SHARI’A COSTITUZIONALE. REPERTORIO CODICISTICO, CONTRATTUALISMO MUSULMANO, ERMENEUTICA GIURIDICO-COGNITIVA: CONTRIBUTO PER UNA LETTURA LIBERALE DELL’ART. 2 DELLA COSTITUZIONE EGIZIANA**
Rivista N°: 3/2016 DATA PUBBLICAZIONE: 06/07/2016
AUTORE: Xxxxxxxxx Xxxxxx*
XXXXX’A COSTITUZIONALE. REPERTORIO CODICISTICO, CONTRATTUALISMO MUSULMANO, ERMENEUTICA GIURIDICO-COGNITIVA: CONTRIBUTO PER UNA LETTURA LIBERALE DELL’ART. 2 DELLA COSTITUZIONE EGIZIANA**
Sommario: 1. Alla ricerca di paradigmi “indigeni”, per una lettura pluralistica dell’art. 2 della Costituzione egiziana – 2. Breve rassegna sulla genesi e la funzione delle clausole sharaitiche nel diritto costituzionale dei paesi arabi. Il caso egiziano – 3. Primo paradigma: la menzione della legge religiosa nel testo costituzionale alla luce del retroterra codicistico – 4. Secondo paradigma: contrattualismo musulmano, architettura statale e natura eteronoma della legge religiosa – 5. Terzo paradigma: il ruolo di “interprete finale” della Suprema Corte Costituzionale tra premesse contrattualistiche, diritto classico e giurisprudenza contemporanea – 6. La vena pluralistica nella xxxxx’a: simbiosi tra competenza cognitiva e responsabilità giuridica nella teoria del diritto classico – 7. Conclusioni. Il rinvio alla xxxxx’a come “clausola di effettività” della Costituzione egiziana.
1. Alla ricerca di paradigmi “indigeni”, per una lettura pluralistica dell’art. 2 della Costituzione egiziana
Sul finire del 2010, una rivolta scoppiata in Tunisia per protestare contro le privazioni governative delle libertà fondamentali, le ingiustizie sociali e la corruzione delle autorità, si è rapidamente diffusa negli stati dell’area islamica del Mediterraneo e del Medioriente. Tale evento ha dato vita ad un duraturo moto politico-insurrezionale che ha interessato diversi paesi come la Libia, la Siria, la Giordania, il Bahrein, lo Yemen, l’Egitto, divenuto successi- vamente noto come “Primavera araba”. In una prima fase, tali sommosse sono state acco-
* Associato di Antropologia e istituzioni dell’Islam nell’Università degli Studi di Parma
** Il presente articolo rielabora e amplia il contenuto di due relazioni, tenute nel corso del 2015 sull’art. 2 della Costituzione egiziana: «Al-Islam din ad-daulah: la religione islamica nel processo costituzionale egiziano», seminario tenuto presso il Corso di dottorato in Sistemi costituzionali comparati del Dipartimento di Giurispruden- za dell’Università degli Studi di Genova, il 17 aprile 2015 e «The Islamic Religion in the “Architecture” of the 2014 Egyptian Constitution» presentazione del paper all’interno di un panel intitolato “The Tale of Post-Arab Spring in Egypt: The Struggle of Civil Society Against a Janus-Faced State”, presso la Harvard Law School, Cambridge- MA, USA alla Conferenza Biennale dell’Institute for Global Law and Policy (IGLP), l’1 giugno 2015.
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munate da alcune caratteristiche comuni quali la spontaneità, la trasversalità e la mancanza di leader, una relativa – e apparente1 – marginalità del fattore religioso, che ne hanno esalta- to il carattere popolare e acefalo. In una seconda fase, esse hanno assunto, di paese in pae- se, uno specifico decorso che ha condotto, in alcuni casi, ad aspri conflitti civili, in altri, alla riorganizzazione statale e a un nuovo processo costituente. Ovunque, in questo secondo momento, è riemersa la centralità della religione islamica quale elemento fondante l’architettura sociale degli stati arabi, soprattutto quando la protesta di piazza ha dovuto la- sciare spazio al processo di riassetto e riorganizzazione costituzionale dello stato.
Il presente contributo è limitato a uno tra questi paesi, l’Egitto, che ha faticosamente portato a termine il percorso di rinnovamento costituzionale con la promulgazione di un nuo- vo testo costituzionale (dustur jumhuryyah misr al-’arabyyah) nel 2014. Il suo intento è quello di analizzare il ruolo della religione nel nuovo assetto fondamentale e di ipotizzare un itinera- rio culturalmente endogeno e potenzialmente pluralistico di interpretazione del rinvio testuale alla legge religiosa (xxxxx’a) quale fonte del diritto. Il punto di partenza di questo percorso, che intende dichiaratamente collocarsi all’interno delle coordinate culturali della tradizione giuridica sunnita, è dato dalle norme costituzionali in cui la religione islamica è dichiarata “re- ligione di stato” e posizionata al vertice del sistema delle fonti del diritto. L’art. 2 della Costi- tuzione del 2014 statuisce, infatti, che
Al-Islam din ad-dawlah L’Islam (è) la religione dello stato
… wa mabada’ as-xxxxx’a al- ’islamyyah al-masdar ar-ra’ysa at-tashry’a
… e i fondamenti2 della legge islami- ca (sono) la fonte suprema della legi- ferazione3
Sebbene il periodo di transizione tra la rivolta del 2011 e la dichiarazione costituzio- nale citata sia stato caratterizzato da cambiamenti politici abbastanza drastici, tra l’altro con la successione di un governo a indirizzo laico rispetto ad uno di ispirazione islamista4, il testo
1 Cfr. sul punto X. XXXXXX, K. QATAM, Tradizioni di giustizia e radici culturali nella rivoluzione egiziana, in Quaderni Laici, n. 12/2014, Centro Studi Xxxxx Xxxxxxxxxxx, Claudiana, Torino, pp. 99-123, e X. XXXXXX, K. QATAM, Re-Emerging Equality. Traditions of Justice in the Cultural Roots of the Egyptian Revolution, in Diritto & Questioni pubbliche, n. 13, 2013, pp. 1-40, di cui questo articolo costituisce il proseguimento.
2 Tutte le traduzioni dall’arabo dei testi costituzionali nel corpo del testo sono proposte dell’Autore. Le traduzioni della tabella comparativa seguente sono invece quelle della traduzione in inglese, presente nel predet- to sito. La traslitterazione dall’arabo è semplificata. Qui, mabdā’/mabādā’, dalla radice verbale b-d-ā’, “comincia- re”, “iniziare” diventa pertanto il “principio”, il “punto di partenza” e, al plurale, gli “elementi” e i “rudimenti”. Il testo arabo consultato è quello pubblicato sul sito istituzionale del governo egiziano disponibile in: xxxx://xxx.xxx.xxx.xx/Xx/Xxxxxxxxx/Xxxxxxxx/xxxXxxxxxxx.xxxx?XxxXXx00#.XXXXXxxxXxX.
3 Si concorda qui con la proposta di traduzione della nozione, così come elaborata da S. LA CHINA, Che cosa studiano le matricole di giurisprudenza in una facoltà araba?, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civi- le, XXLVIII, fasc. 4, 2014, p. 1425, che utilizza il termine “legiferazione” intendendo rimarcare quel «procedimento legislativo seguito articolo per articolo per formare la Costituzione, per formare la legislazione ordinaria a cura della autorità legislativa, per le ipotesi che sia l’autorità esecutiva a poter dettare leggi ordinarie in caso di neces- sità o per delega legislativa o in via sostitutiva del Parlamento inattivo, per le ipotesi di esercizio di potestà rego- lamentare per regolamenti esecutivi, amministrativi, organizzativi».
4 Per un inquadramento sistematico degli avvenimenti più recenti, cfr. X. XXXXXX, Diritto pubblico dell’islam mediterraneo. Linee evolutive degli ordinamenti nordafricani contemporanei: Marocco, Algeria, Tunisia,
contenente la dichiarazione di confessionalità e la collocazione della religione islamica all’interno del sistema delle fonti di diritto non ha subito mutamenti dalle prime bozze di revi- sione, alla Carta costituzionale del 2012, rimasta vigente solo pochi mesi, infine nel testo de- finitivo del 2014. Rilevanti cambiamenti hanno invece riguardato i corollari applicativi di que- sto principio, in materia di interpretazione della legge religiosa. Va ricordato che la Costitu- zione approvata nel 2012 era stata redatta da un comitato dominato dai rappresentanti
Libia, Egitto, Xxxxxxx Xxxxxx-Xxxxx, Padova, 2015. Personalmente dubito che essi, tuttavia, possano essere considerati i presupposti di un “Costituzionalismo Islamico”, concetto di dubbia solidità storica e giuridica, cfr. X. XXXXX, Islamic Constitutionalism and Constitutional Politics in Post-Revolutionary Tunisia, WP3/13 UNILU Center for Comparative Constitutional Law and Religion, 2013. Di seguito, per agevolare il lettore meno esperto, si pos- sono riassumere, senza pretese di completezza, i passaggi decisivi degli eventi politici e riorganizzativi seguiti alla caduta del governo di Xxxxxxx: nel gennaio del 2011, sull’onda di quanto stava accadendo nella vicina Tuni- sia, investita da un ondata di proteste che culminerà con la cacciata del Presidente Xxx Xxx, anche l’Egitto cono- sce movimenti di piazza e tumulti, nell’ambito di quel fenomeno più ampio indicato con il termine “Primavera ara- ba”. Il 25 gennaio 2011 al Cairo, un folto gruppo di persone, organizzatesi tramite i social network, si radunò nei pressi dell’Alta Corte e marciò in direzione di piazza Tahrir. Le manifestazioni, che si protrassero anche nei giorni seguenti, furono scandite da duri scontri con le forze di sicurezza egiziane e dilagarono anche fuori dalla Capita- le, investendo le principali città egiziane come Alessandria e Suez. Piazza Tahrir diventata, in quei giorni, il centro nevralgico della protesta, venne occupata ad oltranza dai manifestanti, nonostante fosse stato imposto il copri- fuoco dalle autorità militari. Dopo più di due settimane di scontri, il 29 gennaio arrivava una prima vittoria per i rivoltosi: il Presidente dava attuazione, per la prima volta, all’art. 139 Cost. che prevedeva la nomina di un vice- presidente, indicando come tale il generale Xxxx Xxxxxxxx, già capo dei servizi segreti. La mossa di Xxxxxxx, però, non sortì l’effetto di allentare la pressione della piazza: le manifestazioni e gli scontri con le forze di sicurez- za proseguirono e aumentarono d’intensità fino all’11 febbraio, quando un comunicato del neo vice-presidente Xxxxxxxx annunciava le dimissioni di Xxxxxxx. Contestualmente, si costituì il Consiglio Supremo delle Forze Ar- mate (da ora in poi CSFA), un organismo non previsto da alcuna norma costituzionale e presieduto dal Feldma- resciallo (Mushir) Xxxxxxxx Xxxxxxx, il cui primo comunicato, datato 11 febbraio, annunciò la propria riunione permanente al fine di “proteggere” la nazione. Il CSFA assunse il pieno controllo della situazione politica egiziana con il comunicato del 13 febbraio, in cui annunciava la sospensione della Costituzione e l’assunzione della ge- stione degli affari pubblici. Nello stesso comunicato, il CSFA comunicava la formazione di una Commissione per la riforma della Costituzione (nominata dalla stessa Giunta militare) e la successiva celebrazione di un referen- dum costituzionale. Il 30 marzo 2011, la Costituzione previgente era abrogata da una nuova costituzione provvi- xxxxx approvata dal CSFA. La nuova costituzione era stata redatta con l’espressa finalità di dare vita a un docu- mento destinato a operare nel periodo transitorio successivo alla rivoluzione del 25 gennaio, fino a quando un nuovo testo potesse essere approvato a seguito di un vero e proprio processo costituente. La nuova costituzione provvisoria ha incluso modifiche che nel periodo ultimo e più critico anche il governo Xxxxxxx aveva iniziato ad adottare, introducendo articoli che definivano i poteri esecutivi e giudiziari, tracciando la strada per le elezioni parlamentari e presidenziali successive. Inoltre, ha previsto direttamente la creazione di un nuovo comitato di redazione costituzionale incaricato di lavorare alla nuova bozza costituzionale. Le modifiche costituzionali intro- dotte sotto il dominio del CSFA sono rimaste in vigore fino alle elezioni parlamentari successive, nelle quali le forze islamiste hanno avuto il sopravvento. Di conseguenza, anche l’Assemblea Costituente formata a partire dal Parlamento ha avuto le stesse caratteristiche. Tuttavia i suoi lavori sono stati sospesi dal tribunale amministrativo del Cairo, giudicando l’organo poco “rappresentativo” di donne, giovani e minoranze. Dopo un periodo di sospen- sione, l’1 dicembre 2012, il progetto di Costituzione è stato consegnato all’allora presidente Xxxxxxx Xxxxx ed è entrata in vigore dopo l’indizione del referendum costituzionale che ha visto prevalere l’approvazione da parte del 63,8% dei votanti. Questa costituzione, detta “islamista” era in vigore da soli sei mesi quando un’ulteriore ondata di proteste scoppiò nel giugno 2013; di conseguenza, la sua efficacia è stata sospesa e un nuovo comitato è sta- to incaricato di modificarne i contenuti. La susseguente Costituzione del 2014 è stata redatta da parte di un comi- tato composto da 50 persone e guidato dall’ex segretario della Lega Araba, Ministro degli esteri ed ex generale Xxxx Xxxxxx. Il comitato ha raggruppato quasi tutti i segmenti della società egiziana, compresi rivoluzionari, cop- ti, donne e giovani attivisti. In particolare, esso è stato incaricato di modificare alcuni degli articoli più controversi della Costituzione 2012. Il Comitato ha presentato il progetto definitivo della Costituzione al Presidente ad interim Xxxx Xxxxxxx il 3 dicembre del 2013. Un referendum sulla nuova costituzione si è tenuto il 14-15 gennaio, attra- verso il completamento dei presupposti di promulgazione costituzionale ed è stato approvato con una maggioran- za schiacciante capace di raggiungere circa il 98 per cento dei votanti.
dell’islam politico. Per questo motivo, rispetto alle costituzioni precedenti che pure prevede- vano la rilevanza della xxxxx’a, la cd. Costituzione islamista era caratterizzata per il fatto di contenere previsioni che istruissero la Suprema Corte Costituzionale nel seguire le interpre- tazioni più classiche dell’islam e nel prevedere una maggiore pervasività del fiqh, ovvero del diritto islamico classico. Particolarmente rilevante era la norma contenuta nell’art. 4, la quale assicurava all’Università di al-Azhar la piena autonomia per quanto riguarda la propria ge- stione interna, stabilendo altresì che i dottori dell’università (cd. ‘ulema, pl. di ‘alim) dovesse- ro essere i referenti esclusivi per l’interpretazione del diritto islamico: si prevedeva, sul punto, che essi dovessero essere obbligatoriamente consultati su ogni questione concernente la legge religiosa, pur non precisandosi quale fosse il valore di tale opinione all’interno del si- stema della fonti. Inoltre, questo testo costituzionale conteneva una disposizione, l’articolo 219, che rinviava direttamente al diritto religioso, per alcune specifiche materie.
Rispetto alla Costituzione del 2012, quella del 2014 ha visto, in generale, la rimozione di alcuni articoli e di alcune espressioni linguistiche privilegiate dagli islamisti. Essa ha altresì ampliato i poteri costituzionali di quelle istituzioni che, nella transizione, hanno avuto un ruolo chiave nella destituzione del governo islamista, ossia l’esercito, il potere giudiziario e la poli- zia. La nuova costituzione ha poi introdotto riforme al fine di rendere operativi i diritti e le li- bertà in generale, con garanzie per donne, minoranze e mezzi di comunicazione di massa. Nel nuovo testo, si afferma esplicitamente che le donne sono uguali agli uomini, e si permet- te loro di assumere incarichi ufficiali e giudiziari. Nuovi articoli criminalizzano la tortura, la di- scriminazione e lo sfollamento forzato, pratica che i cristiani hanno subito in tempi di conflitto confessionale. Si fa poi obbligo al Governo di rispettare gli accordi internazionali sui diritti umani. D’altro canto, la nuova Costituzione limita la rappresentatività politica su basi religio- se. In particolare si mettono al bando alcuni partiti politici, come “la Luce” di tendenza salafi- ta, i “Fratelli Musulmani” e il “partito della Giustizia”, di dichiarata ispirazione religiosa. Alcune di queste modifiche sono riassunte nella tabella comparativa seguente:
COSTITUZIONE DEL 1971 COSTITUZIONE DEL 2012 COSTITUZIONE DEL 2014
RELIGIONE
Minoranze religiose
Non menzionato Articolo 3
I principi canonici dei cristiani e degli ebrei egiziani sono la principale fonte di legislazio- ne per i loro rapporti di statu- to personale, i loro affari reli- giosi e la scelta dei loro lea- der spirituali.
