INDICE
INDICE
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IL FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ ED IL FALLIMENTO DEI SOCI
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1. FUNZIONE. SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE, QUALITÀ DI IMPRENDITORE E STATO DI INSOLVENZA
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1.1 Il socio illimitatamente responsabile “coimprenditore” ed “imprenditore indiretto”
........................................................................................................................................................... 5
1.2 Il fallimento del socio ed il presupposto oggettivo dell’insolvenza 7
1.3 Il carattere eccezionale del fallimento in estensione 8
2. PRESUPPOSTI. TIPI DI SOCIETÀ E TIPI DI SOCI
12
2.1 La personalità giuridica e l’autonomia patrimoniale perfetta nelle società di capitali 13
2.2 La “soggettività” delle società di persone 16
3. L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA
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3.1 Il fallimento dei soci nell’età intermedia 20
3.3 LA LEGGE FALLIMENTARE DEL 1942 23
3.4 La riforma del D.Lgs del 9 Gennaio 2006 n°5 e D.Lgs. del 12 Settembre 2007 n°169 24
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LA RESPONSABILITA’ ILLIMITATA, SOLIDALE E SUSSIDIARIA DEI SOCI
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1.1. La società in nome collettivo 26
1.2 I CREDITORI PARTICOLARI DEL SOCIO 30
1.3 La società in accomandita semplice 31
2. LA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA PER AZIONI
33
3. IL SOCIO UNICO NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI
36
3.1 La disciplina del socio unico dal 1942 alla riforma societaria del 2003 36
3.2 L’attuale disciplina del socio unico di società di capitali 38
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IL FALLIMENTO DEL SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE
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1. IL NUOVO ARTICOLO 147 LEGGE FALLIMENTARE
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2.1 Il fallimento del socio accomandante 45
2.2 Il fallimento del socio unico di società di capitali 49
3. IL FALLIMENTO DELLE PERSONE NON FISICHE
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3.1 La disciplina della partecipazione di società di capitali in società di persone alla luce della riforma di cui al d.lgs. n. 6/2003 54
3.2 Il fallimento della s.p.a. o di una s.r.l. socie di una società a responsabilità illimitata 56
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IL FALLIMENTO DELL’EX SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE
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1. IL FALLIMENTO DELL’EX SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE NELLA DISCIPLINA PREVIGENTE
58
1.1 Le pronunce della Corte Costituzionale sull’illegittimità dell’art. 147 l.f 63
1.2 La nuova disciplina relativa all’ex socio illimitatamente responsabile 65
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2.1. Il fallimento del socio già illimitatamente responsabile successivo alla trasformazione 69
2.2 Il fallimento del socio già illimitatamente responsabile successivo a fusione 71
2.3 Il fallimento del socio già illimitatamente responsabile successivo alla scissione
......................................................................................................................................................... 74
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IL FALLIMENTO DEL SOCIO OCCULTO, DELLA SOCIETA’ OCCULTA E DELLA SOCIETA’ APPARENTE
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1. IL FALLIMENTO DEL SOCIO OCCULTO
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GIURISPRUDENZA 100
CAPITOLO I
IL FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ ED IL FALLIMENTO DEI SOCI
1. Funzione. Socio illimitatamente responsabile, qualità di imprenditore e stato di insolvenza
Il fallimento del socio illimitatamente responsabile è disciplinato dall’art. 147 del R.D del 16 marzo del 1942 n.267, detta Legge Fallimentare, il quale prevede che “Il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci”. Ciò comporta il principio dell’automatico assoggettamento dei soci illimitatamente responsabili al fallimento in estensione della procedura aperta a carico della società. A quale titolo fallisce il socio, ovvero, su quali motivazioni poggia questo principio dell’automatica estensione della dichiarazione di fallimento nei confronti del socio illimitatamente responsabile? Parte della dottrina considera la disposizione codicistica sopra richiamata coerente con gli altri principi generali del fallimento, ossia l’art. 1 l.f., che sottopone al fallimento solo gli imprenditori commerciali, e l’art. 5 l.f., che richiede lo stato di insolvenza dell’imprenditore per la dichiarazione di fallimento. Altra parte invece nega che l’art. 147 l.f. rappresenti una estensione dei presupposti soggettivi (art. 1 l.f.) ed oggettivi (art. 5 l.f.), eccependo, dunque, il carattere di eccezionalità della disposizione normativa rispetto agli stessi presupposti previsti per la dichiarazione di fallimento.
1.1 Il socio illimitatamente responsabile “coimprenditore” ed “imprenditore indiretto”
Nel contesto della prima tesi, si parifica la posizione del socio a quella dell’imprenditore commerciale individuale, così da giustificare l’estensione del fallimento sociale al socio illimitatamente responsabile ex art. 147 l.f. in quanto avrebbe il medesimo presupposto soggettivo richiesto dall’art. 1 l.f. La qualità di imprenditore al socio viene attribuita in quanto in esso si rintracciano gli stessi elementi distintivi dell’imprenditore individuale, quali appunto il rischio di impresa ed il potere di gestione1; il socio dunque è coimprenditore della società2, in quanto ha il potere di gestire l’impresa sociale, nonché il potere di iniziativa e di direzione, è attraverso la sua organizzazione imprenditoriale che l’attività commerciale della società prende vita; collegato al potere di amministrazione3 è il rischio di impresa4: si osserva infatti che il socio risponde per tutte le obbligazioni sociali (anche anteriori al suo ingresso nella società, art. 2269 c.c.), vi è così identità di status tra quello imprenditoriale e quello di socio illimitatamente responsabile5.
1 Sulla definizione di rischio di impresa, iniziativa e potere di gestione, quali caratteri distintivi dell’imprenditore si veda X. XXXXX, Manuale di Diritto Commerciale, a cura di X. Xxxxxxxx e G.B. Ferri XIed. Utet, pag. 34.
2 X. XXXXXX MAGGIORE, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova 1994 pagg. 120,559,573.; XXXXX, Lezioni sul fallimento,I, Milano, 1992, pagg. 110ss; SANDULLI, Il presupposto soggettivo. L’imprenditore collettivo, in AA.VV. Manuale di Diritto Commerciale, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 1997, pag. 123. 3F.VASSALLI, Responsabilità di impresa e potere di amministrazione nelle società personali,Milano, 1973 pag. 232: “il fondamento della responsabilità d’impresa assunta dai soci illimitatamente responsabili di società commerciali personali deriva dalla qualità di coimprenditore dei soci, ovvero dal loro dominio illimitato, comune e combinato”
4 X. XXXXX, Le crisi di impresa. Il Fallimento, in Trattato Iudica-Zatti, Milano 2000, pag. 155: “come l’imprenditore individuale, il socio risponde con tutto il suo patrimonio delle obbligazioni relative all’impresa sociale; egli sopporta, cioè, il rischio di impresa”; diversamente DENOZZA, Responsabilità dei soci e rischio di impresa, Milano 1973 pag. 239 il quale sottolinea che la responsabilità illimitata dei soci si giustifica nella necessità di dare alla società una adeguata “base di credito”, non altrimenti conseguibile.
5 Della stessa opinione sono: X. XXXXXXXXX, Fallimento e impresa ,Napoli,1969 cit. pag. 34ss: “lo scopo principale che spinge un soggetto ad aderire ad una società commerciale personale può definirsi un tipico scopo imprenditoriale, che il soggetto medesimo intende perseguire attraverso l’esercizio effettivo in forma collettiva di una determinata attività commerciale. Il soggetto aderente, cioè, inizia, sia pure in una con gli altri soggetti, un’attività commerciale e la esercita effettivamente con gli stessi poteri dell’imprenditore commerciale, soggiace all’identica responsabilità e al medesimo rischio e in senso lato
In particolare due Autori6, che propendono per questo indirizzo, sostengono che l’attribuzione al socio della qualità di imprenditore abbia anche un connotato storico, in quanto è nell’età intermedia che si ha la nascita dell’istituto del fallimento dei soci, i quali, non fallivano in estensione non riconoscendosi alcuna procedura concorsuale nei confronti della società ma fallivano direttamente essi stessi in quanto erano considerati “plures mercatores unam mercantiam gerentes”, dunque, per l’obbligazione assunta da un singolo socio, rispondevano in via sussidiaria ed illimitata tutti gli altri soci, essendo rilevante solo l’insolvenza dei soci stessi per la dichiarazione di fallimento7.
Nell’ambito dell’interpretazione dell’art. 147 l.f. come disposizione normativa coerente con il presupposto soggettivo dell’art. 1 l.f., vi è anche chi qualifica il socio illimitatamente responsabile come imprenditore “indiretto”8 sulla base della non necessarietà della spendita del nome nella gestione della società, con la conseguenza di una duplicazione di imprenditori distinti per una stessa impresa, così da far qualificare “anche” i soci come imprenditori, seppur indiretti, mentre la titolarità dell’impresa e la qualifica di imprenditore diretto spetta all’ente sociale. Così argomentando si avrà da un lato, l’inapplicabilità nei confronti dei soci illimitatamente responsabili di tutte quelle norme a carattere formale che sono dirette all’imprenditore, come per esempio in materia di registrazione e di tenuta dei libri contabili; mentre si
agli stessi oneri ed obblighi che gravano sull’imprenditore commerciale individuale”. DI SABATO,
Manuale delle Società. Torino, 1987, pag. 185; XXXXXXXX, Il presupposto,cit., pag. 123.
6 X. XXXXXXX, Fallimento delle società, in Commentario al codice civile (a cura di) Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli, 1997 Pag. 143ss; X. XXXXX, Le crisi, cit. pag. 156.
7 Per un approfondimento storico si veda infra Par. 3.1.
8 È la tesi sostenuta nelle opere di X. XXXXXXX, L’imprenditore occulto, Padova 1954 e Difesa dell’imprenditore occulto, Padova 1962. V. inoltre X. XXXXXXX, Le società in generale. Società di persone, in Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da CICU-MESSINEO, Milano, 1972, pag 333-334, il quale però, più che di imprenditore indiretto, parla di attività di impresa imputabile ai soci individualmente e/o collettivamente considerati: “la qualità di imprenditore può essere riconosciuta loro (n.d.r. i soci) solo collettivamente, e che essi sono, perciò, solo collettivamente destinatari delle norme che la legge rivolge all’imprenditore.
applicheranno ad essi norme e gli istituti che riguardano l’essenza della qualità di imprenditore, come appunto il fallimento.
1.2 Il fallimento del socio ed il presupposto oggettivo dell’insolvenza
In relazione all’interpretazione che viene data al rapporto tra l’art. 147 l.f. ed il presupposto oggettivo dell’insolvenza, richiesto dall’art. 5 l.f.9 per la dichiarazione di fallimento, taluni intendono il fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile come conseguenza del suo stato personale di insolvenza, e lo stesso fallimento della società, e dunque dei soci, potrebbe essere dichiarato solo quando sia stata constatata l’insolvenza cumulativa o complessiva dell’una e degli altri10; altri invece sostengono che dall’insolvenza della società si ritiene, da un carattere puramente logico, l’insolvenza anche dei singoli soci11; o ancora che l’insolvenza dei soci deve essere presunta iuris et de iure, con l’esito che per dichiarare fallita la società sarà sufficiente valutare solo l’insolvenza della società stessa “per la realistica considerazione che il socio che non provvede in tempo al pagamento dei debiti sociali manifesta nel modo migliore la sua personale insolvenza; ed allo stesso tempo la sanzione del fallimento opera come un salutare stimolo per l’adempimento di quei debiti”12.
9 Ampliamente P.F. CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, a cura di X. XXXXXXXX, P.F. CENSONI, IIed, Padova, 2008, pagg.400- 402.
10 Si parla della c.d. “insolvenza globale” sostenuta da: X. XXXXXXXXX, Fallimento, cit. pag. 195ss; X. XXXXXXX, Responsabilità, cit., pag. 162; X. XXXXXXXX, Responsabilità, cit., pagg. 72 ss.
11 La c.d. “insolvenza reale” sostenuta da AULETTA, Fallimento dell’ex socio con responsabilità illimitata, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1954, 546.
12 Così X. XXXXX, Diritto Fallimentare, Padova, 1990 pag. 420.
1.3 Il carattere eccezionale del fallimento in estensione
La dottrina maggioritaria13 ha optato per ritenere l’art. 147 l.f. una norma di carattere eccezionale rispetto ai presupposti richiesti dagli artt. 1 e 5 l.f., in quanto non asseconda le interpretazioni che circoscrivono il socio illimitatamente responsabile come imprenditore individuale14, né considerano rilevante lo stato di insolvenza del socio per poter dichiarare il fallimento della società e di conseguenza del socio stesso.
Gli argomenti a sostegno sono da ricercare nel riconoscimento di una, anche se minima, soggettività giuridica della società, anche di persone15, che le attribuisce una autonomia patrimoniale distinta da quella dei soci che la compongono, e la elevano a centro di imputazione di interessi giuridicamente
13 Anche la giurisprudenza è concorde nel sostenere la negare la qualità di imprenditore al socio illimitatamente responsabile: Xxxx. 11 dicembre 2000 n. 15596; Cass. 30 gennaio 1995 n. 1106; Cass. 5 marzo 1987 n. 2311. Ed è concorde anche ad escludere l’irrilevanza della insolvenza del socio, per tutte v.: Xxxx. 13 settembre 1997, n.9075; Cass. 4 giugno 1992 n. 6852.
14 Di questo indirizzo sono: X. XXXXX, Manuale di diritto commerciale, a cura di X. Xxxxxxxx e G.B. Xxxxx, XIIed, 2004, Utet pag. 596: “ logicamente la estensione al socio automatica del fallimento della società al socio illimitatamente responsabile non si giustifica, non essendo il socio imprenditore come tale, e non essendo necessariamente insolvente il socio, in quanto sia insolvente la società” X. XXXXX, sub articolo 147, in Il nuovo diritto Fallimentare,commentario diretto da X. XXXXX, coordinato da XXXXXXX, Zanichelli, 2007, pag. 2171 il quale non solo contrasta la dottrina del socio come coimprenditore, ma anche quella del socio imprenditore indiretto:”…risulta tutt’altro che sicura l’esistenza nel nostro sistema di un criterio di imputazione della responsabilità per le obbligazioni di impresa fondato non su dati formali ma su situazioni, in fatto, di dominio o di direzione dell’impresa; MACCHIA, Il fallimento del socio illimitatamente responsabile, in Fallimento, 1994, 485.; RORDORF, Fallimento delle società, in Fallimento, 2004, 5, 477; X. XXXXXXXXXXX, Del fallimento delle società, in Codice del fallimento, diretto da XXXXXXX, BOCCHIOLA, PALUCHOWSKI, IVed, Xxxxxxx pag. 1579, la quale sottolinea altri due dati a sostegno della tesi dell’eccezionalità dell’art. 147 l.f.: “…il reclamo contro il fallimento promosso dal socio può essere fondato esclusivamente sulla carenza della sua qualità di socio, ma non sull’assenza della qualità di imprenditore commerciale, né sull’assenza della sua personale insolvenza (…); inoltre, la revoca del fallimento sociale comporta automaticamente la revoca del fallimento personale del socio anche si sia mancata specifica opposizione”.
15 X.XXXXXXX, Manuale di Diritto fallimentare, IVed., Torino, pagg. 739-740, il quale riconosce che l’autonomia patrimoniale è “un termine intermedio tra la soggettività piena e l’inesistenza della soggettività….ed è sufficiente per il diritto fallimentare a fare assumere la figura di soggetto e di parte del processo, pur non senza gravi diversità sostanziali e processuali, rispetto al soggetto fornito di soggettività piena”. Della stessa interpretazione anche X. XXXXX, Diritto Fallimentare, cit. pag. 31: “[…] esistono nell’ordinamento molteplici segni per i quali si deve concludere che nonostante la limitazione della personalità giuridica ad alcune specie tassativamente determinate, anche alle altre società è stata riconosciuta una sia pur non piena soggettività:e questo giustifica la norma, altrimenti assolutamente irrazionale, dell’articolo 147 [….]. Ammessa la soggettività della società, non vi è più posto per attribuire la qualifica di imprenditore al socio.”
rilevanti, “in quanto è essa che acquista diritti e assume obbligazioni (art. 2266 c.c.), deve essere iscritta nel registro delle imprese (art. 2296, 2315, 2317 c.c.), può essere titolare di diritti reali anche immobiliari (art. 2659 c.c.), agisce sotto una ragione sociale (art. 2292 e 2314)”16; ed ancora, nello specifico delle società di persone, si può parlare di soggettività anche nei loro confronti, in quanto vale la regola della preventiva escussione del patrimonio sociale prima di rivolgersi al patrimonio personale del socio illimitatamente responsabile (art. 2268 c.c.) e soprattutto, sulla base dell’art. 2272, comma 4, si mantiene in vita la società ridotta ad un solo socio purché nel termine di sei mesi venga ricostituita la pluralità.
Nella critica all’equiparazione tra gli status di imprenditore e socio, inoltre, si sottolinea come il potere di gestione dell’imprenditore individuale è sostanzialmente diverso rispetto a quello appartenente al socio illimitatamente responsabile all’interno di una società17, in quanto è inevitabile che nella direzione ed organizzazione della società il singolo socio non ha un libero e pieno potere, perché è comunque soggetto anche alle volontà degli altri soci; l’esercizio dell’impresa è una risultante dei compromessi delle singole volontà di ogni socio18. La stessa dottrina fa notare come non vi è alcun binomio tra gestione e responsabilità in quanto un socio illimitatamente responsabile nei confronti dei terzi rimane tale anche non essendo un socio amministratore
16 X.XXXXXX- X.XXXXXXX- X.XXXXXX, La riforma fallimentare. Lavori preparatori ed obiettivi, Xxxxxx, 0000,xxx. 122, nota 4.
17 Xxxxx non ammissibilità dell’equiparazione tra status di imprenditore e status di socio illimitatamente responsabile v. BARCELLONA-COSTI-GRANDE XXXXXXX, Della società in accomandita per azioni, articolo 2461, in commento al codice civile Scialoja-Xxxxxx Xxxxxxxxxx 2005, pag. 265ss: ”Sostenere che il fallimento dei soci a resp. ill. poggi su una presunta analogia della loro posizione di rischio e di potere rispetto a quella dell’imprenditore individuale non sembra più sostenibile. La responsabilità personale dei soci è sempre molto diversa rispetto a quella dell’imprenditore:questi risponde per debito proprio, il socio invece risponde per debito altrui. In secondo luogo è innegabile che la posizione di potere del socio è diversa da quella dell’imprenditore perché anche in regime di amministrazione disgiuntiva, il socio- amministratore è esposto al potere di opposizione di ogni altro socio e al potere di decisione della maggioranza […]”
18 X. XXXXX, Il fallimento del socio illimitatamente responsabile ,Milano, 1974, pag. 40.
(come accade nell’accomandatario di accomandita semplice, non amministratore).
Risulta sostanzialmente diverso anche il rischio di impresa che ricade sul socio illimitatamente responsabile19, rispetto a quello attribuito all’imprenditore individuale; quest’ultimo risponde per tutte le obbligazioni assunte nell’esercizio di impresa, senza alcun limite; mentre la responsabilità del socio illimitatamente responsabile potrebbe differenziarsi in due versanti, in quello esterno, nei confronti dei terzi creditori, per i quali il socio risponde per tutte le obbligazioni sociali; e nel versante interno, nei confronti degli altri soci, qualora fosse stato stipulato un accordo interno sulla limitazione della responsabilità, il socio che abbia ottemperato ai debiti sociali, potrà richiedere il “rimborso” di quanto da esso pagato20 oltre la quota di conferimento21.
Una parte di questa dottrina contesta anche la rilevanza dello stato di insolvenza22 del socio illimitatamente responsabile nell’istituto del fallimento in estensione, muovendo più critiche; come primo punto si pone in evidenza che nello stesso codice civile emerge una netta distinzione fra il patrimonio della società e patrimonio dei soci (ed anche distinzione tra obbligazioni sociali ed obbligazioni personali), negando che la dichiarazione di fallimento della società, e di conseguenza dei soci illimitatamente responsabili, sia pronunciata per una “insolvenza globale”, relativa a due patrimoni che devono rimanere distinti23. Come secondo punto, si esclude la possibilità di configurare una presunzione di insolvenza del socio illimitatamente responsabile perché è lo stesso tenore dell’art. 147 l.f. ad estendere il
19 X. XXXXX Xx, Investimento e Conferimento, Milano, 2001 pag. 142 e nota 48: secondo l’Autore il socio sopporta il rischio di impresa non in quanto socio illimitatamente responsabile ma in quanto “creditore”.
20 X. XXXXX, Il fallimento, cit. pag. 37-38; e X. XXXXX Xx. Investimento, cit. pag. 139-140 e nota 45 ove altri riferimenti.
21 Sulla base del secondo comma dell’art. 2291, i soci possono concludere un patto interno per stabilire la quota di partecipazione agli utili e alle perdite di ciascun socio, salvo il divieto di patto leonino ex art. 2265. 22 V. sopra par. 1.2
23 X. XXXXX, sub articolo 147 cit., pag. 2172 nota 15
fallimento al socio in modo “automatico”, prescindendo da qualsiasi accertamento tecnico e reale sulle capacità patrimoniali del socio.
Anche se la dottrina maggioritaria propende unitariamente, come descritto sopra, a considerare il fallimento in ripercussione come una eccezione ai presupposti del fallimento, sono varie le opinioni in relazione alla ratio dell’art. 147 l.f.. Vi è così chi sostiene che la disposizione si fonda sulla qualità in sé di socio illimitatamente responsabile24, altri sul carattere sanzionatorio della procedura25 ed altri ancora ritengono che il fallimento in estensione sia il mezzo più idoneo per garantire gli interessi dei creditori sociali che intervengono nella procedura concorsuale aperta a carico della società26. Non c’è, dunque, omogeneità di vedute in tal senso, al punto che taluni27 addirittura auspicano l’abrogazione dell’istituto in esame, come hanno già provveduto a fare, in tempi recenti, altri ordinamenti giuridici europei, quali quello della Spagna28 e della Francia29.
24 Così FERRARA-BORGIOLI, Il fallimento, Milano, 1995, pag. 716 ss
25 Così MAJELLO, Il fallimento del socio illimitatamente responsabile, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1956
26 In questo senso: X. XXXXX, Il fallimento, cit., ,pag 536ss; ID. sub articolo 147, cit., pag. 2173: “il fallimento costituisce sul piano dell’esecuzione lo strumento tecnicamente più idoneo, nel quadro improntato, almeno per ciò che riguarda le procedure concorsuali, alla tutela dei creditori commerciali per realizzare a carico dei soci la garanzia posta dalla legge a favore dei creditori sociali, senza lesione dei reciproci interessi di questi e senza ledere gli interessi dei creditori particolari”; dello stesso indirizzo sono: ampliamente X. XXXXXXXXX, Fallimento del socio e tutela dei creditori, Padova, 1996; FAUCEGLIA- PANZANI, Fallimento e altre procedure concorsuali, Vol. 2, Torino, 2009 pag. 1506; X. XXXXX. Manuale, cit. pag. 596: “ L’estensione automatica del fallimento della società al socio trova invece una giustificazione pratica, in quanto consente una più perfetta realizzazione della responsabilità sussidiaria del socio, attraverso l’applicazione nei di lui confronti della procedura concorsuale e conseguentemente di quei principi che mirano a garantire la par condicio creditorum”.
27 X. XXXXXXX, Interrogativi sull’attualità del fallimento in ripercussione dei soci, in Fallimento, 2009,9, 1039: “la dottrina più recente è orientata all’abrogazione del fallimento in estensione, suggerendo la sua sostituzione con un meccanismo che assicuri lo stesso risultato in modo più semplice e rapido”; della stessa prospettiva anche: XXXXX, sub articolo 147, cit. pag. 2169: “…sulle linee di riforma della disciplina delle procedure concorsuali, chi scrive aveva invitato a riflettere, in apicibus, sulla stessa opportunità, in assoluto, di eliminare dal nostro ordinamento tale principio-che non presenta alcun connotato di necessarietà- per sostituirlo con meccanismi che consentissero di raggiungere lo stesso risultato ma in modo più semplice, e quindi risultassero più coerenti con le esigenze di chiarezza di disciplina e di rapidità di svolgimento”
28 Soppressione ad opera della ley concorsual n. 22 del 9 luglio 2003, art. 48, n.5, che non ha più riprodotto l’art. 923 del codice di commercio previgente.
