OSSERVATORIO NAZIONALE
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
OSSERVATORIO NAZIONALE
LABOR LAB s.r.l.
Indice
Abstract ........................................................................................................... 5
I. Posizione del problema: la somministrazione tra flessibilità e sicurezza 15
II. Flessibilità e sicurezza: la strategia europea di flexicurity 25
1. Principi comuni e percorsi alternativi di flexicurity 25
2. La flexicurity nella Strategia Europea per l’Occupazione e nei processi di riforma degli Stati Membri 30
3. La flexicurity al tempo della crisi 36
4. Il modello danese di flexicurity 40
4.1. Il contesto politico, sociale ed economico 41
4.1.1. Xxxxxx politico-istituzionale 41
4.1.2. Tendenze demografiche e contesto sociale 43
4.1.3. Struttura e andamento dell’economia 45
4.1.4. Occupazione, disoccupazione, lavoro atipico 46
4.1.5. I livelli di partecipazione alla formazione continua 50
4.2. Il modello danese di flexicurity: flessibilità, protezione del reddito e politiche attive 55
4.2.1. Il “triangolo d’oro” danese 55
4.2.2. La flessibilità del mercato del lavoro 56
4.2.3. Gli schemi di protezione del reddito per i disoccupati 58
4.2.4. Le politiche attive del lavoro 59
4.2.5. Il ruolo dei servizi per l’impiego e di cura 62
4.3. Il “triangolo d’oro” ai tempi della crisi 63
4.3.1. La sfida della crisi e le risposte istituzionali 63
4.3.2. Le conseguenze occupazionali della crisi in Danimarca 65
4.3.3. L’impatto della crisi sul sistema danese di flexicurity 66
4.3.4. Verso una trasformazione del modello? 68
4.4. La non trasferibilità del modello danese di flexicurity 69
4.5. Flexicurity e somministrazione 72
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
III. La somministrazione di lavoro: la «flessibilità sicura» 75
1. Gli orientamenti internazionali e comunitari in materia di flessibilità e sicurezza nella somministrazione di lavoro 75
2. La somministrazione di lavoro nel contesto italiano 81
2.1. L’evoluzione del quadro regolatorio 83
2.2. Il ruolo della somministrazione di lavoro 90
3. I profili di flessibilità della somministrazione di lavoro 93
4. I profili della sicurezza nella somministrazione di lavoro 95
IV. Il ruolo delle agenzie di somministrazione nell’implementazione
delle politiche attive del lavoro 111
1. Le agenzie di somministrazione nell’attuazione delle politiche per il lavoro 111
2. L’inserimento dei lavoratori svantaggiati attraverso la somministrazione 113
V. La somministrazione e l’apprendistato in somministrazione: leve per l’occupazione giovanile 121
1. La somministrazione a supporto dell’occupazione giovanile 121
2. L’apprendistato in somministrazione in Europa 123
3. L’apprendistato in somministrazione in Italia 125
3.1. Il quadro normativo 125
3.2. La costruzione del “sistema” dell’apprendistato in somministrazione 127
3.3. I profili formativi 129
4. L’apprendistato come politica attiva per i giovani 134
5. Il ruolo delle agenzie di somministrazione nella promozione dell’apprendistato 137
VI. Considerazioni conclusive 139
Abstract
Posizione del problema
Il progetto di ricerca muove dall’idea che il lavoro in somministrazione non debba essere considerato solamente come strumento di flessibilità, sia essa a vantaggio delle imprese ovvero dei lavoratori, ma che debbano essere altresì considerati e analizzati gli elementi di sicurezza e tutela dei lavoratori, spesso superiori a quelli di altre forme contrattuali non standard.
Il lavoro tramite agenzia risponde, indubbiamente, alle esigenze di flessibilità dell’organizzazione del lavoro delle imprese, aumentandone la capacità di adattamento alla variabilità della domanda. Ai lavoratori, invece, offre la possibilità di soddisfare le “necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale” (direttiva 2008/104/CE, considerando 11), oltre ad una qualificata via di accesso o di reinserimento nel mercato del lavoro, supportando la mobilità del lavoro e facilitando la transizione da un’occupazione ad un’altra.
Meno frequente è la riflessione riguardante la maggiore capacità di questa forma di impiego, rispetto ad altre tipologie contrattuali non standard, di offrire sicurezza ai lavoratori, attraverso un robusto apparato di tutele, che, se non erano già presenti nelle legislazioni nazionali, sono state introdotte a seguito della implementazione della direttiva europea in materia (direttiva 2008/104/CE). Queste tutele consistono nella parità di
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trattamento; nei diritti collettivi; nell’informazione delle rappresentanze sindacali circa l’utilizzo della somministrazione nell’azienda; nel co-impiego (ripartizione di diritti e obblighi fra somministratore e utilizzatore); nel supporto all’occupabilità dei lavoratori in somministrazione attuata in particolare attraverso la formazione, nonché nel divieto di imposizione di oneri sui lavoratori. Nel contesto italiano, inoltre, l’elemento della sicurezza è garantita dalle reti di solidarietà e protezione che hanno saputo costruire le parti sociali attraverso la creazione degli enti bilaterali di settore e l’erogazione di specifici servizi e tutele.
Poiché l’obiettivo della ricerca è indagare i profili di flessibilità e sicurezza connessi al lavoro tramite agenzia, non è possibile prescindere dall’analisi del legame tra somministrazione e flexicurity, partendo dal suo principale paradigma, rappresentato dal modello danese.
Questo focus intende analizzare criticamente il sistema danese, suggerendo di superare le tentazioni di mera imitazione, per comprenderne, invece, le condizioni di funzionamento e i risultati, benché non replicabili artificiosamente in un diverso contesto nazionale.
L’analisi di tale modello, sebbene basato su elementi parzialmente diversi da quelli che caratterizzano la filosofia della flexicurity nel dibattito comunitario (cioè la combinazione di forme di impiego flessibili e nuove tutele nel mercato), è tuttavia fondamentale per due ordini di ragioni. In primo luogo, anche in Danimarca negli ultimi anni la crescente diffusione di alcune tipologie di lavoro non standard, tra cui il lavoro tramite agenzia, sollecita una riflessione sull’integrazione di queste forme contrattuali all’interno del modello generale di flexicurity. In secondo luogo, il sistema costruito in Danimarca offre un ottimo esempio di accompagnamento e
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supporto della mobilità nel mercato del lavoro attraverso misure formative e di sostegno al reddito; molteplici, perciò, sono gli spunti per l’individuazione di politiche atte a sostenere i lavoratori nella discontinuità lavorativa (tanto quella derivante da molteplici interruzioni di contratti stabili, quanto quella dovuta alla successione di contratti temporanei).
Il modello danese di flexicurity
Questi risultati sono stati ricondotti alla capacità del modello danese di flexicurity di combinare ottimamente i diversi elementi di flessibilità e sicurezza (in particolare flessibilità del lavoro, generosi schemi di protezione del reddito in caso di disoccupazione, politiche attive), diventando un riferimento per la politica sociale europea.
Con riferimento al profilo della flessibilità, il modello danese di regolazione del mercato del lavoro è caratterizzato, come noto, da una legislazione di tutela contro i licenziamenti scarsamente vincolante e, quindi, da alti livelli di flessibilità in uscita. Tali caratteristiche determinano un notevole dinamismo del mercato del lavoro, con un elevato “ricambio” dei posti di lavoro, a seguito della loro soppressione e creazione, offrendo nuove occasioni di inserimento in caso di uscita dal mercato del lavoro. Ogni anno, infatti, circa il 25% dei lavoratori danesi perde il proprio lavoro, ma non rimanere a lungo disoccupato. Risulta, infatti, altrettanto facile reinserirsi nel mercato del lavoro, autonomamente o grazie al supporto dei servizi per l’impiego, attraverso, per esempio, la partecipazione a programmi di attivazione o formazione.
La flessibilità si accompagna, d’altra parte, a schemi di protezione del reddito in caso di disoccupazione tra i più estesi e generosi in Europa, articolati in tre pilastri: quello assicurativo, gestito dai sindacati, sebbene
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co-finanziato dallo Stato con risorse pubbliche; quello assistenziale dedicato, finanziato tramite la fiscalità generale, che versa prestazioni a somma fissa, rivolte esclusivamente alle famiglie; quello assistenziale generale, anch’esso finanziato per via fiscale, che riguarda le persone in stato di indigenza ed escluse da altre forme di assicurazione. I tassi di rimpiazzo per il pilastro assicurativo (che copre circa il 77% della forza lavoro) possono arrivare fino al 90% dell’ultima retribuzione percepita e la durata massima del sussidio può arrivare fino a due anni.
Infine, il fondamento attorno a cui ruota l’intero sistema di flexicurity danese è quello delle politiche attive, cioè l’insieme delle azioni e delle misure finalizzate a intervenire sulle possibili cause di disoccupazione, con l’obiettivo di incrementare l’occupabilità della persona disoccupata, anche attraverso il suo attivo impegno nel reinserimento nel mercato del lavoro. La spesa per politiche attive è tra le più alte in Europa – l’1,4% del PIL nel 2010 e l’1,2% nel 2009, a fronte di una media Europa di poco più dello 0,5% (dati Eurostat) – e si concentra principalmente sulla formazione, sugli incentivi all’occupazione e sulle misure di riabilitazione e lavoro sussidiato per la reintegrazione di soggetti svantaggiati (con ridotta capacità lavorativa). In particolare, il sistema di lifelong learning è a tal punto sviluppato in questo paese che alcuni commentatori hanno utilizzato l’espressione learnfare per indicare il welfare danese, proprio per sottolineare la centralità della formazione.
