Per migliorare la resilienza sociale è fondamentale affrontare le cause della segmentazione del mercato del lavoro, anche adeguando la legislazione e predisponendo i giusti incentivi per l'assunzione con contratti stabili. L'incidenza dell'occupazione a
tempo determinato varia notevolmente da un paese all'altro: i giovani e le donne sono relativamente più rappresentati in questa categoria. Gli Stati membri con una quota consistente di lavoratori a tempo determinato hanno registrato le maggiori fluttuazioni dell'occupazione durante la crisi. In tale prospettiva, garantire che i contratti a tempo determinato consentano l'ingresso nel mercato del lavoro e fungano al contempo da trampolino di lancio verso un'occupazione regolare è fondamentale per aumentare la resilienza sociale e sostenere una ripresa equa e inclusiva. In questo contesto sono importanti le riforme che consentano di modernizzare la legislazione a tutela dell'occupazione, stabilendo tra l'altro condizioni chiare per il ricorso ai contratti a tempo determinato, impedendo i rapporti di lavoro che portano a condizioni di lavoro precarie e fornendo i giusti incentivi per l'assunzione con contratti a tempo indeterminato. Al tempo stesso gli Stati membri dovrebbero prevedere condizioni di ammissibilità flessibili affinché le persone in cerca di lavoro con esperienze lavorative precarie abbiano un accesso adeguato alla protezione sociale, in particolare alle prestazioni di disoccupazione, e beneficino di opportunità di formazione e riqualificazione.
Molti lavoratori ancora non godono della protezione di salari minimi adeguati. Nonostante in molti Stati membri siano stati recentemente aumentati, i salari minimi legali sono spesso bassi rispetto ad altri salari dell'economia e generalmente non sono sufficienti per proteggere i lavoratori dal rischio di povertà. Inoltre la protezione offerta dai salari minimi presenta lacune sia nei paesi con un salario minimo legale (perché determinate categorie ne sono escluse) sia nei paesi in cui i salari sono fissati esclusivamente mediante contrattazione collettiva (in relazione ai lavoratori che non sono tutelati dai contratti collettivi). La Commissione, dopo aver consultato le parti sociali, ha proposto una direttiva per garantire che i lavoratori dell'Unione siano protetti da salari minimi adeguati. La proposta della Commissione mira a promuovere la contrattazione collettiva dei salari in tutti gli Stati membri. A tal proposito i paesi in cui sono previsti salari minimi legali dovrebbero stabilire condizioni per garantire che i salari minimi siano fissati a un livello adeguato, ad esempio criteri chiari e stabili per la loro determinazione, valori di riferimento indicativi per orientare la valutazione dell'adeguatezza e aggiornamenti periodici e puntuali. Tali paesi sono inoltre invitati a garantire che le variazioni dei salari minimi legali e le trattenute su di essi siano utilizzate in maniera proporzionata e giustificata e che le parti sociali siano effettivamente coinvolte nella definizione e nell'aggiornamento di tali salari. La proposta prevede infine un'applicazione e un monitoraggio rafforzati della tutela garantita dal salario minimo stabilita in ciascun paese.
L'adeguamento delle condizioni di lavoro è divenuto un elemento essenziale durante la pandemia e tale rimarrà in seguito: a tale riguardo sarà necessario realizzare investimenti in relazione ai luoghi di lavoro e adottare riforme volte a migliorare la disponibilità di modalità di lavoro flessibili. Molti Stati membri hanno adeguato le loro condizioni di lavoro, anche con un maggior ricorso al telelavoro, concentrandosi in particolare sulla protezione dei lavoratori vulnerabili. Durante l'emergenza sanitaria il telelavoro si è rivelato molto importante per garantire la continuità operativa, offrendo nel contempo opzioni più ampie per far fronte alle accresciute esigenze di assistenza. Il telelavoro può tuttavia comportare anche dei rischi, tra cui quelli connessi al benessere professionale, fisico e mentale dei telelavoratori a domicilio. In prospettiva la pandemia indurrà a ripensare l'organizzazione dei luoghi di lavoro e l'equilibrio tra vita professionale e vita privata. Esistono differenze riguardanti il contenuto e l'ambito di applicazione delle normative nazionali in materia di telelavoro, anche per quanto riguarda la promozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) richieste a tal fine. Gli Stati membri, sulla base
delle prassi nazionali esistenti in materia di contrattazione collettiva, dovrebbero provvedere affinché gli ambienti di lavoro siano sicuri e adeguati e garantire un'ampia disponibilità di modalità di lavoro flessibili, che consentano di conciliare lavoro, famiglia e vita privata. È inoltre necessaria una maggiore attenzione al miglioramento delle condizioni di lavoro per i lavoratori in situazioni di vulnerabilità e per attirare coloro che svolgono un lavoro non dichiarato verso l'occupazione formale. La pandemia ha anche messo in luce la mancanza di personale in alcune professioni sanitarie e la necessità di adattarne o migliorarne le condizioni di lavoro e le competenze.
L'incidenza del telelavoro durante la crisi varia notevolmente a seconda dei profili e dei settori | ||
60 punti percentuali divario nell'accesso al telelavoro tra lavoratori con un basso livello di competenze e lavoratori con un alto livello di competenze 61 % degli abitanti delle città ha accesso al telelavoro a fronte del 41 % degli abitanti di piccole città I lavoratori del settore dell'istruzione e dei servizi amministrativi hanno fatto ricorso al telelavoro in misura maggiore | Lavoro da casa durante la pandemia di COVID-19, caratteristiche principali dei lavoratori partecipanti (UE-27, in percentuale) | Fonte: Eurofound (2020), sondaggio online "Living, working and COVID-19". |
Le politiche attive del mercato del lavoro sono fondamentali per sostenere gli adeguamenti del mercato del lavoro dopo lo shock causato dalla COVID-19. Gli Stati membri hanno affrontato la crisi occupazionale con tassi diversi di copertura delle politiche
attive del mercato del lavoro (PAML). Per una crescita inclusiva è essenziale facilitare le transizioni del mercato del lavoro, prevenendo nel contempo i rischi di un'ulteriore polarizzazione delle competenze; si tratta di un elemento particolarmente importante per gli Stati membri che presentano ancora tassi elevati di disoccupazione di lungo periodo, che probabilmente si acuiranno in conseguenza dello shock causato dello shock causato dalla COVID-19. Gli Stati membri hanno modificato i quadri vigenti o hanno introdotto nuovi sistemi di PAML per rispondere meglio alle condizioni del mercato del lavoro e promuovere l'occupazione, il miglioramento delle competenze e la riqualificazione, spesso con il sostegno del Fondo sociale europeo. Ora potrebbero avere la possibilità di combinare i fondi della politica di coesione con i finanziamenti del dispositivo per la ripresa e la resilienza al fine di promuovere ulteriormente PAML mirate, comprese le misure di miglioramento del livello delle competenze e di riqualificazione professionale.
L'accesso a regimi di prestazioni di disoccupazione di livello e durata adeguati è fondamentale per attenuare gli effetti negativi della crisi e sostenere la transizione dei disoccupati verso nuovi posti di lavoro. L'erogazione di adeguate prestazioni di disoccupazione di durata ragionevole, accessibili a tutti i lavoratori, compresi quelli con contratti atipici, è fondamentale per sostenere le persone in cerca di lavoro durante le transizioni. È necessario prestare particolare attenzione alle persone con esperienze lavorative brevi o discontinue, che spesso sono meno protette da tali regimi. Alcuni Stati membri, in risposta alla pandemia, hanno rafforzato i rispettivi regimi di prestazioni di disoccupazione; tuttavia, tenuto conto dei cambiamenti delle condizioni economiche, potrebbe essere necessario rivedere ulteriormente tali regimi al fine di mantenere redditi adeguati e sostenere un'efficace attivazione del mercato del lavoro per le persone colpite.
I servizi pubblici per l'impiego dovranno andare oltre i metodi di lavoro tradizionali per far fronte all'impennata del numero di persone in cerca di lavoro e sostenerne la ridistribuzione nelle varie professioni o nei vari settori. Negli anni scorsi la percentuale di disoccupati che si sono rivolti ai servizi pubblici per l'impiego (SPI) per la ricerca di un posto di lavoro ha registrato una tendenza al ribasso, sebbene con forti differenze tra gli Stati membri. I giovani, le persone con basso livello di competenze e le persone anziane in cerca di un impiego continuano ad essere sovrarappresentati tra coloro che chiedono l'assistenza degli SPI. Nel contesto attuale, per garantire una risposta adeguata ed efficace alle esigenze delle persone in cerca di lavoro e dei datori di lavoro può essere necessario potenziare la capacità rafforzando i sistemi di profilazione e migliorando le capacità di orientamento e tutoraggio a favore delle persone in cerca di lavoro. A tal fine sarà importante investire in soluzioni delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) aggiornate e riqualificare il personale degli SPI. Un maggior sostegno basato su piani d'azione individuali potrebbe aiutare le persone colpite dalla crisi a trovare un impiego nel contesto della futura ripresa.
Gli SPI possono svolgere un ruolo cruciale nell'agevolare le transizioni e nel promuovere una ripresa rapida | ||
45 punti percentuali differenza tra i livelli massimi e minimi di utilizzo degli SPI per la ricerca di lavoro nel 2019 Le persone con basso livello di competenze e le persone anziane in cerca di un impiego sono ampiamente sovrarappresentate tra coloro che chiedono l'assistenza degli SPI Gli elevati tassi di disoccupazione di lungo periodo precedenti alla pandemia possono costituire un ulteriore ostacolo per una ripresa favorevole a tutti | Percentuale di disoccupati che si avvalgono di determinati metodi per la ricerca di lavoro (2019) | Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. |
Il dialogo sociale e il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle politiche sono fondamentali per promuovere una ripresa equa e sostenibile e favorire una crescita inclusiva. In diversi Stati membri gli accordi collettivi e il dialogo sociale hanno contribuito alla definizione e all'attuazione dell'immediata risposta socioeconomica alla crisi COVID-19, comprese le misure per adattare rapidamente l'organizzazione del lavoro, ad esempio la promozione del telelavoro, e per proteggere la salute, i redditi e i posti di lavoro dei lavoratori in prima linea e del personale critico. La consultazione delle parti sociali nella risposta alla crisi è rimasta salda negli Stati membri con strutture di dialogo sociale già ben sviluppate. In altri Stati membri la crisi ha ridotto ancor di più il coinvolgimento delle parti sociali, che già era limitato prima dell'emergenza sanitaria. Affinché i programmi di riforma e di investimento previsti dal nuovo dispositivo per la ripresa e la resilienza per il periodo 2021-2023 siano elaborati ed attuati in modo efficace e agevole, è fondamentale che gli Stati membri collaborino con le parti sociali nella preparazione dei loro piani nazionali per la ripresa e la resilienza.
Le disuguaglianze nell'istruzione mettono a rischio la coesione sociale e la crescita inclusiva, rendendo necessarie riforme per far sì che i sistemi di istruzione siano più inclusivi e producano risultati migliori, per sostenere le persone più vulnerabili e investire in infrastrutture didattiche, compresa l'istruzione digitale. Un'importante sfida per quanto riguarda il livello di istruzione è quella che si trovano spesso ad affrontare i bambini appartenenti a gruppi socioeconomici più sfavoriti: essi partecipano infatti in misura notevolmente più ridotta ai sistemi di educazione e cura della prima infanzia e riescono con minore frequenza a conseguire le competenze di base nella lettura nella scuola secondaria. Sono inoltre sottorappresentati nell'istruzione terziaria, insieme agli studenti delle zone rurali, agli studenti con disabilità e ai migranti provenienti da paesi terzi. La didattica a distanza introdotta durante il confinamento mette in evidenza questi svantaggi: gli alunni provenienti da un contesto socioeconomico più sfavorito generalmente partivano da una situazione di inferiorità in termini di competenze digitali ed erano più spesso privi di computer e connessioni a Internet. Sta inoltre emergendo un divario di genere nelle competenze di base e nel tasso di istruzione terziaria, aspetti in cui i ragazzi ottengono risultati peggiori delle ragazze. Vi è il rischio che la combinazione di questi fattori si traduca in svantaggi per tutta la vita lavorativa, tenuto conto anche del già ampio divario occupazionale tra i lavoratori meno qualificati e quelli con alto livello di competenze (29,1 punti percentuali nel 2019). Esiste un forte legame tra i risultati scolastici, il successo sul mercato del lavoro e la partecipazione alla società, il che sottolinea l'importanza di un'istruzione inclusiva per garantire una ripresa equa e rafforzare la resilienza sociale. Le riforme potrebbero avere ad oggetto, tra l'altro, la prevenzione della differenziazione precoce del percorso scolastico, l'introduzione di servizi di sostegno e di regimi e servizi di finanziamento mirati per scuole, famiglie e giovani svantaggiati, la promozione di un migliore accesso all'istruzione per i minori bisognosi, compresa l'integrazione dei discenti con bisogni educativi speciali nei contesti tradizionali, e gli investimenti in infrastrutture e attrezzature.
Gli svantaggi socioeconomici incidono ancora pesantemente sulla partecipazione e sui risultati scolastici | |
36,4 % di alunni di estrazione socioeconomica e culturale svantaggiata non riesce a raggiungere le competenze di base nella lettura 11,3 punti percentuali divario di partecipazione ai sistemi di educazione e cura della prima infanzia dei bambini a rischio di povertà o di esclusione sociale nel 2016 22,5 % dei giovani nati al di fuori dell'UE abbandona precocemente l'istruzione e la formazione (rispetto al 10,2 % a livello di UE) | Tasso di risultati insufficienti per quanto riguarda le competenze nella lettura per status economico, sociale e culturale (in punti percentuali in relazione ai quindicenni, 2018) Nota: SESC sta per stato economico, sociale e culturale. |
Fonte: PISA 2018, OCSE. |
Il miglioramento delle competenze e la riqualificazione sono una priorità assoluta per promuovere una ripresa inclusiva e sostenere le transizioni digitale e verde. Prima della crisi le imprese dell'UE segnalavano la scarsa disponibilità di personale qualificato come primo ostacolo agli investimenti. In 20 Stati membri non è stato raggiunto l'obiettivo stabilito a livello di UE per l'istruzione degli adulti, pari al 15 % entro il 2020. Gli adulti con qualifiche più basse partecipano molto meno alle attività di istruzione, nonostante ne abbiano più necessità. Un quarto dei giovani adulti non possiede una qualifica che dia accesso diretto al mercato del lavoro e alcuni settori, come quello delle TIC, segnalano una notevole differenza tra posti vacanti e numero di laureati. In molti Stati membri è ancora troppo difficile accedere ad altri percorsi di istruzione e formazione una volta usciti dall'istruzione formale e la convalida delle competenze rimane poco sviluppata. Unitamente alle nuove difficoltà che
emergono in relazione alle competenze richieste per le transizioni digitale e verde, ciò evidenzia la necessità di sostenere la trasformazione dell'istruzione e formazione professionale e dell'istruzione terziaria. L'agenda per le competenze per l'Europa e lo spazio europeo dell'istruzione definiscono politiche per l'apprendimento permanente, per il miglioramento delle competenze e la riqualificazione, compresi il patto per le competenze e l'attuazione di strategie, previsioni, orientamenti e meccanismi di convalida in materia di competenze. Nell'ambito dell'iniziativa faro per la riqualificazione e il miglioramento delle competenze, gli Stati membri sono fortemente incoraggiati a proporre riforme e investimenti in materia di competenze, in particolare in ambito digitale, da finanziare a titolo del nuovo dispositivo per la ripresa e la resilienza, che si aggiunge, in via complementare, ai finanziamenti tradizionali a titolo del Fondo sociale europeo.
Vi è margine per rafforzare la partecipazione all'istruzione degli adulti, elemento chiave per sostenere lo sviluppo della carriera e il successo delle transizioni professionali
28,3 punti percentuali
divario tra il tasso di occupazione dei lavoratori con un basso livello di competenze e quello dei lavoratori con un alto livello di competenze
6,5 punti percentuali
divario relativo alla partecipazione dei lavoratori con basso livello di competenze all'istruzione degli adulti
In 20 Stati membri
meno del 15 % degli adulti partecipa ad attività di istruzione degli adulti
Metà degli adulti
dovrebbe partecipare ad attività di istruzione degli adulti nel corso di un anno entro il 2025, secondo l'agenda per le competenze per l'Europa (rispetto al 38 % del 2016)
Tassi di occupazione per livello di istruzione
(percentuale di persone nella fascia di età tra 25 e 64 anni nel 2019)
Fonte: Eurostat.
Percentuale di adulti e di adulti con basso livello di qualifiche che partecipano ad attività di istruzione (percentuale di persone nella fascia di età tra 20 e 64 anni nel 2019)
La crisi COVID-19 ha ulteriormente evidenziato l'importanza di rafforzare le competenze digitali. Durante la pandemia, per un'ampia percentuale di cittadini dell'UE le competenze digitali si sono rivelate essenziali per la continuità delle attività imprenditoriali, di istruzione e di formazione e per garantire l'accesso ai servizi, compresa l'assistenza sanitaria. Le competenze digitali saranno sempre più importanti per la piena partecipazione al mercato del lavoro e alle società del futuro, nonché per sostenere le transizioni verde e digitale. Tuttavia i progressi nelle competenze digitali di base sono stati lenti: nonostante un modesto miglioramento, nel 2019 più di quattro persone su dieci nell'UE non avevano competenze digitali di base, in particolare le persone anziane e le persone con basso livello di qualifiche. Vi è inoltre una sistematica carenza di esperti nel settore digitale e di persone con competenze digitali avanzate, un problema dovuto in larga misura alla sottorappresentazione delle donne tra i laureati e diplomati dell'istruzione terziaria nelle discipline STEM e nei posti di lavoro nel settore delle TIC. Le ragazze, pur ottenendo in giovane età risultati migliori rispetto ai ragazzi per quanto riguarda le competenze digitali, scelgono percorsi di studio o di carriera legati al settore digitale in misura notevolmente inferiore rispetto ai ragazzi. Le riforme per rafforzare le competenze digitali comprendono l'aggiornamento dei programmi di studio, l'introduzione di corsi di TIC nelle scuole primarie, l'insegnamento delle TIC come disciplina nell'istruzione secondaria, il sostegno agli insegnanti e ai formatori (anche sulle modalità per promuovere l'interesse e incoraggiare le aspirazioni delle ragazze), le opportunità di istruzione degli adulti nell'ambito delle competenze digitali, le misure volte ad aumentare l'attrattiva degli studi nei settori STEM e delle TIC (in particolare per le ragazze), il rafforzamento della cooperazione tra imprese, centri di ricerca e università come pure gli investimenti in infrastrutture e attrezzature digitali.
Il divario relativo alle competenze digitali rimane significativo | |
46 % delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni non possedeva competenze digitali di base nel 2019 per 13,5 milioni di posti vacanti erano richieste competenze nell'ambito delle TIC nel 2018 e 2019 57 % delle imprese ha dichiarato di avere difficoltà ad assumere persone specializzate nel settore delle TIC nel 2019 50,9 % degli insegnanti non ha ricevuto una formazione in materia di TIC durante l'istruzione formale | Persone con competenze digitali complessive di base o superiori (2019, punti percentuali, popolazione nella fascia di età 16-74 anni) |
Fonte: Eurostat. |
La disparità di reddito complessiva è leggermente diminuita negli ultimi anni prima della pandemia di COVID-19, ma è aumentata nella fascia inferiore della distribuzione del reddito nell'ultimo decennio, sollevando preoccupazioni circa l'inclusività della crescita economica. In media nell'UE il 20 % più ricco delle famiglie ha un reddito circa cinque volte superiore a quello del 20 % più povero. Negli anni scorsi la disparità di reddito è aumentata maggiormente nella fascia inferiore della distribuzione del reddito (S50/S20) che nella fascia superiore (S80/S50). Secondo stime preliminari, gli stabilizzatori automatici e le misure politiche adottate per far fronte all'emergenza hanno finora attenuato l'effetto della COVID-19 sulle disuguaglianze. Per affrontare le disparità di reddito è necessario che gli Stati membri attuino riforme in diversi settori programmatici, tra cui la concezione dei rispettivi sistemi fiscali e previdenziali, i meccanismi di fissazione dei salari, l'inclusività e le pari opportunità nell'istruzione e nella formazione (a partire dalla prima infanzia) e l'accesso a servizi di qualità e alla portata di tutti. Dovrebbe essere garantita la valutazione degli effetti distributivi delle politiche, soprattutto di quelle a sostegno della duplice transizione verde e digitale.
Sebbene recentemente in calo, la disparità è aumentata nella fascia inferiore della distribuzione del reddito | ||
5 volte è il rapporto tra la quota di reddito corrispondente al 20 % più alto dei redditi e la quota corrispondente al 20 % più basso dei redditi nel 2019 21,4 % è la quota del reddito percepito dal 40 % della popolazione con il reddito più basso, in aumento dal 2015 | Rapporto tra quintili di reddito (S80/S20) e ripartizione tra la fascia alta e la fascia bassa della distribuzione | Fonte: calcoli in base ai dati di Eurostat. |
Prima della crisi COVID-19 il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale era in calo per il settimo anno consecutivo, sebbene la lentezza dei progressi nei paesi con tassi di povertà più elevati suggerisse l'esistenza di problemi per i sistemi di protezione sociale. Nel 2019 vi erano circa 92,4 milioni di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale (AROPE), ossia 2,3 milioni in meno rispetto all'anno precedente. Grazie ai solidi risultati del mercato del lavoro prima della crisi, la componente "deprivazione materiale grave" aveva registrato il miglioramento più significativo rispetto al picco del 2012, seguita dalla percentuale di persone che vivono in famiglie con un'intensità di lavoro molto bassa, mentre la riduzione meno marcata riguardava il tasso di rischio di povertà. Tale evoluzione positiva mostrava tuttavia segni di rallentamento in molti Stati membri. La povertà lavorativa e l'intensità della povertà erano in lenta diminuzione anche per le persone che vivono in famiglie con un'intensità di lavoro molto bassa. La crisi COVID-19, con il conseguente aumento della disoccupazione e dell'inattività, rende altamente improbabile conseguire l'obiettivo della strategia Europa 2020 consistente nel ridurre di 20 milioni (rispetto al 2008) il numero di persone in condizioni di povertà o di esclusione sociale. La situazione attuale rappresenta una sfida per i sistemi di protezione sociale, in particolare per quanto riguarda la capacità di garantire in modo sostenibile redditi adeguati e l'erogazione di servizi di qualità a tutti coloro che ne hanno più bisogno.
La povertà è rimasta alta per i gruppi più vulnerabili, in particolare per le famiglie con bambini, per le persone con disabilità e per quelle nate al di fuori dell'UE, tutte colpite in modo sproporzionato dalla crisi COVID-19. I sistemi sanitari, di istruzione e di protezione sociale, in particolare i servizi sociali, sono stati sottoposti a pressioni senza precedenti, che hanno ulteriormente aggravato le difficoltà per le persone nelle situazioni di maggiore vulnerabilità. Il rischio di povertà o di esclusione sociale per i minori (di età inferiore ai 18 anni), sebbene in calo negli ultimi anni, è rimasto 1 punto percentuale al di sopra di quello della popolazione in età lavorativa e in alcuni Stati membri era molto elevato. Oltre all'adeguatezza dei livelli di reddito, anche l'accesso ai servizi, tra cui l'istruzione, l'assistenza sanitaria e l'alloggio, è fondamentale per sostenere le famiglie con bambini e
garantisce pari opportunità nella vita. Nel 2021 la Commissione proporrà una garanzia europea per l'infanzia che fornirà un quadro per l'azione a livello di UE. Anche le persone con disabilità e le persone nate al di fuori dell'UE sono esposte a maggiori rischi di povertà ed esclusione sociale e hanno bisogno di un sostegno rafforzato. La nuova strategia sui diritti delle persone con disabilità, che la Commissione varerà nel 2021, avrà come obiettivo la promozione dell'inclusione economica e sociale di tali persone. Ci si attende che la strategia si concentri su un'ampia serie di settori, tra cui l'istruzione, l'occupazione, l'adeguata protezione sociale, l'accessibilità e la non discriminazione. Il pilastro europeo dei diritti sociali ribadisce il diritto delle persone di avere accesso a servizi di qualità. Il miglioramento dell'accesso ai servizi, tra cui i servizi sociali e di comunità e i servizi a domicilio a favore di una vita indipendente e dell'inclusione nella comunità, saranno prossimamente oggetto di una serie di iniziative e assi di lavoro della Commissione, quali le strategie menzionate e il nuovo Piano d'azione per l'integrazione e l'inclusione delle persone provenienti da contesti migratori.
Il tasso AROPE era in diminuzione prima della crisi COVID-19, anche se a un ritmo lento | ||
92.4 milioni di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale nell'UE-27 nel 2019, ossia 2,3 milioni in meno rispetto al 2018 22,5 % dei bambini è a rischio di povertà o di esclusione sociale 9 % dei lavoratori è a rischio di povertà | Tasso di rischio di povertà o di esclusione sociale e relative sottocomponenti nell'UE | Fonte: Eurostat. |
Mentre i costi abitativi restano molto elevati per gran parte delle famiglie, la crisi richiede interventi per proteggere i più vulnerabili. Un europeo su dieci risente dell'eccessiva onerosità dei costi abitativi. Le famiglie con il reddito più basso e le persone che vivono nelle città sono quelle maggiormente colpite. Negli ultimi dieci anni il fenomeno dei senzatetto, la forma più estrema di esclusione abitativa, si è accentuato nella maggior parte degli Stati membri. La crisi sanitaria ha messo ulteriormente in evidenza tali problemi abitativi. Molti Stati membri hanno adottato misure di emergenza per proteggere le persone più vulnerabili, ad esempio fornendo alloggi di emergenza per i senzatetto. Le riforme degli Stati membri dovrebbero focalizzarsi soprattutto sugli investimenti nella ristrutturazione degli alloggi di edilizia residenziale e sociale e sul miglioramento dell'accesso agli alloggi sociali.
La crisi COVID-19 è un potente monito dell'importanza dei sistemi di protezione sociale e del loro ruolo nell'attenuare gli effetti economici e sociali della riduzione dell'attività economica. È probabile che la crisi COVID-19 aumenti il numero di persone che percepiscono l'indennità di disoccupazione e altre forme di sostegno al reddito, mettendo a dura prova la capacità dei nostri sistemi di protezione sociale. I paesi hanno esteso e potenziato i regimi vigenti e hanno ampliato temporaneamente le condizioni di ammissibilità. In una fase di ripresa sono necessari sforzi costanti per mantenere e rafforzare la protezione sociale per tutti in modo sostenibile. La protezione dei lavoratori autonomi e dei lavoratori atipici dovrebbe essere ulteriormente migliorata a livello strutturale sulla base della risposta alla crisi, conformemente alla raccomandazione sull'accesso alla protezione sociale. Le riforme dovrebbero riguardare, tra l'altro, il livello di copertura, l'adeguatezza e la trasferibilità dei diritti di protezione sociale e il sostegno all'integrazione nel mercato del lavoro di coloro che sono in grado di lavorare.
Nella maggior parte degli Stati membri il livello di reddito minimo è al di sotto della soglia di povertà | ||
In media i trasferimenti sociali (pensioni escluse) riducono la povertà del 32,7 % 63,9 % della popolazione dell'UE a rischio di povertà ha beneficiato di una qualche forma di prestazione nel 2018 | Reddito netto dei percettori di reddito minimo (anno di riferimento: 2018) | Fonte: calcolo su dati OCSE ed Eurostat. |
La COVID-19 ha esercitato una pressione senza precedenti sui sistemi sanitari e di assistenza a lungo termine degli Stati membri. La capacità dei nostri sistemi sanitari di far fronte alle crisi è stata spesso messa a dura prova e i problemi strutturali esistenti relativi all'efficacia, all'accessibilità e alla resilienza dell'assistenza sanitaria si sono aggravati. Questi problemi riguardano, ad esempio, l'insufficienza dei finanziamenti per gli investimenti nel settore sanitario (anche a fini di preparazione e risposta alle crisi), lo scarso coordinamento e la limitata integrazione delle cure mediche, l'assistenza di base inadeguata, il persistere di ostacoli all'accesso all'assistenza sanitaria e le esigenze di cure mediche insoddisfatte. Tali difficoltà hanno colpito duramente le persone più vulnerabili. Come indicato in precedenza, la
pandemia ha anche messo in luce le carenze di alcune professioni sanitarie e l'importanza di adattare o migliorare le loro condizioni di lavoro e le loro competenze. Le riforme dovrebbero riguardare in particolare il rafforzamento delle capacità dell'assistenza sanitaria negli Stati membri (in particolare la capacità di gestione delle crisi e degli afflussi massicci di pazienti), un migliore coordinamento tra l'assistenza ospedaliera, ambulatoriale e di base, l'aggiornamento e la riqualificazione degli operatori sanitari e il miglioramento delle loro condizioni di lavoro, la salute digitale e la riduzione delle spese non rimborsate. La pandemia ha duramente colpito anche i sistemi di assistenza a lungo termine, soprattutto per l'elevata vulnerabilità alla COVID-19 dei pazienti e del personale, facendo emergere i problemi di tali sistemi, che vanno dalle difficoltà per i lavoratori e i prestatori di assistenza informale alla discontinuità dei servizi fino ai problemi di capacità. Le riforme dovrebbero riguardare, tra l'altro, misure preventive, ad esempio per l'invecchiamento attivo e in buona salute, e misure reattive quali l'istituzione di servizi di assistenza sanitaria e sociale adeguatamente integrati, l'ampliamento dell'accesso e della copertura, in particolare per quanto riguarda l'assistenza a domicilio e i servizi di prossimità, il miglioramento delle competenze e la riqualificazione della forza lavoro e il sostegno all'integrazione dei servizi di assistenza e dei servizi per una vita indipendente.