29 Ha abrogato l’istituto del fallimento in estensione, che era stato inserito nell’ordinamento giuridico francese nel lontano Code de Commerce napoleonico, con la legge 26 luglio 2005, in materia di difficultès des entreprises.
2. Presupposti. Tipi di società e tipi di soci
La disciplina del fallimento fa riferimento, nelle norme generali, all’imprenditore commerciale individuale, riservando solo poche norme alla disciplina del fallimento delle società, ossia gli artt. 146-154 del capo X della Legge Fallimentare, tralasciando invece l’enorme importanza che nel sistema capitalistico hanno assunto le imprese collettive. Per valutare il rapporto che si instaura tra società e socio illimitatamente responsabile che vi appartiene in sede di dichiarazione di fallimento ex art. 147 l.f., è opportuno analizzare le varie tipologie contrattuali di società e la disciplina relativa alla responsabilità dei soci per i debiti sociali, che il legislatore ha previsto nel codice civile.
L’attuale disciplina codicistica prevede nei titoli V e VI del libro quinto due differenti categorie di società per lo svolgimento di attività che abbiano finalità di lucro, ossia la categoria della società di persone e quella della società di capitali. Il legislatore, in particolare, ha previsto che qualora le parti vogliano creare una attività economica comune con scopo di lucro debbano far riferimento ai tipi contrattuali previsti dall’art. 2249 c.c.: “le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti di questo titolo”.
Il sistema delle società si presenta come un sistema chiuso, tipico, dove vi è l’impossibilità di creare società atipiche, proprio per la funzione che la società esplica e per la tutela dell’affidamento dei terzi. Il codice civile, come già detto, distingue nelle società lucrative due categorie: le società di persone e le società di capitali, le cui differenze vengono messe in evidenzia dallo stesso codice civile in ordine alla responsabilità dei soci che vi appartengono ed in ordine alla personalità giuridica ed all’autonomia patrimoniale presente.
2.1 La personalità giuridica e l’autonomia patrimoniale perfetta nelle società di capitali
Nel codice di commercio del 1882, l’art. 7730 riconosceva la personalità giuridica a tutte le società31, riconoscimento che aveva il fine di rafforzare il vincolo sociale32, così da impedire ai creditori individuali del socio di colpire la sua quota di conferimento, di evitare che il socio potesse cedere a terzi la quota medesima ed assicurare così un diritto di prelazione ai creditori sociali nei confronti del patrimonio sociale; il tutto a favore del vincolo sociale e di coloro che entravano in rapporto con la società, favorendone i commerci33.
L’attuale codice civile ha riservato la qualifica di persona giuridica alle sole società di capitali; si legge infatti all’art. 2231, comma 1: “con l’iscrizione nel registro delle imprese la società acquista la personalità giuridica”, avendo recepito gli inconvenienti che si erano creati con il riconoscimento ex art. 77 del codice di commercio del 1882, il quale era giudicato incongruo nel caso di società create e gestite da pochi soci, in cui l’attività d’impresa veniva svolta da essi personalmente34. Anche negli artt. 19, comma 2 e 145, comma
30 L’art. 77 recitava che le società in nome collettivo, società in accomandita e società anonima “sono enti collettivi distinti dalle persone dei soci”, il che diede luogo, nella dottrina del tempo ad una vivace disputa sul punto se tutte le società dovessero considerarsi persone giuridiche; la tesi maggioritaria era quella affermativa (per tutti X.XXXXXXX, La società semplice ,Milano, 1975)
31 Proprio questo riconoscimento a tutte le tipologie di società (principio ripreso dai codici francesi), fece nascere la diatriba dottrinale di cui sopra al par. 1 sull’esistenza o meno della qualità di imprenditore al socio illimitatamente responsabile, e nello specifico la dottrina allora maggioritaria si interrogava su come potesse essere dichiarato fallito in estensione il socio illimitatamente responsabile di una società a cui era stata riconosciuta la personalità giuridica, e dunque era essa stessa “imprenditore” unico soggetto del fallimento e non anche il socio.
32 Questo stesso fine non era stato raggiunto con il codice civile del 1865, in cui la società civile era una semplice comunione tra i soci, non facendo rilevare all’esterno l’esistenza di una vera e propria società con una sua autonomia. FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006 pagg. 171-172. Altri cenni storici sull’evoluzione dell’istituto della personalità giuridica si trovano in X. XXXXXXX, Limitazione di responsabilità, personalità giuridica e gestione societaria, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, Diretto da X. Xxxxxxxxx e G.B. Portale, Utet, 2006 pagg. 43ss
33 FERRARA-CORSI, Gli imprenditori, cit. pagg. 173-174
34 FERRARA-CORSI. Gli imprenditori, cit. pag. 188 dà alcuni esempi sugli inconvenienti che si venivano a creare con il riconoscimento della personalità giuridica alle società gestite personalmente da pochi soci.
2, del vigente codice di procedura civile35 si riconosce questa distinzione tra società “aventi” e società “non aventi personalità giuridica”.
Questa qualifica di “persona giuridica” comporta che le società di capitali – società per azioni, società a responsabilità limitata e società in accomandita per azioni – divengano un soggetto di diritto distinto dalla collettività dei soci, cioè un soggetto “terzo” rispetto ad essa: un centro autonomo di imputazione di interessi giuridici rilevanti, che capace di acquistare diritti, assumere obbligazioni (come debiti propri) e di stare in giudizio. Il legislatore ha optato per questo regime in quanto le società di capitali hanno una organizzazione complessa, con la presenza di numerosi soci36, il più delle volte non interessati alla gestione diretta della società: sarebbe stata una finzione considerarli responsabili dell’andamento degli affari sociali; aggiungendo poi che la quota del singolo socio è liberamente trasferibile, modificando continuamente la compagine sociale, si può notare come sarebbe stato difficilmente gestibile una simile tipologia di società se non vi fosse stato lo schermo della personalità giuridica37. Le conseguenze di questo particolare regime previsto per le società di capitali sono relative all’organizzazione di tipo corporativo che si attua al loro interno, di modo che vi è la necessaria presenza di una pluralità di organi (assemblea, organi di gestione e organi di controllo), i quali prendono le decisioni sulla base del principio maggioritario: il singolo socio può solo concorrere, con il suo voto in
35 I quali determinano rispettivamente:la sede ai fini della competenza per territorio ed i modi di notificazione alle “società aventi personalità giuridica”.
36 È legalmente riconosciuta la costituzione di società di capitali unipersonali, dove si deroga ad alcuni principi di organizzazione corporativa, pur rimanendo la qualifica di persona giuridica e di autonomia patrimoniale perfetta. Infra Cap. II par. 3.
37 FERRARA-CORSI,Gli imprenditori, cit., pag. 194; Ulteriori approfondimenti anche in: G.F. CAMPOBASSO, Manuale di Diritto Commerciale, IVed, Torino, 2007 pagg. 168-169; X. XXXXXXX, Diritto Societario, in collaborazione con X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxx, Padova, 2006, pagg. 10ss; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto commerciale, (a cura di) X. Xxxxxxxxx, VIed, Giappichelli Editore, pag 85; X. XXXXX, Manuale di Diritto Commerciale, (a cura di) X. XXXXXXXX G.B. FERRI, XIIIed, Utet, pagg. 316-318.
assemblea, alle designazioni dei membri degli organi di amministrazione e di controllo38.
Anche l’autonomia patrimoniale perfetta è un’ulteriore conferma dell’alterità soggettiva spettante alle società di capitali rispetto ai soci, infatti i beni conferiti dai soci diventano formalmente beni di proprietà della società, così da precludere che i creditori particolari dei soci possano far valere le loro ragioni nei confronti del patrimonio sociale, essendo questo giuridicamente appartenente ad un altro soggetto (la società appunto) e viceversa, i creditori della società non possono chiedere il pagamento del loro credito da parte dei soci, i quali mantengono la responsabilità limitata per le obbligazioni sociali. Sembrerebbe dunque, che la responsabilità limitata del socio39 di società di capitali sia una conseguenza della personalità giuridica e dell’autonomia patrimoniale perfetta, ma occorre una precisazione in ordine alle società in accomandita per azioni e società di capitali unipersonali; a queste tipologie di società l’ordinamento giuridico riconosce comunque i caratteri tipici, ossia la personalità giuridica e l’autonomia patrimoniale perfetta, prevedendo altresì la responsabilità illimitata al socio accomandatario nella s.a.p.a., quale socio
38 In X. XXXXXXX, Diritto Commerciale, Le società, XVed, Zanichelli Bologna, 2009 pag. 31, l’Autore sottolinea come il potere di gestire l’impresa spetta si al consiglio di amministrazione, e non ai soci, ma questo è solo un “…aspetto formale del fenomeno: di fatto il socio o i soci che detengono la maggioranza del capitale sociale (cd. gruppo di controllo o capitale di comando) nominano se stessi, o propri fiduciari, quali componenti del consiglio di amministrazione, con il risultato di assommare in sé, al di là della formale separazione fra diversi organi della società, tutte le prerogative di capo di impresa (….) la qualità di imprenditore è, formalmente, spersonalizzata; è riconosciuta alla società, unitariamente considerata, e non anche alle persone dei soci, con la conseguenza che i soci, anche quelli che detengono il capitale di comando e che sono nella sostanza economica autentici imprenditori.”. ID. Persone Xxxxxxxxxx, Commentario al Codice Civile Scialoja-Branca IIed Zanichelli,2006. ID, Diritto Civile e Commerciale,vol I, IVed, Cedam, pagg.193ss. Anche X. XXXXXXX, Diritto, cit., pagg 191-196. Contrario a questa indirizzo
G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, diritto delle società, 2, Utet, 2002, Ved pag. 45, nota 82.
39 Responsabilità per i debiti sociali limitata “al conferimento effettuato nella società”, così che in caso di dissesto della società il socio rischia solo quanto da lui conferito nel patrimonio della società e non l’intero suo patrimonio personale.
“istituzionalmente” tale e, ricorrendo alcune condizioni40, anche al socio unico di s.p.a e s.r.l.41.
2.2 La “soggettività” delle società di persone
Più complesso è il discorso riferito alle società di persone, alle quali, per volere del legislatore, è stata negata la personalità giuridica; allo stesso tempo, però, la legge ha soddisfatto le esigenze di tutela dei creditori sociali ed ha incentivato i soci a creare un’impresa collettiva attraverso specifiche disposizioni che hanno reso il patrimonio della società autonomo rispetto a quello degli stessi soci e soprattutto vincolato allo svolgimento dell’attività di impresa: alla società è stata dunque riconosciuta una autonomia patrimoniale42, seppur imperfetta. Questa “imperfezione” è legata al fatto che il patrimonio della società, anche se vincolato ad essa e diretto al fine dell’attività di impresa, è pur sempre soggetto, in determinati casi previsti espressamente dalla legge, all’azione dei creditori particolari del socio; quest’ultimi in linea generale non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi di un credito che vantano nei confronti del singolo socio, possono eventualmente solo rivalersi sugli utili spettanti al proprio debitore e compiere atti conservativi sulla quota in caso di liquidazione della società (art. 2270, comma 1); nella società semplice però, questa autonomia patrimoniale è resa più labile dalla disposizione dell’art. 2270, comma 2, in
40 Rif. Art. 2325, comma 2 e art. 2462, comma 2.
41 Secondo G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, cit., pag. 46, il socio unico e l’accomandatario illimitatamente responsabili rispondono per debito altrui, proprio per il riconoscimento della personalità giuridica nei confronti delle società a cui appartengono, e le norme che sanciscono i casi di questa responsabilità illimitata devono essere considerate “eccezionali”. Contrario X. XXXXXXX, Diritto, cit. pag. 34, il quale invece indica che la tipologia di responsabilità per le obbligazioni sociali non discende dalla presenza o meno della personalità giuridica, e quindi non dipende dal tipo di società che si è prescelto, bensì dal tipo di partecipazione sociale.
42 Per un riferimento storico all’autonomia patrimoniale v. XXXXXXX-XXXXX, Gli imprenditori,cit. pagg. 188-189
quanto si dà la possibilità al creditore personale del socio di ottenere la liquidazione della quota del proprio debitore qualora il patrimonio personale di quest’ultimo sia insufficiente a soddisfare il credito. Viceversa, i creditori della società non possono rivolgersi direttamente ai soci per l’adempimento dei loro crediti sociali, in quanto la loro responsabilità, oltre ad essere illimitata e solidale - rispondono cioè con tutto il loro patrimonio per i debiti della società, solidalmente tra di loro - è comunque una responsabilità sussidiaria in quanto il creditore sociale potrà rivolgersi al socio, solo se è stato preventivamente ed infruttuosamente escusso il patrimonio sociale, con la dovuta eccezione nel caso di società semplice, nella quale non è accordato automaticamente il beneficium excussionis, cosicché il creditore sociale potrà rivalersi direttamente sul patrimonio del socio-debitore43.
La dottrina, però, in relazione al regime che si viene a creare nelle società di persone attraverso il riconoscimento dell’autonomia patrimoniale imperfetta, non è concorde nel ritenere se quest’ultime debbano essere
43 Anche nella società semplice (e nella società in nome collettivo irregolare) opera il beneficium excussionis, “ma in via di eccezione” in quanto il creditore sociale potrà rivolgersi al socio prima ancora di escutere il patrimonio della società, ma spetta al socio invocare il beneficium excussionis individuando specificatamente su quali beni sociali il creditore istante possa soddisfarsi, qualora non dovesse provvedere a questa indicazione, sarà tenuto egli stesso ad adempiere al credito sociale: G.F. CAMPOBASSO, Diritto, cit., pag. 89.
44 X. XXXXX. Manuale di diritto commerciale,(a cura di) X.XXXXXXXX e G.B. XXXXX, Utet, 2012 pag. 268ss, parla di “comunione speciale caratterizzata dalla destinazione dei beni allo scopo”; ID. Le società,cit. pag. 81ss; FERRARA-CORSI, Gli imprenditori, cit. pag. 190:”tali beni sono bensì di proprietà dei soci, ma è una proprietà modificata, in quanto affetta da un onere di destinazione, dal quale non possono essere distolti, e pertanto restano distinti dagli altri beni dei soci”. Contra G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, cit, pag. 49.
considerate veri e propri centri di imputazione giuridica, oppure se questa loro “autonomia” si esaurisca nei soli confronti dell’autonomia patrimoniale.
In quest’ultimo senso, sono quegli Autori45 che rispettano la distinzione del legislatore tra società di capitali e società di persone in ordine alla personalità giuridica, con la conseguenza che le società di persone non hanno un’alterità soggettiva rispetto ai soci e non essendo un’entità distinta, altro non sono che i soci considerati collettivamente, ai quali spetta il potere di gestire l’impresa collettiva; è da imputare a loro la qualifica di imprenditori commerciali, o meglio di coimprenditori46; conseguenza di ciò è che tutti i diritti e le obbligazioni che scaturiscono dallo svolgimento dell’attività economica vanno a confluire direttamente nella sfera giuridica personale dei soci, i quali, risponderanno delle obbligazioni sociali per debito proprio47 e possono subire l’estensione del fallimento sociale ex art. 147 l.f..
Altri48, invece, sostengono che alle società di persone possa, comunque, riconoscersi una soggettività rispetto ai terzi, al pari delle società di capitali a cui è riconosciuta la personalità giuridica; questa dottrina si basa sui dati normativi, quali appunto, l’art. 2266, 1 comma, che stabilisce: “la società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi”, onde “la situazione nei rapporti esterni è sostanzialmente corrispondente a quella che consegue al riconoscimento della personalità giuridica. I rapporti con i terzi si
45 FERRARA-CORSI, Gli imprenditori,cit. pag. 193ss; X. XXXXXXX, Società personali, Padova, 1972,cit. pag. 225: “è esatto affermare che personalità giuridica e autonomia patrimoniale sono figure diverse, non coincidenti” pag. 226: “..così per le società personali, il fenomeno dell’autonomia patrimoniale importa che si possa distinguere tra il patrimonio sociale ed i patrimoni individuali, e tra le obbligazioni sociali e quelle personali, soltanto negli esatti, rigorosi limiti in cui il diritto positivo stabilisce la netta distinzione; all’infuori di quei limiti riprende a manifestarsi ogni effetto conseguente alla unicità della titolarità”
46 V. par. 1.2 cap. I
47 V. cap. II par. 1.1; X. XXXXXXXXX, Fallimento,cit., pag. 198; X. XXXXXXX, Responsabilità, cit, pag. 15ss e 81ss; X. XXXXXXXX, Responsabilità,cit., pag. 11.
48 D. REGOLI, L’organizzazione delle società di persone, in Diritto delle Società, Xxxxxxx 2006, pag 34; X. XXXXXXX, La società, cit. pag. 326-336;G.F. CAMPOBASSO, Diritto delle società, cit. pag 49; F. DI SABATO, Capitale e responsabilità,Napoli, 1967, pag. 310ss, il quale comunque non fa discendere la tipologia della responsabilità sulla base del riconoscimento o meno della personalità giuridica; X. XXXXX, Il fallimento, cit. pag. 563.
pongono con il gruppo sociale considerato nella sua unità, non con i singoli soci”49. Ed ancora, gli artt. 2270,comma 1, e 2305 c.c. rendono la condizione giuridica del patrimonio sociale corrispondente a quella del patrimonio di una società di capitali, in quanto, il primo esclude per la società semplice che il creditore particolare del socio possa agire sul patrimonio sociale, il secondo esclude per la società in nome collettivo, che egli possa chiedere la liquidazione della quota del socio debitore. Al pari delle società con personalità giuridica, si è riconosciuto all’art. 2659, comma 1, che anche la società semplice possa effettuare acquisti immobiliari e risultare come intestataria di immobili dai registri immobiliari. A tutto ciò si deve aggiungere che anche le società di persone hanno un proprio nome (artt. 2292 e 2314) ed una propria sede (art. 2295, comma 4), formalmente distinti da quelli dei soci. In relazione alla responsabilità dei soci, quest’ultimi sono illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, le quali rientrano direttamente nella sfera giuridica delle società e non in quella dei soci, i quali dunque risponderanno a titolo di garanzia e non per debito proprio.
Secondo l’analisi seguita da questo indirizzo dottrinale, le società personali si devono valutare come “soggetto collettivo non personificato, ipotizzato tertium genus”50 fra persone fisiche e persone giuridiche”51 in quanto, se è pur vero che il legislatore ha negato loro la personalità giuridica, ha comunque concesso un regime simile che le rende autonomi soggetti di diritto52.
49 Così : X. XXXXX, Delle società,cit. pag. 204 -205
50 G.F. CAMPOBASSO,cit.,pag 49.
51 Particolare è la posizione di X.XXXXXXX, Persone giuridiche, in Commentario al Codice Civile (a cura di) Scialoja-Branca, IIed, Zanichelli, 2006 pag. 3ss “il concetto di persona giuridica esprime solo le analogie ravvisabili tra la condizione giuridica di una organizzazione collettiva e la condizione giuridica della persona; e questa essendo la natura del concetto di persona giuridica, appare evidente come nulla garantisca che le discipline normative, di volta in volta evocatrici di questa analogia, siano tra loro identiche: esse danno vita, ciascuna, a situazioni giuridiche analoghe a quella della persona; e possono dar vita, le une, a situazioni giuridiche soltanto analoghe a quelle poste in essere dalle altre.
52 In giurisprudenza si è seguito questo indirizzo nelle sentenze: Cass. 8-1-1984, n. 5642 in Giur. Comm., 1985, II, 298 e 770: “la validità della fideiussione prestata da socio a favore della società in quanto garanzia
3. L’evoluzione della disciplina
Ogni istituto giuridico ha un fondamento storico dal quale non si può prescindere per poterlo meglio analizzare, interpretare e valutare. È quindi necessario un excursus storico riferito all’estensione del fallimento del socio illimitatamente responsabile, dalla sua origine, anche non normativa, all’attuale art. 147 l.f. riformato con il D.Lgs del 9 gennaio 2006 n. 5.
3.1 Il fallimento dei soci nell’età intermedia
L’origine del fallimento dei soci è da far risalire al Basso Medioevo con la societas mercatorum denominata nel linguaggio degli statuti “compagnia”53, la quale era regolata dallo ius mercatorum, che considerava la società come strumento per creare nuova ricchezza ed era perfettamente funzionale agli interessi generali della classe mercantile del tempo, la quale per espandere il volume di affari e prosperare aveva bisogno di procurarsi e conservare la fiducia dei terzi. Questi obiettivi vennero raggiunti attuando delle regole nei confronti della societas mercatorum, che la posero in contrasto rispetto alla società romanistica54, quali appunto a) l’attenuazione del dominio assoluto, da
per debito altrui”; Cass. 24-7-1989, n.3498, in Foro it., 1990, I, 1617: “ titolare dei beni sociali è la società e non i soci collettivamente”; Cass. 28-1-1993 n.1027, in Xxxx.xx, 1993, I, 1, 1201 “i beni conferiti passano in proprietà della società”
53 Per il significato di “compagnia” – “cum panis” vedi X. XXXXXXXXXX, Per la storia del fallimento nelle legislazioni italiane dell’età intermedia, in Studi di Diritto privato e straniero. Vol IX, Padova, 1964 , pag 174 ss.
54 La società di diritto romano, infatti, era fondata sul principio per cui l’atto del singolo socio, anche se compiuto nell’interesse della società, non obbligava che colui che aveva agito senza vincolare minimamente nei confronti dei terzi gli altri soci. Dunque la partecipazione di un soggetto al contratto di società esponeva il socio ad una responsabilità interna nei confronti degli altri soci, ma non comportava una sua responsabilità diretta nei confronti dei terzi. A queste condizioni quindi, il terzo che era entrato in rapporto con il socio, aveva la sua solo garanzia, non potendo vantare nessun diritto nei confronti di altri soci, pur legati dal vincolo di società.
parte dei soci, su una parte dei loro beni, imprimendo su quelli destinati all’esercizio dell’attività commerciale un vincolo di destinazione al soddisfacimento preferenziale dei crediti societari (ponendo quindi le basi per la differenzazione tra i creditori sociali e i creditori particolari del socio); b) i soci rispondevano illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni contratte nell’esercizio dell’attività mercantile comune, anche se assunte da uno solo dei soci all’insaputa degli altri, e questo sortiva il benefico effetto della conquista della fiducia dei terzi; c) ogni socio aveva il potere dell’amministrazione disgiunta, in forza del quale ogni socio poteva agire per conto della società ed impegnare tutti gli altri soci anche quando aveva compiuto l’operazione commerciale all’insaputa di questi ultimi55. Il fallimento colpiva solo ed esclusivamente i soci, non esisteva né l’istituto del fallimento sociale né tantomeno il fallimento in estensione: aveva dunque rilevanza la sola insolvenza del socio, il cui segno esteriore era in genere la sua fuga, tanto che l’espressione debitur fugitivus era sinonimo di debitore insolvente e bastava la fuga di un solo socio-debitore per estendere il fallimento anche agli altri soci, senza necessità di accertare nei loro confronti la personale insolvenza56.
Secondo questa ricostruzione dunque, l’embrione dell’estensione del fallimento del socio illimitatamente responsabile inizia proprio dal Basso Medioevo con le caratteristiche che ho appena elencato.
3.2 Il Codice di Commercio
Per poter vedere, però, il suddetto principio trasformato in legge bisogna attendere le codificazioni dell’800; e per prima fu la Francia dell’epoca napoleonica, che nell’art. 440, comma 2 e nell’art. 452 del Code de Commerce
55 X. XXXXXXX, Fallimento delle società, cit., pagg. 146ss.
56 X. XXXXXXX, in ibidem; altri riferimenti in X. XXXXXXXXXX, Per la storia del fallimento, cit.
del 1807, stabilì che in caso di fallimento di una società in nome collettivo, la dichiarazione di fallimento doveva contenere il nome e l'indicazione del domicilio di ciascuno dei soci obbligati in solido e i sigilli dovevano essere apposti, oltre che allo stabilimento della società, anche nel domicilio dei predetti soci obbligati in solido57. Lo stesso istituto è stato inserito nel primo codice di commercio del Regno di Italia del 186558, che ha praticamente tradotto in italiano le citate disposizioni del codice napoleonico, come si può constatare leggendo l'art. 544, il quale stabiliva che la dichiarazione di cessazione dei pagamenti dovesse contenere il nome e cognome, la residenza o il domicilio di ciascun socio obbligato in solido; l'art. 551, il quale disponeva che il nome dei soci tenuti in solido fosse iscritto nell'albo dei falliti; e l'art. 563, il quale ordinava che i sigilli fossero apposti, oltre che allo stabilimento principale della società ed agli altri stabilimenti sociali, anche alle case di abitazione di ciascun socio in solido59. In tali disposizioni, dettate per il caso di fallimento delle società in nome collettivo, il fallimento dei soci illimitatamente responsabile non era previsto espressamente, ma la dottrina e la giurisprudenza lo avevano ricavato quasi automaticamente. Lo stesso principio fu poi inserito nel Codice di Commercio del 1882 all’art. 847, che estendeva il fallimento anche alla società in accomandita oltre a quella in
57 Questo il testo dei citati artt. del Code de commerce: art. 440, secondo comma: “En cas de faillite d'une société en nom collectif, la déclaration du failli contiendra le nom et l'indication du domicile de chacun des associés solidaires”; art. 452: “Si la faillite est faite par des associés réunis en société collective, les scellés seront apposés, non seulement dans le principal manoir de la société, mais dans le domicile séparé de chacun des associés solidaires”.