Articolo 3
I principi delle leggi dei cri- stiani e degli ebrei egiziani sono la principale fonte di legislazione per i loro rapporti di statuto personale, i loro affari religiosi e la scelta dei loro leader spirituali.
Libertà di culto
Articolo 46
Lo Stato deve garantire la libertà di culto e la libertà di praticare riti religiosi.
Articolo 43
La libertà di culto è un diritto inviolabile. Lo Stato deve ga- rantire la libertà di praticare riti religiosi e di istituire luoghi di culto per le religioni divine, in conformità alla legge.
Articolo 64
La libertà di culto è assoluta. La libertà di praticare riti reli- giosi e di istituire luoghi di culto per i seguaci delle reli- gioni rivelate è un diritto re- golato dalle legge.
Articolo 2
Xxxxx’a e principii dell’Islam Articolo 2
Articolo 2
L’Islam è la religione dello stato e l’arabo è la sua lingua ufficiale. I principi della legge islamica sono la principale fonte del diritto.
L’Islam è la religione dello stato e l’arabo è la sua lingua ufficiale. I principi della legge islamica sono la principale fonte del diritto.
L’Islam è la religione dello stato e l’arabo è la sua lingua ufficiale. I principi della legge islamica sono la principale fonte del diritto.
Non menzionato Articolo 219
I principi della xxxxx’a islami- ca comprendono le regole sulle prove, le regole di base, le regole giurisprudenziali e fonti accreditate accettate dalla dottrina sunnita e dalla maggioranza della comunità.
Università di Al-Azhar
Non menzionato Articolo 4
Al-Azhar è una istituzione islamica indipendente e comprensiva, con autonomia esclusiva circa i propri affari, responsabile della predica- zione dell’Islam, della teolo- gia e della lingua araba in Egitto e nel mondo. Gli An- ziani Studiosi di Al-Azhar de- vono essere consultati nelle questioni riguardanti la legge islamica. La carica di Grande Sceicco di Al-Azhar è indi- pendente e non può essere destituita. Il metodo di scelta del Grande Sceicco tra i membri degli Studiosi Anzia-
Non menzionato
Articolo 7
Al-Azhar è un’istituzione islamica indipendente e scientifica, con competenza esclusiva circa i propri affari. Essa è l’autorità principale per le scienze religiose e le questioni islamiche. È re- sponsabile della predicazio- ne dell’Islam e della diffusio- ne delle scienze religiose e della lingua araba in Egitto e nel mondo. Lo stato deve fornire sufficienti risorse fi- nanziarie per permetterle di raggiungere i propri scopi. Il Grande Sceicco di Al-Azhar è indipendente e non può
ni è determinato dalla legge. Lo Stato deve assicurare ad Al-Azhar fondi sufficienti per permettere a quest’ultima di raggiungere i propri obiettivi. Tutto quanto detto sopra è regolato dalla legge.
essere destituito. Il metodo di elezione del Grande Sceicco tra i membri del Consiglio degli Anziani studiosi è de- terminato dalla legge.
Articolo 93
Lo Stato è impegnato al ri- spetto delle convenzioni in- ternazionali in materia di dirit- ti umani e degli accordi ratifi- cati dall’Egitto, che entrano in vigore dopo la loro pubblica- zione secondo le condizioni stabilite.
In relazione alla questione dell’interpretazione della legge religiosa, una menzione particolare va fatta a un passaggio del preambolo del testo 2014, in cui si fa esplicito richia- mo alla giurisprudenza della Suprema Corte Costituzionale quale repertorio giuridico per l’attività di interpretazione5:
naktab dustur(an) kadd an mabādā’ as- xxxxx’a al-islamyia al masdar ar-raysā at-tashri’a, wa an al-marg’a fy tafsyr-hā huwa mā taḍminhu magmu’a āhkām al-muhakamah ad-dusturyyah al-’alayā fi dhalik as-shān.
Scriviamo una costituzione che rende i principi della legge religiosa isla- mica la fonte principale della legiferazio- ne. In riferimento alla loro interpretazione, essa è compresa nell’insieme delle pro- nunce della Suprema Corte Costituziona- le, erogate in questo ambito.
Va sottolineato come, di là dalle modifiche evidenziate, il dettato normativo relativo al- la posizione della religione islamica nel sistema delle fonti del diritto ha mantenuto una tessi- tura complessiva molto simile a quella delineata nella Costituzione del 2012, e ancor prima a quella della Costituzione egiziana del 1971. In via di principio, cioè, il nuovo assetto non pre- senta alcuna soluzione di continuità nell’indicare nella religione una fonte principale della le-
5 M.A. ‘ARAFA, Whither Egypt? Against Religious Fascism and Legal Authoritarianism: Pure Revolution, Popular Coup, or A Military Coup D’état?, in Indiana International & Comparative Law Review, Vol. 24:4, 2014, 859 ss. afferma, ad esempio, che «The Preamble to the Constitution also favors the secular and liberal elements without referring to any definition of Islamic Sharia, considering it sufficient to state that the “definition of Islamic Sharia must follow rulings issued by the Supreme Constitutional Court,” and giving the high court exclusive au- thority to “interpret constitutional articles in its rulings” as explained», p. 891.
gislazione, secondo un indirizzo di politica del diritto introdotto per la prima volta6 nel 1971, poi specificato nel 1980, con un emendamento che aveva reso la xxxxx’a “la” fonte principale della legislazione e non più “una” fonte della legislazione7.
Questa circostanza potrebbe, almeno in apparenza, sembrare contraddittoria. Po- trebbe apparire incongruente, cioè, che al moto politico che ha portato alla reiezione dell’esperienza di governo della Fratellanza musulmana non sia seguita una modifica so- stanziale delle norme sull’indirizzo confessionale che di quell’esperienza sembravano costi- tuire il cifrario simbolico essenziale.
Spiegare questa apparente contraddizione è il primo motivo di indagine di questo contributo. Si ritiene, infatti, che la conferma del principio e della rilevanza della xxxxx’a rap- presenti un preciso indizio del significato da conferire a tale previsione. Più esattamente, a mio parere, il rinvio alla religione come principio ispiratore della “legi-ferazione” va considera- to come una dichiarazione sostantiva circa il sistema di valori inderogabili posti alla base del nuovo progetto statale e risulta compatibile con una lettura pluralistica di tale riferimento, una volta posto all’interno delle coordinate culturali del costituzionalismo egiziano. Come antici- pato, l’intento di questo contributo è quello di esplicitare le potenzialità “polifoniche” della tra- dizione giuridica islamica, che possano supportare una lettura pluralistica del rinvio alla legge religiosa, intesa come norma di individuazione dei principi e dei valori di base di una comuni-
6 L’esperienza costituzionale anteriore può essere solamente riassunta, senza pretese di completezza, qui di seguito. Essa formalmente prende avvio nel 1919, alla fine della prima guerra mondiale, quando in Egitto scoppiò una rivoluzione popolare volta a ottenere maggiore libertà, l’indipendenza dai poteri stranieri e una forma di governo di tipo democratico. Questo moto ha portato alla dichiarazione del 28 Febbraio 1922 che ha ricono- sciuto l’Egitto come stato indipendente e posto fine al protettorato britannico. Sulla base di questo nuovo status, è stato redatto da parte di una commissione legislativa di 30 membri un testo costituzionale che comprendeva rap- presentanti dei principali partiti politici, così come i leader del movimento nazionalista. La costituzione è stata promulgata nell’aprile del 1923 fino al 1930. Successivamente una nuova costituzione ha sostituito la precedente per un quinquennio (1930-35). Anche questo ordinamento diede luogo ad un ulteriore periodo di lotte interne e di contrasti diretto all’affrancamento delle fasce popolari della cittadinanza. Infatti, tale assetto prevedeva ancora la rilevanza del censo nell’elezione dei rappresentanti: l’articolo 81 del testo costituzionale statuiva che l’elettorato attivo spettasse a chi possedeva una certa quantità di denaro. Questi e altri difetti alimentarono un forte malcon- tento, tanto che la costituzione del 1930, appunto, fu abrogata nel 1935 col ritorno in vigore della Costituzione del 1923, rimasta poi valida fino alla rivoluzione del 1952. Quest’ultima, a sua volta, pose fine definitivamente alla monarchia. Il successivo periodo “nasseriano” ha visto una pluralità di costituzioni temporanee e dichiarazioni costituzionali. Fu anche formato un comitato specializzato a redigere un nuovo testo. Tale organo ha stilato la costituzione 1954, elaborandola come un documento progressivo che enfatizzasse le libertà civili, i diritti del lavo- ro e la giustizia sociale. Tuttavia, tale bozza è stata in un primo momento respinta dal Consiglio rivoluzionario del 1952 e successivamente sostituita da un altro testo, promulgato nel 1956. Anche questa esperienza ebbe vita breve. Due anni più tardi, nel 1958, a causa del progetto di Repubblica Araba Unita (UAR), Egitto e Siria unite si dettero un’ulteriore costituzione provvisoria che venne abrogata al termine del progetto panarabista nel 1962. In particolare essa fu rimpiazzata da due costituzioni separate per Egitto e Siria, di cui quella egiziana fu ritenuta provvisoria. Sulla recezione del termine “repubblica” nel lessico politologico arabo, cfr. X. XXXXXX, Semantics and the Modern History of Non-European Societies: Arab “Republics” as a Case Study, in The Historical Journal, Vol. 28, No. 4 (Dec., 1985), pp. 821-834; in generale sui processi di traduzione del lessico costituzionale X. XXX, Le traduzioni giuridiche tra l’arabo e le lingue occidentali. Il costituzionalismo in Africa settentrionale e Medio Oriente, tra repliche e novità, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, III, 2011, p. 807 ss.
7 Sulla cost cd. “permanente” di Xxxxx, cfr. X. X’XXXX, Islam in the New Egyptian Constitution: Some Di-
scussions in “al-Ahram”, in Xxxxxx Xxxx Xxxxxxx, Xxxxxx 0000, 26, 2 pag. 137 e la traduzione della conferenza stampa tenuta da Xxxxx il 13 giugno 1976, in occasione del centenario del quotidiano al-Ahram, spec. p. 752, disponibile in: xxxx://xxx.xxxxx.xxx.xxx/xxxxxxxx/xxxxxxx/XXXX%00XxXxxxx%000.00.00.xxx.XXX.
tà nel processo di dispiegamento cronologico e operativo di uno stato a base costituzionale. Si cercherà di percorrere tale itinerario, tenuto conto dello sfondo concettuale della tradizione giuridica islamica, mantenendosi all’interno del contesto culturale egiziano, in modo da con- futare quell’impressione di incoerenza che una mera giustapposizione comparativa di norme e principi costituzionali (separatismo vs confessionismo) parrebbe suscitare.
I punti che si pongono come successive tappe di riflessione circa le potenzialità plura- listiche di tale rinvio sono i seguenti:
1. L’univocità dell’articolo 2 della Costituzione può essere relativizzata ove si valuti la funzione culturale della religione islamica nell’ordinamento giuridico egiziano nel suo com- plesso: alla luce, ad esempio, di una valutazione storica e integrata del sistema di diritto pubblico/privato probabilmente l’incisività religiosa dell’articolo può essere fortemente ridi- mensionata. La rilevanza sociale della cultura religiosa precede il richiamo costituzionale e non è a esso riducibile, investendo il sistema giuridico egiziano in maniera polverizzata e dif- fusa, promanando, ad esempio, dalla codificazione civilistica e, pertanto, costituisce il fattore di sfondo per l’operatività della dimensione normativa, etica e giuridica, in senso più ampio.
2. La menzione della religione all’interno della Costituzione e la sua eteronomia non esclude che tale rinvio possa essere compatibile con una valorizzazione contrattualistica del- la nuova Costituzione, sia in una prospettiva fondativa e istituzionale dello Stato, sia in una prospettiva processiva e cronologica di dispiegamento dei principi costituzionali nel quadro dell’attività di sviluppo e di azione dello stato. La costituzione rappresenta, da un lato, l’espressione istantanea della volontà politica di una comunità, dall’altro è in grado di influire e di indirizzarne le scelte normative future, di programmarne gli sviluppi e di controllare o li- mitare i possibili deragliamenti dai dettami istitutivi. Una volta rapportata la religione islamica e la sua tradizione giuridica a tali indici di senso, anche l’eteronomia della legge religiosa può essere rivalutata quale espressione sintetica di una sorta di “clausola di eternità”, volta a ga- rantire il rispetto di certi valori e vedute negli snodi cronologici della dinamica politica e stata- le.
3. Come dato di fatto, il rinvio alla religione nella Costituzione ha bisogno di un inter- prete. La prospettiva di un’interpretazione della legge religiosa non è affatto estranea alla tradizione giuridica islamica, sebbene sia contestata nel suo fondamento e nella sua am- piezza dalle frange più estreme del fondamentalismo. Da questo punto di vista, una volta introdotta nell’architettura costituzionale, la legge religiosa va necessariamente interpretata: in tal senso, il ruolo costituzionale, le caratteristiche specifiche e la pregressa attività giuri- sprudenziale della Suprema Corte Costituzionale egiziana lasciano prefigurare che essa stessa possa candidarsi ad autorevole interprete “finale” della legge religiosa, eventualmente ampliando il ruolo partecipativo di altri attori e competenze istituzionali, in questo delicato compito. Al più, nell’esercitare tale attività, la Corte stessa dovrebbe, da un lato, attrezzarsi di una particolare metodologia interpretativa, tipica della giurisprudenza islamica classica, dall’altro, coordinare e partecipare, attraverso meccanismi appositi, la sua azione con quella di altre “forze interpretative” della legge, in vista di un maggiore bilanciamento della respon- sabilità politica derivante dall’azione di verifica e mediazione sui valori fondamentali della comunità tutta.
2. Breve rassegna sulla genesi e la funzione delle clausole sharaitiche nel diritto costituzionale dei paesi arabi. Il caso egiziano
L’esposizione dettagliata dei suddetti paradigmi va introdotta da un breve resoconto sulla genesi e la funzione della clausola confessionale nel quadro del costituzionalismo ara- bo.
Nel periodo coloniale, alcuni stati musulmani già conoscevano il principio secondo cui le leggi applicate dai giudici dovessero essere, da una parte, coerenti con un modesto nu- cleo scritto di regole riconosciute dai dotti religiosi (i fuqaha’) come non ambigue e, dall’altra, non attentassero agli interessi della società musulmana, così come individuati dagli stessi fuqaha’. Questo era pertanto l’assetto che la xxxxx’a aveva in molti stati arabi nel XIX secolo. Nel secolo successivo, con la decolonizzazione, i governanti degli stati nazionali cominciaro- no a mettere in dubbio l’idea dell’obbligatoria corrispondenza della legge statale con le inter- pretazioni della legge islamica fornite dai religiosi, nell’orizzonte di una modernizzazione del- le strutture e dei processi statali. In conseguenza di ciò, le prime costituzioni arabe non ripor- tarono affatto clausole nelle quali si faceva riferimento a tale vincolo.
Le clausole costituzionali sharaitiche hanno fatto la loro comparsa in un secondo momento. Per la prima volta tale adozione avvenne all’interno di una costituzione adottata dalla Siria negli anni ‘50, nella quale era previsto che le interpretazioni della legge islamica, operate da esperti religiosi, dovessero costituire “la principale fonte del diritto”. Di fatto, tutta- via, non venne mai richiesta una totale compatibilità di ogni legge statale coi principi islamici. Gli interpreti siriani ritenevano che tale disposizione avesse natura descrittiva e come tale dovesse avere un impatto minimo a livello concreto, diversamente da una disposizione con la quale l’islam venisse ufficialmente dichiarato religione di stato. Nel 1973, la Siria promulgò un’altra costituzione, nella quale il fiqh passava dall’essere “la” principale fonte di diritto all’essere “una” fonte principale del diritto. Tale sorta di declassamento accomunò le formule applicative della xxxxx’a in diversi paesi islamici e rifletteva, appunto, il modo sommario di intendere tali clausole nei paesi arabi, nel xxxxx xxxxx xxxx ‘00 e ‘708. Alla base vi era l’orientamento, ampiamente condiviso, che simili formule andassero intese come “clausole di stile”. Ciò al fine di evitare di porre un vincolo costituzionale più stringente, ritenuto difficil- mente compatibile con la modernità e con le esigenze dello stato nazionale.