In vari Stati membri i livelli di reddito incidono sull'accesso all'assistenza sanitaria | ||
L'1,8 % della popolazione dell'UE ha segnalato l'esistenza di esigenze mediche insoddisfatte nel 2019, prima della crisi COVID-19 In 11 Stati membri le spese non rimborsate superano il 20 % della spesa sanitaria | Esigenze di cure mediche insoddisfatte dichiarate dall'interessato per livello di reddito, 2019 | Fonte: calcoli in base ai dati di Eurostat. |
I cambiamenti demografici continuano a rappresentare un problema a lungo termine per i sistemi pensionistici. L'adeguatezza delle pensioni è rimasta generalmente stabile nel 2019. I redditi da pensione sono leggermente peggiorati rispetto ai redditi da lavoro, mentre la percentuale di persone anziane in condizioni di deprivazione materiale grave ha continuato a diminuire. Il divario pensionistico di genere rimane ampio, nonostante una graduale diminuzione nel corso degli ultimi dieci anni. Gli effetti della crisi sull'occupazione e sui redditi da lavoro, soprattutto per i lavoratori atipici e i lavoratori autonomi, si aggiungono ai rischi relativi all'adeguatezza della pensione a più lungo termine. Le riforme dovrebbero essere volte alla creazione di sistemi pensionistici inclusivi e sostenibili, con adeguate opportunità di accesso e di risparmio sia per gli uomini sia per le donne e indipendentemente
dal tipo di contratto o dall'attività economica svolta, garantendo al tempo stesso un reddito minimo adeguato in età avanzata.
Gli Stati membri dovrebbero intervenire per affrontare i problemi relativi all'occupazione, alle competenze e alla politica sociale identificati nella presente relazione comune sull'occupazione. L'analisi presentata nella relazione evidenzia una serie di settori prioritari che richiedono riforme e investimenti, il cui obiettivo dovrebbe essere promuovere la creazione di posti di lavoro, facilitare il passaggio dalla disoccupazione all'occupazione e da un settore all'altro, migliorare la resilienza economica e sociale e attenuare gli effetti occupazionali e sociali della crisi. I finanziamenti dell'UE, anche tramite il Fondo sociale europeo Plus (con le risorse aggiuntive messe a disposizione da REACT-EU) e il nuovo dispositivo per la ripresa e la resilienza, forniscono agli Stati membri il sostegno necessario per accelerare l'attuazione di azioni politiche in questi settori. In linea con gli orientamenti in materia di occupazione, gli Stati membri sono invitati a mettere in atto le seguenti azioni:
- mantenere i regimi di riduzione dell'orario lavorativo per tutto il tempo necessario e abbinarli a programmi di miglioramento del livello delle competenze e di riqualificazione; introdurre, non appena le condizioni lo consentiranno, un sostegno alla ridistribuzione dei lavoratori (ad esempio mediante incentivi all'assunzione ben concepiti), verso l'economia verde e digitale in particolare, proteggendo al tempo stesso i lavoratori durante la transizione;
- garantire che gli ambienti di lavoro siano sicuri e adeguati alle nuove esigenze di distanziamento sociale e che siano ampiamente disponibili modalità di lavoro flessibili;
- rafforzare il sostegno al mercato del lavoro e le opportunità di miglioramento delle competenze per far fronte all'aumento della disoccupazione giovanile, soprattutto mediante il sostegno all'apprendistato (in particolare nelle PMI), gli incentivi all'assunzione e le infrastrutture, le tecnologie e le attrezzature per l'apprendimento;
- investire nei servizi pubblici per l'impiego, in particolare per aumentarne la capacità, modernizzare le infrastrutture delle TIC, rafforzare i sistemi di profilazione e fornire al personale competenze adeguate;
- promuovere la contrattazione collettiva e il dialogo sociale; ove siano previsti salari minimi legali, garantire le condizioni affinché tali salari siano fissati a livelli adeguati, mediante criteri chiari e stabili e con aggiornamenti periodici e puntuali e un effettivo coinvolgimento delle parti sociali;
- riformare la regolamentazione del mercato del lavoro, nonché i sistemi fiscali e previdenziali, per garantire una riduzione della segmentazione del mercato del lavoro e fare in modo che la ripresa stimoli la creazione di posti di lavoro di qualità; garantire che i lavoratori atipici e i lavoratori autonomi abbiano accesso alla protezione sociale;
- investire nella riqualificazione e nel miglioramento del livello delle competenze, particolarmente in ambito digitale, rafforzando i sistemi di istruzione e formazione professionale, sostenendo i partenariati pubblico-privato multipartecipativi su vasta scala previsti dal patto per le competenze, fornendo alle imprese e ai lavoratori maggiori incentivi al miglioramento del livello delle competenze e alla riqualificazione, investendo in infrastrutture e attrezzature, anche digitali, sostenendo gli insegnanti e i formatori; garantire la parità di accesso all'istruzione e alla formazione;
- investire nella protezione sociale sostenibile per tutti, favorendo le riforme per mantenere e rafforzare i livelli di protezione e migliorando la protezione di coloro che
non sono coperti; garantire adeguate prestazioni sociali e la trasferibilità dei diritti, nonché l'accesso ai servizi e il sostegno all'integrazione nel mercato del lavoro di coloro che sono in grado di lavorare; investire nella qualità e nell'accessibilità dell'educazione e della cura della prima infanzia e dei servizi di assistenza a lungo termine; valutare gli effetti distributivi delle politiche;
- investire nella ristrutturazione di alloggi di edilizia residenziale e sociale; facilitare l'accesso ad alloggi sociali e a prezzi accessibili, ove opportuno;
- investire nella capacità del sistema sanitario, comprese la capacità di gestione degli afflussi massicci di pazienti, l'assistenza di base, il coordinamento delle cure, il personale sanitario e i servizi sanitari in rete e ridurre le spese non rimborsate, migliorare la copertura sanitaria e promuovere il miglioramento del livello di competenze e la riqualificazione degli operatori sanitari.
1. PANORAMICA DELLE TENDENZE E DELLE SFIDE NELLA SOCIETÀ E NEL MERCATO DEL LAVORO NELL'UNIONE EUROPEA
Questa sezione presenta una panoramica delle tendenze e delle sfide nella società e nel mercato del lavoro nell'Unione europea3 a livello aggregato.
1.1 Tendenze nel mercato del lavoro
Nel 2019 la crescita economica ha continuato a sostenere la creazione di posti di lavoro, anche se a un ritmo più lento rispetto agli anni precedenti. Nel quarto trimestre del 2019 il numero degli occupati nell'UE-27 era di 209,3 milioni di persone (1,9 milioni in più rispetto al quarto trimestre del 2018), il livello più elevato mai raggiunto. In questo periodo i lavoratori anziani e quelli con un alto livello di competenze hanno continuato a rappresentare i principali fattori di crescita dell'occupazione, sostenendo l'aumento del tasso di occupazione complessivo delle persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni fino al 73 % nel 2019. Nel quarto trimestre del 2019 la disoccupazione ha raggiunto i minimi storici attestandosi al 6,5 % e anche i tassi di disoccupazione giovanile e di lungo periodo sono diminuiti, sebbene fossero ancora elevati in alcuni Stati membri.
La crisi COVID-19 ha invertito la tendenza positiva dell'occupazione degli ultimi sei anni nell'UE-27. La recessione economica innescata dalla pandemia ha avuto un forte impatto sul mercato del lavoro. Nei primi due trimestri del 2020 l'occupazione totale è diminuita a un ritmo accelerato, fino ad arrivare a 203,1 milioni nel secondo trimestre del 2020: si tratta di 6,1 milioni di persone occupate in meno (pari al 2,9 %), ossia del calo dell'occupazione più drastico mai osservato in due trimestri consecutivi dal 19954. In termini annuali si prevede che, dopo un aumento dell'1 % nel 2019, l'occupazione totale cali del 4,5 % nel 2020 per poi segnare un nuovo aumento dell'1,8 % nel 20215, senza però escludere un forte rischio che tale previsione peggiori in base all'evolversi della pandemia.
Il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni è diminuito nonostante la rapida risposta politica e le misure adottate per contenere la perdita di posti di lavoro. Nel 2019 il tasso di occupazione nell'UE-27 ha continuato ad aumentare raggiungendo il 73,1 % in media (72,7 % nella zona euro), ossia 0,7 punti percentuali in più rispetto al 2018 (sia per l'UE che per la zona euro; Figure 1). Dopo un picco del 73,3 % nel secondo trimestre del 2019, ha tuttavia iniziato a diminuire lentamente nella seconda parte dell'anno. Con l'esplosione della crisi COVID-19, il tasso di occupazione è sceso al 72 % nel secondo trimestre del 2020, ossia 1,1 punti percentuali in meno rispetto al quarto trimestre del 2019 e 1,3 punti percentuali al di sotto del livello osservato nel secondo trimestre del 2019. La diminuzione è stata più marcata nella zona euro, dove il tasso di occupazione ha raggiunto il 71,4 % nel secondo trimestre del 2020, ossia 1,2 punti percentuali in meno rispetto al quarto trimestre del 2019 e 1,5 punti percentuali in meno rispetto al secondo trimestre del 2019. Il tasso di occupazione femminile è diminuito in modo meno marcato (di 0,9 punti percentuali nell'UE-27 e di 1 punto percentuale nella zona euro) rispetto a quello maschile (rispettivamente di 1,1 punti percentuali e di 1,3 punti percentuali), sebbene il divario rimanga
3 In tutta la relazione si fa riferimento all'UE-27, a meno che non sia diversamente specificato.
4 Le cifre relative all'occupazione totale provengono dai conti nazionali (concetto interno), le altre cifre dai dati dell'indagine sulle forze di lavoro. Nella presente sezione sono utilizzati dati trimestrali destagionalizzati.
5 Commissione europea (2020), Previsioni economiche per l'Europa, autunno 2020, documento istituzionale 136.
in generale ai livelli prepandemici (era di 11,7 punti percentuali nel 2019 e rimane vicino a tale livello, attestandosi a 11,4 punti percentuali nel secondo trimestre del 2020). Dopo sei anni di progressi verso il raggiungimento dell'obiettivo del 75% previsto da Europa 20206, il tasso di occupazione ha iniziato ad allontanarsi da tale obiettivo, mentre rimane una forte incertezza in merito agli ulteriori sviluppi dell'attività economica e alle relative ripercussioni sull'occupazione7.
Figura 1: la pandemia ha prodotto un grave shock sul mercato del lavoro, interrompendo un periodo di risultati positivi durato 6 anni
Tassi di occupazione e di disoccupazione nell'UE e nella zona euro
*media del primo e del secondo trimestre 2020, destagionalizzata. Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro.
La crisi ha avuto un impatto moderato sui tassi di disoccupazione in tutta Europa rispetto all'entità dello shock sul PIL8. Il tasso di disoccupazione ha continuato a diminuire nel corso del 2019 sia nell'UE sia nella zona euro (figura 1). Nel secondo trimestre del 2020 il 6,7 % della popolazione attiva era disoccupata, ossia 0,2 punti percentuali in meno rispetto al quarto trimestre del 2019 (minimo storico mai registrato nell'UE-27) e allo stesso livello del secondo trimestre del 2019. Nel secondo trimestre del 2020 il tasso di disoccupazione nella zona euro è stato più elevato, attestandosi al 7,3 %, una percentuale uguale a quella del quarto
6 Si osservi che l'obiettivo del 75% relativo al tasso di occupazione (fascia di età 20-64 anni) era stato fissato nell'ambito della strategia Europa 2020 considerando una composizione dell'UE differente (che comprendeva il Regno Unito ma non la Croazia).
7 Secondo le stime del monitoraggio dei risultati in materia di occupazione e della relazione annuale 2020 sui risultati in materia di occupazione ad opera del comitato per l'occupazione (EMCO), il numero degli occupati nell'UE-27 aumenterà del 4,4 % nel 2020 prima di ridursi nuovamente nel 2021 (sulla base delle previsioni economiche di primavera della Commissione per il 2020).
8 Per un'analisi più particolareggiata cfr. Employment and Social Developments in Europe, Annual Review 2020 (disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!XX00xx) e Labour Market and Wage Developments in Europe, Annual Review 2020 (di prossima pubblicazione).
trimestre del 2019 e inferiore di 0,2 punti percentuali rispetto a quella del secondo trimestre del 2019. Le differenze sono tuttavia marcate se si considera la ripartizione per fasce di età. Il tasso di disoccupazione è aumentato in particolare per i giovani (fascia di età 15-24 anni) dopo un calo nel 2019 rispetto all'anno precedente. Tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 è aumentato di 1,2 punti percentuali nell'UE-27 e di 1,1 punti percentuali nella zona euro. Viceversa la disoccupazione è in realtà diminuita per le persone di età compresa tra i 55 e i 74 anni (rispettivamente -0,4 punti percentuali e -0,5 punti percentuali). Esaminando i dati mensili, il tasso di disoccupazione complessivo ha fatto registrare un costante aumento dallo scoppio della pandemia, raggiungendo lo scorso settembre il 7,5 % nell'UE-27 (8,3 % nella zona euro). Nell'UE-27 vi erano quindi 16 milioni di disoccupati in quel preciso momento, circa 1,8 milioni in più rispetto allo stesso mese del 2019 (13,6 milioni e un aumento di 1,4 milioni nella zona euro). Questa lenta reazione della disoccupazione può essere legata a due motivi principali. In primo luogo, la significativa riduzione delle ore lavorate per persona occupata (soprattutto grazie alla rapida adozione di misure di riduzione dell'orario lavorativo) e le restrizioni ai licenziamenti imposte in diversi Stati membri hanno contribuito a contenere la perdita di posti di lavoro. In secondo luogo, la gravità dello shock economico ha spinto molti disoccupati a diventare inattivi (effetto "scoraggiamento del lavoratore"). Vi è comunque una notevole eterogeneità tra gli Stati membri (cfr. la figura 2 e il punto 3.1.1). La disoccupazione di lungo periodo ha raggiunto il livello più basso mai registrato nell'UE-27 attestandosi al 2 % della popolazione attiva nel secondo trimestre del 2020 (2,4 % nella zona euro). Gli effetti potenziali della crisi su tale indicatore saranno visibili solo in una fase successiva.
Il totale delle ore lavorate ha registrato un netto calo dovuto in gran parte all'adozione di misure di contenimento per combattere la pandemia. La COVID-19 ha interrotto una tendenza positiva iniziata con la ripresa nel 2013. Il numero totale di ore lavorate nell'economia è aumentato fino a raggiungere un picco di circa 85 miliardi nel quarto trimestre del 2019, per poi calare bruscamente (su base trimestrale) del 3,1 % nel primo trimestre del 2020 e del 10,7 % nel secondo trimestre del 2020. Il numero di ore lavorate per persona occupata nell'UE-27, che era già in calo (figura 2), è diminuito del 2,7 % nel primo trimestre del 2020 e del 10,1 % nel secondo trimestre del 2020 (variazioni su base trimestrale). Questa netta diminuzione è dovuta in larga misura all'ampio ricorso a regimi di riduzione dell'orario lavorativo o di disoccupazione temporanea e alle restrizioni ai licenziamenti imposte da diversi Stati membri per contribuire a preservare i posti di lavoro. D'altro canto anche la perturbazione dell'occupazione causata dalla pandemia può avere effetti duraturi sulle ore lavorate. Tale tendenza potrebbe essere aggravata da altre tendenze a lungo termine, ad esempio l'elevato ricorso al lavoro a tempo parziale, il lavoro a chiamata tramite piattaforme digitali e una transizione più strutturale dell'occupazione verso settori a minore intensità di manodopera.
Figura 2: la pandemia ha inciso in modo significativo sulle tendenze relative all'occupazione e alle ore lavorate
Crescita dell'occupazione (fascia di età 15-64 anni) e delle ore lavorate per occupato nell'UE-27 e nella zona euro (variazione cumulativa, dati trimestrali - indice quarto trimestre 2008 = 100)
Fonte: Eurostat, conti nazionali, dati destagionalizzati e con correzione degli effetti di calendario (calcoli della DG EMPL).
La partecipazione al mercato del lavoro è diminuita drasticamente durante la pandemia. Dopo aver raggiunto il picco del 78,4 % nell'UE-27 e del 78,8 % nella zona euro nel secondo trimestre del 2019, il tasso di attività per la fascia di età 20-64 anni è sceso rispettivamente al 77 % e al 76,9 % nel secondo trimestre del 2020, con differenze considerevoli tra i diversi paesi. I tassi di attività sono diminuiti, insieme ai tassi di occupazione, nella maggior parte degli Stati membri (cfr. la figura 3 e il capitolo 3.1). Tale diminuzione non ha registrato sostanziali differenze di genere (-1,4 punti percentuali nell'UE-27 e -1,9 punti percentuali nella zona euro per gli uomini rispetto a -1,5 punti percentuali nell'UE-27 e -1,8 punti percentuali nella zona euro per le donne), tuttavia ha colpito in misura maggiore la fascia dei giovani (15-24 anni) rispetto ai lavoratori anziani (55-64 anni).
Figura 3: gli effetti della pandemia si sono fatti sentire in modo diverso da uno Stato membro all'altro
Tassi di occupazione, disoccupazione e attività nell'UE-27: variazione cumulata (in punti percentuali) tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. Dati destagionalizzati, senza correzione degli effetti di calendario.
Il tasso di posti di lavoro vacanti, il cui calo era iniziato già prima della crisi COVID-19, si è ridotto in modo significativo9. La curva di Beveridge10 (figura 4) mostra una forte diminuzione del numero di posti di lavoro vacanti e un leggero aumento della disoccupazione (fascia di età tra i 15 e i 74 anni). Il tasso di posti di lavoro vacanti nell'UE-27 si era attestato all'1,6 % nel secondo trimestre del 2020, in calo rispetto all'1,9 % del primo trimestre del 2020 e al 2,3 % del secondo trimestre del 2019. Questi ultimi sviluppi interrompono l'aumento moderato ma costante del tasso di posti di lavoro vacanti registrato nel periodo pre- crisi tra il 2014 e l'inizio del 2019 (da 1,3 % nel primo trimestre del 2014 a 2,3 % nel primo trimestre del 2019). In questo nuovo contesto ci si attende che una migliore corrispondenza tra la domanda e l'offerta di lavoro sia fondamentale nella creazione di mercati del lavoro resilienti e competitivi (cfr. il punto 3.3). La situazione varia notevolmente da uno Stato membro all'altro in termini di domanda di manodopera, tuttavia la capacità di individuare i cambiamenti del fabbisogno di competenze e di prepararsi ad essi inciderà in modo significativo sull'evoluzione del tasso di posti di lavoro vacanti nel periodo post-crisi11.
9 Il tasso di posti di lavoro vacanti è il totale dei posti vacanti espresso in percentuale del totale dei posti occupati e vacanti.
10 La curva di Xxxxxxxxx è una rappresentazione grafica della relazione tra la disoccupazione e un indicatore relativo ai posti di lavoro vacanti (che può essere il tasso di posti vacanti oppure, come in questo caso, un indicatore della carenza di manodopera).
11 Cfr. Commissione europea (2020), Labour Market and Wage Developments in Europe. Annual Review (di prossima pubblicazione).
Figura 4: i posti di lavoro vacanti diminuiscono mentre la disoccupazione aumenta moderatamente
Curva di Xxxxxxxxx per l'UE, 2008-2020, dati trimestrali
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro e statistiche sui posti di lavoro vacanti.
Nota: dati destagionalizzati (ad eccezione del tasso di posti di lavoro vacanti per il 2008 e il 2009).
Lo shock economico ha colpito l'occupazione in tutti i settori, sebbene con notevoli differenze tra le diverse attività economiche. Il numero di occupati è diminuito tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 in tutte le attività economiche ad eccezione del settore delle costruzioni (classificazione NACE). In termini assoluti le attività più colpite nell'UE-27 sono state il "commercio all'ingrosso e al dettaglio, i servizi di alloggio e i trasporti" (2,8 milioni di occupati in meno rispetto al secondo trimestre del 2019, pari a una riduzione del 5,5 %), seguiti dalle "attività professionali, scientifiche e tecniche" (ossia servizi amministrativi e di supporto), con un milione di occupati in meno rispetto al secondo trimestre del 2019 (pari a una riduzione del 3,6 %). In termini relativi i settori delle "attività artistiche, di intrattenimento e divertimento" e dell'"agricoltura, silvicoltura e pesca" hanno registrato i cali più significativi (pari rispettivamente al 5 % e al 4,3 %). Nel caso dell'agricoltura, l'impatto della pandemia sull'occupazione potrebbe aver accelerato la tendenza al ribasso a lungo termine. Il numero di occupati nel settore delle costruzioni ha invece registrato un lieve aumento rispetto al secondo trimestre del 2019 (pari a 0,4 %).
I giovani sono uno dei gruppi maggiormente colpiti dal deterioramento del mercato del lavoro, sebbene con forti differenze tra gli Stati membri. Nel 2019 il tasso di occupazione giovanile (fascia di età 15-24 anni) è aumentato attestandosi al 33,5 % nell'UE-27, ossia un aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al 2018 (34 % e 0,6 punti percentuali nella zona euro). Con l'inizio della crisi COVID-19 si è ridotto di 1,6 punti percentuali nel secondo trimestre del 2020 rispetto al secondo trimestre del 2019, scendendo al 31,2 % (-1,5 punti percentuali nella zona euro, in cui tale tasso è sceso fino al 31,8 % nel secondo trimestre del 2020). Il tasso di disoccupazione giovanile (fascia di età 15-24 anni), che nel 2019 aveva toccato il minimo, tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 è aumentato di 1,4 punti percentuali nell'UE-27 (di 1,2 punti percentuali nella zona euro). Complessivamente nell'UE vi erano 2,8 milioni di giovani disoccupati nel secondo trimestre del 2020: tale cifra raggiunge i 5,4 milioni se si considerano tutti quelli che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano (NEET). Il tasso trimestrale di NEET è
aumentato raggiungendo l'11,6 % nell'UE e il 12 % nella zona euro nel secondo trimestre del 2020 (da un minimo rispettivamente del 9,8 % e del 9,9 % nel secondo trimestre del 2019).
Per quanto riguarda i risultati del mercato del lavoro, i lavoratori anziani hanno resistito meglio agli effetti della pandemia. Il tasso di attività dei lavoratori anziani (fascia di età 55-64 anni) ha continuato ad aumentare nel corso del 2019, attestandosi al 62,2 % nel secondo trimestre del 2020, con solo una lieve flessione (0,2 punti percentuali) rispetto al secondo trimestre del 2019, ma comunque superiore di 9,3 punti percentuali rispetto al secondo trimestre del 2013, che ha segnato l'inizio della precedente ripresa. Il tasso di disoccupazione (fascia di età 55-74 anni) si è mantenuto a livelli bassi con una costante tendenza decrescente (4,4 % nel secondo trimestre 2020 rispetto al 4,8 % di un anno prima), il che potrebbe indicare il verificarsi di un effetto di scoraggiamento tra le persone anziane in cerca di lavoro. Viceversa il tasso di occupazione nella fascia di età 55-64 anni, attestatosi al 59,2 % nel secondo trimestre del 2020 (dopo un aumento costante di 10,6 punti percentuali dal secondo trimestre del 2013), si è comportato relativamente meglio rispetto al tasso riguardante altre fasce di età: ad esempio non ha fatto registrare alcuna variazione rispetto al secondo trimestre del 2019 (mentre nello stesso periodo il numero di giovani occupati di età compresa tra i 15 e i 24 anni è diminuito di 2,5 punti percentuali). Il tasso di occupazione degli adulti nella fascia primaria di età (25-54 anni) è diminuito di 1,1 punti percentuali, attestandosi al 79,4 % nel secondo trimestre del 2020.
Il tasso di occupazione delle donne ha subito lo shock causato dalla COVID-19 in misura leggermente inferiore rispetto a quello degli uomini, ma le differenze di genere persistono e devono essere monitorate in futuro. Nel 2019 il tasso di occupazione femminile è salito al 67,3 %, ossia 0,8 punti percentuali in più rispetto all'anno precedente. Nel secondo trimestre del 2020 il tasso di occupazione femminile ha mostrato un calo più
moderato (‑ 1 punto percentuale rispetto al primo trimestre del 2020 e -1,2 punti percentuali rispetto al secondo trimestre del 2019) in confronto al tasso di occupazione maschile
(rispettivamente -1,3 punti percentuali e -1,5 punti percentuali). Tali sviluppi recenti non hanno tuttavia ridotto in modo significativo il divario di genere nei livelli di occupazione, che nel secondo trimestre del 2020 si è attestato a 11,4 punti percentuali (leggermente inferiore agli 11,7 punti percentuali registrati nel secondo trimestre del 2019). L'effetto della crisi sui risultati occupazionali per genere impone un attento monitoraggio, poiché la riduzione del divario può essere imputabile a un impatto più significativo e temporaneo della pandemia sull'occupazione maschile piuttosto che a un maggiore attaccamento delle donne al mercato del lavoro. Nel secondo trimestre del 2020 il divario occupazionale è sceso a 11,5 punti percentuali per le donne di età compresa tra i 25 e i 49 anni, mentre si è attestato a 13 punti percentuali per le donne nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni. Nel 2019 il divario occupazionale era di 22,1 punti percentuali per le donne con basso livello di competenze, notevolmente superiore a quello delle donne con un livello di competenze medio (12,1 punti percentuali) e con un livello di competenze alto (6,4 punti percentuali).
Il tasso di occupazione delle persone nate al di fuori dell'UE ha risentito fortemente della pandemia. Prima della crisi questo indicatore (nella fascia di età 20-64 anni) è aumentato costantemente fino al 2019, mentre nel secondo trimestre del 2020 è sceso al 60,8 % (3,6 punti percentuali in meno rispetto al secondo trimestre del 2019), ossia una diminuzione in termini assoluti pari a 1,4 milioni di persone (da 16,2 milioni nel secondo trimestre del 2019 a 14,8 milioni nel secondo trimestre del 2020), e di quasi il 9 % in termini relativi.
Sebbene in calo, il numero di lavoratori atipici rimane considerevole: ne deriva una vulnerabilità individuale e sociale agli adeguamenti del mercato del lavoro. Sul totale dei
lavoratori dipendenti (fascia di età 15-64 anni) nel 2019 nell'UE-27 (167 milioni), quasi l'85 % aveva un contratto a tempo indeterminato (+1,3 % rispetto al 2018), mentre i restanti 25,2 milioni avevano un contratto a tempo determinato (-1,3 % rispetto al 2018). Il calo del numero di lavoratori a tempo determinato si è accentuato con la pandemia. Nel secondo trimestre del 2020, circa 21,2 milioni di lavoratori (di età compresa tra i 15 e i 64 anni, dati destagionalizzati) erano impiegati con contratti a tempo determinato nell'UE-27, ossia 4,1 milioni in meno rispetto a un anno prima. Data tale riduzione, nel secondo trimestre del 2020 la quota dei contratti a tempo determinato rispetto al totale dei lavoratori è scesa all'11,1 % (una diminuzione di 2,9 punti percentuali rispetto a un anno prima). Tale quota rimane leggermente più elevata nella zona euro, attestandosi all'11,7 %. La percentuale dei lavoratori a tempo parziale (fascia di età 15-64 anni) rispetto al totale dei lavoratori è scesa di 1,4 punti percentuali (attestandosi al 17 % nel secondo trimestre del 2020), facendo registrare un calo più marcato nella zona euro (1,8 punti percentuali). Tra questi, la quota di lavoratori a tempo parziale involontari è diminuita di 1,5 punti percentuali tra il 2018 e il 2019 ed è ora inferiore di 6,2 punti percentuali rispetto al picco del 2014 (32,7 %), con un dato leggermente superiore nella zona euro (26,9 % nel 2019). Il numero di persone occupate con un secondo lavoro ha continuato ad aumentare costantemente nel 2019 (8,2 milioni di persone nel 2019, rispetto a 7,8 milioni nel 2014).
Figura 5: differenze relative agli effetti della crisi in base al genere e all'età
Tassi di occupazione (concetto interno) tra i generi e le diverse fasce di età nell'UE, dati destagionalizzati
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro.
Il livello di istruzione rimane essenziale per migliorare l'occupabilità e i risultati del mercato del lavoro. Prima della pandemia il numero di occupati (tra i 25 e i 64 anni) con un livello di istruzione superiore continuava a crescere in modo costante (di 0,5 punti percentuali tra il 2018 e il 2019), con un corrispondente tasso di occupazione pari all'86,2 %. Nel 2019 il tasso di occupazione dei lavoratori con un livello di competenze medio (vale a dire quelli con un titolo di istruzione secondaria superiore) si era attestato al 76,5 %, con un aumento di 0,5 punti percentuali rispetto all'anno precedente e di 4,7 punti percentuali rispetto al 2014. Tali variazioni rispecchiano il fatto che la domanda di manodopera si è progressivamente spostata verso livelli più elevati di competenze, tra cui quelle digitali. A questa tendenza ha spesso corrisposto un livello medio di competenze più elevato tra i nuovi gruppi di persone che
entrano nel mercato del lavoro12. La quota di lavoratori con basso livello di competenze (ossia con un livello di istruzione secondaria di primo grado o inferiore) è aumentata di 0,7 punti percentuali nell'ultimo anno (e di 1 punto percentuale tra il 2017 e il 2018). Nel 2019 il tasso di occupazione di questo gruppo si è attestato al 56,3 %. Nello stesso anno il divario occupazionale tra i lavoratori con un basso livello di competenze e quelli altamente qualificati si è attestato a 30 punti percentuali, evidenziando la necessità di ulteriori iniziative di miglioramento delle competenze e di riqualificazione.
