ROBERTO NATOLI
XXXXXXX XXXXXX
L’ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
xxxxxxx editore - 2014
Estratto al volume:
TRATTATO DEI CONTRATTI
diretto da XXXXXXXX XXXXX
condirettore
XXXXXXX X. XXXXXXXXX
V
MERCATI REGOLATI
Capitolo XI
L’ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
di Xxxxxxx Xxxxxx
1. L’abuso di dipendenza economica: funzione e ambito soggettivo di applicazione — 2. Segue. Le fattispecie applicative e le regole di competenza — 3. Segue. Il rifiuto di vendere o di comprare — 4. Segue. L’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali — 5. Segue. L’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie — 6. Osservazioni di sintesi sulle ipotesi, tipiche o atipiche, di abuso di dipendenza economica
« contrattuale » — 7. Segue. I rimedi.
1. L’abuso di dipendenza economica: funzione e ambito soggettivo di applicazione.
Tra le varie disposizioni della l. subf., non v’è dubbio che la più ricca di riflessi pratici e di risvolti teorici è il divieto di abuso di dipendenza econo- mica. L’istituto, che fin dalla sua introduzione ha attratto l’attenzione della dottrina, ha poi mostrato, nel corso degli ultimi anni, un indubbio rilievo pratico, sollecitando più volte i giudici di merito — e, da ultimo, anche la giurisprudenza di legittimità (1) — a prendere posizione sui suoi incerti confini, sulla sua natura, sulle sue concrete dinamiche di realizzazione.
Va segnalato, peraltro, che l’art. 9 l. subf. è già stato oggetto di due novelle. Inserito non senza perplessità, sulla scia di un dibattito parlamen- tare durato più d’una legislatura (2), nella l. subf., appena tre anni dopo fu modificato il c. 3 e introdotto un ulteriore c. (3-bis): quest’ultimo comma è stato poi, a distanza di altri dieci anni, ulteriormente arricchito preveden- do l’abuso di dipendenza economica in caso di reiterata e sistematica violazione della disciplina sui ritardi di pagamento (v. cap. X, par. 4).
Il primo dibattitto in ordine all’abuso di dipendenza economica ha ruotato intorno alla sua natura. S’è fin dall’inizio discusso circa la sua
(1) C., sez. un., ord. 25.11.2011, n. 24906, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 298, con nota di ROMANO, La natura della responsabilità da abuso di dipendenza economica tra contratto, illecito xxxxxxxxx e culpa in contrahendo.
(2) Riassunto da XXXXXXX, Le recenti modifiche della disciplina dell’abuso di dipendenza economica in una prospettiva comparatistica, in Eur. dir. priv., 2002, 494 ss.
riconduzione al diritto civile o al diritto della concorrenza, e il dibattito è stato ulteriormente alimentato dalla già ricordata introduzione del c. 3-bis, il quale ha lasciato intendere che l’abuso di dipendenza economica può rilevare non solo come ipotesi di abuso di posizione dominante ex art. 3 l. 287/1990 o come mero illecito civilistico, conoscibile e sanzionabile dal solo giudice ordinario, ma anche come ipotesi distinta dall’abuso di posizione dominante e tuttavia rilevante per la concorrenza e il mercato e dunque conoscibile dall’AGCM.
A distanza di un quindicennio ormai dalla sua introduzione e alla luce dei concreti esiti applicativi deve però rilevarsi che, nella vita vissuta, le ipotesi di abusi di dipendenza economica sono state significativamente scrutinate dai giudici ordinari e sostanzialmente ignorate dall’AGCM. D’al- tro canto, anche i più rilevanti nodi interpretativi emersi nel dibattito dottrinale, relativi, da un lato, all’effettivo ambito di applicazione dell’isti- tuto (se ristretto ai soli rapporti di subfornitura come definiti ai sensi dell’art. 1 della legge o se esteso a tutti i c.d. rapporti verticali di impresa) e, dall’altro lato, alla possibilità che un abuso si dia anche in assenza di alcuna pregressa relazione commerciale, e dunque « fuori dal contrat- to » (3), sono oggi, se non del tutto dipanati, certamente avviati a soluzione dall’esperienza giurisprudenziale frattanto maturata. Così come può dirsi, sotto il versante dei riflessi dell’istituto sul più generale tema della giustizia contrattuale, per un verso, e sull’altrettanto capitale tema delle nullità di protezione nei rapporti asimmetrici di impresa, per altro verso, che l’espe- rienza pratica abbia, tutto sommato, dimostrato una scarsa capacità espan- siva dell’istituto, consegnato alla risoluzione di problemi concreti bensì pressanti, ma limitati comunque alla sola contrattazione interimprendito- riale.
Ciò premesso, deve anzitutto ricordarsi che il divieto di abuso di dipendenza economica nasce, storicamente, nel solco del divieto di abuso di posizione dominante. L’uno e l’altro si fondano sulla stessa idea che sia opportuno limitare il potere di mercato delle imprese che sono in grado di tenere condotte tendenzialmente indipendenti da quelle dei concorrenti o dei fornitori (4). Soprattutto nella Germania Federale tale principio fu ulteriormente specificato, nella prima metà degli anni Settanta del Nove-
(3) Cfr. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica « fuori dal contratto » tra diritto civile e diritto antitrust, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000.
(4) Cfr. LIBERTINI, Posizione dominante individuale e posizione dominante collettiva, in Riv. dir. comm., 2003, I, 548 ss. Nella giurisprudenza comunitaria il principio della sostanziale indipendenza di comportamento nei confronti di concorrenti, clienti e, in ultima analisi, consumatori è affermato dal leading case United Brands (C.G. 14.1.1978, causa C-27/76, in Foro it., 1978, IV, 536, con nota di PARDOLESI, Art. 86 Trattato CEE: il prezzo del « decollo »).
cento (5), distinguendo tra posizione dominante assoluta e posizione do- minante relativa (6). La caratteristica della posizione dominante relativa si rintracciava in ciò, che venivano sottoposti a scrutinio anche comporta- menti di imprese soggette a pressione concorrenziale nel mercato in cui operavano, e purtuttavia in grado, nei rapporti con fornitori e clienti, di acquisire un potere contrattuale tale da incidere sulla libertà di determi- nazione della controparte imprenditoriale.
Alla luce dell’origine storica delle discipline che vietano abusi di dipen- denza economica nei rapporti d’impresa (7) si comprende perché il dibat- tito, anche italiano, ha ruotato intorno alla questione preliminare della riconduzione del divieto di abuso di dipendenza economica al diritto della concorrenza o dei contratti. Dibattito la cui utilità non è soltanto teorica ma anche gravida di conseguenze pratiche. Privilegiare la matrice civilistica o concorrenziale — e dunque ritenere che in caso di abuso di dipendenza economica l’interesse leso non sia esclusivamente quello dell’impresa di- pendente, ma anche quello generale delle altre imprese che operano sul mercato in cui l’abuso di dipendenza economica produce i suoi effetti — conduce, per esempio, a esiti diversi in ordine all’applicazione del reg. CE 864/2007 sulle obbligazioni contrattuali (c.d. Roma II): qualora si qualifichi la norma che vieta l’abuso di dipendenza economica come norma di diritto della concorrenza troverà infatti applicazione l’art. 6, c. 2, del reg. cit., il quale, rinviando all’art 4 del medesimo reg., dispone che la legge applica- bile è quella del paese in cui il danno si verifica ed esclude, pertanto, la validità di clausole di deroga della giurisdizione.
La questione della natura del divieto va probabilmente impostata di- stinguendo gli abusi di dipendenza economica che danno vita ad abusi di posizione dominante o che comunque rilevano per la concorrenza ed il mercato (8) da quelli che rilevano esclusivamente nei rapporti inter partes
(5) Precisamente nel 1973, con la seconda novella alla Gesetz gegen Wettbewerbsbe- schrankungen (GWB), la quale modificò l’allora vigente § 26 articolando il concetto di posizione dominante in posizione dominante assoluta e posizione dominante relativa.
(6) Nella letteratura e nella giurisprudenza statunitense si affermava invece, a partire dalla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo e soprattutto riguardo ai rapporti di distribuzione, il concetto, descrittivamente analogo, di relational market power. V., al riguar- do, l’ampia casistica nordamericana riportata da HADFELD, Problematic Relations: Franchising and the Law of Incomplete Contracts, in 42 Stanford Law Review, 1990, 927.
(7) Alla legislazione della RFT si affiancava, infatti, qualche anno dopo la legislazione francese (cfr. la ordonnance n. 86-1243 dell’1.12.1986, il cui art. 8 vietava lo sfruttamento abusivo dello stato di dipendenza economica in cui versa nei confronti di un’altra impresa un’impresa cliente o fornitrice che non dispone di una soluzione equivalente).