58 Il quale fu l’estensione del codice di commercio del Regno di Sardegna.
59 Questo il testo degli articoli citati: art. 544, "Nel caso di fallimento di una società in nome collettivo, la dichiarazione conterrà il nome, il cognome e l'indicazione della residenza o del domicilio di ciascun socio obbligato in solido... "; art. 551, quinto comma: "Il nome del fallito, e se trattasi di società caduta in fallimento, i nomi dei soci tenuti in solido, sono e rimarranno scritti, durante la loro vita, in un albo affisso nella sala del tribunale che dichiarò il fallimento e nelle sale delle borse di commercio, salvo il disposto degli articoli 631 e 652 "; art. 563, secondo comma: "Nel caso di fallimento di una società in nome collettivo, i sigilli sono apposti allo stabilimento principale della società, agli altri stabilimenti sociali, e alle case di abitazione di ciascun socio obbligato in solido ".
3.3 La legge fallimentare del 1942
L’art. 847 del codice del 1882, come ho appena accennato, comportò accesi dibattiti, i quali condussero ad escludere, nel “Progetto del codice di commercio” della sottocommissione reale D’Amelio del 1925, che i soci illimitatamente responsabili dovessero fallire, lasciando che solo la società (a cui si proponeva di riconoscere la personalità giuridica) potesse fallire e, contestualmente, autorizzando il curatore a pignorare i beni dei singoli soci per poi sottoporli, solo dopo la chiusura della liquidazione dell’attivo, alle esecuzioni individuali come obbligati solidali della società fallita, qualora la ripartizione dell’attivo fosse risultata insufficiente alla copertura della massa passiva. Contrariamente a quanto auspicato nel progetto di riforma del 1925, vi fu, invece, un decisivo cambio di rotta da parte del legislatore del 1942, che ribadì nell’art. 147 del X.X. 00 marzo del 1942 n. 267 il medesimo principio del precedente art. 847: “la sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabilità”; tale disposizione, però, ha ulteriormente ampliato l’ambito di applicazione rispetto alla precedente61, a causa del generico riferimento alle “società con soci a responsabilità illimitata”. Il dibattito dottrinale sull’iniquità dell’istituto del fallimento in ripercussione non
60 Per l’analisi della questione x. xxx 0 xxx. X
00 Infatti, il precedente articolo andava a precisare solo il fallimento delle società in nome collettivo e con la giurisprudenza si è ampliato il principio alle società in accomandita semplice.
è andato ad affievolirsi neanche con l’esclusione, ad opera dello stesso Xxxxxx Xxxxxx, della personalità giuridica per le società di persone.
3.4 La riforma del D.Lgs del 9 Gennaio 2006 n°5 e D.Lgs. del 12 Settembre 2007 n°169
La legge fallimentare del 1942, nata già lacunosa sotto certi aspetti, è divenuta, con il trascorrere degli anni, del tutto inadeguata; sia per le modifiche apportate alla disciplina delle società nel 2003, sia a causa della continua evoluzione del sistema economico. In primis, la legge fallimentare del 1942 è stata elaborata principalmente per la figura dell’imprenditore individuale, come dimostrano le poche e scarne disposizioni dedicate al fallimento delle società (dall’art 146 all’art 154 l.f), comportando, come conseguenza, una totale incapacità da parte della legge e degli stessi operatori ad adeguare la legge fallimentare al mutato sistema economico, il quale è ormai incentrato sulla presenza, in maggioranza, delle società commerciali, rispetto alle imprese individuali. Per altro aspetto poi, la riforma che nel 2003 ha modificato in parte la disciplina delle società commerciali, ha portato il legislatore a dover adeguare necessariamente anche la disciplina delle procedure concorsuali62. Un terzo aspetto, non di poco conto, riguardava l’esigenza di superare lo stampo sanzionatorio che caratterizzava la legge fallimentare e il disinteresse per l’obiettivo della conservazione delle imprese63. Le riforme del 2006, e del 2007 hanno cercato di ovviare ai suddetti
62 Si veda soprattutto la lacuna creatasi con la legge delega n. 366 del 2001 (poi convertita nel D.Lgs del 17 Gennaio 2003 n. 6 “Riforma organica della disciplina della società di capitali e società cooperative”) che concesse ex art. 2361, secondo comma, c.c., la possibilità da parte delle società di capitali di divenire socio illimitatamente responsabile di una società di persone, ed il contestuale silenzio dell’art. 147 l.f. sulla possibilità di ampliare l’ambito di applicazione dell’estensione del fallimento anche nei confronti di una società-socia; lacuna che si è risolta proprio grazie alla riforma del 2006 che ha inserito il fallimento in ripercussione anche per le “persone non fisiche” (vedi infra cap III).
63 Nel senso di mitigare il carattere sanzionatorio anche e soprattutto nei confronti dell’imprenditore fallito
x. XXXXXXXXX, Le procedure concorsuali, problemi di una riforma, Padova, 2004, pagg. 39ss
problemi, in parte risolvendoli e in parte tralasciandoli (con grande delusione per la dottrina e gli operatori delle procedure esecutive).
CAPITOLO II
LA RESPONSABILITA’ ILLIMITATA, SOLIDALE E SUSSIDIARIA DEI SOCI
1. Le società di persone
In questo capitolo si esaminerà la posizione dei soci illimitatamente responsabili nei confronti delle società a cui appartengono: sulla premessa che questa tipologia di soci non è una prerogativa solo delle società di persone, ma può trovarsi anche nelle società di capitali, nello specifico nella società in accomandita per azioni e nelle società di capitali unipersonali.
Come già esposto sopra (v. cap. I par. 2) le società di persone, e cioè la società semplice, la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice, sono caratterizzate dalla presenza necessaria di soci a responsabilità illimitata, solidale e sussidiaria, anche se con le diversità stabilite ex lege che andrò ad analizzare64.
1.1. La società in nome collettivo
64 Nell’esposizione che segue non verrà trattata la società semplice non essendo una società commerciale (art. 2249, comma 2, “le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività diversa sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice”) e di conseguenza non è suscettibile di fallimento (art. 147 l.f. “la sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV, VI del titolo V del libro quinto..”
65 Vedi FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano XIIIed, pag. 309 dove indica come la legge non abbia previsto espressamente quando si debba costituire una snc e che la sua scelta non deve ricadere sulla responsabilità illimitata dei soci essendo quest’ultimo un dato tipico di tutte le società di persone. Per lo stesso dubbio v. X.XXXXXXXXX, Società in nome collettivo, in Il codice civile. Commentario diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano 1995, pag 4 ss
quanto è lo stesso legislatore che prevede all’art. 2249, comma 1 che “Le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti di questo titolo”. Nello specifico della responsabilità, in questo tipo di società tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali66 e la natura di questa tipologia di responsabilità è al centro di una discussione tra i vari interpreti, in quanto da una parte vi è chi considera i soci come direttamente responsabili insieme alla società delle obbligazioni assunte, allora per debito proprio, e chi, viceversa considera i soci come fideiussori67, responsabili delle obbligazioni della società in modo indiretto, ossia sulla base di una responsabilità per debito altrui; quest’ultima ricostruzione si basa, fondamentalmente, sul credito di regresso68 che sorge nei confronti della società in capo al socio che ha provveduto ad adempiere al debito sociale69, allora altrui, non potendo altrimenti avere ragione di esistere il credito di
66 Art. 2291cc “nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. Il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi”
67 Analisi dell’istituto della fidejussione e la sussidiarietà della responsabilità dei soci in F. DI SABATO, Capitale e responsabilità interna nelle società di persone, Xxxxxx Editore, Napoli, 1967 pag. 348ss. Contrariamente X. XXXXX, Manuale di diritto commerciale, XIIed Utet rist.2004, pag.278: “il carattere sussidiario della responsabilità non deve portare a considerare i soci come fideiussori solidali della società. A parte che al fideiussore non compete, se non in virtù di un patto espresso, il beneficio di escussione e per contro il socio non è liberato nell’ipotesi dell’art.1955 c.c., ne ha diritto di essere rilevato nei casi previsti dall’articolo 1953 c.c, l’obbligo del fideiussore sorge in virtù di un rapporto autonomo che si pone direttamente con il creditore, mentre la responsabilità del socio sorge per effetto della particolare struttura del rapporto sociale, dalla quale deriva che, sotto determinati presupposti, l’obbligazione della società grava anche sui soci.”
68 Al socio che ha pagato un debito sociale deve essere riconosciuto il diritto di regresso, non solo “pro- quota” nei confronti degli altri soci, ma anche per l’intero nei confronti della società: X. XXXXX, Delle Società, in Commentario del Codice Civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx XXXxx Bologna-Roma 1981 sub art. 2267, pag. 221: “ Creditori sociali sono coloro che a qualunque titolo hanno acquistato diritti nei confronti della società. Può essere creditore sociale anche il socio: ciò avviene ad es. quando il socio abbia pagato di proprio un debito della società…”.
69 X. XXXXX Xx, Investimento, cit., pagg. 137-142. L’Autore oltre a sottolineare come l’adempimento del debito sociale da parte del socio illimitatamente responsabile sia un adempimento per debito altrui, sottolinea (nota n.47 pag. 142) che successivamente al pagamento dell’obbligazione da parte del socio, non vi è una diminuzione delle passività della società (le quali rimangono invariate), bensì una modifica nella titolarità del credito, sostituendosi al creditore originale il socio adempiente, confermando quindi il diritto all’azione di regresso del socio verso la società.
regresso verso la società70. Il punto centrale di questa discussione sta proprio nella caratteristica della sussidiarietà della responsabilità, enunciata dall’art. 2304c.c.71, a mente del quale il socio risponde delle obbligazioni sociali ma solo dopo che sia stato infruttuosamente escusso il patrimonio sociale72, e se per una parte della dottrina, la sussidiarietà significa responsabilità indiretta per le obbligazioni sociali, per altra parte, invece, non vi è alcuna incompatibilità tra la sussidiarietà e la responsabilità diretta, come se le obbligazioni sociali fossero “proprie”73; secondo altra dottrina74, ancora, la responsabilità del socio per le obbligazioni sociali è una conseguenza del suo potere di amministrazione, diretto e personale, che caratterizza appunto questo tipo di società: è il socio che si fa carico della direzione e del rischio che ne
70 Ritengono che il pagamento del debito sociale da parte del socio illimitatamente responsabile sia un pagamento per debito altrui in virtù del credito di regresso che lo stesso socio vanta nei confronti della società, anche: X. XXXXXXXXX, L’apporto nel contratto di società, Padova, 1968 pag. 47: “..quando il socio ha pagato qualche cosa oltre il limite del proprio conferimento..la società deve subito rimborsare il di più”; F. DI SABATO, Capitale, cit., pagg. 316-319
71 Art. 2304 c.c.: “ i creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dei singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”.
72 Il c.d. beneficium excussionis che opera pienamente nelle snc, opera in “via di eccezione” nella società semplice, dove il creditore sociale può rivolgersi ai patrimoni dei soci anche senza aver preventivamente esperito alcuna azione contro il patrimonio sociale; spetta quindi ai soci indicare su quali beni i creditori posso far valere i loro crediti (si veda Cap. I pag. 14 nota 44); anche X. XXXXXXXXX, op. cit. pag 364; ID. Le società, disposizioni generali, sub art. 2247-2250, in Commentario al codice civile diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, pag. 207 nota 10..
73F. VASSALLI, Responsabilità di impresa e potere di amministrazione, Xxxxxxx, Milano 1973 pag. 56: l’Autore pone la responsabilità del socio illimitatamente responsabile sullo stesso piano dell’imprenditore individuale in quanto “entrambi sono assoggettati alla disciplina penalistica secondo l’art. 222 l.f., che ne vincola la destinazione alle sorti dell’impresa sociale. La responsabilità del socio diviene in tutto analoga alla responsabilità dell’imprenditore, non solo e non tanto per quelle che ne sono le conseguenze processuali (soggezione al fallimento), ma per la sostanza: e dunque per la natura e l’intensità del rischio.”
X. XXXXXXX, Società personali,, pag. 226: l’Autore qualifica la responsabilità dei soci delle società di persone in responsabilità per debito proprio, in quanto non riconosce alcuna soggettività giuridica alle suddette società, infatti:”la responsabilità del socio accomandatario della società in accomandita per azioni ha una natura giuridica diversa dalla responsabilità dell’accomandatario della accomandita semplice, in quest’ultimo caso infatti il socio è responsabile per debito proprio; mentre nel primo caso è responsabile per debito altrui (della società persona giuridica) e pertanto va qualificato come fideiussore ex lege della società”.
74G. XXXXX, Delle società, commento all’art 2295, in commentario Scialoja-Branca 1987; DENOZZA, Responsabilità dei soci e rischio di impresa nelle società di persone, Xxxxxxx, Milano 1973 pagg. 4ss:”la posizione del socio non differisce da quella dell’imprenditore. Su entrambi grava la responsabilità per l’andamento dell’impresa; responsabilità intesa nel senso di sopportazione delle conseguenza derivanti dall’esplicazione dei poteri di direzione e di controllo che il contratto e la legge attribuiscono all’imprenditore…la somiglianza tra i due istituti considerati si esaurisce nel dato per cui la responsabilità del socio, come quella dell’imprenditore individuale si estende oltre i beni direttamente impiegati nel processo produttivo per investire anche quelli che una tale destinazione non abbiano avuta” .
deriva; si parla infatti di società intuitu personae; è il socio amministratore che gestisce l’impresa ed i rapporti con i terzi e per questo si deve collegare a lui la responsabilità delle obbligazioni sociali qualora avesse gestito in maniera inadeguata l’attività commerciale, ricollegando il dovere del socio alla partecipazione alle perdite ex art. 2263 c.c.; in realtà però la responsabilità dei soci nelle società di persone non ha nulla a che vedere con il dovere di partecipazione alle perdite in quanto la prima ha rilevanza esterna mentre il disposto dell’art. 2263 c.c. ha efficacia all’interno della società. E’, ancora, lo stesso art. 2291 c.c., che nel secondo comma pone il divieto del patto di limitazione della responsabilità nei soli confronti dei terzi75 (e di conseguenza il divieto di rendere inopponibile il patto di limitazione in sede di estensione del fallimento ex art.147 l.f.), ad ammettere implicitamente che nei rapporti interni tra i soci vi possano essere patti che comportino differenza tra di loro in ordine al regime della responsabilità76. In tal modo, nessun socio, anche se limitatamente responsabile in base ad un patto interno, potrà rifiutarsi di adempiere alle obbligazioni sociali richieste dai creditori sociali77.
Qualora i soci optassero per un patto interno di limitazione della responsabilità, sorgerebbero dei problemi in relazione all’identificazione del tipo di società che si verrebbe a creare effettivamente tra i soci stessi: trattandosi di verificare se un’eventuale patto di limitazione interno possa modificare o meno la tipologia di società costituita, o ancora, poi se il patto possa avere come oggetto non solo una limitazione della responsabilità ma
75 D. REGOLI, L’organizzazione delle società di persone, in AA.VV Diritto delle Società, Manuale Breve,
Milano, 2006 pag. 39
00 X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx cit., pag. 62, giustifica la responsabilità del socio per debito proprio sulla base dell’art. 2291 c.c.: “la responsabilità illimitata, anche se sussidiaria, del socio nei confronti dei creditori è per debito proprio, perché se fosse per debito altrui, non varrebbe l’art. 2291 che esclude la validità dei patti interni nei confronti dei terzi”.
77 Salvo poi richiedere quanto da lui adempiuto agli altri soci sulla base o del patto di limitazione tra di loro in atto, oppure sulla base dell’art. 2263 cc dettato in tema di ripartizione dei guadagni e delle perdite.
1.2 I creditori particolari del socio
Nello specifico, è nell’art. 2305 c.c. che si stabilisce l’inviolabilità della quota conferita dal socio fintanto che dura la società. Questa indisponibilità della quota discende dalla attribuzione alla società in nome collettivo (e alla società in accomandita semplice80) di una autonomia patrimoniale, seppure imperfetta, la quale comporta la separazione tra patrimonio sociale e patrimonio personale dei singoli soci, anche se con delle interferenze, nel senso che “i conferimenti dei soci e i loro successivi incrementi sono vincolati a quella specifica destinazione che è l’esercizio dell’impresa sociale”81.
Ciò comporta che i creditori sociali, come già esposto, faranno valere i loro crediti nei soli confronti del patrimonio sociale e solo dopo la vana escussione di quest’ultimo potranno rivolgersi ai soci; di contro, il creditore
00 X. XXXXXXXXX, sub artt.2291, cit. pagg. 9-10.
79 X. XXXXXXX, Le società di persone, cit, pagg. 395-396.
80 Una totale indisponibilità della quota di conferimento non viene invece riconosciuta alla società semplice ex art. 2270 c.c. “ il creditore particolare del socio, finché dura la società, può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione (….) il creditore particolare del socio può inoltre chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore”
81 Così X. XXXXXXX, Le società di persone, pag. 396. Si veda anche Cap. I pagg. 16ss.
particolare del socio non potrà pretendere di far adempiere alla società il suo credito. La tutela delle aspettative del creditore personale del socio è assicurata da alcune specifiche regole, che da un lato salvaguardano l’insensibilità del patrimonio sociale rispetto alle vicende personali dei soci ma, dall’altro, consentono al creditore personale di tutelare le ragioni del proprio credito verso il socio, legittimandolo alla promozione di azioni esecutive sugli utili eventualmente spettanti al socio suo debitore (art. 2270, comma 1 c.c.), oppure alla promozione di atti conservativi sulla quota spettante al socio in caso di liquidazione della società (artt. 2905 c.c. e 2906 c.c.).
La responsabilità illimitata, sussidiaria e solidale dei soci non è quindi intaccata dalle vicende derivanti dalla presenza di un eventuale creditore personale del socio, pur in presenza di una autonomia patrimoniale imperfetta.
1.3 La società in accomandita semplice
Accanto alla società in nome collettivo, il legislatore ha previsto anche un ulteriore tipo di società a carattere personale, ossia l’accomandita semplice. La particolarità di questa società sta nella compresenza di entrambe le tipologie di responsabilità per i soci82, ossia, la responsabilità illimitata, solidale e sussidiaria per i soci accomandatari e la responsabilità limitata (al pari dei soci di società di capitali) al conferimento della quota sociale per i soci accomandanti.
I primi hanno un trattamento identico a quello dei soci di una s.n.c., in base al disposto dell’art. 2318 c.c., primo comma: “I soci accomandatari
82 FERRARA- CORSI, Gli imprenditori e le società , XIIIed, Milano, pagg. 329-330 vi è una breve analisi storica sulla nascita delle società in accomandita semplice.
hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo”; il secondo comma dello stesso articolo stabilisce inoltre che: “l’amministrazione della società può essere conferita soltanto ai soci accomandatari”, salvo l’ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 2323 c.c., che prevede la nomina da parte degli accomandanti, qualora fossero venuti meno tutti gli accomandatari, di un amministratore provvisorio il quale non acquista la qualità di socio accomandatario.
Discorso a parte per i soci accomandanti, i quali sono invece obbligati solo al conferimento e rispondono nei confronti dei terzi limitatamente alla quota conferita. Al beneficio della limitazione della responsabilità patrimoniale fa, tuttavia, da pendant una ferrea esclusione degli accomandanti dall’amministrazione della società, espressamente riservata ai soci accomandatari secondo quanto stabilito dal secondo comma dell’art. 2318 c.c.: “L’amministrazione della società può essere conferita soltanto ai soci accomandatari” e dall’art. 2320 c.c., comma 1: “I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari”. In caso di violazione del divieto di immistione nella gestione, interna od esterna, dell’impresa, il legislatore ha previsto una particolare sanzione, quale appunto la perdita del beneficio della responsabilità limitata, rendendolo responsabile verso i terzi e solidalmente con gli accomandatari, per tutte le obbligazioni sociali, sia passate che future (art. 2320 c.c.: “[…]Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali”). Si perde la responsabilità illimitata anche nel caso in cui l’accomandante consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, come prevede l’art. 2314, comma 2 c.c. Questa sanzione patrimoniale nei confronti dell’accomandante che si è ingerito nell’amministrazione ha però risvolti solo nei confronti della garanzia dei
Il socio accomandante, che diviene per le cause appena esposte socio illimitatamente responsabile, non si trasforma in socio accomandatario.
Il divieto di immistione per la s.a.s. regolare non arriva però al punto di escludere radicalmente i soci accomandanti dalla possibilità di contribuire in qualsivoglia misura allo svolgimento dell’attività sociale. Per questo la legge riconosce loro taluni diritti amministrativi, che possono consentire una sia pur marginale partecipazione attiva al funzionamento della società. Innanzitutto, essi possono concorrere alla nomina e alla revoca degli amministratori, possono trattare e concludere affari, sotto le direttive degli amministratori, in nome della società sulla base di una procura speciale per singoli affari, oppure prestare la propria opera, sempre sotto la direzione degli amministratori e senza alcuna autonomia o indipendenza negoziale; ancora, possono dare, nei casi previsti dall’atto costitutivo, autorizzazioni o pareri per determinate operazioni e soprattutto possono compiere atti di ispezione e di sorveglianza, sempre se l’atto costitutivo lo consente.
2. La società in accomandita per azioni
La società in accomandita per azioni è fatta rientrare nella tipologia di società di capitali84, delle quali ha le caratteristiche principali, come appunto la personalità giuridica e l’autonomia patrimoniale perfetta; al pari della società in accomandita semplice, si caratterizza per la presenza istituzionale di due categorie di soci: gli accomandatari, che rispondono solidalmente ed
83 X. XXXXXXX, Le società in genere,in Diritto civile e commerciale, Padova, IVed pag. 441: ritiene invece che la perdita del beneficio di responsabilità limitata operi anche nei rapporti interni 84L’inquadramento della s.a.p.a. nel tipo di società di capitali è stata a lungo soggetto a critica, per un esame del dibattito rinvio a BARCELLONA-COSTI-GRANDE XXXXXXX, Società in accomandita per azioni, in Commentario del Codice Civile (a cura di) X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma 2005 pag. 1ss
illimitatamente per le obbligazioni sociali e sono di diritto amministratori della società; e gli accomandanti, che sono obbligati verso la società nei limiti della quota di capitale sottoscritto. Per il resto la disciplina è comunque modellata su quella della società per azioni sulla base del disposto dell’art. 2454 c.c.: “Alla società in accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società per azioni in quanto compatibili con le disposizioni seguenti”.
Nello specifico, i soci accomandatari sono amministratori di diritto ai sensi dell’art. 2455 c.c.: “I soci accomandatari sono di diritto amministratori e sono soggetti agli obblighi degli amministratori delle società per azioni”. Dunque nella s.a.p.a. vi è un nesso indissolubile tra la qualità di socio accomandatario, la carica di amministratore e la responsabilità solidale e illimitata per le obbligazioni sociali; nella dottrina però vi sono stati alcuni dibattiti sulla natura della qualifica dell’accomandatario come socio illimitatamente responsabile, se cioè il potere di amministrare la società è la causa della responsabilità illimitata e dunque della qualità di accomandatario85; oppure se il potere di amministrazione sia la conseguenza della qualità di socio accomandatario86. A prescindere comunque dalla diatriba dottrinale, il legislatore ha previsto questo nesso indissolubile tra la qualità di amministratore e lo status di socio, non solo nell’art. 2455, comma 2 c.c. ma anche nell’art. 2457, comma 2 c.c. ove si stabilisce che il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento dell’accettazione della nomina: viene dunque escluso che possano essere amministratori soggetti diversi dagli accomandatari.
