SEMINARIO DIDATTICO
SEMINARIO DIDATTICO
IL DIRITTO VIVENTE TRA LEGGE E GIURISPRUDENZA
Repertorio di giurisprudenza
LA NATURA DELLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
Cass., 12 luglio 2016, n. 14188
In tema di contratti conclusi con la P.A., l'eventuale responsabilità di quest'ultima, in pendenza dell'approvazione ministeriale, deve qualificarsi come precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., ed è inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione sancito dall'art. 2946 c.c.
CONCAUSE NATURALI E RESPONSABILITA’ PROPORZIONALE?
Cass., 29 febbraio 2016, n. 3893
In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, ove si individui in un pregresso stato morboso del paziente/danneggiato (o, come nella specie, in una sua peculiare condizione genetica, qual è la "sindrome di Down") un antecedente privo di interdipendenza funzionale con l'accertata condotta colposa del sanitario, ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell'unica e complessiva situazione patologica riscontrata, allo stesso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l'evento dannoso, appartenendo ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce il contegno del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire - sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto - solamente ad una delimitazione del "quantum" del risarcimento.
Cass., 9 giugno 2016, n. 11789
L'affermazione della responsabilità del medico per i danni celebrali da ipossia patiti da un neonato, ed asseritamente causati dalla ritardata esecuzione del parto, esige la prova - che deve essere fornita dal danneggiato - della sussistenza di un valido nesso causale tra l'omissione dei sanitari ed il danno, prova da ritenere sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall'altro, appaia più probabile che
non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno al neonato; una volta fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell'art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta.
IL PROGRESSIVO DILAGARE DELLA RESPONSABILITÀ PER FATTO DEL “DIPENDENTE”
Cass., 15 giugno 2016, n. 12283
Ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un'attività per suo conto.
Cass., 25 maggio 2016, n. 10757
In tema di responsabilità dei preposti, il fatto dannoso deve essere illecito sotto il profilo oggettivo e soggettivo, e in particolare, sotto il primo aspetto, può essere sia doloso che colposo, senza che sia necessario identificare l'autore del fatto, perché è sufficiente accertare che quest'ultimo, anche se rimasto ignoto, sia legato da rapporto di preposizione con il preponente, ravvisabile tutte le volte in cui un soggetto utilizzi e disponga dell'attività altrui.
Ai fini della configurabilità di una ipotesi di responsabilità vicaria è sufficiente che sussista fra il comportamento illecito e le mansioni del preposto un nesso di occasionalità necessaria, il quale ricorre ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell'attività lavorativa, anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni, abbia agito all'insaputa del suo datore di lavoro, o persino trasgredendo agli ordini ricevuti, attuando una condotta contraria agli interesse del datore di lavoro, purchè sia comunque rimasto nell'ambito dell'incarico affidatogli.
Cass., 22 settembre 2015, n. 18691
La concorrenza sleale costituisce fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, sicché non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto "rapporto di concorrenzialità"; l'illecito, peraltro, non è escluso se l'atto lesivo sia stato posto in essere un soggetto (il cd. terzo interposto), che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il terzo responsabile risponde in solido con l'imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre ove il terzo sia un dipendente dell'imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest'ultimo ne risponde ai sensi dell'art. 2049 c.c. ancorché l'atto non sia causalmente riconducibile all'esercizio delle mansioni affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di "occasionalità necessaria" per aver questi agito nell'ambito dell'incarico affidatogli, sia pure eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all'insaputa del datore di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, accertata la pronuncia di espressioni diffamatorie ascrivibili ad un soggetto persona fisica fiduciario e mandatario di un concorrente, aveva correttamente imputato a quest'ultimo la responsabilità da concorrenza sleale per denigrazione).
RESPONSABILITÀ PER DANNO DA PRODOTTO DIFETTOSO
Cass., 19 febbraio 2016, n. 3258
La responsabilità del prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Xxxxxxx, pertanto, sul soggetto danneggiato, ai sensi dell'art. 8 d.P.R. n. 224 del 1988, la prova specifica del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno, ciò rappresentando un prerequisito della responsabilità stessa, con funzione delimitativa dell'ambito di applicabilità di essa.