(8) Questa fattispecie intermedia, di assai difficile individuazione, è stata intravista da LIBERTINI, Le responsabilità per abuso di dipendenza economica: le fattispecie, in Contr. impr., 2013, 14, nelle situazione di potere « verticale » sui mercati derivati dei propri prodotti (c.d.
tra l’impresa dominante e l’impresa dipendente. Per i primi troverà appli- cazione il reg. Roma II; per i secondi no. Ragionare diversamente, e ritenere — come pure autorevolmente si è fatto (9) — che il divieto di abuso di dipendenza economica rileva sempre per la tutela della concor- renza poiché tutelare l’impresa dipendente assolve a una funzione di corretto funzionamento del mercato, conduce a esiti inaccettabili perché dilata in misura eccessiva la rilevanza per il mercato di tutti gli abusi di dipendenza economica (molti dei quali non proiettano alcun effetto dan- noso all’esterno, come la prassi dimostra).
La questione della natura dell’abuso di dipendenza che non rileva per la concorrenza e il mercato e che qui si designerà stipulativamente come abuso di dipendenza economica contrattuale, deve essere impostata inter- rogandosi sullo scopo dell’art. 9 l. subf., che può individuarsi nella neces- sità di preservare gli investimenti specifici effettuati da un’impresa per eseguire al meglio un programma contrattuale. Tale scopo non ricorre soltanto nei rapporti di subfornitura (nei quali, però, il problema può sorgere con frequenza) ma può sussistere in una pluralità di rapporti d’impresa destinati a protrarsi nel tempo: così, in particolare, nei contratti della distribuzione commerciale o nei contratti della filiera agroalimenta- re. Sia nei contratti del decentramento produttivo sia nei contratti di distribuzione integrata capita infatti, non di rado, che una parte resti
« vittima » degli stessi investimenti effettuati per eseguire diligentemente le obbligazioni assunte e si esponga, pertanto, agli abusi dell’altra.
La tutela degli investimenti specifici, l’effettuazione dei quali priva di possibili sbocchi alternativi di mercato l’impresa che li realizza rendendola pertanto dipendente, già individuata da parte della dottrina come ratio giustificatrice del divieto di abuso di dipendenza economica sulla base di considerazioni funzionali più o meno articolate (10), ha trovato, negli anni
aftermarket) o derivante dall’essere l’unico titolare (o quasi) della domanda rivolta a mercati minori.
(9) Così LIBERTINI, Le responsabilità per abuso di dipendenza economica: le fattispecie, cit., 2, il quale osserva che la natura concorrenziale della disposizione non è contraddetta dalla circostanza che, per espressa previsione normativa, non tutti gli abusi di dipendenza economica sono sottoposti alla cognizione dell’AGCM: una tale restrizione ben si spiega alla luce del principio di « uso razionale dei mezzi giuridici » alla base ad esempio della nota regola comunitaria de minimis, il quale suggerisce di consegnare alla competenza dell’AGCM soltanto gli abusi di più marcato impatto sulla concorrenza e sul mercato. Per analoghi rilievi relativi alla scelta di consegnare alla cognizione dell’AGCM soltanto alcuni abusi di dipendenza economica v. già XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il mercato, Jovene, 2004, 18 ss.
(10) CASO e PARDOLESI, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998, 243 ss.; XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica. L’opinione dell’economista, in Mercato Concorrenza Regole, 1999,
successivi all’entrata in vigore della l. subf., significative conferme sul piano del diritto positivo.
Innanzi tutto è stata la legge sull’affiliazione commerciale ad assegnare un ruolo chiave al diritto a una durata minima contrattuale sufficiente per l’ammortamento degli investimenti (art. 3, c. 3, l. 129/2004) (11). Più di recente è stato l’art. 28, c. 12, l. 111/2011 (come modificato dal d.l. 1/2012) a riconoscere un diritto alla stabilità del rapporto legato agli investimenti effettuati, nel caso di contratti di approvvigionamento e affidamento degli impianti di distribuzione di carburanti (12).
Questo corpus di disposizioni normative, cui può essere aggiunto lo stesso art. 6, c. 2, l. subf., che prevede la nullità della clausola attributiva del diritto potestativo di recedere senza congruo preavviso, dimostra l’esisten- za, nell’odierno diritto positivo, di una regola generale, che proprio nel- l’art. 9 l. subf. trova il suo punto massimo di emersione, tesa ad attribuire all’impresa che ha effettuato investimenti specifici rispetto a una data relazione commerciale un diritto alla stabilità del contratto per una durata almeno pari al tempo necessario per recuperare gli investimenti (13).
58 ss.; OSTI, L’abuso di dipendenza economica, ivi, 1999, 9 ss.; IAMICELI, Le reti di imprese: modelli contrattuali di coordinamento, in CAFAGGI (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, Il Mulino, 2004, 153 ss.; nella letteratura monografica, soprattutto, XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, cit., 73 ss. e passim.
(11) La disposizione, testualmente limitata al solo caso di contratti di affiliazione commerciale a tempo determinato, ha suscitato un vivace dibattito in dottrina. È prevalsa la tesi della generalità della regola della correlazione tra durata minima del contratto neces- saria e ammortamento degli investimenti, applicabile dunque anche ai contratti di affilia- zione commerciale a tempo indeterminato: cfr. X. XXXX, Art. 3, in La nuova legge sull’affilia- zione commerciale (l. 6 maggio 2004, n. 129), in Nuove leggi civ. comm., 2004, 1163 ss.; DE NOVA, La nuova legge sul franchising, in Contr., 2004, 761 ss.; più di recente, soprattutto XXXXXX, Interruzione brutale del rapporto di franchising. Abuso di dipendenza economica e recesso del fran- xxxxxx, in Obbl. contr., 2011, 806, spec. 812 ss.
(12) Che possono essere stipulati anche senza esclusiva, purché siano previste ade- guate condizioni economiche per la remunerazione degli investimenti e dell’uso del mar- chio.
(13) « Recuperare » un investimento è, di per sé, espressione vaga, meritevole di ulteriore specificazione. In senso stretto significa terminarne l’ammortamento (cfr. art. 2426, c. 1, n. 5). In senso lato significa coprire i costi ammortizzati e guadagnare un utile. Mentre l’art. 3, c. 2, l. 123/2004 sembra evocare un’accezione finanziaria di investimento, facendo riferimento all’ammortamento dell’investimento, l’art. 28, c. 12, l. 111/2011 sem- bra invece evocare un’accezione economica, facendo riferimento alla remunerazione degli investimenti. Le conseguenze pratiche implicate dall’una o l’altra soluzione sono, ovvia- mente, molto diverse tra loro. Nell’accezione finanziaria ammortare un investimento im- plica che la durata del contratto dovrebbe essere almeno pari al periodo necessario affinché i flussi di cassa generati dal bene coprano l’uscita per l’investimento; nell’accezione econo- mica, invece, remunerare un investimento significa che i ricavi derivanti dall’investimento sono superiori ai costi dello stesso. In dottrina, sul punto, x. XXXXXX, L’abuso di dipendenza
L’impostazione qui offerta conduce a rifiutare due opinioni sostenute in giurisprudenza e dottrina: la prima tesa a restringere l’ambito soggetti- vo di applicazione della disposizione ai soli contratti di subfornitura, pre- dicandone la natura eccezionale; la seconda tesa a estenderne l’ambito soggettivo anche oltre la contrattazione d’impresa fino a ritenere che dalla stessa possa « estrarsi » un principio generale di giustizia contrattuale.
La tesi della restrizione del divieto ai soli rapporti di subfornitura, che pure ha trovato parecchio seguito, soprattutto nelle decisioni rese nei primi anni di vigore della l. subf. (14), pecca per difetto. Questa tesi, che la dottrina dominante contestava già in passato, non regge a maggior ragione oggi, di fronte al proliferare di interventi normativi recenti che hanno espressamente esteso il divieto di abuso di dipendenza economica oltre i confini dei rapporti di subfornitura: così, soprattutto, l’art. 17, c. 3, d.l. 1/2012 (conv. con modificazioni nella l. 27/2012) relativo ai rapporti tra gestori di impianti di distribuzione dei carburanti e grandi imprese titolari degli impianti o fornitrici del prodotto; al caso di « violazione diffusa e reiterata » delle norme sui ritardi di pagamento, inserita come ipotesi nominata di abuso di dipendenza economica dalla l. 180/2011 (c.d. Statuto delle imprese) con una modifica del c. 3-bis dell’art. 9; alla disciplina dei contratti del settore agroalimentare contenuta nell’art. 62, d.l. 1/2012 cit. (15). Da ultimo, sono state le sezioni unite della Cassazione, adite in sede di regolamento di giurisdizione, a prendere posizione, affermando, sia pure per obiter dictum, che l’abuso di dipendenza economica « configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall’esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura » (16).
La tesi dell’estensione del divieto di abuso di dipendenza economica oltre l’ambito dei contratti di impresa — e, in particolare, dei contratti di durata caratterizzati da investimenti specifici — pecca per eccesso. Essa richiede di dimostrare la sussistenza di una comunanza di rationes che non sussiste. Non è un caso, infatti, se i fautori della tesi civilistica abbiano
economica, Xxxxxxx, 2006, 285 ss., che sembra attribuire rilievo alla redditività dell’investi- mento nel tempo.