12 Commissione europea, Employment and Social Developments in Europe, Annual review 2020, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, 2020. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!XX00xx.
1.2 Tendenze nella società
Prima dell'inizio della crisi COVID-19, nell'UE-27 il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale continuava a diminuire13,14. Questa tendenza al ribasso è proseguita per sette anni consecutivi fino al 2019 (figura 6), quando il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale è sceso a 92,4 milioni (21,1 % della popolazione totale), circa 2,3 milioni in meno rispetto al 2018 (3.8 punti percentuali in meno rispetto al picco del 2012). La tendenza generale al ribasso riguardava tutti e tre i sottoindicatori: il tasso
di deprivazione materiale grave (‑ 0,5 punti percentuali), il tasso di intensità di lavoro molto bassa (‑ 0,3 punti percentuali) nonché il tasso di rischio di povertà (‑ 0,3 punti percentuali). Tali andamenti sono coerenti con l'aumento dell'occupazione e del reddito disponibile
registrato nel 2019 (cfr. punto 3.4). Tutti questi indicatori non colgono però ancora gli effetti della crisi COVID-19. Data l'importanza del reddito da lavoro per i mezzi di sussistenza delle famiglie e il calo sia dei tassi di occupazione sia delle ore lavorate, è probabile che nel 2020 la situazione delle famiglie peggiori in termini di reddito e di intensità di lavoro. La tendenza positiva del tasso AROPE potrebbe pertanto interrompersi e l'obiettivo della strategia Europa 2020 consistente nel ridurre di 20 milioni il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale potrebbe allontanarsi.
Nel 2019 la percentuale di persone a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali è diminuita, ma rimane elevata; è difficile stimare gli effetti della crisi. L'indicatore del rischio di povertà è rimasto sostanzialmente stabile, diminuendo marginalmente e attestandosi al 16,5 % nel 2019 (rispetto al 16,8 % del 2018, sulla base dei redditi dell'anno precedente). Il numero di persone che vivono in famiglie con un reddito disponibile equivalente inferiore al 60 % del reddito mediano nazionale è stato leggermente superiore a 84,5 milioni, ossia un milione e mezzo di persone in meno rispetto all'anno precedente. Le stime rapide Eurostat relative al reddito per l'anno 2019 indicano uno scenario piuttosto stabile15. Al momento della stesura del presente documento, le stime rapide relative ai redditi del 2020 (che perciò colgono gli effetti della crisi) non sono ancora disponibili. Le variazioni relative all'anno 2020 sono piuttosto difficili da prevedere, anche a causa del probabile effetto della crisi sui redditi
13 Le persone a rischio di povertà o di esclusione sociale (AROPE) sono persone che si trovano a rischio di povertà (AROP) o versano in stato di deprivazione materiale grave o vivono in famiglie (pressoché) senza occupati, ossia famiglie con un'intensità di lavoro molto bassa, oppure in una combinazione di tali situazioni.
Le persone a rischio di povertà sono persone che vivono in una famiglia il cui reddito disponibile equivalente è inferiore al 60 % del reddito equivalente mediano nazionale (questo è pertanto un indicatore di povertà di reddito).
Le persone versano in uno stato di deprivazione materiale grave se vivono in una famiglia che non è in grado di far fronte ad almeno quattro delle seguenti situazioni: 1) pagare tempestivamente l'affitto, il mutuo o le fatture di consumo corrente; 2) riscaldare in modo adeguato l'abitazione; 3) affrontare spese impreviste; 4) consumare carne, pesce o un equivalente proteico ogni due giorni; 5) trascorrere una settimana di vacanza all'anno al di fuori del domicilio; 6) avere accesso a un'automobile per uso privato; 7) disporre di una lavatrice; 8) disporre di un televisore a colori; e 9) disporre di un telefono.
Le persone che vivono in famiglie (pressoché) senza occupati sono persone di età compresa tra 0 e 59 anni che vivono in nuclei familiari in cui gli adulti in età lavorativa (18-59 anni) hanno lavorato meno del 20 % del loro potenziale lavorativo totale nel corso dell'ultimo anno (ossia nel corso dell'anno di riferimento del reddito).
14 Le statistiche sul reddito dell'indagine EU-SILC fanno riferimento ai redditi dell'anno precedente, ad eccezione dell'Irlanda (reddito dei 12 mesi precedenti l'indagine).
15 I dati EU-SILC nella maggior parte degli Stati membri fanno riferimento ai redditi dell'anno precedente (vale a dire i redditi del 2018 per l'indagine SILC 2019). Eurostat ha pubblicato le stime rapide per il reddito del 2019 (ossia indicatori dell'indagine EU-SILC pubblicati nel 2020), ma non ancora le stime rapide per il 2020. Cfr. la nota metodologica e i risultati pubblicati da Eurostat: xxxxx://xxxxxx.xx/!xx00xX.
mediani. I risultati delle simulazioni16 mostrano che, grazie alle misure politiche adottate in risposta alla crisi, il tasso AROP potrebbe aumentare solo di 0,1 punti percentuali in media nell'UE. Il tasso "anchored-AROP" (vale a dire il tasso calcolato rispetto a una soglia di povertà fissata in un anno di riferimento) aumenterebbe invece di 1,7 punti percentuali, confermando il previsto calo sostanziale dei livelli di reddito rispetto a una linea di povertà fissa17.
La forte diminuzione del numero di persone in condizioni di deprivazione materiale grave verificatasi prima della pandemia ha contribuito alla convergenza sociale verso l'alto. Nel 2019 oltre 2 milioni di persone sono uscite dallo stato di deprivazione materiale grave in cui versavano, il che ha ridotto il numero complessivo di persone interessate portandolo a 24,4 milioni, pari al 5,6 % della popolazione dell'UE. Tale diminuzione ha rappresentato un miglioramento significativo per il settimo anno consecutivo ed era dovuta ai buoni risultati registrati negli Stati membri in cui il tasso di deprivazione materiale grave era più elevato (cfr. il punto 3.4); tale diminuzione ha contribuito al proseguimento della convergenza sociale verso l'alto (anche se a un ritmo più lento nel 2019 rispetto agli anni precedenti).
16 Cfr. Xxxxxxx et al. (2020), Households' income and the cushioning effect of fiscal policy measures during the Great Lockdown, documenti di lavoro del JRC sulle riforme fiscali e strutturali, n. 06/2020. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!Xx00xX; il documento programmatico che lo accompagna è disponibile all'indirizzo xxxxx://xxxxxx.xx/!XX00Xx.
17 In questo caso la linea di povertà è ancorata al valore delle simulazioni di riferimento di EUROMOD 2019 anziché alla linea di povertà stimata per il 2020.
Figura 6: prima della crisi COVID-19 la quota di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale era in declino, mentre la quota di persone a rischio di povertà era rimasta sostanzialmente stabile
Percentuale di popolazione a rischio di povertà o di esclusione sociale (AROPE) e relativi sottoindicatori (2010- 2019)
Fonte: Eurostat, indicatori t2020_50, t2020_51, t2020_52, t2020_53. I dati si riferiscono agli Stati membri dell'UE-27 e al periodo da febbraio 2020 in poi.
Allo stesso tempo i buoni risultati del mercato del lavoro precedenti la pandemia hanno contribuito all'ulteriore riduzione del numero di persone che vivono in famiglie pressoché senza occupati. Nel 2019 il numero di persone che vivono in famiglie con un'intensità di lavoro molto bassa è diminuito di oltre 1 milione. Queste persone rappresentavano l'8,5 % della popolazione totale; tale percentuale ha fatto registrare un ulteriore calo rispetto al picco del 2014. Dato che lo shock causato dalla COVID-19 ha colpito un numero relativamente maggiore di lavoratori in posti di lavoro meno stabili (cfr. il punto 3.3), questo indicatore potrebbe deteriorarsi notevolmente nel 2020.
Il rischio di povertà o di esclusione sociale, sebbene sia diminuito in modo significativo nel 2019, è rimasto più elevato per i bambini. Tra il 2018 e il 2019 il numero di minori (di età inferiore a 18 anni) a rischio di povertà o di esclusione sociale nell'UE-27 è diminuito di 674 000 minori, facendo registrare un calo del 3,6 %. Il relativo tasso AROPE si era quindi attestato al 22,5 % per i bambini, in calo rispetto al 23,4 % del 2018. Rispetto a un tasso AROPE del 21,5 % per la popolazione in età lavorativa (18-64 anni) e del 18,6 % per le persone anziane (65 anni o più), tale tasso rimane ancora elevato.
Il rischio di povertà lavorativa è leggermente diminuito nel 2019, pur rimanendo a un livello elevato, mentre l'intensità della povertà è stata alta per le persone appartenenti a famiglie a intensità di lavoro molto bassa. Nel 2019 la percentuale di persone a rischio di povertà lavorativa è diminuita di 0,3 punti percentuali fino ad arrivare al 9 %, un livello che continua a scendere rispetto al picco del 9,8 % raggiunto nel 2016, ma ancora superiore di 0,5 punti percentuali rispetto al minimo raggiunto nel 2010. Le persone che lavorano a tempo
parziale e con contratti a tempo determinato restano più esposte a tale rischio, con tassi di povertà lavorativa rispettivamente del 15,1 % e del 16,2 % (cfr. anche i punti 3.1.1 e 3.4.1). Allo stesso tempo nel 2019 lo scarto relativo dalla povertà di reddito mediana18, che misura la distanza dei livelli di reddito degli individui a rischio di povertà dalla linea di povertà (ossia la gravità della povertà), era pari al 24,4 %, un livello quasi invariato rispetto al 2018. Gli Stati membri presentano dinamiche diverse (per maggiori dettagli cfr. il punto 3.4.1). A livello aggregato, nel 2019 lo scarto di povertà per la popolazione in età lavorativa (18-64 anni) che vive in famiglie (pressoché) senza occupati19 è rimasto stabile al 36,2 %, il che fa presupporre l'inadeguatezza e la scarsa copertura delle prestazioni.
Nel 2019 la disparità di reddito è rimasta elevata e la convergenza è rallentata. In media il 20 % più ricco delle famiglie negli Stati membri aveva un reddito cinque volte superiore a quello del 20 % più povero. I dati indicano che nell'ultimo decennio l'aumento complessivo delle disparità di reddito è stato determinato da un aumento delle disparità nel segmento inferiore della distribuzione (cfr. il punto 3.4). I miglioramenti limitati, soprattutto nei paesi con livelli più elevati di disparità, indicano un rallentamento della convergenza. La quota di reddito del 40 % delle famiglie corrispondente alla fascia inferiore della distribuzione del reddito era in aumento fino al 2019, in linea con i miglioramenti moderati di altri indicatori relativi alla disparità di reddito. La media dell'UE-27 ha raggiunto il 21,4 % nel 2019, rispetto al 21,2 % del 2018 e del 2017 (e a un minimo del 20,9 % nel 2014 e nel 2015). Poiché si tratta di questioni a lungo termine, è importante realizzare analisi previsionali sistemiche per acquisire una conoscenza approfondita delle possibili soluzioni per il futuro e rafforzare la resilienza dell'UE.
18 Lo scarto relativo dal rischio di povertà mediano si calcola come la differenza tra il reddito netto totale equivalente mediano delle persone al di sotto della soglia di rischio di povertà e la soglia di rischio di povertà, espressa in percentuale della soglia di rischio di povertà (valore di soglia: 60 % del reddito medio equivalente).
19 L'indicatore si calcola come la differenza tra il reddito netto totale equivalente mediano delle persone al di sotto della soglia di rischio di povertà e con un'intensità di lavoro molto bassa e la soglia di rischio di povertà, espressa in percentuale della soglia di rischio di povertà. Tale soglia è fissata al 60 % del reddito disponibile equivalente mediano nazionale di tutte le persone di un paese e non dell'UE nel suo insieme.
2. ISTANTANEE TRATTE DAL QUADRO DI VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE SOCIALE
Il pilastro europeo dei diritti sociali è stato proclamato congiuntamente dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione il 17 novembre 2017 e stabilisce venti principi e diritti con l'obiettivo di sostenere pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque, protezione sociale e inclusione. È concepito come una bussola per un processo di convergenza verso migliori condizioni socioeconomiche negli Stati membri. L'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali è una priorità, particolarmente nell'attuale situazione di crisi. Nel primo trimestre del 2021 la Commissione presenterà un ambizioso piano d'azione per garantirne la piena attuazione. Tale piano sarà lo strumento centrale con cui la Commissione contribuirà alla ripresa socioeconomica e alla resilienza a medio e lungo termine, al fine di migliorare l'equità sociale delle transizioni digitale e verde.
Il pilastro europeo dei diritti sociali è accompagnato da un quadro di valutazione della situazione sociale che permette di monitorare i risultati e di seguire l'andamento delle tendenze negli Stati membri 20 . Il quadro di valutazione contempla diversi indicatori (principali e secondari) per vagliare i risultati occupazionali e sociali degli Stati membri lungo tre dimensioni generali individuate nel quadro del pilastro: i) pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, ii) mercati del lavoro dinamici e condizioni di lavoro eque e iii) sostegno pubblico / protezione sociale e inclusione. Dalla sua edizione del 2018, la relazione comune sull'occupazione integra il quadro di valutazione della situazione sociale, i cui risultati sono sintetizzati nel presente capitolo in relazione agli indicatori principali. L'analisi si inserisce nel più ampio contesto di riforma presentato nel capitolo 3.
2.1 Spiegazione del quadro di valutazione
Il quadro di valutazione della situazione sociale costituisce uno strumento essenziale per il monitoraggio dei risultati occupazionali e sociali e della convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro. Contribuisce in particolare a monitorare la situazione degli Stati membri in relazione alle dimensioni misurabili del pilastro, integrando gli strumenti di monitoraggio esistenti, in particolare il monitoraggio dei risultati in materia di occupazione e il monitoraggio dei risultati in materia di protezione sociale21. Il quadro di valutazione della situazione sociale consta di 14 indicatori principali che valutano le tendenze sociali e occupazionali in generale:
- pari opportunità e accesso al mercato del lavoro:
▪ tasso di abbandono precoce di istruzione e formazione, fascia di età 18-24 anni;
▪ divario di genere nei livelli di occupazione, fascia di età 20-64 anni;
▪ disparità di reddito misurata in rapporto interquintilico S80/S20;
▪ xxxxx di rischio di povertà o di esclusione sociale (AROPE);
▪ giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano (NEET), fascia di età 15-24 anni;
20 SWD(2017) 200 final, che accompagna la comunicazione COM(2017) 250 final, del 26 aprile 2017.
21 Il monitoraggio dei risultati in materia di occupazione (EPM) e il monitoraggio dei risultati in materia di protezione sociale (SPPM) sono relazioni annuali redatte rispettivamente dal comitato per l'occupazione e dal comitato per la protezione sociale. Esse individuano le tendenze da tenere sotto osservazione, le principali sfide occupazionali e sociali negli Stati membri e monitorano i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di occupazione e di riduzione della povertà.
- mercati del lavoro dinamici e condizioni di lavoro eque:
▪ tasso di occupazione, fascia di età 20-64 anni;
▪ tasso di disoccupazione, fascia di età 15-74 anni;
▪ tasso di disoccupazione di lungo periodo, fascia di età 15-74 anni;
▪ reddito lordo disponibile delle famiglie in termini reali, pro capite22;
▪ reddito netto di un lavoratore a tempo pieno single senza figli che percepisce un salario medio23;
- sostegno pubblico / protezione sociale e inclusione:
▪ effetto dei trasferimenti sociali sulla riduzione della povertà (pensioni escluse)24;
▪ bambini di età inferiore a tre anni inseriti in strutture formali di cura dell'infanzia;
▪ esigenze di cure mediche insoddisfatte dichiarate dall'interessato25;
▪ percentuale della popolazione con competenze digitali complessive di base o superiori.
Gli indicatori principali sono analizzati mediante una metodologia comune approvata dal comitato per l'occupazione e dal comitato per la protezione sociale (cfr. l'allegato 3 per ulteriori dettagli). Tale metodologia valuta la situazione e gli sviluppi negli Stati membri esaminando i livelli e le variazioni annue26 di ciascuno degli indicatori principali previsti dal quadro di valutazione della situazione sociale. I livelli e le variazioni sono classificati in funzione della loro distanza dalle rispettive medie UE (non ponderate). I risultati degli Stati membri relativi ai livelli e alle variazioni sono quindi combinati (utilizzando una matrice predefinita) in modo tale che a ogni Stato membro sia attribuita una di sette categorie ("risultati migliori", "superiori alla media", "buoni ma da monitorare", "nella media/neutri", "modesti ma in miglioramento", "da tenere sotto osservazione" e "situazioni critiche"). Su tale base la tabella 1 offre una sintesi dei risultati del quadro di valutazione secondo i dati più
22 Come richiesto dal comitato per la protezione sociale, questo indicatore è misurato utilizzando il "reddito non corretto" (vale a dire senza tenere conto dei trasferimenti sociali in natura) e senza far riferimento all'uso di unità di standard di potere d'acquisto (SPA).
23 I livelli di questo indicatore sono espressi in standard di potere d'acquisto (SPA), mentre le variazioni sono espresse in valuta nazionale e in termini reali. Per contenere le fluttuazioni a breve termine si utilizza la media dei tre anni sia per i livelli che per le variazioni. Questo indicatore dovrebbe essere letto e interpretato congiuntamente ad altri indicatori quali il tasso di povertà lavorativa, il rapporto tra il quinto e il primo decile della distribuzione salariale (D5/D1) e altri indicatori pertinenti del quadro di valutazione comune (Joint Assessment Framework - JAF) e del monitoraggio dei risultati in materia di occupazione (Employment Performance Monitor - EPM) / monitoraggio dei risultati in materia di protezione sociale (Social Protection Performance Monitor - SPPM).
24 Misurato come differenza, nella popolazione totale, tra la percentuale di persone a rischio di povertà (di reddito) prima e dopo i trasferimenti sociali.
25 Le esigenze di cure mediche insoddisfatte dichiarate dall'interessato indicano i casi in cui, nella valutazione soggettiva del rispondente, questi avrebbe dovuto sottoporsi a esami o cure sanitarie specifiche ma non li ha effettuati o vi ha rinunciato per i tre motivi seguenti: "motivi finanziari", "lista d'attesa" e "distanza eccessiva". L'espressione "cure mediche" si riferisce a singoli servizi sanitari (visite o cure mediche, escluse quelle odontoiatriche) prestati da o sotto la diretta supervisione di medici o professionisti equivalenti in base ai sistemi sanitari nazionali (definizione Eurostat). I problemi segnalati per ricevere assistenza in caso di malattia possono indicare ostacoli all'assistenza sanitaria.
26 Ad eccezione del reddito lordo disponibile delle famiglie, misurato come numero indice (2008 = 100, in modo da rispecchiare la variazione rispetto al periodo precedente la crisi) e delle variazioni dell'ultimo anno, nonché del reddito netto di un lavoratore a tempo pieno single senza figli che percepisce un salario medio, per cui sono utilizzate medie triennali, in accordo con il comitato per l'occupazione e il comitato per la protezione sociale.
recenti disponibili per ciascun indicatore. Nel capitolo 3 è presentata un'analisi dettagliata dei quattordici indicatori, compresi, ove opportuno, indicatori supplementari e tendenze a più lungo termine.
I risultati del quadro di valutazione della situazione sociale aiutano a individuare le sfide occupazionali e sociali negli Stati membri. Nel contesto del semestre europeo i dati del quadro di valutazione della situazione sociale sono stati utilizzati regolarmente nelle relazioni per paese al fine di orientare l'analisi delle sfide specifiche per paese. A livello di Stati membri sono stati utilizzati anche per la preparazione dei programmi nazionali di riforma e dei programmi di stabilità e convergenza. Unitamente all'analisi ulteriore inclusa nel monitoraggio dei risultati in materia di occupazione e nel monitoraggio dei risultati in materia di protezione sociale, è stata in tal modo fornita, ove opportuno, una base analitica per le successive proposte di raccomandazioni specifiche per paese formulate dalla Commissione. Durante questo processo si impone una lettura attenta e non meccanica della tabella e vengono presi in considerazione ulteriori elementi di natura qualitativa e quantitativa.
Il quadro di valutazione della situazione sociale sarà d'ausilio nella preparazione dei programmi nazionali di riforma e dei piani per la ripresa e la resilienza, i principali documenti di riferimento nell'ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Come indicato nella strategia annuale di crescita sostenibile 202127, il dispositivo per la ripresa e la resilienza comporterà dei cambiamenti nel ciclo del semestre europeo 2021. Date le complementarità con il semestre europeo, gli Stati membri sono incoraggiati a presentare il loro programma nazionale di riforma e il piano per la ripresa e la resilienza in un unico documento integrato. Inoltre, come indicato negli orientamenti sui piani per la ripresa e la resilienza28, gli Stati membri sono invitati a spiegare in termini generali in che modo i piani siano coerenti con il pilastro europeo dei diritti sociali e contribuiscano efficacemente alla sua attuazione. Sono inoltre invitati a fornire un quadro dell'impatto economico e sociale complessivo del piano (unitamente a una valutazione delle prospettive macroeconomiche), presentando gli indicatori pertinenti, tratti anche dal quadro di valutazione della situazione sociale. Per gli Stati membri che presenteranno i loro piani nel 2021, la Commissione valuterà il contenuto di tali piani mediante documenti analitici che accompagneranno le proposte di atti di esecuzione del Consiglio29.
La relazione comune sull'occupazione 2021 integra una dimensione regionale nel quadro di valutazione della situazione sociale. L'evoluzione degli indicatori a livello nazionale potrebbe nascondere importanti differenze a livello regionale (mentre è proprio a livello regionale che in numerosi Stati membri viene spesso decisa una serie di politiche e finanziamenti). In tale contesto, per il secondo anno la relazione comune sull'occupazione contiene dati sulla situazione regionale, sulla base del quadro di valutazione della situazione sociale. Nell'allegato 4 viene presentata in particolare una serie di mappe che mostrano i dati disaggregati a livello regionale per ciascuno Stato membro in relazione ad alcuni indicatori principali del quadro di valutazione della situazione sociale 30 . Inoltre l'analisi di cui al
27 COM(2020) 575 final.
28 SWD(2020) 205 final.
29 Detti documenti sostituiranno le relazioni per paese nel 2021. Inoltre nel 2021 la Commissione non proporrà per tali Stati membri raccomandazioni specifiche per paese, ma formulerà raccomandazioni sulla situazione di bilancio, come previsto dal patto di stabilità e crescita.
30 Per i quali sono disponibili dati a livello regionale (NUTS 2) (tasso di abbandono scolastico, divario di genere nei livelli di occupazione, tasso di NEET, tasso di occupazione, tasso di disoccupazione, tasso di disoccupazione
capitolo 3 riporta, ove opportuno, i risultati a livello regionale per gli Stati membri in cui esistono grandi disparità 31 tra le regioni NUTS 2. I dati e i risultati permettono di comprendere meglio come si comportano le diverse regioni di un paese in relazione ad alcune dimensioni principali del pilastro e aiutano a monitorare la convergenza all'interno dei paesi, a valutare l'impatto delle politiche regionali e a influenzare l'elaborazione di queste ultime.
2.2 Elementi tratti dal quadro di valutazione della situazione sociale
Il quadro di valutazione della situazione sociale rispecchia la situazione occupazionale determinata dalla crisi COVID-19, mostrando nel contempo le condizioni a livello sociale e di competenze esistenti prima della pandemia, per questioni di disponibilità dei dati. Sin dalla presentazione del quadro di valutazione, la situazione degli Stati membri è stata valutata in base agli indicatori principali del quadro (mediante la metodologia descritta nella sezione precedente) utilizzando i più recenti dati annuali disponibili, sia per i livelli che per le variazioni. Nell'attuale congiuntura, con questo approccio si dovrebbero considerare i dati del 2019 (e le variazioni rispetto al 2018) per la maggior parte degli indicatori; l'utilizzo di dati annuali non consentirebbe tuttavia di esaminare gli ultimi sviluppi del mercato del lavoro in un contesto di crisi e la loro inversione rispetto alle tendenze passate (pre- pandemia). In questo contesto il gruppo dell'EMCO per gli indicatori ha deciso di abbandonare temporaneamente l'utilizzo dei dati annuali per la valutazione della situazione sociale e di utilizzare invece gli ultimi dati trimestrali effettivamente disponibili (sulla base dell'Indagine sulle forze di lavoro) in relazione ai seguenti cinque indicatori principali del mercato del lavoro32:
• tasso di occupazione, fascia di età 20-64 anni;
• divario di genere nei livelli di occupazione, fascia di età 20-64 anni;
• tasso di disoccupazione, fascia di età 15-74 anni;
• tasso di disoccupazione di lungo periodo, fascia di età 15-74 anni;
• giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano (tasso di NEET), fascia di età 15-24 anni.
Dagli indicatori principali emerge un deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro nella prima metà del 2020. Tra i cinque indicatori del mercato del lavoro sopra citati, il tasso di occupazione e il tasso di NEET nell'UE-2733 sono peggiorati nel secondo trimestre del 2020 rispetto allo stesso trimestre del 2019, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto costante; il divario di genere nei livelli di occupazione e il tasso di disoccupazione di lungo
di lungo periodo, tasso di rischio di povertà o di esclusione sociale, effetto dei trasferimenti sociali (pensioni escluse) sulla riduzione della povertà, necessità di cure mediche insoddisfatte dichiarate dall'interessato e rapporto tra quintili di reddito).
31 Sulla base del coefficiente di variazione ponderato in funzione della popolazione.
32 Per questi cinque indicatori, i dati del secondo trimestre del 2020 (destagionalizzati) sono utilizzati come "livelli" degli indicatori e le differenze tra il secondo trimestre del 2020 e il secondo trimestre del 2019 (destagionalizzate) sono utilizzate come "variazioni". I diagrammi di dispersione annuali pertinenti e le tabelle dei dati relativi al 2019 sono riportati nell'allegato a titolo informativo.
33 Questo dato si riferisce alle medie ponderate dell'UE, tranne per l'indicatore "reddito netto di un lavoratore a tempo pieno single senza figli che percepisce un salario medio", per il quale è utilizzata la media non ponderata.
periodo hanno invece mostrato un certo miglioramento (maggiori dettagli sulle tendenze recenti si trovano nel capitolo 1).
Gli indicatori sociali e quelli relativi alle competenze, per i quali sono disponibili solo i dati pre-COVID-19, hanno continuato a migliorare nel 201934. I restanti nove indicatori principali mostrano una tendenza positiva o sostanzialmente stabile su base annua (ossia nel 2019 o nel 2018 a seconda della disponibilità dei dati). In particolare, in media è stato rilevato un miglioramento per quanto riguarda la povertà, la disuguaglianza e i relativi indicatori (vale a dire la percentuale di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale, il rapporto tra quintili di reddito, il reddito pro capite lordo disponibile delle famiglie, il reddito netto di un lavoratore a tempo pieno single che percepisce il salario medio), come pure per gli indicatori relativi all'istruzione, alla cura dell'infanzia e alle competenze (abbandono precoce di istruzione e formazione, inserimento dei bambini di età inferiore a tre anni in strutture di cura dell'infanzia, percentuale della popolazione con competenze digitali di base o superiori). È stata osservata una tendenza sostanzialmente stabile per quanto riguarda l'effetto dei trasferimenti sociali sulla riduzione della povertà e le esigenze di cure mediche insoddisfatte dichiarate dall'interessato.
Come evidenziato nei diagrammi di dispersione nel capitolo 3, si può notare una tendenza divergente tra gli Stati membri per la maggior parte degli indicatori del mercato del lavoro (ad eccezione del tasso di disoccupazione di lungo periodo). Ciò significa che, in media, gli Stati membri con una situazione iniziale peggiore hanno registrato un deterioramento più marcato nel secondo trimestre del 2020 rispetto al secondo trimestre del 2019. Tuttavia è generalmente possibile osservare un certo grado di convergenza per gli altri indicatori principali (in alcuni casi la tendenza non è chiaramente definita).
Quasi tutti gli Stati membri incontrano difficoltà in relazione ad almeno un indicatore principale. Considerando nel loro insieme le tre categorie più problematiche (ossia "situazione critica", "da tenere sotto osservazione" e risultati "modesti ma in miglioramento"), tutti gli Stati membri sono segnalati almeno una volta, ad eccezione della Germania. Considerando solo le "situazioni critiche" (vale a dire gli indicatori il cui livello è molto inferiore alla media e che nel corso dell'ultimo anno non sono migliorati abbastanza rapidamente o sono ulteriormente peggiorati), sono stati segnalati 15 Stati membri, uno in più rispetto alla relazione comune sull'occupazione 202035. L'Austria, l'Ungheria e il Portogallo si sono uniti a questo gruppo di paesi (gli ultimi due vi sono "rientrati", dopo esserne usciti l'anno precedente), mentre Estonia e Lituania ne sono uscite. Nei 14 ambiti valutati sono stati complessivamente individuati 116 casi di "situazioni critiche", "da tenere sotto osservazione" o di risultati "modesti ma in miglioramento", vale a dire circa il 33 % del numero totale di valutazioni (un punto percentuale in più rispetto alla relazione comune sull'occupazione 2020). Di tali casi, 41 sono "situazioni critiche" (pari all'11,1 % di tutte le valutazioni), rispetto ai 40 casi della relazione comune sull'occupazione 2019 (pari al 10,3 % di tutte le valutazioni).