In Egitto, l’inserimento della clausola sharaitica avvenne in una fase politica ulteriore, e fu sorretto da un concreto intendimento di valorizzazione del diritto religioso. Nella storia di questo paese, le prime esperienze statutarie risalivano alla seconda metà del XIX secolo e non avevano preso in considerazione la questione della confessionalità dello stato o della
8 C.B. LOMBARDI, Designing Islamic Constitutions: Past Trends and Options for a Democratic Future, in International Journal of Constitutional Law, University of Washington School of Law, Legal Studies Research Pa- per No. 2013-18. Cfr. per l’Oman, ultimo dei paesi del golfo a dotarsi di una carta costituzionale nel 1996, N.A. XXXXXXXXX, Legislation and Legitimation in Oman: The Basic Law, in Islamic Law and Society, Vol. 7, No. 3 (2000), pp. 359-397.
rilevanza giuridica della legge religiosa9. Successivamente, la Costituzione del 1923, pur considerando l’islam come religione di stato, non includeva la legge islamica tra le fonti del diritto statale. A partire dagli anni ‘50, nella transizione verso il governo di Xxxxxx, pur nel susseguirsi di ordinamenti costituzionali temporanei, allo stesso modo non si ravvisava alcu- na clausola di questo genere. Occorse la Costituzione del 1971 per vedere l’introduzione di una clausola sharaitica in senso proprio. In quell’anno, infatti, a seguito della morte di Nas- ser, il neo-presidente egiziano Xxxxx Xxxxx decise di intraprendere la redazione di una nuo- va costituzione che fosse in grado di rivolgersi alla più ampia maggioranza di cittadini, com- presi quei movimenti islamisti che durante gli anni di Xxxxxx erano stati avversati e messi al bando, come i Fratelli musulmani10. Al fine di raccogliere tale tipo di consenso, si decise, ap- punto, l’adozione di una clausola sharaitica. La prima proposta all’interno del comitato di re- dazione costituzionale fu quella di inserire una disposizione secondo cui “i principi della sha- ri’a costituiscono una fonte suprema di legislazione”.
La cd. “Costituzione permanente” entrò in vigore con tale espressione, dopo essere stata sottoposta a referendum, l’11 Settembre 1971. La clausola sharaitica fu approvata sen- za particolari tentennamenti e discussioni11. Il vero contrasto scoppiò all’indomani della pub- blicazione del progetto di costituzione, in relazione alla formula utilizzata per descrivere la rilevanza della xxxxx’a rispetto alle altre norme di legislazione ordinaria e rappresentò l’epifenomeno di una serie di antagonismi che caratterizzavano in profondità i processi di le- gittimazione dell’autorità statale in quegli anni. Di per sé, la contestazione ebbe inizio attra- verso una lettera pubblicata sul giornale al-Ahram12, indirizzata al comitato di redattori, nella
9 Nel XIX secolo non si può parlare di una esperienza costituzionale in senso proprio. Piuttosto, gli atti iniziali di tale percorso possono ravvisare in una attività statutaria in senso stretto, consistente nella modifica for- male e solenne di alcuni principi fondamentali attorno al quale erano ordinati l’organizzazione e l’ordinamento giuridico dell’allora forma di governo, di tipo “khedivale” (dalla parola khudywyy “signore, principe, sovrano”, tra- dotto spesso come “viceré”), sotto il segno di Muhammad ‘Ali (1805-1848). Questi fu prima wali poi, dal 1841, khedivè d’Egitto, vale a dire governatore, anche se sotto l’autorità formale degli ottomani. Un atto significativo della transizione verso successivi processi costituzionali può essere rintracciato nell’istituzione, da parte di Mo- hammed Xxx Xxxxx di una prima forma di consiglio popolare rappresentativo, denominato “dawawîn” (letteralmen- te “uffici”, sing. “diwan”). Successivamente, il 19 novembre 1864, sotto xxxxxxx Xxxxxx, fu istituito un primo, vero e proprio, organo rappresentativo e consultivo, al-majlis shura an-nuwwab, composto da 75 membri, scelti e eletti dai governatori provinciali, capi villaggio, notabili e figli di famiglie influenti del paese. Essendo il relativo statuto “ottriato” dal khedivè, tale istituzione non ha in nessun modo limitato la legittimazione del governo, né devoluto parte dei poteri al popolo. Tuttavia, tale creazione è stata il primo passo verso la devoluzione dei poteri di gover- no dalle mani di un unico sovrano alla comunità. Nel 1882, infine, sotto il khedivè Xxxxxx, fu redatto un primo do- cumento dai contenuti di tipo monarchico-costituzionale che, in effetti, preparò la strada per la Costituzione del 1923. Tale testo fu conseguenza degli stravolgimenti del conflitto mondiale, vedi supra, nota 6. Vedi inoltre, C.A. NALLINO, La fine del così detto califfato Ottomano, in Oriente Moderno, anno 4, Nr. 3 (15 Marzo 1924), pp. 137-
153. Per un quadro storico affascinante del mondo arabo moderno cfr. X. XXXXXXX, Storia dei popoli arabi: da Maometto ai nostri giorni, Mondadori, Milano, 1998. Cfr. anche per i profili culturali di sfondo dell’ultimo periodo,
X. XXXXXXXX, Colonising Egypt, University of California Press, Berkeley and Xxx Xxxxxxx, 0000.
10 Sul rilievo di tale vicenda nella memoria culturale egiziana, si permetta un richiamo di X. XXXXXX, K. QATAM, Tradizioni, op. cit., p. 107 ss. e, supra, nota 1.
11 C.B. XXXXXXXX, Constitutional Provisions Making Sharia “A” or “The” Chief Source of Legislation: Where Did They Come From? What Do They Mean? Do They Matter?, in American University International Law Review, 28, 3, 2013, p. 755.
12 Cfr. X. X’XXXX, op. cit., p. 137 e X. XXXXXX, Divine Law or Man-Made Law? Egypt and the Application of the Xxxxx’a, in Arab Law Quarterly, vol. 3, n. 3 (Aug. 1988), pp. 237 ss.
quale si sosteneva la preferibilità di una formula che avesse fatto dei principi della xxxxx’a islamica “la” piuttosto che “una” fonte principale di legislazione. Un membro di spicco del comitato dei redattori rispose, sostenendo che una norma di quel genere avrebbe comporta- to una eccessiva limitazione dell’attività legislativa e della sua necessaria flessibilità, costrin- gendo il legislatore a una produzione normativa in linea con gli insegnamenti delle classi di teologi islamici. Negli anni successivi, il peso del movimento islamista crebbe ancora e ven- ne reiterata la richiesta di una modifica costituzionale che facesse della xxxxx’a “la” fonte principale di legislazione, suggerendosi al contempo un’interpretazione che vincolasse gli organi giurisdizionali ad annullare le leggi che fossero in contrasto con la xxxxx’a.
Nel 1980, nel rinnovato tentativo di raggiungere elettoralmente tali movimenti politici islamisti, il Governo decise di dare atto alla modifica costituzionale prevedendo, nell’articolo 2 della Costituzione, che i principi della xxxxx’a divenissero “la” fonte principale di legislazio- ne. Nelle intenzioni dei suoi fautori, lo scopo di tale emendamento era duplice: da un lato, prevenire che le nuove norme della legislazione fossero tratte da fonti diverse da quelle del diritto islamico, dall’altro, assicurare che la legislazione non contraddicesse i fondamenti e i principi generali della xxxxx’a13. A tal proposito, la neo-istituita Suprema Corte Costituzionale, in una seminale sentenza del 198514, ebbe a dichiarare che la modifica dell’articolo 2 aveva certamente introdotto il principio della verifica costituzionale delle leggi ordinarie sotto il profi- lo della legittimità religiosa, ma che esso sarebbe valso solo per l’avvenire. Di conseguenza, un eventuale contrasto con la xxxxx’a non avrebbe interessato le norme già emanate ma solo le norme promulgate dopo l’entrata in vigore di tale principio.
Negli anni successivi, la Suprema Corte Costituzionale ha ulteriormente sviluppato un armonico e solido orientamento giurisprudenziale volto a determinare i criteri di revisione del- le leggi ordinarie, alla luce dei principi della xxxxx’a15. Premessa di tale indirizzo era che la modifica costituzionale non obbligasse il governo a legiferare in linea con l’interpretazione data dai dottori della legge islamica, ma in maniera da non contrastare con i principi univer- sali della xxxxx’a. Lo stato risultava vincolato a un ristretto numero di principi, in verità alquan- to generici, tra i quali figurava, ad esempio, quello per cui l’azione statuale avrebbe dovuto essere indirizzata alla realizzazione del pubblico interesse. Questo orientamento avrebbe lasciato al legislatore statale un notevole margine di discrezionalità16. Nell’argomentare, la Suprema Corte osservava come il vincolo sharaitico potesse essere, in tal senso, compatibi-
13 Così nel report del comitato generale della majlis as-sha’b approvato il 15 settembre 1981.
14 Cfr. sentenza del 4 maggio 1985 della Suprema Corte Costituzionale: Rector of the Azhar Univ. v. President of the Republic, Xxxxx’a and Riba: Decision in Case no. 20 of Judicial Year no. 1, in Arab Law Quarter- ly, Vol. 1, No. 1 (Nov., 1985) (Xxxx Xxxxxxx trans., 1986), pp. 100-107; per una rassegna sulla giurisprudenza della Corte costituzionale X. XXXXXXX, La xxxxx’a nella giurisprudenza della Corte costituzionale suprema egizi- ana. La sentenza del 15 gennaio 2006, n. 113/XXVI, in M. PAPA, G.M. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura), Il libro e la bilancia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011, p. 929 ss
15 Cfr. X. XXXXXX, A propos de la constitutionnalité de la sharīʿa: Présentation et traduction de l’arrêt du
26 mars1994 (14 Shawwāl 1414) de la Haute Cour Constitutionnelle (al-maḥkama al-dustūriyya al-ʿulyā) égyptienne, in Islamic Law and Society, Vol. 4, No. 1 (1997), pp. 91-113.
16 AA.VV., Dibattito sull’applicazione della xxxxx’a, Fondazione Xxxxxxxx Xxxxxxx, Torino, 1995.
le con i valori liberali, anzi propedeutico ad armonizzare l’azione statale col sentimento di “islamicità” nutrito dalla maggioranza degli egiziani17.
Le aperture liberali e democratiche di questo primo e risalente orientamento pertanto rappresentano il contesto storico-interpretativo delle disposizioni ora analizzate. Esse posso- no essere valorizzate e, se possibile, riarticolate all’interno dell’attuale assetto neo- costituzionale, anche in virtù degli argomenti che verranno di qui in avanti esplicitati.
3. Primo paradigma: la menzione della legge religiosa nel testo costituzionale alla luce del retroterra codicistico
La continuità tra diritto pubblico e diritto privato è in qualche modo una funzione della cultura della base sociale. Questo carattere dell’esperienza giuridica è stato sottolineato dal- la dottrina tedesca, a partire dal XIX secolo. Xxxxxx Xxxxx, per esempio, ha osservato come nell’età liberale l’ordine sociale si basasse essenzialmente sul diritto privato e la codificazio- ne fosse lo strumento principale di tale ordinamento: di conseguenza, la tessitura di norme di ambito privatistico non sarebbe mai una forma neutra di giuridificazione, piuttosto si porrebbe in linea di estensione con una concezione predefinita dei poteri e dei rapporti tra privati, a riflesso e concretizzazione di un assetto pubblico della società a partire dalle sue premesse culturali e comunitarie18.
La medesima considerazione vale per il contesto egiziano. Tale perentoria afferma- zione non deriva da un’osservazione esterna delle dinamiche giuridiche egiziane, né da una applicazione delle teorie occidentali al diritto locale, ma proviene da un attore esperto e in- fluente della cultura giuridica egiziana, il giurista, politico e codificatore Xxx xx-Xxxxxx al- Sanhuri19. Già nel 1926, questo formidabile studioso sottolineava come nella tradizione giuri- dica islamica la separazione tra il diritto pubblico e privato fosse meno distinta che nella tra- dizione giuridica europea. Egli scriveva:
Ovviamente un diritto pubblico islamico esiste, ma i giuristi islamici non fanno la netta distinzio-
ne tra diritto pubblico e privato che si trova nel diritto moderno… (così che) il diritto pubblico è, nel sistema musulmano, meno sviluppato che il diritto privato20.
17 Cfr. sentenza del 4 maggio 1985, op. cit., pp. 104.
00 Xxx. X. XXXXXXX, Xxxxxx della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codificazione, il Mulino, Bolo- gna, 1976, p. 97 ss.; X. XXXXXXXXX, X. XXXXX, Vervassung: Zur Geschichte des Begriffs von der Antike bis zur Gegenwart. Zwei Studien, Xxxxxxx & Humboldt GmbH, Berlin, 2002 (trad. it., Costituzione. Storia di un concetto dall’Antichità a oggi, Xxxxxxx, Roma, 2008).
19 Su questa figura, cfr. X. XXXX, Al-Sanhuri and Islamic Law: The Place and Significance of Islamic Law, in the Life and Work of ‘Xxx xx-Xxxxxx Xxxxx xx-Xxxxxxx, Egyptian Jurist and Scholar, 1895-1971, in Arab Law Quarterly, 3, 1, (Feb., 1988), p. 33 ss.; E. XXXX, Al-Sanhuri and Islamic Law: The Place and Significance of Islamic Law, in the Life and Work of ‘Xxx xx-Xxxxxx Xxxxx xx-Xxxxxxx, Egyptian Jurist and Scholar, 1895-1971 [Part II], in Arab Law Quarterly, 3, 2, (May, 1988), p. 182 ss.
00 X.X.X. XX-XXXXXXX, Xx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx Orientaliste Xxxx Xxxxxxxx, Paris, 1926, p. 41.
Xxxxxxx non si limitò a osservare questa caratteristica del sistema giuridico egiziano, ma ne ponderò le caratteristiche e le peculiari implicazioni nel momento in cui fu chiamato all’attività di codificare il diritto privato egiziano. Con il suo codice (al-qanun al-madany al- masri legge, n. 131 del 1948, entrato in vigore nel 1949 e tuttora vigente), egli cercò di rea- lizzare una sorta di razionalizzazione delle teorie del diritto islamico classico, per il tramite stesso del processo di codificazione.
I principali passaggi storici di quell’avvenimento rappresentano uno sfondo ideale per la comprensione della relativizzazione della clausola sharaitica odierna. I primi anni del XX secolo avevano, infatti, visto l’affermarsi di grandi mutamenti di pensiero nel campo giuridico, in particolare con l’adozione, anche nei contesti territoriali arabi nascenti dalla disgregazione dell’Impero ottomano, del modello di stato nazionale. Un effetto diretto di questo mutamento fu, tra le altre cose, quello di perseguire un modello di codificazione europeo, modificando una volta per tutte il paradigma giuridico di stampo dottrinale, alternativo e separato dall’autorità politica e dalle strutture dello stato. Di per sé, lo si ribadisce, l’attività di codifica- zione non è mai una forma naturale di organizzazione del diritto né può essere considerato soltanto uno strumento tecnico di normazione, privo di orizzonti e finalità politiche. Al contra- rio, essa è sempre un’opzione nell’articolazione del potere politico e giuridico, un mezzo at- traverso il quale si pone una volontaria e consapevole restrizione del potere e della libertà interpretativa di xxxxxxxx, giudici e avvocati. Nel contesto islamico, l’adozione della codificazio- ne ha assunto un ulteriore significato, quello di ristrutturare il processo di operatività della norma giuridica, precludendo per larghi tratti la riemersione dei moduli tradizionali di produ- zione normativa21. Ciò nondimeno, essa non intese troncare completamente i legami con la cultura giuridica precedente. Effettivamente ispirato dalle teorie europee, Xxxxxxx sosteneva l’esistenza di un nucleo comune di principi presenti in tutte le interpretazioni concorrenti della legge islamica propugnate dai religiosi. Per questo studioso, quindi, il diritto di un moderno stato islamico doveva essere conforme a questi principi e all’interesse pubblico. Tali assunti, d’altra parte, avevano una portata talmente generale da far sì che essi venissero rispettati persino da molte regole dei codici europei trapiantati nel mondo arabo durante la colonializ- zazione, codici ritenuti dallo stesso Xxxxxxx contenenti regole proficuamente applicabili nello stato egiziano moderno. Nel caso di specie, inoltre, la codificazione fu intesa, soprattutto ini- zialmente, anche come uno strumento di ridistribuzione di beni e poteri22. Nelle intenzioni del suo redattore, l’intero codice fu elaborato cercando di integrare la tradizione etica musulma- na con la tecnica giuridica europea23. Il suo articolo introduttivo rappresentava l’emblema di questa armonizzazione. Testualmente, esso determinava la rilevanza giuridica delle fonti del
2010.
21 R.A. DEBS, Islamic Law and Civil Code: The Law of Property in Egypt, CUP, New York-Chichester,
22 X. XXXXXXXXX, Between Identity and Redistribution: Sanhuri, Genealogy and the Will to Islamise, in Is-
lamic Law and Society, Vol. 8, No. 2 (2001), p. 203 ss.; X. XXXXXX, ‘To Hold the Hand of the Weak’: The Emer- gence of Contractual Justice in the Egyptian Civil Law, in Islamic Law and Society, vol. 8, no. 2 (2001), pp. 179 ss.; O. ARABI, Intention and Method in Sanhuri’s Fiqh: Cause as Ulterior Motive, in Islamic Law and Society, 4 (1997), p. 200 ss.