Il sistema finora descritto è stato, negli anni recenti, oggetto di tensioni legate in parte al cambiamento di alcune condizioni di contesto (invecchiamento della popolazione, aumento dei flussi migratori, insediamento di forze politiche liberali al governo) e in parte alle conseguenze della crisi economica internazionale, che hanno messo a dura
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prova la stabilità del modello danese e spinto alcuni commentatori a parlare di una sua trasformazione.
La crisi economica ha consentito di realizzare un “esperimento controllato” su tale sistema, verificando l’efficacia di determinate policies a fronte di sfide comuni agli altri paesi, in particolare il contenimento dell’aumento della disoccupazione. Durante la crisi il modello danese ha visto più che raddoppiare il tasso di disoccupazione, pur rimanendo in termini assoluti abbastanza contenuto (dal 3,3% nel 2008 al 7,6% nel 2011), mentre ha registrato buone performance con riferimento alla limitazione della disoccupazione di lungo periodo (nel 2009 l’80% dei disoccupati trovava un nuovo lavoro dopo 26 settimane, il 60% dopo appena 13 settimane).
A fronte di “punti di arrivo” che vedono la Danimarca della flexicurity attestarsi ancora in una posizione da best performer, tuttavia, l’incremento della disoccupazione è stato proporzionalmente inferiore in paesi riconducibili ad un modello “tradizionale” di welfare state, come Germania, Belgio, Austria ed in qualche misura Italia, che, a differenza della Danimarca, adottano forme di tutela del reddito in costanza del rapporto di lavoro (come la cassa integrazione in Italia), che costituiscono una forma di flessibilità interna e non esterna.
Al contrario, la Danimarca ha una tradizione basata sulla flessibilità in uscita accompagnata dalla protezione del reddito e dal supporto a un veloce reinserimento. Essa si è rilevata non del tutto adeguata a reagire prontamente al calo della domanda di lavoro conseguente alla crisi. Da un lato, infatti, l’investimento in formazione e in servizi per l’impiego produce effetti positivi solo a lungo termine ma non ha un impatto immediato sui
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livelli di disoccupazione; dall’altro, gli interventi di sostegno al reddito combinati a schemi di attivazione hanno buoni risultati, ma solo in presenza di un’effettiva disponibilità di posti di lavoro.
Queste sfide hanno spinto il governo danese ad adottare misure restrittive, sicché la proverbiale generosità dei sistemi di protezione del reddito si è ridotta e la focalizzazione delle misure di attivazione sugli interventi formativi ha ceduto il passo a misure maggiormente orientate all’inserimento in tempi brevi nel mercato del lavoro.
Se il “sogno danese” conserva la sua valenza in una situazione economica espansiva, esso ha però mostrato le sue criticità in recessione. Emergono dunque rischi di indebolimento del modello, che si accompagnano alle riflessioni, ormai da tempo maturate nella letteratura sull’argomento, relative alle difficoltà di esportare in altri contesti il mix di policies sperimentato negli ultimi decenni in Danimarca. Il sistema, infatti, è strettamente legato alle tradizioni istituzionali ed ai modelli di governance, ai rapporti di forza e di cooperazione tra i principali stakeholders, a un modello cooperativo di relazioni industriali, nonché a scelte strategiche di allocazione delle risorse e, dunque, ad una maggiore spesa in sussidi di disoccupazione e politiche attive del lavoro, ma anche ad un alto livello di qualità dei servizi. Il buon funzionamento dei servizi per l’impiego e della formazione, infatti, è un elemento imprescindibile, ma di difficile realizzazione, poiché in Danimarca è il frutto di un’evoluzione che è durata più di due decenni.
La somministrazione: flessibilità sicura
A livello internazionale e comunitario, la Convenzione OIL n. 181 del
19 giugno 1997 e la direttiva europea 2008/104/CE rappresentano due
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importanti fonti normative internazionali per la regolamentazione della fattispecie del lavoro tramite agenzia, con un particolare riguardo alla tutela e alla sicurezza dei lavoratori.
La Convezione OIL n. 181 del 1997 presta adeguata attenzione a entrambe le parti del rapporto di lavoro, individuando i propri obiettivi nel creare un contesto di operatività per le agenzie private per l’impiego e nel tutelare i lavoratori da esse dipendenti.
A livello europeo, la direttiva 2008/104/CE è stata approvata per armonizzare le legislazioni nazionali in materia di lavoro tramite agenzia. Infatti, data la diversificazione delle discipline statali nella regolazione dell'interposizione, l'intervento regolatorio è incentrato a disciplinare il rapporto di lavoro attraverso la costituzione di un complesso normativo
«non discriminatorio, trasparente e proporzionato che tuteli i lavoratori tramite agenzia». È immediatamente evidente dalla lettura dei “considerando” che la direttiva pone la propria attenzione sia ai profili di flessibilità sia a quelli delle sicurezza, infatti viene affermato che il lavoro tramite agenzia «risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti. Contribuisce pertanto alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all'inserimento in tale mercato».
Le complesse trasformazioni della realtà socio-economica, l’avvento delle nuove tecnologie e la globalizzazione dei mercati rendono necessario
«prendere atto dei cambiamenti profondi avvenuti nelle forme di lavoro nel mondo contemporaneo ed adattare la protezione e la difesa della persona nel lavoro, al mutato assetto delle attività lavorative». Questo
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
determina la necessità di agire per ammodernare i concetti e le categorie fondamentali del diritto del lavoro. La legge Xxxxx ha cercato di andare in questa direzione, ponendosi come obiettivo l’adeguamento alle «esigenze dei processi produttivi, grazie all’aumento dei modelli contrattuali, attraverso efficaci risposte ai mutevoli ritmi derivanti dai mercati economici, offrendo ai lavoratori e ai datori di lavoro la possibilità di gestire processi produttivi e occasioni di lavoro in modo dinamico ed efficiente».
La regolamentazione della somministrazione, secondo l’impostazione delle Legge Biagi, non intendeva offrire alle imprese soltanto uno strumento di flessibilità in entrata, ma anche, in particolare con l’introduzione del c.d. staff leasing, un dispositivo volto a supportare la selezione, la gestione e l’organizzazione delle risorse umane, attraverso modelli di integrazione contrattuale tra imprese in chiave moderna e rispondente alle nuove esigenze dei modi di lavorare e produrre.
La tutela e la sicurezza del lavoratore nel mercato sono attuate attraverso molteplici disposizioni normative, volte a garantire in diversi modi trasparenza e informazione; ma anche la veridicità delle comunicazioni a mezzo stampa internet, televisione o altri mezzi di informazione; il divieto di realizzare indagini sulle opinioni dei lavoratori e di porre oneri in capo al lavoratore in cerca di occupazione; fino alla formazione, all’informazione sui posti di lavoro disponibili presso l’utilizzatore; e alla vigilanza sugli operatori.
Nell’esigenza di trovare un corretto bilanciamento tra la dimensione della flessibilità e quella della sicurezza, la somministrazione di lavoro pare essere il punto di equilibrio nell’individuazione di un raccordo tra le due
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enunciate esigenze, e ciò è ravvisabile nelle caratteristiche intrinseche di tale tipologia contrattuale, che unisce alla flessibilità del rapporto di lavoro e della fattispecie triangolare, tutele consistenti nella parità di trattamento; nei diritti collettivi; nell’informazione delle rappresentanze sindacali circa l’utilizzo della somministrazione nell’azienda; nel co-impiego (ripartizione di diritti e obblighi fra somministratore e utilizzatore); nella formazione per l’occupabilità e l’informazione dei lavoratori per il supporto all’occupazione, oltre alle tutele offerta attraverso gli enti bilaterali.
Questo è il focus centrale della presente ricerca, il cui obiettivo è volto a mostrare come, nell’ambito dell’istituto della somministrazione di lavoro, la flessibilità concessa ai datori di lavoro, per rispondere alle esigenze produttive ed organizzative aziendali, è bilanciata dalla salvaguardia dei diritti e delle tutele a favore dei lavoratori.
CAPITOLO I
POSIZIONE DEL PROBLEMA:
LA SOMMINISTRAZIONE TRA FLESSIBILITÀ E SICUREZZA
I cambiamenti delle modalità di produzione e della pianificazione e organizzazione del lavoro, verificatisi a partire dagli anni ottanta, in concomitanza con una serie di trasformazioni politiche ed economiche su scala globale riassumibili nel termine “globalizzazione”, hanno portato alla diffusione di modalità d’impiego definite “atipiche”, poiché una o più delle loro caratteristiche si discostano da quelle tradizionalmente associate al cosiddetto lavoro “standard” 1 . Queste forme contrattuali, oltre a rispondere ad imperativi di efficienza e competitività aziendale, hanno rappresentato anche uno strumento di riemersione di quelle pratiche organizzative che, non trovando disciplina nell’ordinamento giuridico, hanno contribuito alla creazione di ampie sacche di lavoro sommerso od irregolare.