34 La data limite per l'estrazione degli indicatori principali del quadro di valutazione della situazione sociale è il 28 ottobre 2020.
35 I dati non sono direttamente comparabili poiché nella relazione 2020 la valutazione ha riguardato l'UE-28 mentre in quella attuale riguarda l'UE-27; il calcolo dei valori medi e delle deviazioni standard è influenzato dalla composizione dei paesi. Nella relazione 2020 il Regno Unito non presentava "situazioni critiche".
Come negli anni precedenti, la situazione degli Stati membri e la gravità delle rispettive sfide variano ampiamente in relazione agli indicatori del mercato del lavoro, anche in considerazione degli effetti della crisi. Romania e Spagna presentano valutazioni "critiche", "da tenere sotto osservazione" o "modeste ma in miglioramento" per dieci o più indicatori, seguite da Bulgaria e Grecia con nove criticità ciascuna (cfr. tabella 1). Di questi paesi, Bulgaria, Romania e Spagna presentano il numero più elevato di "situazioni critiche" (sei per ciascun paese), seguite dalla Grecia (quattro). Grecia, Romania e Spagna ottengono tuttavia anche una serie di valutazioni positive ciascuna (registrate prima dell'inizio della pandemia): la Grecia è tra i paesi con i "risultati migliori" in relazione all'abbandono scolastico e consegue risultati "superiori alla media" per quanto riguarda la disparità di reddito e il livello individuale di competenze digitali; la Spagna è tra i paesi con i "risultati migliori" per quanto riguarda la partecipazione alla cura dell'infanzia e consegue risultati "superiori alla media" in relazione alle esigenze di cure mediche insoddisfatte dichiarate dall'interessato; la Romania è tra i paesi con i "risultati migliori" in relazione alla crescita del reddito pro capite disponibile delle famiglie. In termini di computo complessivo delle criticità, seguono l'Italia (sette criticità), Cipro, l'Ungheria e la Lettonia (sei per ciascun paese)36. Per contro, la Cechia e i Paesi Bassi ottengono i "risultati migliori" o risultati "superiori alla media" per dieci indicatori principali, seguiti da Danimarca e Svezia (nove indicatori ciascuno) e Germania (otto indicatori).
36 Da notare che l'Italia presentava più di dieci criticità nella relazione comune sull'occupazione 2020. Al momento della stesura del presente documento mancano i dati dell'Italia per quattro indicatori principali e quelli della Lettonia per un indicatore principale.
Tabella 1: sintesi degli indicatori principali del quadro di valutazione della situazione sociale
Nota: aggiornamento del 28 ottobre 2020. Il rapporto tra quintili di reddito non è disponibile per IE, FR, IT, LV e SK. Il tasso di rischio di povertà o di esclusione sociale non è disponibile per IE e IT. Il tasso di NEET e il tasso di disoccupazione di lungo periodo non sono disponibili per DE. La crescita del reddito pro capite lordo disponibile delle famiglie non è disponibile per BG, EL, LU, MT e PL. Il reddito netto di un lavoratore a tempo pieno single senza figli che percepisce il salario medio non è affidabile (e non è riportato) per DK. Il dato sull'effetto dei trasferimenti sociali sulla riduzione della povertà non è disponibile per IE, IT e SK. Il dato sulle esigenze di cure mediche insoddisfatte dichiarate dall'interessato non è disponibile per IE, FR, IT e SK. Il dato sull'inserimento dei bambini di età inferiore a tre anni in strutture formali di cura dell'infanzia non è disponibile per FR, IE, IT e SK. Il dato sul livello individuale di competenze digitali non è disponibile per IT (manca il 2017). Le interruzioni nelle serie e altre segnalazioni statistiche sono riportate negli allegati 1 e 2.
45
3. RIFORME OCCUPAZIONALI E SOCIALI - RISULTATI E AZIONE DEGLI STATI MEMBRI
Questa sezione presenta una panoramica dei recenti indicatori occupazionali e sociali chiave nonché delle misure adottate dagli Stati membri negli ambiti prioritari individuati negli orientamenti dell'UE a favore dell'occupazione, adottati dal Consiglio nel 202037. La presente sezione si basa sui programmi nazionali di riforma degli Stati membri per il 2020 e su fonti della Commissione europea38. Salvo diversa indicazione, nella relazione sono presentate solo le misure strategiche attuate dopo il giugno 2019. Per un'analisi approfondita dell'andamento recente del mercato del lavoro cfr. Labour Market and Wage Developments, Annual Review 202039 e Employment and Social Developments in Europe, Annual Review 202040.
3.1 Orientamento 5: rilanciare la domanda di forza lavoro
Questa sezione si sofferma sull'attuazione dell'orientamento 5 in materia di occupazione, che raccomanda agli Stati membri di istituire condizioni che promuovano la domanda di forza lavoro e la creazione di posti di lavoro. In primo luogo presenta una panoramica dei tassi di disoccupazione e di occupazione per Stato membro, a integrazione dell'analisi a livello di UE che figura nel capitolo 1. Esamina poi l'evoluzione delle tendenze del lavoro autonomo, della dinamica salariale, dei salari minimi e del cuneo fiscale. Il punto 3.1.2 illustra le misure strategiche attuate dagli Stati membri in questi settori, con particolare attenzione alle risposte politiche per preservare l'occupazione e sostenere la creazione di posti di lavoro nel contesto della pandemia.
Nel secondo trimestre del 2020 il numero di persone occupate è diminuito per l'effetto della crisi COVID‑ 19. Nel corso del 2019 l'occupazione totale è aumentata o è rimasta stabile in tutti gli Stati membri rispetto al 2018 (ad eccezione di lievi diminuzioni in Polonia e Romania). In diversi Stati membri la crescita dell'occupazione è rallentata o è diventata negativa nel primo trimestre del 2020 (con una media di -0,2 % nell'UE su base trimestrale). Nel secondo trimestre tutti gli Stati membri (ad eccezione di Malta) hanno successivamente registrato un calo (con una media pari a -2,7 % nell'UE) che ha interessato oltre sei milioni di persone rispetto al picco del livello occupazione registrato nel quarto trimestre del 2019. Le flessioni maggiori si sono registrate in Spagna (-8,4 %, pari a 1,7 milioni di persone), Irlanda (-6,1 %), Estonia e Ungheria (-5,6 %). In altri tredici Stati membri l'occupazione ha registrato una crescita negativa inferiore a -2 % (figura 7). Il calo invece è stato più moderato a Cipro (- 0,9 %), in Polonia (-0,4 %) e in Lussemburgo (-0,3 %). Malta è stato l'unico paese a registrare un aumento dell'occupazione, pari all'1,7 %.
37 GU L 344 del 19.10.2020, pag. 22.
38 Compresa la banca dati LABREF, disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!XX00Xx.
39 Commissione europea, Labour Market and Wage Developments in Europe, Annual review 2020,
Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, 2020, di prossima pubblicazione.
40 Commissione europea, Employment and Social Developments in Europe, Annual Review 2020, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, 2020. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!XX00xx.
Figura 7: calo sostanziale dell'occupazione in tutta l'UE
Variazione percentuale dell'occupazione totale e delle ore lavorate tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020
Fonte: Eurostat, conti nazionali.
Nota: dati destagionalizzati e con correzione degli effetti di calendario, tranne per CZ, EL, FR, MT, PL, PT, SK (occupazione) e MT, SK (ore lavorate), per i quali i dati sono solo destagionalizzati. I dati sulle ore lavorate per BE non sono disponibili.
Figura 8: le assenze dal lavoro sono aumentate bruscamente in tutta l'UE
Assenze dal lavoro in percentuale dell'occupazione totale (fascia di età 20-64 anni)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. Nota: dati destagionalizzati. I dati per DE non sono disponibili per il secondo trimestre del 2020.
I regimi di riduzione dell'orario lavorativo hanno contribuito a contenere la perdita di posti di lavoro. Dall'inizio della crisi gli Stati membri hanno diffusamente attuato e/o rafforzato i regimi di riduzione dell'orario lavorativo o altri programmi di mantenimento dell'occupazione, con l'obiettivo di limitare la perdita di posti di lavoro, evitare la dispersione del capitale umano a livello di impresa e sostenere la domanda aggregata in una fase di grave
recessione economica. Allo stesso tempo i datori di lavoro hanno anche adeguato autonomamente la domanda di manodopera per garantire la sostenibilità della loro attività. Come già illustrato nella sezione 1 e come si evince dalla figura 7, il calo delle ore lavorate è stato considerevolmente maggiore rispetto al calo dell'occupazione (-13,5 % rispetto a -2,9 % nell'UE nel secondo trimestre del 2020 in confronto al quarto trimestre del 2019), fenomeno che può essere in gran parte attribuito al funzionamento dei regimi di riduzione dell'orario lavorativo. Le maggiori discrepanze tra i due indicatori 41 nei vari paesi possono essere individuate in Lussemburgo, Slovacchia, a Cipro, in Grecia, Cechia, Germania, Francia e Italia. Parallelamente, come si evince dalla figura 8, il numero di lavoratori assenti dal lavoro (in rapporto all'occupazione totale) è aumentato bruscamente, con un incremento di 12,1 punti percentuali nell'UE (dal 9,7 % nel quarto trimestre del 2019, dopo un andamento stabile nel corso dell'ultimo decennio, al 21,8 % nel secondo trimestre del 2020). I licenziamenti temporanei hanno rappresentato da soli quasi la metà di tutte le assenze (un improvviso aumento dallo 0,2 % nel quarto trimestre del 2019 al 10,3 % nel secondo trimestre del 2020). Gli aumenti maggiori della percentuale di assenze sono stati registrati in Grecia (+35,9 punti percentuali), Cipro (+25 punti percentuali), Irlanda (+19 punti percentuali), Spagna (+18,7 punti percentuali), Italia e Portogallo (+18 punti percentuali).
Il ricorso a regimi di riduzione dell'orario lavorativo durante la crisi COVID-19 ha raggiunto livelli senza precedenti in tutti i paesi (per i quali i dati sono pubblicamente disponibili)42. Il ricorso alla riduzione dell'orario lavorativo è stato particolarmente diffuso nel settore dei servizi (principalmente alberghi e ristoranti) e nel commercio al dettaglio. L'adozione di tali regimi è stata relativamente più bassa negli Stati membri che li hanno introdotti ex novo, in parte a causa della concezione degli stessi, della lentezza nell'adattamento alle nuove procedure amministrative o dei ritardi nell'attuazione. In alcuni dei regimi di nuova istituzione (introdotti ad esempio da Bulgaria, Cechia, Croazia e Ungheria), l'obbligo per le imprese di condividere una parte dei costi potrebbe averne ridotto l'adozione. In Polonia l'adozione è stata inizialmente ridotta dall'obbligo di mantenere il posto di lavoro dopo la scadenza del sostegno.
Il calo limitato del tasso di occupazione globale nasconde differenze significative tra gli Stati membri. Nel corso del 2019 il tasso di occupazione (fascia di età 20-64 anni) è aumentato in media e in tutti gli Stati membri (ad eccezione di un leggero calo in Svezia, che però presentava il livello più elevato in tutta l'UE). Come illustrato nella sezione 1, nel secondo trimestre del 2020 il tasso di occupazione è diminuito di 1,3 punti percentuali, scendendo dal picco del 73,3 % raggiunto nel secondo trimestre del 2019 al 72 % (e riportando l'indicatore al livello osservato nel primo trimestre del 2018). Come si è detto, il calo complessivamente modesto può essere attribuito alle misure straordinarie adottate nel contesto della crisi. La situazione nasconde tuttavia una considerevole eterogeneità tra gli Stati membri. Come illustrato nella figura 9, la Spagna ha registrato il calo maggiore (di 3,8 punti percentuali), seguita da Bulgaria (3,2 punti percentuali), Austria (2,4 punti percentuali) e Irlanda (2,4 punti percentuali). La Croazia ha invece registrato un aumento (di 0,7 punti percentuali), mentre Malta, Lettonia e Polonia hanno presentato un tasso stabile o leggermente decrescente.
41 Considerando il rapporto tra il calo delle ore lavorate e il calo dell'occupazione.
42 Per maggiori dettagli cfr. Labour Market and Wage Developments, Annual Review 2020 (di prossima pubblicazione).
Secondo la valutazione basata sulla metodologia relativa agli indicatori principali del quadro di valutazione della situazione sociale, non vi sono cambiamenti sostanziali rispetto agli anni precedenti: la Grecia, l'Italia e la Spagna restano nella categoria "situazioni critiche" (con tassi vicini o inferiori al 65 %), mentre la Svezia, la Germania, la Cechia e i Paesi Bassi sono gli Stati membri con i "risultati migliori" (con tassi vicini o superiori all'80 %). Per quel che riguarda le categorie di mezzo, il calo improvviso dei tassi di occupazione spiega la classificazione di Bulgaria, Irlanda e Austria nella categoria dei paesi "da tenere sotto osservazione" (sebbene i rispettivi livelli siano ancora vicini alla media). Anche il Belgio e la Romania, con un tasso di occupazione sceso sotto il 70 % nell'ultimo anno, sono "da tenere sotto osservazione". La Croazia, che presenta ancora un tasso di occupazione basso, pari al 66,8 % nel secondo trimestre del 2020, è classificata nella categoria dei risultati "modesti ma in miglioramento" visto il recente incremento (nonostante la crisi). La pendenza positiva della linea di regressione indica che gli Stati membri stanno registrando una tendenza divergente (vale a dire che i tassi di occupazione sono diminuiti più rapidamente nei paesi che partivano da livelli più bassi). Resta da vedere se questa tendenza si manterrà nel tempo, come è avvenuto nel corso della crisi finanziaria. Alcuni Stati membri presentano disparità regionali significative nei tassi di occupazione (cfr. l'allegato 4).
Figura 9: il tasso di occupazione è sceso in quasi tutti gli Stati membri
Tasso di occupazione (fascia di età 20-64 anni) e variazione annua (indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. Periodo: livelli del secondo trimestre 2020 e variazioni annue rispetto al secondo trimestre 2019. Nota: gli assi sono centrati sulla media UE non ponderata. La legenda figura nell'allegato.
Nella maggior parte degli Stati membri l'aumento della disoccupazione è stato finora moderato. Come illustrato nella sezione 1, nel settembre 2020 il tasso medio di
disoccupazione nell'UE è aumentato fino al 7,5 %, ossia di un solo punto percentuale rispetto al minimo storico pre-crisi, registrato nel febbraio 2020. Tale situazione fa seguito al calo costante verificatosi nella maggior parte degli Stati membri nel 2019. Tale aumento moderato può essere considerato l'effetto dei regimi di riduzione dell'orario lavorativo, ma potrebbe essere spiegato in parte anche dall'inattività (in diversi Stati membri una percentuale considerevole di lavoratori ha abbandonato la ricerca attiva di lavoro, soprattutto durante le fasi di confinamento). La figura 10, che mostra il livello del tasso di disoccupazione nel secondo trimestre del 2020 e la variazione rispetto al secondo trimestre del 2019, indica che a tale aumento medio moderato corrispondono tendenze nazionali molto diverse. In 20 Stati membri su 27 il tasso di disoccupazione si è effettivamente incrementato in questo periodo, con aumenti vicini o superiori a 2 punti percentuali in Lituania, Lettonia, Estonia e Svezia (tutti paesi "da tenere sotto osservazione" secondo la metodologia del quadro di valutazione della situazione sociale). Il tasso di disoccupazione è invece effettivamente diminuito in Italia, Francia, Portogallo, Belgio, Irlanda, Polonia e Grecia (in Italia, di oltre 2 punti percentuali). Tale comportamento è spiegabile considerando il calo del tasso di attività (di 3,1 punti percentuali in Irlanda e Portogallo, 2,9 punti percentuali in Italia, 2,1 punti percentuali in Francia, 1,7 punti percentuali in Belgio, 1,5 punti percentuali in Grecia). I dati mensili relativi a settembre 2020 indicano un aumento effettivo della disoccupazione rispetto a un anno prima per tutti questi paesi, esclusi Belgio e Francia. In termini comparativi, Spagna e Grecia sono ancora classificate come paesi con "situazioni critiche" (con tassi di disoccupazione superiori al 15 %) mentre la Cechia e la Polonia registrano i "risultati migliori"(con tassi di disoccupazione inferiori al 4 %). Persistono grandi disparità a livello regionale (cfr. l'allegato 4): alcune regioni della Grecia, dell'Italia e della Spagna registrano infatti tassi di disoccupazione superiori al 20 %.
Figura 10: la disoccupazione è aumentata nella maggior parte degli Stati membri, con un aumento complessivo moderato
Tasso di disoccupazione (fascia di età 15-74 anni) e variazione annua (indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. Periodo: livelli del secondo trimestre 2020 e variazioni annue rispetto al secondo trimestre 2019. Nota: gli assi sono centrati sulla media UE non ponderata. La legenda figura nell'allegato.
Il lavoro autonomo è stato mediamente meno colpito dalla crisi rispetto all'occupazione totale, ma con una maggiore eterogeneità tra gli Stati membri. Tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 il numero di lavoratori autonomi è diminuito dell'1,8 % (un calo pari a 530 000 lavoratori), rispetto al 2,9 % dell'occupazione totale (dati dei conti nazionali, destagionalizzati 43 ). Pur trattandosi di un calo considerevole, il confronto con l'occupazione totale indica che un'ampia quota di lavoratori autonomi è riuscita, nonostante il crollo dell'attività economica, a mantenere la propria attività riducendone (temporaneamente) le dimensioni o passando a forme di lavoro a distanza. I lavoratori autonomi rappresentano tuttavia una delle categorie più a rischio in caso di recessione prolungata, non da ultimo a causa dell'accesso limitato ai regimi di protezione sociale in molti Stati membri. Tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 solo in sette Stati membri (Bulgaria, Germania, Estonia, Malta, Romania, Slovacchia e Finlandia) la flessione del lavoro autonomo è stata più rapida di quella dell'occupazione totale. Nel complesso il calo maggiore è stato registrato in Romania (-10,5 %), seguita da Estonia (-6 %), Irlanda (-5,7 %) e Spagna (-
43 Le cifre Eurostat dell'indagine sulle forze di lavoro (fascia di età 15-64 anni, destagionalizzate) indicano un calo dell'1,5 % nello stesso periodo.
4,6 %). È opportuno notare che durante la crisi il numero di lavoratori autonomi è aumentato in undici Stati membri, con i maggiori aumenti registrati in Lettonia, Polonia e Lussemburgo.
Negli ultimi anni è lentamente diminuita la percentuale del lavoro autonomo rispetto all'occupazione totale. Nel complesso la percentuale di lavoratori autonomi rispetto all'occupazione totale è diminuita lentamente, passando dal 14,3 % nel 2008 al 13,4 % nel 2019 44 . Tale diminuzione è stata particolarmente evidente durante la fase di espansione economica tra il 2013 e il 2019, in cui venivano creati posti di lavoro in misura più che proporzionale tra i lavoratori dipendenti. Come mostrato in dettaglio nella relazione comune sull'occupazione 2020, questa diminuzione nel tempo cela una costante transizione della composizione del lavoro autonomo dalle attività tradizionali verso i servizi e i settori a più alto valore aggiunto, in particolare dai settori dell'agricoltura, del commercio e dei trasporti alle attività di informazione e comunicazione, alle attività professionali, scientifiche e tecniche nonché a quelle del settore della salute umana e dell'assistenza sociale. Tale mutamento strutturale è accompagnato da un incremento del livello medio di istruzione più rapido tra i lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori dipendenti: la percentuale di lavoratori autonomi con un titolo di istruzione terziaria è aumentata passando dal 26 % nel 2008 al 36,1 % nel 2019, a fronte di un aumento più limitato (dal 26,1 % al 34,5 %) della stessa percentuale per i lavoratori dipendenti. La crisi accelererà probabilmente la transizione verso il settore dei servizi e un livello di istruzione più elevato tra i lavoratori autonomi, dato che i lavoratori con basso livello di competenze nei settori tradizionali (le cui attività non possono essere eseguite digitalmente) sono tra i più colpiti.
La crescita dei salari nominali ha subito un'accelerazione nel 2019, per poi reagire alla recessione economica. Nell'UE‑ 27 la crescita media della retribuzione nominale dei lavoratori dipendenti è stata superiore al 3 % e ha superato il 4 % nei paesi baltici, nell'Europa centrale e orientale e in Irlanda (figura 11). Per l'Ungheria, la Lituania e l'Irlanda, le variazioni prodottesi nel 2019 sono state sostanzialmente superiori a quelle dell'anno precedente, mentre
in Romania, Bulgaria, Estonia e Cechia la forte tendenza al rialzo ha registrato segnali di decelerazione. I salari hanno subito una decelerazione anche in Svezia e, soprattutto, in Italia e in Francia (in quest'ultima sono rimasti allo stesso livello del 2018). Nel 2020 diversi Stati membri sono entrati in recessione e nella maggior parte di essi la crescita della retribuzione per dipendente ha iniziato a rallentare. Tale risposta riflette principalmente la diminuzione delle ore lavorate (e, spesso, dei costi salariali corrispondenti) associata all'ampio ricorso a regimi di riduzione dell'orario lavorativo. Le riduzioni di salario variano notevolmente in funzione della configurazione dei regimi nazionali, della percentuale di lavoratori coinvolti e dell'entità del calo delle ore lavorate. Nel secondo trimestre del 2020 un numero elevato (18) di Stati membri ha registrato variazioni negative (rispetto all'anno precedente), con notevoli riduzioni in Francia (-8,5 %), Belgio (-9,5 %) e Italia (-10,3 %). Per quanto riguarda alcuni degli altri Stati membri, gli sviluppi positivi sono stati superiori al 3,5 % in Romania, nei Paesi Bassi e in Polonia, e particolarmente significativi in Bulgaria (+8,3 %), Ungheria (+6,6 %) e Lituania (+5,1 %). Inoltre, poiché le imprese che hanno ridotto le ore lavorate hanno cercato di risparmiare sul costo del lavoro, anche il congelamento delle componenti variabili della retribuzione e il rinvio dei rinnovi dei contratti di lavoro hanno inciso sulla retribuzione per lavoratore dipendente.
44 Dati Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, fascia di età 15-64 anni.
Figura 11: durante la crisi la crescita dei salari nominali è divenuta negativa nella maggior parte degli Stati membri
Retribuzione nominale per dipendente, 2018-2019 e secondo trimestre del 2020, variazione percentuale annua
1) I salari sono misurati dall'indicatore "retribuzione nominale per dipendente", che è calcolato dividendo la retribuzione totale dei dipendenti per il numero totale di dipendenti. La retribuzione totale è definita come il compenso complessivo, in denaro o in natura, riconosciuto da un datore di lavoro a un dipendente per il lavoro svolto da quest'ultimo durante il periodo contabile ed è costituita da due componenti: i) retribuzioni e salari corrisposti in denaro o in natura e ii) contributi sociali a carico dei datori di lavoro. 2) Tutti i dati utilizzati provengono dai conti nazionali. Gli indicatori si basano sui valori in valuta nazionale. I dati aggregati sono medie ponderate.
Fonte: Commissione europea, banca dati AMECO.
La retribuzione per dipendente è diminuita, ma la riduzione delle ore lavorate ha innescato un aumento della retribuzione oraria. La retribuzione oraria, sebbene in pochi paesi (Cipro, Cechia, Croazia, Polonia e Romania) sia effettivamente diminuita nel secondo trimestre del 2020 (su base trimestrale), nel complesso ha superato la retribuzione per dipendente. In sette paesi il divario è superiore a 10 punti percentuali e i valori più elevati riguardano la Francia e il Portogallo (rispettivamente 14 % e 19,6 %).
Nel 2019 i salari reali sono cresciuti in quasi tutti gli Stati membri, per poi calare nella prima metà del 202045. Nel 2019 la crescita dei salari reali (deflazionati in base all'indice dei prezzi al consumo) è stata particolarmente sostenuta (oltre il 5 %) nei paesi dell'Europa centrale e orientale (Polonia, Ungheria, Romania, Slovacchia) e nei paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania). La solida dinamica dei salari reali nei paesi in cui il PIL pro capite si sta avvicinando alla media dell'UE ha pertanto condotto a una diminuzione della dispersione dei salari reali nell'UE. In nove paesi, tra cui Svezia, Francia e Grecia, si sono osservati aumenti inferiori all'1 %, mentre in Italia e nei Paesi Bassi tali aumenti sono stati quasi trascurabili
45 Dal punto di vista dei lavoratori, la misura più pertinente dei salari è il salario lordo, escludendo quindi gli oneri a carico dei datori di lavoro.
(cfr. la figura 12). In Lussemburgo i salari reali hanno registrato una crescita negativa. Nel secondo trimestre del 2020 la dinamica dei salari reali è stata caratterizzata da un forte aumento dell'eterogeneità. In diversi Stati membri i salari reali a livello aggregato si stanno drasticamente riducendo, soprattutto in Cechia, Spagna, Francia, Belgio e Italia, con una diminuzione di oltre il 10 % negli ultimi due paesi indicati. Questa riduzione può essere (almeno) in parte spiegata dagli effetti dei regimi di riduzione dell'orario lavorativo a seconda della configurazione delle misure nazionali (nei paesi in cui le prestazioni sono erogate direttamente ai lavoratori e registrate come trasferimenti sociali, i regimi di riduzione dell'orario lavorativo sono la causa del calo osservato dei costi salariali)46. In altri paesi gli andamenti positivi hanno mantenuto la tendenza più recente, soprattutto in Lituania, Lettonia, Ungheria e Bulgaria.
Figura 12: nel 2019 la crescita dei salari reali è stata vigorosa negli Stati membri dell'Europa orientale e della regione baltica
Xxxxxx reali per dipendente nel 2018, 2019 e secondo trimestre del 2020, variazione percentuale annua
1) Retribuzioni e salari lordi reali per dipendente; deflatore: consumo privato. 2) I paesi sono classificati in ordine decrescente rispetto alla crescita dei salari reali nel 2019. Fonte: Commissione europea, banca dati AMECO.
Dopo il calo verificatosi a seguito della precedente crisi finanziaria, nel 2018 e nel 2019 la quota del reddito da lavoro ha registrato in media un aumento moderato. Nel 2019 la quota del reddito da lavoro nell'UE-27 è lievemente aumentata fino al 55,4 % (da un livello minimo pari al 55 % tra il 2015 e il 2017), con aumenti superiori a 1 punto percentuale a Cipro, in Slovenia, Slovacchia, Lituania e Lettonia. Nello stesso periodo la quota del reddito da lavoro è diminuita in sette paesi, con un calo di almeno 1 punto percentuale in Francia, Romania e Bulgaria. Nel periodo 2013-2019 la quota del reddito da lavoro è aumentata negli Stati membri che partivano da livelli relativamente bassi, in particolare in Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia, che presentavano un certo grado di convergenza. Tra i paesi più grandi dell'UE la quota del reddito da lavoro è cresciuta solo in Germania (1,7 punti percentuali) ed è leggermente diminuita in Italia (-0,3 punti percentuali), mentre Francia, Spagna e Paesi Bassi hanno registrato contrazioni superiori a 1 punto percentuale.
Nel corso degli ultimi tre anni il reddito netto ha continuato a crescere più rapidamente nell'Europa centrale e orientale, contribuendo alla convergenza dei livelli di reddito da lavoro. Tale tendenza emerge chiaramente dalla distribuzione dei paesi nella figura 13, che
46 Xxxx xx Xxxxx et al. (2020), Short-time work schemes and their effects on wages and disposable income, Bollettino economico della BCE, numero 4/2020.
prende come riferimento un lavoratore single senza figli che percepisce il salario medio su un periodo di tre anni (2016-2019)47. La convergenza verso l'alto del tenore di vita è in linea con gli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali. Nella fascia inferiore della distribuzione del reddito netto Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania, Ungheria e Polonia, paesi in cui il reddito netto in standard di potere d'acquisto (SPA) è vicino o inferiore a 15 000 EUR, hanno registrato un aumento medio superiore al 5 % negli ultimi tre anni e sono classificate come paesi dai risultati "modesti ma in miglioramento" 48 . . Altri paesi che presentano livelli altrettanto bassi non hanno assistito a una crescita così rapida e sono classificati come paesi "da tenere sotto osservazione" (Croazia, Slovenia, Portogallo, Cechia ed Estonia) o come "situazioni critiche" (Slovacchia). Tra i paesi con i "risultati migliori", il reddito netto in standard di potere d'acquisto è vicino o superiore a 30 000 EUR in Germania, Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo. In tali Stati membri il reddito netto è cresciuto più rapidamente rispetto ai paesi che presentano livelli analoghi. Spagna, Grecia e Italia, che hanno livelli di reddito netto prossimi alla media, hanno registrato un andamento negativo o stabile negli ultimi tre anni (in linea con gli elevati tassi di disoccupazione). È da sottolineare il fatto che i paesi che registrano una crescita del reddito netto superiore alla media evidenziano anche un rapido aumento del costo del lavoro per unità di prodotto, le cui implicazioni a lungo termine per la competitività devono essere monitorate.
47 I livelli di reddito netto sono misurati in standard di potere d'acquisto (SPA) per consentire un confronto significativo tra gli Stati membri. Le variazioni sono misurate in valuta nazionale e in termini reali. Questo indicatore dovrebbe essere letto e interpretato congiuntamente ad altri indicatori quali il tasso di rischio di povertà lavorativa, il rapporto tra il quinto e il primo decile della distribuzione salariale (D5/D1) e altri indicatori pertinenti del quadro di valutazione comune (Joint Assessment Framework) e del monitoraggio dei risultati in materia di occupazione (Employment Performance Monitor - EPM) / monitoraggio dei risultati in materia di protezione sociale (Social Protection Performance Monitor - SPPM).