23 Vedi X. X’XXXXXX, Il diritto musulmano e il nuovo codice civile egiziano, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, XXXI, 1955, p. 1 ss.
diritto nel seguente ordine: la legge dello stato (nass tashri’i), le consuetudini più appropriate (muqatada’ al-arf), i principi della legge islamica (mabada’ as-xxxxx’a al-islamyyah), la legge naturale (qanun at-tabi’a) e le regole di equità (qawa’id al-’adalah). Più esattamente, esso stabiliva che:
1. Le disposizioni che seguono disciplinano l’insieme delle questioni a cui esse sono rivolte, in lettera o in spirito.
2. In assenza di una disposizione di legge applicabile, il giudice deciderà secondo le consuetudini, e, in assenza di esse, secondo i principi del diritto islamico.
In mancanza di tali principi, il giudice applicherà i principi della legge naturale e le norme dell’equità.
Questa disposizione, oltre a fissare una gerarchia formale delle fonti, prevedeva che nel caso in cui vi fosse stata una lacuna codicistica, il giudice avrebbe dovuto estrarre la (nuova) regola da applicare usando lo stesso metodo modernista che Xxxxxxx aveva utilizza- to per estrarre dal diritto classico le norme da inserire nel testo della legge codificata24. Oc- corre specificare, inoltre, che questa disposizione doveva, nelle idee di Xxxxxxx, svolgere una funzione ulteriore rispetto a quella meramente integrativa delle lacune del diritto25. Tra gli obiettivi della nuova codificazione vi era, infatti, anche quella della rinascita del sistema del diritto islamico, una volta che questo fosse stato scientificamente riabilitato attraverso la me- todologia comparativa del “neo-taqlid” (imitazione). Questo consisteva nel dedurre una serie di principi giuridici generali, attraverso una massiccia operazione di comparazione tra vari studi di teoria generale del diritto, sia europeo sia islamico26. Il predetto obiettivo sarebbe stato conseguibile attraverso un graduale cambiamento rispetto ai modelli codicistici all’epoca vigenti in Egitto (il Codice cd. “misto” del 1875 e il Codice Nazionale del 1883 “al- Ahly”), di matrice prevalentemente francese. La norma di apertura avrebbe permesso al dirit- to islamico classico di operare come una sorta di “diritto comune”, in tutti i casi in cui le nor- me codicistiche non avessero disciplinato le fattispecie. Va precisato, altresì, che la struttura del codice di Xxxxxxx era abbastanza snella, essendo composta solamente di tre sezioni: la
24 C.B. XXXXXXXX, Constitutional, op. cit., pp. 742-43.
25 Così commentava Sanhuri questa disposizione: «Article (1) of the code requires the judge to fill the gaps and lacunae that exist in the code by resorting to the principles of Islamic law. Occasions where the judge will be faced with such gaps in the code are bound to be numerous, and so the judge will be required to decide various disputes in accordance with the principles of Islamic law. The code is a great victory for Islamic law, es- pecially if we keep in mind that all its articles could easily be argued to represent principles of Islamic law. And so, notwithstanding the existence of gaps in the code, our judge only has two options: either he applies codified arti- cles that do not conflict with Islamic law, or he applies the very principles of Islamic law. In addition to all that, the draft code has also directly incorporated Islamic law by codifying both its general theories and its detailed norma- tive solutions», de relato in X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 229.
26 Xxxxxxx fu autore di una analisi comparativa di diritto islamico, tedesco e francese nelle opere Al-wasit fi sharh al-qanun al-madani al-jadid (Commentario intermedio del nuovo diritto civile), 12 voll., Cairo, 1952-1970 (il titolo è dovuto al fatto che nelle intenzioni dell’autore tale opera sarebbe dovuta essere quella di estensione intermedia tra un sommario, al-wajiz, e una trattazione estesa, al-mabsut. Quest’ultima, tuttavia non venne mai alla luce) e dell’ulteriore commento Masadir al-haqq fi al-fiqh al-islami (Le fonti del diritto nella giurisprudenza islamica), 2 voll., Xxxxx, 0000-00.
prima d’introduzione, la seconda in materia di diritti personali e obbligazioni, e la terza in ma- teria di diritti reali. Di conseguenza la possibilità di lacune e della necessità di integrazioni sarebbe stata tutt’altro che remota. Tale combinazione avrebbe riportato i giudici, educati laicamente e membri dell’apparato del nuovo stato nazionale, a confrontarsi con la propria tradizione. I responsabili delle nuove corti avrebbero avuto nuove e continuative occasioni per frequentare il diritto classico, ri-abituandosi a maneggiarne le fonti e i metodi interpretati- vi27.
Circa la redazione delle norme dei singoli istituti, Al-Sanhuri cercò di farne il campo di applicazione concreto del procedimento di “neo-taqlid”28. Più esattamente, Xxxxxxx non era interessato a identificare quelle norme specifiche che erano esplicitamente accettate da una particolare generazione di giuristi e cristallizzate con il principio del taqlid. Piuttosto il suo proposito era quello di scandagliare la letteratura esegetica al fine di identificare una serie di principi che implicitamente erano stati rispettati dai giuristi musulmani nella loro storia. Tali principi avrebbero potuto prendere sia la forma di specifici comportamenti, sia di principi astratti. Sebbene egli non abbia mai utilizzato il termine “fini” (maqasid)29, si può ipotizzare che abbia voluto valorizzare il processo di selezione teleologica delle norme in funzione degli obiettivi della xxxxx’a.
Nella pratica, l’integrazione tra forma codicistica moderna e sostanza contenutistica islamica avvenne tramite un’elaborazione concettuale articolata su due livelli:
- nel primo, alcuni principi generali della xxxxx’a venivano a essere incorporati all’interno della struttura codicistica;
- nel secondo, a essere incorporate erano alcune, specifiche regole del diritto classi-
co.
Collocata nel suo tempo, tale impostazione era fortemente rivoluzionaria. Molti tra i
commentatori del nuovo codice ritennero il riferimento al diritto islamico quale fonte formale del diritto in tutte le questioni del diritto civile «la più importante innovazione del codice civile egiziano»30. Alcuni osservavano, inoltre, che il fatto che tale fonte fosse, nella gerarchia co- dicistica, subordinata alle norme del codice e alla consuetudine (ma preordinata alla giustizia naturale e all’equità) non ne sminuisse l’importanza: da un lato, infatti, in Egitto, le consuetu- dini erano per la maggior parte espressione della tradizione del diritto islamico, dall’altro, in tale posizionamento la xxxxx’a diventava una sorta di introduzione al diritto naturale31. Per
00 Xxx. X. XXXX, op. cit., p. 50.
28 C.B. XXXXXXXX, X. XXXXX, Do Constitutions Requiring Adherence to Sharia Threaten Human Rights?: How Egypt’s Constitutional Court Reconciles Islamic Law with the Liberal Rule of Law, in American University International Law Rev., 21, 3, 2006, 411 ss.
29 Su tale concetto, cfr. W.B. HALLAQ, A History of Islamic Legal Theories. An Introduction to Sunni usul al-fiqh, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx, 0000, p. 168 ss.; D.L. XXXXXXXX, Xxxxxxx xx-Xxxxx’a: Epistemol- ogy and Hermeneutics of Muslim Theologies of Human Rights, in Die Welt des Islams, New Series, Vol. 47, Issue 2 (2007), pp. 149-187.
30 X. XXXXXXX, Les Survivances musulmanes dans la codification de droit civil égyptien”, in Revue Xxxxx- xxxxxxxx xx Xxxxx Xxxxxxx, 00, 0000, x. 000 xx., xxxxxx xxx.
31 X. XXXXXXX, op. cit., p. 853. Ciò nondimeno va osservato che nei codici della Libia e della Siria, il cor- rispondente articolo abbia visto mutare la gerarchia delle fonti facendo precedere il richiamo alla xxxxx’a rispetto a
completezza, va ricordato che questo codice, ebbe grande successo in tutto il mondo arabo. Di lì a poco, molti stati arabi avrebbero adottato codici ispirati a tale modello o avrebbero af- fidato allo stesso Xxxxxxx il compito di redigerne altri. Nella sua fortuna, esso rappresentò un efficace veicolo di armonizzazione tra gli indici di senso etici e normativi della giustizia isla- mica con i processi e i moduli formalistici del diritto europeo, in molti paesi del Medioriente.
In definitiva, Xx-Xxxxxxx fu attento propugnatore del rispetto della legge e della morale religiosa all’interno della cornice codicistica elaborata per modernizzare il diritto egiziano. Con la sua codificazione, cercò di fissare con un processo “bottom-up” i criteri operazionali per garantire la giustizia sociale, di là dalle differenze di religione e dalle disuguaglianze eco- nomiche e di classe; intuì l’esigenza di tessere un sistema privatistico che potesse inverare la purezza della legge islamica nel campo specifico della proprietà privata, dei contratti e del- la responsabilità personale, volendo modernizzare la xxxxx’a alla luce dei modelli della legge civile occidentale (principalmente ricorrendo a modelli americani e francesi). Certamente, il suo sforzo si collocava nel progressivo processo di modernizzazione e di razionalizzazione della tradizione culturale e giuridica classica, rispetto al quale il riferimento alla xxxxx’a opera- to in molte costituzioni a partire degli anni ‘50 rappresentava solo un indice apicale e simboli- co. Per tutti i motivi sovraesposti, la tessitura della codificazione civilistica deve essere con- siderata non solo il repertorio giuridico ma anche lo sfondo culturale rispetto al quale inqua- drare gli emendamenti costituzionali, di fatto di gran lunga posteriori. È, infatti, davvero diffici- le immaginare che, rispetto a questo quadro normativo in vigore dalla fine degli anni ‘40, la formula sharaitica adottata negli anni ‘70 potesse rappresentare una innovazione radicale. Al contrario, guardando la questione retrospettivamente, la stessa clausola sharaitica, una volta inserita nel testo costituzionale, non era certo destinata a operare in un vacuum normativo, quanto piuttosto a essere rapportata a un contesto prasseologico caratterizzato da una certa e diffusa operatività dello “spirito” del diritto islamico.
Di fatto, la gerarchia delle fonti stilata in materia di diritto civile e contenuta nell’art. 1, comma 2 del codice civile rappresenta il diretto predecessore della clausola introdotta nella Costituzione di Xxxxx. Per questi motivi, quest’ultima andrebbe valutata in questo nesso di dipendenza e di continuità giuridico-culturale, così come la recente prescrizione del 2014, qui in commento32. Anche a un confronto semantico, le norme costituzionali riecheggiano le pa- role del precedente codicistico: se nel codice si legge fa-idha lam iujad nass tashri’a… hukm al-qady bi-muqtada… mabaadi’ as-sharia al-islamiyyah, nella costituzione si ripete che ma- baadi’ al-xxxxx’a al-islamiyya al-masdar al-ra’isi li al-tashri’. In entrambi i casi, i principi della legge islamica sono contrassegnati esattamente dalle medesime espressioni linguistiche.
A conferma, ulteriore e definitiva, di questa continuità, va ricordato come negli anni immediatamente successivi alla modifica costituzionale che fece della xxxxx’a la fonte privile-
quello delle consuetudini, cfr. X. XXXXX, Civil Codes of Arab Countries: The Sanhuri Codes, in Arab Law Quarter- ly, Vol. 8, No. 2 (1993), pp. 161-167.
32 Così X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 234: «the article may be viewed as the direct predecessor of Article 2 of the 1971 Egyptian constitution that requires the application of Islamic law as the primary source of law in the land, a provision which, in its turn, has received a much debated application at the hands of the Egyptian Supreme Court».
giata della legislazione (esattamente nel 1982), una serie di iniziative volte a riformare l’impianto del codice civile sulla base di una maggiore corrispondenza col diritto islamico fini- rono per essere abbandonate. Tra le motivazioni di tale rinuncia vi fu, appunto, che il codice previgente fu considerato frutto di un ampio e attento studio avente tra le sue fonti e salvo rari casi le norme stesse della xxxxx’a33.
Tornando alla Costituzione del 2014, potrà apparire ormai chiaro come, rispetto al si- stema giuridico nel suo complesso, la clausola sharaitica vada a occupare una posizione tutt’altro che fondativa e, funzionalmente parlando, meramente simbolica. Al contrario, non si deve sottovalutare il rilievo che la legge religiosa ha avuto, e mantiene ancora, a livello pol- verizzato e diffuso, vale a dire attraverso la riduzione fattane all’interno delle strutture codici- stiche, le quali, a loro volta, rappresentano – è noto – il principale strumento normativo per calare le istanze etiche della società all’interno del piano prasseologico dei rapporti quotidia- ni. Rispetto a questa peculiare forma di rilevanza, culturale e sommersa, occorre cercare al- trove gli indici di ponderazione e concretizzazione del vincolo costituito dalla xxxxx’a. E ciò – beninteso – di là da quell’indice, tanto apicale quanto indefinito, che il mero richiamo costitu- zionale alla legge religiosa può davvero rappresentare.
4. Secondo paradigma: contrattualismo musulmano, architettura statale e natura eteronoma della legge religiosa
Il secondo argomento, volto a sostenere una lettura pluralistica e potenzialmente de- mocratica del rinvio alla legge religiosa, è tratto direttamente dalla tradizione giuridica islami- ca e dalla sua recezione nella filosofia politica dell’Egitto contemporaneo: un rinvio alla legge religiosa, con tutta la sua portata eteronoma, non è incompatibile con una interpretazione contrattualistica del testo costituzionale. Questa tesi verrà sostenuta mettendo prima in evi- denza i limiti endogeni delle dottrine contrattualistiche musulmane, per poi suggerire, in una seconda fase, un itinerario per la loro integrazione di senso in termini costituzionali.
Da un punto di vista teorico, occorre ricordare come, a differenza dell’Ebraismo34, la tradizione islamica abbia conosciuto l’elaborazione di teorie politiche di tipo contrattualistico, e che stanno alla base del costituzionalismo europeo, solo in epoca relativamente recente, e precisamente alla fine dell’Impero ottomano ovvero nel 1924. In precedenza, alla base della filosofia politica islamica si collocava la dottrina del cd. “califfato”, in cui il primato della legit- timazione del potere politico si basava sulla funzione religiosa del Profeta Xxxxxxxx quale trasmettitore della rivelazione religiosa (rasul-Allah, dalla radice *r-s-l, “inviare” ma anche “essere in corrispondenza con”). Nondimeno, anche all’interno di questa tradizione erano
mia.
33 Mahkamah an-naqd (Corte di Cassazione), 27 luglio 1980, p. 14, cit. in X. XXXX, op. cit., p. 213, enfasi
34 Cfr. a riguardo, l’eccellente articolo di L.E. XXXXXX, Covenant and Contract: A Framework for the
Analysis of Jewish Ethics, in Journal of Law and Religion, Vol. 9, No. 1 (1991), pp. 89-112; vedi inoltre, B.J. FISH- ER, Peering into the Kaleidoscope: Revisiting the Grundnorm of Jewish Law, in Oxford Journal of Law and Reli- gion, Vol. 1, No. 2 (2012), pp. 470-495.
presenti tracce di un rilievo contrattualistico della funzione profetica: per esempio, la tradizio- ne voleva che Dio avesse inviato il Profeta al termine di un processo di rivelazione durante il quale altri messaggeri, inviati in precedenza, avevano fallito o, al più, avevano stipulato patti che successivamente erano stati violati. Attraverso Xxxxxxxx, Dio aveva definitivamente ri- volto ai musulmani un’offerta a credere («O voi che credete», è l’incipit che apre molte sure del Corano) e questa volta i musulmani avevano accettato riconoscendo i benefici che essi avrebbero potuto trarre dalla rivelazione e dalla conseguente promessa di Dio di destinare le ricchezze della Terra alla comunità di fedeli che ne avrebbe assunto la reggenza, in sua ve- ce35. All’interno di questo quadro, poteva appunto sorgere la questione se tale reggenza di- pendesse dai poteri del mandato divino o, piuttosto, dall’accordo di tutti i credenti, i quali avevano ritenuto di vedere in Xxxxxxxx l’autorità a cui rimettere il governo della comunità. Un analogo interrogativo pareva porsi alla morte del Profeta, poiché al primo patto tra Dio e i fedeli si era aggiunto quello tra i leader della comunità e i musulmani. Rispetto a questo nuo- vo patto, i successori del Profeta, i “califfi”, erano stati identificati (o meglio, si erano auto- identificati, a volte al prezzo di sanguinosi conflitti) come i reggenti dell’autorità di governo.