Nell’ottica di migliorare l’efficacia della disciplina sul lavoro la maggior parte dei paesi europei ha provveduto ad aggiornare gli strumenti giuridici di regolazione dei processi di outsourcing/insourcing, favorendo pratiche di rinnovamento e di riorganizzazione delle imprese in grado di aumentare la flessibilità nell’uso della forza lavoro e di incidere positivamente sul piano della competitività e dell’occupazione. Sono state quindi «ricercate e sperimentate nuove tecniche normative ritenute idonee a rispondere alle esigenze di efficienza e competitività delle imprese, senza trascurare le
1 X. Xxxxxxx, Sociologia del mercato del lavoro, Vol. II, Il Mulino, Bologna, 2011.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
istanze di tutela dei lavoratori, in considerazione del mutato quadro economico e sociale»2.
In relazione a quel segmento della flessibilità esterna identificabile con i processi di outsourcing/insourcing particolare attenzione è stata rivolta, nelle agende di riforma dei principali paesi europei, all’istituto della somministrazione di manodopera, definibile come «un’ipotesi di specializzazione organizzativa e gestionale del lavoro realizzabile mediante rapporti con operatori polifunzionali e qualificati nella fornitura di forza- lavoro, a tempo determinato e/o indeterminato, necessaria per l’azienda per sostenere il processo produttivo»3.
Inizialmente, vittima di un forte pregiudizio negativo, il lavoro tramite agenzia ha attraversato, a partire dagli anni Sessanta4, un percorso di progressiva istituzionalizzazione e legittimazione in tutta Europa, seppur con diversi ritmi ed intensità, fino ad una completa diffusione. Parallelamente le agenzie per il lavoro si sono progressivamente affermate come professionisti dell’inserimento lavorativo e soggetti in grado di contribuire all’obiettivo della competitività dei sistemi produttivi ed alla crescita occupazionale, mediante interventi qualificati ed efficienti di riduzione del disallineamento tra domanda ed offerta di lavoro5.
La diffusione del lavoro tramite agenzia si è accompagnata, infatti, ad
2 Così X. Xxxxxxxxxx, Le riforme del mercato del lavoro dell’ultimo decennio in Italia, in Working paper ADAPT, n. 38/2006, 6.
3 Cfr., Relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della Riforma Biagi, disponibile su xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
4 Già presente in alcuni paesi europei, ad esempio in Francia, negli anni Cinquanta, ma spesso relegato ai margini della legalità ed in piccole nicchie di mercato, è a partire dagli anni Sessanta che il lavoro tramite agenzia viene riconosciuto e regolamentato nei diversi paesi europei. Per una ricostruzione del processo di regolamentazione della fattispecie in una prospettiva comparata cfr. X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, La somministrazione di lavoro, un confronto comparato, in Bollettino Speciale ADAPT, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx(a cura di), Flessibilità e mercato del lavoro: il caso della provincia di Bergamo e il confronto con la realtà europea, marzo 2012.
5 D. Xxxxxxxx, L’interim, Editions La Decouverte, Paris, 2007.
Posizione del problema
una diversificazione e progressiva specializzazione delle agenzie, che hanno assunto nel tempo un ruolo sempre più centrale nei mercati del lavoro di molti paesi europei. Alla sua nascita il lavoro tramite agenzia era utilizzato soprattutto per posizioni occupazionali marginali e temporanee ed è solo a partire dalla fine degli anni Sessanta che si diffonde nel segmento del lavoro operaio, rispondendo alle emergenti necessità delle imprese di adattamento congiunturale del volume della manodopera. In questa fase, complice la contemporanea diffusione di altre forme di impiego temporanee, il lavoro tramite agenzia è fortemente stigmatizzato in quanto emblema di strategie di gestione delle risorse umane “difensive” che scaricavano sui lavoratori i costi dell’evoluzione organizzativa dell’impresa fordista all’insegna della flessibilità: la contrapposizione si fa tanto più forte, quanto più le imprese iniziano ad utilizzare il lavoro tramite agenzia non più come espediente temporaneo per reagire a fluttuazioni congiunturali della domanda, ma come pratica ricorsiva di gestione del personale, all’insegna del modello della flessibilità “duale” ovvero un modello misto di flessibilità funzionale ed esterna.
A partire dagli anni Settanta, i movimenti sindacali di molti paesi europei imputano l’erosione del lavoro a tempo indeterminato alla diffusione di modalità d’impiego temporaneo e ingaggiano una serrata lotta ideologica contro il lavoro in somministrazione 6 . La necessità di legittimazione7 e la volontà di affermarsi come professionisti ad ampio raggio nella gestione delle risorse umane spingono le agenzie a differenziare le proprie funzioni. Nel corso degli anni Ottanta, infatti, inizia a diffondersi la pratica di utilizzare il lavoro tramite agenzia come fase di preselezione in vista dell’inserimento stabile in impresa e le agenzie
6 D. Xxxxxxxx, L’interim, cit., 14-24.
7 X. Xxxxxxx, L’institutionalisation du travail intérimaire en Europe, Thèse de Doctorat, Institut Universitaire Européen, Département de Sciences Juridiques, 1997.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
diventano intermediari affidabili sia per le imprese sia per i lavoratori8. Nel 1983 l’istituzione, in Francia, del Fond Assurance Formation Travail Temporaire apre la strada ad una serie di iniziative in altri paesi europei, più o meno ampie e diversamente collocabili sulla direttrice volontarismo/regolazione, nel campo della formazione continua: la formazione diventa uno strumento di accompagnamento per i lavoratori che sperimentano carriere mobili sotto l’ombrello protettivo delle agenzie ed una straordinaria leva di competitività per quest’ultime, che grazie alla capacità di offrire risorse umane sempre più qualificate e corrispondenti alle esigenze delle imprese utilizzatrici competono ormai ufficialmente con i servizi pubblici per l’impiego. Da questi ultimi, sempre più spesso in difficoltà per via della progressiva riduzione delle capacità di spesa degli Stati, le agenzie (cui nel frattempo, sulla scorta della diffusione di un lessico europeo sul lavoro, ci si riferisce anche con l’espressione “servizi privati per l’impiego”, con chiaro riferimento al loro ruolo alternativo al servizio pubblico) si distinguono per una maggiore efficienza e reattività e per una maggiore capacità di offrire servizi personalizzati alle imprese, ma anche ai lavoratori. Se le imprese apprezzano sempre di più l’offerta di servizi proveniente dalle agenzie ed aumenta il ricorso al lavoro in somministrazione in tutta Europa 9 , anche i lavoratori ed i loro rappresentanti iniziano a riconoscerne i vantaggi. Per alcuni di questi l’esperienza di lavoro in somministrazione acquista una valenza promozionale in termini di emancipazione economica, ma anche di orientamento professionale, di work-life balance ed addirittura in termini di
8 X. Xxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Rebauh, Entreprises de travail temporaire: former pour renforcer l’intermediation sur un territoire, in Formation Emploi, 2008, n. 202.
9 Dal 1998 al 2007 il tasso di penetrazione del lavoro tramite agenzia in Europa è più che raddoppiato e la sua crescita si è arrestata solo a partire dal 2008, con l’incombere della crisi finanziaria internazionale (CIETT-International Confederation of Private Employment Agencies, Agency work key indicators, in xxx.xxxxx.xxx/xxxxx.xxx?xxx000).
Posizione del problema
accrescimento del proprio capitale umano e sociale.
Queste trasformazioni hanno spinto i Legislatori di quasi tutti i paesi europei ad allentare i vincoli e le restrizioni all’attività ed all’utilizzo del lavoro tramite agenzia, anche sulla scorta delle indicazioni provenienti dalle istituzioni internazionali ed europee che si sono mosse nella direzione della “normalizzazione” di questa tipologia di impiego.
In alcuni paesi, tra cui l’Italia, «si è trattato di accogliere una nuova filosofia – che è poi la filosofia del Legislatore comunitario e di quei Paesi europei che meglio si sono orientati nella modernizzazione del diritto del lavoro – volta ad eliminare gli ostacoli alla competitività delle imprese e all’adeguamento del quadro legale al dato socio-economico, pur nel rispetto di una cornice di diritti sociali fondamentali»10, il tutto nell’ottica dello sviluppo e della valorizzazione del capitale umano e della innovazione organizzativa.
A livello internazionale e comunitario, sono da segnalare almeno due importanti interventi, tesi non solo a rafforzare il ricorso al lavoro tramite agenzia, ma soprattutto ad ampliare le tutele dei lavoratori in tale ambito. Un primo intervento di rilievo è stato realizzato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro attraverso la Convenzione 19 giugno 1997, n. 181,11 sulle agenzie private per l’impiego, con cui è stato riconosciuto il loro ruolo nel perseguimento di un miglior funzionamento del mercato del lavoro12.
10 X. Xxxxx, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, in X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, Treu T. (a cura di), Xxxxx Xxxxx. Un giurista progettuale. Scritti scelti, Xxxxxxx, Milano, 2003, 152.
11 Per ulteriori approfondimenti si rimanda a X. Xxxxx, Pubblico e privato nella gestione del collocamento: la convenzione OIL n. 181/97, in DRI, 1998, n. 2, 161-167.
12 M.P. Xxxxxxxxx, Gli orientamenti comunitari ed internazionali in materia di collocamento, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Il collocamento tra pubblico e privato, Xxxxxxx, Milano, 2003, 66.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
L’evoluzione della posizione dell’OIL 13 in tale materia è rappresentativa di quanto avvenuto, nel corso degli anni, negli ordinamenti di molti Stati14 anche in riferimento alla affermazione della necessità di
«regolamentare le agenzie private per l’impiego»15, sottoponendo la loro attività ad attento controllo16. Il principale obiettivo dell’intervento dell’OIL è individuabile nella volontà di consentire alle agenzie private di operare nel mercato del lavoro unitamente a quella di concretizzare tutele a favore dei lavoratori tramite xxxxxxx00, in particolare promuovendo «la parità di opportunità e di trattamento in materia di accesso all’impiego e alle varie professioni, vietando ogni forma di discriminazione»18.