La responsabilità del socio accomandatario è disciplinata dall’art. 2461 c.c.: “La responsabilità dei soci accomandatari verso i terzi è regolata dall’art. 2304 c.c.. Il socio accomandatario che cessa dall’ufficio di amministratore non
85 Di questo orientamento è BARCELLONA-COSTI-GRANDE XXXXXXX, Società, cit. pagg. 175ss.
86 Di questo orientamento è FERRARA CORSI, Imprenditori, cit. pag 878.
risponde per le obbligazioni della società sorte posteriormente all’iscrizione nel registro delle imprese dalla cessazione dell’ufficio”. Il primo comma richiama la responsabilità sussidiaria del socio in materia di s.n.c., di modo che i creditori sociali potranno richiedere il pagamento delle obbligazioni della società nei confronti dei soli soci accomandatari solo dopo aver escusso il patrimonio sociale (cd. beneficium excussionis). Nel secondo comma si prevede l’esclusione della responsabilità dell’accomandatario per le obbligazioni sorte successivamente all’iscrizione nel registro delle imprese della cessazione dell’ufficio, senza però nulla prevedere circa quelle sorte prima della nomina e dell’accettazione dell’incarico; parte della dottrina in merito ritiene che l’accomandatario non risponda delle obbligazioni anteriori alla sua nomina per il mancato richiamo all’art. 2269 c.c.87, il cui dettato normativo prevede che chi entri a far parte di una società semplice già costituita risponda per le obbligazioni anteriori all’acquisto della qualità di socio. Altra parte della dottrina, invece, fa discendere questa esclusione di responsabilità per le obbligazioni precedenti in quanto quest’ultima proviene solo dalla compresenza dello status di accomandatario e amministratore88. Vi è poi chi ammette che vi sia responsabilità illimitata del socio accomandatario, per fatti e atti anteriori all’accettazione dell’incarico, sulla base dell’art. 147 della legge fallimentare riformata dal d.lgs 5/2006, che ha fatto espresso richiamo al socio accomandatario della s.a.p.a.89 per il fallimento in estensione al socio.
87 X. XXXXX Xx., Società di Capitali, in Commentario a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxx d’Alcontres, Napoli 2004, III, pag. 1337
88 BARCELLONA COSTA GRANDE XXXXXXX, Società, cit. pagg. 252ss.
89 In questo senso FERRARA-CORSI, Imprenditori, cit. pagg. 883-884.
3. Il socio unico nelle società di capitali
I soci della società per azioni e della società a responsabilità limitata sono tutti (senza distinzioni, peculiarità invece della società in accomandita per azioni) istituzionalmente “soci a responsabilità limitata”90; ma anche in queste due tipologie di società di capitali il legislatore ha previsto la possibilità della presenza di un solo socio a responsabilità illimitata: è la fattispecie delle società di capitali unipersonali. Questo istituto ha subito, nel corso degli anni profonde riforme, le quali inevitabilmente hanno inciso sulla posizione del suddetto socio e del suo grado di effettiva responsabilità, nei confronti di un eventuale fallimento della società e dell’applicabilità del presupposto del fallimento in estensione ex art. 147 l.f.91.
3.1 La disciplina del socio unico dal 1942 alla riforma societaria del 2003
Il legislatore del 1942 vietava la costituzione di una società di capitali da parte di una singola persona stabilendo nello stesso momento, sulla base dell’art. 2362 c.c., che il socio, nelle cui mani si concentravano tutte le azioni, fosse illimitatamente responsabile nel caso di insolvenza della società. Da un lato si escludeva che si potessero costituire ex novo società di capitali a carattere unipersonale, ma dall’altro si ammetteva la possibilità di una successiva appartenenza di tutte le partecipazioni ad un solo soggetto nel corso della vita della società (possibilità non prevista invece per le società di persone, dove l’elemento pluralistico dei soci è condizione essenziale per l’esistenza della società stessa). Quest’ultima previsione era ispirata dalla finalità di consentire la conservazione dell’ente societario e nello stesso tempo di evitare che
90 Sopra Cap. I par. 2.1
91 Per quanto riguarda la posizione della legge fallimentare dell’art. 147 e della giurisprudenza nel merito dell’estensione del fallimento del socio unico di società di capitali rinvio al Cap. III par. 2.
venisse indirettamente raggiunto il risultato della “limitazione della responsabilità nell’esercizio individuale dell’impresa”92. In realtà, questo timore di ammettere la responsabilità limitata nei confronti dell’unico socio era infondato in quanto risultò di maggiore garanzia per i terzi creditori la struttura di una società di capitali, dove appunto vige l’autonomia patrimoniale, una struttura organizzativa articolata in una pluralità di organi e soprattutto una maggiore informazione contabile, piuttosto che la responsabilità personale dell’imprenditore individuale. Grazie a questo orientamento, molti degli ordinamenti giuridici stranieri cominciarono ad ammettere la costituzione con atto unilaterale delle società di capitali93. Per vedere riconosciuta la stessa possibilità anche nel nostro diritto positivo si è dovuto attendere il D.Lgs 3 marzo 1993 n. 8, che attua nell’ordinamento italiano la Direttiva Comunitaria in materia societaria 89/667/CEE, la quale era stata adottata per favorire le piccole e medie imprese agevolando anche agli imprenditori individuali l’accesso al beneficio della limitazione della responsabilità. Il nostro legislatore con la riforma del 1993 ha però previsto che solo le società a responsabilità limitata potessero valersi della costituzione per atto unilaterale, mantenendo il regime di responsabilità limitata nei confronti del socio unico ad eccezione di alcune ipotesi espressamente previste dalla legge. La diversità di disciplina non era giustificata, soprattutto perché fu prevista dallo stesso legislatore la trasformazione in società per azioni, con unico socio lo Stato, delle imprese enti pubblici, oltre a disciplinare anche la possibilità di trasformazioni di imprese preesistenti mediante un conferimento di azienda in una o più società per azioni già esistenti, ovvero appositamente costituite anche con atto unilaterale94. Per queste ingiuste disparità, dunque, la riforma delle società di capitali attuata nel 2003 ha uniformato la normativa
92 Così delineava la Relazione al Codice Civile del 1942 n. 943
93 X. XXXXX, Manuale, cit., pag. 318.
94G. FERRI, Manuale, cit., pag. 319
nei confronti delle società per azioni, ammettendo che anch’esse potessero essere costituite per atto unilaterale (art. 2328, comma 1 c.c.). La stessa riforma ha poi ulteriormente circoscritto i casi in cui il socio unico perde la responsabilità limitata e risponde quindi con tutto il suo patrimonio per le obbligazioni assunte dalla società, fattispecie valevoli sia in caso di s.p.a. che s.r.l..
3.2 L’attuale disciplina del socio unico di società di capitali
La normativa prevista per le società di capitali unipersonali è volta a delimitare la tipologia di responsabilità che viene attribuita al socio unico. Nell’originario codice del 1942, come già esposto, si prevedeva infatti la totale responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali in caso di insolvenza della società, in quanto era palese che il tipo di amministrazione che si veniva ad attuare era molto simile a quella che si riscontrava nelle società di persone, facendo ricadere la responsabilità per la gestione dell’impresa nei confronti del socio.
A) Sulla base dell’art. 2331, comma 2 c.c., il socio unico risponde delle operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione nel registro delle imprese96; la limitazione di responsabilità dell’unico socio opera perciò solo dal momento in cui
95G.X. XXXXXXXXXX, Diritto delle società, Utet, VIed. 2006, pagg. 181ss
96 La stessa estensione è prevista anche per le società di capitali pluripersonali, qualora i soci abbiano concluso affari in nome della società prima dell’iscrizione nel registro delle imprese.
la società acquista la personalità giuridica con l’iscrizione nel registro delle imprese, permanendo, invece, la responsabilità illimitata dei soci per le operazioni precedenti.
B) In materia di conferimenti si prevede all’art. 2342 comma 2 e 4 c.c. che il socio unico è tenuto al versamento integrale del conferimento in denaro al momento della sottoscrizione; nel caso in cui venisse meno, in un momento successivo la pluralità dei soci, si dovrà provvedere al versamento ancora dovuto entro novanta giorni.
C) In materia di trasparenza e pubblicità è previsto l’obbligo da parte del socio unico di indicare negli atti e nella corrispondenza (ma non nella denominazione sociale), la dicitura “società unipersonale”, per consentire ai terzi la massima trasparenza sulla composizione societaria (art. 2250, comma 4 c.c.). Sempre in relazione alla finalità di trasparenza, è previsto che gli amministratori depositino per l’iscrizione nel registro delle imprese, una dichiarazione contenente i dati anagrafici del socio unico, prevedendo lo stesso adempimento anche nel caso in cui si modifichi la persona del socio unico (art. 2362 comma 1 c.c.); gli amministratori, inoltre, dovranno provvedere a dare pubblicità nel registro delle imprese quando si costituisca o ricostituisca la pluralità dei soci (art. 2362 comma 2 c.c.). Agli stessi obblighi previsti per gli amministratori, è tenuto anche il socio unico, qualora essi fossero stati inadempienti, in quanto nella violazione dei suddetti obblighi di pubblicità è collegata la perdita del beneficio della responsabilità limitata.
D) In materia di conflitti di interessi, il legislatore ha previsto che i contratti della società con l’unico socio o le operazioni a favore dello stesso, sono opponibili ai creditori della società solo se
È da precisare che la disciplina prevista per le società di capitali unipersonali è la stessa delle società di capitali pluripersonali, differendo solo dalla normativa particolare appena delineata, la quale tra l’altro prevede nell’art. 2325 comma 2 c.c. solo due eccezioni98 in caso di insolvenza della società che comportano la responsabilità illimitata. Si tratta tuttavia di eccezioni ricollegate a situazioni oggettive e formali, che non hanno alcun nesso con il potere di gestione che di fatto può esercitare il socio unico sulle società. Queste due ipotesi sono:
1) L’unico socio risponde illimitatamente quando non sia osservata la disciplina dell’integrale liberazione dei conferimenti sopra esposti al punto B).
2) L’unico socio risponde, inoltre, fino a quando non sia stata attuata la specifica pubblicità delineata dall’art. 2362 c.c. (punto C).
97 Per una buona puntualizzazione sulla disciplina del socio unico si veda X. XXXXXXXXXX, Commento all’art. 2362 c.c. in Commentario Breve al Diritto delle Società, diretto da Xxxxxxx Xxxxxx, IIed Cedam
99 Per la disciplina applicabile al socio unico in materia di fallimento vedi infra cap. III par. 2
CAPITOLO III
IL FALLIMENTO DEL SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE
1. Il nuovo articolo 147 legge fallimentare
Neanche la riforma del 2006 e del 2007 è riuscita ad adeguare l’istituto del fallimento alla centralità delle imprese collettive nel sistema economico attuale, relegando nuovamente la disciplina relativa al fallimento delle società
100 A. XXXXX Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 9**, profili tributari e profili concorsuali, Torino, 1993, pagg. 209ss, il quale osserva che il ruolo centrale assunto dagli organismi societari nel nostro, come in tutti i sistemi economici avanzati, è rimasto inavvertito a livello di disciplina normativa delle crisi di impresa, “la quale è imperniata sulla legge fallimentare del 1942, una legge che, in perfetta sintonia con l’impostazione classica del Code de Commerce, del Code des boutiquiers, quale è stato icasticamente definito, ma in singolare distonia rispetto allo stesso coevo codice civile, assume a quasi esclusivo protagonista delle procedure concorsuali l’imprenditore individuale, sul cui modello appiattisce anche le imprese collettive. E che in relazione a ciò, dedica alle società poche, scarne, e disorganiche disposizioni per i profili ritenuti differenziali e meritevoli di distinta attenzione”.
Il novellato art. 147 l.f. si presenta dunque integrato e modificato in più punti; si tratta tuttavia di modifiche ed integrazioni che, pur se quantitativamente rilevanti, non hanno inciso sul ruolo che la norma ricopriva nel sistema. Le novità apportate, approfondite nella trattazione a seguire, riguardano sia la chiarificazione dell’ambito di applicazione del fallimento in estensione, sia l’orizzonte soggettivo e temporale. Si è infatti precisato che falliscono in estensione solo i soci illimitatamente responsabili delle s.n.c,
s.a.s. e s.a.p.a; inoltre nel comma 2 di suddetto articolo, si sono definite le condizioni, anche temporali, alle quali può essere dichiarato fallito in estensione il socio che abbia perso la qualità soggettiva richiesta dalla norma o abbia perso il carattere della responsabilità illimitata; sempre nell’ambito di applicazione si è previsto, al comma 5, la cosiddetta estensione successiva del fallimento della società che può coinvolgere non solo il socio occulto di società palese, ma anche il socio di società occulta che esercita una impresa apparentemente individuale.
La seconda parte delle novità è in parte frutto dell’adeguamento alle pronunce della Consulta ed hanno ad oggetto aspetti prevalentemente processuali; su tale versante si è inserito un nuovo comma 3, nel quale si stabilisce che la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile deve essere preceduta dalla convocazione di quest’ultimo ai sensi
101 Altri Autori, oltre a richiedere l’adeguamento del fallimento delle società al nuovo assetto economico, chiedevano di riflettere sull’opportunità stessa di mantenere in vita l’istituto del fallimento in ripercussione, così in tema cfr. X. XXXXX, Sub Articolo,cit., pag. 2169: “…invitato a riflettere, in apici bus, sulla stessa opportunità, in assoluto, di eliminare dal nostro ordinamento tale principio..per sostituirlo con meccanismi che consentissero di raggiungere lo stesso risultato ma in modo più semplice…” e anche cfr. XXXXXXX, Interrogativi, cit., pag. 1039 secondo cui, tra l’altro, “la progressiva perdita del carattere sanzionatori della procedura concorsuale giustifica ancor più l’abrogazione del fallimento in ripercussione dei soci, non essendo davvero più ammissibile che soggetti non imprenditori continuino ad essere dichiarati falliti in deroga alla regola generale che riserva tale procedura esclusivamente agli imprenditori”
dell’art. 15 l.f.102; è stata ampliata la legittimazione all’iniziativa per l’estensione “successiva” del fallimento, riconoscendola anche ai creditori e ai soci già dichiarati falliti, che si affiancano dunque al curatore103. E’ stata prevista, in un nuovo ultimo comma, la possibilità di proporre ai sensi dell’art. 22 reclamo alla Corte di Appello contro il decreto del tribunale che rigetta l’istanza di “estensione successiva”, individuando quale unico legittimato lo stesso istante.
2. La qualità soggettiva del socio nel nuovo art. 147 l.f.: fallimento del socio illimitatamente responsabile della s.n.c., s.a.s. e s.a.p.a.
La disciplina previgente indicava piuttosto genericamente l’ambito di applicazione del principio del fallimento in ripercussione: “La sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata, produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili”; ciò aveva comportato problemi interpretativi sull’effettivo campo di applicazione a causa delle incertezze ingenerate dal testo che non specificava il tipo sociale e demandava all’interprete, con gravi inconvenienti sul piano della certezza del diritto, a quali fattispecie in concreto si dovesse applicare.
Con la riforma del 2006 invece si è precisato che falliscono i soci illimitatamente responsabili delle società in nome collettivo, della società in accomandita semplice e dell’accomandita per azioni. Proprio grazie a questa precisazione si è risolta l’annosa discussione tra gli interpreti se anche l’accomandatario della s.a.p.a. potesse essere dichiarato fallito in ripercussione ex art. 147 l.f.; dubbio che era stato risolto dalla Cassazione 24 marzo 1976 n. 1044104 secondo la quale: “l’art. 147 si riferisce a quelle società che in base al
102 Adeguamento alla pronuncia della Corte Cost. sent. 27-6-1972 n. 110
103 Adeguamento alla pronuncia della Cort. Cost. sent. 28-5-1975 n. 127
104 Nello stesso senso recentemente: Tribunale di Milano, 22 luglio 2003, in Fallimento, 2004, 929.
tipo legale, sono strutturalmente conformate in modo da comportare, nonostante l’autonomia patrimoniale, o addirittura, la personalità giuridica, la responsabilità illimitata e solidale dei soci, o di una categoria di essi, per tutte le obbligazioni contratte: cioè la società in nome collettivo, la società in accomandita semplice, la società di fatto e limitatamente agli accomandatari, la società in accomandita per azioni”, ma che ha continuato a far ritenere ad una parte della dottrina che il socio accomandatario non può essere dichiarato fallito in estensione, in quanto costui è illimitatamente responsabile non per tutte le obbligazioni sociali ma solo in relazione alle obbligazioni assunte in pendenza della carica di amministratore105, sulla base del combinato disposto dell’art. 2457 c.c., comma 2, e dell’art. 2561 c.c., comma 2. Nel primo si puntualizza che la qualità di accomandatario si acquista con la nomina di amministratore, nel secondo invece, si esclude la responsabilità del socio accomandatario per le obbligazioni assunte successivamente alla cessazione della carica di amministratore; contrariamente a quanto accade ai soci illimitatamente responsabili di società di persone che, entrando a far parte della società, acquistano automaticamente la responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali, comprese quelle sorte in epoca anteriore al loro ingresso, ex art. 2269 c.c.106.
La dottrina maggioritaria si conformava comunque a quanto stabilito dal Supremo Collegio nel 1976, adducendo che la disciplina previgente fosse
105 Così anche X. XXXXXXX, Società in accomandita per azioni in AA.VV. Diritto delle Società, Manuale Breve, Milano, 2006, pag. 262, il quale però anche se conferma la responsabilità dell’accomandatario solo in pendenza della carica di amministratore non ne esclude il fallimento ex art. 147 l.f. .
106 Di questo indirizzo è X. XXXXX, Della società in accomandita per azioni, in Commentario al Codice Civile (a cura di) Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli 1973 pagg. 107ss, nello specifico pag. 112, dove l’Autore distingue il socio accomandatario con la teoria dell’imprenditore indiretto di X. Xxxxxxx, sottolineando come i caratteri dell’imprenditore individuale qualificano anche i soci a responsabilità illimitata ma non si rilevano nei confronti del socio accomandatario di società in accomandita per azioni: “Gli accomandatari di società in accomandita per azioni invece non presentano alcuna di queste caratteristiche. Essi non rispondono di tutte le obbligazioni sociali, né hanno un potere individuale di gestione e possono essere allontanati dall’amministrazione dell’impresa anche quando manchi una giusta causa. Vengono perciò meno i presupposti sostanziali cui il legislatore subordina l’equiparazione del socio illimitatamente responsabile all’imprenditore individuale […]”.
diretta a tutti i soci che fossero istituzionalmente illimitatamente responsabili, come gli accomandatari, ai quali cioè si applicasse il regime della responsabilità illimitata in ragione della disciplina dello specifico tipo sociale; in particolare un Autore107 osserva come non si può stabilire senza dubbio che l’accomandatario sia responsabile illimitatamente solo dopo l’accettazione della nomina ex art. 2467, in quanto ivi si precisa che diviene amministratore da quel momento, ma non si determina, parimenti, che la sua responsabilità per le obbligazioni sociali riguardi solo quelle sorte successivamente alla nomina stessa.
Dovrebbero essere dunque superate le incertezze generate dal testo precedente della medesima disposizione, proprio per l’aver espressamente previsto la fallibilità del socio illimitatamente responsabile della s.a.p.a.
2.1 Il fallimento del socio accomandante
Secondo una parte della dottrina, questa fallibilità dovrebbe essere inammissibile, coerentemente con l’esclusione del fallimento in estensione del socio unico di società di capitali109; si adduce, inoltre, come ulteriore motivo
107 X. XXXXXXX, Il fallimento delle società, in Trattato di Diritto Commerciale e dell’Economia, Vol X.,Cedam, Padova, 1988, pag. 79.
108 Supra Cap. II Par. 1.3
109V.XXXXXX, sub articolo 147, in La riforma della legge fallimentare diretto da X.Xxxxx e Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx 2006 pag 899, secondo il quale l’esclusione dei soci unici di società di capitali illimitatamente responsabili dal fallimento potrebbe rappresentare una più generale volontà di non coinvolgere nel fallimento coloro i quali non sono sempre illimitatamente responsabili, ma che lo diventano soltanto nel momento in cui infrangono le regole del tipo societario a cui appartengono. Nello stesso senso X. XXXXXXXXXX, Le forme di organizzazione di impresa: le organizzazioni societarie e l’estensione delle procedure ai soci illimitatamente responsabile, in Diritto Fallimentare, manuale breve, AA.Vv., Milano,
di non estensione del fallimento sociale all’accomandante il richiamo effettuato dal nuovo art.147 l.f. ai soli soci illimitatamente responsabili delle s.n.c., s.a.s. e s.a.p.a., come se volesse circoscrivere l’estensione del fallimento sociale solo a quei soci la cui responsabilità illimitata è una peculiarità della tipologia di società alla quale essi appartengono110. Escludendo in tal modo quelle persone soggette a responsabilità illimitata per altro titolo che non sia quello di essere soci “originariamente” soggetti a tale responsabilità, così come appunto il socio accomandante che abbia contravvenuto al divieto di cui all’art. 2320 c.c., perché egli, pur assumendo responsabilità illimitata, non diventa per questo accomandatario, e può essere escluso a norma dell’art. 2286 c.c.111.
Va dato conto però che la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie112, già prima della riforma, erano pressoché costanti nell’ammettere invece la fallibilità dell’accomandante qualora questi, consentendo l’inserimento del suo
2008, pag. 110: “ [….] la soluzione contraria appare, alla luce della nuova formulazione dell’art. 147, comma 1, preferibile. Ed invero, l’espressa esclusione dell’estensione della procedura nei confronti dell’unico azionista e dell’unico socio di s.r.l. induce a ritenere che il legislatore ha inteso limitare l’estensione ai soci istituzionalmente a responsabilità illimitata e non a coloro che divengono soci illimitatamente responsabili in seguito ad avvenimenti successivi […]”. Conferma il dubbio sull’opportuna estensione del fallimento anche al socio accomandante ingeritosi anche X. XXXXXXXXXXX, Il fallimento delle società, in Manuale di diritto fallimentare, AA.VV. Milano , 2008 pag. 406.
110 X. XXXXXX, Società, cit. pag. 899: “la nuova formulazione nel novellato art. 147, comma 1, impedisce di riconoscere persistente valore alla tesi della fallibilità dell’accomandante […]; non vi è dubbio infatti che la scelta di far fallire in estensione i soli soci illimitatamente responsabili di s.n.c, s.a.s., s.a.p.a, accolta oggi nell’art. 147, sottenda una ratio più circoscritta, rintracciabile nella esclusiva riferibilità della regola della estensione a quei soci la cui responsabilità illimitata sia un connotato tipologico della società alla quale essi appartengono”.
111 X. XXXXX, Istituzioni di diritto fallimentare, 3ed, 1996, pag. 421, secondo il quale tra l’altro, la responsabilità illimitata e solidale del socio che si è ingerito nella gestione:“ ha carattere sanzionatorio e non lo trasforma in accomandatario. Solo a questo titolo egli potrebbe fallire, non essendo accettabile la tesi, pur sostenuta, che egli diventi imprenditore, in quanto per definizione non opera in proprio nome” (nota 22 pag. 426). Anche X. XXXXX, sub art. 147, cit., pag. 2179, osserva come il socio accomandante ingeritosi nella gestione dovrebbe essere escluso dal fallimento in estensione in quanto: “[…]alla luce della riformulazione del 1° comma dell’articolo 147, si potrebbe derivare una rigorosa delimitazione della regola dell’estensione non solo alle società che istituzionalmente abbiano soci illimitatamente responsabili ma anche ai soci che istituzionalmente siano responsabili illimitatamente.” In passato lo stesso Autore aveva aderito all’indirizzo per la fallibilità del socio accomandante che si fosse ingerito nella gestione dell’impresa: ID, Il fallimento, cit. pag 594.