ATTI EMULATIVI ED ABUSO DEL DIRITTO
Xxxx., 22 gennaio 2016, n. 1209
L'atto emulativo vietato ex art. 833 c.c. presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario, sicché non è riconducibile a tale categoria un atto comunque rispondente ad un interesse del proprietario, né potendo il giudice compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco o formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi.
IL MUTAMENTO DELLA DETENZIONE IN POSSESSO
Cass., 22 aprile 2016, n. 8213
La mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all'obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario.
Cass., 17 marzo 2016, n. 5333
L'interversione del possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell'animus rem sibi habendi (fattispecie relativa alla domanda di usucapione di un immobile abitato dall'attore e originariamente concesso in locazione al defunto padre di quest'ultimo che lo occupava in permanenza).
IPOTECA ED ABUSO DELLA GARANZIA PATRIMONIALE
Cass., 5 aprile 2016, n. 6533
Il creditore che, senza adoperare la normale diligenza, iscriva ipoteca su beni per un valore sproporzionato rispetto al credito garantito, secondo i parametri previsti dagli artt. 2875 e 2876 c.c., incorre, qualora sia accertata l'inesistenza del diritto per cui è stata iscritta l'ipoteca giudiziale medesima, nella responsabilità prevista dall'art. 96, comma 2, c.p.c., configurandosi un abuso della garanzia patrimoniale in danno del debitore.
DANNI DA INFILTRAZIONI PROVENIENTI DAL LASTRICO SOLARE
Cass., 10 maggio 2016, n. 9449
In tema di condominio negli edifici, qualora l'uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l'usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell'art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull'amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull'assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria; il concorso di tali responsabilità va di xxxxx xxxxxxx, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell'usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio.
MATERNITÀ SURROGATA E TUTELA DEL MINORE
Corte Europea dei diritti dell’uomo, Grand Chambre, 24 gennaio 2017
Non costituisce violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo la decisione delle autorità di uno Stato membro di allontanare il minore nato all’estero ricorrendo alla maternità surrogata dalla coppia che è ricorsa a tale tecnica per il concepimento quando il minore non abbia alcun legame genetico con il padre e la madre committenti.
Cass., 11 novembre 2014, n. 24001
Il ricorso all'utero in affitto è contrario alla legge italiana per motivi di ordine pubblico e tale limite non è stato messo in discussione dalla sentenza 162/2014 della Corte costituzionale sulla fecondazione eterologa. La l. n. 40 del 2004 esclude infatti la possibilità di ricorrere alla maternità surrogata, che consiste nel portare a termine una gravidanza su committenza. L'unico modo per realizzare progetti di genitorialità priva di legami biologici con il minore è quindi quello dell'adozione. (Nel caso di specie, molto particolare, la Cassazione ha confermato il giudizio espresso dalla Corte territoriale dichiarando illegittima la pretesa genitoriale di una coppia italiana nei confronti di un bambino nato in Ucraina. I due coniugi avevano prima falsamente attestato di essere i genitori biologici, poi si erano appellati alla maternità surrogata, ammessa in Ucraina, ma entrambi erano risultati sterili in seguito agli accertamenti del c.t.u. Vani sono stati i tentativi della coppia che si è appellata al principio del preminente interesse del minore, affermato dalla
convenzione di New York, e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che tuttavia sul tema ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento discrezionale agli Stati).