Come anticipato, queste tracce di contrattualismo sono state recuperate e sviluppate a conclusione del periodo del califfato, durante il processo di fondazione teorica dello stato postcoloniale. Si ricordi, ad esempio, la polemica intellettuale, tutta interna al mondo musul- mano tra i cd. “non modernisti”, che ritenevano che la legittimazione politica dovesse co- munque dipendere dall’investitura divina e i cd. “modernisti” che invece enfatizzavano il ruolo e l’importanza della volontà dei credenti36. Questi ultimi si affidavano a un argomento tradi- zionalmente presente nel discorso religioso, quello che nell’islam non vi fosse mai stata co- strizione in fatto di adesione alla religione37. Tali discussioni, peraltro, hanno doppiato quelle legate al settarismo religioso della distinzione tra sunniti, sostenitori dell’autorità della comu- nità, e sciiti, sostenitori della legittimazione della discendenza familiare del Profeta Maomet- to. Si tratta, tuttavia, di un ulteriore approfondimento che qui non può essere affrontato.
Rimanendo nel contesto culturale sunnita, con il progressivo affermarsi degli stati na- zionali anche nel mondo arabo, tali tracce sono state sviluppate per dare corso a teorie con- trattualistiche più elaborate. Esse si sono concentrate sulla necessaria differenziazione con- cettuale tra la ummah (comunità) e la dawlah (stato). Il primo termine ha per molti secoli con- trassegnato l’unità politica delle masse musulmane, alle dipendenze a volte del khalifa a vol- te del sultan – i responsabili dell’autorità politica – il primo sulla base di presupposti religiosi, il secondo sulla base di presupposti politici in senso stretto.
35 Cor 6:165 in cui Dio definisce il genere umano quale successore delle prime generazioni di uomini, ti- tolari della proprietà della Terra.
36 Cfr. X. XXXXXX, Sunni Modernist Theories of Social Contract in Contemporary Egypt, in International Journal of Middle East Studies, Vol. 35, No. 1 (Feb., 2003), pp. 23 ss.: «The theory was introduced in the 19th century as a convention to the Muslim world, when reformers such as the Egyptian Azharite scholar Xxxx’xx Xxxx’ xx-Xxxxxxx (d. 1873) and the Young Ottoman writer Xxxxx Xxxxx (d. 1888) became interested in contractarian theorists».
37 Cor 2:256, 18:29, 17:107, e 10:99.
Il termine dawlah ha indicato, soprattutto a partire dal XIX secolo, lo stato nazionale, derivando tale significato da un precedente uso medievale che faceva riferimento alle dina- stie familiari o a una casa governante su un certo territorio38. Il significato specifico di “stato” si è imposto progressivamente per distinzione da quello di ummah, indicando un assetto or- ganizzativo-politico stabile e strumentale al perseguimento dei beni e degli obiettivi religiosi e giuridici di cui, tuttavia, la stessa ummah rimaneva astrattamente titolare39. In questa prima teorizzazione, lo stato, costituendo una nomocrazia in cui gli assetti fondamentali erano già delineati nella xxxxx’a, diventava l’artefatto per realizzare l’ordine e la sicurezza necessari per osservare i diritti, i doveri sociali e giuridici della comunità (mu’amalat)40.
All’interno di questo quadro, alcuni autori hanno cercato rafforzare l’indipendenza teo- rica dell’autorità statale ponendone le basi nelle dinamiche comunitarie, senza tuttavia riusci- re mai a realizzare un affrancamento definitivo della legittimazione politica da quella religio- sa. Ad esempio, Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxx Allah ha contestato coloro i quali interpretano vari versi del Corano (5:44, 5:45, 5:47, 12:47, 12:60) nel senso di indicare una continua pre- senza e azione di Dio nei fatti umani. Piuttosto, sarebbero le persone che direttamente rego- lamentano i loro reciproci rapporti. Gli esseri umani, basilarmente qualificati come membri della comunità islamica (ummah islamiyya), sarebbero liberi di costituire formazioni sociali di diverso genere e grado, quali le comunità di popoli (ummah qawmiyya), unite soprattutto dal territorio in cui vivono, dal loro idioma, dai loro comuni interessi e dalla loro storia comune. Proprio su queste basi, tali individui potrebbero regolamentare i loro rapporti in base a pattui- zioni che traggono origine dai loro rapporti reciproci, piuttosto che rappresentare l’esecuzione dei comandi divini41.
Un altro autore, Xxxxx xx-Xxxxxx, nell’intento di dare corpo a una teoria pluralistica, ha ritenuto che i musulmani potessero dare luogo a formazioni sociali e istituzioni (famiglie al- largate, villaggi, sindacati, società professionali, scuole e moschee) in grado di sostenersi e raccordarsi in uno stabile equilibrio, rappresentando i moduli e le fonti di un’attività continua- tiva di reciproca assistenza e controllo. Lo stesso autore ha considerato che, su scala nazio- nale, il fondamento di un patto sociale possa essere rappresentato da un “progetto naziona- le” che sia in grado di dare vita, di volta in volta, a un nuovo e bilanciato disegno di solidarie- tà, coordinamento e promozione sociale42.
Un altro studioso, Xxxxx Xxxxxxx, ha teorizzato una versione di contratto sociale ri- chiamandosi direttamente al giurista classico Xxx Xxxxxx xx-Xxxxxxxx (morto nel 1037): se- condo quest’ultimo una comunità avrebbe dovuto consolidarsi esplicitando l’accordo circa la propria coesione sociale. Più esattamente, la ummah rimarrebbe sempre titolare del potere di siglare un contratto avente tale oggetto e, conseguentemente, di sciogliersi da esso. Que-
43.
38 X. XXX, op. cit., p. 815.
39 X. ‘XXX, The Concept of Ummah and the reality of Nation-State, in Kultur, Jakarta, 2002, p. 37 ss. spec.
40 Sulla distinzione tra ‘ibadat e mu’amalat nel sistema giuridico islamico, cfr. T.W. JUYNBOLL, Manuale di
diritto musulmano secondo la dottrina della scuola sciafiita, Vallardi, Milano, 1916.
41 X. XXXXXX, op. cit., p. 37.
42 X. XXXXXX, op. cit., p. 35.
sto potere di xxxxxsi e di sciogliersi sarebbe basato sull’interesse comunitario e rappresente- rebbe il principio efficiente dell’azione sociale.
Questa rassegna, seppure succinta, può mettere in evidenza il principale limite di queste teorie: di là dalla loro maggiore o minore articolazione, esse mantengono il presuppo- sto del carattere derivativo dello stato, rispetto all’originarietà politica della comunità. Rispetto a quest’ultima, la religione tuttavia conserva la natura di risorsa inesauribile della legittimità istituzionale, poiché ne contrassegna la sostanza dei rapporti giuridici e sociali. Messe al confronto con le teorie occidentali del contratto sociale, le versioni islamiche paleserebbero una sorta di sclerotizzazione prasseologica di fondo: ove le prime servono a trasformare gli individui che nel loro stato di natura sono esseri immorali, anomici, atomizzati in un corpo sociale e morale, le seconde, prendendo avvio dai contenuti del patto tra Dio e i musulmani (amore, giustizia, benessere, interesse, consultazione, bene collettivo), danno per scontate le premesse, la formazione e l’attualità del patto politico tra persone. Tali argomenti, invece che essere costantemente problematizzati, al vaglio delle teorie sociali e giuridiche storiche, sono considerati assiomi indiscutibili e astorici43 di modo che anche tutti i corollari che ne de- rivano, e che soprassiedono nella realtà quotidiana e concreta al fluire della convivenza civile e pacifica, sono considerati indubitabili e di per sé fondati.
Tale prospettiva va a riverberarsi sul primato della “legi-ferazione” religiosa (tashri’a), i cui contenuti sarebbero già fissati una volta per tutte, e alimenta i dubbi specifici circa la sua compatibilità con un assetto statale moderno. Nel caso di un disaccordo sul contenuto delle sue misure, l’attività legislativa andrebbe a rappresentare il campo di battaglia tra il conser- vatorismo religioso e le esigenze progressiste delle istituzioni statali. Tale tesi è sostenuta da Xxxx Xxxxxx, il quale ha autorevolmente spiegato che la legge islamica è sempre stata una forza in grado di operare storicamente al di fuori dello stato, persino inteso nella struttura classica del “califfato”, alimentandosi del prestigio degli interpreti religiosi e di un certo disin- teresse da parte dell’autorità politica a trattare questioni normative in senso stretto. Un simile dissidio tende a riproporsi anche all’interno delle pieghe dello statalismo arabo postcoloniale, trasformando il dibattito sull’applicazione della xxxxx’a nell’espressione della prevalenza di un potere di una classe su un’altra. Rispetto al quadro premoderno, lo stato arabo sorto dalla decolonizzazione si è sempre rappresentato come un portatore autolegittimato di autorità legale, in opposizione alla tradizione politica della religione44.
Agli occhi di chi scrive, questo tipo si antagonismo deve essere necessariamente ri- composto. Da ciò dipende il destino dei conflitti endogeni, attuali e potenziali, che animano larga parte del mondo arabo.
43 X. XXXXXX, op. cit., p. 42.
44 W.B. XXXXXX, Juristic Authority vs. State Power: The Legal Crises of Modern Islam, in Journal of Law and Religion, 19, 2, (2003-2004), p. 243 pp. Un altro autore che sottolinea l’importanza di quest’opposizione è X. XX-XXXXXXXXX, The Ummah and the Dawla. The Nation State and the Arab Xxxxxx Xxxx, Xxxxx Xxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 108 ss. secondo cui molti dei movimenti politici di resistenza islamica nascono dal fallimento della cos- truzione del sistema statale e menziona proprio il caso di studio dell’Egitto. La medesima rappresentazione è condivisa, nella sostanza, da X. XXXXXXXX, Xxx versus the State: The Judicialization of Politics in Egypt, in Law & Social Inquiry, Vol. 28, No. 4 (Autumn, 2003), pp. 883-930.
Una simile operazione ha, pertanto, come poli opposti e apparentemente inconciliabi- li, la natura eteronoma della legiferazione religiosa e la teoria moderna dello stato, così come recepita e rielaborata dai paesi arabi. Nondimeno, una transazione tra i due plessi teorici può essere ipotizzata: non tanto sul piano dello stato-organizzazione, ovvero sui principi che so- vrintendono alla mera ripartizione tra poteri, competenze e interazioni coordinate allo svolgi- mento del governo, quanto su quello dello stato-comunità, nelle sue premesse assiologiche e fondative. In tal senso, la mediazione operata dal momento costituente è, appunto, decisi- va.
Da canto suo, la costituzione è un concetto normativo che non può essere identificato con il mero dettare le norme base di uno Stato, volte a definirne la struttura e gli organi. Essa è piuttosto una sorta di narrazione normativa identitaria che coordina diverse disposizioni attorno a un oggetto comune, che è poi la vita di una società all’interno di un’organizzazione statale. Solo in forza di questa connotazione simbolica e della sua intrinseca valenza cogniti- va si possono definire le funzioni statali della costituzione che (schematicamente) diventano quelle di: a. organizzare i rapporti tra i diversi rami del potere pubblico; b. qualificare la posi- zione dei singoli e dei gruppi, sotto l’autorità dello stato; c. conservare e promuovere i valori condivisi, gli ideali e i simboli di tutta la società, senza distinzione settaria tra gruppi di mag- gioranza e di minoranza. In altri termini, la costituzione è una sorta di luogo intermedio, di interfaccia, tra lo stato e la società, intesa nel suo complesso articolarsi di esperienze di vita individuali. Secondo questa prospettiva, la società pre-esiste alla costituzione, benché si au- tocostruisca anche per mezzo di essa, ed è in qualche modo in grado di autoregolarsi attra- verso le strutture e i processi dinamici giuridico-sociali-organizzativi45. Il primato della natura sociale delle istituzioni ha una serie di conseguenze teoriche sul significato da attribuire all’ordine politico-giuridico molto rilevanti: la costituzione dello stato non è il frutto esclusivo di una finzione concettuale sulla forma di governo, né la conseguenza di una decisione astratta sulla forma di vita collettiva. Piuttosto il fondamento dell’istituzione dello stato insiste sulla morfologia e sulla dinamica delle interazioni sociali, nel loro svolgersi e nel loro rapportarsi reciproco, nella loro “singolare serialità”.
Occorre, pertanto, approfondire l’affermazione tecnico-giuridica secondo la quale la stesura di una costituzione deve essere considerata come un momento (iniziale) della pro- gettazione di un sistema giuridico destinato a durare nel tempo e a rappresentare un assetto fondamentale della vita presente e futura della collettività nazionale46. Le dichiarazioni adot-
45 Ex multis, X. XXXXXX, Dottrina dello Stato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988, p. 383 ss.; X. XXXXXX, La Sovranità ed altri scritti sulla dottrina del diritto e dello stato, Xxxxxxx, Milano, 1987, 69 ss.; X. XXXXXXX, Dottrina della Costituzione, Xxxxxxx, Milano, 1984, p. 20 ss., da ultimo, X. Xxxxxxx ha delineato una teoria della Costituzione come cultura, qui richiamabile, si veda, X. XXXXX, ‘Constitutions as culture: Two insights from Xxxxx XxxxxxXx “The rationale of constitutions from a cultural science viewpoint”, in U.K. Const. L. Blog (7th April 2015) disponibile in: xxxx://xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, e soprattutto, X. XXXXXXX, Lo stato costituzionale, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 2005; tra gli italiani per una prospettiva “attuativa” della Costituzione attraverso la legislazione, tra gli altri, X. XXXXXXXXXXX, La Costituzione e le leggi per attuarla, in X. Xxxxxxxxxxx, Costituzione e leggi di Xxxxxxxx, Xx Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000, p. 137 ss.
46 Va osservato come nella dottrina classica del diritto islamico, il diritto costituzionale può essere riporta- to all’interno della discussione sull’istituzione del califfato, la quale ricomprende in parte il diritto costituzionale, appunto, ma anche il diritto amministrativo e finanziario. Nella struttura tradizionale, tuttavia, il califfato viene a
xxxx da un potere costituente vanno valutate in base a tutte le proiezioni che possono avere nel condizionare lo strutturarsi successivo e progressivo della società di cittadini, sia da un punto di vista formale e procedimentale, sia da un punto di vista sostanziale e di senso. Inol- tre, a differenza del concetto di “stato” che nella sua variante semiotica di “dawlah” può esse- re rappresentato come una categoria storica e temporanea47, il processo costituente si carat- terizza per una eccedenza assiologica e per una piano di dispiegamento dei suoi effetti giuri- dici che si ipotizza sia temporalmente indeterminato.
Quale espressione della volontà politica di una comunità, la costituzione pretende di forgiare il futuro, di programmare lo sviluppo, di controllare, organizzare e migliorare la vita della società. Con una espressione metaforica, è una sorta di freccia scagliata verso il futuro. Ne consegue che anche l’attività e i processi della legislazione non rappresentano più una funzione procedimentale e settoriale dell’attività statale, ma devono essere necessariamente ricalibrati in relazione ai fini identitari e complessivi che la comunità costituente ha posto co- me obiettivo della propria coesione costituzionale. L’attività di legislazione, nelle sue diverse forme, può, per esempio, essere necessitata dall’esigenza di dettare gli indirizzi normativi e operativi di uno stato, ma è altrettanto fondata sulla volontà di dare continuativamente corso ai processi di auto-affermazione dell’identità culturale di una comunità. Inoltre, la legis-latio, per sua stessa natura, si dispiega nel futuro secondo un andamento cumulativo e, almeno teoricamente, illimitato. Legislazione e costituzione sono pertanto legate in maniera indisso- lubile dalle potenzialità definitorie e creatrici del linguaggio giuridico, di cui entrambe sono espressione.
Come osservato, la costituzione funge da interfaccia per la costruzione quotidiana dei suoi rapporti sociali. Il testo costituzionale rappresenta la matrice primaria degli schemi di qualificazione della soggettività, sia individuale, sia sociale. Ogni individuo, infatti, nasce im- merso in un determinato linguaggio giuridico, che ne delimita e ne alimenta la potenzialità e l’identità giuridica. Nello svolgersi discorsivo del testo costituzionale, nei suoi rimandi interni ed esterni, si fa continuo ricorso alla forza mediatrice del linguaggio. Su questo sfondo, la costituzione si colloca allora come il locus in cui le differenze e mutamenti sociali vengono progressivamente inclusi, essa rappresenta la cornice di quel mondo simbolico che pure contribuisce a costruire. Nel suo senso etimologico, la parola stessa esprime questi significa- ti simultanei, diversi ma convergenti: essa richiama l’incipit di un processo di organizzazione, di riordino, di fondamento e, contemporaneamente, il risultato di tali processi colti nella loro strutturazione (ancorché mai del tutto definitiva). In questi significati, si esprime una sfumatu- ra temporale che richiama al tempo stesso l’idea, materiale, dell’estendersi nello spazio: il “vero” senso di una costituzione si dispiega incessantemente attraverso il farsi delle intera- zioni soggettive che essa stessa ha preordinato mediante gli schemi di categorizzazione contenuti nelle sue disposizioni.
essere intitolato di poteri esecutivi e giudiziari molto estesi, ma non può invadere il campo legislativo che appar- tiene interamente a Dio e alla rivelazione. Cfr. A.R.A. AL-SANHURI, Le Califat, op. cit., p. 5.