48 È interessante rilevare che molti di questi paesi registrano anche elevate disparità retributive, come dimostra il rapporto tra il quinto e il primo decile della distribuzione salariale (D5/D1). Secondo l'OCSE, i paesi dell'UE con il rapporto più elevato tra il quinto e il primo decile (D5/D1) nel 2017 sono stati la Romania (2,9), la Lettonia (2,6), la Lituania (2,5) e la Bulgaria (2,5). All'estremo opposto, i rapporti più bassi sono stati registrati in Finlandia (1,8), Slovacchia (1,8) e Cechia (1,7).
Figura 13: il reddito netto è aumentato rapidamente in Europa centrale e orientale, sostenendo così la convergenza verso l'alto
Reddito netto e variazione annua – media su tre anni (indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale)
Fonte: banca dati dei regimi fiscali e previdenziali (calcoli interni). Periodo: livelli 2019 (media su 3 anni) e variazioni medie annue 2016-2019. Nota: gli assi sono centrati sulla media UE non ponderata. La legenda figura nell'allegato. Gli Stati membri contrassegnati con un asterisco sono quelli in cui il costo nominale del lavoro per unità di prodotto (CLUP) superava la soglia fissata dalla procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM). L'indicatore del quadro di valutazione della PSM corrisponde alla variazione percentuale del CLUP su un periodo di tre anni. La soglia è pari al 9 % per i paesi della zona euro e al 12 % per i paesi non appartenenti alla zona euro. DK non figura poiché il valore relativo a tale paese non è affidabile.
Un lavoro non sempre garantisce una vita dignitosa. Negli ultimi anni la situazione dei lavoratori a basso reddito è peggiorata in molti paesi. Nell'ultimo decennio il tasso di povertà lavorativa nell'UE-27 è salito dall'8,5 % nel 2007 al 9,8 % nel 2016, per poi scendere al 9 % nel 201949. Le tendenze strutturali che stanno rimodellando i mercati del lavoro, quali la
49 I dati si riferiscono alle cifre aggregate dell'UE incluso il Regno Unito ed esclusa la Croazia: si tratta infatti delle uniche cifre comparabili tra il 2007 e il 2016. Nella media degli attuali 27 Stati membri (cioè includendo la Croazia ed escludendo il Regno Unito), la povertà lavorativa è aumentata dall'8,5 % nel 2010 (primi dati
digitalizzazione e l'aumento di forme di occupazione atipiche, stanno provocando una maggiore polarizzazione del lavoro, una diminuzione dei posti di lavoro a retribuzione media e un aumento contestuale di posti di lavoro a bassa o alta retribuzione50. I lavoratori con contratti a tempo determinato sono esposti a un rischio più elevato di povertà lavorativa rispetto a quelli con contratti a tempo indeterminato (16,3 % rispetto al 5,7 %); lo stesso accade per i lavoratori con basso livello di competenze rispetto a quelli altamente qualificati (19,3 % rispetto al 4,5 %). Inoltre i lavoratori nati al di fuori dell'UE hanno maggiori probabilità (20,9 %) di trovarsi in condizioni di povertà lavorativa rispetto ai lavoratori autoctoni (7,9 %). La figura 14 mostra che in Romania, Spagna, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Grecia oltre il 10 % dei lavoratori è a rischio di povertà. In questo gruppo il tasso di povertà lavorativa è di fatto aumentato rispetto al 2010 in Spagna, Italia, Lussemburgo e Portogallo.
Figura 14: nell'ultimo decennio la povertà lavorativa è aumentata nella maggior parte degli Stati membri
Tasso di rischio di povertà lavorativa, confronto pluriennale
Fonte: Eurostat, indagine SILC.
Nota: per FR, IE, IT e SK non sono disponibili dati per il 2019 (sono indicati i dati per il 2018).
Le donne, i lavoratori giovani e con basso livello di competenze e i lavoratori in forme di occupazione atipiche hanno una maggiore probabilità di percepire il salario minimo rispetto agli altri lavoratori51. In particolare i giovani lavoratori hanno una probabilità tre volte superiore di percepire il salario minimo rispetto ai lavoratori adulti, mentre le donne hanno quasi il doppio delle probabilità rispetto agli uomini. Analogamente, il lavoro a tempo determinato triplica la probabilità di percepire il salario minimo mentre il lavoro a tempo
disponibili) al 9,3 % nel 2018. La povertà lavorativa rappresenta la quota di persone che lavorano e che hanno un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di rischio di povertà, fissata al 60 % del reddito disponibile equivalente mediano nazionale (dopo i trasferimenti sociali).
50 Commissione europea, Labour Market and Wage Developments in Europe, Annual Review 2019, direzione generale per l'Occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, 2019.
51 Per maggiori dettagli cfr. la valutazione d'impatto che accompagna la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea, SWD(2020) 245 final.
parziale raddoppia tale probabilità. Tuttavia nella maggior parte degli Stati membri il lavoratore "tipico" che percepisce il salario minimo ha più di 25 anni, ha un livello di istruzione secondaria superiore e vive in coppia. Ciò è dovuto al fatto che la percentuale di lavoratori giovani, scarsamente qualificati e genitori di famiglie monoparentali è relativamente modesta nella forza lavoro complessiva, il che riduce le loro maggiori possibilità di percepire il salario minimo.
Nonostante in molti Stati membri i salari minimi siano stati recentemente aumentati52, in molti casi i salari minimi legali rimangono bassi rispetto ad altri salari dell'economia. In quasi tutti gli Stati membri il salario minimo legale è inferiore al 60 % del salario mediano e al 50 % del salario medio. Nel 2019 solo il salario minimo legale del Portogallo ha raggiunto entrambi i valori, mentre quello della Bulgaria ha raggiunto il 60 % del salario mediano. Nello stesso anno il salario minimo era inoltre inferiore al 50 % del salario mediano in nove paesi dell'UE (Estonia, Malta, Irlanda, Cechia, Lettonia, Germania, Paesi Bassi, Croazia e Grecia, cfr. la figura 15) Nel 2019 sette paesi (Estonia, Malta, Irlanda, Cechia, Lettonia, Ungheria e Romania) avevano salari minimi inferiori al 40 % del salario medio. In alcuni casi il salario minimo non era sufficiente a proteggere i lavoratori dal rischio di povertà. In diversi Stati membri vi sono lacune nella copertura garantita dai salari minimi. Nei paesi in cui vige un salario minimo legale, determinate categorie di lavoratori non beneficiano della tutela offerta dal salario minimo poiché si applicano esenzioni. Nei paesi in cui i salari sono fissati esclusivamente attraverso la contrattazione collettiva vi sono lacune nella copertura dei lavoratori che non sono tutelati dai contratti collettivi.
Figura 15: in quasi tutti gli Stati membri il salario minimo legale è inferiore al 60 % del salario mediano e al 50 % del salario medio
Salari minimi in percentuale del salario lordo mediano e del salario lordo medio dei lavoratori a tempo pieno, 2019
Fonte: calcoli della Commissione europea basati sui dati Eurostat.
Nota: sono rappresentati gli Stati membri che hanno un salario minimo legale.
52 Per maggiori informazioni cfr. il punto 3.1.2.
Per questa ragione il 28 ottobre 2020 la Commissione ha proposto una direttiva dell'UE per garantire che i lavoratori nell'Unione siano tutelati da salari minimi adeguati che consentano una vita dignitosa ovunque essi lavorino. La proposta della Commissione mira a promuovere la contrattazione collettiva sui salari in tutti gli Stati membri. I paesi in cui sono previsti salari minimi legali dovrebbero stabilire condizioni per garantire cha i salari minimi siano fissati a un livello adeguato, anche mediante criteri chiari e stabili per la determinazione dei salari minimi, valori di riferimento indicativi per orientare la valutazione dell'adeguatezza e aggiornamenti periodici e puntuali dei salari minimi. Tali Stati membri sono inoltre invitati a garantire che le variazioni dei salari minimi legali e le trattenute su di essi siano utilizzate in maniera proporzionata e giustificata e che le parti sociali siano effettivamente coinvolte nella definizione e nell'aggiornamento di tali salari. Allo stesso tempo la proposta è concepita in modo da tenere in considerazione gli effetti sull'occupazione e sulla competitività e offre quindi una flessibilità sufficiente per tener conto degli sviluppi sociali ed economici, comprese le tendenze relative alla produttività e all'occupazione. La proposta prevede infine un'applicazione e un monitoraggio rafforzati della tutela garantita dal salario minimo stabilita in ciascun paese. Conformemente all'articolo 154, paragrafo 3, TFUE, è stata effettuata una consultazione in due fasi delle parti sociali.
Figura 16: nonostante un calo generale, il cuneo fiscale sul lavoro rimane elevato in diversi Stati membri
Cuneo fiscale sul lavoro sui salari bassi e medi, livello e variazione 2014-2019
Fonte: banca dati Commissione europea/OCSE dei regimi fiscali e previdenziali. Nota: i dati riguardano i lavoratori single senza figli.
L'onere fiscale medio sul lavoro nell'UE-27 continua a registrare una leggera tendenza al ribasso, con variazioni relativamente modeste nella maggior parte degli Stati membri. Nel 2019 la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori single che percepiscono il salario medio è stata più significativa in Lituania (-3,4 punti percentuali), mentre altrove le riduzioni sono state più modeste (meno di 1 punto percentuale). Gli aumenti più elevati sono stati registrati a Cipro (1,2 punti percentuali) e in Estonia (1,1 punti percentuali). Le differenze tra gli Stati membri rimangono considerevoli (cfr. la figura 16), con un cuneo fiscale che varia dal 20 % circa a Cipro a oltre il 45 % in Belgio, Germania, Italia, Austria e Francia. Analogamente il cuneo fiscale per i lavoratori a basso reddito (che, secondo la definizione, sono coloro che percepiscono il 67 % del salario medio) varia notevolmente da uno Stato membro all'altro. In una prospettiva di più lungo periodo, il cuneo fiscale è diminuito sia a livello di salario medio sia per i lavoratori a basso reddito, con una riduzione mediamente più marcata per questi ultimi. Tra il 2014 e il 2019 il cuneo fiscale medio non ponderato nell'UE è diminuito di 0,7 punti percentuali (e di 1,1 punti percentuali per i lavoratori a basso reddito). Lituania, Ungheria, Romania, Belgio ed Estonia hanno registrato ampie riduzioni per entrambi i gruppi di reddito (sebbene in Belgio entrambi i livelli restino tra i più elevati), mentre per i lavoratori a basso reddito sono state registrate riduzioni sostanziali anche in Francia, Lettonia e Finlandia. L'aumento più significativo per entrambi i livelli salariali è stato registrato a Malta, sebbene il cuneo fiscale rimanga relativamente basso.
In diversi Stati membri è possibile spostare il carico fiscale dal lavoro verso altre fonti così da incidere meno sulla crescita e sostenere meglio gli obiettivi ambientali. Nel 2018 le imposte ambientali (ossia le imposte sull'energia, sui trasporti, sull'inquinamento e sulle risorse) hanno contribuito per circa il 6 % al gettito fiscale totale nell'UE-27, con una quota compresa tra il 10,9 % in Lettonia e il 4,4 % in Lussemburgo (figura 17). Nel 2018 le imposte sull'energia hanno fornito il contributo maggiore, pari a circa il 77 % del gettito fiscale ambientale nell'UE-27. Per l'UE-27 nel suo complesso la quota delle imposte ambientali sul gettito fiscale totale è rimasta relativamente stabile tra il 2008 e il 2018. Le variazioni a livello nazionale sono state più pronunciate, con i maggiori aumenti in Lettonia e in Grecia e le maggiori riduzioni in Lussemburgo. È opportuno tuttavia notare che la quota di imposte ambientali da sola non basta per stabilire se il sistema fiscale di uno Stato membro sia ben concepito per sostenere gli obiettivi ambientali53.
53 Livelli analoghi di tassazione ambientale possono derivare dall'applicazione di un'aliquota d'imposta bassa su un'ampia base imponibile (ad es. un livello elevato di attività inquinante) oppure di un'aliquota d'imposta elevata su una base imponibile modesta.
Figura 17: in media la quota di imposte ambientali nell'UE non è aumentata negli ultimi dieci anni
Imposte ambientali espresse come percentuale del carico fiscale totale, 2008-2018
Fonte: Commissione europea, DG Fiscalità e unione doganale, sulla base dei dati Eurostat.
Le imposte ambientali, se concepite in modo inadeguato, possono avere effetti distributivi negativi, imponendo oneri relativamente più elevati alle famiglie con minori disponibilità. I meccanismi di compensazione devono quindi garantire un adeguato reimpiego dei proventi o investimenti in beni pubblici, come i trasporti pubblici, al fine di offrire alternative. Nel contesto dell'azione per il clima volta a ridurre le emissioni di gas a effetto serra (conformemente agli obiettivi e ai livelli di ambizione più elevati proposti nel piano degli obiettivi climatici e nel progetto di legge europea sul clima) i prezzi del carbonio e i costi dell'energia sono destinati ad aumentare, anche attraverso imposte sul carbonio ed eventuali proroghe del sistema di scambio di quote di emissione. Dal punto di vista del consumatore gli effetti di entrambe le opzioni sono simili. I dati indicano che le imposte sui carburanti e su altri prodotti energetici, essendo in proporzione al reddito disponibile, costituiscono un onere maggiore per le famiglie a basso reddito54. La valutazione di impatto che accompagna il piano degli obiettivi climatici 2030 55 indica inoltre che la spesa per elettricità, gas e combustibili solidi è proporzionalmente più elevata per le famiglie a basso reddito. A fini di equità occorrono pertanto strumenti fiscali compensativi capaci di attenuare tali effetti regressivi. Inoltre l'insostenibilità economica dei prodotti energetici può aggravare la povertà energetica56. Al fine di garantire l'accesso ai servizi essenziali, principio sancito dal pilastro europeo dei diritti sociali, può essere previsto un sostegno attraverso ulteriori strumenti fiscali specifici.
È stato dimostrato che le riduzioni compensative delle imposte sul lavoro generano vantaggi in termini di occupazione e crescita economica. La riduzione delle imposte sul
54 Commissione europea, Employment and Social Developments in Europe, Annual Review 2020, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, 2020. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!XX00xx.
55 SWD(2020) 178 final, pag. 115.
56 Raccomandazione della Commissione sulla povertà energetica (C(2020) 9600 final) e relativo documento di lavoro dei servizi della Commissione recante orientamenti dell'UE sulla povertà energetica (SWD(2020) 960 final).
lavoro migliora gli incentivi al lavoro in generale, soprattutto per i lavoratori a basso reddito e per altri gruppi di destinatari quali i giovani e i lavoratori anziani. Una misura compensativa che accompagni l'aumento dei prezzi del carbonio può essere considerata un modo per rafforzare gli incentivi ai datori di lavoro affinché mantengano la forza lavoro anche quando aumentano i costi di produzione (stimolando la domanda di forza lavoro). In aggiunta le riduzioni delle imposte sul lavoro possono essere utilizzate per aumentare il salario netto dei lavoratori (a determinati costi del lavoro), incentivandoli a essere attivi nel mercato del lavoro (e stimolando in tal modo l'offerta di forza lavoro). Più recentemente la già menzionata valutazione d'impatto che accompagna il piano degli obiettivi climatici 2030 ha dimostrato gli effetti positivi che il reimpiego dei proventi derivanti dalle imposte sul carbonio ha avuto sulla crescita e sull'occupazione sotto forma di riduzioni delle imposte sul reddito o sul lavoro57.
Le entrate derivanti dalla tassazione ambientale possono essere utilizzate per sostenere tutti i redditi. Il reimpiego dei proventi ispirato all'equità è stato attuato, ad esempio, sotto forma di trasferimenti forfettari o di distribuzione di un dividendo derivante dai proventi legati al carbonio, di cui possono beneficiare anche le famiglie prive di reddito da lavoro. La relazione Employment and Social Developments in Europe, Annual Review 2020, che si basa su un esercizio di modellizzazione, presenta l'esempio di una riforma fiscale neutra sotto il profilo delle entrate, consistente in un'imposta sull'energia e in una prestazione forfettaria riconosciuta a tutte le famiglie. L'esempio dimostra che un simile trasferimento può attutire completamente le conseguenze negative della tassazione sia sulla povertà sia sulla disuguaglianza, in quanto la prestazione, pur se riconosciuta a tutti, fornisce alle famiglie più povere un sostegno relativamente maggiore di quello riconosciuto alle famiglie più ricche58.
3.1.2 Misure adottate dagli Stati membri
A seguito della pandemia di COVID-19 tutti gli Stati membri si sono avvalsi di regimi di riduzione dell'orario lavorativo per attenuare le conseguenze dello shock economico sul mercato del lavoro. A causa della pandemia le imprese di tutta l'UE sono state improvvisamente costrette a ridurre o a sospendere la loro attività per effetto delle perturbazioni nelle catene di approvvigionamento, dell'attuazione di rigorose misure di contenimento e del conseguente crollo della domanda di un'ampia gamma di prodotti e servizi. In risposta a tali sviluppi, tutti gli Stati membri dell'UE hanno rafforzato i regimi di riduzione dell'orario lavorativo esistenti o ne hanno introdotti di nuovi con l'obiettivo di preservare l'occupazione nella fase più acuta dell'emergenza sanitaria. L'Unione europea sostiene tali sforzi mediante lo strumento di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza (SURE).
I regimi di riduzione dell'orario lavorativo sono programmi pubblici mirati ad evitare una perdita eccessiva di posti di lavoro nei periodi di recessione. Consentono alle imprese in difficoltà economiche di ridurre temporaneamente l'orario lavorativo dei loro dipendenti, che a loro volta ricevono un sostegno al reddito per le ore non lavorate. L'obiettivo principale di questi regimi è proteggere i dipendenti e la corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro, limitando in tal modo le conseguenze a lungo termine di uno shock transitorio. Sono in genere utilizzati in caso di eventi esterni che ostacolano le attività delle imprese (ad esempio
57 Per altri risultati analoghi cfr. Employment and Social Developments in Europe, Annual Review.
58 Employment and Social Developments in Europe, Annual Review 2020, capitolo 3, sezione 4.2.
incidenti tecnici, condizioni meteorologiche avverse che incidono sui lavori nei settori delle costruzioni e dell'agricoltura, cause di forza maggiore) e nelle fasi transitorie di rallentamento economico (ad esempio riduzione del fatturato o flessione degli ordini che si presume temporanea). Una caratteristica fondamentale è che il rapporto di lavoro è mantenuto durante il periodo di riduzione dell'orario lavorativo, anche nei casi in cui l'orario di lavoro è ridotto a zero (sospensione totale del lavoro).
I regimi di riduzione dell'orario lavorativo possono essere vantaggiosi per i datori di lavoro, i lavoratori e più in generale per l'economia. Essi consentono alle imprese di adeguare il costo del lavoro quando l'attività economica si indebolisce, preservando i posti di lavoro e il capitale umano ed evitando nel contempo lunghe e costose procedure di licenziamento e i costi di riassunzione una volta che le attività riprendono completamente. Dal punto di vista dei lavoratori questi regimi forniscono un reddito (parziale) sostitutivo, impedendo al tempo stesso i licenziamenti e consentendo una ripartizione più equa tra i dipendenti dell'onere derivante dall'adeguamento. Poiché limitano la perdita di posti di lavoro, i regimi di riduzione dell'orario lavorativo riducono la volatilità dell'occupazione e dei redditi e rafforzano la resilienza del mercato del lavoro, alleviando l'onere che grava sui regimi di prestazioni di disoccupazione e la probabilità di disoccupazione di lungo periodo.
Prima dell'inizio della pandemia di COVID-19, in 17 Stati membri dell'UE era in vigore un regime o un quadro per l'erogazione del sostegno alla riduzione dell'orario lavorativo. Tali regimi differivano tuttavia in misura significativa nel modo in cui erano stati istituiti e gestiti, ad esempio tramite regimi specifici, attraverso il sistema di prestazioni di disoccupazione o mediante politiche attive del mercato del lavoro.
Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo, Austria e Portogallo disponevano di regimi specifici e consolidati prima della crisi. In questi paesi le imprese presentano una richiesta alle autorità responsabili della gestione del regime. Una volta concessa l'autorizzazione, l'impresa può adeguare l'orario di lavoro dei suoi dipendenti, versando loro la retribuzione regolare per il numero di ore lavorate e un'indennità per le ore non lavorate (generalmente inferiore al salario normale). L'impresa è quindi rimborsata (in tutto o in parte) attraverso il regime pubblico di riduzione dell'orario lavorativo59. La Svezia ha istituito un regime simile nel 2014, da attivare in caso di recessione economica grave e profonda. La Bulgaria ha stabilito il quadro giuridico del proprio regime a seguito della crisi del 2009, ma il regime è rimasto inattivo in quanto non è stato finanziato negli ultimi anni precedenti la crisi COVID-19. Anche l'Ungheria disponeva di un regime permanente di riduzione dell'orario lavorativo, relativamente esiguo, che è stato utilizzato e finanziato solo in modo discontinuo prima della crisi XXXXX-00.
Xx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxx, Xxxxxx e Finlandia il sostegno alla riduzione dell'orario lavorativo è stato in genere erogato (prima della crisi) attraverso il sistema delle prestazioni di disoccupazione. In tali sistemi le imprese hanno la possibilità di ridurre temporaneamente l'orario di lavoro dei loro dipendenti (in alcuni casi, ad esempio in Finlandia, hanno anche la possibilità di licenziare temporaneamente i dipendenti mantenendo tuttavia in vigore il rapporto di lavoro). A loro volta i lavoratori interessati possono iscriversi come persone in cerca di lavoro e richiedere prestazioni di disoccupazione di importo proporzionale ai giorni non lavorati (le cosiddette "prestazioni di disoccupazione parziale").
59 Il Belgio rappresenta un'eccezione in quanto i lavoratori percepiscono l'indennità direttamente dall'agenzia federale responsabile dell'erogazione delle prestazioni di disoccupazione.
Le condizioni per beneficiare di tali prestazioni di disoccupazione "parziale" sono stabilite per ogni singolo lavoratore e sono identiche alle condizioni per le prestazioni di disoccupazione standard (o "completa"). In particolare (con alcune eccezioni, ad esempio la Spagna) i lavoratori possono richiedere la prestazione di disoccupazione parziale se hanno maturato la necessaria anzianità contributiva e devono soddisfare i requisiti normali relativi alla ricerca di un lavoro e alla disponibilità al lavoro (ossia sono tenuti ad accettare eventuali offerte di lavoro a tempo pieno).
In Croazia e Slovacchia il sostegno alla riduzione dell'orario lavorativo è stato gestito come una forma di politica attiva del mercato del lavoro. Inizialmente questi regimi disponevano di un bilancio limitato, coprivano un numero esiguo di imprese e di lavoratori e prevedevano l'obbligo di mantenimento dei posti di lavoro (ossia l'obbligo per i datori di lavoro di mantenere i livelli di occupazione per un certo periodo dopo aver ricevuto il sostegno). Tali regimi sono stati notevolmente rafforzati in risposta alla crisi COVID-19 con dotazioni di bilancio considerevoli e un'ampia copertura di imprese e lavoratori.
A seguito della pandemia di COVID-19, tutti gli Stati membri hanno adeguato i rispettivi regimi nazionali di riduzione dell'orario lavorativo con l'obiettivo di facilitarne l'utilizzo e di ampliare la gamma dei potenziali beneficiari. Hanno semplificato le procedure amministrative per l'autorizzazione del sostegno alla riduzione dell'orario lavorativo, ad esempio riducendo i periodi di notifica, introducendo una nuova giustificazione legata all'"emergenza COVID-19" (che è automaticamente considerata una causa di forza maggiore) e/o attenuando gli obblighi di consultazione preventiva dei rappresentanti dei lavoratori e riducendo il termine per chiedere le prestazioni. Hanno inoltre esteso la copertura dei regimi a imprese e settori che in precedenza non erano ammissibili. Germania, Spagna, Francia, Italia, Lussemburgo, Austria, Portogallo e Finlandia, ad esempio, hanno modificato le norme dei rispettivi regimi di riduzione dell'orario lavorativo al fine di semplificare le procedure, facilitare l'accesso e/o ampliare la loro copertura (ad esempio includendo i lavoratori autonomi e i lavoratori appena assunti). La Spagna e la Finlandia hanno semplificato le procedure amministrative e hanno reso notevolmente più flessibili i criteri di ammissibilità per consentire a tutti i dipendenti di percepire il sostegno alla riduzione dell'orario lavorativo indipendentemente dalla loro anzianità contributiva e senza pregiudicare i diritti maturati in relazione alle prestazioni di disoccupazione standard. Alcuni Stati membri hanno ridotto a zero i costi per i datori di lavoro. Tenuto conto del carattere eccezionale della crisi e dell'incertezza circa la sua durata, è stata aumentata anche la durata del periodo in cui è possibile ricorrere ai regimi di riduzione dell'orario lavorativo. Alcuni Stati membri (tra cui Belgio e Francia) hanno inoltre aumentato temporaneamente il livello della prestazione riconosciuta ai lavoratori per le ore non lavorate. La Francia ha inoltre introdotto deroghe settoriali alle norme comuni per settori specifici maggiormente colpiti dalle misure di emergenza connesse alla COVID-19 (aviazione, turismo).
Alcuni Stati membri hanno optato per l'introduzione di nuovi programmi volti specificamente a preservare i livelli di occupazione nelle imprese colpite dalla pandemia di COVID-19. Ad esempio Danimarca, Irlanda e Paesi Bassi hanno introdotto nuovi regimi di emergenza (di riduzione dell'orario lavorativo) in base ai quali il sostegno viene erogato direttamente tramite il datore di lavoro anziché attraverso il sistema delle prestazioni di disoccupazione. Nei Paesi Bassi, ad esempio, il precedente regime di riduzione dell'orario lavorativo è stato sostituito da un regime più generoso. I datori di lavoro che prevedono una perdita di entrate (pari almeno al 20 %) possono chiedere un'indennità fino a un massimo del 90 % dei costi del lavoro per un periodo di tre mesi, a condizione che non licenzino i lavoratori.
Tutti gli Stati membri che non disponevano di regimi di riduzione dell'orario lavorativo hanno adottato misure di emergenza per evitare i licenziamenti attraverso la riduzione dell'orario di lavoro. Ciò ha significato concedere un sostegno temporaneo ai lavoratori impiegati da imprese le cui attività sono state sospese o sostanzialmente ridotte. In particolare alcuni paesi (ad esempio Malta, Grecia, Lituania e Romania), in cui la normativa consentiva già ai datori di lavoro di ridurre l'orario lavorativo o di sospendere i contratti dei loro dipendenti in casi debitamente giustificati, hanno introdotto sovvenzioni pubbliche per finanziare il sostegno al reddito dei lavoratori interessati. Ad esempio, da giugno 2020 il regime SYN-ERGASIA in Grecia consente una riduzione fino al 50 % dell'orario lavorativo settimanale dei lavoratori a tempo pieno nelle imprese che registrano una diminuzione pari ad almeno il 20 % del loro fatturato. Lo Stato copre il 60 % del salario netto dei dipendenti e il 100 % degli oneri sociali corrispondenti alle ore non lavorate.
Se nel breve termine le riduzioni dell'orario lavorativo sono adatte a far fronte alle conseguenze immediate di uno shock economico esterno, il loro utilizzo prolungato può ostacolare i cambiamenti strutturali. Il mantenimento dei posti di lavoro esistenti ha rappresentato la principale preoccupazione nel mercato del lavoro all'inizio della crisi COVID-19. Con il protrarsi della pandemia, l'impatto economico della crisi sulla struttura della domanda e sull'attività delle imprese diventa sempre più evidente e fa emergere la necessità di cambiamenti strutturali. Quanto più a lungo si protrae la crisi, tanto maggiore può divenire la probabilità che i regimi di riduzione dell'orario lavorativo sovvenzionino posti di lavoro in imprese che non sono più economicamente sostenibili. I regimi di riduzione dell'orario lavorativo possono anche ridurre la probabilità che le persone prive di un lavoro sicuro trovino un impiego, rischiando quindi di rallentare la crescita dell'occupazione durante la ripresa. Di conseguenza, in presenza di segnali di ripresa economica potrebbero essere promosse politiche volte a favorire i cambiamenti strutturali e la ridistribuzione dei lavoratori tra i vari settori (ad esempio attraverso incentivi all'assunzione e misure di riqualificazione ben concepiti); tali politiche potrebbero essere adattate alla particolare situazione economica di ciascun paese.
Alcuni Stati membri hanno già cominciato a ridimensionare i regimi di riduzione dell'orario lavorativo e le altre misure di emergenza, mentre altri Stati membri li hanno adeguati o prolungati. Ad esempio in Danimarca ed Estonia le misure di emergenza adottate in risposta alla pandemia sono scadute durante l'estate e (al momento della stesura del presente documento) non sono state rinnovate. Altri Stati membri hanno iniziato a limitare l'accesso ai regimi di emergenza concedendolo solo alle imprese ancora direttamente colpite dalle restrizioni connesse alla crisi sanitaria (ad esempio in Belgio, Grecia e a Cipro). Infine alcuni Stati membri hanno già prorogato la validità di determinate misure di emergenza fino alla fine del 2020 (ad esempio Francia, Italia e Grecia) o fino al 2021 (ad esempio Germania, Malta, Svezia, Cipro, Spagna).