CONTEMPERAMENTO TRA DIRITTO MATERNO DELL’ANONIMATO E DIRITTO DEL FIGLIO ALLA CONOSCENZA DELLE ORIGINI
Cass., 21 luglio 2016, n. 15024
Si può propriamente parlare di ponderazione fra diritti fondamentali con riferimento al momento della scelta della madre di partorire anonimamente perché in questo momento è in gioco il suo diritto alla vita e quello del figlio. Dopo la nascita non è più il diritto alla vita ad essere in gioco e il diritto all'anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in generale dalle conseguenze negative che verrebbero a ripercuotersi in primo luogo sulla persona della madre. In questa prospettiva non è il diritto in sé della madre all'anonimato che viene garantito ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza e partorire senza assumere le conseguenze sociali e giuridiche di tale scelta. Solo la madre pertanto in questa prospettiva può essere la persona legittimata a decidere se revocare la sua decisione di rimanere anonima in relazione al venir meno di quell'esigenza di protezione che le ha consentito la scelta tutelata dall'ordinamento.
La morte della madre che ha partorito in anonimo non può avere come conseguenza la cristallizzazione della scelta per l'anonimato che la Corte costituzionale ha ritenuto lesiva degli artt. 2 e 3 Cost. L'immobilizzazione della scelta per l'anonimato che verrebbe in tal modo a determinarsi post mortem verrebbe a realizzarsi proprio in presenza dell'affievolimento, se non della scomparsa, di quelle ragioni di protezione, risalenti alla scelta di partorire in anonimo, che l'ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre proprio in ragione della revocabilità di tale scelta. Ciò provocherebbe la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio a conoscere le proprie origini - e ad accedere alla propria storia parentale - diritto che «costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona» perché «il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l'intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona».
Cass., 9 novembre 2016, n. 22838
La morte della madre, che si era avvalsa della facoltà di non essere nominata nell'atto di nascita del figlio, dato in adozione, senza che abbia potuto essere interpellata ai fini dell'eventuale revoca di tale dichiarazione, conformemente a quanto statuito da Corte cost. 278/13, non osta all'accoglimento della domanda del figlio stesso, che chiede di conoscerne le generalità, fermo che il trattamento di siffatti dati concernenti la sua identità personale deve essere eseguito in modo corretto e xxxxxx, senza cagionare danni, anche non patrimoniali, all'immagine, alla reputazione e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti, familiari).
Il diritto dell'adottato, nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ex art. 30, comma 1, D.P.R. n. 396 del 2000, ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l'identità della madre biologica, sussiste e può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando, nella fattispecie, il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto, o della cartella clinica, di cui all'art. 93, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 196 del 2003, salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti di terzi dei dati personali conosciuti.
STEP CHILD ADOPTION
Cass., 22 giugno 2016, n. 12962
L'art. 44, lett. d) della L. n. 184/1983, là dove prevede l'adozione del minore in casi particolari, in presenza della constatata impossibilità di affidamento preadottivo, va interpretato alla luce del quadro costituzionale e convenzionale ed in particolare dei principi affermati dalla Corte EDU in ordine al best interest del minore. La tesi per la quale, anche nell'ipotesi di cui alla lett. d) cit., l'adozione sarebbe comunque subordinata alla preventiva declaratoria dello stato di abbandono "condurrebbe sempre ad escludere che l'adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l'accertamento di una situazione di abbandono", così come configurata dall'art. 8 della l. n. 184/1983. Solo l'adozione "legittimante" postula la situazione di abbandono del minore, non invece quella "non legittimante" (in casi particolari). Si conferma l'interpretazione dell'espressione "constatata impossibilità di affidamento preadottivo" nel senso che «deve ritenersi sufficiente l'impossibilità "di diritto" di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella "di fatto", derivante da una situazione di abbandono in senso tecnico-giuridico». Poiché all'adozione in casi particolari prevista dall'art. 44, comma 1, lett. d) possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l'esame de requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto ("la constatata impossibilità di affidamento preadottivo"), sia in concreto (l'indagine sull'interesse del minore imposta dall'art. 57 primo comma
n. 2) non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all'orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner. E' dunque legittima quella che, mutuando un'espressione anglofona, è stata definita stepchild adoption anche in favore del compagno dello stesso sesso del genitore biologico del minore.