(14) V., infatti, X. Xxxx 2.7.2002, in Giur. it., 2003, 724, con nota di XXXXXX, Brevi note sull’abuso di dipendenza economica « contrattuale »; X. Xxxxxxx 22.12.2003, in Foro it., 2004, I, 262; T. Roma 29.7.2004, in XXXX, 2005, 533; di recente ancora T. Roma 17.3.2010, in Xxxxx resp., 2010, 1175, con nota di XXXXXXXXX, L’ambito di applicazione dell’abuso di dipendenza economica: il caso Logista Italia, il quale rievoca l’argomento secondo cui le disposizioni della
l. subf. hanno carattere eccezionale e sono, pertanto, insuscettibili di applicazione analogi- ca; di recente, A. Napoli 13.3.2012, in Pluris Cedam Utet.
(15) Su cui v. A.M. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 000.
(16) C., sez. un., ord. 25.11.2011, n. 24906, cit.
ricondotto il divieto di abuso di dipendenza economica al principio gene- rale di buona fede oggettiva, del quale sarebbe una « mera specificazione »: con la conseguenza che il sistema, a ogni livello di contrattazione, non tollererebbe più che « il diritto di regolare da sé i propri interessi sia esercitato in modo da costituire un abuso in danno altrui » (17).
La tesi giustamente dominante nell’attuale panorama è, dunque, quel- la dell’applicazione del divieto di abuso di dipendenza economica a tutti i rapporti verticali d’impresa, di natura commerciale. Non ha infatti trovato spazio il tentativo di estenderne la sfera applicativa anche ai contratti d’impresa di natura finanziaria. In giurisprudenza, con una decisione resa in una vicenda molto importante (18), è stata rigettata la domanda di nullità ex art. 9 l. subf. di un accordo di ristrutturazione del debito spiegata dalla liquidazione di un grosso gruppo industriale sul presupposto che, per mezzo di quell’accordo, un’importante banca avesse abusato della dipendenza economica della società debitrice, inducendola a « svuotare » una società industriale, finanziariamente e commercialmente solida, con lo scopo di ripagare i debiti di altre società del gruppo in sofferenza nei confronti del sistema bancario complessivo e, in particolare, della banca che aveva progettato la ristrutturazione dei debiti.
Il divieto di abusare dell’altrui dipendenza economica è dunque nor- ma generale (19), suscettiva di trovare applicazione in tutte le situazioni
(17) Così XXXXXXXX, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica. Profili ricostruttivi e sistematici, ESI, 2002, 297; sulla cui scia, più di recente, XXXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica. Oltre la subfornitura, in Conc. merc., 2010, 630. In qualche misura tributaria di questa tesi è, nella giurisprudenza di legittimità, la nota C. 18.9.2009, n. 20106 (c.d. caso Renault), in Foro it., 2010, I, 85, con nota di XXXXXXXX e PARDOLESI, Della serie « a volte ritornano »: l’abuso del diritto alla riscossa. Su questa pronuncia si v. pure, se si vuole, XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, in Contr., 2010, 524.
(18) Si tratta di una delle tante vicende giudiziarie collegate al crack del c.d. gruppo Cragnotti e, in particolare, di T. Roma 5.2.2008, in Giur. it., 2009, 109, con nota redazionale di WEIGMANN.
(19) A differenza di quanto sostenuto da parte della dottrina (ad es., XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, cit., 378) l’art. 9 l. subf. non è una clausola generale, né contempla al suo interno clausole generali. Esso detta, invece, una norma generale, anche se con un campo di applicazione limitato alle sole relazioni commerciali tra imprese. La disposizione che vieta di abusare dell’altrui dipendenza economica non rientra, dunque, nell’ambito di quelle disposizioni « sprovviste di una propria fattispecie » (MENGONI, I principi generali del diritto e la scienza giuridica, in ID., Scritti. I. Xxxxxx e teoria giuridica, a cura di XXXXXXXXXX, ALBANESE e XXXXXXXXX, Xxxxxxx, 2011, 247). Delle clausole generali l’art. 9 non condivide neanche la funzione, che è quella di allargare lo spettro delle ipotesi concrete sussumibili sotto l’ombrello della previsione attraverso la creazione di regole da parte del giudice: a leggerlo attentamente, l’art. 9 l. subf. pullula di riferimenti casistici, che servono proprio ad eliminare il fenomeno della produzione normativa da parte del giudice (BELVEDERE, Le clausole generali tra interpretazione e produzione di norme, in Pol. dir., 1988, 634 ss.).
nelle quali ricorrono questi presupposti: i) una relazione tra imprese; ii) di natura commerciale; iii) che si protrae nel tempo; iv) che implica l’effet- tuazione di investimenti specifici; v) tali da ingenerare una situazione di dipendenza economica; vi) di cui la parte dominante abusa.
La dipendenza è valutata in riferimento all’eccessivo squilibrio di di- ritti e di obblighi. Questo riferimento, oltre a dimostrare la dimensione tipicamente relazionale degli abusi di dipendenza economica, serve pure a circoscrivere la discrezionalità giudiziale nell’applicazione del divieto (20). Il legislatore chiarisce testualmente che un’impresa è economicamente dipendente se l’altra può determinare un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. L’uso del modo congiuntivo (altro è dire « determina », altro è dire « sia in grado di determinare ») esprime una situazione potenziale e non attuale e lascia intendere che restano esclusi dall’ambito di applicazio- ne del divieto i contratti ab origine squilibrati, perché conseguenti alla fisiologica disparità di potere economico che sempre, o quasi, caratterizza le relazioni di mercato. La logica del divieto di abuso di dipendenza economica si coglie pertanto nell’esigenza di impedire all’impresa che si trova in posizione di supremazia economica nei confronti di un’altra di trarre dalla relazione commerciale utilità ulteriori e diverse rispetto a quelle che, nel rispetto dell’economia della relazione, le competerebbe- ro (21).
Questa chiave ricostruttiva (22), minoritaria ma non isolata in dottri- na (23), trova oggi significative conferme in giurisprudenza, là dove — come si vedrà nei successivi paragrafi — non si rintracciano precedenti in
(20) Il punto si coglie chiaramente attraverso un raffronto con il disposto dell’art. 33 c.cons.: in quest’ultimo lo squilibrio di diritti e di obblighi rileva come conseguenza di una disparità cui il legislatore vuol porre rimedio; nell’art. 9 l. subf., invece, rileva come indice normativo atto a qualificare una situazione di fatto come di dipendenza economica: cfr. XXXXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra legge speciale e disciplina generale del contratto, in VETTORI (a cura di), Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, Cedam, 2002, 469 ss.; XXXXX, L’abuso di dipendenza economica « fuori dal contratto » tra diritto civile e diritto antitrust, cit., 395; X. XXXXXXX, Prime riflessioni sull’abuso di dipendenza economica nei contratti agro-industriali, in Riv. dir. agr., 1999, 162.
(21) Cfr. ancora XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, cit., 111 ss.
(22) Sostenuta soprattutto in XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, cit., passim.
(23) V., infatti, CAMARDI, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asim- metria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti « reticolari », in Riv. crit. dir. priv., 2005, 549 ss., spec. 574 ss.; EAD., Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Eur. dir. priv., 2008, 831, 860 ss.; X’XXXXX, La formazione del contratto, in GITTI e VILLA (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Il Mulino, 2008, 37, spec. 62 s., ove si legge che « la possibilità dell’abuso sorge... nella fase successiva all’instaurazione della relazione contrattuale ».
XI.2.
ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
385
cui il divieto di abuso di dipendenza economica è stato applicato fuori del contratto o per sanzionare eccessivi squilibri originari (24).
2. Segue. Le fattispecie applicative e le regole di competenza.
L’art. 9, c. 2, l. subf. enumera tre modalità tipiche attraverso cui un abuso di dipendenza economica può realizzarsi: i) il rifiuto di vendere o di comprare; ii) l’imposizione di condizioni ingiustificatamente gravose e discriminatorie; iii) l’interruzione arbitraria di relazioni commerciali in atto. L’uso della congiunzione « anche » depone nel senso che si tratti di un’elencazione non tassativa e, come subito si vedrà, nella prassi si sono già profilate ipotesi atipiche. Come si è anticipato, sia le fattispecie tipiche sia quelle atipiche possono assumere i tratti dell’illecito antitrust « puro », perché violano direttamente l’art. 3 l. 287/1990, ovvero i tratti dell’illecito
— pur indirettamente rilevante per il buon funzionamento del mercato — ma tuttavia non riconducibile direttamente all’abuso di posizione domi- nante. La questione potrebbe apparire di non immediato rilievo, posta la possibilità per il giudice di riqualificare i fatti e « derubricare » l’illecito antitrust in mero abuso di dipendenza economica, se non fosse che, con una scelta assai discutibile, l’art. 33, c. 2, l. 287/1990 aveva attribuito alla Corte d’Appello territorialmente competente la competenza funzionale sulle controversie, anche in fase cautelare, in materia di abusi di posizione dominante (nonché di intese e concentrazioni anticoncorrenziali) (25). Questa scelta è stata recentemente rivisitata, perché oggi le controversie in materia sono state attratte alla competenza delle neoistituite Sezioni spe- cializzate in materia di impresa (art. 3, d.lgs. 168/2003, come modificato dal
d.l. 1/2012, convertito in l. 27/2012). In passato accadeva che la Corte d’Appello, chiamata a giudicare di un fatto prospettato dall’attore quale abuso di posizione dominante, avrebbe dovuto declinare la propria com- petenza in favore del Tribunale individuato secondo le ordinarie regole, nel caso in cui avesse ritenuto insussistente l’abuso di posizione dominante, lasciando dunque che fosse il diverso giudice innanzi al quale la causa fosse stata riassunta a qualificare eventualmente il fatto prospettato come abuso
(24) La tesi della necessaria inerenza al contratto degli abusi di dipendenza econo- mica è oggi avallata da C., sez. un., 25.11.2011 cit., la quale rileva che « poiché l’abuso in questione si concretizza nell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell’ambito di « rapporti commerciali », esso presuppone che tali rapporti siano regolati da un contrat- to », da ciò traendo poi la conseguenza che la responsabilità da abuso di dipendenza economica ha natura contrattuale e non aquiliana e che, pertanto, le clausole di proroga della giurisdizione sono valide.