Diversi Stati membri hanno adottato misure per aumentare il mantenimento dell'occupazione e per sostenere la domanda di forza lavoro attraverso incentivi all'assunzione60. Ad esempio in Grecia gli attuali regimi di incentivi all'assunzione gestiti dal servizio pubblico per l'impiego sono stati estesi a nuovi posti, con una durata prolungata (fino a 2 anni) e l'aumento del tasso di sovvenzione (75 % dei costi salariali con un tetto di 750 EUR). In ottobre è stato inoltre lanciato un nuovo sistema per incentivare la creazione di
60 Il presente paragrafo riguarda gli incentivi all'assunzione non mirati. I punti 3.2 e 3.3 contengono maggiori informazioni sulle misure destinate a gruppi specifici o adottate più in generale nell'ambito delle PAML.
100 000 posti di lavoro nel settore privato attraverso la copertura degli oneri sociali da parte dello Stato per 6 mesi. In Croazia il regime di sostegno salariale temporaneo (pari al 50 % del salario minimo) è stato ampliato per sostenere i lavoratori colpiti dalle restrizioni sanitarie, che per la maggior parte sono lavoratori stagionali nei settori del turismo e dei servizi. In Romania è stata adottata una serie di misure (oltre agli attuali regimi di sussidi all'occupazione) per affrontare le ultime sfide del mercato del lavoro, tra cui il sostegno ai lavoratori giovani e anziani nonché agli autonomi. La regione belga delle Fiandre ha effettuato una revisione degli attuali incentivi all'assunzione di disoccupati di lungo periodo, mentre la Vallonia sta valutando il suo quadro generale di incentivi all'assunzione per migliorarne l'efficacia. Nel maggio 2020 l'Ungheria ha adottato un piano d'azione per tutelare l'occupazione e creare nuovi posti di lavoro in settori definiti prioritari, tra cui l'assistenza sanitaria, le costruzioni, l'agricoltura, i trasporti e il turismo. Tale piano di azione dispone di un bilancio complessivo di 674 miliardi di HUF (1,85 miliardi di EUR) per il periodo 2020- 2022 e prevede tra l'altro regimi di integrazione salariale e altre disposizioni volte a rendere il lavoro più flessibile. La Spagna ha introdotto incentivi all'assunzione destinati ai lavoratori più colpiti del settore turistico nelle isole Baleari e Canarie. In Lettonia è stata fissata una nuova integrazione salariale per un periodo di tre mesi fino alla fine del 2020. Il datore di lavoro riceverà un importo che può arrivare al massimo fino al 50 % del salario mensile del dipendente (con un tetto di 430 EUR mensili) a condizione che la persona precedentemente disoccupata venga assunta per un periodo non inferiore a tre mesi dopo la fine dell'erogazione dell'integrazione salariale. Dopo la fine di ottobre Cipro intende attuare regimi di sussidi per incoraggiare l'assunzione di disoccupati, ex detenuti e giovani. Nel quadro di un'ampia riforma, la Finlandia mira a semplificare l'attuale sistema di assunzione e di integrazione salariale per aumentarne l'utilizzo da parte delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese. In particolare sono previsti piani per ridurre gli oneri amministrativi a carico dei datori di lavoro e accelerare il processo di pagamento, che sarà strettamente legato all'individuazione delle esigenze future dei dipendenti in termini di competenze.
Nel 2020 i salari minimi legali sono stati aumentati nella maggior parte degli Stati membri rispetto all'anno precedente61. In alcuni casi tale aumento è stato considerevole (ad esempio del 17 % in Polonia, del 12 % in Slovacchia e dell'11 % in Cechia). Il salario minimo in Romania è stato aumentato del 7 %, fino a raggiungere circa il 40 % del salario medio nel paese. In Belgio il salario minimo legale è rimasto congelato (a parte l'indicizzazione) in quanto le parti sociali non sono giunte a un accordo. In Spagna l'ultimo aumento del salario minimo (del 5,5 %, dopo un'impennata del 22,3 % nel 2019) è stato negoziato e concordato con le parti sociali, diversamente da quello precedente. Il salario minimo in Lettonia sarà aumentato del 16 % dal gennaio 2021, conformemente a una decisione del governo. In Germania la commissione per il salario minimo ha proposto un aumento del salario minimo pari al 10 %, suddiviso in quattro fasi nei prossimi due anni. La Germania sta attualmente riesaminando la determinazione del salario minimo alla luce dell'esperienza acquisita con l'introduzione di un salario minimo legale. Alcuni governi (come quello polacco e spagnolo) hanno annunciato o stanno valutando piani per aumentare i salari minimi legali al 60 % dei salari mediani o medi. In Slovacchia nel 2019 è stato adottato un nuovo meccanismo per la determinazione del salario minimo nazionale, in base al quale se le parti sociali non concordano il livello per l'anno successivo entro il termine prescritto (15 luglio di ogni anno), il salario minimo sarà automaticamente fissato al 60 % del salario lordo nominale medio nell'economia dell'anno precedente. Il nuovo meccanismo avrebbe dovuto essere applicato per
61 Cfr. Eurofound, Minimum wages in 2020: Annual Report, 2020, disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!xX00xx.
la prima volta per il salario minimo del 2021, ma un ulteriore emendamento adottato dal Parlamento nell'ottobre 2020 prevede un aumento ad hoc nel 2021 (inferiore rispetto a quello basato sul calcolo precedente) e riduce la formula automatica al 57 % del salario lordo nominale medio degli ultimi due anni. Molti paesi stanno discutendo un ulteriore aumento sostanziale dei salari minimi oltre il 2020, in parte basandolo su un obiettivo relativo, in parte in termini assoluti.
Nell'ultimo anno sono state registrate soltanto modifiche limitate delle norme e dei quadri di riferimento per la determinazione dei salari. Un'eccezione è rappresentata dalla Grecia, dove nell'ottobre 2019 è stata introdotta la possibilità di non partecipare agli accordi settoriali, in particolare per le imprese che si trovano ad affrontare problemi economici (fallimento, ristrutturazione, liquidazione, crediti deteriorati) o che operano in zone con tassi di disoccupazione elevati, nonché per le start-up e le imprese dell'economia sociale. Inoltre la proroga degli accordi settoriali non è più automatica, in quanto la decisione è ora rimessa alla discrezione del ministro del Lavoro e viene adottata a seguito di una richiesta esplicita presentata da una delle parti firmatarie. Tale richiesta deve essere accompagnata da un'analisi dell'impatto stimato sull'economia e sul mercato del lavoro e deve soddisfare l'attuale criterio di rappresentatività (50 % della forza lavoro già coperta dall'accordo). Sono stati creati un registro pubblico per le associazioni degli imprenditori e un altro registro per i sindacati, al fine di verificare la loro rappresentatività ai fini della conclusione di contratti collettivi di lavoro. Resta da appurare in quale misura tali modifiche incideranno a livello pratico sulla contrattazione collettiva. Nel contesto della risposta alla COVID-19 i lavoratori del settore sanitario e quelli ad essi assimilati in tutta l'UE sono stati destinatari di misure di determinazione dei salari (adottate in base ad accordi collettivi o a iniziative governative). Diversi Stati membri, tra cui Bulgaria, Lettonia e Lituania, hanno introdotto misure per integrare temporaneamente i salari del personale sanitario e/o di altre categorie di lavoratori direttamente coinvolti nella lotta contro la pandemia. Di recente sono stati conclusi accordi collettivi relativi al settore sanitario, ad esempio in Austria, Belgio (a livello federale), Francia e Germania (per gli infermieri).
Negli ultimi mesi le misure adottate in materia di tassazione del lavoro sono state per la maggior parte concepite in risposta alla pandemia di COVID-19. Un'analisi della risposta iniziale alla pandemia da parte degli Stati membri in ambito fiscale evidenzia che ciò è stato fatto per evitare un forte aumento della disoccupazione e per attenuare la pressione sulle imprese; gli Stati membri hanno protetto il flusso di cassa delle imprese e la misura più comune da essi adottata è stata il differimento delle imposte. Tali differimenti sono stati introdotti per le seguenti categorie fiscali: imposta sul reddito delle società, imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta patrimoniale, IVA e oneri sociali. Alcuni Stati membri hanno inoltre introdotto sgravi fiscali più ampi, tra cui sconti sulle imposte e/o sugli oneri sociali per i pagamenti puntuali, sgravi fiscali per le società gravemente colpite, sospensioni temporanee di taluni versamenti fiscali e di oneri sociali nonché crediti d'imposta.
Molti Stati membri hanno concepito misure fiscali volte a proteggere i lavoratori, i settori dell'economia o le categorie della popolazione più fragili attraverso misure temporanee mirate. Il Belgio ad esempio ha introdotto la possibilità di differire il pagamento degli oneri sociali per il 2020. I lavoratori autonomi possono inoltre beneficiare, a determinate condizioni, di una riduzione o della soppressione degli oneri sociali. In Spagna i lavoratori autonomi hanno potuto differire di sei mesi il pagamento delle imposte e degli oneri sociali in caso di sospensione delle attività a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza. La Polonia ha attuato un'esenzione temporanea (o, a seconda delle dimensioni dell'impresa, una riduzione) degli oneri sociali per le piccole imprese e le cooperative sociali. Il Portogallo ha
introdotto un'esenzione parziale dal pagamento degli oneri sociali a carico dei datori di lavoro per un periodo massimo di tre mesi per i lavoratori che beneficiano di misure di sostegno straordinarie. La Slovacchia ha rinviato il termine per i versamenti obbligatori dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi agli enti di previdenza e assistenza sociale. In base a tale misura tutti i datori di lavoro e i lavoratori autonomi che versano contributi obbligatori ai fondi sanitari e pensionistici e le cui entrate commerciali sono diminuite di almeno il 40 % hanno avuto la possibilità di differire il pagamento. In Finlandia, allo scopo di sostenere i datori di lavoro del settore privato incentivandoli a mantenere il maggior numero possibile di posti di lavoro, gli oneri sociali a loro carico sono stati ridotti di 2,6 punti percentuali tra maggio e dicembre 2020. Per coprire i costi aggiuntivi gli oneri saranno aumentati di 0,4 punti percentuali tra il 2022 e il 2025. Questa misura è stata concepita in coordinamento con le parti sociali. Inoltre lo Stato cofinanzia parte degli oneri sociali per gli imprenditori che hanno registrato una diminuzione del fatturato per un periodo di 3 mesi (con possibilità di proroga).
In altri casi sono state adottate misure su una base più stabile o permanente, con l'obiettivo di ridurre il cuneo fiscale sul lavoro con effetti potenzialmente positivi sulla domanda e sull'offerta di lavoro. Ad esempio, la Grecia ha ridotto di 0,9 punti percentuali gli oneri sociali per i lavoratori a tempo pieno a decorrere da giugno 2020. Il governo ha annunciato un'ulteriore riduzione di 3 punti percentuali nel 2021. In Polonia, oltre a un'esenzione fiscale per i lavoratori giovani, da ottobre 2019 la prima aliquota dell'imposta sul reddito è stata ridotta dal 18 % al 17 %. Anche le spese fiscalmente deducibili per i dipendenti sono stati ampliate. La Lituania ha aumentato l'esenzione fiscale sul reddito da 350 EUR mensili a 400 EUR mensili, con effetto da luglio 2020. L'Italia ha ridotto il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti: per i redditi fino a 28 000 EUR all'anno è previsto un trattamento integrativo di 600 EUR per gli ultimi sei mesi del 2020, che diventano 1 200 EUR a partire dal 2021. Sono previste detrazioni di valore inferiore per i redditi più elevati, fino a 40 000 EUR. Questa misura sostituisce un precedente contributo (il "bonus Xxxxx") per i redditi compresi tra 8 000 EUR e 26 600 EUR. Dal 2021 nelle Fiandre (Belgio) un "bonus occupazione" aumenterà di almeno 50 EUR mensili i salari netti dei lavoratori che percepiscono un salario lordo mensile non superiore a 1 700 EUR. Il bonus scende gradualmente a zero per le persone con uno stipendio lordo mensile di 2 500 EUR. Tale misura dovrebbe far fronte alle trappole della disoccupazione e dell'inattività.
3.2 Orientamento 6: potenziare l'offerta di forza lavoro e migliorare l'accesso all'occupazione, abilità e competenze
Questa sezione esamina l'attuazione dell'orientamento 6 in materia di occupazione, che raccomanda agli Stati membri di istituire condizioni che promuovano l'offerta di forza lavoro, le abilità e le competenze. Il punto 3.2.2 illustra le misure strategiche adottate dagli Stati membri in questi ambiti.
Negli ultimi dieci anni il tasso di abbandono precoce di istruzione e formazione62 è diminuito in modo significativo a livello di UE, ma la crisi COVID-19 sottolinea la
62 Il tasso di abbandono precoce di istruzione e formazione è definito come la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni con al massimo un titolo di istruzione secondaria di primo grado (livelli ISCED 0-2) e che non
necessità di proseguire gli sforzi. Nel 2019 il tasso di abbandono scolastico si è attestato al 10,2 %, solo 0,2 punti percentuali al di sopra dell'obiettivo principale della strategia Europa 2020, dopo un notevole miglioramento (di quasi 4 punti percentuali) dal 2009. I progressi a livello di UE sono stati trainati principalmente da una serie di Stati membri che hanno registrato miglioramenti molto significativi: Portogallo (-20,3 punti percentuali), Spagna (- 13,6 punti percentuali), Grecia (-10,1 punti percentuali) e Malta (-8,5 punti percentuali)63. Solo la Slovacchia e la Cechia hanno registrato un aumento del tasso di abbandono scolastico negli ultimi dieci anni (rispettivamente di +3,4 e +1,3 punti percentuali) (figura 18 e figura 19). Negli ultimi quattro anni non si sono tuttavia registrati miglioramenti significativi a livello di UE: in tale periodo il tasso di abbandono scolastico è rimasto in media invariato. In alcuni Stati membri che hanno ottenuto risultati scarsi in tale ambito nel quadro di valutazione della situazione sociale, in particolare Spagna, Malta, Romania, Bulgaria e Italia, l'abbandono scolastico rimane una sfida fondamentale in relazione alla quale si sono prodotti miglioramenti esigui rispetto all'anno precedente. Diversi paesi presentano disparità regionali significative nei tassi di abbandono scolastico (cfr. allegato 4). Periodi prolungati di chiusura delle scuole a causa della crisi COVID-19 potrebbero far aumentare i tassi di abbandono scolastico, il che richiede un impegno costante per affrontare la sfida.
L'abbandono scolastico colpisce soprattutto giovani che hanno bisogno di un sostegno supplementare per proseguire gli studi. Nel 2019 la percentuale di giovani uomini che hanno abbandonato precocemente l'istruzione e la formazione nell'UE è stata mediamente superiore (11,9 %) rispetto a quella delle giovani donne (8,4 %). Soltanto la Romania e la Cechia mostrano un quadro diverso (in Romania il 14,9 % dei ragazzi rispetto al 15,8 % delle ragazze, in Cechia il 6,6 % dei ragazzi rispetto al 6,8 % delle ragazze). Nel complesso, il contesto socioeconomico degli studenti incide sensibilmente sull'abbandono scolastico e il livello di istruzione dei genitori svolge un ruolo fondamentale. Incide altresì il contesto migratorio in quanto tra le persone autoctone le percentuali di abbandono scolastico nell'UE sono in media significativamente inferiori (8,9 %) rispetto a quelle che si registrano tra le persone nate in un altro paese dell'UE (21,4 %) e tra quelle nate al di fuori dell'UE (22,5 %). In quattro Stati membri (Italia, Malta, Spagna e Grecia) oltre il 25 % dei giovani nati al di fuori dell'UE ha abbandonato precocemente l'istruzione o la formazione nel 2019.
63 Gli Stati membri hanno utilizzato una serie di misure, compreso il sostegno dei fondi UE, al fine di conseguire tali miglioramenti. La valutazione effettuata nel 2019 dalla Commissione europea sull'attuazione della raccomandazione del Consiglio del 2011 relativa alle politiche di riduzione dell'abbandono scolastico contiene un'analisi a tale riguardo.
Figura 18: i tassi di abbandono scolastico differiscono sensibilmente tra i diversi Stati membri
Abbandono precoce di istruzione e formazione (% della popolazione di età compresa tra 18 e 24 anni) e variazione annua (indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, codice dati online: [edat_lfse_14]. Periodo: livelli del 2019 e variazioni annue rispetto al 2018. Nota: gli assi sono centrati sulla media UE non ponderata. La legenda figura nell'allegato. I dati per HR non sono attendibili. Interruzioni nelle serie per NL.
Figura 19: l'obiettivo fissato dalla strategia Europa 2020 in materia di abbandono scolastico è stato quasi raggiunto
Abbandono precoce di istruzione e formazione, 2009, 2019 e obiettivo Europa 2020 (%)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, codice dati online: [edat_lfse_14].
Nota: per tutti i paesi, interruzione delle serie temporali nel 2014 (passaggio da ISCED 1997 a ISCED 2011). I dati del 2019 per HR non sono affidabili.
Nell'UE oltre un alunno su cinque non raggiunge il livello minimo di competenze in lettura, matematica e scienze e i progressi che si registrano nel tempo sono molto limitati. Il parametro di riferimento del quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione (ET 2020) relativo alla riduzione (al di sotto del 15 % nell'UE entro il 2020) del tasso di studenti quindicenni con risultati insufficienti in lettura, matematica e scienze non è stato raggiunto in nessuno dei tre ambiti presi in esame dal programma per la valutazione internazionale degli studenti (PISA) dell'OCSE. Nel 2018 il 22,5 % degli alunni nell'UE-27 ha ottenuto risultati ritenuti insufficienti nella lettura, il 22,9 % in matematica e il 22,3 % in scienze. Dal 2009 la percentuale è peggiorata nell'UE sia in scienze che nella lettura ed è rimasta stabile in matematica. (cfr. la figura 2064). Non vi sono state significative differenze di genere in relazione all'insufficienza dei risultati in matematica e scienze, mentre per quanto riguarda la lettura è stato registrato un divario considerevole (il tasso di risultati insufficienti è stato del 17,4 % per le ragazze a fronte del 27,3 % per i ragazzi). Per stimolare una risposta a tale questione fondamentale, la comunicazione sulla realizzazione dello spazio europeo dell'istruzione rinnova l'impegno dell'UE nel suo insieme di ridurre la percentuale di alunni con scarsi risultati in lettura, matematica e scienze al di sotto del 15 % entro il 203065.
64 La sfida è presentata più in dettaglio nella relazione di monitoraggio del settore dell'istruzione e della formazione per il 2019, pag. 60 (disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!XX00XX).
65 Comunicazione della Commissione sulla realizzazione dello spazio europeo dell'istruzione entro il 2025, COM(2020) 625 final.
Figura 20: le capacità di lettura variano notevolmente tra gli Stati membri dell'UE
Variazione a lungo termine del tasso di risultati insufficienti nella lettura, 2009-2018 [%]
Fonte: PISA 2018, OCSE. Nota: Nota: le barre verticali più scure indicano variazioni statisticamente significative tra il 2009 e il 2018. Dati non disponibili per AT, CY ed ES.
La crisi COVID-19 ha evidenziato la sfida posta dai divari nell'ambito delle competenze e dell'istruzione, rendendo ancora più urgente la definizione di risposte strategiche adeguate. La crisi COVID-19, che ha portato con sé un'improvvisa accelerazione della digitalizzazione della didattica, potrebbe rafforzare la correlazione persistente ed elevata tra il contesto socioeconomico e i risultati scolastici. Un'analisi preliminare 66 suggerisce che il confinamento ha avuto un effetto sproporzionatamente negativo sui gruppi vulnerabili o su coloro che vivono nelle regioni meno sviluppate. La didattica a distanza, ad esempio, presuppone che ogni alunno abbia almeno un computer o un tablet, una connessione Internet veloce, le competenze necessarie per usare il dispositivo e il sostegno adeguato dei genitori. Ciò non sempre accade per gli alunni che vivono nelle aree o nelle famiglie più povere. Nel 2018 il 3,9 % delle famiglie nell'UE non poteva permettersi l'acquisto di un computer. Per le famiglie con un reddito inferiore al 60 % del reddito equivalente mediano la percentuale è del 12,8 %, mentre per le famiglie di coloro che sono nati al di fuori dell'UE tale quota è pari all'8 %67. Il problema può essere ancora più grave per gli alunni che sono richiedenti asilo e rifugiati, per i quali l'accesso all'istruzione è spesso difficile. Gli effetti reali della crisi sui risultati dell'apprendimento non possono essere valutati in questa fase, ma meritano un attento monitoraggio negli anni a venire.
La partecipazione a sistemi di educazione e cura della prima infanzia è aumentata costantemente nell'ultimo decennio, ma i bambini provenienti da contesti socioeconomici più sfavoriti vi partecipano in misura persistentemente inferiore. Nel 2009 il quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione (ET 2020) ha fissato un obiettivo ambizioso, secondo cui entro il 2020 almeno il 95 % dei bambini di età compresa tra i quattro anni e l'età dell'istruzione primaria obbligatoria dovrebbe partecipare a
66 Commissione europea, Employment and Social Developments in Europe, Annual Review 2020, pag. 32.
67 Commissione europea, relazione di monitoraggio del settore dell'istruzione e della formazione per il 2020, basata sull'indagine EU-SILC di Eurostat Persons who cannot afford a computer, codice dati online: [ilc_mddu03].
sistemi di educazione e cura della prima infanzia68. Nel 2018 l'UE-27 ha quasi raggiunto tale obiettivo, con una media del 94,8 % e un aumento di 4,5 punti percentuali dal 2009. Nel 0000 Xxxxxxx, Danimarca e Irlanda hanno garantito l'accesso universale ai sistemi di educazione e cura della prima infanzia ai bambini in questa fascia di età. Nell'ultimo decennio sono stati inoltre registrati notevoli miglioramenti in Irlanda (+26,4 punti percentuali), Polonia (+22,1 punti percentuali) e Finlandia (+17,4 punti percentuali). Al contrario i tassi di partecipazione sono leggermente peggiorati in Italia (-4,9 punti percentuali), Estonia (-3,3 punti percentuali), Paesi Bassi (-2,6 punti percentuali), Bulgaria (-1,8 punti percentuali), Romania (-1,7 punti percentuali), Belgio (-0,8 punti percentuali) e Spagna (-0,4 punti percentuali). Nonostante questo quadro complessivamente positivo, permangono importanti sfide in tema di inclusione e uguaglianza. L'analisi dei dati derivanti dall'indagine evidenzia che i bambini provenienti da contesti socioeconomici più sfavoriti o da gruppi sociali svantaggiati presentano tassi sensibilmente inferiori di partecipazione a sistemi di educazione e cura della prima infanzia69. È probabile che tali disuguaglianze in queste fasi iniziali della vita provochino in un secondo tempo risultati scolastici più scarsi, un livello di istruzione più basso e peggiori prospettive occupazionali.
Il contesto socioeconomico e quello migratorio continuano a essere indicatori utili di previsione del rendimento scolastico; in molti Stati membri esistono ampi divari di rendimento tra le zone urbane e quelle rurali. La figura 21 evidenzia che in tutti gli Stati membri la percentuale di alunni con risultati insufficienti nella lettura è molto più alta nel quarto inferiore dell'indice dello status economico, sociale e culturale (ESCS)70 che nel quarto superiore. Bulgaria (44,9 punti percentuali), Romania (43,1 punti percentuali), Ungheria (38,6 punti percentuali), Slovacchia (37,8 punti percentuali) e Lussemburgo (37,5 punti percentuali) presentano i divari più elevati tra i risultati degli alunni del quartile superiore e quelli degli alunni del quartile inferiore. Paesi come Estonia, Finlandia, Irlanda, Polonia, Croazia e Lettonia sono invece riusciti a ridurre l'impatto del contesto socioeconomico sui risultati scolastici. Inoltre gli Stati membri con una bassa percentuale di studenti con risultati insufficienti nella lettura presentano normalmente anche una divergenza minore tra la parte superiore e la parte inferiore della scala ESCS. Ciò indica che sistemi di istruzione efficaci possono promuovere contemporaneamente la qualità e l'equità. Nel 2018 in molti Stati membri dell'UE la percentuale di studenti che hanno ottenuto risultati insufficienti nella lettura era ancora molto più alta tra gli alunni provenienti da un contesto migratorio che tra quelli con un contesto non migratorio71. Le barriere linguistiche sembrano svolgere un ruolo fondamentale in questo senso, il che sottolinea l'importanza della formazione linguistica. Infine la differenza relativa alle capacità di lettura tra gli alunni delle scuole cittadine e quelli delle scuole rurali è statisticamente significativa e piuttosto ampia in molti Stati membri. In
68 Conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione ("ET 2020"). Nel quadro dello spazio europeo dell'istruzione è stato ora fissato un obiettivo ambizioso, secondo cui entro il 2030 almeno il 98 % dei bambini di età compresa tra i tre anni e l'età di inizio dell'istruzione primaria obbligatoria dovrebbe partecipare all'educazione della prima infanzia.
69 Xxxxx, X. e Xxxxxx, Zs. A note on early childhood education and care participation by socio-economic background, 2019.
70 L'OCSE misura l'indice ESCS tenendo conto di una serie di variabili relative al contesto familiare degli alunni, ovvero: il livello di istruzione e lo status occupazionale dei genitori, il possesso di taluni beni domestici, il numero di libri e le risorse educative disponibili nella famiglia.
71 Per evitare calcoli basati su campioni di dimensioni molto ridotte, la presente relazione mostra i risultati soltanto per gli Stati membri dell'UE in cui la percentuale di alunni provenienti da un contesto migratorio è pari ad almeno il 5 %.
Ungheria, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Portogallo supera addirittura i 100 punti della prova PISA, corrispondenti a circa 2-3 anni di scolarizzazione.
Figura 21: il contesto socioeconomico degli studenti incide sulle loro capacità di lettura
Risultati insufficienti nella lettura (%) in base allo status economico, sociale e culturale, 2018
Fonte: PISA 2018, OCSE. Nota: i paesi sono classificati in ordine crescente in funzione del divario relativo ai risultati insufficienti esistente tra il quarto inferiore e il quarto superiore dell'indice socioeconomico. Dati non disponibili per ES.
L'inclusione dei Rom nell'istruzione è una sfida che potrebbe aggravarsi a seguito della crisi COVID-19 a causa di diversi fattori, tra cui la segregazione scolastica, l'insegnamento non inclusivo, gli ostacoli derivanti da gravi condizioni di povertà o di segregazione abitativa nonché la mancanza di accesso alla didattica a distanza. Nonostante gli sforzi profusi per aumentare la partecipazione e ridurre l'abbandono dell'istruzione tra i minori in età di obbligo scolastico, meno di un terzo dei giovani Rom (fascia di età 20-24 anni) completa l'istruzione secondaria superiore 72 , mentre il divario rispetto alla popolazione generale per quanto concerne la partecipazione all'educazione della prima infanzia (dall'età di tre anni fino all'età dell'obbligo scolastico) è particolarmente ampio e si attesta a 53 punti percentuali. L'abbandono scolastico, sebbene in calo tra il 2011 e il 2016, rimane molto più elevato rispetto a quello della popolazione generale (68 % rispetto al 10,2 %). La percentuale di giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano tra i Rom è aumentata tra il 2011 e il 2016, passando dal 56 % al 62 %73. Durante il confinamento indotto dalla pandemia di COVID-19, un gran numero di minori Rom ha avuto difficoltà a partecipare alla didattica a distanza e i primi risultati suggeriscono un divario crescente rispetto alla popolazione generale74. La didattica a distanza è spesso inaccessibile, anche da un punto di vista economico, per i minori Rom e nomadi a rischio di povertà privi di adeguate
72 Allegato 2 del documento di lavoro dei servizi della Commissione SWD(2020) 530 final, che accompagna la comunicazione "Un'Unione dell'uguaglianza: quadro strategico dell'UE per l'uguaglianza, l'inclusione e la partecipazione dei Rom", COM (2020) 620 final, basato sull'indagine dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA) EU-MIDIS II 2016; FRA, RTS 2019; Eurostat [edat_lfse_03] 2019 (popolazione generale). 73 Dall'indagine 2019 su Rom e nomadi, che ha riguardato i Rom in Belgio, Francia, Irlanda, nei Paesi Bassi e in Svezia, è emerso un risultato analogo. FRA, Roma and travellers in six countries, 2020.
74 FRA, Coronavirus pandemic in the EU – impact on Roma and Travellers - Bullettin #5, 2020.
attrezzature informatiche, di accesso a Internet o persino dell'elettricità nelle loro case o nei loro campi o insediamenti irregolari75.
Un elevato livello di abbandono scolastico e un tasso ridotto di istruzione terziaria tra le persone con disabilità incidono negativamente sul loro tasso di occupazione. Nel 201876 il tasso di abbandono scolastico dei giovani (fascia di età 18-24 anni) con disabilità nell'UE-27 è stato del 20,3 % rispetto al 9,8 % delle persone senza disabilità (ossia un divario di circa 10,5 punti percentuali). Il divario più ridotto è stato osservato in Danimarca (0,4 punti percentuali) e in Slovenia (2,8 punti percentuali), mentre è stato relativamente elevato a Malta (19,4 punti percentuali), in Croazia (18,2 punti percentuali), in Germania (17,3 punti percentuali) e in Romania (15,5 punti percentuali). Allo stesso tempo soltanto il 29,4 % delle persone con disabilità ha completato l'istruzione terziaria o equivalente rispetto al 43,8 % delle persone senza disabilità. Il divario più basso è stato registrato in Italia (4,3 punti percentuali), Slovenia (4,4 punti percentuali) e Portogallo (4,5 punti percentuali), mentre il più alto è stato registrato in Svezia (27,9 punti percentuali), Germania (27,2 punti percentuali), Bulgaria (25,8 punti percentuali) e Irlanda (21,8 punti percentuali).