112 Cass. 26 febbraio 1988 n. 2041; Cass. 11 settembre 1999 n. 9688; Cass. 28 aprile 1999 n. 4270; Cass. 6
giugno 2000 n. 7554 in Fallimento, 2001, 555; Tribunale di Genova, 8 febbraio 2001 in Giurisprudenza
Commerciale, 2001, II, 860, con nota di Vercellino; Cass. 28 aprile 2004 n. 8093 in Fallimento, 2005, 905 con nota di Xxxxxxxxxx.
nome nella ragione sociale oppure ingerendosi nell’amministrazione della società, contravvenendo al divieto posto dall’art. 2320 c.c., avesse assunto responsabilità illimitata e solidale per tutte le obbligazioni sociali; tali interpreti, che sostengono questa estensione “anomala”113 del fallimento sociale, associano la posizione dell’accomandante a quella del socio accomandatario114: ne deriva, quindi, che fallisce anche colui che è divenuto successivamente socio illimitatamente responsabile per effetto della violazione delle norme che caratterizzano la posizione del socio accomandante115; si esclude, in tal modo, che falliscano solo quei soci che siano “istituzionalmente” e “originariamente” illimitatamente responsabili, in quanto di questi aggettivi non vi è alcuna menzione nell’art. 147 l.f. e, di conseguenza, non possono essere assunti quali presupposti per indicare la tipologia di soci suscettibili di fallimento in estensione116. Si adduce, inoltre,
113 X. XXXXXXXXXXX, Il fallimento delle società, in Manuale di diritto fallimentare, AA.VV, Milano, 2008 pag. 404, si parla del fallimento dell’accomandante che sia divenuto illimitatamente responsabile come una “ipotesi anomala di estensione” del fallimento: “consistendo l’anomalia nel fatto che il presupposto della responsabilità illimitata non sussiste in capo al socio accomandante sin dall’origine del contratto sociale, ma sorge in conseguenza di eventi particolari verificatosi in momenti successivi”.
114 Contra F. FERRARA- CORSI, Gli imprenditori, cit. pag. 331: “ non credo che l’accomandante si tramuti in accomandatario […], nei rapporti interni il socio resta accomandante, quindi egli non potrà pretendere di amministrare la società, e d’altro canto avrà diritto di rivalsa verso gli accomandatari per quanto fosse costretto a pagare ai creditori sociali”.
115 Così X. XXXXXXXX, Temi del nuovo diritto fallimentare, Torino, 2009 pagg. 82-83. Altri Autori che propendono per la fallibilità sono G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale 3, Contratti titoli di credito. Procedure concorsuali, 4ed a cura di Campobasso, Torino Pag. 407-408; FERRARA-BORGIOLI, Il fallimento ,4ed., Milano 1989 pag 677; X. XXXXXXX, Il fallimento delle società, cit., pag. 37 nel quale vi è anche la citazione della Cassazione in materia secondo la quale non assoggettando l’accomandante al fallimento nel caso delle suddette violazioni “assai facili diverrebbero le frodi alla legge perché basterebbe ad un socio assumere nel contratto sociale la veste di accomandante, anche se in realtà egli disponga dell’amministrazione della società, per sottrarsi alla dichiarazione di fallimento”; VIGO, Il fallimento delle società, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, Trattato diretto da Ragusa Maggiore-Costa Utet Torino 1997; X. XXXXXXX, I presupposti del fallimento, in Trattato di Diritto Commerciale diretto da Xxxxxxx, XI vol, Cedam, 2009 pag. 102, il quale oltretutto individua che estendere il fallimento all’accomandante è un’ottima opportunità in quanto sono quest’ultimi nella realtà ad avere dei patrimoni personali cospicui, piuttosto che gli accomandatari (pag.101).
116 XXXXXX-XXXXXXX-DI MARZIO, Riforma fallimentare,cit., pag. 124: “l’espressione lessicale adoperata dal legislatore nel nuovo art. 147 l.f. sembra confermare tale orientamento non escludendo la fallibilità dei soci illimitatamente responsabili, qualunque ne sia l’origine e, quindi, anche laddove la illimitata responsabilità venga acquisita in un momento successivo”. Anche X. XXXXXXXX,Temi,cit. pag. 83: “scarsamente persuasivo è, poi, il riferimento al carattere istituzionale a responsabilità illimitata, di cui per altro non v’è menzione nell’art. 147 l.f. [….]”. F. XXXXXXX Xx, Il fallimento, cit., pag. 677: “invece non importa che faccia parte di tale società come socio a responsabilità illimitata fin dall’origine: basta che
come ragione principale giustificatrice della sanzione dell’estensione del fallimento al socio accomandante, la tutela dell’affidamento dei terzi nella società, infatti, “quando risulta che gli accomandanti abbiano compiuto atti di amministrazione senza mandato o con mandato generale od abbiano comunque partecipato alla gestione, la legge presume juris et de jure a favore dei terzi, che essi siano in realtà i veri gestori della società e che gli accomandatari siano delle teste di legno, un semplice schermo dietro cui i primi effettivamente operano”117. Quanto fin qui esposto conferma la tesi della fallibilità dell’accomandante, ribadita recentemente dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22256 del 7 dicembre 2012.
Si esclude invece il fallimento dell’accomandante della società in accomandita per azioni essendo inapplicabile in via di principio la disciplina della società in accomandita semplice118 se non nelle fattispecie espressamente richiamate come nel caso dell’art. 2461 sulla responsabilità dei soci accomandatari; non vi è infatti alcun richiamo agli articoli 2314 e 2320 c.c. che prevedono la responsabilità illimitata dell’accomandante della società in accomandita semplice nei confronti dell’accomandante della società in accomandita per azioni119. Questa inapplicabilità della disciplina alle due diverse tipologie di soci accomandanti è dovuta principalmente alla sostanziale diversità di struttura che hanno le due società in accomandita; la società in accomandita semplice non presenta una distribuzione di competenze
sia tale al momento del fallimento della società, anche se ciò è avvenuto a causa di una sanzione, come nel caso dell’accomandante che si sia ingerito nella amministrazione della società”. Nello stesso senso anche X.XXXXX, X. XXXXXXXXXX, Diritto della crisi delle imprese, cit., pag. 315.
117 Così F. FERRARA- X. XXXXX, Gli imprenditori, cit., pag. 333, che prosegue: “ la presunzione serve a liberare i terzi dal dare la prova estremamente difficile, che la gestione sociale è effettivamente tenuta anche dagli accomandanti bastando loro di dimostrare che anche uno solo degli atti di gestione è stato da essi abusivamente compiuti”. Nello stesso senso anche: X. XXXXXXX, I presupposti del fallimento, cit., pag. 102: “ anche sul piano dell’opportunità non si vede per quale ragione dovrebbe essere sottratto al fallimento colui che, nascondendosi dietro la posizione formale di accomandante, gestisca la società accanto o al di sopra dei soci amministratori […]”.
118 Art. 2464 c.c. “ alla società in accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società per azioni, in quanto compatibili con le disposizioni seguenti”.
119 X. XXXXX Xx, sub art. 2461,cit. pag. 1396
e di poteri predeterminate da norme rigide ed inderogabile, perciò un eventuale atto di gestione del socio accomandante è efficace; lo stesso risultato non si ha nella società in accomandita per azioni, dove vi è una distribuzione rigida delle competenze tra i vari organi, ed un atto generato da un organo incompetente è inefficace120. La posizione dell’accomandante della società in accomandita per azioni è equiparata a quella degli azionisti, il che comporta che “ogni possibile riferimento alle norme relative agli accomandanti di accomandita semplice appare escluso, in particolare è esclusa la possibilità di una decadenza dell’accomandante dal beneficio della responsabilità limitata”121; per questo dunque, un’eventuale reiterata ingerenza nella gestione sociale da parte dell’accomandante di accomandita per azioni dovrà essere disciplinata dalle norme in materia di amministratore di fatto delle società per azioni e non si può parlare di divieto di immistione ex art. 2320 c.c.122.
2.2 Il fallimento del socio unico di società di capitali
L’art. 2325 c.c. in tema di società per azioni dispone che in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall’art. 2342
c.c. o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’art. 2362 c.c. Analogamente in tema di società a responsabilità limitata l’art. 2462 c.c. prevede che in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’intera partecipazione è appartenuta ad una sola
120 R. COSTI, della società in accomandita per azioni,cit. pag. 85ss
121 X. XXXXXXX, società in accomandita per azioni, in Trattato di Diritto Commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da X. Xxxxxxx, tomo VIII, Cedam, pag.16ss.
122 Così X. XXXXXXX, Società, cit. pag. 17; X. XXXXX, Società in accomandita, cit. pag. 89; X. XXXXXXXXX- X. XXXXXXX DE PEPE, sub art. 2452, in Codice commentato delle spa, (a cura di) X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx de Xxxx, II, Xxxx, 2007, pag. 1454; X. XXXXX, Le società, in Trattato di diritto civile Vassalli, III, Utet, 1987, pag. 106 e nota 2.
La questione che per lungo tempo ha impegnato la dottrina e la giurisprudenza concerneva la possibilità o meno di dichiarare il fallimento del socio unico della s.r.l. che non avesse ottemperato alle disposizioni di cui all’art. 2462 c.c.124. Coloro che ritenevano fallibile il socio unico interpretavano l’utilizzazione del meccanismo di estensione automatica del fallimento in tutti i casi in cui, in qualsivoglia tipo di società, un socio si trovasse ad essere illimitatamente responsabile, in tutto o in parte, per le obbligazioni sociali125; la stessa impostazione, infatti, osservava che la responsabilità illimitata non è necessariamente antitetica al riconoscimento della personalità giuridica, potendosi rinvenire i soci illimitatamente responsabili anche nelle società di capitali, quale ad esempio il socio accomandatario della s.a.p.a.; intendeva, quindi, l’ambito di applicazione
123 Vedi Cap. II par. 3 e ss
124 La possibilità di costituire una s.p.a. unipersonale si è avuta solo dopo la riforma del diritto societario del 2003, la quale ha stabilito al secondo comma dell’art. 2325 c.c. le due ipotesi in cui il socio unico risponde illimitatamente delle obbligazioni assunte, ossia, nel caso in cui non siano stati effettuati i conferimenti ex art. 2342 c.c. e nel caso non sia stata attuata la pubblicità prescritta all’art. 2362 c.c.
125 G. SERIO, Il socio limitatamente responsabile nel fallimento della società, Xxxxxxx, Milano, 1977, pag. 153 ss, l’Autore è a favore dell’estensione del fallimento anche al socio unico della società di capitali in quanto, in primis, non vede nell’art. 147 l.fl una distinzione nell’ambito di applicazione tra la società di persone e le società di capitali (come invece si aveva nell’art. 847 del Cod. di Comm. previgente); inoltre, parifica la posizione del socio unico a quello della società di persone, in quanto il primo, accentrando nelle proprie mani tutte le azioni o quote “è nella condizione di poter, in un certo senso, determinare le sorti della società cui appartiene” (pag. 160). XXXXX, Società unipersonale a responsabilità illimitata e assoggettabilità dell’unico quotista al fallimento in estensione, in AA. VV. Imprenditori anomali e fallimento, (a cura di ) Apice, Padova, 1997, pag. 319-320: “In ogni caso, per il socio unico che sia, fin dalla costituzione della s.r.l. fallita, illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali vi è, come dicevo, la piena coincidenza tra l’ambito della società e quello suo personale di responsabilità. E tale circostanza è, a mio avviso, sufficiente per ritenere che a questo quotista solitario trovi applicazione l’art. 147 l.f.”, inoltre, l’Autore sottolinea come il meccanismo dell’estensione del fallimento anche al socio unico sia una “soluzione per consentire la repressione, in termini sostanziali, almeno di alcune distorsioni nell’uso della s.r.l. unipersonale”. X. XXXXXXXX, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2001, pag. 703, l’Autore giustifica l’estensione del fallimento della società di capitali al socio unico, azionista o quotista, sulla base della teoria dell’imprenditore occulto.
La giurisprudenza127 e la dottrina128 maggioritarie, pre-riforma, hanno però sempre sostenuto la non fallibilità dell’unico azionista di una s.p.a. e dell’unico quotista di una s.r.l. Anteriormente alla riforma si rafforzava la rilevanza dello schermo costituito dalla distinta personalità giuridica della società, con la conseguenza di circoscrivere l’ambito di applicazione dell’art. 147 l.f. alle sole società la cui disciplina tipica contemplasse la presenza, sin dall’inizio, di soci illimitatamente responsabili e non anche alle società per azioni e a responsabilità limitata i cui soci potevano essere chiamati a rispondere delle obbligazioni dell’ente solo eccezionalmente129. In particolare un Autore ha rilevato come l’estensione del fallimento al socio unico di società di capitali avrebbe creato una diseguaglianza di tutela tra i creditori
126 Nella giurisprudenza di merito, prima della riforma della legge fallimentare, nel senso del testo cfr. App. Bologna, 21 settembre 2001, in Fallimento, 2002, p. 770, con nota di Xxxxxxx e Xxxxxxxx; Trib. Ancona, 27 luglio 2005, in Fallimento, 2006, I, pag. 98, sul socio unico straniero di una s.p.a. italiana; Trib. Milano, 19 luglio 2001, in Fallimento, 2001, 1288; Trib. Milano, 19 ottobre 1995, in Fallimento, 1996 pag. 385, con nota di Xxxxx, nella quale si stabilisce la fallibilità del socio unico anche nel caso in cui quest’ultimo abbia intestato in via fiduciaria una parte del suo pacchetto azionario ad un terzo, sia persona fisica che giuridica; la responsabilità con cui risponde il socio unico è di tipo oggettivo, come conseguenza della sua sovranità sull’impresa. Oltre agli Autori esposti nella nota 24, vi sono: X. XXXXXXX, Società insolvente e responsabilità del socio unico, Milano 1999; X. XXXXXXX, Le società per azioni, in Trattato diritto civile e pubblico dell’economia, diretto da X. XXXXXXX, VII, 1984, pag. 118; X. XXXXXXX, Responsabilità, cit., pag. 141; X. XXXXX, Le società per azioni nelle procedure concorsuali,in Trattato delle società per azioni diretto da G. E. Colombo e G.B. Portale (a cura di) X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, X. Xxxxx, Volume 9, Tomo II, Utet , 1993, pag. 209; XXXXX, L’abuso di personalità giuridica, tecniche sanzionatorie a confronto, Padova, 2002, pag. 197ss.
127 Per tutte: Cass. 27 maggio 1997, n. 4701; Cass. 28 aprile 1994, n. 4111; Cass. 15 ottobre 0000, x. 00000; Trib. Milano, 15 luglio 2003, in Fallimento, 2004, pag. 111.
128 X. XXXXXXX, Diritto Commerciale, Padova, 1999, I, pag. 200; X. XXXXX, Manuale di diritto commerciale, XIed, (a cura di) X. Xxxxxxxx x X. X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, pag. 598: “ […] tuttavia tale responsabilità sussiste soltanto in caso di insolvenza della società e soltanto rispetto alle obbligazioni sorte quando le azioni o le quote erano riunite in unica mano. Non sembra pertanto che costoro possano farsi rientrare nella categoria dei soci illimitatamente responsabili dei quali deve essere dichiarato il fallimento in conseguenza del fallimento della società”; X. XXXXX, Le crisi di impresa, cit. pag. 169; X. XXXXX, Diritto fallimentare, cit., pag. 413: “fallisce la sola società: il curatore di questo fallimento farà valere nei modi ordinari la responsabilità dell’unico azionista, in concorso con i suoi creditori personali”.
129 F. XXXXXXX Xx, Il fallimento, (a cura di) X. Xxxxxxxx, IVed., Milano, Xxxxxxx, pag. 708: “dunque non basta che vi siano in fatto soci illimitatamente responsabili, ma occorre in più che si abbia una società con soci a responsabilità illimitata, cioè che strutturalmente sia conformata in modo tale. […] Nel caso dell’unico socio della società per azioni od a responsabilità illimitata di costui per le obbligazioni sociali non è totale, ma riguarda solo quelle sorte nel periodo in cui tutte le azioni o tutte le quote gli sono appartenute.”
Il legislatore della riforma fallimentare del 2006131 ha confermato la tesi della non fallibilità del socio unico, elencando espressamente nel nuovo art. 147 l.f. i tipi sociali (s.n.c., s.a.s. e s.a.p.a.) i cui soci illimitatamente responsabili sono suscettibili di fallimento in estensione. Non facendosi menzione né della società per azioni, né della società a responsabilità limitata, si dovrebbe optare per l’automatica esclusione dal fallimento in estensione dell’unico azionista e dell’unico quotista132. Tale soluzione, non solo si adegua all’opinione della dottrina e della giurisprudenza maggioritaria, ma si concilia anche allo spirito non sanzionatorio delle procedure concorsuali, quale scelta di fondo della riforma fallimentare133; facendo trasferire così la responsabilità di attività indirettamente o direttamente gestorie del socio unico all’area della responsabilità risarcitoria ex art. 2476, comma 7 ed art. 2497 c.c.
130 F. XXXXXXX Xx, Il fallimento, cit., pag. 709.
131 In entrambe i disegni di legge delle “Commissioni Trevisanato” si optava invece per l’estensione del fallimento sociale anche al socio unico e socio tiranno delle società di capitali.
132 In questo senso, in giurisprudenza, cfr. Cass. 4 febbraio 2009 n. 2711 e Cass. 12 aprile 2008 n. 27013, le quali si riferiscono alla disciplina previgente, ma richiamano il novellato art. 147 l.f., confermando l’esclusione del fallimento del socio unico. In dottrina, X. XXXXXXXX, l’estensione del fallimento all’unico socio di società di capitali, in Fallimento, 2009, 12, 1397; X. XXXXXXXX, Il fallimento delle società nella riforma. Prime osservazioni, in xxx.xxxxxxxxxx.xxxxx.xx.; X. XXXXXXXXXXX, Il fallimento delle società, cit. pag. 404; X. XXXXXX, Società con soci a responsabilità illimitata, in La legge fallimentare, a cura di
X. Xxxxx, 2007, pag. 1119; X. X’XXXXXX, Il fallimento delle società, in Le procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, 2009, pag. 123; P.G. DEMARCHI, Il fallimento dellle società, in La riforma della legge fallimentare, 2008, Zanichelli, pag. 252; U. DE CRESCIENZO, Fallimento delle società, in Fallimento e altre procedure concorsuali, (a cura di) X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Volume 2, 2009, Utet, pag. 1507;
133 X. XXXXXXXX, il fallimento, cit. pag. 2
Il nuovo regime delle società unipersonali, così delineato dal novellato art. 147 l.f., incide anche sulla principale argomentazione134 tradizionalmente utilizzata per giustificare il meccanismo del fallimento in estensione ai soci illimitatamente responsabili; escludendo il fallimento del socio unico azionista o quotista si avvalora ulteriormente la tesi secondo la quale il socio fallisce in quanto tale e non in quanto imprenditore, sottolineando l’eccezionalità della regola posta dall’art. 147 l.f. L’unico azionista o l’unico quotista ha l’intero potere gestorio e direzionale dell’impresa – diversamente da quanto accade ai soci delle società pluripersonali – atteggiandosi così da imprenditore individuale commerciale135; se si esclude il fallimento del socio unico, quindi, cade quell’argomentazione che estende il fallimento sociale ai soci illimitatamente responsabili sulla base dell’attività direzionale da loro svolta e per il rischio di impresa assunto136.
Vi è comunque chi137 ritiene la posizione presa dal legislatore del 2006 non idonea a garantire gli interessi dei creditori sociali, i quali, in mancanza del fallimento del socio unico, non possono utilizzare le azioni revocatorie utili per recuperare l’attivo, con grave loro pregiudizio; la tesi della fallibilità del socio unico di società di capitali, inoltre, avrebbe consentito di prevenire il deprecabile fenomeno dell’abuso della personalità giuridica. Un Autore in particolare ipotizza l’estensione del fallimento al socio unico azionista o quotista sulla base del comma 4 dell’art. 147 l.f., il quale prevede “ se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un
134 Supra Cap. I Par. 1.2
000 X. XXXXXXX, Xx fallibilità, cit. pag. 478: “il socio ed amministratore unico di una società a responsabilità limitata unipersonale non si differenzia davvero gran che da un imprenditore individuale […]
136 Sul punto anche X. XXXXX, Società unipersonali e fallimento, in Diritto Fallimentare, 2005, I, 330. Anche X. XXXXXX, Società, cit. 903.
137A. DI MAJO, Il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata, in Riforma fallimentare, lavori preparatori ed obiettivi, X. XXXXXX- X. XXXXXXX- X. XX XXXXXX, Itaedizioni, 2007, pag. 127. ID., Fallimento delle società con soci a responsabilità illimitata, in Fallimento on line, 2006, 3; Anche X. XXXXXXX, Manuale di diritto fallimentare, Xxxxxxx, VIIed, pag. 753-754.
3. Il fallimento delle persone non fisiche
Il primo comma dell’art. 147 l.f. precisa che il fallimento di una delle società appartenenti ai tipi regolati i Capi III, IV e V del Libro V del codice civile produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche. Questo inciso “pur se non persone fisiche” è stato inserito al fine di chiarire che falliscono per estensione anche le eventuali società, sia di persone che di capitali139, socie delle società di persone suscettibili di fallimento. Si adegua così la legge fallimentare alla riforma del diritto societario del 2003 che, nell’art. 2361 comma 2, ha previsto espressamente la possibilità di partecipazione delle società di capitali alle società di persone.
3.1 La disciplina della partecipazione di società di capitali in società di persone alla luce della riforma di cui al d.lgs. n. 6/2003
L’art. 2361 c.c., nella sua versione precedente alla riforma del diritto societario, stabiliva che “L’assunzione di partecipazione in altre imprese, anche se prevista genericamente nell’atto costitutivo, non è consentita, se per la misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale determinato dall’atto costitutivo”. La giurisprudenza aveva interpretato tale disposizione nel senso che fosse tassativamente vietata la partecipazione di società di capitali alle società di
138 X. XXXXXXXXXXX, Il fallimento in estensione del socio unico di società di capitali e l’art. 147 l.f.: in nuovi interventi della Cassazione e le soluzioni (solo apparentemente) difformi dei giudici di merito, in Giur. It., 2009, 11.
139 Così rileva la Relazione di accompagnamento al d.lgs 9 gennaio 2006 n.5
persone, in quanto ne sarebbe risultata una figura “ibrida”140, con un’inaccettabile commistione fra i due regimi delle società, soprattutto in ordine all’amministrazione e alla redazione dei bilanci141.
La riforma di cui al d.lgs. n. 6/2003 ha mantenuto sostanzialmente inalterato il comma 1 dell’art. 2361 c.c. inserendo ex novo un secondo comma in cui è espressamente disciplinata la possibilità di partecipazione della società per azioni in imprese che comportano una responsabilità illimitata per le obbligazioni sottoponendo, però, la regolare partecipazione a due presupposti: il primo attiene alla necessità che l’assemblea ordinaria dei soci deliberi142 sulla partecipazione della società di capitali a cu appartiene in una società di persone143; il secondo riguarda gli amministratori, i quali hanno l’obbligo di dare specifica informativa nella nota integrativa di bilancio della partecipazione della società di capitali in una società di persone; la finalità è quella di offrire una corretta informazione in quanto una tale partecipazione potrebbe determinare gravi conseguenze sull’attività di impresa della società di capitali.
L’art. 2361 c.c. novellato è dettato in particolare per la partecipazione delle società per azioni nelle società di persone, mentre la corrispondente disposizione non è richiamata negli articoli del codice destinati alla disciplina della società a responsabilità limitata. La riforma del diritto societario ha disegnato una disciplina completamente autonoma per la s.r.l. rispetto al regime della società per azioni, di conseguenza la facoltà di partecipare come
140 X. XXXXXXXXX, Il nuovo art. 147: il fallimento del socio non persona fisica, in Le procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di X. XXXXXX, Utet, 2008, pag. 159
141 Corte d’Appello di Milano, 25 maggio 2004, in Banca borsa e titoli di credito, 1, 22, con nota di Xxxxxx.
142 Contra X. XXXXXXXX, Nuovi profili, cit. pag. 85.
143 X. XXXXXXXXX, Il nuovo art. 147 l.f., cit., pag. 162, secondo l’Autore la legittimazione alla deliberazione sulla partecipazione in una società di persone spetta all’assemblea ordinaria sulla base dell’art. 2365 comma 1, secondo il quale l’assemblea straordinaria è competente soltanto sulle modificazioni dello statuto, sulla nomina, sostituzione e poteri dei liquidatori e su ogni altra materia espressamente attribuitale dalla legge: non viene fatta rientrare in queste funzioni quella relativa alla delibera per la partecipazioni in società di persone, quindi la competenza spetta all’assemblea ordinaria.