(25) Cfr. X. Xxxxxx, ord. 10.1.2006, in Banca Dati Utet Platinum.
di dipendenza economica (26). Oggi, abrogato l’art. 33, c. 2, l. 287/1990, ma non estesa la competenza delle Sezioni specializzate anche agli abusi di dipendenza economica, accadrà che, a seconda della prospettazione atto- rea, la controversia sarà trattata o dalla Sezione specializzata Imprese o dalla Sezione ordinaria del Tribunale, entrambe individuate attraverso gli ordinari criteri dettati dal c.p.c. Questo nuovo sistema potrebbe, a primo acchito, non sollevare eccessivi problemi pratici, se si ritenesse che il tran- sito da una sezione all’altra dello stesso ufficio giudiziario sia questione di mera distribuzione interna delle controversia nello stesso ufficio giudizia- rio; tuttavia, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, si tratta di una questione di competenza (27). A ciò si aggiunga che le Sezioni specializzate in materia di impresa sono state istituite solo presso alcuni Tribunali italiani, sicché, in numerosi casi, la « materia » influirà anche sull’individuazione del giudice territorialmente competente (28).
3. Segue. Il rifiuto di vendere o di comprare.
Il rifiuto di vendere o di comprare sembrerebbe evocare il problema del partner obbligato, tema classico del diritto antitrust. Si definisce così quell’impresa che, detenendo un input necessario a un’altra impresa per intraprendere o proseguire di un’attività produttiva, si rifiuta di rifornirla del bene o del servizio richiesto. Un tale diniego solleva una tipica ipotesi di abuso di posizione dominante, nota come abuso c.d. di impedimento (29). Il preminente rilievo antitrust di questa modalità di realizzazione del- l’abuso di dipendenza economica non esclude che tale modalità possa
(26) Ovvero anche, dopo l’introduzione delle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale a opera del d.lgs. 30/2005, nel caso in cui l’illecito antitrust involgesse, anche indirettamente, profili di proprietà industriale.
(27) C., ord. 25.9.2009, n. 20690, in Dir. ind., 2010, 50, con nota critica di XXXXXXXX,
Sezioni specializzate, sezioni ordinarie e devoluzione delle controversie industrialistiche.
(28) All’atto pratico la questione potrebbe essere molto ridimensionata dal rilievo per cui, ben difficilmente, l’impresa dominante convenuta innanzi a una sezione non specializ- zata eccepirà l’incompetenza del giudice adito affermando di essere in posizione dominan- te. Un tentativo di radicare la competenza in materia di abusi di dipendenza economica contrattuale sempre e comunque innanzi alle Sezioni specializzate potrebbe peraltro pas- sare dalla qualificazione degli stessi quali atti di concorrenza sleale. Ma un tale tentativo, oltre alla forzatura che una tale qualificazione reca con sé, potrebbe comunque non avere buon esito, giacché l’art. 134 d.lgs. 30/2005 — richiamato dall’art. 3, x. 0, xxxx. x), x.xxx. 000/0000 — devolve alla cognizione delle sezioni specializzate non tutte le controversie in materia di concorrenza sleale, ma soltanto quelle che interferiscono, anche indirettamente, con l’esercizio di diritti proprietà industriale.
(29) Magari rimodulata alla luce della essential facility doctrine. Sul punto v., di recente, OSTI, Abuso di posizione dominante, in Enc. dir., Xxxxxx, V, Xxxxxxx, 2012, ad vocem, spec. 39 ss.
XI.3.
ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
387
avere un rilievo meramente civilistico. Nei rapporti di distribuzione, ad esempio, accade abbastanza di frequente che sia rimessa alla discrezionalità del distributore la decisione relativa all’an e al quantum della fornitura.
Un primo esempio è dato dal caso del contratto di concessione di vendita di autovetture, nel quale la casa produttrice si rifiuta di rifornire il concessionario oltre una certa misura (30), per non pregiudicare, ad esem- pio, un contestuale processo di integrazione verticale (31). Il rifiuto di vendere oltre quella misura, se pregiudica le possibilità di recuperare l’investimento effettuato dal concessionario, può rilevare quale abuso di dipendenza economica (32).
Un altro esempio è offerto da una risalente questione del diritto dei rapporti distributivi, relativa all’obbligo per il concedente di riacquistare le scorte inevase del concessionario dopo la scadenza di un rapporto di distribuzione (33). Il problema si pone, in particolare, quando il contratto di distribuzione, che tace in ordine alla sorte delle rimanenze, prevede una clausola di non concorrenza a carico del distributore: in questa fattispecie, anche se i beni residuati hanno una propria autonoma capacità attrattiva, il distributore non può venderli dopo la scadenza del contratto di affilia- zione senza violare la clausola di non concorrenza.
In entrambi i casi il divieto di abuso di dipendenza economica consente
(30) Cfr. ZUDDAS, Somministrazione concessione di vendita franchising, in Tratt. Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, 2003, 212, il quale nota che « la contrattualistica sfuma non poco la posizione del concedente non vincolandolo in modo formale mediante formule che sanciscano in modo categorico il suo obbligo, in quanto gli viene lasciato ampio spazio per quel che concerne la quantità da corrispondere e, soprattutto, i tempi della loro consegna ». V. pure BORTOLOTTI, Concessione di vendita (contratto di), in Noviss. Dig. It., App., Utet, 1981, 225.
(31) È questa, ad es., la fattispecie trattata da T. Roma 5.11.2003, cit., proprio alla luce del divieto di abuso di dipendenza economica. Questo caso trae spunto dal recesso intimato da una nota casa automobilistica ad un proprio concessionario e giustificato, appunto, dalla necessità di procedere a una riorganizzazione della propria rete di vendita in seguito all’entrata in vigore del reg. CE 1400/2002, sulla distribuzione di autoveicoli.
(32) PARDOLESI, I contratti di distribuzione, cit., 335 s., ricorda, al riguardo, « l’ipotesi, non infrequente, del distributore cui sia imposta, per contratto, la detenzione di uno stock amplissimo, funzionale alla strategia di commercializzazione del produttore, ma esorbitan- te per l’intermediario » nacque storicamente con le pratiche « con cui i fornitori statuniten- si, Ford in testa, provvedevano intorno agli anni ’20 a farsi finanziare forzosamente dai dealers ».
(33) Questione all’origine della stessa storia giurisprudenziale del franchising in Ita- lia: cfr. T. Xxxxxx 00.0.0000, in Foro it., 1982, I, 2042, con nota di PARDOLESI, Contratto di
« franchising », risoluzione di diritto, provvedimenti d’urgenza; P. Roma 11.6.1984, in Giur. it., 1985, I, 710, con nota di FRIGNANI, Quando il giudice « ordina » la prosecuzione di un rapporto di
« franchising », che offrirono risposte diametralmente opposte al medesimo problema del riacquisto delle scorte da parte del franchisor in seguito all’interruzione del rapporto di franchising.
soluzioni più eclettiche e meglio in grado di modellarsi sulle esigenze reali sottese agli affari economici rispetto alle soluzioni sperimentate in passato, che venivano ricercate nelle pieghe applicative della clausola generale della buona fede, chiamata in causa per risolvere problemi inerenti a lacune del regolamento contrattuale, come nel caso in cui nello stesso mancasse un’espressa disciplina relativa al riacquisto delle scorte da parte del concedente, arricchito in via eteronoma di una clausola di salvaguardia della posizione economica del concessionario (34).
In entrambe le fattispecie la clausola generale di buona fede, chiamata oggi a concretizzare il programma normativo predisposto dal divieto di abuso di dipendenza economica (35), consente di configurare obblighi in capo all’impresa dominante: nel primo caso di ulteriore fornitura di auto- veicoli; nel secondo di riacquisto delle scorte inevase (36).
4. Segue. L’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali.
Un’altra tipica modalità di realizzazione di abusi di dipendenza econo- mica è l’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali, non a caso più volte scrutinata, negli ultimi anni, dalla giurisprudenza di merito. Molto spesso l’impresa dipendente denunzia l’interruzione arbitraria della rela- zione commerciale quale presupposto del lamentato rifiuto di fornitura e chiede, per conseguenza, che, accertata l’arbitrarietà dell’interruzione, il giudice ordini la prosecuzione delle forniture.