47 T. AL-BARGHOUTI, op. cit., p. 64.
Tale andamento discorsivo e semioticamente processivo soprassiede anche alla so- vra-ordinazione gerarchica che la costituzione ha nei confronti della legislazione. Anche la legislazione è, infatti, costituita da parole, attraverso la cui articolazione è possibile garantire, in maniera continuativa, una pacifica e ordinata convivenza. La legislazione, intesa come ordinamento di cui la costituzione è la premessa da attuare e inverare, rappresenta lo stru- mento della regolazione minuta dei rapporti interindividuali. Ma sono le esigenze sociali che, dal basso, obbligano a un’attuazione o a una rilettura costante della legislazione nel suo specchiarsi costituzionale, di modo che, anche in questo caso, il “senso” più profondo e defi- nitivo di essa e della stessa costituzione si svela progressivamente e incessantemente attra- verso il suo dispiegamento nel tempo e nello spazio48.
Si tratta di un profilo concettuale che, da un lato, non può darsi per scontato e che, dall’altro, va calibrato all’interno delle quadro storico-costituzionale egiziano. Difatti, se il co- stituzionalismo di matrice europea appare profondamente legato dalle potenzialità semioti- che di una costituzione destinata a durare nel tempo, lo stesso non può dirsi per il costituzio- nalismo egiziano, caratterizzato al contrario da una tendenziale temporaneità delle statuizioni fondamentali e, quindi, delle sue proiezioni in ambito legislativo. Guardando alla storia costi- tuzionale dell’Egitto, la parcellizzazione temporale delle costituzioni adottate appare un fatto- re di subalternità della funzione costituzionale rispetto ad altre strutture di coesione sociale49. Ragionando per numeri, in 133 anni di storia costituzionale l’Egitto ha visto il succedersi di 10 costituzioni. Di queste, 7 sono state vigenti per limitati lassi di tempo. Alcune di esse ave- vano una natura dichiaratamente provvisoria, vale a dire si proponevano di dettare un regime interlocutorio e a priori limitato nel tempo. Esse si preoccupavano di stilare le regole destina- te a disciplinare lo stesso processo costituente e di fissare le regole di esercizio delle funzio- ni fondamentali dello stato, vale a dire, quelle non suscettibili di interruzione nel periodo di transizione da un regime ad un altro50. Altre furono abrogate nel giro di pochi anni dalla loro emanazione. A questo tipo di esperienze costituzionali si opposero 3 costituzioni considerate “permanenti” (denominazione quest’ultima formalmente adottata dalla Costituzione del 1971, sulla base di un preciso indirizzo in tal senso di Xxxxx Xxxxx).
Per contrasto assiologico, rispetto a questo tipo di esperienze costituzionali di ten- denza provvisoria la xxxxx’a ha sempre manifestato una natura atemporale ed eterna. Con- frontando sul scala temporale la varietà costituzionale dei progetti e la tendenziale perpetuità della xxxxx’a, continuità, valori e certezze sembrano inesorabilmente incardinati sulla secon- da.
48 Cfr. X. XXXXX, Culture interdette. Modernità, migrazioni, diritto interculturale, Bollati Boringhieri, Torino, 2013, soprattutto il capitolo Costituzione e brame identitarie. Diagnosi e antidoti, p. 187 ss. Sia permesso anche un rinvio a X. XXXXXX, Organizzazione confessionale, culture e Costituzione, Xxxxxxxxxx, Soveria Mannelli, 2007, 115 ss.
49 D.M. OKUBASU, Constitutional Endurance in Africa: must every change in political regime result in con- stitutional clause?, paper discusso nel workshop Comparative Law, University of Milan and YCC, May, 4th 2015. Cfr. recentemente però la posizione di O.O. VAROL, Temporary Constitutions, in 102 California Law Review, 2014,
p. 409 ss.
50 Cfr. sul tema V. ONIDA, Costituzione provvisoria, in Dig. Disc. Pubblic., IV, UTET, Torino, 1989, p. 339-
340.
Questa sorta di antinomia teorica è causa della polarizzazione tra fondamento con- trattualista della legislazione e natura eteronoma della legge religiosa. Tuttavia, guardando al momento e alla natura del processo costituente appena consolidatosi, tale contraddizione può essere composta proprio attraverso il richiamo della xxxxx’a all’interno del testo costitu- zionale: il rinvio in questione può essere, cioè, letto come un tentativo di raccordare i valori atemporali della comunità al progetto istituzionale dello stato.
In tal senso esso può essere inteso come una sorta di “clausola di eternità”51. All’interno di tale categoria, generalmente si ricomprendono quelle norme, presenti nelle co- stituzioni o nelle leggi fondamentali, volte a garantire che alcuni principi ritenuti essenziali e immutabili siano esplicitamente salvaguardati e siano sottratti dalla possibilità di modifica da parte del potere legislativo. Anche se la Costituzione egiziana non esplicita formalmente la presenza di una simile clausola, certamente il richiamo alla xxxxx’a quale fonte della legisla- zione, può essere intesa in tal senso. A dimostrazione di questa tesi si adducono le seguenti argomentazioni:
- la spiegazione del valore della clausola sharaitica è posta nel preambolo, un locus testuale in cui il processo costituzionale è descritto nei suoi completi “riferimenti temporanei”. In particolare, per “riferimenti temporanei” si intendono quegli elementi costitutivi delle narra- zioni dei preamboli costituzionali in cui i valori fondanti sono espressi per mezzo di formule universali atemporali o connessi allo sviluppo temporale indeterminato del corpo sociale. Nella ricostruzione dottrinaria delle cd. “clausole di eternità” sono, cioè, proprio tali riferimenti a perimetrare il contesto semantico di tali meccanismi di conservazione;
- la recente storia costituzionale egiziana e la riflessione giurisprudenziale in materia hanno di fatto dimostrato che sia l’Assemblea sia la Suprema Corte Costituzionale sono tito- lari di un potere emendativo limitato rispetto ai contenuti “supercostituzionali” estrapolati o estrapolabili dalla xxxxx’a;
- più esattamente, le decisioni della Suprema Corte Costituzionale precedenti all’attuale assetto costituzionale ma da esso richiamate, nel delineare la competenza della corte in materia di interpretazione della xxxxx’a, hanno ribadito l’esistenza di un nucleo im- modificabile di prescrizioni di base legate alla tradizione religiosa. Riconoscendo che alcuni principi religiosi autoevidenti fanno parte del sistema giuridico, al di sopra e al di là della co- stituzione scritta, si è fatto in modo di proteggerli, proprio come se essi fossero l’oggetto di una clausola di eternità52.
51 Per le varie sfaccettature di tali clausole, cfr. X. XXXXXX, The Implications of “Eternity Clauses”: The German Experience, in Israel Law Review, vol. 44, 2011, 429 ss.; X. XXXXXXX, The Challenge of Reconciling Con- stitutional Eternity Clauses with Popular Sovereignty: Toward Three-Track Democracy In Israel as a Universal Holistic Constitutional System and Theory, in Israel Law Review, vol. 44, 2011, p. 449 ss.; X. XXXXXXXX, Dead Hand Constitutionalism: The Danger of Eternity Clauses in New Democracies, in Mexican Law Review, Vol. IV, n. 1, 2011, 77 ss.; X. XXXXXXXX, The Language of Eternity. Constitutional review of the amending power in France (or the absence thereof), disponibile in: xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx, 2011, pp.1-32; X. XXXXXXX, Constitutional Core(s): Amendments, Entrenchments, Eternities and Beyond. Prolegomena to a Theory of Normative Volatility, in The Journal Jurisprudence, 2011, p. 517 ss.
52 Vedi in tal senso, X. XXXXXXX, op. cit., 452-53: «A nation’s founding narrative is a dynamic collective story or biography that uncovers the evidence for its evolution, thereby reflecting its collective will and aspirations throughout the course of history. In other words, a nation’s founding narrative encapsulates its current round of
È possibile dedurre che una volta appaiate e coordinate, la xxxxx’a e la costituzione, nello loro dimensione di progettazione e di normazione temporale, entrambe siano destinate a influenzare la legislazione nel perseguire le medesime finalità collettive, che sono, da un lato, quelle di conservare i valori condivisi, ideali e simboli di tutta la società, e, dall’altro, di dettare la normazione futura in vista del conseguimento di un bene collettivo, peraltro senza distinzioni settarie tra gruppi di maggioranza e minoranza. Una volta qualificate, la xxxxx’a come clausola di eternità e la costituzione come un luogo intermedio tra stato e società an- che il ruolo della Suprema Corte Costituzionale, può essere coordinato con quello di custode di entrambi gli ordini normativi, all’interno di un orizzonte comune di fini e di azione.
In particolare, dopo tale passaggio, vi è spazio per rideterminare i criteri interpretativi della Suprema Corte, nella prospettiva di un’apertura ad altri attori istituzionali commisuran- dosi, tuttavia, questa possibilità di pluralizzazione di intenti e contenuti ai ruoli storici, alle competenze e alle responsabilità di tutti i soggetti coinvolti.
5. Terzo paradigma: il ruolo di “interprete finale” della Suprema Corte Costituzionale tra premesse contrattualistiche, diritto classico e giurisprudenza contemporanea
Un particolare problema concerne, quindi, la legittimazione giuridica della Suprema Corte Costituzionale e la sua competenza nell’interpretare, da autorità laica, la legge religio- sa. La storia recente dell’Egitto dimostra che su tale questione si è fin qui combattuta una sorta di lotta sotterranea tra poteri statali e religiosi53. Tale antagonismo potrebbe essere mi- tigato proprio nel farsi dell’attività di interpretazione della clausola sharaitica, una volta che questa venisse attratta all’interno dell’orizzonte di senso della nuova Carta costituzionale. Si tratta di un’opzione che, oltre che politicamente auspicabile, è anche teoricamente sostenibi- le alla luce di ulteriori argomenti “indigeni” tratti dalla storia costituzionale e giuridica dell’Egitto.
In effetti, in Egitto, il problema della eteronomia della xxxxx’a della costituzione ha por- tato con sé, quasi automaticamente, quello di chi debba legittimamente interpretare le norme della xxxxx’a, non tanto in sede di elaborazione dei contenuti della legislazione, quanto nel caso in cui norme già promulgate da legge ordinaria pongano un dubbio di legittimità costitu- zionale. Tale dissidio nel passato si è tradotto soprattutto nell’aspra contestazione da parte
evolution, starting from its birth (when a nation’s original formulas for organizing society are applied for the first time) and followed by a series of founding historical events that serve as opportunities for testing and reshaping the original formulas until they achieve their current form in our generation. A nation’s founding values are derived directly from the founding narrative, as their protection is essential to preserving the narrativÈs continuity and in- ner logic».
53 Vedi X. XXXXXXXX, ‘Conflict and Cooperation between the State and Religious Institutions in Egypt’, in (2000) 32 International Journal of Middle East Studies, p.17; X. XXXXXXXX, The Islamist Trend in Egyptian Law, in Politics and Religion, 3 (2010), 610–630.
delle autorità religiose circa la competenza di giudici laici di dare luogo a interpretazioni fedeli al dettato religioso, nella sua qualità di diritto divino54.
Non è un caso che la Costituzione del 2012, cosiddetta “islamista”, non avesse modi- ficato il principio di applicazione della xxxxx’a sul piano del procedimento legislativo, quanto piuttosto inserito una serie di norme in ambito giudiziario che vincolavano la Suprema Corte Costituzionale a fare rinvio, in specifiche circostanze, alle interpretazioni della xxxxx’a fornite dagli ‘ulema dell’al-Azhar (artt. 4 e 219, cost. 2012).
Nonostante tali norme siano state rimosse, il conflitto sottostante non appare sopito: secondo alcune interpretazioni, la natura religiosa della xxxxx’a e la sua rilevanza apicale in termini di gerarchia delle fonti del diritto continuerebbe a implicare la caratura costituzionale degli interpreti della legge stessa e ad attrarre la classe dei teologi nel novero dei poteri co- stituzionali.
Per ridimensionare le caratteristiche di tale conflitto è necessario entrare nel merito della natura dell’ijtihad, vale a dire di quel processo cognitivo e giuridico che, secondo la tra- dizione musulmana, è anche fonte di cognizione della legge religiosa.
Più esattamente, tale termine caratterizza l’attività volta alla manifestazione della leg- ge divina55, attraverso due ordini di azioni:
- individuare testi autentici e non ambigui all’interno del sistema delle fonti del diritto classico;
- interpretare o integrare attraverso la ragione le fonti che sono di dubbia completezza o autenticità, di modo da estrarne norme presuntivamente sharaitiche.
Prima dei rivolgimenti del 2011, la Suprema Corte Costituzionale Egiziana ha avuto modo di pronunciarsi sulla propria legittimazione rispetto a questo tipo di competenza. In par- ticolare, in una decisione del 199656 ha chiarito come:
- la clausola sharaitica avesse la funzione basilare di precludere ai testi di legge ordi- naria di contraddire le norme sharaitiche che fossero individuate in modo assolutamente cer- to, per autenticità e significato;
54 Cfr. C.B. XXXXXXXX, Constitutional, op. cit., 772; cfr. in particolare sulla Costituzione del 2012 e sulle sue caratteristiche confessionali, ma anche sul ruolo potenzialmente liberale della Suprema Corte Costituzionale
X. XXXXXXXX, Egypt’s Constitution: What went Wrong?, in Vienna Journal on International Constitution Law, Vol. 7, 2/2013, Notes, p. 200 ss.
55 Termine giuridico dal significato “ragionamento indipendente”, opposto a taqlid (imitazione). Si tratta di una delle quattro fonti del diritto sunnita, utilizzabile ove il Corano e la sunnah (le prime due fonti) non prevedano una norma esplicita. Si ritiene che essa richieda all’interprete una conoscenza approfondita della teologia islami- ca, dei testi e della teoria del diritto classico, una certa capacità di ragionamento giuridico e una conoscenza ap- profondita della lingua araba. Il suo esercizio è considerato un vero e proprio dovere religioso. Tale fonte dovreb- be essere articolata attraverso il ragionamento analogico (qiyas), con il quale a volte è confusa. Il risultato del ragionamento non può contraddire il Corano e non può essere utilizzato nei casi in cui è stato preliminarmente raggiunto il consenso (ijma) della comunità. In generale, i sunniti credono che l’ijtihad sia fallibile, poiché più di una interpretazione è ammissibile in alcune controversie legali. Cfr. la definizione disponibile in: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxx/xxx/x000/x000?_xxx0&_xxxx0000.
56 Cfr. N.J. XXXXX, X.X. XXXXXXXX, The Supreme Constitutional Court of Egypt on Islamic Law, Veiling and Civil Rights: An Annotated Translation of Supreme Constitutional Court of Egypt Case No. 8 of Judicial Year 17 (May 18, 1996), in American University International Law Review, 21, 2006, 437 ss.
- al di fuori di quei casi, si dovesse procedere all’individuazione delle norme sharaiti- che attraverso l’ijtihad e che quest’attività potesse essere legittimamente demandata alla stessa Corte.
In altri termini, la Suprema Corte Costituzionale ha escluso la giurisdizione statale nel caso di norme religiose ritenute universali e autoevidenti ma ha istituito la propria competen- za nel caso di norme ambigue o controverse (deboli). A corollario di tale assunto ha anche fissato i criteri per distinguere tra norme religiose incontrovertibili e norme presumibilmente religiose. La Corte ha fatto ricorso a una distinzione del diritto islamico classico, in virtù della quale due sono i gradi della conoscenza in materia di religione, uno intuitivo e uno contin- gente: vi è la “conoscenza a partire dalla religione attraverso la necessità” (al-m’aruf min al- din bi al-darura) e “la scienza di carattere acquisito” (al-’ilm al-muktasab). Il primo tipo attiene a principi la cui comprensione avviene a priori o in modo autoevidente, di modo che rispetto a essi non vi può essere alcuna incertezza. Simili precetti sono inconfutabili: posta l’universalità della loro natura, il loro intendimento non può essere suscettibile di mutamento in rapporto a circostanze di spazio e di tempo. Quando questo tipo di conoscenza riguarda i principi giuridici, essi non sono suscettibili di interpolazione, integrazione o sostituzione. Tali norme vanno prese e applicate letteralmente, non possono essere collegate ad altre, né so- no soggette a estensione analogica.
Il secondo tipo di comprensione si fonda sul ragionamento umano57 ma va inquadrato all’interno di atteggiamento intellettuale di generale cautela e di prudenza, tenuto conto della natura divina dei precetti di legge. Questa impostazione si ricollega direttamente alla tradi- zione del Profeta, secondo cui persino i compagni di Xxxxxxxx (xxxxxx) avrebbero esitato a pronunciare decisioni giuridiche definitive per paura di incorrere in errore nell’interpretazione della legge divina. In questi casi, la Corte ha affermato la propria competenza a interpretare autonomamente prescrizioni che per loro stessa natura sono contingenti e variabili, e la cui definizione va circostanziata e finalizzata al conseguimento dei fini della xxxxx’a (cd. maqasid as-xxxxx’a). La Corte ha aggiunto che rispetto a questo tipo di norme non si può ritenere che le interpretazioni dei giuristi classici siano sacralizzate o poste al di fuori dalla possibilità di rivisitazione. Al contrario, esse possono essere rimpiazzate da interpretazioni più adeguate in termini di tempo e di spazio, sempre al vaglio del raggiungimento degli scopi del diritto, individuali e collettivi.