COMUNIONE LEGALE
Cass., 11 agosto 2016, n. 17033
Gli acquisti per usucapione di beni immobili effettuati da uno solo dei coniugi durante il matrimonio, in vigenza del regime patrimoniale della comunione legale, entrano a far parte della comunione stessa, non distinguendo l'art. 177, comma 1, lett. a), c.c. tra acquisti a titolo originario e
acquisti a titolo derivativo. Ne consegue che il momento determinante per la maturazione dell'acquisto del diritto “ad usucapionem” da parte dell'altro coniuge, attesa la natura meramente dichiarativa del provvedimento giudiziale di accoglimento della domanda di usucapione, si identifica con il perfezionamento in costanza di matrimonio del termine legale di ininterrotto possesso richiesto dalla legge, quand'anche la signoria di fatto sul cespite sia iniziata prima della sua celebrazione.
Cass., 3 giugno 2016, n. 11504
La comunione legale tra coniugi di cui all'art. 177 c.c. riguarda solo gli acquisti e non i diritti di credito sorti dal preliminare concluso da uno dei coniugi; in tale caso, l'altro coniuge non può vantare alcun diritto.
Non rientra nella comunione legale l'immobile che, promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione legale, sia coattivamente trasferito, ex art. 2932 c.c., a causa dell'inadempimento del promittente venditore, al promissario acquirente, con sentenza passata in giudicato, dopo che tra quest'ultimo ed il coniuge era stata pronunciata separazione.
Cass., 28 aprile 2016, n. 8468
In tema di comunione legale di beni tra coniugi, qualora uno solo di essi abbia acquistato o venduto un bene immobile rientrante nella comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell'atto deve ritenersi litisconsorte necessario nelle controversie in cui si chiede al giudice una pronuncia destinata ad incidere direttamente e immediatamente sul diritto costituente oggetto del trasferimento, dovendosi, viceversa, ritenere escluso tale litisconsorzio in tutte le vicende processuali volte ad ottenere una decisione che incida direttamente e immediatamente sulla validità o sulla efficacia del negozio traslativo.
Cass., 10 febbraio 2016, n. 2642
Ai fini dell’acquisto in deroga al regime della comunione legale tra i coniugi, ai sensi dell’art. 179, comma 2, c.c., con riferimento all’ipotesi prevista dal comma 1, lett. f), c.c., occorre la partecipazione all’atto del coniuge non acquirente e la dichiarazione espressa che il coniuge acquirente si è avvalso del corrispettivo di beni immobili e mobili alienati precedentemente, ma non è necessaria, ai fini dell’efficacia della dichiarazione, l’indicazione specifica dei beni cosiddetti surrogati.
FORMA DELLA REVOCA DELLA RINUNCIA ALL’EREDITÀ
Cass. 4 luglio 2016, n. 13599
Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all'eredità - la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati - l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne senza possibilità di equipollenti. Pertanto, la rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria.
LEGATO IN SOSTITUZIONE DI LEGITTIMA E TUTELA DEI CREDITORI. ACCETTAZIONE TACITA DELL’EREDITÀ
Cass. 2 febbraio 2016, n. 1996
In tema di legato in sostituzione di legittima, integrando la mancata rinuncia al lascito un atto di gestione del rapporto successorio da parte del beneficiario, confermativo "ex lege" della già realizzata attribuzione patrimoniale, è inammissibile l'azione surrogatoria proposta dal creditore dell'istituito per ottenere la legittima, postulando tale azione l'inerzia del debitore, quale comportamento omissivo o, quantomeno, insufficientemente attivo, che va esclusa in presenza di un qualsivoglia comportamento positivo, ancorché pregiudizievole per le ragioni creditorie, attraverso cui il debitore manifesti (come nella specie) la volontà di gestire il proprio patrimonio.
Cass., 26 settembre 2016, n. 18830
Tenuto conto che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa, che il chiamato può compiere anche prima dell'accettazione, ai sensi dell'art. 460 c.c., la questione si sposta sull'indagine relativa all'esistenza di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, che si risolve in un accertamento di fatto riservato al Giudice del merito, che non è censurabile in sede di legittimità.