Le soluzioni offerte al riguardo dai giudici sono contrastanti. Quasi sempre aditi in via cautelare, alcuni Tribunali hanno infatti concesso una tutela d’urgenza all’impresa dipendente che lamenta l’interruzione arbi-
(34) cfr. DE GUTTRY, Il problema della « termination » nel contratto di « franchising », in AA.VV., Tipicità e atipicità nei contratti, Xxxxxxx, 1983, 86; PARDOLESI, I contratti di distribuzione, cit., 337 s.; XXXXXXXX, La concessione di vendita, Xxxxxxx, 1983, 122; XXXXXXXXX, Il franchising: profili sistematici e contrattuali, Xxxxxxx, 1988, 92 ss.; contra, però, XXXXXXX, Commercio e servizi, Il Mulino, 1988, 173, nota 165.
(35) Sulla natura delle clausole generali, intese come « norme incomplete, frammenti di norme », che « non hanno una propria autonoma fattispecie, essendo destinate a con- cretizzarsi nell’ambito dei programmi normativi di altre disposizioni », x. XXXXXXX, Spunti per una teoria delle clausole generali, in ID., Scritti giuridici, I, cit., 170.
(36) Anche qui potrebbe procedersi a qualche ulteriore specificazione. L’obbligo di riacquisto dovrebbe infatti escludersi se: i) la durata del termine di preavviso concesso dall’affiliante è comunque tale da consentire all’affiliato, alla luce delle modalità distributive ordinarie, di collocare le rimanenze sul mercato (così PARDOLESI, I contratti di distribuzione, cit., 307 ss.); ii) l’affiliato abbia acquisito scorte, all’approssimarsi della terminazione del rappor- to, in misura anomala rispetto alle sue normali esigenze (cfr. XXXXX, Le condizioni di fine rapporto, in PILOTTI e XXXXXXX (a cura di), I contratti di franchising, Egea, 1990, 140.
traria di una pregressa relazione commerciale (37); altri l’hanno invece negata (38).
In una delle prime occasioni in cui il divieto di abuso di dipendenza economica è stato invocato (caso Xxxxxx Xxxxxx) (39), si era in presenza di una relazione commerciale, protrattasi per circa un decennio, tra un pro- duttore di capi d’abbigliamento e un dettagliante. Le due imprese avevano regolato i propri rapporti per mezzo di un contratto quadro predisposto dal produttore e congegnato in modo da consentire al dettagliante di revocare o variare i propri ordini d’acquisto solo entro dieci giorni dall’or- dine stesso, e al produttore di accettare l’ordine entro sei mesi dalla data della proposta (con il conseguente mancato perfezionamento della forni- tura, in assenza di accettazione). A un certo momento, in seguito a una proposta del dettagliante, il produttore non dà seguito all’ordine, addu- cendo quale ragione della mancata accettazione la decisione di privilegiare nelle forniture solo dettaglianti localizzati nel centro città. La relazione commerciale, da quel momento in poi, si interrompe. Il contratto quadro in questione si presenta squilibrato, sotto il profilo normativo, in favore del produttore che ne ha unilateralmente predisposto il contenuto. Questo profilo è valorizzato dal giudice della cautela, il quale dà rilievo, nella valutazione dell’abuso, all’unilaterale predisposizione del regolamento contrattuale squilibrato (40) e, su questo presupposto, con un provvedi- mento ben calibrato sulla concreta dinamica del rapporto, ordina in via d’urgenza la prosecuzione della fornitura per un ulteriore ordine, in modo da impedire che il dettagliante rimanga privo dei capi per la successiva stagione commerciale. Il giudice barese ravvisa nella vicenda una dipen- denza economica contingente, legata soltanto alla necessità, nella stagione commerciale avviata, di rifornirsi per la stagione commerciale successiva. Per la successiva stagione il dettagliante può rivolgersi altrove, per reperire sul mercato nuovi partner con cui instaurare nuove relazioni commerciali. Diversamente, sempre nelle ponderate parole del giudice xxxxxx, si dareb- be spazio a una pretesa di prosecuzione ad libitum della relazione commer- ciale, che assumerebbe « addirittura connotati di contrarietà alla libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. »; aggiungendo che « an- corché frustrato, l’affidamento sul fornitore non può dare origine a una
(37) X. Xxxxxxx, ord. 9.7.2009, cit.
(38) X. Xxxxxxx del Grappa, ord. 9.2.2010 e X. Xxxxxxx, ord. 2.9.2009, in Giur. it., 2010, 2560 ss., con nota di XXXXXXXXXX, Riduzione delle commesse e interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto: i limiti dell’abuso di dipendenza economica.
(39) X. Xxxx, ord. 6.5.2002, cit.
(40) Con un rilievo che aveva indotto OSTI, Primo affondo dell’abuso di dipendenza economica, in Foro it., 2002, I, 2185, a denunziare « la sovrapposizione tra stato di dipenden- za economica, ed abuso dello stesso ».
sorta di assicurazione commerciale »: l’interruzione definitiva del rappor- to, infatti, « è insita nel rischio d’impresa » (41).
In un’altra occasione (caso Pfizer) (42) è denunziata l’arbitraria inter- ruzione di una relazione commerciale in atto tra un produttore di farmaci cosmetici e il suo fornitore, il quale lamentava, tra l’altro, di aver assunto impegni finanziari notevoli nei confronti del ceto creditizio in funzione della stabilità del rapporto. Il giudice, nel negare la cautela richiesta, consistente nell’ordinare al produttore la prosecuzione del rapporto e nell’inibirgli la conclusione di nuovi contratti con altri fornitori, afferma tra l’altro che gli impegni esterni assunti dai contraenti, sia pure in relazione a impegni negoziali assunti, non possono assurgere a motivi rilevanti nell’e- conomia del contratto, sicché il loro inadempimento non può essere ascrit- to quale comportamento abusivo alla parte che interrompe la relazione commerciale.
Più di recente, in alcune vicende sostanzialmente identiche e tra le stesse parti (caso Diesel), si è fatta questione non di interruzione, ma di contrazione arbitraria di relazioni commerciali in atto. La fattispecie — riconducibile al novero delle ipotesi atipiche di abuso di dipendenza eco- nomica — trae origine da un rapporto di subfornitura ex art. 1 l. subf. in forza del quale un’impresa esegue, in situazione di sostanziale monocom- mittenza, lavorazioni per conto di un’altra impresa, operante nel settore tessile, confezionando i capi finali secondo tipologie qualitative e standard produttivi indicati dal committente. Nel corso della relazione commerciale il committente decide di ridurre le commesse, provocando così una dra- stica riduzione del fatturato del subfornitore. Quest’ultimo, per tutelare la stabilità delle commesse ed evitare di subire danni gravi e irreparabili, ricorre ex art. 700 c.p.c. chiedendo un provvedimento d’urgenza che eviti la stasi produttiva, le conseguenze in termini di tutela dei livelli occupazio- nali e che consenta il recupero degli investimenti effettuati per l’esecuzione del contratto.
Il Tribunale di Catania, in composizione monocratica, concede il prov- vedimento richiesto, ordinando al committente di mantenere, per un triennio, il medesimo numero di ordini alle medesime condizioni econo- miche; lo stesso giudice, in sede di reclamo, riforma però il provvedimento
(41) X. Xxxx, ord. 6.5.2002, cit., 728. Per completezza d’informazione merita rilevare che il provvedimento era poi stato revocato da X. Xxxx, ord. 2.7.2002, in Foro it., 2002, I, 3208, con nota di XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica, cit., sulla base, però, dell’erroneo argomento secondo cui l’abuso di dipendenza economica troverebbe applicazione solo per i rapporti di subfornitura e non anche per i contratti, come quello scrutinato, di distribu- zione.
(42) X. Xxxx, ord. 6.8.2002, in Foro it., 2002, I, 3217, con nota di XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica, cit.
cautelare ritenendo non arbitraria la contrazione delle commesse. Il Tri- bunale di Bassano del Grappa nega invece, già in via d’urgenza, il provve- dimento richiesto, argomentando dalla legittima scelta imprenditoriale del committente, che ha ridotto le commesse perché sul mercato si è registrato un calo di vendite dei capi d’abbigliamento.
L’esperienza pratica ha poi dimostrato che spesso il recesso determi- nativo è strumentale a un processo di integrazione verticale o comunque di riorganizzazione complessiva dell’attività distributiva.
Un processo di integrazione verticale era sotteso ad esempio al noto caso Renault, affrontato nel corso del tempo da vari giudici di merito e, infine, anche dalla Cassazione (43). La Renault aveva agito in forza di una legittima scelta imprenditoriale, dato che la modifica dell’assetto di vendita non era diretta tanto a creare danno ai concessionari quanto a ottenere un risparmio mediante la riduzione del personale collocandolo nella propria rete distributiva. Il recesso, peraltro, aveva riguardato un rilevante nume- ro di concessionari: il che dimostrava ulteriormente che fosse scaturito da una generale scelta imprenditoriale relativa alla miglior organizzazione della vendita. Ed infatti, quando la questione è stata affrontata in chiave di abuso di dipendenza economica (44), la giurisprudenza di merito ha rite- nuto legittima l’interruzione della relazione commerciale, perché coerente con i presupposti del c.d. recesso straordinario per riorganizzazione della rete previsto dall’art. 5 reg. CE 1475/95, escludendo pertanto la sussisten- za di un abuso di dipendenza economica.