3.2 Il fallimento della s.p.a. o di una s.r.l. socie di una società a responsabilità illimitata
La possibilità di partecipazione enunciata dall’art. 2361 c.c. comporta, per le società di capitali divenute socie di una società di persone, l’acquisto della responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali; divengono appunto, socie a responsabilità illimitata e, come tali, il novellato art. 147 l.f, ne ha previsto l’estensione del fallimento sociale.
A tal riguardo si devono intendere come “persone non fisiche” suscettibili di fallimento in estensione, non solo le società di capitali e le società di persone divenute socie illimitatamente responsabili di una s.n.c.,
Vi sono comunque differenze a seconda se la società socia dichiarata fallita sia una s.p.a o s.r.l. oppure una società di persone o una s.a.p.a. Nel primo caso la s.p.a e la s.r.l. anche se caratterizzata dalla personalità giuridica e quindi dalla responsabilità limitata per le obbligazioni sociali, in caso di fallimento della società di cui risulta socia, risponderà per le obbligazioni sociali di quest’ultima con tutto il suo patrimonio. Nel secondo caso, dove il
144 X. XXXXXXXXX, Il nuovo, cit. pag. 164
145 X. XXXXXX, Società con soci,cit. pag. 901
146 X. XXXXX, Sub art. 147, cit., pag. 2175; anche X. XXXXXX, Società, cit. pag. 901; X. XXXXXXX,
Fallimento delle società, cit. pag. 1507.
CAPITOLO IV
IL FALLIMENTO DELL’EX SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE
1. Il fallimento dell’ex socio illimitatamente responsabile nella disciplina previgente
La riforma fallimentare ha stabilito al secondo comma dell’art. 147 l.f. che “il fallimento dei soci di cui al comma primo147 non può essere dichiarato decorso un anno148 dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione […]149”. Il risultato a cui è pervenuto il legislatore del 2006 è stato preceduto da anni di dibattiti in cui sia la giurisprudenza che la dottrina discutevano sulla possibilità di estensione analogica dei principi sanciti dagli artt. 10 e 11 della legge fallimentare anche a coloro che furono soci illimitatamente responsabili di una società dichiarata fallita.
A mente degli articoli 10 e 11 l.f., pre-riforma, l’imprenditore individuale150 veniva dichiarato fallito successivamente alla cessazione
147 Il comma 1 dell’art. 147 l.f. recita: “La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.
148 Il motivo per cui l’ex socio debba rispondere delle obbligazioni assunte anteriormente alla cessazione del suo stato di socio fino al termine di un anno, vedi F: FERRARA, Il fallimento, cit., pag. 679 nota 2: “ Ma quando la società è insolvente, le obbligazioni assunte successivamente (salvo che non determinino la scomparsa dell’insolvenza) non possono apprezzarsi come riallacciantisi ad una autonoma speculazione, essendo accorgimenti per rattoppare l’insolvenza e ritardarne la manifestazione. Non c’è nulla di strano che l’ex socio risponda anche di queste obbligazioni nei limiti di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti”.
149 L’art. 147 al secondo comma continua: “[.. ] se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l’insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata”
150 La Corte Costituzionale con la sentenza n. 319 del 21 Luglio 2000 ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 “nella parte in cui non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell’esercizio dell’impresa collettiva per la dichiarazione di fallimento della società decorra dalla
dell’attività di impresa (art. 10) e nel caso di fallimento dell’imprenditore defunto (art. 11); nel primo si stabiliscono i due presupposti che devono contemporaneamente sussistere affinché possa essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore individuale o collettivo che abbiano cessato, per una qualunque ragione, l’esercizio di impresa, ossia che la dichiarazione di fallimento non intervenga oltre l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese151 e che l’insolvenza si sia manifestata anteriormente all’anno della cancellazione stessa o entro l’anno successivo. L’art. 11 l.f., rimanda alle medesime condizioni del primo comma dell’art. 10 e dunque può essere dichiarato fallito anche l’imprenditore defunto entro un anno dalla sua morte e sempre che l’insolvenza dell’impresa sia imputabile precedentemente alla morte dell’imprenditore o entro l’anno successivo152.
L’art. 147 l.f. nella previgente statuizione statuiva che il fallimento della società produceva in automatico il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, non specificando se anche al socio nei cui confronti era venuta meno l’appartenenza alla compagine sociale si potesse estendere il fallimento e se, in caso affermativo, valessero le condizioni temporali previste dagli artt. 10 e 11 l.f.
Parte della giurisprudenza153 e della dottrina154, anche se minoritarie, propendevano per la totale esclusione del fallimento del socio receduto,
cancellazione della società stessa dal registro delle imprese”. In dottrina X. XXXXXXXXX, Fallimento, cit. pag. 251 ss.
151 Nel secondo comma dell’art. 10 vigente stabilisce che è facoltà del creditore o del magistrato del pubblico ministero dimostrare il momento di effettiva cessazione dell’attività di impresa, qualora quest’ultima non coincida con la data di cancellazione dal registro delle imprese.
152 In merito al fallimento dell’imprenditore defunto è necessaria una osservazione: l’art. 11 rimanda alla disciplina dell’art. 10 e da ciò si dovrebbe evincere che il fallimento dell’imprenditore defunto potrebbe essere dichiarato entro l’anno dalla cancellazione dell’impresa dal registro delle imprese, sempreché l’insolvenza si sia manifestata prima della cancellazione o entro l’anno successivo; sembra più corretto ritenere che il termine di riferimento per la dichiarazione di fallimento sia quella della data della morte dell’imprenditore, piuttosto che alla data di cancellazione dal registro delle imprese. Tale indicazione si ricava dalle sentenze: Tribunale di Roma 15 ottobre 1997 e Corte di Cassazione 21 novembre 2002 n. 16415.
153 Cassazione 29 ottobre 1963 n.2892 in Diritto Fallimentare, 1964, II, 507; Cassazione 24 ottobre 1956 n.
3888.
Ulteriore argomento a sostegno dell’esclusione del fallimento dell’ex socio era la non coincidenza fra la sfera di responsabilità del socio già illimitatamente responsabile (che riguardava solo le obbligazioni sociali anteriori al momento del venir meno della qualità di socio illimitatamente responsabile) e la sfera della responsabilità e del debito della società, coincidenza che avrebbe costituito invece un presupposto per l’estensione al
154 X. XXXXXXXXX, Trattato di diritto fallimentare secondo la nuova legislazione, II, Bologna, 1939 pag. 253; X. XXXXXXXX, voce “Fallimento (Diritto privato e processuale)”in Enciclopedia del Diritto, XVI, Milano, 1967, pag, 309.
155 X. XXXXXXXXXXX, La responsabilità illimitata nel fallimento per estensione, Milano, 1991, pag. 51; anche X. XXXXXX MAGGIORE, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994, pag. 561.
La maggior parte della dottrina si esprimeva comunque positivamente per l’estensione del fallimento all’ex socio illimitatamente responsabile, anche se con differenze tra una tesi e l’altra.
Alcuni157 ritenevano sussistere il fallimento del socio receduto, escluso o defunto soprattutto sulla base del presupposto dell’insorgere dell’insolvenza quando ancora il socio apparteneva alla compagine sociale158; altri invece reputavano sufficiente che risultassero inadempiute le obbligazioni assunte quando ancora era presente l’ex socio nella società, indipendentemente dalla effettiva situazione di insolvibilità della stessa159. In entrambi i casi l’ex socio doveva comunque rispondere delle obbligazioni in sede di fallimento160, e ciò per due ragioni: la prima di ordine “equitativo” tra i vari soci della società, la seconda attinente all’affidamento dei terzi creditori nei confronti delle garanzie prestate dai soci e dalla società. Più in particolare, sul piano equitativo, la tesi sottolinea come il decesso, l’esclusione ed il recesso del socio illimitatamente responsabile non eliminano la responsabilità, né il fallimento, non essendovi motivo alcuno perché il patrimonio dei soci
156 X. XXXXXX MAGGIORE, Istituzioni, pag. 561; Contra X. XXXXX, Il fallimento,cit. pag. 106.
157 X. XXXXXX MAGGIORE, Istituzioni, cit., pag. 562
158 F. FERRARA, Gli imprenditori, cit. pag. 679 nota 2, scrive che “il recesso o l’esclusione di un socio a responsabilità illimitata quando la società è insolvente è un fatto obiettivamente dannoso per i creditori sociali, sottraendo un soggetto all’esecuzione concorsuale”; anche X. XXXXXXX, Il fallimento, cit. pag. 74, nota che “il socio defunto, receduto o escluso e il socio che abbia ceduto la propria quota potrà essere dichiarato fallito insieme alla società solo se non sia trascorso un anno dalla morte, dal recesso, dall’esclusione o dalla cessione della quota, sempre che l’insolvenza si fosse manifestata prima della sua morte o della sua uscita dalla società o nell’anno successivo”.
159 Xxx X. XXXXX, Diritto, cit., non occorre che l’insolvenza sia venuta ad esistenza prima della cessazione della qualifica di socio ma è sufficiente che vi siano delle obbligazioni sociali di cui i soci siano responsabili illimitatamente, così pag. 422: “Pertanto la sola circostanza alla quale si dovrà badare è se sussistono obbligazioni sociali delle quali i soci debbano rispondere (cioè anteriori allo scioglimento del rapporto): se sussistono, e il socio, receduto o escluso o gli eredi del defunto non pagano, il fallimento non potrà essere evitato”.
160 X. XXXXX, Il fallimento, cit. pag. 515 ss.
anteriori, a differenza di quello dei soci attuali, debba essere sottoposto ad una diversa procedura quando lo stato di insolvenza della società risalga ad un tempo in cui i loro rapporti sociali non erano ancora sciolti. La seconda ragione attiene all’affidamento che i terzi fanno al momento di contrattare con la società sulla consistenza del patrimonio sia sociale sia personale dei singoli soci, perciò non sarebbe giusto sottrarre quella garanzia, quale è il patrimonio dell’ex socio illimitatamente sociale, su cui il terzo aveva fatto affidamento161. Altri ancora estendevano il fallimento sociale all’ex socio illimitatamente responsabile sulla base non solo dell’insolvenza ma anche della sua qualità di socio, anche se cessata anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dal momento che il secondo comma dell’art. 147 l.f. previgente si
riferiva alla esistenza di “altri soci illimitatamente responsabili”162.
Nell’ambito della tendenza ad estendere il fallimento anche al socio receduto, escluso o defunto, vi era chi163 individuava la necessità di limitare la dichiarazione di fallimento entro il periodo previsto dagli artt. 10 e 11 l.f.. Questa parte della dottrina era la stessa che sosteneva la qualità di imprenditore, anche indiretto, del socio illimitatamente responsabile164; sulla base di questa equiparazione, dunque, si estendeva tutta la disciplina prevista per l’imprenditore individuale commerciale anche ai soci illimitatamente responsabili, tra cui appunto le norme relative al fallimento dell’imprenditore che aveva cessato l’esercizio dell’impresa (art. 10 l.f.) ed al fallimento dell’imprenditore defunto (art. 11 l.f.). Si sosteneva165, così, che se il socio
161 X. XXXXXXXXXXX, La responsabilità, cit. pag. 53
162 X. XXXXX, Diritto, cit., pag. 423 scrive che “ il fallimento del socio passato non potrà infatti essere dichiarato con la stessa sentenza dichiarativa del fallimento della società ma solo in seguito alle indagini svolte dal curatore, e quindi sarà applicabile non il primo, ma il secondo comma dell’art. 147”. Così anche LO XXXXXX, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, II, IPSOA, 1995, pag. 495, secondo il quale “Va precisato che la dichiarazioni di fallimento del socio receduto fa seguito alle indagini compiute dal curatore, sicché trova applicazione, in tal caso, il secondo comma dell’art. 147”
163 X. XXXXXXXXX, Fallimento, cit. pag. 289; XXXXXXXX, Responsabilità d’impresa, cit., pag. 75; X. XXXXXXX, Società personali, cit. pag. 642 ss.
164 Cfr. Cap. I Par. 1 e Par. 1.1.
165 F. FERRARA, Gli imprenditori, cit. pag. 678.
1.1 Le pronunce della Corte Costituzionale sull’illegittimità dell’art. 147 l.f.
Le varie discussioni dottrinali relative all’estensione del fallimento all’ex socio illimitatamente responsabile furono sopite dall’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza del 12 marzo 1999 n. 66167. La Consulta era stata interrogata sulla questione di legittimità dell’art. 147 l.f., 1° e 2° comma, sollevata in relazione agli artt. 10 e 11 l.f., nella parte in cui prevedeva che la sentenza che dichiarava il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produceva il fallimento anche dell’ex socio illimitatamente responsabile anche dopo il decorso di un anno dalla morte, non applicandosi i
166 Così X. XXXXXXX, Il fallimento delle società, cit. pag. 74; X. XXXXXXXX, Imprenditori anomali, cit. pag. 187; X. XXXXX, Le crisi di impresa, cit. pag. 157. Contra in giurisprudenza: Cassazione, 24 luglio 1992 n. 8924 con la quale si escludeva l’applicabilità al socio della disciplina dell’imprenditore individuale sulla premessa che la titolarità dell’impresa apparteneva alla società e non ai soci. In dottrina X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 98, il quale conferma la scelta del legislatore del 2006 di estendere i limiti temporali dell’art. 10 l.f. ai soci illimitatamente responsabili, ma non perché questi ultimi debbano essere equiparati alla figura dell’imprenditore ma per una ragione di certezza delle situazioni giuridiche, così come esposto dalla Corte Costituzionale nelle sentenze del 1999/2000.
167 Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, 00 marzo 1999 n. 66 in Giurisprudenza Commerciale, II, 494 con nota di MELONCELLI.
termini previsti dagli artt. 10 e 11 l.f.; risultava così, per il rimettente, una situazione di disparità lesiva dell’art. 3 Cost.
I giudici della Corte Costituzionale, pur giudicando non fondata la questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento, interpretarono l’art. 147 l.f. in rapporto con gli artt. 10 e 11 l.f. in modo tale da estendere il limite temporale anche ai soci non appartenenti più, per una qualsiasi causa, alla compagine sociale. L’iter logico seguito dalla Consulta si basava sulla ratio degli articoli in questione, ossia sull’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche da un lato e sulla tutela dei creditori dall’altro; queste stesse esigenze devono essere alla base anche del fallimento dell’ex socio illimitatamente responsabile, infatti se i creditori sono tutelati dalla dichiarazione di fallimento, l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche comporta la necessaria applicazione del limite di un anno per estendere il fallimento a colui che socio non lo è più. Non essendo fissato in modo esplicito dall’art. 147 l.f., il limite deve essere ricavato dagli artt. 10 e 11 l.f., i quali divengono così principi di carattere generale168.
L’interpretazione data dalla Corte Costituzionale non fu inizialmente recepita dalla giurisprudenza di merito169 al punto che si rese necessario un
168 Sentenza interpretativa di rigetto n. 66/1999 della Corte Costituzionale: “Al riguardo, non sembra possa dubitarsi che l'affermata assoggettabilità al fallimento dei soci cessati o defunti - a prescindere dalle differenti opinioni dottrinali e giurisprudenziali sul suo più preciso fondamento normativo - costituisca comunque espressione di quella medesima esigenza di tutela dei creditori alla quale rispondono le norme degli artt. 10 e 11 della legge fallimentare riguardo all’imprenditore individuale. L'ammissibilità del fallimento dell'ex socio deve essere, tuttavia, circoscritta entro un rigoroso limite temporale proprio al fine di non pregiudicare, come si é detto precedentemente, l'interesse generale alla certezza delle situazioni giuridiche Tale limite, non risultando fissato dall’art. 147, deve essere rinvenuto all’interno del sistema della stessa legge fallimentare e precisamente nella norma dettata dagli artt. 10 e 11 che, in considerazione della sua ratio, assume una portata generale ed é, in quanto tale, applicabile anche al fallimento degli ex soci.”. X. XXXXXXX, I presupposti del fallimento, cit. pag. 111 nota 291.
169 Trib. Padova, 10 maggio 1999, in Fallimento, 1999, I, 2381: “Il giudice del merito, attesa la non vincolatività della pronuncia interpretativa di rigetto,può fissare un diverso termine per l’estensione del fallimento al socio receduto che va indicato in quello decennale di prescrizione ovvero in quello quinquennale previsto per le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori delle società di capitali”.
successivo intervento con la sentenza del 21 luglio 2000 n. 319170 con la quale si dichiarò definitivamente l’illegittimità dell’art. 147 l.f. nella parte in cui prevedeva che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata di una società fallita potesse essere dichiarato anche dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi persero, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata. Nella stessa sentenza si dichiarò inoltre l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 l.f. nella parte in cui non prevedeva che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa collettiva per la dichiarazione di fallimento della società decorreva dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese. Quest’ultima precisazione si era resa necessaria in quanto la giurisprudenza di merito considerava cessata una impresa societaria solo dopo il pagamento di tutti i debiti, indipendentemente dalla data di cancellazione dal registro delle imprese; si generava così uno stato di incertezza in quanto il fallimento poteva essere dichiarato anche molti anni dopo dalla cancellazione dal registro delle imprese a dispetto dell’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche171.
1.2 La nuova disciplina relativa all’ex socio illimitatamente responsabile
Il legislatore della riforma fallimentare del 2006 ha espressamente previsto al secondo comma dell’art. 147 l.f. le due condizioni che comportano l’estensione del fallimento sociale anche all’ex socio illimitatamente responsabile.
170 Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx 00 luglio 2000 n. 319 in Fallimento, 2001, 13 con nota di GENOVESE, Note a margine a Corte Costituzionale n. 319 del 2000.
171 Oltre alle sentenze n. 66/1999 e n. 319/2000 della Corte Costituzionale, un passo decisivo verso l’estensione del limite temporale anche agli ex soci illimitatamente responsabili era provenuto, anche se indirettamente dal disposto dell’art. 23, secondo comma, del d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270 in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, che ha espressamente previsto l’estensione della dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza nei confronti del socio receduto o escluso e del socio defunto. Vedi anche X. XXXXX, sub art. 147, cit. pag. 2176 e per l’iter delle sentenze della Corte Costituzionale nota 38 pag. 2178;
La prima condizione, recepita direttamente dalle sentenze della Corte Costituzionale, è quella che il fallimento può essere dichiarato entro un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata “se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati”. L’ex socio potrà essere dichiarato fallito nei limiti di un anno qualora abbia provveduto all’onere di rendere nota ai terzi la causa di scioglimento dal rapporto sociale (recesso, esclusione, cessione delle quote, decesso172) o del venir meno della responsabilità illimitata (trasformazione, fusione, scissione, perdita della qualità di socio accomandatario e acquisizione di quella di accomandante); ciò risulta così essere necessario non solo per l’operatività del suddetto limite temporale ma anche per la decorrenza di tale termine173.
La locuzione formalità ha ingenerato però un dubbio in particolare, ossia se per tale termine si devono intendere gli adempimenti pubblicitari legalmente idonei174 a portare gli eventi citati a conoscenza dei terzi, così da renderli opponibili, oppure se vi si possano far rientrare anche tutti quei “mezzi idonei” con i quali anche i soci illimitatamente responsabili di una società irregolare o il socio occulto illimitatamente responsabile possano in concreto rendere noto lo scioglimento del rapporto con la società, come viene richiesto dall’art. 2290 c.c., secondo comma, usufruendo così anch’essi del termine annuale per la dichiarazione di fallimento in estensione. La Corte Costituzionale, ancora una volta, è intervenuta in materia dichiarando con le
172 Nel caso di decesso le formalità spettano agli eredi del de cuius, in quanto una eventuale pronuncia di fallimento sarebbe a loro rivolta.
173 X. XXXXXXXX,La rilevanza dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese alla luce delle modifiche intervenute nell’art. 2495 c.c. e l’applicabilità dell’art. 10 l.f. 246 ss. alle società di fatto, in Diritto Fallimentare,2008, 3-4, p.
174 Ovvero l’iscrizione dell’evento nel registro delle imprese che è l’unico mezzo idoneo a scongiurare con affidabile certezza la permanente fallibilità dell’ex socio, dal momento che, diversamente, occorrerebbe provare ai sensi dell’art. 2193 c.c. la concreta conoscenza o,quanto meno, la conoscibilità dal fatto in capo a tutti i creditori.
ordinanze n. 321 del 2002 e n. 36 del 2003175 manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 l.f., comma 2, sollevata in relazione alla violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede un limite temporale anche per l’estensione del fallimento al socio occulto e sottolinea nuovamente come le sentenze n. 66 del 1999 e n. 319 del 2000 considerano esclusivamente le ipotesi di società regolari, escludendo che il termine possa essere fatto riferire anche alle società irregolari o agli ex soci illimitatamente responsabili176. La Cassazione177 ha, però, recentemente disatteso l’interpretazione data dalla Consulta, facendo espresso riferimento alla possibilità che lo scioglimento del vincolo sociale sia efficacemente reso noto mediante comunicazione epistolare ai creditori risultanti dalla documentazione sociale, così da poter attuare la prima condizione necessaria per usufruire del termine annuale entro cui estendere il fallimento178.
La seconda condizione richiede che l’insolvenza della società “attenga in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata”. La statuizione così posta non è esente da critiche e, come anteriormente alla riforma179, mantiene ancora aperto il dibattito su cosa si debba intendere per insolvenza. Dalla disposizione letterale della norma taluno ha tratto la conferma che sia sufficiente l’esistenza di un debito
175 Corte Cost. (ord.) n. 321 del 2002 e Cort. Cost. (ord.) n. 36 del 2003, in Giurisprudenza Commerciale,
II, 585, nota di XXXXX.
176 In dottrina: X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 112, secondo il quale “l’idea della pubblicizzazione dello scioglimento dal rapporto sociale tra il socio occulto e la società a cui appartiene desta non poche perplessità, sembrando intimamente contraddittoria la pretesa di rendere pubblico il venir meno di un fatto rimasto ignoto a terzi e che tale era destinato a rimanere.”; X. XXXXXX, Società con soci, cit. pag. 904, anche se in modo dubitativo, osserva che “Il termine formalità [….] sembra evocare le forme di pubblicità prescritte dalla legge al cui rispetto la sentenza della Corte Costituzionale n. 319 del 2000 subordina il decorso del termine annuale.”
177 Cass. 28 maggio 2004 n. 10268 in Fallimento, 2005, 521, nota di PROTO.
178 Ulteriori approfondimenti sulla questione relativa all’applicazione del termine annuale all’ex socio occulto illimitatamente responsabile, alla società apparente e al socio accomandante ingeritosi ex art. 2320 c.c., infra Cap. V.
179 Supra par. 1: vi era chi reputava sufficiente la presenza di debiti anteriormente alla cessazione del socio, indipendentemente dal fatto che, a tale epoca, la società fosse ancora solvibile; chi invece richiedeva che lo stato di insolvenza risalisse ad un momento in cui il socio faceva ancora parte della società, anche se si fosse poi manifestato dopo la cessazione del rapporto.
insoddisfatto anteriore alla cessazione dello status di socio180; altri invece sostengono che lo stato di insolvenza, anche se in forma iniziale, deve essere già presente ancora prima della cessazione dello stato di socio181.
2. Il fallimento del socio già illimitatamente responsabile a seguito di trasformazione, scissione e fusione della società
Il secondo comma dell’art. 147 l.f. puntualizza che il decorso di un anno per la dichiarazione di fallimento ha effetto anche nei confronti dei soci che abbiano cessato di essere illimitatamente responsabili a causa della trasformazione, fusione o scissione della società a cui appartengono. Il legislatore della riforma ha così equiparato la fattispecie dell’ex socio receduto, escluso o defunto anche al caso in cui un socio illimitatamente responsabile sia divenuto socio a responsabilità limitata. Tale ipotesi può avvenire qualora le società con soci a responsabilità illimitata (s.n.c., s.a.s., s.a.p.a) si trasformino (oppure si
180 Cfr. L. D’ORAZIO, Fallimento delle società, cit. pag. 145, secondo il quale “l’estensione del fallimento non è, quindi, automatica ma è subordinata all’accertamento della perdurante esistenza di obbligazioni societarie risalenti all’epoca della presenza del socio”; A. XXXXX, sub art. 147, cit. pag. 2179, che scrive: “ l’ex socio o il socio già illimitatamente responsabile fallisce anche quando il fatto che ha determinato la cessazione della qualità di socio illimitatamente responsabile sia avvenuto prima dell’insorgere dello stato di insolvenza”; si veda, inoltre, X. XXXXXXXXXX, Ambito di applicazione, cit. pag. 121, a giudizio del quale “non ha alcun rilievo il momento in cui si è verificato lo stato di insolvenza della società e la procedura può essere estesa all’ex socio illimitatamente responsabile anche quando la posizione di socio illimitatamente responsabile sia venuta meno prima dell’insorgere dello stato di insolvenza”. V., infine, X. XXXXXX, Società, cit. pag. 903 xxx xxxxxx: “Un tale interrogativo trova oggi esauriente risposta nell’attuale comma 2 dell’art. 147 l.f., il cui ultimo periodo chiarisce l’indifferenza, ai fini della fallibilità dell’ex socio o del socio già illimitatamente responsabile, della relazione temporale tra lo stato di insolvenza e il venir meno della qualità di socio, riconoscendo invece rilievo al fatto che al momento della dichiarazione di fallimento della società permangono in capo a questa debiti contratti anteriormente al verificarsi dell’evento cui lo scioglimento del rapporto con il socio o la cessazione della responsabilità illimitata di quest’ultimo sono geneticamente connessi”.