REVOCA DELLA PROPOSTA
Cass. 15 aprile 2016, n. 7543
L'art. 1328, comma 1, c.c., il quale prevede che la proposta contrattuale può essere revocata finché il contratto non sia concluso, va inteso, in correlazione con la diversa disciplina dettata per la revoca dell'accettazione dal comma 2, nonché tenendo conto del carattere recettizio di entrambi gli atti, nel senso che la revoca si perfeziona quando sia spedita all'indirizzo dell'accettante, prima che l'accettazione sia giunta a conoscenza del proponente, mentre resta irrilevante che l'accettante ne abbia notizia in un momento successivo a quello in cui l'accettazione sia giunta a conoscenza del preponente, restando tutelato l'affidamento dell'accettante, in tale evenienza, dalla previsione di un
indennizzo a carico del proponente per le spese e le eventuali perdite subite per l'iniziata esecuzione del contratto.
RAPPORTO TRA DOMANDA DI RISOLUZIONE E DI ADEMPIMENTO E LA QUESTIONE DELL’AMMISSIBILITA’ DELLA DOMANDA RISARCITORIA
Cass., 27 luglio 2016, n. 15461
La facoltà di mutatio libelli riconosciuta dall'art. 1453 comma 2 c.c., con riferimento alla possibilità per l'attore di sostituire l'originaria domanda di adempimento del contratto con la domanda di risoluzione dello stesso si estende anche alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione, a condizione che tale domanda sia proposta contestualmente o, comunque, nel medesimo grado di giudizio in cui è proposta la prima, essendo esclusa la possibilità per la parte di aggiungere nel giudizio di appello, alla domanda di risoluzione del contratto proposta in primo grado, la domanda di restituzione delle prestazioni rimaste senza causa a seguito della pronuncia di risoluzione.
CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA: DETERMINAZIONE DELL’INADEMPIMENTO E RUOLO DELLA BUONA FEDE
Cass. 11 marzo 2016, n. 4796
La clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per "gravi e reiterate violazioni" dell'altro contraente "a tutti gli obblighi" da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell'oggetto, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell'importanza dell'inadempimento dell'altra.
Anche nei contratti pubblici, la cui fase esecutiva è caratterizzata da un rapporto paritetico regolato, in assenza di specifiche norme, dalla disciplina di diritto comune, per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate.
Cass. 27 ottobre 2016, n. 21740
La clausola risolutiva espressa deve descrivere con precisione la condotta inadempiente, quindi, opera automaticamente nel momento in cui la descritta condotta si verifica nella realtà.
In caso di inadempimento dell'appaltatore nello svolgimento di un appalto di opera pubblica, accanto alla facoltà concessa alla P.A. committente di sciogliersi, mediante la procedura prevista
dall'art. 119 del d.P.R. n. 554 del 1999 (applicabile "ratione temporis", ma ora sostituito dall'art. 136 del d.lgs. n. 163 del 2006), concorre autonomamente quella di apporre una clausola risolutiva espressa, espressione di una posizione non autoritativa ma paritetica della P.A. e governata dalla disciplina civilistica. Ne consegue che, apposta tale clausola e individuato espressamente l'inadempimento idoneo a determinare la risoluzione del contratto, è sufficiente la semplice constatazione di tale inadempimento per addivenire alla risoluzione del contratto, senza che vi sia la necessità, per la P.A., di seguire la procedura prevista dall'art. 119 cit.
MORA ACCIPIENDI E MORA XXXXXXX NEL CONTRATTO DI LOCAZIONE
Cass. 9 gennaio 2016, n. 890
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34, della l. n. 392 del 1978 (e, in regime transitorio, dagli artt. 68, 71 e 73 della stessa legge), il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell'immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è esonerato solo dal risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c., restando comunque obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, salvo che offra al locatore, con le modalità dell'offerta reale formale ex artt. 1216, comma 2, e 1209 c.c., la riconsegna del bene condizionandola al pagamento dell'indennità di avviamento medesima, atteso il forte legame strumentale che lega le due prestazioni.