Il secondo intervento che a livello internazionale e segnatamente europeo è stato volto ad ampliare le tutele dei lavoratori tramite agenzia è rappresentato dalla direttiva 2008/104/CE «relativa al lavoro tramite agenzia19. Si tratta del primo intervento normativo organico del Legislatore
13 Per un quadro completo sulla evoluzione della posizione dell’OIL si rimanda a X. Xxxxxxx, La disciplina internazionale, in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxx (a cura di), Il ruolo del lavoro in somministrazione a tempo determinato per l’occupazione dei soggetti svantaggiati, Collana dell’osservatorio Centro Studio, 2006, 9 ss., disponibile su xxx.xxxxxxx.xx.
14 «Il sorgere di specifiche e differenti esigenze rispetto ai servizi relativi al mercato del lavoro, unitamente all’insoddisfazione per la qualità e l’inefficienza dei servizi pubblici per l’impiego, agli elevati tassi di disoccupazione, nonché ad una tendenza generalizzata alla deregolamentazione e alla liberalizzazione hanno portato al superamento del monopolio pubblico del collocamento e alla legittimazione della presenza di soggetti privati esercitanti attività di intermediazione». Cit., X. Xxxxxxxx, in Il governo del mercato del lavoro tra controllo pubblico e neo-contrattualismo, Xxxxxxx, Milano, 2008, 55.
15 X. Xxxxxxxx, in Il governo del mercato del lavoro tra controllo pubblico e neo- contrattualismo., cit., 56.
16 Per ulteriori approfondimenti in merito si rimanda a X. Xxxxxxxxxx, Somministrazione di lavoro e prospettive di uniformazione a livello internazionale e comunitario, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Le esternalizzazioni dopo la Riforma Biagi, Xxxxxxx, Milano, 2006, 61 ss.
17 Art. 2, Convenzione OIL n. 181/1997.
18 Art. 5, Convenzione OIL n. 181/1997.
19 Per approfondimenti sulla ricostruzione antecedente l’approvazione di tale documentazione comunitaria, v. M.M. Mutarelli, Il lavoro tramite agenzia: modelli di disciplina in Europa, in DLM, 2007, 567 ss.
Posizione del problema
comunitario sulla materia, in precedenza rimessa alle sole determinazioni dei legislatori nazionali, comportando conseguentemente anche l’individuazione di scelte diversificate20.
All’interno di tale documento è facilmente ravvisabile «l’impronta lasciata dai principi dettati a Lisbona21 volti a combinare flessibilità e sicurezza» attraverso la realizzazione «di nuove forme di organizzazione del lavoro ed una maggiore differenziazione dei contratti» oltreché a
«migliorare, per tale via, la capacità di adattamento dei lavoratori»22.
Il Legislatore comunitario in considerazione della «grande diversità» che caratterizza la «posizione giuridica, lo status e le condizioni di lavoro dei lavoratori tramite agenzia» nei differenti paesi dell’Unione Europea ha deciso di intervenire in materia con l’obiettivo primario di realizzare «un quadro armonizzato per la tutela di tali prestatori d’opera»23. In tal guisa, particolare rilievo deve essere attribuito alla dichiarazione secondo la quale il lavoro tramite agenzia «risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti. Contribuisce pertanto alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato»24.
Questi brevi cenni bastano ad evidenziare come a livello internazionale e comunitario si sia voluto valorizzare la finalità promozionale intrinseca in tale tipologia contrattuale, in grado di favorire l’uscita dal segmento del mercato del lavoro sommerso e/o dallo stato di
20 X. Xx Xxxx Xxxxxx, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, in RIDL, I, 2007, 3.
21 X. Xxxxxxx, La «flessibilità nella sicurezza» alla prova. Il caso del lavoro temporaneo fra soft law e hard law, in DLRI, 2003, 69 ss.
22 X. Xxxxxxx, Il lavoro tramite agenzia interinale nell’ordinamento comunitario, in WP C.S.D.L.E. «Xxxxxxx X’Xxxxxx», n. 72/2009, 6.
23 10° Considerando, direttiva 2008/104/CE.
24 11° Considerando, direttiva 2008/104/CE.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
disoccupazione, offrendo allo stesso tempo ai lavoratori che sperimentano carriere esterne la garanzia di un accompagnamento nelle molteplici transizioni sperimentate, da parte di attori esperti del mercato del lavoro. In questa prospettiva, «le tecniche e gli obiettivi di flessibilità sono opportunamente controbilanciati da «transizioni sicure» dei lavoratori verso il mercato del lavoro e nel mercato del lavoro»25.
Poiché l’obiettivo della ricerca è indagare i profili di flessibilità e sicurezza connessi al lavoro tramite agenzia, non è possibile prescindere dal contestualizzare queste riflessioni nel più ampio dibattito sui modelli di regolazione del lavoro in Europa ispirato dall’idea di flexicurity, che intende coniugare flessibilità e sicurezza, e che già a partire dal 1998 con la promulgazione dei primi Orientamenti per l’occupazione agli Stati Membri all’interno della Strategia Europea per l’Occupazione, ha caratterizzato l’azione comunitaria in materia di politiche sociali e del lavoro.
Alla luce di queste considerazioni, si procede dunque all’analisi del concetto europeo di flexicurity, considerandone potenzialità, risvolti applicativi dei diversi paesi europei e limiti, soprattutto alla luce della recente crisi economica internazionale (capitolo II).
Definito così l’orizzonte teorico dell’analisi, la ricerca si concentra sulle dimensioni di flessibilità e sicurezza insite nel lavoro tramite agenzia, partendo dalla normativa internazionale ed europea per poi ricostruire il dato normativo nella normativa italiana, con particolare riferimento alle modifiche più recenti appostate alla materia e trattando del ruolo che il Legislatore ha inteso attribuire alla somministrazione e confrontandolo con l’evoluzione effettiva di tale ruolo (capitolo III).
L’analisi della somministrazione di lavoro nell’ordinamento italiano è attuata nella logica di valutare come siano state armonizzate le due
25 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Flexicurity and decent work in Europe: can they coexist?, in WP C.S.D.L.E. «Xxxxxxx X’Xxxxxx», n. 65/2008, 12.
Posizione del problema
dimensioni della flessibilità e della sicurezza e in particolare evidenziare quali sono le previsioni normative che garantiscono tutela e sicurezza ai lavoratori somministrati. Con questo intento, sono nel dettaglio analizzati i
profili di flessibilità e i profili della sicurezza della somministrazione di lavoro (capitolo III).
Ritenendo che le agenzie per il lavoro, in generale, e le agenzie di somministrazione, in particolare, possano avere una funzione rilevante per il buon funzionamento del mercato del lavoro, si approfondiscono le questioni relative al ruolo delle agenzie di somministrazione nell’implementazione delle politiche attive del lavoro e nell’inserimento dei lavoratori svantaggiati attraverso la somministrazione (capitolo IV).
Attenzione particolare è attribuita alla possibilità per la somministrazione e per le agenzie di sostenere l’occupazione giovanile anche tramite la promozione dell’apprendistato. Con questo obiettivo, dopo una panoramica dell’apprendistato in somministrazione in Europa, si analizza il quadro normativo italiano, osservando la costruzione di questo caratteristico “sistema” dell’apprendistato in somministrazione e analizzandone con speciale attenzione ai profili formativi (capitolo V).
CAPITOLO II
FLESSIBILITÀ E SICUREZZA:
LA STRATEGIA EUROPEA DI FLEXICURITY
1. Principi comuni e percorsi alternativi di flexicurity
Il concetto di flexicurity è stato la cifra descrittiva delle politiche europee nel campo dell’occupazione dell’ultimo quindicennio e, sulla scia degli orientamenti comunitari, ha trovato spazio nelle riforme dei mercati del lavoro degli Stati membri.
L’ormai famosa crasi tra flexibility e security rimanda all’obiettivo generale di creare mercati del lavoro che tengano conto contemporaneamente delle nuove esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori e che cerchino di combinare maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro con adeguati livelli di sicurezza.
La flexicurity nasce in un circuito più politico che giuridico26, sebbene per il suo tramite le istituzioni europee intendessero incidere sulla regolazione giuridica del lavoro negli Stati membri. Seppur caratterizzato da profonde contraddizioni, infatti, il discorso europeo sulla flexicurity ha aperto un dibattito in materia di disciplina del lavoro e dei mercati del lavoro che non si è di fatto mai chiuso, anzi, ha trovato nuova linfa nei tentativi di risposta alla crisi dei vari Paesi europei.
Sono stati necessari molti anni per giungere all’elaborazione di una
26 Cfr. X. Xxxxxxx, La flexicurity dell’Unione europea: appunti per la riforma del mercato del lavoro in Italia, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx” IT, n. 141/2012.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
definizione condivisa di flexicurity. Il termine fu coniato in Olanda verso la metà degli anni novanta ed il concetto è stato elaborato in sede teorica da Wilthagen a partire dal 199827, sebbene la definizione più nota risalga ad un articolo di Xxxxxxxxx e Tros del 2004, dove gli studiosi definiscono la flexicurity come una strategia volta a incrementare la flessibilità dei mercati del lavoro, dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni di lavoro, da un lato, e a sviluppare la sicurezza (sicurezza dell’occupazione e sicurezza sociale) in particolare per i gruppi di lavoratori più deboli all’interno e all’esterno del mercato del lavoro, dall’altro lato28.