181 Cfr. X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 115, che scrive: “[…]sembra eccessiva la pretesa di estendergli il fallimento anche quando, all’epoca del recesso, non vi era alcun presupposto dell’insolvenza e questa di è prodotta solo per il concorrente effetto di obbligazioni successive (di cui egli non è responsabile e sulle quali, tra l’altro, non è possibile da parte sua alcuna efficace forma di controllo). Sembra preferibile pertanto ritenere che l’obbligazione insoddisfatta debba pur sempre attribuirsi anche una qualche apprezzabile efficienza causale nella produzione dell’insolvenza, vuoi che questa fosse già presente in nuce al momento della cessazione della responsabilità, vuoi che sia sopravvenuta nell’anno successivo”.
fondano o si scindano) in una società di capitali, ma anche nel caso in cui un socio accomandatario (di s.a.s. o s.a.p.a) diventi socio accomandante.
In tutti i precedenti esempi il socio mantiene comunque tale status all’interno della “nuova” società risultante dalla trasformazione, fusione o scissione ma perde il carattere di illimitata responsabilità. In argomento sorgono alcuni interrogativi, ossia, se tale socio già illimitatamente responsabile possa comunque essere dichiarato fallito per i debiti pregressi e se, anche in questa fattispecie, si possano applicare i termini annuali ex art. 10 e 11 l.f. Per le soluzioni si fa attualmente riferimento al secondo comma dell’art. 147 l.f., ma la dottrina e la giurisprudenza antecedenti alla riforma erano discordi su quale posizione assumere a riguardo.
2.1. Il fallimento del socio già illimitatamente responsabile successivo alla trasformazione
Con la trasformazione vi è una modifica dell’atto costitutivo, mediante la quale si realizza il mutamento del tipo della società, con la conseguente modifica della struttura organizzativa e della disciplina ad essa applicabile182; la trasformazione non comporta però la nascita di una nuova società con contestuale liquidazione della precedente, ma vi è una “continuità dei rapporti giuridici” in modo tale che l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi acquisiti anteriormente alla trasformazione183. Questo aspetto diviene rilevante
182 Questa opinione è ormai pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza: X. XXXXXXXX, Trasformazione, fusione, scissione in Diritto delle Società, cit. pag. 409; X. XXXXXXXX, La liberazione dei soci illimitatamente responsabili nei casi di trasformazione e fusione di società, in Imprenditori anomali e fallimento, cit. pag. 435; X. XXXXXXXXX, Delle Società, Trasformazione e fusione delle società, in Commentario al codice civile (a cura di) Scialoja Branca,Bologna Roma 1976, pag. 11ss. In tempi meno recenti, parte della dottrina intendeva la trasformazione come una mutazione di oggetto, realizzatosi con l’estinzione della prima società e la sua sostituzione con la nuova, vedi per tutti: X. XXXXXXXX, Trattato sul diritto delle società, II, Milano 1948 pag. 614ss.
183 Art. 2498 c.c. Continuità dei rapporti: “ Con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione”.
soprattutto in relazione alle trasformazioni cosiddette eterogenee184, in ragione della diversa disciplina applicabile alla responsabilità dei soci, soprattutto in riferimento alle obbligazioni assunte anteriormente alla trasformazione185. La riforma delle società del 2003 ha stabilito all’art. 2500-quinquies c.c. che i soci rimangono illimitatamente responsabili per le obbligazioni pregresse alla trasformazione, qualora i creditori sociali non abbiano dato il consenso alla trasformazione, il quale nondimeno si presume juris et de jure qualora i creditori non lo abbiano espressamente negato entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione della delibera di trasformazione attraverso posta raccomandata o con altri mezzi che garantiscono la prova dell’avvenuto ricevimento186. Il consenso, quindi, è diretto e valido solo nei confronti della responsabilità per le obbligazioni assunte e non ancora adempiute dal socio già illimitatamente responsabile e non è dato nei riguardi della delibera alla trasformazione, la quale opera a prescindere dal consenso dei creditori.
Nell’ipotesi di consenso negato, dunque, i soci già illimitatamente responsabili mantengono la loro responsabilità per le obbligazioni sorte anteriormente alla trasformazione e qualora la società trasformata sia dichiarata fallita verranno dichiarati falliti in estensione ex art. 147, secondo comma, l.f., in presenza delle medesime condizioni previste per il fallimento del socio receduto, escluso o defunto, ossia a condizione che l’insolvenza attenga, in tutto o in parte, ai debiti esistenti alla data di cessazione della responsabilità illimitata e che il fallimento venga dichiarato entro un anno dalla cessazione stessa187.
184 È la trasformazione da una società di persone in una società di capitali o viceversa.
185 Nelle problematiche derivanti dalla continuità dei rapporti giuridici è da far rientrare anche la fattispecie di trasformazione dallo status di socio accomandatario – caratterizzato dalla responsabilità illimitata- allo status di socio accomandante – a responsabilità limitata.
186 Per una approfondita analisi dell’art. 2500-quinquies c.c. v. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, sub art. 2500 quinquies, in Codice civile commentato Xxxxxxxxxxx, diretto da F.D. Xxxxxxxx, II, Xxxxxxx, 2010 pag. 171 ss.
187 X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 116, il quale esclude, ovviamente, che vi sia fallimento in estensione nei confronti dei soci già illimitatamente responsabili, quando risulti che i creditori sociali hanno
Prima dell’intervento del legislatore del 2006, la disciplina applicabile al fallimento del socio già illimitatamente responsabile era soggetta a diverse interpretazioni tra di loro in contrasto.
Se una parte della dottrina188 e la giurisprudenza avevano anticipato il risultato cui è giunto il legislatore del 2006, l’altra parte negava l’estensione del fallimento al socio che fosse divenuto limitatamente responsabile a seguito della trasformazione e ciò veniva giustificato dal fatto che l’interpretazione letterale e la tradizione storica dell’art. 147 l.f. facevano riferimento solo alle società che istituzionalmente e originariamente ammettevano la presenza di soci a responsabilità illimitata, escludendo così i soci della s.p.a., s.r.l. e gli accomandanti della s.a.p.a., i quali non vengono travolti dal fallimento in virtù della loro limitata responsabilità per le obbligazioni sociali189 o, ancora, si sosteneva che la formula “soci a responsabilità illimitata” era da intendere in riferimento a tutte le obbligazioni sociali, non potendosi dichiarare il fallimento solo per la parte delle obbligazioni anteriori alla trasformazione190.
2.2 Il fallimento del socio già illimitatamente responsabile successivo a fusione
Con la fusione si ha una concentrazione fra imprese in quanto da una pluralità di società ne viene ad esistenza una sola. Si distingue tra la fusione per incorporazione e la fusione in senso stretto; nella prima una società assorbe le
prestato il loro consenso. X. XXXXXXX, Manuale di diritto fallimentare, cit. pag. 780; ID, sub art. 147 l.f., in Commento al codice del fallimento, (a cura di) X. XXXXXXX, XXXXXXXXX, VI ed.; X. XXXXXX, sub art. 147 l., cit. pag. 1124 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto fallimentare, cit. pag. 407 ss.
188 X. XXXXX, Il fallimento, cit. pag. 587; X. XXXXXXX, Responsabilità, cit. pag. 141 ss.; X. XXXXXXX, Società, cit. pag. 952; SATTA, Diritto fallimentare, cit. pag. 422; X. XXXXXX MAGGIORE, Istituzioni, cit. pag. 732.
189 Così X. XXXXXXXX, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, I, Torino, 1953, pag. 242; X. XXXXX, Manuale di diritto commerciale, XI, cit. pag. 600; X. XXXXXXXXX, La trasformazione delle società, Milano, 1952, pag. 286ss.
190 X. XXXXXXX, L’imprenditore occulto, cit. pag 172 nota 21
altre; nella seconda tutte le società si fondono tra di esse e si crea una nuova società ex novo191.
Qualora la società incorporata (o partecipata) sia una società a responsabilità illimitata, che a seguito della fusione, per incorporazione o in senso stretto, va a confluire in una società di capitali, sorge la questione relativa alla persistenza o meno della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali anteriori alla riforma. A seguito della riforma del diritto societario si è disposto all’ultimo comma dell’art. 2504-bis che la c.d. fusione eterogenea non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni delle rispettive società partecipanti alla fusione anteriori al progetto di fusione, se non risulta il consenso dei creditori. I creditori legittimati sono, quindi, solo quelli che vantano diritti di credito anteriori agli adempimenti pubblicitari relativi al progetto di fusione e ciò considerando che “colui il quale abbia fatto credito alla società pur sapendo, o potendo con diligenza sapere, che questa stava progettando un’operazione di scissione, non può poi dolersi della concreta attuazione del progetto”192.
Argomentando dalla tipologia di consenso occorrente per liberare i soci dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte anteriormente al deposito dell’atto di fusione (art. 2504 c.c.) è sorto il dubbio se si dovesse ritenere sufficiente il consenso previsto dall’art. 2503, per cui i creditori che avessero dato il consenso alla fusione, avrebbero anche liberato i soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni anteriori, così da equiparare il consenso alla liberazione dei soci a quello richiesto ex art. 2503; oppure se il consenso alla liberazione dei soci dovesse essere un consenso specifico,
191 Art. 2501 c.c. Forme di fusione: “la fusione di più società può eseguirsi mediante la costituzione di una nuova società, o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre.” X. XXXXXXXX, Trasformazione, cit. pag. 420
192 Così X. XXXXXXX, La nuova disciplina della fusione e scissione di società in Società, 1991, 441. Anche X. XXXXX, Manuale, cit. pag. 515.
ulteriore a quello per la fusione193. A sostegno di quest’ultima interpretazione sta la pronuncia della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 47 del 20 febbraio 1995194 dichiarò illegittimo “ l’art. 2503 c.c. per contrasto con gli artt.
3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede che la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni anteriori alla fusione consegua esclusivamente al consenso espresso o presunto nei modi e nel termine di cui all’art. 2499 c.c (attuale art. 2500 quinquies) dei creditori della società di persone”. Secondo questa interpretazione, dunque, la Corte Costituzionale ha sostanzialmente diversificato i due consensi, ritenendo che quello relativo al progetto di fusione sia riferito solo al rapporto tra i creditori e la società, mentre ben diverso è il consenso alla liberazione dei soci illimitatamente responsabili, che attiene invece ai rapporti tra i creditori ed i singoli soci. La pronuncia della Corte Costituzionale ha così stabilito che anche i soci illimitatamente responsabili di una società partecipante alla fusione debbano essere liberati attraverso un consenso dato nelle modalità previste dall’art. 2500quinquies (art. 2499 c.c. ante riforma), equiparando sotto questo punto di vista la disciplina della trasformazione a quella della fusione195. L’ultimo comma dell’art. 2504-bis, inserito dalla riforma del 2003, recepisce quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, perciò è da intendere che, pur in mancanza
193 X. XXXXXXX’, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, Milano, 2008, pag. 253.
194 Corte Costituzionale, sentenza 20 febbraio 1995 n. 47 in Giurisprudenza Commerciale, 1996, 5s, con nota di XXXXXXX, La tutela dei creditori sociali nella fusione; anche in Società, 1995, 5, 620 con nota di
X. XXXXXXX.
195 La decisione della Corte Costituzionale è stata ripresa dalla Cassazione con la sentenza n. 2921 del 29 marzo 1996 in Fallimento, 1996, 1094: “ nell’ipotesi di fusione eterogenea la mancata opposizione dei creditori nei termini stabiliti dall’art. 2503 c.c. non è sufficiente a determinare la liberazione dei soci illimitatamente responsabili della società incorporata per le obbligazioni sociali anteriori all’iscrizione della delibera di fusione nel registro delle imprese, occorrendo a tal fine che, ai sensi dell’art. 2499 c.c., a ciascuno dei creditori sia data comunicazione, con raccomandata di detta scissione e che il creditore stesso dia il proprio consenso o lo neghi espressamente entro trenta giorni.”
di un espresso richiamo all’art. 2500quinquies, la disciplina da applicare sia la medesima196.
Il mancato consenso alla liberazione dei soci illimitatamente responsabili ha come effetto quello di renderli eventualmente assoggettabili al fallimento in estensione della società, nel termine di un anno e qualora l’insolvenza attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata.
2.3 Il fallimento del socio già illimitatamente responsabile successivo alla scissione
196 In questo senso: X. XXXXXXXX, Il fallimento per estensione dei soci a responsabilità illimitata in Il fallimento delle società, Milano, 2007, pag. 176; P. XXXXXXX, Dizionario giuridico del notariato. Nella casistica pratica, Milano, 2006, pag. 487; X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 117.
197 X. XXXXXXXX, Trasformazione, cit. pag. 433
198 X. XXXXX, Manuale, cit. pag. 517
L’intera disciplina della scissione è modellata sulla base della fusione, a conferma di ciò è l’art. 2506 ter, il quale prevede espressamente quali norme, relative alla fusione, sono applicabili alla scissione, tra le quali vi è anche l’art. 2503 c.c. sulla opposizione dei creditori alla delibera di scissione: manca invece il richiamo al consenso per la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni anteriori.
Per effetto della scissione una parte del patrimonio della società scissa viene assegnato a una o più società beneficiarie. Il patrimonio totale in sé non diminuisce, ma viene distribuito fra le società partecipanti alla scissione. Inoltre, la scissione implica l’assegnazione alle società beneficiarie non solo di attività, ma anche di passività. Sorgono così dei rischi a carico dei creditori, i quali non possono più fare affidamento diretto sul patrimonio assegnato ad altre società; a tutela dei creditori, che rischiano di vedere venir meno la loro garanzia patrimoniale dall’attuazione della scissione, viene dettato l’art. 2503
c.c. con il quale i creditori possono far valere la loro opposizione alla delibera di scissione.
Come detto sopra però, manca qualsiasi riferimento alla liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sorte anteriormente,
199 Sulla ammissibilità della scissione anteriormente all’espresso riconoscimento giuridico v. G. TANTINI, Trasformazione e fusione delle società in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia,VIII, diretto da X. XXXXXXX, Padova, 1985, pag. 296ss; anche X. XXXXXXXXX, La trasformazione e la fusione in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICU.MESSINEO, XXX t.2, Milano, 1989, pag. 338ss
liberazione che invece viene disciplinata dall’art. 2500 quinquies in caso di trasformazione, e dall’art. 2504 bis in caso di fusione; l’unico riferimento alla gestione dei debiti assunti anteriormente alla scissione viene dato dall’art. 2506 quater ai sensi del quale: “ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico”200. La ratio della mancanza di questo riferimento alla liberazione dei soci illimitatamente responsabili è da rintracciarsi proprio nello scopo della scissione; quest’ultima è volta a favorire le ristrutturazioni societarie, così da trasferire la responsabilità dei debiti dalla società scissa alle società beneficiarie. La responsabilità è illimitata per la società beneficiaria nei confronti di quei debiti della società scissa, che gli spettano sulla base del progetto di scissione. Si stabilisce, poi, la responsabilità sussidiaria e solidale degli altri soggetti partecipanti all’operazione (compresa la società dante causa o scissa qualora fosse stata attuata una scissione parziale che non ne comporta l’estinzione) in modo da assicurare nell’interesse del ceto creditorio, la cui posizione non deve subire un peggioramento per effetto della scissione, la permanenza della garanzia patrimoniale originaria201 “nei limiti, allora, in cui
200Alcuni Autori hanno voluto sopperire a tale vuoto di tutela applicando l’art. 2560 c.c., relativo ai debiti dell’azienda ceduta, alla figura della scissione; con questo orientamento la dottrina ha riconosciuto che la scissione produce anch’essa effetti traslativi consentendo di ricondurla così nell’ambito del negozio di alienazione di azienda. Qualora dunque, vi fossero dei vuoti nella disciplina della scissione, troverebbero applicazione le norme sul trasferimento di azienda e nello specifico anche l’art. 2560 c.c. nel quale: “l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.” Per l’applicazione diretta alla disciplina del trasferimento di azienda: G. E. COLOMBO, Scissione di società e trasferimento di azienda. A) Introduzione. In Economia dell’azienda e diritto dell’impresa, 2000, pag. 371-372; X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Il trasferimento di azienda,Torino, 2010 pag. 308. Per l’applicazione analogica sono invece: G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale2. Diritto delle società, cit. pag. 652 nota 81 il quale ritiene che: “ nel silenzio del progetto di scissione possano trovare applicazione quanto meno per analogia le norme in tema di trasferimento del ramo aziendale.”
201 X. XXXXXXXX, La scissione della società, Milano, 2012, pag. 237: “ la tutela dei creditori sociali deriva in modo diretto da un meccanismo legale che prescinde dall’iniziativa di costoro”. Anche X. XXXXXXX’, Scissione e responsabilità sussidiaria per i debiti sociali non soddisfatti in Società, 2002, 1380; X. XXXXXXX, Le società in genere. Le società di persone. in Trattato di diritto civile e commerciale, ed. 2010, Padova, pag. 682: “ a tutela dei creditori della società che si scinde e di quelli delle società cui sia attribuito il loro patrimonio, sono poste norme particolari: non solo essi possono fare
opposizione alla scissione,ma nei loro confronti le società sono responsabili in solido, nel limite del patrimonio netto ad esse trasferito o rimasto”.
202 Così X. XXXXXXXXXXXX, Le scissioni in Trattato delle società per azioni diretto da Xxxxxxx e Portale, Torino, 2004, pag. 266-267.
CAPITOLO V
IL FALLIMENTO DEL SOCIO OCCULTO, DELLA SOCIETA’ OCCULTA E DELLA SOCIETA’ APPARENTE
1. Il fallimento del socio occulto
Il socio occulto è colui che, pur avendo la qualifica di socio, è rimasto nascosto nel rapporto esterno con i terzi che sono venuti in contatto con la società. Le motivazioni che spingono un socio a rimanere nell’ombra, vale a dire a non assumere una posizione forma nel contesto della compagine sociale, sono varie203: esemplificando, esse possono riguardare l’impossibilità per detto socio di comparire nella società in quanto dipendente pubblico o, ancora, perché ha già in corso un procedimento fallimentare a suo carico, perciò, non esteriorizzando il vincolo sociale, non si viene a conoscenza degli utili percepiti dall’attività di impresa, che altrimenti andrebbero a confluire nell’attivo della procedura concorsuale già in corso ex art. 42 l.f.; ulteriore causa è l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale204; oppure il socio occulto, avendo un sostanzioso patrimonio personale, potrebbe preferire
203 X. XXXXXXX, Il fallimento, cit. pag 456.
204 F. FERRARA, Il fallimento, cit. pag. 127 nota 7.
L’art. 147 l.f., sia nella versione precedente, sia in quella vigente, ha mantenuto fermo il principio secondo il quale “Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi”. La norma fa riferimento ai casi in cui al momento della dichiarazione di fallimento della società il tribunale competente non sia a conoscenza dell’esistenza di un socio occulto illimitatamente responsabile in aggiunta ai soci palesi già dichiarati falliti, e questa esistenza emerga solo successivamente, su istanza del curatore, dei creditori206 o degli stessi soci falliti. In tal caso, il tribunale deve provvedere a estendere il fallimento sociale207 anche nei loro confronti successivamente alla loro convocazione ex art. 15 l.f., disposta, sia pure secondo un’interpretazione estensiva, a mente del terzo comma dell’art. 147 l.f.; infatti, tale convocazione era espressamente disposta nel secondo comma dell’art. 147 l.f. vecchio stile: “Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci […. ] si dichiara il fallimento dei medesimi, dopo averli sentiti in camera di consiglio”, mentre il riferimento è venuto a mancare nella nuova statuizione, probabilmente per un difetto di coordinamento, a cui si ovvia
205 X. XXXXXXX, Il fallimento, cit. pag. 45.
206 Tale competenza a richiedere il fallimento del socio occulto ai creditori è un principio ormai giuridicamente riconosciuto dal quarto comma dell’art. 147 l.f. Anteriormente alla riforma non era espressamente previsto; la legittimazione venne riconosciuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 142 del 16 luglio 1970 in Foro. It,1970,I, 2037 e la sentenza n. 127 del 28 maggio 1975 in Giurisprudenza Commerciale, 1975,II,561. Cfr. X. XXXXXXX, Il fallimento, in Tratt., cit. pag. 49.
207 La sentenza dichiarativa di fallimento in estensione al socio occulto deve essere considerata come una sentenza autonoma rispetto a quella che già si è avuta per la società palese, così da esplicare gli effetti del fallimento al socio occulto solo dal momento in cui viene effettivamente dichiarato fallito; anteriormente a suddetta sentenza dichiarativa il socio occulto non può essere considerato fallito anche se il fallimento della società a cui appartiene è già avvenuto. Si modifica in tal modo anche il termine per esercitare l’azione revocatoria sugli atti compiuti dal socio occulto. Vedi X. XXXXXXXX, I presupposti del fallimento, in Manuale di diritto commerciale, XIII ed, pag. 726.
riccorrendo al terzo comma del nuovo art. 147 l.f.208. In sede di convocazione, quindi, l’onere di provare la responsabilità illimitata del socio occulto spetta a colui che richiede l’estensione del fallimento sociale; da parte sua, quindi, il presunto socio occulto, per evitare l’estensione del fallimento, dovrà controprovare la sua estraneità alla compagine sociale.
Il fondamento giuridico con cui si estende il fallimento sociale anche al socio occulto sta appunto nell’esistenza di un vincolo sociale, non esteriorizzato, tra il socio occulto e la società dichiarata fallita; è quanto viene richiesto dall’art. 147 l.f. il quale si riferisce ai soci illimitatamente responsabili palesi nel primo comma e ai soci occulti nel quarto comma209 e dall’art. 2267 c.c. nel quale si dispone: “I creditori della società possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci. Il patto deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, la limitazione della responsabilità o l’esclusione della solidarietà non è opponibile a coloro che non ne hanno avuto conoscenza”. Quest’ultima norma richiede come unico requisito per rispondere delle obbligazioni sociali la qualità di socio, poco importando se il socio sia palese o meno210; inoltre al
208 Sulle incertezze ingenerate da questa omissione si vedano: F. FERRARA, Il fallimento, cit., pag. 685 il quale oltre a prevedere che i fatti per cui deve essere sentito il socio devono attenersi alle condizioni richieste dalla società per fallire e la qualità di socio illimitatamente responsabile, individua come il Tribunale dovrebbero astenersi nel dichiarare il fallimento ai casi dubbi fintanto che il curatore non abbia accertato “in contraddittorio l’esistenza del rapporto sociale”.