Un processo di complessiva riorganizzazione dell’attività era, invece, sotteso al caso Logista, pure trattato in varie decisioni della giurisprudenza di merito (45). In questo caso alcuni distributori lamentavano il mancato rinnovo, da parte del produttore, di un contratto di distribuzione. Il produttore replicava assumendo che, alla base della scelta, stesse un’esi- genza di ristrutturazione aziendale e di razionalizzazione dei punti di distribuzione. La giurisprudenza afferma che « non può negarsi che la scelta di una distribuzione più razionale dei DFL sul territorio dello Stato, attraverso la soppressione di alcuni di essi e l’accorpamento di altri, fina- lizzata all’abbattimento dei costi, in linea con una gestione economica
(43) X. X. 00.0.0000, n. 20106, cit. Controversia cui, ratione temporis, non era appli- cabile l’art. 9 l. subf.: sul punto XXXXXXX, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della cassazione, in Corr. giur., 2009, 1577.
(44) X. Xxxx, ord. 5.11.2003, in Riv. dir. comm., 2004, II, 1, con nota di FABBIO, Note sulla terminazione dei rapporti di distribuzione automobilistica integrata, tra diritto comunitario e nazionale.
(45) T. Roma 17.3.2010, cit., nonché da T. Roma 19.2.2010; 24.9.2009; 26.5.2009;
15.5.2009 (inedite ma riportate da XXXXXXXXX, L’ambito di applicazione dell’abuso di dipendenza economica: il caso Logista Italia, cit., 1179 ss.).
dell’attività imprenditoriale basata sul profitto, si palesi come un interesse meritevole di apprezzamento ». In altro passaggio della motivazione osser- va però, con affermazione troppo generale per essere condivisa e smentita proprio dall’art. 9 l. subf., che nel caso in cui un contratto giunga alla naturale scadenza non può darsi, per definizione, un’interruzione arbitra- ria della relazione commerciale (46).
5. Segue. L’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie.
Anche l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gra- vose o discriminatorie evoca in prima battuta un tema classico del diritto antitrust, riconducibile agli abusi di posizione dominante c.d. di sfrutta- mento (47).
Sotto il profilo strettamente contrattuale, la fattispecie viene normal- mente in rilievo nel caso di modifica, unilaterale o concordata, delle con- dizioni contrattuali originariamente pattuite. Una volta attuati investimen- ti specificamente dedicati a una relazione commerciale e pertanto difficil- mente riconvertibili verso altre opportunità di mercato, può infatti acca- dere che l’impresa dipendente si trovi a subire modifiche in peius delle condizioni economiche o normative del regolamento contrattuale senza poter opporre resistenza. In questo caso, se non sono giustificate da legit- time ragioni imprenditoriali, le modifiche peggiorative sono abusive, per- ché mirano soltanto a « estorcere » utilità diverse e superiori rispetto a quelle convenute all’atto della conclusione del contratto.
Due casi affrontati dalla giurisprudenza di merito descrivono bene tale dinamica e, con soluzioni equilibrate, escludono la sussistenza di un abuso di dipendenza economica (48).
Nel primo (49) l’attore, affiliato alla rete dei distributori della compa- gnia telefonica, deduce la nullità per abuso di dipendenza economica delle nuove pattuizioni intervenute in costanza di rapporto commerciale in
(46) T. Xxxx 00.0.0000, cit., 1176.
(47) OSTI, Abuso di posizione dominante, cit., 29 ss.
(48) Un caso limite, non affrontato però nel merito, neppure in via cautelare, poiché la domanda è stata ritenuta improcedibile per difetto del tentativo di conciliazione, è quello affrontato da X. Xxxx, ord. 20.5.2002, cit., nel quale, tra l’Agip e una società fornitrice di servizi informativi, era in essere una relazione commerciale ultraventennale che si era snodata attraverso una pluralità di contratti, di breve durata, costantemente rinegoziati al ribasso. La società fornitrice aveva dedotto che il proprio fatturato dipendeva per più del 50% dall’attività svolta in favore della multinazionale e che il proprio personale dipendente era impiegato per più dei 2/3 al servizio della compagnia petrolifera.
(49) T. Bologna 17.5.2012, in Pluris Utet Cedam.
XI.5.
ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
393
forza delle quali un noto operatore di telefonia mobile aveva imposto la riduzione della commissione sulle attivazioni del servizio mobile prepaga- to. La riduzione della commissione era stata giustificata sul rilievo che, a distanza di diversi mesi dalla conclusione del contratto di affiliazione com- merciale, il mercato delle nuove attivazioni si era notevolmente ridotto. Il Tribunale non ha ritenuto la sussistenza di un abuso di dipendenza eco- nomica.
Nel secondo caso (50) l’attore deduce la nullità delle modifiche unila- terali operate da un vettore aereo, in conformità a quanto previsto nell’ac- cordo quadro che regola i rapporti con le agenzie di vendita, in forza delle quali, nel corso del tempo, la percentuale di riconosciuta all’agente sulla vendita dei biglietti si era ridotta dapprima dal 9% al 7% e, successivamen- te, dal 7% all’1%; l’agente chiedeva, dunque, la corresponsione — accertata la nullità dell’atto di esercizio del potere unilaterale di modifica delle condizioni contrattuali per abuso di dipendenza economica — delle diffe- renze percentuali non percepite rispetto all’originario accordo. Il Tribu- nale milanese ha rigettato tale domanda negando che, in concreto, sussi- stessero gli estremi di un abuso di dipendenza economica. Le modificazio- ni unilaterali delle provvigioni avevano infatti assunto « una funzione equilibrante dei diversi interessi dei partecipanti al mercato, funzione finalizzata certamente a dare omogeneità di posizione tra i vettori, ma che di riflesso ha svolto un evidente ruolo di garanzia per tutti gli operatori del settore anche diversi dai vettori ». Anche in questo caso è dunque evidente che l’abuso di dipendenza economica non è stato ravvisato perché l’atto attraverso il quale si sarebbe realizzato rispondeva a una legittima decisio- ne imprenditoriale.
La differenza tra i due casi è questa: nel primo la modifica delle condizioni contrattuali è formalmente concordata tra le parti; nel secondo è invece conseguenza dell’esercizio di un potere di variazione unilaterale convenzionalmente pattuito. Dal punto di vista dell’art. 9 l. subf. cambia poco: anche una modifica formalmente concordata tra le parti può essere conseguenza di un abuso di dipendenza economica (51). In nessuno dei
(50) T. Milano 9.4.2013, in Pluris Utet Cedam.
(51) Cfr. XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, cit., 137, dove si rileva come « in determinate relazioni contrattuali, l’ordinamento possa squarciare il velo dell’apparente bilateralità dell’accordo là dove questo dissimuli l’intento abusivo d’una sola parte », richia- mando, al riguardo, l’insegnamento della Corte di Giustizia nel noto caso Courage (C.G. 20.9.2001, causa X-000/00, Xxxxxxx Xxx. x. Xxxxxx, xx Foro it., 2002, IV, 75 con note di XXXXXXXX e PARDOLESI, Intesa illecita e risarcimento a favore di una parte: « chi è causa del suo mal ... si lagni e xxxxxx i danni »; SCODITTI, Xxxxx da intesa anticoncorrenziale per una delle parti dell’ac- cordo: il punto di vista del giudice italiano; XXXXX, « Take Courage »! La Corte di Giustizia apre nuove frontiere per la risarcibilità del danno da illeciti antitrust).
due casi, tuttavia, la modifica delle condizioni contrattuali è stata ritenuta abusiva poiché in entrambi si è ritenuto che rispondesse a circostanze sopravvenute che giustificavano una diversa architettura del contratto.
Il punto è di grande rilievo. Il codice civile conosce diverse ipotesi in cui le modifiche al contratto sono consentite per adeguarlo alle mutate circo- stanze. Sotto questa luce, l’abuso di dipendenza economica si candida, quin- di, a fungere da norma di chiusura del sistema dei contratti a lungo termine, operando come regola transtipica di controllo delle sopravvenienze e di ge- stionedeirischicontrattuali: essocondividelastessa ratio dialtredisposizioni dettate in sede di disciplina dei singoli tipi contrattuali, volte a garantire la stabilità economica della operazione divisata dalle parti al momento della stipuladelcontratto: sipensi, soprattutto, alleregolesullarevisionedelprez- zo dettate in materia di contratto d’appalto (privato e pubblico) di cui all’art. 1664; alla disciplina della modificazione del rischio nel contratto di assicu- razione di cui agli artt. 1897, 1898 e 1926; alla disciplina dello jus variandi nei contratti bancari di cui all’art. 118 d.lgs. 385/1993 (52).
Tutte queste regole congiurano verso la medesima direzione: garanti- re nel corso dell’esecuzione del contratto una tendenziale corrispondenza tra la base economica originaria e gli eventi successivi sopravvenuti. Il divieto di abuso di dipendenza economica non solo condivide la ratio di queste disposizioni, ma ne specifica il senso mettendone in rilievo un ulteriore risvolto: incentivare la stipula di contratti cooperativi, attraverso la « garanzia » che l’economia iniziale del rapporto non sia alterata se non sopravvengono circostanze che giustificano le modificazioni (53).