Il riferimento era, dunque, a politiche del lavoro e modelli di regolazione che rafforzassero contemporaneamente la flessibilità (dei mercati, delle organizzazioni, dei rapporti di lavoro) e la sicurezza (nel rapporto di lavoro e nel mercato del lavoro), soprattutto per i gruppi più deboli (dentro e fuori il mercato del lavoro).
La definizione teorica di Xxxxxxxxx e Tros trova, nel 2007, una traduzione politica nella Comunicazione della Commissione Europea “Verso principi comuni di flessicurezza”29. La Comunicazione sottolinea l’urgenza di rispondere alla sfida della ristrutturazione delle economie europee imposta dalla globalizzazione, oltre che il persistere di squilibri in molti mercati del lavoro europei, soprattutto in termini di segmentazione, precariato, esclusione di alcuni lavoratori dai sistemi di protezione sociale.
Alla base dei principi di flexicurity dettati dalla comunicazione del
27 Cfr. T. Xxxxxxxxx, Flexicurity: A New Paradigm for Labour Market Policy Reform?, in Social Science Research Center Berlin, Discussion Paper No. FS I, 1998.
28 T. Xxxxxxxxx, X. Tros, The Concept of ‘Flexicurity’: a new approach to regulating employment and labour markets, in Transfer: European Review of labour and research, 2004, vol. 10, No. 2: «A policy strategy that attempts, synchronically and in a deliberate way, to enhance the flexibility of labour markets, work organization and labour relations – on the one hand – and to enhance security (employment security and social security) notably for weaker groups in and outside the labour market- on the other hand».
29 Commissione europea, Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più
numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza, COM(2007)359.
La strategia europea di flexicurity
2007 c’è una precisa definizione della sicurezza occupazionale, in termini di “possibilità di trovare agevolmente un lavoro in ogni fase della vita attiva e di avere buone prospettive di sviluppo della carriera in un contesto economico in rapido cambiamento”, ciò attraverso l’integrazione tra le politiche, nel tentativo di superare approcci separatisti ai problemi occupazionali, che puntano o esclusivamente sulla flessibilità del mercato del lavoro, o sull’aumento della sicurezza per i lavoratori in termini di protezione del posto di lavoro o di sostegno economico in caso di disoccupazione. Entrambe le tipologie di politiche, prese isolatamente, hanno mostrato di essere inadeguate: la prima, perché può tradursi in precarietà occupazionale; la seconda, in quanto può esasperare la segmentazione tra insider e outsider a causa dell’eccessiva protezione dei primi, o, nella sua seconda veste, perché espone gli Stati Membri a livelli di spesa elevati, non sempre bilanciati da adeguati ritorni in termini di aumento dei livelli occupazionali.
Alla luce di queste riflessioni, nell’ambito della strategia europea di
flexicurity, sono stati elaborati alcuni principi, rispetto ai quali gli Stati Membri sono stati invitati ad orientare le proprie scelte in materia di politiche del lavoro:
1. la strategia di flexicurity comporta forme contrattuali flessibili e affidabili, strategie integrate di apprendimento permanente, efficaci politiche attive del mercato del lavoro e sistemi moderni di sicurezza sociale;
2. essa implica un giusto equilibrio tra diritti e responsabilità per i datori di lavoro, i lavoratori, le persone in cerca di impiego e le autorità pubbliche;
3. dovrebbe essere adattata alle circostanze, ai mercati del lavoro e alle relazioni industriali propri degli Stati membri e non riguarda un modello unico di mercato del lavoro;
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
4. dovrebbe ridurre il divario tra gli insider e gli outsider nel mercato del lavoro;
5. dovrebbe essere promossa tanto nella sua dimensione interna (flessibilità e sicurezza all’interno dell’impresa) quanto in quella esterna (flessibilità e sicurezza nel passaggio da un’impresa all’altra);
6. dovrebbe supportare la parità di genere promuovendo un accesso equo a un’occupazione di qualità per le donne e gli uomini e offrendo possibilità di conciliare il lavoro e la vita familiare, oltre a fornire pari opportunità ai migranti, ai giovani disabili e ai lavoratori anziani;
7. richiede un clima di fiducia e il dialogo tra le autorità pubbliche, le parti sociali e gli altri attori;
8. dovrebbe contribuire a politiche di bilancio sane e finanziariamente sostenibili, mirando ad un’equa distribuzione dei costi e benefici, soprattutto tra le imprese, i singoli individui e i bilanci pubblici.
Da ciò le quattro componenti politiche basilari della strategia di
flexicurity:
1. forme contrattuali flessibili e affidabili da promuovere mediante cambiamenti nella normativa del lavoro, contrattazioni collettive e modelli di organizzazione del lavoro moderni;
2. strategie integrate di apprendimento lungo tutto l’arco della vita;
3. efficaci politiche attive che agevolino la transizione verso nuovi posti di lavoro;
4. sistemi moderni di sicurezza sociale che forniscano un adeguato supporto al reddito, agevolando al tempo stesso la mobilità sul mercato del lavoro.
L’attuazione di questa strategia, sottolinea la Commissione, presuppone però il coordinamento con politiche macroeconomiche valide e sostenibili e con politiche microeconomiche efficienti, che consentano alle imprese di investire in innovazione e creare nuovi posti di lavoro. Inoltre,
La strategia europea di flexicurity
l’attuazione della strategia di flexicurity presuppone un forte coinvolgimento delle parti sociali ed una serrata cooperazione tra queste e tra queste e le autorità pubbliche.
Come più volte sottolineato dalla Commissione nella comunicazione, la trasposizione dei principi di flexicurity attraverso la realizzazione di riforme volte ad attuarne le componenti principali non può che avvenire attraverso percorsi differenziati nei vari paesi europei, per via della diversità delle caratteristiche dei mercati del lavoro e degli assetti politico- istituzionali. La Commissione ipotizza dunque diverse combinazioni delle componenti della strategia, che variano in considerazione delle tradizioni, delle esperienze finora realizzate e delle sfide in atto negli Stati Membri.
Il primo percorso è quello che dovrebbero intraprendere i Paesi con alti livelli di mobilità della forza lavoro, che si accompagnano ad una forte segmentazione del mercato del lavoro: questo percorso dovrebbe essere caratterizzato, in primo luogo, da una maggiore protezione dei lavoratori atipici30 e dalla ridefinizione delle regole per i licenziamenti nei contratti a tempo indeterminato, aumentando al tempo stesso l’impegno sul versante delle politiche attive, anche attraverso la cooperazione tra servizi per l’impiego pubblici e privati.
Il secondo percorso è suggerito ai Paesi con una struttura produttiva caratterizzata dalla presenza di grandi imprese in grado di offrire alla maggior parte dei lavoratori un alto livello di stabilità occupazionale. Il rischio maggiore per i lavoratori di questi paesi è quello della perdita del posto di lavoro per via di ristrutturazioni ed outsourcing e dell’obsolescenza delle proprie competenze professionali, sicché la
30 Questa dovrebbe passare, secondo la Commissione, attraverso il riconoscimento della parità retributiva ed il miglioramento delle condizioni “secondarie” dell’occupazione, come ad esempio la copertura di fondi pensione e l’accesso alla formazione, oltre che attraverso la limitazione del ricorso consecutivo a contratti atipici e l’accesso ad adeguati sussidi di disoccupazione e misure di assistenza sociale.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
Commissione propone un investimento adeguato in formazione continua per sostenere mutamenti organizzativi ispirati ad una maggiore flessibilità interna (di orario e funzionale), oltre che politiche volte a facilitare le transizioni dalla disoccupazione ad una nuova occupazione31.
Il terzo percorso riguarda i Paesi caratterizzati da buone performance occupazionali complessive, ma da forti disuguaglianze nell’accesso alle opportunità lavorative che penalizzano alcuni gruppi sociali. L’imperativo è, in questi casi, aumentare la qualità del lavoro ed accrescere la dotazione di capitale umano dei gruppi vulnerabili, oltre che promuovere la diffusione di forme contrattuali flessibili che incentivino le imprese ad assumere i soggetti esclusi dal mercato del lavoro, ma siano adeguatamente tutelate.
Infine, un quarto percorso è suggerito ai Paesi che hanno subito ristrutturazioni economiche che hanno comportato forti ridimensionamenti degli organici aziendali ed in cui c’è un’alta percentuale di lavoro sommerso. Anche in questo caso, la via per la flexicurity passerebbe attraverso la promozione di forme contrattuali flessibili, temporanee – ma adeguatamente tutelate – ad attraverso importanti investimenti in riqualificazione professionale, che accompagnino i lavoratori nelle transizioni dai settori occupazionali in declino a nuovi settori emergenti.
2. La flexicurity nella Strategia Europea per l’Occupazione e nei processi di riforma degli Stati Membri
Le raccomandazioni riassunte nel paragrafo precedente e formalizzate nella comunicazione del 2007 sono un elemento fondamentale della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) e degli
31 Anche questi paesi sono incoraggiati, inoltre, ad aumentare la flessibilità in uscita per contrastare la rigidità dei mercati del lavoro e ad aumentare gli sforzi sul versante dell’attivazione dei disoccupati, rendendo condizionata l’erogazione dei sussidi.