209 X. XXXXXXX, L’imprenditore occulto, Cedam, 1954, pag. 10.
210 Così G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2, Diritto delle società, Ved, Torino, 2002, pag. 67: “nella fattispecie socio occulto di società palese l’attività di impresa è svolta in nome della società e ad essa è certamente imputabile in tutti i suoi effetti. La responsabilità di impresa della società è fuori contestazione e la partecipazione alla società è titolo sufficiente a fondare la responsabilità ed il fallimento sia dei soci palesi sia di quelli occulti. Xxxxxxxx e condivisibile è perciò la conclusione della giurisprudenza che l’esteriorizzazione della qualità di socio non è necessaria”. Cfr. inoltre X. XXXXXXXX, Impresa e azienda, Torino, 1972, pag. 46ss; X. XXXXXXX, Manuale, cit., pag. 745, secondo il quale “non occorre l’esteriorizzazione del vincolo sociale, così come il nostro diritto non richiede la spendita del nome per l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale”. Anche X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 103, rileva che “Ciò consente di affermare che la spendita del nome del socio non è necessaria al fine di consentire la sua personale dichiarazione di fallimento”. G.U. TEDESCHI, Le società di persone, cit. pag.
secondo xxxxx del medesimo articolo si dispone che un eventuale patto limitativo della responsabilità deve essere portato a conoscenza dei terzi, ma se il socio è occulto è ovvio che l’atto non potrà mai essere manifestato a terzi. Non occorre quindi il requisito dell’esteriorizzazione a terzi per assumere la responsabilità illimitata, la quale quindi è un connotato genetico di tutti i soci, sia palesi che occulti, mentre diviene requisito essenziale qualora il socio voglia limitare la sua responsabilità in ordine alle obbligazioni sociali211. Ulteriore riprova è contenuta anche nell’art. 2291 c.c. nel quale:”Nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente per le obbligazioni sociali”, sottolineando come la responsabilità del socio prescinde dalla esteriorizzazione del rapporto sociale212; medesimo principio si conferma nell’art. 2297 c.c. in relazione alle società di persone irregolari: “Fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese, i rapporti tra la società e i terzi, ferma restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, sono regolati dalle disposizioni relative alla società semplice”.
Il nodo centrale per estendere il fallimento sociale al socio occulto ruota attorno all’esistenza effettiva del vincolo sociale, la quale dovrà essere provata da colui che ha la legittimazione a richiedere il fallimento degli altri soci illimitatamente responsabili, ossia il curatore fallimentare, i creditori o gli stessi soci già falliti; spetterà invece al presunto socio occulto dimostrare la sua estraneità nei rapporti con la società.
695: “la spendita del nome, se è requisito sufficiente, non è però requisito necessario”; X. XXXXXXXXXXX, Manuale, cit. pag. 411, scrive che “ dall’accoglimento del principio della responsabilità per le obbligazioni sociali anche in assenza di una esteriorizzazione del vincolo sociale discende la tesi favorevole all’estensibilità alla società ed ai soci occulti della stessa, del fallimento dell’impresa individuale originariamente dichiarato”. Contrariamente X. XXXXX, Diritto, cit. pag. 20-21, interpreta la soluzione dell’imprenditore occulto e del socio occulto sulla base dell’art. 2208 c.c., dal quale deriva che “condizione della responsabilità del preponente è la conoscenza da parte del terzo del rapporto di preposizione, cioè dell’esistenza della impresa. Se queste cose sono esatte, i termini di imprenditore occulto e di socio occulto sono contraddittori, e devono essere banditi dalla sistematica giuridica.”
211 X. XXXXXXX, L’imprenditore, cit. pag. 11, scrive che “ […] la manifestazione ai terzi è necessaria non già per fondare, bensì per escludere la responsabilità altrimenti inevitabile”.
212 Cfr. X. XXXXX, Le crisi,cit. pag. 160, ove rileva che “il fondamento della responsabilità non risiede pertanto nell’affidamento che i terzi contraenti con la società possano riporre sul patrimonio del socio, bensì nel fatto stesso della partecipazione del socio, sia questa palese o occulta”.
La prova del vincolo sociale si può basare su documenti rinvenuti dal curatore fallimentare tra le carte della società, dalle quali si desume l’inserimento del socio occulto nella compagine sociale, oppure sul rinvenimento dei conteggi fatti tra i soci (compreso quello occulto) per la ripartizione di utili o perdite o ancora, di lettere in cui vi è il consenso esplicito del socio occulto ad operazioni sociali; tali circostanze possono formare oggetto di prova testimoniale, come, altresì, può essere utilizzata la testimonianza di un creditore in relazione al compimento di atti di gestione o di pagamenti ad opera del socio occulto, seppur avvenuti in nome del socio palese213. Altre condizioni da cui si denota l’affectio societatis sono i conferimenti di beni e servizi, anche attraverso prestazioni di garanzie fideiussorie o di finanziamenti214, “allorquando essi, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività di impresa; tale sistematicità non deve essere intesa in senso meramente quantitativo, potendo pochi interventi di finanziamento di prestazioni di garanzie costituire un idoneo indice rilevatore del rapporto societario”215. Nei casi comunque di fideiussioni e finanziamenti il tribunale, prima ancora di estendere il fallimento sociale al socio occulto, deve valutare nella fattispecie concreta se questi sostegni finanziari, eseguiti a favore dei soci palesi, siano indicatori di un vincolo sociale con il socio occulto che le ha prestate oppure se sono giustificati da un’altra affectio, quale può essere quella parentalis; in questa evenienza, infatti, il giudice deve valutare se i rapporti di credito tra il finanziatore o fideiussore con il socio palese sono finalizzati alla gestione di un’impresa comune oppure se sono dettati da altra ragione, quale
213 L. D’ORAZIO, Fallimento, cit. pag. 150 ss.
214 X. XXXXXXX, Il fallimento, in Diritto civile e Commerciale, IV, Cedam, pag. 461. Ma X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 104 sottolinea l’importanza di non considerare in qualsiasi caso il finanziatore o il fideiussore come soci occulti: “ di per sé, la condotta del terzo non esprime un rapporto di tipo associativo, perché il finanziatore è creditore e non socio della società sovvenuta, mentre il fideiussore ne è semplice garante, titolare di un diritto di regresso nel caso di escussione da parte dei creditori garantiti.”
215 Cassazione 14 febbraio 2007 n. 3271 in Fallimento, 2007, 8, 970
L’estensione del fallimento si ha nei confronti di tutti i soci illimitatamente responsabili, escludendo sia coloro che abbiano stipulato un patto interno di limitazione della responsabilità sia coloro che ricoprono lo status di socio accomandante. In ordine a queste due situazioni la dottrina e la giurisprudenza argomentano sulla possibilità dell’esistenza di un socio occulto limitatamente responsabile che viene esonerato dal fallimento sociale. Alcuni ritengono che il socio occulto può ben essere considerato come un socio limitatamente responsabile anche qualora appartenga a una società in nome collettivo, facendosi valere nei suoi confronti il patto interno di limitazione della responsabilità, contrariamente a quanto disposto dall’art. 2291 c.c.217. Altri invece sostengono la possibilità di una società in accomandita semplice occulta: qualora in una collettiva risultasse un socio occulto limitatamente responsabile, quest’ultimo non è altro che un socio accomandante all’interno di una accomandita occulta; stesso risultato nel caso di un imprenditore individuale palese, il quale in realtà è il socio accomandatario e i soci occulti
216 Cass. 29 aprile 1999, n. 4331 in Fallimento, 2000, 721; Tribunale Sala Consilina, 31 maggio 2001, Fallimento, 2002, 345. Tali casi non escludono comunque che vi sia la configurabilità di rapporti societari occulti tra parenti o fra coniugi quando i finanziamenti e le garanzie presentino caratteristiche particolarmente importanti e ricorrenti, così: Xxxx. 14 febbraio 2001, n. 2095 in Giur. It.,2001, 1885; Trib. Mantova, 3 aprile 2003, in Fallimento, 2004, 224.
217Di questa opinione sono: F. FERRARA, Il fallimento, cit. pag. 681: “ ma la situazione è diversa quando si tratta di un socio occulto, cioè di un socio di cui i terzi ignoravano l’esistenza, e sulla cui responsabilità non potevano quindi fare affidamento. Qui nessun ostacolo si oppone a mio avviso al patto limitativo della responsabilità, e solo potrà portare la conseguenza che il socio dovrà apprezzarsi come un accomandante.”;
X. XXXXXXX, Il fallimento, cit., pag. 156; X. XXXXXXX DI SALVO, La figura dell’imprenditore occulto nella dottrina e nella giurisprudenza, Trento, 2004, pag. 46:”[…] il suddetto limite opera anche quando è mancata l’esteriorizzazione del rapporto sociale rispetto al socio beneficiario del patto, non potendo in tal caso i terzi, invocare quell’affidamento che la pubblicità del patto intende tutelare.” Contraria è la dottrina maggioritaria: X. XXXXX, Le crisi d’impresa, cit. pag. 161: “ si tratta di una prospettiva non accettabile: se il socio partecipa ad una società dichiaratamente in nome collettivo, la sua partecipazione non può essere in contrasto con un principio inderogabile di quel tipo di società: la conseguenza è la sua illimitata responsabilità, a nulla rilevando che la sua partecipazione sia occulta.”; X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 103 nota 271: “ chi partecipa ad una società dichiaratamente in nome collettivo, non può respingere l’applicazione di una norma imperativa che connota quel tipo sociale”; X. XXXXXXX, Società, cit. pag. 254; X. XXXXXXX, Manuale, cit. pag. 755;
sono gli accomandanti della accomandita semplice occulta218. In tutti questi casi spetterà direttamente al socio occulto, in sede di convocazione ex art. 15 l.f., provare che la sua partecipazione alla società è caratterizzata dalla limitazione della responsabilità per le obbligazioni sociali, così da evitare la dichiarazione di fallimento in estensione.
L’art. 147 l.f., quarto comma, non pone alcun limite temporale entro il quale si può dichiarare il fallimento in ripercussione del socio occulto illimitatamente responsabile, contrariamente a quanto era già stato stabilito dalla giurisprudenza costituzionale anteriore alla riforma e recepito poi dal legislatore del 2006219 per i soci illimitatamente responsabili palesi. Il legislatore della riforma del 2006 ha recepito così le sentenza di manifesta infondatezza sulla questione di legittimità dell’art. 147 l.f. in riferimento all’art. 3 Cost., fondata sulla disparità di trattamento tra soci palesi e soci occulti sulla possibilità di usufruire del termine annuale, oltre il quale è preclusa la dichiarazione di fallimento. La Consulta ha ritenuto così nelle ordinanze n.321/2002 e n.36/2003220: “La ritenuta violazione del principio di eguaglianza risulta palesemente erronea, non potendo in alcun modo essere poste a raffronto, ai fini della applicabilità del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento personale del socio illimitatamente responsabile di una società personale, due situazioni fra loro del tutto diverse quali sono quella del socio receduto da una società regolarmente costituita e registrata, nel rispetto delle forme di pubblicità prescritte dalla legge, e quella del socio occulto di una società irregolare perché non iscritta nel registro delle imprese o addirittura, come nel caso all’esame del tribunale rimettente, a sua volta del tutto occulta [….] il nostro sistema normativo è improntato a netta
218 X. XXXXXXX, sub art 147, cit. pag. 157.
219 Supra Cap. IV Par 1.2.
220Corte Costituzionale 5.7.2002 n. 321 in Imprese, 2002, 1855 e Corte Costituzionale, 4 febbraio 2003 n. 36, in Giurisprudenza Commerciale, 2003, II, 585, con nota di Xxxxx.
differenza tra società registrate e società irregolari o occulte, potendo essere opposte ai creditori solo le vicende, societarie o personali, regolarmente iscritte nel registro delle imprese”. La Cassazione221 ha recentemente ammesso l’applicabilità del termine annuale ex art. 10 l.f. anche alla dichiarazione di fallimento del socio occulto per tutelare l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche; si è disposto così che il dies a quo per far decorrere il termine annuale sia lo scioglimento del vincolo sociale, il quale si ha con la cancellazione della società dal registro delle imprese alla conclusione della procedura fallimentare222 e non viene fatto coincidere con la dichiarazione di fallimento non essendo quest’ultima causa di scioglimento della società. Ai fini dell’applicabilità del termine annuale disposto dall’art. 10 l.f. non interessa né il recesso né l’esclusione del socio occulto, in quanto non essendo esteriorizzata la presenza del socio occulto, non si può conoscere la sua esclusione da essa223.
2. La società occulta
Con la riforma del 2006 il legislatore ha regolato espressamente al quinto comma dell’art. 147 l.f. il fallimento in estensione della società occulta, disponendo che «qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile» si procede allo stesso modo di quanto previsto per l’ipotesi, prima descritta, dell’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili.
221 Cass. 28 settembre 2005 n. 18927 in Fallimento, 2006, 4, 476
222 U. DE CRESCIENZO, Il fallimento, cit. pag. 1512.
223 X. XXXXXXXX, Usque Tandem..gli art. 10 e 147 l.f., la corte costituzionale e i giudici di merito: ovvero un passo indietro e due avanti in Fallimento, 2003, 3, 566. Anche X. XXXXXX – X. XXXXXXXXX, Il fallimento in estensione al socio occulto in Diritto Fallimentare, 2009, 1, 28 in commento alla sentenza del Tribunale di Firenze del 7 novembre 2007.
La possibilità di dichiarare il fallimento della società occulta era stata già riconosciuta anteriormente alla riforma sia dalla giurisprudenza225, sia da una parte della dottrina226 la quale asseriva che il fondamento giuridico per cui si dichiarava fallita una società occulta era il medesimo dell’estensione del fallimento al socio occulto di società palese: se quest’ultimo veniva investito in estensione dal fallimento sociale sulla base del combinato disposto degli artt. 2267 e 2291 c.c e 147, secondo xxxxx, l.f., in base ai quali per le obbligazioni sociali rispondono tutti i soci illimitatamente responsabili della società, essendo il patto contrario non opponibile ai terzi (art. 2291 c.c.) oppure non esteriorizzato (art. 2267 c.c.), si doveva dichiarare allo stesso modo il fallimento anche di quei soci, occulti, nei cui confronti il terzo non aveva fatto affidamento per l’adempimento dei debiti sociali.
La medesima situazione, secondo questi Autori, si aveva anche nel caso di soci occulti di società occulta, non esistendo sostanziali diversità qualora il fallimento avesse colpito inizialmente l’imprenditore individuale e solo
224 Lo scopo che i soci si propongono di realizzare con la società occulta è quello di limitare la responsabilità nei confronti dei terzi al patrimonio del solo gestore, evitando così che la società e gli altri soci rispondono delle obbligazioni di impresa e siano esposti al fallimento. Per la definizione di società occulta cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, cit. pag. 65; X. XXXXXXX, Manuale, cit. pag, 754;
F. DI SABATO, Manuale, cit. pag. 75.
225 V. per tutte Cass. 17 gennaio 1998 n. 366, in Giurisprudenza Italiana, 1998, 748; Cass. 30 gennaio 1995
n. 1106 in Fallimento, 1995, 919.
226 Per tutti X. XXXXXXX, L’imprenditore, cit. pag. 14 ss.; X. XXXXXXX, sub art. 147 l.f., cit. pag. 154; X. XXXXX, Le crisi d’impresa, cit. pag. 161, ove si legge che “l’art. 147, secondo comma, configura l’ipotesi dell’estensione del fallimento al socio occulto di società palese già dichiarata fallita, ma da questa norma si è tratto argomento per affermare l’ammissibilità anche del fallimento della società occulta”.
Un Autore228, in particolare, ha trovato una analogia tra la fattispecie della società occulta e quella disciplinata dall’art. 1762 c.c. sul contraente non nominato. In base a questa interpretazione il mediatore ed il contraente non nominato sono, rispettivamente, il socio palese e la società occulta, ove il primo contraendo obbligazioni con i terzi non manifesta il nome della società occulta e ne assume le relative responsabilità, fermo restando il suo diritto di rivalersi sulla società per i debiti estinti. Qualora però, per una qualsiasi causa, la società si manifestasse ai terzi, essa diverrebbe direttamente, e non per estensione, responsabile per le obbligazioni assunte precedentemente dal socio palese. L’eventuale dichiarazione di fallimento di questa società occulta si dovrebbe basare quindi non sul secondo comma dell’art. 147 l.f., bensì sugli artt. 5, 6, e 147, comma 1, l.f.
Altra parte della dottrina, invece, era contraria alla dichiarazione di fallimento della società occulta in quanto includeva questa fattispecie nella disciplina del mandato senza rappresentanza. Il socio palese agisce in nome proprio ma nell’interesse e per conto della società occulta; per l’adempimento delle obbligazioni spetta alla società occulta (mandante) somministrare “i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle
227 X. XXXXXXX, L’imprenditore, cit. pag. 15, rileva che, “in altri termini, se risponde il socio occulto di una società palese, deve necessariamente rispondere anche il socio occulto di una società occulta, identica essendo in ambo i casi la ratio decidendi, perché in ambo i casi i terzi non contavano sulla responsabilità di chi era loro ignoto”. E ancora, lo stesso Autore osserva che, “mentre la responsabilità del socio occulto di una società palese dipende da una applicazione diretta dell’art.147 l.f, comma secondo, la responsabilità del socio occulto dipende da una inevitabile applicazione analogica della medesima norma”. Contro a questa analogia X. XXXXXXXX, Diritto Fallimentare I, Torino, 1994, pag. 58; X. XXXXXXX, Società personali, cit. pag. 255; F. FERRARA, Gli imprenditori, cit. pagg. 224ss
228 X. XXXXX, Sub art. 2247, cit. pag. 60ss.
obbligazioni che a tal fine il mandante (socio palese) ha contratto in proprio nome”229. In caso d’inadempimento delle obbligazioni assunte dall’imprenditore, sia esso socio palese o terzo prestanome, questi incorrerà nel fallimento, ma se dopo la dichiarazione di fallimento risulti effettiva l’esistenza della società occulta, il curatore potrà esercitare nei confronti di questa ed in luogo del fallito l’actio mandati contraria avente ad oggetto il pagamento della somma corrispondente all’intero passivo accertato230.
La riforma fallimentare ha deciso definitivamente per l’estensione del fallimento anche alla società occulta231 nel nuovo comma 5 dell’art. 147 l.f.232, il quale dispone che, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferita ad una società occulta, si dovrà estendere nei confronti degli altri soci (occulti) illimitatamente responsabili il fallimento sociale. Ipotizzano alcuni Autori233, però, che non si possano dichiarare falliti i soci occulti illimitatamente responsabili senza aver preventivamente dichiarato fallita la società occulta. Il tribunale dovrà quindi vagliare in primis l’esistenza effettiva dell’affectio societatis234 e, successivamente, lo stato di insolvenza della società occulta, in quanto ben potrebbe essere che l’insolvenza che ha generato la prima sentenza di fallimento, quella cioè nei confronti dell’imprenditore individuale, fosse
229 Art. 1719 c.c. “ Il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratto in proprio nome”.
230 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, cit. pag. 67-68; anche F. DI SABATO, Manuale, V, cit. pag. 80-81.
231 X. XXXXXXXXXX, Ambito di applicazione, cit. pag. 113; P.G. DEMARCHI, Il fallimento, cit. pag. 254. Contrario anche dopo la riforma fallimentare è X. XXXXX, sub. Art. 147, pag. 2181-2182.
232 Ma già qualche anno prima, con l’art. 24 d.lgs 270/1999, in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, si era reso applicabile il medesimo principio.
233 X. XXXXXXX, Il fallimento, IV, cit. pag. 459; X. XXXXXX, le società con soci, cit. pag. 905; X. XXXXX, sub art. 147 l.f., cit. pag. 2182.
234 Le condizioni necessarie e sufficienti per la rappresentazione del vincolo sociale sono: il conferimento di beni e servizi, la formazione di un fondo comune, la partecipazione degli autori dei conferimenti ai guadagni e alle perdite, nonché l’intenzione pattizia dei contraenti di vincolarsi e collaborare per conseguire i risultati patrimoniali comuni nell’esercizio collettivo di una o più attività economiche ed imprenditoriali. Gli indici rivelatori dell’esistenza di una società occulta sono i medesimi che rilevano la presenza di un socio occulto, v. sopra par. 1.
causata anche da debiti personali, non rientranti nella massa passiva della società occulta. Sussistendo entrambe le condizioni, il giudice provvederà a dichiarare fallita la società occulta e, in estensione, i soci occulti che la compongono.
3. La società apparente
La giurisprudenza ha optato per il fallimento anche della società apparente236 con il fine di tutelare gli eventuali terzi che abbiano fatto affidamento sulla esistenza della società, in effetti solo apparente237. La Cassazione fa divenire così il principio dell’affidamento dei terzi il fondamento giuridico per la dichiarazione di fallimento della società apparente, non potendo far ricadere sui terzi gli effetti negativi del
235 X. XXXXX, Le crisi di impresa, cit. pag. 163
236 Il legislatore della riforma del 2006 invece non ha preso in considerazione l’ipotesi del fallimento in estensione della società apparente ex art. 147 l.f., comma 4 e 5.
237 Le più recenti: Cass. 14 febbraio 2001, n 2095 in Fallimento, 2001, 1230; Cass. 29 settembre 2003 n. 14338, Società, 2003, 43; Cass. 22 febbraio 2008 n. 4529, in Fallimento, 2008, 911; Cass. 22 marzo 2001
n. 4089 in Fallimento, 2002, 151.
comportamento simulato di coloro che hanno simulato l’esistenza della società238.
Contraria alla presa di posizione della giurisprudenza è la maggior parte della dottrina, la quale critica l’utilizzazione dell’affidamento dei terzi come un principio generale dell’ordinamento giuridico, in quanto di esso in questi termini non vi è alcuna traccia se non in alcune e specifiche norme relative alla responsabilità giuridica239. Viene sostenuto poi che la soluzione applicata dalla giurisprudenza è in contrasto allo stesso principio dell’affidamento, in quanto quest’ultimo dovrebbe valere nei soli confronti del terzi creditori in buona fede sull’esistenza della società, mentre con la dichiarazione di fallimento si legittimerebbero anche i terzi creditori in mala fede a presentare domanda di ammissione al passivo240. La disciplina applicabile in caso di società apparente dovrebbe essere, per questa parte di dottrina, quella relativa alla simulazione ex artt. 1414 e 1415 c.c., in base ai quali la simulazione del contratto di società non è opponibile ai terzi creditori in buona fede241; qualora, dunque, si accerti
238 X. XXXXXXX, Manuale, cit. pag. 756, rileva che, “pur nel silenzio legislativo, sembra coerente al sistema generale che, se i creditori sociali sono entrati in rapporti con un soggetto fondatamente da loro ritenuto come sociale, a causa delle sue univoche e costanti manifestazione e del suo coerente modo di operare, oppure sono entrati in rapporti con una società reale, nella quale appariva tra gli altri come un socio anche un determinato soggetto, l’affidamento che essi hanno riposto in siffatta situazione di fatto non debba iniquamente essere travolto da una realtà dissimulata.”. Lo stesso Autore sottolinea come non estendere il fallimento alla società apparente incentiverebbe la nascita di comportamenti illegittimi, i quali non verrebbero appunto puniti con il fallimento. Nel medesimo senso anche X. X’XXXXXX, Il fallimento, cit. pag. 152.
239 F. DI SABATO, Diritto delle Società, III ed, 2011, pag. 78, scrive che “alla base della costruzione giurisprudenziale vi è l’affermazione, tutt’altro dimostrata dell’esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale dell’apparenza”:
240 Cfr. P. PISCITIELLO, Ambito di applicazione, cit. pag. 113, ove si legge che “l’apertura della procedura concorsuale della società apparente consentirebbe a tutti i creditori sociali, compresi quelli che non hanno trattato con il socio apparente e che, pertanto, non possono avere fatto affidamento sul suo patrimonio, di soddisfarsi sullo stesso”. Anche G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2, cit. pag. 69, osserva che “al fallimento della società apparente partecipano tutti i creditori sociali, anche quelli che con il presunto socio non hanno trattato e perciò non possono aver fatto affidamento alcuno sulla sua responsabilità.”; X. XXXXXXX, I presupposti, cit. pag. 108; X. XXXXX, sub art 147, cit. pag. 2182 nota 56;
241 Così X. XXXXXXX, Il fallimento delle società, cit. pag. 59 ss. Contra cfr. X. XXXXX, Le crisi di impresa,cit. pag. 166; si veda inoltre R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, II, 1955, pag. 1031, che ipotizza solo un risarcimento danni per fatto doloso: ossserva, infatti, l’A. che “nel comportamento esterno che portò ad eludere i terzi, inducendoli nell’errore di far credito affidandosi alla supposta esistenza d’un rapporto sociale che non c’era, potrà, tutt’al più, dimostrandone gli estremi, fondarsi una responsabilità (extracontrattuale) ad altro titolo, per risarcimento danni: ma non più di questo.”
in modo inequivocabile l’esistenza della simulazione di un contratto di società, il tribunale potrà provvedere alla dichiarazione di fallimento ex art. 147, comma 1, e art. 148 l.f. In virtù, però, del primo comma dell’art. 1415 c.c. ciascuno dei soci apparenti potrà, nel suo fallimento personale, contestare il credito del terzo in mala fede, allegando la prova della sua conoscenza dell’accordo di simulazione242.
242 X. XXXXXXX, Il fallimento, cit. pag. 61.
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