Figura 22: molti alunni non possiedono ancora le competenze digitali di base
Distribuzione dei punteggi di alfabetizzazione informatica in base ai livelli della scala dei risultati 2018 e 2013
Fonte: IEA, ICILS 2018 e ICILS 2013. Gli alunni al di sotto del livello 2 sono in grado di dimostrare soltanto una conoscenza operativa funzionale dei computer come strumenti e una comprensione di base delle conseguenze dell'accesso ai computer da parte di più utenti. † Conforme alle condizioni relative al tasso di partecipazione richiesto per il campionamento solo una volta inserite le scuole sostitutive. †† Pressoché conforme alle condizioni relative al tasso di partecipazione richiesto per il campionamento una volta inserite le scuole sostitutive. ¹ La popolazione definita a livello nazionale copre tra il 90 % e il 95 % della popolazione nazionale di riferimento. ² Non ha soddisfatto il criterio del tasso di partecipazione del campione. ³ Le prove si sono svolte all'inizio dell'anno scolastico, pertanto i risultati non sono paragonabili a quelli degli altri Stati membri.
Gli alunni del ventunesimo secolo sono "nativi digitali" eppure non dispongono ancora di competenze digitali. L'indagine International Computer and Information Literacy Study
75 Overview of the impact of coronavirus measures on marginalised Roma communities in the EU, aprile 2020, Commissione europea.
76 Dati provenienti dall'indagine EU-SILC 2018 e analizzati da European Disability Expertise (EDE).
(ICILS - Studio internazionale sull'alfabetizzazione informatica)77, che valuta la capacità degli alunni dell'ottavo anno di scolarità (13-14 anni) di utilizzare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, suggerisce che molti alunni non sono in grado di comprendere e svolgere persino le operazioni più semplici nell'ambito delle TIC. La figura 22 mostra che la percentuale di alunni che non raggiungono il livello 2 della scala di alfabetizzazione informatica supera il 30 % in 9 Stati membri dei 14 che hanno partecipato alle indagini ICILS del 2013 e del 2018. Nel 2018 ben il 62,7 % degli alunni italiani non ha superato la soglia della sufficienza, come non vi è riuscito il 50,6 % degli alunni in Lussemburgo, il 43,5 % in Francia, il 33,5 % in Portogallo, il 33,2 % in Germania e il 27,3 % in Finlandia. Le ragazze hanno risultati migliori per quanto riguarda l'alfabetizzazione informatica e le scienze, la tecnologia, l'ingegneria e la matematica (STEM)78. In media gli alunni provenienti da contesti socioeconomici più svantaggiati e/o da un contesto migratorio ottengono risultati peggiori in termini di alfabetizzazione informatica rispetto ai loro coetanei appartenenti a famiglie più avvantaggiate o non migranti. La comunicazione sulla realizzazione dello spazio europeo dell'istruzione ha proposto l'obiettivo di ridurre la percentuale di discenti all'ottavo anno della scuola dell'obbligo con scarsi risultati in alfabetizzazione informatica al di sotto del 15 % entro il 2030.
77 L'ICILS misura i risultati degli alunni attraverso una valutazione informatizzata di due ambiti delle competenze informatiche: l'alfabetizzazione informatica e il pensiero computazionale. Finora sono stati completati due cicli di valutazione, nel 2013 e nel 2018. Hanno partecipato in totale 14 Stati membri, nove al primo ciclo e sette al secondo ciclo (soltanto la Danimarca e la Germania hanno partecipato a entrambi). Per una presentazione dei risultati dell'indagine ICILS cfr. Xxxxxxxx, X., Xxxxxx, X., Xxxxxx, X., Xxxxxxxx, X., Xxxxxxxxx,
D. (2019), Preparing for Life in a Digital World: IEA International Computer and Information Literacy Study 2018 International Report, Amsterdam, International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA); e Xxxxxxxx, J., Xxxxxx, X., Xxxxxx, X., Xxxxxxxx, X., Xxxxxxxx, E. (2014), Preparing for Life in a Digital Age: IEA International Computer and Information Literacy Study, International Report, Cham: Springer.
78 Documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la comunicazione "Piano d'azione per l'istruzione digitale 2021-2027 - Ripensare l'istruzione e la formazione per l'era digitale", Commissione europea, 2020.
Figura 23: si osservano divari notevoli tra gli Stati membri per quanto riguarda le competenze digitali di base
Percentuale della popolazione con competenze digitali complessive di base o superiori e variazione annua (indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale)
Fonte: Eurostat, codice dati online [TEPSR_SP410]. Periodo: livelli e variazioni del 2019 rispetto al 2017. Nota: gli assi sono centrati sulla media UE non ponderata. La legenda figura nell'allegato. Discontinuità nelle serie per Cechia, Italia, Lettonia e Lussemburgo nel 2019. Dati non disponibili per IT per il 2017 (2019: 42 %).
La crisi COVID-19 ha messo in luce l'insufficienza dei livelli di competenze digitali negli adulti e l'esistenza di ampi divari tra i paesi. Le misure di confinamento adottate nella maggior parte degli Stati membri nel primo semestre del 2020 hanno sottolineato l'importanza delle competenze digitali per la continuità operativa, l'istruzione e la formazione, l'assistenza sanitaria e la normale interazione sociale. Scarse competenze digitali limitano sia l'innovazione sia la piena partecipazione alla società. I progressi sono molto lenti: nel 2019 in media il 56 % della popolazione di età compresa tra i 16 e i 74 anni nell'UE-27 disponeva almeno di competenze digitali di base (1 punto percentuale in più rispetto al 201779), mentre quattro persone su dieci erano ancora prive di competenze digitali di base (figura 23). A livello dell'UE gli uomini hanno competenze digitali leggermente superiori a quelle delle donne (58 % rispetto al 54 % del 2019), ma il divario si è ridotto di 2 punti percentuali dal 2015. Dal 2015 solo Cechia, Irlanda, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Romania hanno ottenuto miglioramenti pari o superiori a 5 punti percentuali. Nell'UE vi sono ampie divergenze: in cinque paesi (in ordine ascendente Danimarca, Germania, Svezia, Finlandia e Paesi Bassi) la quota era compresa tra il 70 % e l'80 % mentre in sette paesi è rimasta al di sotto del 50 % (e inferiore al 40 % in Bulgaria e in Romania). Gli aspetti socio-demografici sono fondamentali,
79 Dati non disponibili per il 2018.
in quanto meno di un quarto degli anziani (65-74 anni) possiede competenze digitali di base a fronte di otto giovani su dieci (16-24 anni); questa percentuale raggiunge il 32 % per le persone con un basso livello di istruzione rispetto all'84 % per le persone con un livello di istruzione elevato. Le recenti iniziative dell'UE mirano ad aumentare le competenze digitali di base degli adulti e dei giovani nell'UE: l'agenda per le competenze fissa un obiettivo del 70 % per gli adulti entro il 2025 e lo spazio europeo dell'istruzione un obiettivo dell'85 % per i giovani di 14 anni entro il 2030.
Figura 24: circa un insegnante su cinque dichiara un'elevata necessità di formazione nel settore delle TIC
Percentuale di insegnanti che dichiarano un'elevata necessità di sviluppo professionale in relazione alle competenze TIC per l'insegnamento
Fonte: OCSE, banca dati TALIS 2018. Nota: risultati basati sulle risposte degli insegnanti dell'istruzione secondaria inferiore. Dati non disponibili per DE, EL, PL, LU e IE.
¹ Media ponderata dell'UE basata sui 22 Stati membri che hanno partecipato all'indagine TALIS 2018.
La transizione innescata dalla crisi COVID-19 verso la didattica online e a distanza pone nuove sfide alla professione di docente. Gli insegnanti devono essere dotati delle competenze necessarie per trarre beneficio dalle potenzialità delle tecnologie digitali al fine di migliorare l'insegnamento e l'apprendimento e preparare i loro allievi alla vita in una società digitale 80 . Secondo l'indagine TALIS 2018, la percentuale di insegnanti dell'istruzione secondaria inferiore che ritenevano di essere "ben preparati" o "molto ben preparati" all'uso delle TIC per l'insegnamento varia notevolmente da uno Stato membro all'altro. In Romania (69,5 %), in Slovenia (67 %), in Ungheria (65,7 %) e a Cipro (61,8 %) le percentuali di insegnanti che si ritengono adeguatamente preparati a utilizzare le TIC per l'insegnamento sono più elevate rispetto a quelle registrate in Austria (19,9 %) o in Finlandia (21,5 %). In media il 18 % degli insegnanti dell'UE, in risposta a una domanda sul livello di esigenze di formazione nel settore delle TIC, ha dichiarato di avere un'elevata necessità di formazione in tale ambito. Nel 2018 il livello di necessità è stato più elevato in Croazia (26,2 %), in Lituania (23,6 %) e in Francia (22,9 %), mentre in Slovenia meno di un insegnante su dieci ha segnalato un'elevata necessità di formazione in materia di TIC (figura 24).
L'UE nel suo complesso ha raggiunto l'obiettivo principale del 40 % in materia di tasso di istruzione terziaria per il 2020, anche se persistono ampie disparità tra gli Stati
80 Xxxxxxxx, C. (2017), European Framework for the Digital Competence of Educators: DigCompEdu.
membri e tra i diversi gruppi della popolazione81. Nel 2019 il 40,3 % delle persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni era in possesso di un diploma di istruzione terziaria nell'UE. I progressi sono stati particolarmente significativi in Slovacchia (+22,5 punti percentuali), Austria (+19 punti percentuali), Cechia (+17,6 punti percentuali), Lituania (+17,4 punti percentuali) e Grecia (+16,5 punti percentuali). Gli Stati membri con i livelli più elevati di istruzione terziaria tra le persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni sono Cipro (58,8 %), Lituania (57,8 %), Lussemburgo (56,2 %) e Irlanda (55,4 %), mentre Romania (25,8 %), Italia (27,6 %), Bulgaria (32,5 %) e Croazia (33,1 %) registrano i risultati più bassi. Nell'UE il divario tra zone urbane e rurali in termini di tasso di istruzione terziaria è stato di 22,1 punti percentuali. I divari maggiori sono stati registrati in Lussemburgo (41,2 punti percentuali), Romania (38,4 punti percentuali), Slovacchia (35,5 punti percentuali) e Bulgaria (35,4 punti percentuali) (figura 25). In media nell'UE persistono notevoli disparità nei tassi di istruzione tra donne e uomini (45,6 % rispetto a 35,1 %). Nel 2018 solo il 29,4 % circa delle persone con disabilità (fascia di età 30-34 anni) ha completato l'istruzione terziaria o equivalente, a fronte del 43,8 % delle persone senza disabilità.
Figura 25: vi sono notevoli disparità in termini di istruzione terziaria tra le zone rurali e le città
Divario tra zone urbane e rurali per quanto riguarda il livello di istruzione terziaria per paese, 2019 (%)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro dell'UE. Codice dati online: [edat_lfs_9913] Nota: l'indicatore riguarda la percentuale della popolazione totale di età compresa tra i 30 e i 34 anni che ha completato l'istruzione terziaria (ISCED 5-8).
Negli ultimi cinque anni la spesa pubblica per l'istruzione è rimasta relativamente costante a livello dell'UE, mentre aumenta la necessità di investimenti. Nel 2018 gli Stati membri hanno investito il 4,6 % del PIL totale nell'istruzione e nella formazione, mentre la percentuale media di spesa pubblica per l'istruzione nell'UE si è attestata al 9,9 %. Esistono tuttavia notevoli differenze tra gli Stati membri e alcuni paesi hanno problemi a garantire risorse adeguate per soddisfare le proprie esigenze di investimento nel campo dell'istruzione e della formazione. Secondo le stime della Banca europea per gli investimenti (BEI), nell'UE- 27 la carenza di investimenti infrastrutturali nel settore dell'istruzione è di circa 8 miliardi di
81 Lo spazio europeo dell'istruzione ha proposto come obiettivo che la percentuale di persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni in possesso di un diploma di istruzione terziaria raggiunga almeno il 50 % entro il 2030.
EUR all'anno fino al 203082. Al contempo l'impiego pedagogico delle tecnologie digitali dipende anche dalla disponibilità, dall'accessibilità e dalla qualità delle risorse TIC 83. La carenza di risorse si ripercuote in varia misura sulle scuole in tutti i paesi dell'UE. Dall'indagine TALIS 2018 emerge che, in media, il 35,9 % degli insegnanti dell'istruzione secondaria inferiore nell'UE ritiene che investire nelle TIC sia di grande importanza. A Cipro (66,3 %) e in Ungheria (56,3 %) oltre il 50 % degli insegnanti ritiene che si tratti di una priorità. Una recente indagine tra gli insegnanti ha ulteriormente sottolineato l'importanza relativa delle attrezzature TIC evidenziando che gli insegnanti percepiscono gli ostacoli riguardanti le attrezzature come l'aspetto che incide più negativamente sull'uso delle tecnologie digitali84.
Prima della crisi COVID-19 il divario tra la domanda e l'offerta di competenze si era andato riducendo in tutta l'UE. Questa tendenza è stata trainata soprattutto dalla diminuzione della percentuale di persone con un basso livello di competenze e dall'aumento generale del livello di istruzione85. A questa tendenza ha contribuito anche l'aumento dei tassi di occupazione delle persone con un livello di competenze basso o medio legato al contesto macroeconomico favorevole. In diversi paesi permangono tuttavia ampi divari nei tassi di occupazione in base al livello di istruzione. Nel 2019 il tasso di occupazione nell'UE-27 è stato in media del 55,7 % per le persone che non hanno completato un livello equivalente all'istruzione secondaria superiore, del 73,4 % per coloro che possiedono qualifiche di livello intermedio e dell'84,8 % per coloro che possiedono qualifiche di alto livello (figura 26). A seconda delle tendenze settoriali e delle politiche volte a preservare l'occupazione e a prevenire o combattere la disoccupazione nell'attuale crisi COVID-19, il calo dello squilibrio a livello macroeconomico tra la domanda e l'offerta di competenze potrebbe rallentare o addirittura invertirsi in alcuni paesi.
82 Banca europea per gli investimenti (BEI), Relazione sugli investimenti 2018/2019 – Nuovi strumenti per l'economia dell'Europa, 2018.
83 OCSE (2019), PISA 2021 ICT Framework (aprile 2019), pag. 6.
84 Commissione europea, 2nd Survey of Schools: ICT in Education. Objective 1: Benchmark progress in ICT in schools, 2019.
85 L'analisi presentata in questo paragrafo e in quelli successivi si basa su un aggiornamento del quadro di riferimento dell'UE per l'analisi comparativa delle competenze e dell'istruzione degli adulti.
Figura 26: l'istruzione superiore è correlata a tassi di occupazione più elevati in tutti gli Stati membri
Tassi di occupazione per livello di istruzione, fascia di età 20-64 anni (2019)
Scarsamente qualificati Mediamente qualificati
Altamente qualificati
SK
PT 100 HR
MT 90 PL
NL 80 BE
70
CY LT
60
50
EE XX
00
00
XX 00 XX
10
SE 0 BG
LV FR
DK FI
ES IT
LU IE
RO CZ
UE-27 HU
AT
Fonte: Eurostat, codice dati online: [lfsa_ergaed]. Nota: interruzione delle serie temporali per NL.
Il livello di istruzione della popolazione adulta è in aumento dal 2009 in tutta l'UE. Il quadro di riferimento dell'UE per l'analisi comparativa delle competenze e dell'istruzione degli adulti ha mostrato che nel 2019 oltre due terzi della popolazione dell'UE (78,7 %) nella fascia di età 25-64 anni aveva conseguito almeno un diploma di istruzione secondaria superiore. Si tratta di un miglioramento rispetto al valore del 72 % nel 2009 (figura 27). Sebbene tra il 2009 e il 2019 vi siano stati aumenti per entrambi i generi, le donne hanno fatto registrare progressi nettamente superiori rispetto agli uomini: tra le persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni, nel 2009 le donne si trovavano in svantaggio di 1,8 punti percentuali, mentre nel 2019 superavano gli uomini di 1 punto percentuale. Gli Stati membri con il tasso più elevato di popolazione che ha completato almeno l'istruzione secondaria superiore sono Lituania, Cechia, Polonia e Slovacchia. Per contro Portogallo, Malta, Spagna e Italia sono tra i paesi con le percentuali più elevate di persone con basso livello di competenze, sebbene alcuni di tali Stati membri abbiano registrato un netto miglioramento nell'ultimo decennio (in particolare Malta e Portogallo). Questo aumento dell'offerta di competenze è stato accompagnato da un aumento della domanda di competenze di livello medio e alto, che si riflette nei tassi di occupazione più elevati degli adulti mediamente e altamente qualificati.
Figura 27: più di due terzi degli adulti avevano ottenuto almeno un diploma di istruzione secondaria superiore nel 2019
Popolazione che ha ottenuto almeno un diploma di istruzione secondaria superiore, fascia di età 25-64 anni (2009 e 2019)
Fonte: Eurostat, codice dati online [edat_lfs_9903]. Nota: interruzione delle serie temporali per EL, CY e XX nel 0000; XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX nel 2010; CZ, XX, XX, XX, XX, XX nel 2011; FR, NL nel 2013; per tutti i
paesi nel 2014; LU nel 2015; DK nel 2016; BE, IE nel 2017, NL nel 2019.
Oltre un quarto dei giovani adulti (di età compresa tra i 30 e i 34 anni) possiede tuttavia solo una qualifica di livello basso o un titolo di istruzione secondaria superiore generale. Ciò significa che non hanno acquisito competenze utili per il mercato del lavoro attraverso l'istruzione e la formazione professionale (IFP) o l'istruzione terziaria (figura 28). Vi sono notevoli differenze tra gli Stati membri: a Malta, in Portogallo, in Spagna, in Bulgaria e in Lussemburgo rientra in questa categoria una quota compresa tra il 40 % e il 50 % dei giovani adulti (di età compresa tra i 30 e i 34 anni), rispetto a meno del 20 % in 9 Stati membri dell'UE (Croazia, Cechia, Slovacchia, Slovenia, Polonia, Germania, Finlandia, Austria e Paesi Bassi). In media i neodiplomati dell'IFP (79,1 %) e dell'istruzione terziaria (85,0 %) hanno ottenuto risultati occupazionali migliori rispetto sia ai neodiplomati dell'istruzione secondaria superiore provenienti da programmi di orientamento generale (62,8 %) sia alle persone con un basso livello di qualifiche (53,9 %). Negli Stati membri con un'ampia percentuale di giovani adulti scarsamente qualificati e un divario notevole nei rispettivi tassi di occupazione (cfr. la figura 28 e la figura 29) l'orientamento e un'offerta formativa adeguata (sul lavoro) possono favorire la transizione dall'istruzione secondaria inferiore a un percorso di istruzione secondaria superiore professionale nonché ridurre gli attuali squilibri tra domanda e offerta di competenze. Negli Stati membri con un'ampia percentuale di diplomati dell'istruzione secondaria superiore generale che non hanno acquisito un'istruzione terziaria, ciò può essere conseguito migliorando la permeabilità dei percorsi di istruzione ed ampliando l'offerta di istruzione di livello post-secondario non terziario, di IFP terziaria di ciclo breve o di istruzione terziaria.
Figura 28: oltre un quarto dei giovani adulti non possiede una qualifica che permetta l'accesso diretto al mercato del lavoro
Livello di istruzione e orientamento dei giovani adulti di età compresa tra 30 e 34 anni, 2019
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, fonte dei dati online [edat_lfs_9914].
Figura 29: i giovani in possesso di titoli di istruzione superiore o qualifiche professionali di livello intermedio hanno migliori prospettive sul mercato del lavoro.
Tassi di occupazione dei neolaureati e neodiplomati (fascia di età 20-34 anni) secondo i diversi livelli di istruzione, 2019 (%)
Fonte: Eurostat (indagine sulle forze di lavoro dell'UE, 2019, codice dati online [edat_lfse]. Nota: i dati non includono coloro che sono ancora iscritti a un ciclo di istruzione o formazione. Se disponibili, i dati comprendono solo le persone che hanno conseguito un diploma 1-3 anni prima dell'indagine. Per BG, CZ, EE,
IE, EL, HR, CY, LV, LT, HU, MT, AT, RO, SI, SK e FI non sono disponibili i dati sul tasso di occupazione dei neodiplomati con basso livello di competenze. Per questi paesi la figura mostra invece il tasso di occupazione di tutti i diplomati con basso livello di competenze di età compresa tra 20 e 34 anni.
Malgrado le esigenze del mercato del lavoro, la domanda di specialisti in TIC nell'UE supera l'offerta. Le competenze in campo scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico (STEM), comprese le competenze nelle TIC, svolgono un ruolo determinante nel promuovere l'innovazione, conseguire una crescita basata sulla conoscenza e accrescere la produttività86. Un'analisi del CEDEFOP sui posti di lavoro vacanti mostra che le competenze informatiche per il controllo della qualità e la gestione e comunicazione dei dati sono al terzo posto tra le competenze più richieste: tra luglio 2018 e dicembre 2019 erano citate in circa 13,5 milioni di annunci di lavoro online 87 , superate solo dalla capacità di adattarsi ai cambiamenti e dalla conoscenza della lingua inglese. Dalla stessa analisi è anche emerso che, nello stesso periodo, la seconda e la terza occupazione più ricercate erano rispettivamente "sviluppatore di software" (1,6 milioni di posti vacanti) e "analista di sistema" (1,3 milioni di posti vacanti). I professionisti delle TIC nel complesso (codice ISCO a 2 cifre) erano il secondo gruppo di professioni più richiesto, con l'8,2 % di tutti i posti vacanti. Gli specialisti in TIC costituiscono tuttavia meno del 4 % della forza lavoro nell'UE, in lieve incremento dal 2016 (3,7 %) al 2018 (3,9 %)88. La crescita dei laureati in TIC è ancora più lenta: si è passati dal 3,5 % nel 2017 al 3,6 % nel 2019. C'è un chiaro divario tra domanda e offerta: nel 2019 più della metà delle imprese dell'UE (57 %) ha incontrato difficoltà ad assumere specialisti in TIC (figura 30). Le differenze di genere sono una parte importante della sfida: sebbene il tasso di donne che completano l'istruzione terziaria sia significativamente più elevato rispetto a quello degli uomini, su tre laureati in discipline STEM una sola è una donna89. Inoltre le donne occupano solo il 17 % dei posti di lavoro nel settore tecnologico (sebbene vi siano ampie differenze tra i vari paesi)90. Per affrontare questa sfida, nella comunicazione sulla realizzazione dello spazio europeo dell'istruzione entro il 2025 la Commissione ha proposto nuove azioni relative alla questione di genere nei settori STEM e digitale.
86 Xxxxxxx et al., 2015; Xxxx et al., 2015; Xxxxxx e Xxxxx, 2018.
87 CEDEFOP, Skills-OVATE (Online vacancy analysis tool for Europe).
88 Questo e altri dati riportati in questo paragrafo provengono dall'indice di digitalizzazione dell'economia e della società (DESI) 2020, Human capital and digital skills.
89 Eurostat, codice dati [educ_uoe_grad04].
90 Parlamento europeo (2020). Istruzione e occupazione delle donne nella scienza, nella tecnologia e nell'economia digitale, compresa l'IA, e la relativa influenza sull'uguaglianza di genere.
Figura 30: la mancanza di specialisti in TIC può ostacolare la transizione digitale
Imprese che incontrano difficoltà ad assumere specialisti in TIC (%)
Fonte: Eurostat - Community survey on ICT usage and e-commerce in entreprises [isoc_ske_itrcrn2].
La sfida delle competenze per le imprese va oltre il digitale e si estende alle competenze per la transizione verde e alle competenze trasversali; sono necessari sforzi costanti per garantire che siano individuate le esigenze in evoluzione. Nel 2019 la carenza di personale qualificato si è confermata la causa più frequente di ostacolo agli investimenti a lungo termine, citata dal 77 % delle imprese91. Tutte le imprese dovranno adattare la propria attività economica e le proprie competenze interne alla transizione verso un'Europa climaticamente neutra. Le informazioni quantitative sulle competenze necessarie o disponibili sono però scarse per quanto concerne i "posti di lavoro verdi", soprattutto perché manca ancora una definizione concordata dei concetti pertinenti92. Non è possibile anticipare e analizzare le esigenze in termini di competenze senza stabilire scenari di previsione insieme al settore negli specifici ecosistemi industriali o senza definire adeguatamente i suddetti concetti, aspetti che faciliterebbero anche un'adeguata individuazione e convalida delle competenze relative ai posti di lavoro, alle attività e ai processi verdi. Per essere utile, l'anticipazione delle competenze dovrebbe essere condotta a livello degli ecosistemi industriali e non solo a livello macro. È dimostrato che la riorganizzazione dei luoghi di lavoro dovuta alle transizioni verde e digitale accresce l'importanza di competenze trasferibili quali l'auto-organizzazione, la comunicazione, la gestione, la creatività e la coscienziosità. La produttività del lavoro è positivamente correlata a questi tratti, anche tenendo conto delle differenze in termini di competenze cognitive93. È inoltre dimostrata l'esistenza di un effetto di interazione secondo cui il possesso di competenze non cognitive è un prerequisito al fine di sfruttare appieno il potenziale delle competenze cognitive. Ciò evidenzia che le transizioni verde e digitale
91 Gruppo Banca europea per gli investimenti, Indagine della BEI sugli investimenti per il 2019, pag. 19.
92 Cfr. CEDEFOP, Skills for green jobs: 2018 update, pag. 47 e Commissione europea, Employment and Social Developments in Europe. Annual Review 2020.
93 Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxx Xxxx-Xxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxxxx (2020). Facing the Digital Transformation: are Digital Skills Enough?, Economic Brief 054, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea.
aumenteranno la domanda di un'ampia gamma di competenze e invita a promuovere, più in generale, l'istruzione degli adulti.
Sono stati compiuti progressi limitati per quanto riguarda la partecipazione complessiva alle attività di istruzione degli adulti tra il 2009 e il 2019. Nel corso di questo decennio la partecipazione alle attività di istruzione degli adulti nell'UE-27 è aumentata di 3 punti percentuali passando dal 7,8 % al 10,8 %, ben lungi dall'obiettivo dell'ET 2020 che prevedeva un tasso di partecipazione della popolazione dell'UE nella fascia di età 25-64 anni ad attività di istruzione e formazione formale e non formale nelle ultime quattro settimane pari al 15 % (figura 31). I tassi più bassi di partecipazione alle attività di istruzione degli adulti si registrano in Romania, Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Grecia e Polonia (meno del 5 % della popolazione adulta) e quelli più elevati in Svezia, Finlandia e Danimarca (più del 25 %). In alcuni Stati membri (Danimarca, Slovenia e Cipro) nel corso dell'ultimo decennio si è verificato un peggioramento in quest'ambito, mentre tra i paesi che hanno registrato i miglioramenti più significativi (superiori a 5 punti percentuali) figurano l'Estonia, la Finlandia e la Svezia94. Inoltre la partecipazione alle attività di istruzione degli adulti è meno frequente per alcuni sottogruppi. Ad esempio nel 2019 le persone nate al di fuori dell'UE (fascia di età 25-64 anni) avevano in media la stessa probabilità di partecipare ad attività di istruzione e formazione (nelle ultime quattro settimane) degli autoctoni (rispettivamente 11,1 % e 10,8 %). Tuttavia la situazione varia da un paese all'altro. Ad esempio in Francia, Estonia, Slovenia, Italia e Lettonia gli autoctoni hanno probabilità notevolmente maggiori di avere accesso all'istruzione degli adulti rispetto alle persone nate al di fuori dell'UE. I divari riscontrati in questi paesi sono ancora più marcati per le donne migranti. Nella fascia di età 25-64 anni, nel 2016 solo il 2,4 % delle persone con disabilità ha partecipato ad attività di istruzione, rispetto al 4,1 % delle persone senza disabilità. L'agenda per le competenze 2020 propone un miglioramento dell'indicatore relativo all'istruzione degli adulti modificando la durata del periodo di riferimento dalle ultime quattro settimane all'ultimo anno95. L'obiettivo è quello di ottenere un aumento significativo della partecipazione degli adulti all'istruzione nel corso del periodo di riferimento, passando dal 38 % nel 2016 al 50 % nel 2025.
94 Anche Malta, Lussemburgo, Irlanda e Francia hanno registrato un incremento notevole della partecipazione, anche se le interruzioni delle serie temporali rendono difficile l'interpretazione.
95 I dati relativi alla partecipazione alle attività di istruzione degli adulti negli ultimi 12 mesi saranno disponibili a partire dal 2022 nell'indagine biennale sulle forze di lavoro. Per il momento, al fine di quantificare i tassi di partecipazione in questo periodo di osservazione più lungo, è possibile ricorrere alle informazioni relative all'istruzione degli adulti nel 2016. Per una discussione sui vantaggi derivanti dall'utilizzo di un periodo di riferimento più lungo per misurare la partecipazione alle attività di istruzione degli adulti si rimanda alla relazione di monitoraggio del settore dell'istruzione e della formazione 2020.
Figura 31: la partecipazione degli adulti all'istruzione è scarsa e varia notevolmente tra gli Stati membri
Percentuale di adulti (fascia di età 25-64 anni) che partecipa ad attività di istruzione e di formazione, 2009 e 2019
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, 2019, codice dati online [trng_lfs_01]. Nota: interruzione delle serie temporali per DK, IE, LU, SE e UK nel 0000; XX, XX, XX, XX, XX nel 2008; EE, IE, EL, CY, LU nel 0000; XX, XX, XX, RO nel 2010; CZ, XX, XX, XX xxx 0000; XX, XX, XX, XX nel 2013; ES, FR nel 2014; LU,
HU nel 2015; DK nel 2016 e BE, IE e MT nel 2017; PL e SE nel 2018.