La strategia europea di flexicurity
Orientamenti per l’occupazione.
La SEO fu avviata durante il vertice straordinario di Lussemburgo del 1997 e rappresenta ormai il più consolidato ambito di coordinamento aperto di politiche in Europa. Essa è stata il banco di prova del Metodo Aperto di Coordinamento, un impianto di regolazione “leggera” (soft law) attraverso il quale le istituzioni europee coordinano l’azione degli Stati membri verso obiettivi comuni. A questo scopo, ogni anno la Commissione e il Consiglio elaborano il cosiddetto “pacchetto occupazione”, di cui fanno parte: gli Orientamenti per l’occupazione (linee guida per le politiche nazionali, proposte dalla Commissione e adottate dal Consiglio, che definiscono priorità e obiettivi comuni); i Programmi Nazionali di Riforma (relazioni nazionali presentate dai governi nazionali sulle rispettive politiche per l’occupazione, che vengono poi analizzate dalla Commissione); la Relazione Comune sull’occupazione (elaborata dalla Commissione, prende in esame la situazione del lavoro in Europa, l’attuazione degli orientamenti per l’occupazione e la valutazione dei singoli programmi nazionali di riforma da parte del comitato per l’occupazione).
Sebbene gli Orientamenti espressi nell’ambito della SEO siano
strumenti di soft law non vincolanti per gli Stati membri, la loro influenza sulle decisioni prese a livello nazionale è rafforzata dal collegamento tra SEO e strumenti di sostegno economico quali il Fondo Sociale Europeo32 ed il Fondo di sviluppo regionale, che ne assumono gli obiettivi.
Tuttavia, nonostante l’appello ad accompagnare riforme nel segno della flessibilità con maggiori livelli di sicurezza per i lavoratori fosse
32 Più specificamente, come sottolinea la stessa comunicazione del 2007, tutte le misure che rientrano negli orientamenti per l’occupazione (comprese quindi le politiche di flessicurezza) sono finanziabili dal Fondo Sociale Europeo, che nel periodo di programmazione 2007-2013 ha messo a disposizione degli Stati membri circa 70 miliardi di euro.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
presente già nei primi Orientamenti per l’occupazione del 1998, per molti anni i risultati riportati dagli Stati membri non sono stati soddisfacenti, soprattutto sul versante della sicurezza. Le indicazioni delle istituzioni europee per tutta la prima metà degli anni Duemila sono state, d’altra parte, contraddittorie: nel 2000 la Strategia di Lisbona fissava l’obiettivo di fare dell’Unione la più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010, raggiungendo un tasso medio di crescita economica del 3% circa, portando il tasso di occupazione al 70% ed il tasso di occupazione femminile al 60% in tutta Europa; l’agenda di Lisbona, che avrà una forte influenza sugli orientamenti emanati all’interno della SEO, punta ad una crescita contemporaneamente qualitativa e quantitativa dell’occupazione e fa degli investimenti in formazione un obiettivo prioritario33.
Nel 2003 il noto rapporto Kok 34 imprime però una svolta profondamente liberista all’azione comunitaria, indicando come prioritario l’obiettivo della competitività e della crescita economica, da raggiungere attraverso una progressiva deregolazione dei mercati del lavoro ed attraverso la moderazione salariale. Tre anni dopo, il Libro Verde della Commissione sulla modernizzazione del diritto del lavoro 35 propone la necessità di uno scambio tra protezione dell’occupazione e protezione del posto di lavoro.
Eppure, il Rapporto congiunto sull’occupazione del 2005/2006
33 L’agenda di Lisbona aveva un programma ambizioso ed una caratteristica peculiare, cioè il fatto che per la prima volta i temi della conoscenza venivano individuati come portanti, pur essendo un documento che spazia in tutti i campi della politica economica: innovazione e imprenditorialità, riforma del welfare e inclusione sociale, capitale umano e riqualificazione del lavoro, uguali opportunità per il lavoro femminile, liberalizzazione dei mercati del lavoro e dei prodotti, sviluppo sostenibile.
00 X. Xxx, X. Xxxx’Xxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxx, X. Xxxxxx, Jobs, jobs, jobs: creating more employment in Europe, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, 0000.
35 Commissione europea, Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo, COM(2006)708.
La strategia europea di flexicurity
sottolineava come gli Stati membri avessero mancato l’obiettivo di conciliare flessibilità e sicurezza, concentrandosi sulle riforme dei mercati del lavoro, senza impegnarsi a sufficienza nella predisposizione di politiche che favoriscano in modo attivo ed efficace le transizioni nel mercato del lavoro, né nella costruzione di sistemi affidabili ed innovativi di apprendimento permanente. Anche nei Rapporti congiunti successivi e fino agli anni più recenti, i moniti delle istituzioni europee ad un maggiore impegno sul versante della costruzione di schemi di protezione sociale più inclusivi e della costruzione di un sistema di apprendimento permanente si susseguono, trovando scarso riscontro nei programmi di riforma nazionali.
Probabilmente, ciò è dipeso proprio dall’ambiguità degli orientamenti comunitari, che ha impedito alla SEO di contribuire efficacemente all’affermazione dei principi della flexicurity ed al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di Lisbona, conducendo a strategie di riforma molto differenziate negli Stati membri. Solo alcuni di essi sono riusciti ad articolare strategie integrate, coerentemente con le proprie tradizioni istituzionali e di regolazione del mercato del lavoro, tra cui l’Austria e la Danimarca, che vengono citate anche nella comunicazione della Commissione del 2007 come esempio, insieme ad altri Stati membri che hanno attuato politiche coerenti con la strategia di flexicurity.
Box 1. Esempi di flexicurity: Danimarca
L’esempio danese è citato in riferimento alla ormai nota combinazione tra flessibilità in entrata ed in uscita, politiche attive e generosi schemi di protezione sociale. A questi elementi, a partire dalla fine degli anni ‘80, si sono aggiunti efficaci sistemi di attivazione per i disoccupati ed una particolare attenzione allo sviluppo delle competenze, attraverso ingenti investimenti sul versante del lifelong learning ed anche mediante un originale sistema di rotazione del lavoro, che ha consentito ai lavoratori di formarsi mentre dei disoccupati li sostituivano temporaneamente. Negli ultimi anni, inoltre, in questo paese si sono sperimentate forme inedite di cooperazione tra i servizi pubblici e privati per l’impiego, che hanno condotto ad ulteriore innalzamento della qualità dei
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
servizi, già molto alta se comparata alla media dei paesi europei, e ad una efficiente specializzazione tanto dell’attore pubblico quanto delle agenzie private.
Box 2. Esempi di flexicurity: Austria
Il sistema austriaco è stato tradizionalmente caratterizzato dalla combinazione tra un’elevata flessibilità del mercato del lavoro ed un livello medio-alto di indennità sociali, cui si affiancano efficaci politiche attive del mercato del lavoro e una forte fiducia nel partenariato sociale. La legislazione austriaca del lavoro è caratterizzata da un livello relativamente basso di protezione dell’occupazione, grazie a procedure di licenziamento agevoli, ma che non espongono i lavoratori al rischio di perdita del reddito, soprattutto dal 2003, allorché è entrato in vigore il nuovo sistema di indennità di licenziamento. Secondo il vecchio sistema l’indennità di licenziamento versata ai lavoratori in caso di licenziamento dipendeva dalla lunghezza del rapporto di lavoro presso la stessa azienda: i lavoratori, passando da un datore di lavoro all’altro, perdevano i diritti che avevano accumulato. Il nuovo sistema fa obbligo al datore di lavoro di versare un importo fisso mensile su un conto individuale intestato al lavoratore (Abfertigung Neu), garantendo la conservazione dei diritti
maturati ed eliminando gli effetti scoraggianti per la mobilità36. A ciò si affianca l’azione delle
fondazioni del lavoro (Arbeitsstiftungen), che si occupano del ri-collocamento in caso di licenziamento collettivo con interventi tempestivi, grazie all’azione congiunta di tutte le parti pubbliche e private interessate.
Al di là di questi casi esemplificativi, l’evoluzione delle politiche degli Stati membri verso un quadro coerente con l’orizzonte della flexicuity ha seguito percorsi diversi con risultati più o meno soddisfacenti37: nei paesi del Nord Europa (Danimarca, Svezia, Olanda, Finlandia) i livelli di flessibilità e sicurezza erano e sono rimasti comparativamente più alti che negli altri paesi europei, ma nel corso degli anni e soprattutto a seguito della crisi la sostenibilità dei sistemi di protezione sociale è stata messa in discussione.
36 Cfr. Austrian Reform Programme for Growth and Employment, in “National Reform Programmes”, Commission Employment Package 2006.
37 Cfr. T. Wilthagen, Flexicurity practices in Europe. Which way is up? Paper to be presented at ERA’s Annual Conference on European Labour Law 2012 - Trier, 22-23 March 2012.
La strategia europea di flexicurity
Nel Regno Unito ed in Irlanda la flessibilità dei mercati del lavoro è rimasta la componente principale ed i livelli di sicurezza per i lavoratori sono cresciuti modestamente, sebbene siano aumentati gli investimenti in formazione: l’inclusione dei gruppi sociali svantaggiati ed a rischio di povertà ed un accesso più equo alle opportunità di qualificazione rimangono, però, sfide aperte.