In conclusione, la Corte è arrivata ad ammettere che un’opinione giuridica ritenuta debole nel passato possa divenire più appropriata e preferibile una volta che siano effettiva- mente mutate le circostanze della sua applicabilità. Al contrario, perseverare nella fissità e nella definitività delle opinioni formatesi nel passato, sebbene autorevoli, significherebbe por- re fine alla possibilità di contemplare e riflettere sulla religione, confutando peraltro il principio della prudenza e della fallibilità dell’ijtihad umana.
57 Per questa distinzione, nella trattazione epistemologica dell’usul al-fiqh, cfr. W.B. XXXXXX, A History, op. cit., p. 38 ss.
6. La vena pluralistica nella xxxxx’a: simbiosi tra competenza cognitiva e responsabilità giuridica nella teoria del diritto classico
Il ragionamento decisorio della Suprema Corte Costituzionale pare orientato a dare risposta sottotraccia, ma non troppo, a una serie di problematiche dipendenti dagli antagoni- smi giuridici tra legittimazione religiosa e statale dell’autorità in materia di interpretazione. Si tratta, come anticipato, dei risvolti attuali di un dissidio mai definitivamente sopito e caratteri- stico del mondo islamico in materia di competenza ermeneutica, tra giudici, eventualmente laici, e la classe dei religiosi58. Questo dissidio può trovare, appunto, ragioni di conciliazione all’interno delle sue stesse potenzialità giuridico-culturali.
Invero, la professionalizzazione dello studio del diritto islamico è iniziata molto rapi- damente a partire dalla generazione successiva a quella dei compagni del Profeta, noti come i “seguaci” (tabi’un). Più specificamente, sotto gli Omayyadi (661-750)59, si cominciò a deli- neare la distinzione degli ‘ulema, come classe di esperti giuridici. Fino a quel momento, infat- ti, tale termine indicava in modo indistinto tutti coloro i quali avevano a che fare con lo studio della religione e del diritto religioso, quali giudici, professori, “trasmettitori” della Sunnah, imam, consulenti legali e mistici sufi60. Questa professionalizzazione del ceto dei giuristi fon- dò una sorta di autorità epistemica degli studiosi della legge61 che avrebbe contrassegnato in maniera decisiva lo sviluppo della civilizzazione islamica e del rapporto tra autorità e comuni- tà, in termini che continuano a caratterizzare gli antagonismi odierni. La distinzione tra i gradi di intendimento tratteggiata dalla Corte costituzionale egiziana trova, ad esempio, il suo mo- dello teorico nella dottrina della conoscenza elaborata dal giurista classico al-Shafi’i (727- 860) nella sua Risala62. Vale la pena richiamarne, a ritroso, i caratteri originali.
Secondo questo studioso, la conoscenza del diritto islamico (‘ilm) sarebbe stata di due tipi:
- la prima era quella della generalità degli individui. Tale conoscenza era caratterizza- ta da una sua particolare evidenza cognitiva, tale che nessuna persona adulta e capace avrebbe potuto ignorarla, vivendo in un contesto sociale. Tradizionalmente essa era limitata alla materia delle ‘ibadat (vale a dire i rituali religiosi, sinteticamente riconducibili ai cd. cin- que pilastri).
58 Su questo tema, cfr. J.E. XXXXXXX, Institutionalization of Muslim Scholarship and Professionalization of the ‘Ulamā’ in Medieval Damascus, in Studia Islamica, No. 52, (1980), pp. 105-134; M.Q. ZAMAN, The Caliphs, the ‘Ulamā’, and the Law: Defining the Role and Function of the Caliph in the Early ʿAbbāsid Period, in Islamic Law and Society,Vol. 4, No. 1 (1997), pp. 1 ss.; X. XXXXXX (ed.), Guardians of Faith in Modern Times:ʿUlamaʾ in the Xxxxxx Xxxx, Xxxxx, Xxxxxx-Xxxxxx, 0000; W.B. XXXXXX, Juristic, op. cit., pp. 243 ss.
59 Cfr. X. XXXXXXX, Introduzione al diritto islamico, Edizioni della Fondazione Xxxxxxxx Xxxxxxx, Torino, 1995, p. 27.
00 Xxx. X.X. XXXXXXX, op. cit., p. 105.
61 Cfr. X. X’XXXXXX, Xxxxx e sostanza dell’«interpretatio prudentium» nell’Islam medievale sunnita, in
Studi in onore di Xxxxxx Xxxxx, I, Milano, Xxxxxxx, 1961, pp. 95 ss.
00 X. XXXXXX, Xxxxxxxx and Xxxx’ in Shafi’i’s Risala, in Studia Islamica, No. 58 (1983), pp. 55-81. A proposi- to della rilevanza di queste dottrine, cfr. W.B. XXXXXX, Was al-Shafi’i the Master Architect of Islamic Juripruden- ce?, in International Journal Middle East Studies, 25 (1993), 587 ss.
- la seconda riguardava invece i doveri secondari dell’islam e le questioni di dettaglio. A differenza del primo tipo di conoscenza, quest’ultima non si basava su testi scritti (nass kitab) o tradizioni (nass sunnah) ma avrebbe dovuto sostanziarsi nel parere degli specialisti (akhbar al-khassa).
La differenziazione nella tipologia delle fonti di cognizione, ovviamente, aveva riper- cussioni sull’attività di interpretazione. Se, da un lato, la conoscenza generale evidente e dif- fusa non prevedeva errori, interpretazioni o dispute, la conoscenza di tipo specifico era aper- ta all’interpretazione umana e a tutti i suoi limiti.
Tale diarchia epistemica aveva inoltre ripercussioni sulla genealogia dell’autorità. La conoscenza dell’élite degli specialisti, sebbene non accessibile ai più, aveva immediata rile- vanza nei confronti della generalità dei musulmani. La comunità, per certi aspetti, dipendeva dal ceto degli specialisti, in relazione a profili specifici dell’istruzione, dell’agire e del non agi- re.
In tale quadro teorico, interpretazione e analogia, ijtihad e qiyas, erano interdipenden- ti. Xxxxx’x, addirittura, sosteneva che tali parole avessero il medesimo significato, rappresen- tando il processo intellettuale in virtù del quale un corpo finito di testi rivelati poteva essere reso rilevante rispetto all’infinita complessità degli eventi umani. Per utilizzare le parole esat- te del giurista musulmano:
ogni fatto che ricade su un musulmano ha necessariamente un certo valore religioso e ci sono evidenze sul giusto percorso da seguire in questo frangente. È obbligatorio per ogni musulmano seguire una certa regola, qualora essa sia stata individuata. Ove la regola non sia stata già fissata, essa deve essere ricercata attraverso l’interpretazione e l’interpretazione consiste nell’analogia63.
Tale impostazione aveva due corollari: il primo era di valorizzare il pluralismo cogniti- vo e culturale dell’attività ermeneutica; il secondo era di fondare un regime di obbligo e di responsabilità a carico dell’interprete qualificato.
Su queste premesse, l’attività interpretativa poteva non essere affatto univoca, tenuto conto delle differenze tra circostanze di vita, contesti e interpreti. Tuttavia, una divergenza di
63 Cfr. X. XXXXXX, op. cit., p. 62, enfasi mia. I dubbi circa l’idoneità dell’interprete di penetrare “con sfor- zo” il volere divino ha sempre indotto gli studiosi dei diritti semitici ad osservare un principio di fallibilità dell’interprete che si è tradotto in un generalizzato principio di cautela nell’irrogare pene e sanzioni sulla base di interpretazioni umane, in presenza di passi discussi o non univoci. In una prospettiva comparativa, cfr. il diritto talmudico e la enucleazione delle cd. Middot She-Ha-Torah Nidreshet Bahen, ovvero “le regole per mezzo delle quali la torah è svelata”, in X. XXXXXXXXXX, The Hermeneutic Principles and their Application, in Journal of Ortho- dox Thought, vol. 13, n. 1, 1972, p. 49 ss. spec. 55. In particolare, si segnala come nell’approcciare al testo divino questa metodologia espliciti l’eventuale insufficienza dell’intelletto umano nell’estrapolare dal testo sacro le norme applicabili alla comunità dei fedeli. Tale assunto si traduce nel divieto di irrogare sanzioni sulla base di inferenze logiche. Più esattamente, la prima regola interpretativa del diritto talmudico si basa sull’inferenza a fortiori secon- do l’argomento cd. kal ve-chomer (dalla premessa minore a quella maggiore). Tuttavia, nessuna punizione può essere inflitta quando la norma applicabile al caso concreto sia il frutto di tale processo di estrapolazione interpre- tativa. Dal momento, infatti, che il processo di applicazione dell’argomento kal ve-chomer è qualcosa che un in- terprete è in grado di produrre di propria iniziativa, senza una base sulla precedente tradizione, e dal momento che il frutto di tale processo è comunque il prodotto del ragionamento umano, c’è sempre la possibilità che l’inferenza che ne risulti sia logicamente difettosa, il che esclude la sua l’applicazione nel caso dia luogo a irroga- zione di una sanzione.
opinioni tra gli attori di questo tipo di esperienza-conoscenza religiosa non ne minava la complessiva legittimità. La diversità di opinioni era dovuta alla circostanza che la classe di specialisti operava in varie parti del mondo islamico, ma tale diversità era pur sempre incar- dinata su un principio di unità metafisico e trascendente. Per Shafi’i, il riconoscimento delle varie differenze tra scuole e indirizzi di interpretazione era la base per ricostituire la loro unità a livello soteriologico: le reciproche differenze dovevano essere pensate non come errori di una parte rispetto all’altra, ma come il frutto di un “valido disaccordo” dipendente dalla diver- sità offerta dai contesti di interpretazione, e necessitato dall’esigenza di dettare istruzioni di comportamento ai vari membri della comunità per regolare la loro vita in comune64.
L’esempio riportato a riguardo da Xxxxx’i era acuto:
solo Dio conosce ciò che è nascosto ai più (batin). Se due persone sono localizzate diversamente nel rivolgersi alla qibla65, certo entrambi sono nel giusto secondo il loro ragio- namento, anche se essi mancano di rivolgersi nella stessa direzione geografica. Da un canto è impossibile che entrambi siano nella “giusta” direzione rispetto al punto esatto, ma entram- bi sono certamente nel giusto in ossequio all’interpretazione giuridica del precetto66.
Tale dottrina ha, in effetti, dato corpo al successivo cd. principio dell’ikhtilaf. Con quel termine (lett. “disaccordo”, da una radice che richiama tuttavia anche la diversità) si indica proprio la differenza di opinione su questioni religiose. Due proverbi favorevoli all’ikhtilaf sono spesso citati dai giureconsulti musulmani, quando ricordano che «la differenza di opinioni nella comunità musulmana è un segno del favore divino» e che «é una misericordia di Dio che i teologi si differenzino per pareri». Una simile difformità è ammessa a condizione che i principi fondamentali dell’islam non ne siano interessati. Di conseguenza, in determinate si- tuazioni, in cui una verità radicale non può essere colta a causa della fallibilità e dell’insufficienza dell’essere umano, il compito dello studioso sarebbe semplicemente quello di dar corso all’attività interpretativa, per rendere possibile il fluire ordinato della vita quotidia- na. Nel prisma della molteplicità delle esperienze umane la diversità nelle interpretazioni non è un “errore” (khata’) di una parte rispetto ad un’altra, ma un diversivo comportamentale ponderato alla luce di un principio finalistico comune a entrambe.
Il principio di ikhtilaf, com’è noto, ha reso possibile lo sviluppo delle quattro scuole giuridiche sunnite (Maliki, Hanafi, Shafi’i e Hanbal) ritenute unanimemente altrettanto orto- dosse. All’interno di ciascuna di esse sono state elaborate diverse interpretazioni per gli stessi testi religiosi. In genere, i disaccordi vertevano su circostanze delle pratiche legali rite- nute secondarie ma tutte erano ugualmente rilevanti nel tracciare i criteri della convivenza
64 M.Q. XXXXX, op. cit., p. 12.
65 La direzione della Ka’ba, verso cui il musulmano si deve volgere per pregare.
66 L’esempio è citato in X. XXXXXX, op. cit., p. 67. Più avanti lo stesso autore nota però criticamente:
«Shafi’i’s discussion of ikhtilaf, based on his distinction between two types of knowledge, in no wise mitigated the totalitarian aspect of Islamic jurisprudence: quite the reverse, for in the course of that discussion he repeated and reaffirmed the dogma that all human eventualities were subject to God’s law, and his distinction between two types of knowledge served only to confirm that all knowledge was based on revelation. Nevertheless, his defence and justification of ikhtilaf established a kind of flexibility and tolerance (already perhaps implicit in some earlier juristic literature) in so far as the notion of variation was now built into the system and its negative implications neutralised», p. 71.
nella vita di tutti i giorni. L’ikhtilaf avrebbe altresì consentito al musulmano di scegliere l’interpretazione degli insegnamenti religiosi che meglio si fosse adattata alle proprie abitudi- ni, rendendo meno disagevole la loro osservanza quotidiana. Le teorie di Xxxxx’i ebbero un seguito enorme presso altri studiosi: fermo restando che ogni interprete (xxxxxxxx) sarebbe stato tenuto alla massima serietà e al rigore morale nella propria attività67, per ciascuno di essi sarebbe valso il detto per cui kull xxxxxxxx musib, in base al quale «ogni interprete è nel vero (nel suo discernimento)». Nel dichiarare la correttezza di ogni giudizio da parte degli interpreti, i giuristi classici non intesero suddividere o parcellizzare la certezza del diritto e accrescere il numero delle norme applicabili al caso concreto, quanto puntualizzare che la diversità dei giudizi rappresentava un principio accettabile all’interno di una comunità globa- lizzata, variegata geograficamente e culturalmente, ma unificata sotto gli stessi dettami e va- lori fondamentali.
La teoria di Xxxxx’i aveva un secondo corollario in materia di responsabilità dell’interprete: se la conoscenza generale non induceva a margini d’errore, al contrario, la conoscenza specifica avrebbe potuto essere fonte di inesattezza e fonte di responsabilità nel caso di imperizia o precipitazione. Posto che solo Dio avrebbe potuto conoscere ciò che è nel profondo delle cose, la conoscenza umana, seppure di una élite di specialisti, non avreb- be mai potuto acquisire la qualità di consapevolezza unica, ultima e definitiva, essendo basa- ta solo sull’apparenza esterna dei fenomeni. Coi termini della giurisprudenza classica, l’’ilm al-khassa era fondata sulla khabar al-khassa e rappresentava uno stato cognitivo consegui- bile solo da parte degli ‘ulema, o solo da alcuni tra essi. Nondimeno, la difficoltà nel raggiun- xxxx questo grado di competenza non limitava la responsabilità del mujtahid, obbligato al perseguimento di tale conoscenza, nei confronti della generalità dei consociati, rispetto a cui le norme, una volta individuate, sarebbero state applicabili senza distinzioni. Tuttavia la deli- catezza e la difficoltà di tale compito avrebbero dovuto ispirare in lui massima prudenza e sempiterna cautela nello svolgimento di tale fondamentale ufficio.
7. Conclusioni. Il rinvio alla xxxxx’a come “clausola di effettività” della Costituzione egiziana
Questo lungo excursus circa la natura culturalmente relativa dell’attività interpretativa, la sua specialità, la sua doverosità, orientata tuttavia alle esigenze pragmatiche del quotidia- no, e infine sul suo essere fonte di responsabilità, fornisce le chiavi di lettura sia per com- prendere il conflitto di poteri in atto nel mondo arabo attuale, sia per fornire prospettive di mediazione e di apertura pluralistica nella sua irreggimentazione.
Il settarismo sotteso all’impostazione elitaria ed epistemica dell’attività interpretativa delle fonti del diritto ha dato corpo ad un andamento caratteristico del mondo islamico circa il
67 Tradizionalmente i compiti dell’interprete (mujtahid) devono essere quelli della determinazione delle norme esplicite nel senso del testo e della determinazione di qualunque ulteriore norma che possa essere giudi- cata analoga. Visto entro questi confini prasseologici, l’esercizio dell’ijtihad non è considerato un diritto ma una responsabilità di carattere comunitario.
rapporto tra comunità e stato, sia (a.) nel suo sviluppo premoderno, (b.) sia in quello statale post-coloniale, e si ripropone (c.) nel quadro costituzionale contemporaneo.