LUOGO DI ADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
Cass., 13 settembre 2016, n. 17989
Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell'art. 1182, comma 3, c.c., sono - agli effetti sia della mora ex art. 1219, comma 2 n. 3, c.c., sia della determinazione del "forum destinatae solutionis" ai sensi dell'art. 20, ultima parte, c.p.c. - esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l'ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l'art. 38, ultimo comma, c.p.c.
CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA E TUTELE CONSUMERISTICHE
Cass. 5 dicembre 2016, n. 24846
In presenza di un contratto autonomo di garanzia, è all’obbligazione garantita che deve riferirsi il requisito soggettivo della qualità di consumatore, ai fini dell’applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore anche in punto di competenza, in quanto, pure in tale evenienza, come nel contratto di fideiussione, l’obbligazione del garante è funzionale rispetto a quella garantita.
In presenza di un contratto di fideiussione, il requisito soggettivo della qualità di consumatore deve riferirsi all'obbligazione garantita, ai fini dell'applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore.
NULLITA’ PER MANCANZA DI FORMA DEL CONTRATTO DI INVESTIMENTO
Cass., 24 marzo 2016, n. 5919
In tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta "ad substantiam", la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l'ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti "ex nunc" e non "ex tunc", essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano; ne consegue che tale meccanismo non opera se l'altra parte abbia "medio tempore" revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l'estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi.
Il contraente di un contratto per cui è prevista la forma scritta "ad substantiam", privo del possesso della scrittura per averla consegnata all'altro contraente che si rifiuta di restituirla, non può provare l'esistenza del rapporto avvalendosi della prova testimoniale, poiché non si verte in un'ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell'art. 2724, n. 3, c.c., bensì di impossibilità di procurarsi la prova del contratto ai sensi del n. 2 del medesimo articolo.
Il requisito della forma scritta "ad substantiam" nei contratti è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti siano contenute in documenti distinti, purché risulti il collegamento inscindibile tra questi ultimi, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell'accordo.
CLAUSOLE “ALIENE” NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: IL CASO DELLE ASSICURAZIONI CLAIMS MADE
Cass., 6 maggio 2016, n. 9140
Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. xxxxxxxx claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.
LA RICONOSCIBILITA’ DELLE SENTENZE COMMINATORIE DI PUNITIVE DAMAGES
Cass., 16 maggio 2016, n. 9978
Deve essere rimessa al Primo Presidente, perché valuti l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa alla riconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi. L'attuale vigenza nell'ordinamento del principio di non delibabilità, per contrarietà all'ordine pubblico, delle sentenze straniere che riconoscano danni punitivi desta infatti perplessità, alla luce della progressiva evoluzione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità nell'interpretazione del principio di ordine pubblico, originariamente inteso come espressione di un limite riferibile esclusivamente all'ordinamento giuridico nazionale, ma che è andato successivamente ad identificarsi con l'"ordine pubblico internazionale", da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela, comuni ai diversi ordinamenti, dei diritti fondamentali dell'uomo e desumibili dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria.
DONAZIONI INDIRETTE
Cass., 4 gennaio 2017, n. 106
Xxxxx rimessi gli atti al Primo Presidente affinché valuti l'opportunità che la Corte di Cassazione pronunci a Sezioni Unite sulla questione relativa alla struttura e al meccanismo di funzionamento delle donazioni indirette.
DONAZIONE DI COSA ALTRUI
Cass., 15 marzo 2016, n. 5068
La donazione di cosa altrui o parzialmente altrui, sebbene non espressamente vietata, è nulla per difetto di causa, sicché la donazione del coerede avente ad oggetto la quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria è nulla, atteso che, prima della divisione, quello specifico bene non fa parte del patrimonio del coerede donante; tuttavia, qualora nell'atto di donazione sia affermato che il donante è consapevole dell'altruità della cosa, la donazione vale come donazione obbligatoria di dare.