Nei Paesi dell’Europa continentale la flessibilità è stata declinata più nella sua variante interna, spingendo le imprese a rispondere alle fluttuazioni del mercato attraverso schemi di riduzione delle ore di lavoro (come in Germania) o di disoccupazione parziale (come in Belgio), o ancora attraverso la creazione di reti di imprese, coordinate da enti bilaterali, che condividono la responsabilità di garantire livelli occupazionali accettabili in territori caratterizzati da mercati del lavoro tesi.
I Paesi dell’Est europeo (sebbene limitatamente raggruppabili in un insieme omogeneo per caratteristiche ed orientamenti di policy) hanno complessivamente registrato scarse performance e sono in ritardo tanto sul versante della costruzione di sistemi di protezione sociale ampi ed inclusivi, quanto su quello delle politiche di lifelong learning.
Infine, i paesi dell’Europa meridionale, dopo aver attuato riforme in direzione dell’aumento dei livelli di flessibilità hanno raramente accolto gli inviti delle istituzioni europee a rendere più sicure le transizioni sul mercato dei lavoratori coinvolti in modalità di impiego temporanee. Hanno finito, così, per accrescere le disuguaglianze, senza risolvere il problema della segmentazione del mercato del lavoro. Anche la costruzione di sistemi efficaci di apprendimento permanente non si è ancora realizzata e sono rimasti bassi gli investimenti pubblici e privati in formazione.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
3. La flexicurity al tempo della crisi
L’impatto della crisi finanziaria globale sulla strategia europea di flexicurity è stato evidente: le gravissime conseguenze occupazionali della crisi si sono innestate su uno scenario già caratterizzato dal sostanziale fallimento della strategia di Lisbona su tutti gli assi prioritari, dalla riduzione della segmentazione dei mercati del lavoro, all’aumento del tasso di occupazione di giovani, donne ed anziani, alla crescita dei livelli di partecipazione degli adulti alla formazione continua.
A partire dal 2008 le istituzioni europee sembrano prendere atto di aver mancato gli obiettivi prefissati in materia di occupazione e invitano gli Stati membri a recuperare il significato profondo della strategia di flexicurity, facilitando le transizioni da un lavoro ad un altro e predisponendo misure di sostegno al reddito indispensabili per evitare la depressione dei consumi e l’instaurarsi di un circolo vizioso dannoso per l’intera economia. Sebbene a fronte della crisi molti Stati membri abbiano rafforzato i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione (livello delle prestazioni, durata e copertura) o le politiche attive del mercato del lavoro, le politiche volte a ridurre la segmentazione sono state insufficienti, il tasso di disoccupazione è aumentato in tutta Europa e la perdita di posti di lavoro dei lavoratori temporanei è stata di quasi quattro volte superiore a quella dei lavoratori permanenti. La crisi ha soprattutto dimostrato la difficoltà di attuare politiche realmente integrate.
Il 3 marzo 2010 la Commissione lancia Europa 202038, una strategia
integrata di crescita volta a superare la crisi ed a creare le condizioni per uno sviluppo economico più intelligente, sostenibile e inclusiva. La strategia Europa 2020 chiama gli Stati membri a raggiungere una serie di
38 Commissione europea, EUROPA 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(2010)2020.
La strategia europea di flexicurity
obiettivi in cinque aree strategiche39 e lancia sette iniziative specifiche, sostenute in alcuni casi da opportunità di finanziamento: tra queste “un’Agenda nuove competenze per nuovi lavori”40, che presenta una serie di azioni concrete intese a accelerare le riforme per migliorare la flessibilità e sicurezza del mercato del lavoro, dotando le persone delle qualifiche necessarie per le professioni di oggi e domani, migliorando la qualità degli impieghi e le condizioni di lavoro ed i presupposti per la creazione di posti di lavoro.
La parola d’ordine, dunque, è ancora flexicurity, ma in una prospettiva critica, di ripensamento delle scelte fatte nel passato e con un maggiore accento sul tema dell’aumento della qualità del lavoro e delle competenze per proteggersi dai rischi sul mercato. Si rafforza la raccomandazione a potenziare le politiche attive e gli strumenti di reinserimento occupazionale, ammodernando i servizi per l’impiego. Il sostegno alle transizioni nel mercato del lavoro e alla riduzione del disallineamento tra domanda ed offerta diventano i temi al centro della nuova agenda della flexicurity, insieme ad ambiziosi obiettivi sul versante della diffusione del lifelong learning.
Di particolare interesse ai fini di questa ricerca il report comparativo
tra gli Stati membri elaborato dalla Commissione nell’ambito della strategia Europa 2020, sulla qualità delle politiche attive e dei servizi per l’xxxxxxx00: lo studio mostra la correlazione tra bassi investimenti in servizi
39 I cinque obiettivi principali della strategia sono: 1) il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; 2) il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in R&S; 3) i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti (compreso un incremento del 30% della riduzione delle emissioni se le condizioni lo permettono); 4) il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve essere laureato; 5) 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.
40 Cfr. Commissione europea, Un’agenda per nuove competenze e per
l’occupazione: un contributo europeo verso la piena occupazione, COM(2010)682.
41 Cfr. Commissione europea (Europe 2020), Active Labour Market Policies, e
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
per il lavoro e alti tassi di disoccupazione, evidenziando le buone performance dei paesi che hanno saputo costruire e mantenere un buon equilibrio tra misure attive e passive (Danimarca, Belgio, Olanda, Austria, Lussemburgo). Con il prolungarsi della crisi economica, tuttavia, la spesa in servizi pubblici per l’impiego, aumentata progressivamente tra il 2007 ed il 2010, si è ridotta ed insieme ad essa la capacità degli apparati pubblici dei diversi Stati membri di far fonte alle crescenti richieste provenienti dai cittadini 42 . La personalizzazione degli interventi di assistenza e la professionalizzazione degli operatori appaiono cruciali, sebbene si scontrino con le difficoltà di investire in processi di riqualificazione dei servizi pubblici. A fronte di queste sfide, le istituzioni europee suggeriscono di mettere in campo tutte le azioni necessarie alla trasformazione dei servizi per l’impiego in agenzie in grado di gestire efficacemente le transizioni sul mercato del lavoro, inclusa la creazione di partnership con altri soggetti43.
In questa raccomandazione sembra cogliersi un riferimento, oltre che
a partnership tra i servizi pubblici di diversi Stati membri, anche alla collaborazione tra servizi pubblici e privati, peraltro già in passato caldeggiata all’interno degli orientamenti della Strategia Europea per l’Occupazione. Nella già citata “Agenda nuove competenze per nuovi lavori”, la Commissione afferma esplicitamente l’importanza che la
Employment Services, in xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxx0000/xxxxxx-xx-xxxxxx/xxx- areas/index_en.htm. La Strategia Europa 2020 è sostenuta da una costante azione di monitoraggio su più indicatori riferiti agli obiettivi prioritari d’azione: il prodotto di quest’azione sono una serie di Thematic summaries a livello comunitario (monitoraggi sulle key areas) e di rapporti specifici sui singoli Stati membri.
42 Commissione europea, PES Crisis response questionnaire - Executive Summary, 2012. Le crescenti difficoltà economiche dei servizi pubblici per l’impiego in diversi paesi europei sono documentate anche dall’European Job Mobility Laboratory on PES (DG Employment, Social Affairs and Inclusion), cfr. Applica/Ismeri, PES Adjustment to the Crisis, The European Job Mobility Laboratory, Ad Hoc Request, 2011.
43 Cfr. Guidelines for the Employment Policies of the Member States – Part II of the Europe 2020 Integrated Guidelines, Brussels 27 April 2010, COM(2010)193.
La strategia europea di flexicurity
creazione di network tra servizi pubblici e privati diventi “una routine” nei mercati del lavoro degli Stati membri, individuando i seguenti obiettivi:
«delivering services in skills assessment, profiling, training, individual career guidance and client counselling (workers and employers), matching people to job profiles and offering services to employers […] employment services should also promote partnerships between and among services (public, private and third sector employment services), education and training providers, NGOs and welfare institutions»44.
In questa più recente impostazione della Strategia europea di flexicurity sembra potersi individuare il significato profondo della famosa crasi, riassumibile nella raccomandazione a sostenere le transizioni dei lavoratori da un lavoro ad un altro sempre più frequenti nel mercato del lavoro, attraverso la costruzione di “reti di protezione” diversamente modulate nei vari contesti e compartecipate da tutti gli attori rilevanti.
Gli orientamenti più recenti delle istituzioni comunitarie prendono in parte le distanze dall’impostazione iniziale della strategia europea di flexicurity, in alcune fasi eccessivamente sbilanciata sul versante della flessibilità, ma poco attenta all’individuazione di strumenti concreti di contrasto alla precarietà. Come già evidenziato, essa ha prodotto negli anni risultati non sempre soddisfacenti, fino ad arrestarsi di fronte alle conseguenze della crisi economica, che ha esacerbato le tensioni sui mercati del lavoro europei ed aggravato gli squilibri già esistenti. Da ciò la raccomandazione ad accrescere ulteriormente i livelli di sicurezza, in particolare attraverso interventi in grado si sostenere i lavoratori che sperimentano percorsi instabili o sono ai margini del mercato del lavoro: da un lato, con una rinnovata attenzione ad adeguati investimenti in formazione continua; dall’altro, attraverso il governo delle transizioni sul
44 Cfr. Commissione europea, Un’agenda per nuove competenze e per l’occupazione: un contributo europeo verso la piena occupazione, COM(2010)682.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
mercato del lavoro, all’interno di reti estese di servizi pubblici e privati per la formazione e l’inserimento occupazionale.