Le persone con un basso livello di qualifiche e quelle in cerca di lavoro rappresentano i gruppi destinatari prioritari delle politiche volte a migliorare la partecipazione complessiva alle attività di istruzione degli adulti. Soprattutto i lavoratori con un basso livello di qualifiche hanno bisogno di migliorare le loro competenze per partecipare pienamente alla società e al mercato del lavoro. Nel 2019 la loro quota di partecipazione ad attività di istruzione nelle ultime quattro settimane prima dell'indagine variava dallo 0,5 % in Croazia a quasi il 23,7 % in Svezia (media UE-27: 4,3 %, figura 32). Nella maggior parte dei paesi meno del 10 % degli adulti con un basso livello di qualifiche partecipa ad attività di istruzione. In Finlandia, Danimarca e Svezia, invece, vi partecipano rispettivamente il 16,8 %, il 17,7 % e il 23,7 %, il che evidenzia che è possibile conseguire elevati tassi di partecipazione alle attività di istruzione anche tra le persone con un basso livello di qualifiche. Un secondo gruppo destinatario prioritario per le attività di istruzione è costituito dalle persone in cerca di lavoro, per le quali la formazione può essere molto efficace al fine di migliorare le prospettive sul mercato del lavoro e prevenire la disoccupazione di lungo periodo96. Si registrano notevoli divari tra gli Stati membri per quanto riguarda la percentuale di adulti disoccupati che hanno partecipato a una qualsiasi attività di formazione durante le quattro settimane precedenti l'indagine, con valori che vanno dal 2,4 % in Croazia a quasi il 46 % in Svezia nel 2019 (media UE-27: 10,7 %). In Slovenia, Germania, Lettonia, Italia, Cipro, Cechia, Grecia, Polonia, Lituania, Croazia, Romania, Slovacchia e Ungheria meno del 10 % degli adulti disoccupati partecipa ad attività di istruzione. Si registrano invece tassi di partecipazione elevata, superiori al 25 %, in Danimarca, Lussemburgo e Finlandia. L'agenda per le
96 Ad esempio, cfr. Card, Xxxxx e Xxxxx (2018), What Works? A Meta Analysis of Recent Active Labor Market Program Evaluations, Journal of the European Economic Association.
competenze per l'Europa 2020 mira a garantire un miglioramento significativo della partecipazione all'apprendimento delle persone con un basso livello di qualifiche e delle persone in cerca di lavoro e, in particolare, propone di quasi raddoppiare la percentuale delle persone nell'UE-27 che abbiano una recente esperienza di apprendimento tra coloro che sono alla ricerca di lavoro, portandola al 20 % entro il 2025.
Figura 32: pur se con notevoli differenze tra gli Stati membri, gli adulti con un basso livello di qualifiche e disoccupati devono affrontare sfide per quanto riguarda la partecipazione alle attività di istruzione
Percentuale di adulti di età compresa tra 25 e 64 anni con un basso livello di qualifiche (rispetto al totale degli adulti con un basso livello di qualifiche) e disoccupati (in percentuale sul totale degli adulti disoccupati, asse destro) che partecipano ad attività di istruzione, 2019
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, 2019, codice dati online [trng_lfse_03]. Nota: non sono disponibili dati per RO e SK, il che denota un numero di discenti in questi gruppi troppo basso per poter pubblicare un indicatore attendibile. Tale mancanza di dati riflette tuttavia anche tassi di partecipazione molto bassi per questo gruppo. Per la Croazia viene utilizzato il dato relativo al 2018 a causa della mancanza di dati per il 2019. I dati per BG, HR, CY, LT, PL e SI non sono attendibili per lo stesso motivo.
Fonte (asse destro): Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, 2019, codice dati online [trng_lfse_02]. Nota: non sono disponibili i dati per BG, RO e SK, il che denota un numero di discenti in questi gruppi troppo basso per poter pubblicare un indicatore attendibile. Tale mancanza di dati riflette tuttavia anche tassi di partecipazione molto bassi per questo gruppo. Per lo stesso motivo i dati per HR, CY, LT, HU e SI non sono attendibili.
Le attività di istruzione degli adulti avvengono in gran parte in contesti non formali o informali e vi è ampio consenso sull'importanza della convalida delle competenze per rispondere alle esigenze in termini di competenze e per ridurre le carenze97. Il documento
97 "Vi è una crescente consapevolezza tra i decisori politici del fatto che l'apprendimento fuori dalle aule scolastiche e da altri contesti formali è una ricca fonte di capitale umano", OCSE 2018, Education Working Paper No 180, Making skills transparent: recognising vocational skills acquired through work-based learning, pag. 11. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxx.xxx/00.0000/0000x000-xx.
di lavoro dei servizi della Commissione che valuta la raccomandazione del Consiglio del 2012 sulla convalida dell'apprendimento non formale e informale, pubblicato il 1º luglio 2020 98 , ha rilevato che nonostante i chiari progressi compiuti dall'adozione della raccomandazione, molte persone non hanno accesso a opportunità di convalida. Sono state introdotte modalità di convalida in tutti gli Stati membri. Tuttavia la maggior parte delle disposizioni prevede alcune restrizioni (ad esempio possono fare domanda soltanto persone con esperienza lavorativa); inoltre molte disposizioni non sono complete (ad esempio riguardano soltanto le qualifiche di formazione professionale) e nello stesso paese possono coesistere disposizioni diverse senza coordinamento. Le informazioni quantitative sulla diffusione restano limitate e frammentate. Gli aggiornamenti dell'inventario europeo sulla convalida99 mostrano che la convalida è ampiamente presente nelle agende programmatiche nazionali e la sua erogazione è migliorata dal 2012, salvo alcune eccezioni (figura 33). Vi sono riscontri di un "effetto di evaporazione" per cui alcuni individui che intraprendono la procedura di convalida non la portano a termine 100 . Infatti intraprendere tale procedura richiede un impegno serio da parte degli interessati101 e la disponibilità di un sostegno attivo, ad esempio la retribuzione da parte del datore di lavoro del tempo speso per la procedura o un aiuto finanziario. Queste forme di sostegno attivo non sono comuni: le risposte raccolte durante una consultazione pubblica specifica mostrano che solo un beneficiario su dieci ha ricevuto una qualche forma di sostegno per partecipare al processo di convalida102.
Figura 33: molte persone non hanno accesso alle opportunità di convalida, con differenze significative tra gli Stati membri
Tendenza nel numero di persone che hanno utilizzato la convalida (2018 rispetto al 2016)
↑ numeri in aumento; ↓ numeri in diminuzione; ↔ numeri stabili; ↕ variazione dei numeri in settori diversi.
Fonte: CEDEFOP, Inventario europeo sulla convalida 2016 e 2018. Dati non disponibili per Austria, Croazia, Estonia, Ungheria, Lituania, Slovenia.
La pandemia di COVID-19 accresce le esigenze di miglioramento delle competenze e di riqualificazione ma, in assenza di una risposta politica, potrebbe condurre a una diminuzione dell'offerta. La recessione causata dalla COVID-19 avrà un effetto sproporzionato su alcuni settori economici e, insieme alle transizioni digitale e verde, renderà necessarie competenze nuove o adeguate. Ridurrà inoltre il costo-opportunità di investire tempo nella formazione. Recenti analisi103 hanno tuttavia evidenziato che tra il 2005 e il 2019
98 Documento di lavoro dei servizi della Commissione SWD(2020) 121, Evaluation of the Council Recommendation of 20 December 2012 on the validation of non-formal and informal learning. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!Xx00Xx.
99 Inventario europeo sulla convalida dell'apprendimento non formale e informale, disponibile sul sito web del CEDEFOP, in particolare gli aggiornamenti 2016 e 2018 (pubblicato nel 2020).
100 Studio a sostegno della valutazione della raccomandazione del Consiglio, del 20 dicembre 2012, sulla convalida dell'apprendimento non formale e informale, sezione 4.1.1.3, pag. 40.
101 Cfr. OCSE 2018, cit. prec., pag. 59.
102 Cfr. allegato 2 del documento di lavoro dei servizi della Commissione, domanda 17.
103 Xxxxxxx Xx Xxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxx (2020), Adult learning participation and the business cycle, relazione a cura del Centro comune di ricerca per la DG EMPL (inedito). Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx (2020), Skills Investment and the Business Cycle in Europe, progetto preliminare di relazione per la rete europea di esperti in economia dell'istruzione.
la partecipazione degli adulti ad attività di istruzione nell'UE-27 non è aumentata durante i periodi di recessione. Nelle fasi recessive la partecipazione degli adulti ad attività di istruzione è ulteriormente diminuita nei paesi dell'Europa centrale e orientale, che già tendono ad avere tassi ridotti di partecipazione. Lo stesso vale per le persone che non lavorano, il che potrebbe essere il riflesso delle pressioni sui bilanci pubblici per la formazione in tempi di aumento della disoccupazione. Per contro le analisi suggeriscono che l'aumento della spesa pubblica per la formazione è associato a un comportamento più anticiclico dell'istruzione degli adulti. Ciò evidenzia l'importanza delle riforme e degli investimenti pubblici nei sistemi di istruzione degli adulti per rafforzarne la resilienza nei periodi di recessione.
A causa della COVID-19 gli Stati membri potrebbero trovarsi ad affrontare una crisi prolungata dell'occupazione giovanile, che richiede nuove risposte strategiche. Prima della crisi, nel marzo 2020 il tasso di disoccupazione giovanile aveva raggiunto in media il minimo storico del 14,9 % nell'UE-27, registrando un miglioramento di 0,5 punti percentuali rispetto al 15,4 % del marzo 2019. Il dato ha tuttavia registrato un'impennata fino al 17,1 % nel settembre 2020, dopo il periodo di confinamento. Le percentuali relative alla popolazione totale erano pari al 6,5 % in marzo e al 7,5 % in settembre. Cinque Stati membri hanno registrato forti aumenti della disoccupazione giovanile tra il primo e il secondo trimestre del 2020 (Estonia: 8,2 punti percentuali, Lituania: 6,1 punti percentuali, Lussemburgo: 5,5 punti percentuali, Croazia: 5,3 punti percentuali, Bulgaria: 5,2 punti percentuali). L'esperienza acquisita con la precedente crisi economica desta preoccupazione. Pur continuando a migliorare considerevolmente prima della crisi COVID-19 (cfr. figura 34), il tasso medio di disoccupazione giovanile nell'UE è sempre rimasto superiore al doppio del tasso di disoccupazione della popolazione adulta (6,7 % nel 2019), il che indica un problema strutturale anche in assenza di ulteriori shock. Prima della crisi la dispersione nei tassi di disoccupazione giovanile si stava progressivamente riducendo ma rimaneva comunque elevata e la disoccupazione giovanile era ancora superiore al 30 % in alcuni Stati membri. (Grecia: 35,2 %, Spagna: 32,5 %). Non sempre la ripresa ha portato alla creazione di posti di lavoro di qualità per i giovani: nel 2019 il 14,6 % dei dipendenti di età compresa tra i 15 e i 24 anni aveva contratti di lavoro a tempo determinato perché non riusciva a trovare un posto di lavoro stabile (rispetto al 7,2 % dei lavoratori di età compresa tra i 25 e i 64 anni). Tale rapporto era superiore a 1 su 3 in Spagna, Portogallo, Croazia e Italia104. Al fine di affrontare la COVID-19 e le sfide strutturali, nel luglio 2020 la Commissione ha proposto di rafforzare la garanzia per i giovani. La nuova iniziativa estenderà la fascia di età per l'ammissibilità fino a 29 anni, rafforzerà l'attenzione ai gruppi vulnerabili, sosterrà le competenze per le transizioni verde e digitale e migliorerà i servizi di consulenza, orientamento e tutoraggio.
104 Fonte: Eurostat, (codice dati online: LFSA_ETGAR).
Figura 34: i tassi di disoccupazione giovanile sono aumentati durante la crisi della COVID-19 ma restano inferiori a quelli del 2014
Tasso di disoccupazione giovanile (fascia di età 15-24 anni), confronto pluriennale secondo trimestre 2014, 2019 e 2020
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, codice dati online: [une_rt_q].
Lo shock causato dalla pandemia di COVID-19 ha invertito la tendenza al miglioramento dei tassi di NEET in tutti gli Stati membri tranne due. Prima della crisi gli Stati membri stavano compiendo progressi costanti nella riduzione dei tassi di giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano (NEET): tra il secondo trimestre del 2013 e il secondo trimestre del 2019 i tassi erano scesi dal livello record del 13,1 % a un minimo storico del 9,8 %. La crisi ha invertito nettamente la tendenza: tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 i tassi di NEET nell'UE-27 sono aumentati di 1,8 punti percentuali (dal 9,8 % all'11,6 %). L'indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale (figura 35) mostra che i tassi di NEET sono aumentati rispetto all'anno precedente in tutti gli Stati membri tranne tre (Lettonia e Malta: - 0,8 punti percentuali; Romania: -0,4 punti percentuali). Cinque Stati membri hanno registrato un aumento dei tassi di NEET molto superiore alla media (Austria, Irlanda, Spagna, Italia e Francia), anche se i tassi di NEET austriaci sono rimasti al di sotto della media dell'UE-27. Paesi Bassi, Cechia e Svezia hanno registrato i migliori risultati relativamente a questo indicatore. L'effetto della COVID-19 nel complesso è stato senza precedenti: nel primo e secondo trimestre del 2020 è stato registrato il balzo trimestrale più alto dei tassi di NEET da quando Eurostat ha cominciato a raccogliere i dati nel 2006105 (dal 10,4 % all'11,6 %). È quindi essenziale monitorare attentamente la situazione e introdurre misure mirate per i NEET, come quelle proposte nel quadro della garanzia per i giovani rafforzata nel luglio 2020.
105 L'analisi Eurostat ha mostrato che i giovani (fascia di età 15-24 anni) correvano un rischio maggiore rispetto alla media di perdere il lavoro all'inizio della crisi della COVID-19 in tutti gli Stati membri per i quali erano disponibili dati (mancano i dati di Germania, Estonia, Croazia e Malta).
Figura 35: i tassi di NEET sono aumentati nella maggior parte degli Stati membri e i livelli raggiunti suscitano preoccupazioni in diversi paesi
Tasso di NEET (15-24 anni) e variazione tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 (indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale)
Fonte: Eurostat. Periodo: livelli e variazioni annue nel secondo trimestre 2020 rispetto al secondo trimestre 2019. Nota: gli assi sono centrati sulla media UE non ponderata. La legenda figura nell'allegato. Dati mancanti per DE per il secondo trimestre 2020.
Le variazioni del tasso di NEET durante una recessione economica sono in gran parte dovute all'aumento della disoccupazione piuttosto che dell'inattività e quest'ultima pone una sfida che resta più stabile nel tempo. Fino alla crisi della COVID-19 la tendenza vedeva una diminuzione della disoccupazione giovanile abbinata a un aumento della quota di NEET inattivi106 (che costituivano il 46,9 % del gruppo nel 2013 e il 59,4 % nel 2019). Nel 2019 la percentuale di NEET inattivi era particolarmente elevata in Bulgaria (85,4 %), Cechia (75,4 %), Paesi Bassi (74,4 %) e Danimarca (72,7 %). Era particolarmente bassa in Spagna (43,8 %), Grecia (44,0 %), Portogallo (47,5 %) e Lussemburgo (48,2 %). Tra le NEET donne l'inattività è più frequente della disoccupazione, mentre per gli uomini i due tassi sono quasi i medesimi. Sulla base dell'esperienza acquisita con la precedente crisi economica, è probabile che il tasso di disoccupazione dei NEET aumenterà piuttosto rapidamente. Dopo la ripresa i tassi di inattività torneranno probabilmente a essere la principale sfida relativamente ai NEET.
106 I NEET inattivi non cercano lavoro a causa, per esempio, di malattie o disabilità, oppure perché si fanno carico di responsabilità di assistenza di bambini o di adulti non autonomi o di altre responsabilità personali o familiari.
Figura 36: la maggior parte dei NEET è inattiva ma vi sono notevoli differenze tra gli Stati membri
Profilo dei NEET (fascia di età 15-24 anni) negli Stati membri dell'UE nel 2019 (%)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro, codice dati online: [edat_lfse_20].
I giovani provenienti da un contesto migratorio hanno maggiori probabilità di rientrare tra i NEET. Nel 2019 il tasso di NEET tra i giovani nati al di fuori dell'UE (fascia di età 15- 24 anni) era del 17,1 %, rispetto al 9,9 % degli autoctoni107. Il divario era superiore ai 10 punti percentuali in diversi Stati membri quali Grecia, Slovenia, Belgio, Germania, Austria, Francia, Malta e Spagna. In aggiunta la situazione era in media più negativa per le giovani donne migranti (tasso di NEET del 25,9 %, 13,2 punti percentuali in più rispetto alle loro pari autoctone). Oltre alle persone nate al di fuori dell'UE, anche gli autoctoni provenienti da un contesto migratorio hanno più probabilità di essere interessati dal fenomeno: nella maggior parte degli Stati membri dell'UE avevano maggiori probabilità di rientrare tra coloro che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano rispetto a chi aveva genitori nati nell'UE. Il divario era particolarmente ampio (con un tasso più di 8 punti percentuali maggiore) in sei Stati membri (Belgio, Cechia, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Slovenia) 108 . I giovani provenienti da un contesto migratorio e con un basso livello di istruzione erano particolarmente a rischio. Il tasso di NEET tra i Rom è molto superiore a quello della popolazione generale (divario di 52 punti percentuali)109.
Il tasso di occupazione dei lavoratori anziani (fascia di età 55-64 anni) è rimasto saldo nonostante una flessione causata dalla crisi della COVID-19. La percentuale di occupati in questa fascia di età si è attestata al 59,2 % nel secondo trimestre del 2020, con un leggero calo
107 Eurostat, [edat_lfse_28].
108 OCSE/UE (2018), Settling In 2018: Indicators of immigrant integration (figura 7.19). Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx-xx-xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxx-0000-0000000000000- en.htm.
109 Allegato 2 del documento SWD(2020) 530 final che accompagna la comunicazione sul quadro strategico dell'UE per l'uguaglianza, l'inclusione e la partecipazione dei Rom, COM(2020) 620 final, basato su XXX, XX- XXXXX XX 0000; FRA, RTS 2019.
dello 0,4 % rispetto al trimestre precedente, ed è rimasta invariata rispetto allo stesso periodo del 2019. Il notevole tasso di attività nel mercato del lavoro110 delle persone nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni ha sostenuto i risultati dell'UE nel corso degli ultimi anni: tra il secondo trimestre del 2013 e il secondo trimestre del 2020 il tasso di attività delle persone nella fascia di età 55-64 anni è aumentato di 8,9 punti percentuali, a fronte di un aumento di 0,6 punti percentuali per la popolazione nella fascia di età 20-64 anni. È tuttavia necessario continuare a monitorare la situazione dei lavoratori anziani sul mercato del lavoro. Il 47 % degli intervistati nel quadro di un'indagine condotta a livello dell'UE nel 2019111 ha dichiarato che l'età era un fattore potenzialmente penalizzante per i candidati a un posto di lavoro. Ciò potrebbe determinare effetti negativi per i lavoratori anziani che perdono il lavoro a causa della crisi della COVID-19, potenzialmente anche portando al pensionamento anticipato involontario. È necessario monitorare la situazione in particolare nei sette Stati membri che hanno registrato un calo dei tassi di occupazione dei lavoratori anziani pari o superiore a 1 punto percentuale tra il primo e il secondo trimestre del 2020 (Estonia: 2,8 punti percentuali, Malta: 1,8 punti percentuali, Lituania: 1,6 punti percentuali, Irlanda: 1,5 punti percentuali, Spagna: 1,5 punti percentuali, Lussemburgo: 1,4 punti percentuali e Finlandia: 1 punto percentuale). I tassi di occupazione tra gli anziani potrebbero inoltre contribuire a sostenere la crescita dell'occupazione ancora per qualche anno, anche in concomitanza con la diminuzione della popolazione in età lavorativa. In particolare per le donne anziane vi è ancora un notevole potenziale di aumento dell'occupazione (il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 55 e i 64 anni si è attestato al 52,9 % nel secondo trimestre del 2020, a fronte del 65,9 % degli uomini nella stessa fascia di età).
Dopo anni di crescita costante, la crisi ha provocato una flessione del tasso di occupazione femminile, che decresce comunque a un ritmo più lento rispetto all'occupazione maschile. Tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 il tasso di occupazione femminile (fascia di età 20-64 anni) è sceso di 1,2 punti percentuali, attestandosi al 66,3 % a livello dell'UE-27 nel secondo trimestre del 2020. A causa di un calo leggermente maggiore dei tassi di occupazione maschile (di 1,5 punti percentuali) nello stesso periodo, l'indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale relativo al divario di genere nei livelli di occupazione ha registrato un lieve miglioramento (figura 37). Tutti gli Stati membri tranne tre hanno registrato una riduzione dei tassi di occupazione femminile tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 (le eccezioni sono state la Croazia, la Germania e il Lussemburgo). In particolare in Bulgaria e Spagna sono state registrate flessioni superiori a 3 punti percentuali. Nonostante un calo di 2 punti percentuali, la Svezia rimane al primo posto con un'occupazione femminile pari al 77,9 %, seguita a breve distanza da Lituania, Germania, Paesi Bassi e Lettonia, tutti con tassi di occupazione femminile superiori al 75 %. Nel secondo trimestre del 2020 i divari di genere più ridotti nei livelli di occupazione si riscontrano in Lituania (1,4 punti percentuali), Finlandia (3,2 punti percentuali), Lettonia (4 punti percentuali) e Svezia (5,2 punti percentuali). All'estremità opposta figurano Italia (19,9 punti percentuali), Malta (19.7 punti percentuali), Grecia (18,9 punti percentuali) e Romania (18,4 punti percentuali). Nel quadro di valutazione della situazione sociale tutti i paesi citati appena sopra sono valutati "situazioni critiche", ad eccezione della Grecia che rientra nella categoria dei "modesti ma in miglioramento" grazie a un netto calo di 1,5 punti percentuali su base annua. Dalla figura 37
110 Il tasso di attività misura la partecipazione della popolazione, sia occupata che disoccupata, al mercato del lavoro.
111 Sondaggio Eurobarometro 2019, Discriminazione nell'UE.
si evince che non vi è convergenza in relazione a tale indicatore, poiché diversi Stati membri con un divario di genere nei livelli di occupazione elevato o vicino alla media hanno registrato un peggioramento nel 2020.
Figura 37: il divario di genere nei livelli di occupazione rimane ampio, con differenze significative tra gli Stati membri
Divario di genere nei livelli di occupazione e variazione annua (indicatore principale del quadro di valutazione della situazione sociale)
Fonte: Eurostat, indagine sulle forze di lavoro. Periodo: livelli e variazioni annue nel secondo trimestre 2020 rispetto al secondo trimestre 2019. Nota: gli assi sono centrati sulla media UE non ponderata. La legenda figura nell'allegato.
In equivalenti a tempo pieno (FTE), il divario di genere nei livelli di occupazione si è ulteriormente ampliato. Nel 2019 nell'UE le donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni che lavoravano a tempo pieno erano meno degli uomini (il 58,7 % rispetto al 76,1 %). Nel 2019 i livelli più bassi di divario di genere in termini di FTE si registravano in Lituania, Finlandia e Lettonia e i più alti a Malta (24,3 punti percentuali), in Italia (24,2 punti percentuali) e nei Paesi Bassi (24,1 punti percentuali). Questi risultati sono collegati alle percentuali di lavoro a tempo parziale. Nel 2019 il 29,4 % delle donne occupate lavorava a tempo parziale, a fronte del 7,8 % degli uomini, con percentuali inferiori di lavoro a tempo parziale involontario per le donne rispetto agli uomini (rispettivamente il 23,5 % e il 33 %). Nella maggior parte degli Stati membri dell'Europa centrale e orientale la percentuale di donne che lavora a tempo parziale è tradizionalmente inferiore al 10 % (Bulgaria, Romania, Slovacchia, Croazia, Ungheria, Lituania e Polonia). Per contro la percentuale più elevata si registra ancora nei Paesi Bassi (73,4 %), pur facendo registrare una lenta diminuzione per il quarto anno consecutivo. Le politiche flessibili a favore dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata possono avere un impatto positivo sull'attaccamento al mercato del lavoro di genitori e prestatori di assistenza, ma possono anche contribuire a più ampi divari nei livelli di occupazione misurati in equivalenti a tempo pieno. Ciò è particolarmente evidente negli Stati
membri con percentuali significative di donne che lavorano a tempo parziale (ad esempio Paesi Bassi, Austria e Germania); nei Paesi Bassi si registrano anche ampi divari di genere nei livelli di occupazione misurati in equivalenti a tempo pieno. Le responsabilità di assistenza di cui le donne si fanno carico in misura sproporzionata favoriscono distorsioni nel mercato del lavoro che si manifestano nei divari di genere in termini di disoccupazione, retribuzioni e pensioni. Ciò emerge ad esempio nel fatto che il divario di genere nella percentuale dei disoccupati è più ampio per le donne nella fascia di età compresa tra i 30 e i 44 anni, quando molte donne si fanno carico delle responsabilità di cura dei figli112.
I divari occupazionali nell'UE-27 sono più ampi per le donne con figli. La genitorialità aumenta il divario di genere nei livelli di occupazione in tutti gli Stati membri. Nel 2019 i tassi di occupazione riferiti ai genitori (fascia di età 25-49 anni) con almeno un figlio di età inferiore ai sei anni sono aumentati in tutti gli Stati membri per gli uomini (+9,6 punti percentuali a livello dell'UE) mentre sono diminuiti in tutti gli Stati membri per le donne (- 14,3 punti percentuali a livello dell'UE). Fanno eccezione Svezia, Portogallo, Slovenia, Croazia e Danimarca, dove l'impatto della presenza di almeno un figlio di età inferiore ai sei anni sui tassi di occupazione femminile è positivo o neutro. In Cechia, Ungheria e Slovacchia l'impatto negativo della genitorialità per le donne con almeno un figlio di età inferiore ai sei anni è particolarmente elevato (oltre 40 punti percentuali) (figura 38)113. I livelli di istruzione sono un fattore importante per spiegare l'impatto della maternità sul lavoro: il tasso di occupazione delle donne poco qualificate e con almeno un figlio di età inferiore a sei anni era soltanto del 36,3 %.
112 La percentuale di disoccupati in rapporto alla popolazione attiva (coloro che lavorano e sono in cerca di lavoro).
113 La questione è stata affrontata in modo approfondito nella pubblicazione della Commissione europea Employment and Social Developments in Europe. Annual Review 2019, pag. 130. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!xX00xx.
Figura 38: gli effetti sull'occupazione per gli uomini e per le donne con un figlio di età inferiore ai sei anni sono molto diversi e in tutti gli Stati membri gli effetti sono positivi per gli uomini
Effetto della genitorialità sull'occupazione per gli uomini e per le donne (fascia di età 20-49 anni) nel 2019
Fonte: Eurostat [lfst_hheredch]. Nota: per "effetto della genitorialità sull'occupazione" si intende la differenza in punti percentuali nel tasso di occupazione delle madri e dei padri con almeno un figlio di età inferiore ai sei anni.
Il persistente divario occupazionale si riflette anche nel notevole divario retributivo di genere. Nell'UE-27 il divario retributivo non corretto è rimasto sostanzialmente invariato: 14,1 % nel 2018 con una flessione di 0,4 punti percentuali dal 2017. Ciò avviene in un contesto di crescente divario nei tassi di istruzione a favore delle donne di età compresa tra 30 e 34 anni rispetto agli uomini (rispettivamente del 45,6 % e del 35,1 %) nel 2019. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente evidenziato come le donne continuino a essere sovrarappresentate nei settori e nelle occupazioni meno retribuiti e siano soggette a vincoli nelle loro scelte professionali in relazione agli obblighi di assistenza familiare. Inoltre secondo una ricerca114 fattori quali le differenze in termini di esperienza, livello di istruzione e tipo di contratto hanno determinato meno di un terzo del divario retributivo di genere. La parte del divario che può essere spiegata è dovuta in gran parte all'attività economica e all'orario di lavoro.
Vi sono notevoli differenze tra i vari paesi in termini di divario retributivo di genere non corretto; i divari retributivi possono trasformarsi in divari pensionistici. Il divario retributivo di genere rimane superiore al 20 % in Estonia, Austria, Cechia e Germania mentre i valori più bassi (fra l'1 % e il 4 %) si registrano in Romania, Lussemburgo e Italia. Dal 2014 la situazione è migliorata considerevolmente in Estonia, Portogallo, Grecia e Lussemburgo (rispettivamente di 6,3 punti percentuali, 6 punti percentuali, 4,6 punti percentuali e 4 punti percentuali) mentre il divario retributivo di genere è aumentato di oltre 2 punti percentuali in Lettonia, a Malta e in Slovenia. Il divario retributivo di genere spesso si traduce in un divario pensionistico a favore degli uomini: nel 2018 quest'ultimo divario si è attestato, in media, al 29,1 % nell'UE-27 per i pensionati di età compresa tra i 65 e i 74 anni. La differenza tra le pensioni era maggiore negli Stati membri con un divario retributivo più ampio.
114 Xxxxxxxxxx, X., Xxxxxxxxx, P., (2018) A decomposition of the unadjusted gender pay gap using Structure of Earnings Survey data, Statistical Working Papers, Eurostat. Disponibile all'indirizzo: xxxxx://xxxxxx.xx/!xx00xx.