6. Osservazioni di sintesi sulle ipotesi, tipiche o atipiche, di abuso di dipendenza economica « contrattuale ».
I vari casi scrutinati dai giudici italiani e riferiti nei paragrafi precedenti mettono bene in luce il conflitto di interessi tipicamente sollevato dal divieto di abuso di dipendenza economica: da un lato la pretesa dell’impresa di- pendente a restare nella relazione commerciale (o a restarvi alle medesime condizioni originariamente pattuite), dall’altro la pretesa dell’impresa do- minante di muoversi liberamente allo scopo di cogliere nuove e diverse op-
(52) Su cui, di recente, AA.VV., Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato, a cura di DOLMETTA e SCIARRONE XXXXXXXXX, Xxxxxxx, 2012.
(53) Specularmente, si potrebbe configurare un abuso nella mancata rinegoziazione in presenza di circostanze sopravvenute che la giustificherebbero: cfr. XXXXXX, Interruzione brutale del rapporto di franchising. Abuso di dipendenza economica e recesso del franchisor, 810. Sul tema, in generale, XXXXXXX, Sopravvenienze perturbative e rinegoziazione del contratto, in Eur. dir. priv., 2007, 1095 ss.
portunità e diadeguare la propria condotta ai cangianti scenari del mercato. Si può tentare di raggrupparli intorno ad alcuni filoni principali:
I) mancato rinnovo del contratto alla scadenza convenzionalmente pattuita;
II) recesso da un contratto a tempo indeterminato;
III) nuove pattuizioni ingiustificatamente gravose.
Può poi capitare, soprattutto nei casi sub II e III, che l’abuso di dipen- denza economica passi per l’esercizio di un diritto potestativo di fonte contrattuale e, in particolare, per l’esercizio del diritto di recedere ad nutum (54) o di azionare la clausola risolutiva espressa (55); ovvero del diritto di modificare unilateralmente il regolamento contrattuale (56). In queste fattispecie sussiste un’interferenza tra abuso del diritto e abuso di dipendenza economica poiché quest’ultimo trova spazio nella possibilità per l’impresa dominante, concessa dal contratto, di esercitare discrezional- mente un diritto (57).
(54) Oltre al già citato X. Xxxx, ord. 5.11.2003, cit., si v. pure T. Trieste, ord. 20.9.2006, in Giur. it., 2007, 1737, con nota di SPACCAPELO, Abuso di dipendenza economica e provvedimento d’urgenza.
(55) T. Genova 22.9.2012, in Pluris Utet Cedam. Il caso trae origine dalla conclusione, nel 2004, di un contratto di agenzia stipulato tra il gestore dei complessi immobiliari delle principali stazioni ferroviarie italiane e un agente incaricato di promuovere la conclusione di contratti di pubblicità per le regioni Piemonte e Liguria. Il preponente agisce per la risoluzione per inadempimento del rapporto di agenzia, allegando il mancato rispetto, da parte dell’agente, delle nuove linee di politica commerciale impartite. L’agente, in via riconvenzionale, domanda il risarcimento dei danni patiti, in conseguenza dell’abuso, da parte del preponente, del suo diritto di impartire istruzioni circa la politica commerciale; afferma, in particolare, che tali istruzioni fossero finalizzate a ridurre e contrastare l’auto- nomia degli agenti per avocare direttamente a sé la conclusione dei contratti. Il Tribunale accoglie la domanda dell’agente, accertando l’esercizio abusivo del diritto riconosciuto dal contratto, esercitato non in conformità con il suo scopo, ma per raggiugere esiti del tutto sproporzionati e volti a piegare a proprio esclusivo vantaggio il sinallagma contrattuale; nella specie, le istruzioni venivano impartite al mero scopo di creare inadempimenti da parte dell’agente per « arrivare ad invocare la soluzione « finale » e di « non ritorno » e cioè la risoluzione di diritto » del contratto. Accertato l’esercizio abusivo della facoltà contrat- tuale, il Tribunale osserva poi — in linea con quanto osservato in XXXXXX, Abuso di dipendenza economica e abuso del diritto, in Contr., 2010, 529 — che l’abuso del diritto costituisce una categoria generale rispetto alla quale l’illecito previsto dall’art. 9 l. subf. « costituisce un’i- potesi speciale ed appare parimenti configurabile nella specie proprio in ragione del rapporto di fisiologica “sudditanza” dell’agente [...] nei confronti del preponente ». Su queste basi, ha ritenuto prevalente l’inadempimento del preponente e lo ha conseguente- mente condannato a risarcire il danno arrecato all’agente.
(56) T. Milano 9.4.2013, cit.
(57) Ed infatti, nel caso Renault, nel quale ratione temporis i concessionari non hanno potuto invocare l’art. 9 l. subf., la questione è stata affrontata e risolta sub specie di abuso del diritto.
In tutti i casi, comunque, lo scopo dell’art. 9 l. subf. è individuare in quali ipotesi e a quali condizioni accordare tutela all’impresa che ha effet- tuato investimenti specifici alla relazione commerciale. Una tale individua- zione implica sempre un’indagine sull’arbitrarietà della condotta dell’im- presa dominante che porta a verificare se tale condotta sia sorretta da legittime ragioni imprenditoriali (58). Poiché si devono bilanciare interessi in conflitto vanno rifiutate le soluzioni unilaterali. Va in particolare riget- tata l’idea, sostenuta da una parte della giurisprudenza (59), secondo cui dal principio costituzionale di libertà di iniziativa economica discende una regola operativa per cui l’impresa è sempre libera di operare nel suo interesse, senza riguardo alle conseguenze della sua condotta sui suoi partner commerciali. Una tale risposta, nella sua rudezza, è infatti smentita proprio dal disposto normativo dell’art. 9 l. subf. Ma il conflitto non può neppure risolversi accordando tutela alla stabilità della relazione senza prendere in esame le ragioni dell’impresa dominante (60).
Per bilanciare gli interessi in gioco occorre verificare se vi è un’esigenza di mercato che giustifica la condotta dell’impresa dominante, almeno fin- ché gli investimenti effettuati dall’impresa dipendente non siano stati re- cuperati.
In prima battuta, una legittima esigenza di mercato si ha in questi casi:
i) se il contributo del fornitore non è più giustificato dall’andamento del mercato (61);
ii) se sul mercato si sono affacciati nuovi potenziali partner in grado di eseguire le stesse prestazioni a condizioni economiche o qualitative diverse e migliori (62);
iii) se l’impresa dominante ha deciso di riorganizzarsi, dando vita, ad esempio, a un processo di integrazione verticale dell’attività (63).
Tutti e tre i casi sono giustificabili sulla base di argomenti di efficienza
(58) Il concetto di « legittima ragione imprenditoriale » è centrale nel diritto anti- trust, dove spesso si declina nei termini della « giustificazione obiettiva » delle scelte im- prenditoriali: cfr. C.G., Grande Sez., 27.3.2012, n. 209, C-209/10, in xxx.xxxxx.xx.
(59) X. Xxxxxxx del Grappa, ord. 9.2.2010, cit.
(60) X. Xxxxxxx, ord. 2.9.2009, cit., il quale oblitera completamente le ragioni del committente, ordinando di mantenere invariati gli ordini anche se il mercato non è in grado di assorbire la produzione.
(61) Nei casi trattati da X. Xxxxxxx, ord. 2.9.2009, cit., e X. Xxxxxxx del Grappa, ord. 9.2.2010, cit., ad esempio, la riduzione delle commesse era dipesa da un calo di mercato, in cui la richiesta di capi d’abbigliamento Made in Italy era in forte contrazione. In un caso simile la riduzione delle commesse è del tutto legittima.
(62) Negare in questo caso la possibilità di cambiare partner equivarrebbe ad impe- dire all’impresa la libertà di movimento sul mercato necessaria a guadagnare maggior efficienza produttiva.
(63) X. Xxxx, ord. 5.11.2003, cit. e C. 18.9.2009, n. 20106.
allocativa o produttiva e dunque sottendono legittime ragioni imprendi- toriali.
La sussistenza di queste ragioni non basta da sola a escludere una tutela per l’impresa dipendente che confida nel recupero degli investimenti specifici effettuati. Se, infatti, l’impresa dominante ha ingenerato nella controparte commerciale un affidamento sulla possibilità di ammortizzare gli investimenti effettuati, il divieto di abuso di dipendenza economica, espressivo di una regola di stabilità delle relazioni commerciali in cui sono stati effettuati investimenti specificamente dedicati, consente di sviluppare la clausola generale di buona fede in contrahendo al punto da accordare all’impresa dipendente un diritto alla prosecuzione del contratto per un tempo utile ad ammortizzare l’investimento. Una tale regola — come si è già visto — è espressamente sancita in materia di affiliazione commerciale ed è sostanzialmente implicita nell’art. 6, c. 2, l. subf.