(a.) Per molti secoli, i giuristi, a causa della loro particolare abilità a estrarre da meri “segni testuali” uno o più significati giuridici di dettaglio, rappresentavano i principali agenti dell’attività ermeneutica che, nel mondo islamico, era pertanto caratterizzata in senso epi- stemico. In quanto tali, i giureconsulti erano i veri custodi della vita comunitaria, nel suo farsi diffuso e quotidiano68. Al contrario, l’autorità politica (khalifa), sebbene non sia mai stata apertamente deprivata della legittimità a svolgere attività ermeneutica69, se n’è di fatto disin- teressata, limitandosi a svolgere le attività di governo necessarie all’amministrazione della giustizia, come patrocinare le scuole giuridiche, nominare i giudici territoriali, eseguire le sen- tenze e censurare i governanti locali, qualora fossero accusati ingiustizia nei confronti della popolazione. Il diritto islamico in senso stretto si è pertanto configurato come un sistema in grado di operare e di essere effettivamente operante, largamente e con successo, al di fuori dello stato-organizzazione. D’altro canto, nel sistema di diritto classico e nello stato califfale, la polarità tra autorità politica e legale costituiva la forma operativa del principio di separazio- ne dei poteri esecutivo e giudiziario, assetto ritenuto poi essenziale nello stato liberale70.
(b.) Le radici epistemiche dell’autorità giuridica – una volta “ridotte” nell’ambito della cornice teorica dello stato moderno e post-coloniale – hanno tuttavia alimentato una sorta di duplice versione del principio di autorità promanante, da un lato, dai rappresentanti della classe professionale dei giuristi, dall’altro, dai membri dello stato-organizzazione. Una prova della rilevanza costante di tale scollatura è costituita dalla periodica ma ininterrotta pretesa, prevalentemente di estrazione popolare e massiva, di applicare la xxxxx’a all’interno del con- testo e del diritto statale. Tale istanza, che è arrivata nel passato a rappresentare (e rappre- senta ancora oggi) un motivo di feroci antagonismi, ha radici e caratteristiche profonde, con- nesse allo sviluppo e alla formazione di una classe professionale di interpreti e operatori del diritto e al carattere epistemico dell’attività ermeneutica del diritto islamico. La pretesa di ap- plicazione della legge religiosa ha potuto assumere, in certe circostanze, un significato politi- co molto chiaro (che si ripercuote sui processi giuridici da esso dipendenti), quello di voler destituire le strutture giuridiche e organizzative del moderno stato-nazione, frutto della de- colonizzazione. Molte di tali istituzioni (parlamenti, corti secolari, apparati amministrativi) so- no state create al fine di permettere alle nuove classi laiche e borghesi sorte nel periodo co- loniale di rimpiazzare i ceti tradizionali nella gestione del potere amministrativo e decisionale, in precedenza basato sulle strutture religiose tendenzialmente estranee allo stato71.
(c.) Alla luce di tutto questo, se è condivisibile la teoria di quei comparatisti che con- vertono acutamente ma sinteticamente, in Egitto, il problema della eteronomia della xxxxx’a della Costituzione in quello della legittimità e della credibilità dell’interpretazione di giudici
00 X.X. XXXXXX, Juristic, op. cit., 246.
69 M.Q. ZAMAN, op. cit., p. 21.
00 X.X. XXXXXX, op. ult. cit., 250. Vedi anche I.M. XXXXXXX, The Separation of State and Religion in the Development of Early Islamic Society, in International Journal of Middle East Studies, 6, 1975, pp. 363-385.
71 W.B. XXXXXX, op. ult. cit., p. 244.
laici, soprattutto nella concorrenza con autorità religiose come quelle dei Fratelli musulma- ni72, è proprio nella ricomposizione di quest’antagonismo che andrebbero probabilmente ri- cercate le soluzioni per conciliare la teoria costituzionale odierna e la rilevanza e l’applicazione della xxxxx’a all’interno dell’architettura statale. A questo proposito, va ricordato che, a dispetto delle rivendicazioni delle interpretazioni più integraliste, non è mai esistito nel- la teoria del diritto islamico un principio monistico in virtù del quale l’attività interpretativa sul- le questioni di diritto religioso dovesse esclusivamente essere rimessa alla competenza della classe dei giuristi, a scapito dello stato. Vi sono state, al contrario, molteplici testimonianze che, in caso di materie controverse, sia l’autorità politica sia quella giuridica fossero piena- mente legittimate a interpretare i testi per estrarre da essi le norme applicabili al caso con- creto. In particolare, la tradizione dell’attività di governo nel periodo abbaside riporta nume- rosi casi in cui la risoluzione dei quesiti legali non sia stata considerata un affare esclusiva- mente riservato agli ‘ulema ma abbia coinvolto anche l’autorità califfale73. Tali attestazioni sono riconducibili ai pareri degli stessi giureconsulti eponimi i quali hanno riconosciuto la po- testà da parte del califfo di esercitare la sua ijtihad74.
Dalla natura epistemica dell’attività ermeneutica, oltre che da tali documenti, risulta chiaramente che non solo l’autorità politica può legittimamente cimentarsi sulle medesime fonti del diritto da cui i giuristi traggono la loro capacità specialistica, ma anche che entrambi i poteri possono collaborare nel provare a risolvere i casi più difficili in tema di interpretazio- ne. Nella storia del diritto islamico non v’è spazio per un monismo interpretativo gerarchico, almeno nelle scuole giuridiche sunnite. La teoria dell’ikhtilaf nell’elaborazione di al-Shafi’i, così come molti argomenti tratti dalla relazione tra gli ‘ulema e il califfato lo dimostrano am- piamente. Piuttosto, nella tradizione sunnita, sia la componente religiosa della società, sia quella politica e statale possono applicarsi all’ijtihad nella necessità di dirimere casi incerti e oscuri. Entrambe le autorità possono addirittura cercare di risolvere questioni difficili collabo- rando tra loro. In questi casi, la capacità cognitiva e l’autorità epistemologica derivano dalle caratteristiche stesse dell’attività ermeneutica, vale a dire quelle di accostarsi con prudenza, esperienza e introspezione alle fonti giuridiche (il Corano, la Sunnah) piuttosto che dalla le- gittimazione aprioristica degli interpreti.
Pertanto, anche all’interno dello stato contemporaneo e costituzionale il ruolo degli ‘ulema come decodificatori unici della legge islamica potrebbe essere messo in discussione o, meglio, reso partecipativo e investito da una forma di responsabilizzazione politica. Si trat-
72 C.B. LOMBARDI, Designing, op. cit., 45: «(...) institutions that perform Islamic review in Islamic democ- racies should be staffed with people who have at least the minimum qualifications necessary to be recognized by all important Islamic factions as, at the very least, reasonably competent and fundamentally fair mediators of competing views. In different countries, there will be different constellations of Muslims who need to be satisfied. Appointments must thus be sensitive to local religious dynamics. Second, countries should recognize that in all likelihood no panel of judges will be able to issue opinions with unquestioned authority among all different groups. They should thus create procedures to ensure that judges are informed about the range of Islamic views in their country and incentivized to engage respectfully with the views that they ultimately reject. Countries could take any number of steps to do this. Some are as simple as encouraging amicus briefs. Courts could also hire research staff with expertise in all the major strains of Islamic thought in the country».
73 Principio riportabile al noto giurista Xxx Xxxxx, richiamato in M.Q. ZAMAN, op. cit., p. 21.
74 Cfr. M.Q. XXXXX, op. cit., p. 19 ss. spec. 25 e il paragrafo The Caliphs and Questions of Law.
terebbe di una soluzione peraltro in linea con l’evoluzione giurisprudenziale del Consiglio di Stato egiziano (majlis ad-dawlah): nel 1993, appunto, questo organo aveva riconosciuto all’Al-Azhar un ambito di giurisdizione sulla censura di produzioni audio-video che trattano dell’islam.
Rispetto alla giurisdizione della Suprema Corte Costituzionale, una strategia potrebbe essere quella di favorire un ampio margine di partecipazione politica al processo di nomina dei suoi componenti stessi, mediante il coinvolgimento di un ampio parco di attori, provenien- ti dalla società civile e dalle istituzioni religiose più importanti e qualificate. Un’ipotesi potreb- be essere, quindi, quella di permettere all’al-Azhar di nominare uno o più giudici presso la Suprema Corte Costituzionale o di affidare alla stessa istituzione accademica un ruolo uffi- ciale di consulenza per l’interpretazione della xxxxx’a, intesa come una clausola di eternità. Una soluzione di questo genere, andrebbe esperita cercando di creare un bilanciamento in termini di responsabilità politica degli organi consultivi, nei confronti della Corte stessa75.
Una simile compartecipazione non dovrebbe essere considerata come un’anomalia76. Certamente, il costituzionalismo ha tra le sue matrici la libertà individuale e la pluralità dei suoi processi, laddove la religione è connessa alla verità e alla permanenza delle sue mani- festazioni, ma entrambi i domini sono ispirati e improntati ai processi linguistici e intellettuali dell’esperienza umana e della conoscenza77. L’uomo, per stessa ammissione del Dio delle religioni monoteiste, è chiamato a prendere coscienza della Rivelazione e a fare esperienza del sacro. L’individuo è, in una chiave comunicativa radicale e inderogabile, interlocutore ne- cessario del divino. Egli è, appunto, il destinatario privilegiato di quella locutio Dei ad homi- nes contenuta in ogni Rivelazione religiosa. Questa, a sua volta, è costituita dalle parole di Dio che, come tali, sono effettivamente comunicate solo una volta che siano apprese dall’uomo, attraverso la sua idiomatica capacità di interpretarle. Nuovamente, dunque, ogni esperienza di interpretazione si dimostra esperienza di cognizione: la parola divina, persino quando si fa dogma, va creduta ma ancor prima percepita e capita: fosse altrimenti ne risul- terebbe sminuita la volontà stessa di Dio di manifestare la propria natura e volontà78. L’intelletto e la cognizione umane sono pertanto costantemente interrogati, con una anticipa- zione logica rispetto alla mera assunzione fideistica, dalla parola divina. Questa rappresenta, al pari delle parole umane, un segno infinitamente significante, nel richiamo ad altri segni e ai loro interpreti. Nel generare la propria risposta, l’individuo potrà, nei limiti delle sue capacità,
75 X. XXXXXXXX, X. XXXXX AND OTHERS, Constitutional Courts after the Arab Spring: Appointment mecha- nisms and relative judicial independence, Center for Constitutional Transitions at NYU Law, Center for Constitu- tional Transitions and International IDEA, 2014, p. 21 ss.; e per un quadro anteriore X. XXXXXXX, (Re)Arrangement of State/Islam Relations in Egypt’s Constitutional Transition, in NELLCO, Legal Scholarship Repository, New York University Public Law and Legal Theory Working Papers, New York University School of Law, 5-10-2013.
76 Cfr. R. CUPERTINO, La libertà religiosa nella “teocrazia costituzionale” egiziana, in Stato, Chiese e plu- ralismo confessionale Rivista telematica (xxx.xxxxxxxxxxxx.xx), n. 34/2014 3 novembre 2014, p. 26, secondo cui, alla luce del modo d’intendere i rapporti tra legge religiosa e legge dello Stato delle democrazie liberali, può appa- rire singolare un sistema in cui le corti civili possano pronunciarsi su questioni di carattere teologico e, in partico- lare, che la Corte costituzionale sia giunta a elaborare una propria versione dell’ijtihad.
77 In tal senso, X. XXXXX, L’altro nello specchio del dogma. Segno e soggetto tra fede e diritto, in AA.VV.,
Lex Iustitia Veritas. Per Xxxxxxx Lo Xxxxxx. Omaggio degli allievi, Xxxxxx, Napoli, 2012, p. 362 ss.
78 Cfr. X. XXXXX, op. ult. cit., p. 369-70.
dar vita a frammenti di comprensione della realtà divina, xxxxxx nella storia della sua propria esperienza.
Tale dimensione cognitiva e situata dell’interpretazione teologica e giuridica non è esclusiva dell’esperienza europea e, lo si ribadisce, non è mai stata estranea alla tradizione giuridica musulmana. Come dimostrato dalle teorie di Xxxxx’x, anche il diritto islamico indirizza i suoi enunciati precettivi verso l’individuo, e questo in conseguenza diretta della volontà di Dio. Per tale motivo, anche se in modo apparentemente sorprendente, la cifra gnoseologica dell’interpretazione giuridica islamica (ijtihad) rappresenta il vero rimedio al pericolo di una deriva confessionista dello stato islamico. Essa rappresenta il percorso, culturalmente endo- geno e storicamente situato, per unire la potenzialità semiotica del richiamo costituzionale alla xxxxx’a con la vena pluralistica nascosta all’interno della tradizione giuridica musulmana. Da un lato, infatti, saranno le esigenze sociali dello stato contemporaneo a costringere alla costante rilettura della costituzione, il cui vero “senso” sarà destinato a dispiegarsi incessan- temente e progressivamente attraverso la sua attuazione nella legislazione e nell’ordinamento. Ma, dall’altro, saranno le interpretazioni plurali del diritto islamico a rappre- sentare il quadro semiotico di comprensione di queste esigenze, colte al meglio della loro contestualizzazione assiologica e culturale.
Così inteso, il tratto epistemico-cognitivo caratteristico dell’ijtihad potrà persino rap- presentare una fonte di ispirazione per la cultura giuridica, posta dinanzi al grande dilemma della multiculturalità: il pluralismo costituzionale contemporaneo, a tutte le latitudini globali, non può più ridursi ad un mero processo deliberativo identitario e autoreferenziale, ma deve tradursi in un pluralismo “cognitivo” aperto e inclusivo, fatto del progressivo conoscere e creare i modi, più diversi, in cui la soggettività giuridica individuale può trovare realizzazione all’interno di ordinamenti democratici.
Collocando tale prospettiva teorica all’interno dell’architettura costituzionale egiziana contemporanea, il rinvio alla xxxxx’a non può essere più considerato come una contraddizio- ne, o una sorta di ossimoro giuridico, rispetto ai principi della democrazia e del pluralismo, quanto piuttosto una vera e propria “clausola di effettività” costituzionale in grado di orientare i processi di inclusione della diversità, del mutamento, delle trasformazioni sociali all’interno sia del quadro formale e istituzionale improntato al principio del bilanciamento dei poteri sta- tali, sia di quello sostanziale e culturale radicato nei processi, umani e socialmente diffusi, di inveramento della tradizione religiosa. In tal senso, certamente il ruolo della Suprema Corte Costituzionale appare decisivo nella realizzazione di questa circolo giuridico ermeneutico- cognitivo. Tra le molte funzioni che una corte costituzionale assolve ve ne sono alcune mag- giormente connesse alla società, come quelle che interpretano i valori fondamentali e delibe- rano su questioni controverse che hanno una valenza politica o religiosa di portata generale. Una volta inserito nel fluire linguistico della costituzione, anche il rinvio alla xxxxx’a potrà riat- tualizzare i propri, endogeni e originari, percorsi di cognizione. La legge religiosa, intesa co- me clausola di eternità, necessiterà sempre di un interprete che la percepisca e la compren- da in modo consapevole e situato. Se poi la costituzione è considerata come la base di un sistema normativo a cavallo tra strutture statali e sociali, il ruolo del giudice costituzionale è destinato a essere quello dell’interprete “finale”, vale a dire quello di un organo attento alla
base sociale piuttosto che al mero contemperamento tecnico degli equilibri e degli schemati- smi statali. In tale prospettiva, rispetto a una costituzione intesa come un processo derivato dalla società, non solo i giudici dovranno farsi interpreti del testo e di tutte le sue clausole, ma nel farlo potranno dare spazio ad aperture ermeneutiche e cognitive, provenienti dalla comunità e da alcuni attori ritenuti particolarmente competenti, in entrambi gli aspetti.
In questo tipo di quadro teorico «chi vive le norme può interpretare le norme». Citta- dini, gruppi e organi giudiziari sono in senso stretto “forze interpretative” della Costituzione. Le parti e gli esperti sarebbero, allo stesso modo, attivi come pre-interpreti della norma, so- stenendone o suggerendone alcune interpretazioni. D’altro canto, una simile autolimitazione rappresenterebbe un utile bilanciamento ai possibili effetti negativi connessi all’inserimento di clausole di eternità nelle costituzioni79. Ciò perché, da un lato, i giudici potrebbero essere tentati dal potere di identificare i propri valori e interessi con l’identità culturale della comunità politica intera, qualificando i segmenti dissenzienti come “nemici” della Costituzione; dall’altro, l’esclusiva competenza a interpretare clausole simili affidata al potere giudiziario darebbe a esso un’enorme influenza nei confronti del potere legislativo. Infine, un’apertura pluralistica nei confronti del corpo sociale costituirebbe un esercizio continuativo di modera- zione e una esperienza di democratizzazione, dovendo la Corte agire come una sorta di me- diatore specifico tra lo stato e la società in tutte le sue componenti e le sue cognizioni.
79 Cfr. sul punto i precisi moniti di X. XXXXXX, op. cit., p. 447 e X. XXXXXXXX, op. cit., p. 93.