L’abuso di dipendenza economica consente di estendere tali regole an- che oltre i due ambiti normativi che le contemplano. L’art. 9 l. subf. esibisce anzi in questo spazio operativo tutte le sue potenzialità. Esso offre dei solidi criterinormativiperconcretizzarelaclausolageneraledettatadall’art. 1337, il rispetto della quale sarà assicurato dal ricco arsenale di strumenti di tutela offerto dal c. 3-bis e, in particolare, dal rimedio inibitorio.
La violazione della norma imperativamente dettata dall’art. 9 l. subf. importa la nullità della clausola che prevede un termine contrattuale incongruo rispetto al tempo necessario per ammortizzare gli investimenti specifici effettuati. La lacuna così determinatasi sarà colmata dal giudice, chiamato a concretizzare la clausola generale di buona fede in coerenza con il programma normativo predisposto dal divieto di abuso di dipen- denza economica, stabilendo un termine sufficiente all’ammortamento dell’investimento effettuato. Alla base di questa regola sta la considerazio- ne, difficilmente revocabile in dubbio, secondo cui alla base dell’investi- mento effettuato sta anche, se non soprattutto, la condotta dell’impresa dominante.
Nel caso, invece, di esercizio del diritto potestativo di recesso determi- nativo avvenuto prima del tempo di ammortamento degli investimenti, potrà essere richiesto al giudice, anche in via d’urgenza, di ordinare la prosecuzione del rapporto per un periodo sufficiente ad ammortizzare l’investimento o, comunque, a riorientare l’attività verso diverse alternati- ve di mercato (64).
(64) È questa, ad es., una soluzione accreditatasi nel diritto tedesco, come riferito da FABBIO, L’abuso di dipendenza economica, cit., 280 ss.
7. Segue. I rimedi.
Nella versione originale della norma, l’unico rimedio azionabile dall’im- presa « abusata » era l’azione volta a ottenere la declaratoria di nullità del patto attraverso il quale l’abuso aveva trovato realizzazione. La disposizione aveva subito sollecitato un acceso dibattito nella dottrina, soprattutto civi- listica, la quale s’era lungamente interrogata circa la natura di questa nullità e la conseguente disciplina applicabile. Era prevalsa la tesi della natura pro- tettiva di tale nullità, argomentata sulla base di operazioni di ortopedia in- terpretativa più o meno ardite (65). Era poi stato il legislatore, ad appena tre anni di distanza, a novellare l’art. 9, arricchendo il c. 3 con l’espressa intro- duzione delle azioni risarcitorie e inibitorie.
L’esperienza applicativa maturata negli anni ha dimostrato che il vero rimedio per gli abusi di dipendenza economica è innanzi tutto inibitorio e, solo in subordine, risarcitorio; raramente è stata invocata la nullità del patto. In particolare, come è emerso anche dai paragrafi precedenti, le azioni in materia di abuso di dipendenza economica sono di regola precedute da una fase cautelare, in cui il provvedimento richiesto mira normalmente alla pro- secuzione del rapporto commerciale.
Proprio in sede di cautela sono stati costantemente oggetto di discus- sione due classici problemi del diritto processuale: i) l’ammissibilità del provvedimento urgente richiesto rispetto al successivo provvedimento di merito, sotto il profilo della sua strumentalità; ii) l’ammissibilità di una tutela anticipatoria di condanna a un facere infungibile, sotto il profilo della sua utilità. Rispetto a entrambi questi problemi si è registrato, nel corso del tempo, un indirizzo incline a ritenere superabili entrambi gli ostacoli. In ordine alla risoluzione in senso positivo della prima questione ha certa- mente giocato un ruolo l’espressa previsione del rimedio inibitorio, il quale, allargando le maglie dei provvedimenti di merito ottenibili dall’im- presa dipendente, ha ovviamente allargato le maglie dei provvedimenti anticipatori richiedibili. In ordine alla seconda questione si è invece valo-
(65) Per tutti ALBANESE, Abuso di dipendenza economica: nullità del contratto e riequilibrio de rapporto, in Eur. dir. priv., 1999, 1179, spec. 1191 ss., che suggerisce un’operazione di riduzione teleologica dell’art. 1419, c. 1, per evitare che la nullità del patto si comunichi all’intero contratto; negano, invece, la conducenza dei tentativi di costruire la nullità di cui all’art. 9, c. 3, l. subf., come nullità di protezione XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Xxxxxxx, 2003, 178 ss.; DI XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e contratto nullo, Cedam, 2009, 109 ss. Con interpretazione singolare si è poi sostenuto che la disciplina della nullità di cui all’art. 9 l. subf. andrebbe ricavata, in via di analogia juris, dal regime dettato dagli artt. 1441 ss. (così LIBERTINI, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2002, I, 456 ss.; nonché FABBIO, Abuso di dipendenza economica, in Tratt. Contr. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, XV, I contratti della concorrenza in CATRICALÀ e X. XXXXXXXXX (a cura di), Utet, 2011, 109 ss.
XI.7.
ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
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xxxxxxx l’insegnamento per cui nel nostro ordinamento non sussiste un principio di necessaria corrispondenza tra condanna ed esecuzione forza- ta. Si è così osservato che anche un provvedimento ineseguibile è idoneo a produrre effetti utili alla parte che lo richiede, sotto molteplici aspetti: dalla possibilità di un adempimento spontaneo dell’impresa condannata alla domanda di risarcimento per inadempimento del dictum giudiziale, ovve- ro, ancora, alla possibilità di iscrivere ipoteca giudiziale ex art. 2818 (66). Si aggiunga, infine, che — dopo l’introduzione dell’art. 614-bis c.p.c., operata dalla l. 69/2009 — il quesito non dovrebbe probabilmente più porsi poiché la condanna a un facere infungibile trova ulteriore utilità nella possibilità che il giudice commini, per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo rispetto all’esecuzione del provvedimento, una condanna pecuniaria a carico del soccombente.
Ciò premesso, nella generalità dei casi, il perpetrarsi di un abuso di dipendenza economica provoca danni all’impresa dipendente. La natura della responsabilità da abuso di dipendenza economica contrattuale, coe- rentemente con l’esistenza di una relazione tra le parti (67), non potrà che essere contrattuale (68), come peraltro affermato dalle sezioni unite della Cassazione.
L’opzione per la natura contrattuale della responsabilità, oltre a essere la più corretta sistematicamente, è anche gravida di riflessi pratici, che vanno ben oltre il diverso termine prescrizionale (69). Si pensi, tra tutte, alle conseguenze in punto di diritto internazionale privato, dove la quali- ficazione della responsabilità come contrattuale importa, come già osser- vato, la validità delle clausole di proroga della giurisdizione e l’inapplica- bilità dell’art. 62 l. 218/1995 (70).
Sotto altro profilo, nella quantificazione del danno assumeranno rilie- vo, nel caso di interruzione arbitraria della relazione commerciale, non solo i costi sostenuti per investimenti dedicati irrecuperabili, che rileveran- no sotto il profilo del danno emergente, ma anche il mancato utile che gli investimenti avrebbero prodotto ove la relazione fosse proseguita: in que- sto caso, infatti, la mancata reddittività dell’investimento è certamente una conseguenza immediata e diretta dell’illecito.
(66) Così, con ricco apparato argomentativo, X. Xxxxxxx, ord. 9.7.2009, cit., 250.
(67) XXXXXXXXXX, La relazione come categoria essenziale dell’obbligazione e della responsabi- lità contrattuale, in Eur. dir. priv., 2011, 55 ss.
(68) Sul punto già XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, cit., 149 s.
(69) Come erroneamente ritenuto da XXXXXX, Abuso di dipendenza economica, cit., 308.
(70) C., sez. un., ord. 25.11.2011 n. 24906, cit., ha escluso, invece, l’applicabilità dell’art. 5, n. 3, della Convenzione di Lugano del 16.9.1988, invocata in ragione della sede legale ginevrina della società convenuta.
Nel caso, invece, di imposizione di condizioni eccessivamente gravose, assume un rilievo pratico il rimedio della nullità, che non abbisogna tuttavia né di riduzioni teleologiche, né di altre più o meno raffinate ortopedie in- terpretativeteseaconfigurarlaqualenullitàrelativa, sesihabenchiaroiltipo normativo di problema affrontato dalla nullità, coincidente con la modifi- cazione peggiorativa delle condizioni contrattuali unilateralmente appor- tata o formalmente convenuta in assenza di circostanze sopravvenute giu- stificative. Se questo è il problema, il rimedio della nullità codicistica — oltre a essere quello che dovrebbe applicarsi, ove ancora si ritenga che gli artt. 1421 ss. siano diritto comune — è anche il più congruo rispetto allo scopo, poiché priva di effetti il patto (o l’atto) fonte della modifica delle condizioni contrattuali e, conseguentemente, riespande itermini dell’originario accor- do. In questo caso, alla nullità dell’atto unilaterale o del patto che abusiva- mente modifica ilregolamento contrattuale consegue la restituzione di tutto ciò che è stato corrisposto in forza dell’abuso, perché privo di causa giusti- ficativa. La natura abusiva della condotta della parte dominante consente, peraltro, di ritenerne provata la mala fede, con conseguente decorso degli interessi dal giorno del pagamento dell’indebito ex art. 2033, secondo pe- riodo.