La centralità di questi elementi per il perseguimento dell’obiettivo della flexicurity è bene esemplificata dal caso danese, che sarà descritto nel capitolo seguente, che metterà d’altra parte in luce anche una serie di condizioni istituzionali necessarie per la sostenibilità del modello, nonché le criticità evidenziatesi durante la crisi economica.
4. Il modello danese di flexicurity
Punto di riferimento tanto per le istituzioni comunitarie e l’Oecd, quanto per la letteratura scientifica, in quanto esempio di un modello di sviluppo in grado di conciliare efficienza, equità e giustizia sociale45, la Danimarca presenta l’indice di qualità della vita più alto nell’Unione Europea 46 e registra ottime performance sui più svariati indicatori di benessere individuale e sociale: dal worklife balance alla soddisfazione rispetto alle proprie condizioni di vita, dall’ottimismo riguardo al futuro alla qualità percepita della società, dalla fiducia nelle istituzioni alla soddisfazione nel lavoro, alla bontà del sistema formativo e si potrebbe continuare nell’elencare le dimensioni rispetto alle quali la Danimarca si colloca abbondantemente al di sopra della media degli altri paesi europei. L’efficienza del modello danese è ormai da tempo unanimemente ricondotta alla creazione di un apparato di servizi pubblici tra i più sviluppati e ben funzionanti al mondo: dalla sanità, all’istruzione, ai servizi per l’impiego, ai servizi di cura, con livelli di spesa pubblica in protezione
45 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Il sogno danese e i principi del learnfare, in X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, Welfare possibili, tra workafare e learnfare, Vita e Pensiero, Milano, 2008.
46 Cfr. Eurofound, How are you? Quality of life in Europe, Foundation Focus, Issue
n. 0, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
La strategia europea di flexicurity
sociale tra i più alti in Europa; questi risultati devono, d’altra parte, essere inseriti nel peculiare contesto territoriale e politico-istituzionale del paese.
Questo focus intende analizzare il sistema danese di flexicurity problematizzandone condizioni di funzionamento e risultati, cercando, cioè, di superare le tentazioni di imitazione per andare oltre l’immagine stereotipata di “paese più felice del mondo”. Questa immagine si è costruita soprattutto su indicatori quali la partecipazione al mercato del lavoro ed alla formazione continua: gli eccellenti risultati del sistema danese su questi versanti non sono discutibili, mentre oggetto di riflessione, allo stato attuale, sono le criticità del modello connesse a al suo funzionamento durante periodi di crisi economica.
4.1. Il contesto politico, sociale ed economico
4.1.1. Xxxxxx politico-istituzionale
La Danimarca ha un territorio di 43.000 km² ed una popolazione di poco più di 5 milioni e mezzo di abitanti, concentrati nelle aree urbane delle isole principali e del territorio peninsulare. Essa è una monarchia costituzionale con un sistema parlamentare unicamerale, il parlamento conta 179 membri, generalmente in carica per quattro anni ed espressione di meno di dieci partiti politici.
Rispetto ad altri paesi, la Danimarca si distingue per la sua struttura amministrativa altamente decentralizzata, che è stata definita la più importante premessa per la realizzazione del welfare state danese e si è tradizionalmente basata sulla convinzione che l’amministrazione comunale potesse operare in maniera più efficiente ed essere più vicina ai cittadini rimanendo di piccole dimensioni, mentre le contee dovevano essere sufficientemente grandi da garantire il buon funzionamento di ospedali,
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
strutture per l’istruzione e altri servizi pubblici su larga scala. A causa delle dimensioni ridotte, tuttavia, molte piccole amministrazioni comunali hanno, nel tempo, incontrato crescenti difficoltà a svolgere determinati compiti con la dovuta professionalità e la spesa media per abitante è cresciuta; parallelamente, le contee (autorità regionali) hanno incontrato problemi di coordinamento nelle aree territoriali con responsabilità condivise. Per far fronte a queste disfunzioni il livello locale di governo è stato estremamente semplificato dalla riforma del 2007 che ha istituito 5 regioni (raggruppando 14 contee) e ridotto le municipalità da 275 a 98.
Questi processi di riorganizzazione dell’apparato dell’amministrazione pubblica locale si sono accompagnati ad un processo di decentramento amministrativo e politico che ha riguardato soprattutto la regolazione del mercato del lavoro.
La devoluzione al livello locale di importanti funzioni e responsabilità nell’amministrazione del welfare, iniziata negli anni Settenta, ha ricevuto un nuovo impulso dalla riforma del mercato del lavoro del 1994: la riforma, volta a risolvere problemi di natura strutturale del mercato dl lavoro danese, ha avuto tra le principali caratteristiche proprio la decentralizzazione della politica esecutiva ai Consigli Regionali del Mercato del Lavoro, enti tripartiti cui è stato riconosciuto il potere di adattare le politiche e gli interventi alle condizioni e alle esigenze delle realtà locali.
Questo forte decentramento in materia di governo del mercato del lavoro non ha impedito, d’altra parte, che il coordinamento e la fissazione degli obiettivi di policy, nonché delle priorità di spesa, restassero fortemente centralizzati ed ampiamente influenzati dal confronto dei governi nazionali con le parti sociali. Il Parlamento danese delibera gli stanziamenti per le attività relative al mercato del lavoro, mentre il Ministero del lavoro e dell’occupazione predispone gli interventi legislativi in materia, con la consulenza del Consiglio Nazionale del Mercato del
La strategia europea di flexicurity
Lavoro, definendo anche una cornice d’azione per le misure da applicare a livello regionale. L’Autorità Nazionale per il Mercato del Lavoro (NLMA), la principale istituzione esecutiva del Ministero del lavoro e dell’occupazione, determina inoltre gli obiettivi nazionali e definisce gli indicatori di risultato per il governo regionale. A livello nazionale e regionale i rappresentanti delle parti sociali, le autorità delle contee e delle amministrazioni comunali fanno parte di consigli con funzioni consultive e concertano con le istanze di governo centrale e territoriale gli obiettivi da raggiungere47.
4.1.2. Tendenze demografiche e contesto sociale
Guardando alle principali tendenze demografiche, la Danimarca è uno dei paesi europei con i più alti tassi di fertilità, con 1,84 figli per donna a fronte di una media europea di 1,5548, risultato anch’esso riconducibile alla diffusione di servizi pubblici di cura per l’infanzia ed alle politiche di conciliazione. L’età media della popolazione danese è di circa 40 anni e più del 65% della popolazione totale è costituito da individui in età attiva, ma le proiezioni per i prossimi decenni segnalano un aumento progressivo dei cittadini con più di 65 anni di età: la popolazione sta invecchiando, grazie all’aumento delle aspettative di vita degli ultraottantenni, per compensare il quale occorrerebbe un incremento ulteriore del tasso di fertilità, fino a 2,08 figli per donna.
I principali indicatori di sviluppo sociale, utilizzati nelle indagini condotte dall’Eurofound e dall’Eurostat, descrivono un quadro estremamente positivo. La maggior parte dei cittadini danesi esprime
47 Cfr. Italia Lavoro, Danimarca: la riforma dei servizi per l’impiego, in Banca Dati del Lavoro online.
48 Cfr. S. Rolls, X. Xxxx (a cura di), Denmark. VET in Europe – Country Report 2010, Cedefop, 2010.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
elevati livelli di soddisfazione rispetto al sistema politico ed ai servizi pubblici; la percentuale di quanti percepiscono l’esistenza di tensioni tra lavoratori e management è limitata (intorno al 4%)49 e la Danimarca è tra i paesi che registrano le più basse percentuali di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale (18% della popolazione, a fronte di una media europea del 23% 50 ). Con riferimento all’istruzione, il 66% dei giovani tra i 15 ed i 24 anni è coinvolto in percorsi educativi, dieci punti percentuali in più rispetto a paesi come Italia e Francia51; il 30% della popolazione in età attiva ha ottenuto la licenza media inferiore, il 40% un diploma di scuola secondaria superiore, il 28% ha conseguito la laurea, dato, quest’ultimo in particolare, di molto superiore alla media europea (20%)52.
A fronte di questi indicatori di benessere, sono emersi, soprattutto negli ultimi anni, alcuni segnali di disagio che hanno fatto ipotizzare una riduzione del livello di coesione sociale nel paese: più del 30% dei cittadini danesi percepisce un’alta tensione tra gruppi di nazionalità o etnie diverse o di religioni diverse53, segno che l’intensificarsi dei flussi migratori sta incrinando un equilibrio che era probabilmente fondato sulla capacità delle istituzioni di controllare una popolazione piccola ed omogenea. Un interessante studio 54 segnala, inoltre, un incremento progressivo
49 Cfr. Eurofound, European Quality of Life Survey Mapping Tool: Perceived Quality of Society, xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxx/xxx/xxxx/xxxxxxx.xxx, 2007.
50 Cfr. Eurostat, Data Navigation Tree: People at-risk-of-poverty or social exclusion (%) of total population, 2010.
51 Cfr. Eurostat, Data Navigation Tree: Students aged 15-24 years(%) of corresponding age population, 2009.
52 Cfr. Eurostat, Data Navigation Tree: Persons with a given education attainment, by age and sex (%), 2010.
53 Cfr. Eurofound, European Quality of Life Survey Mapping Tool: Perceived Quality of Society, xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxx/0000/.
54 Cfr. H.E. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx Xxxx, Post-Industrial Society and its Expectations in the Danish Labour Market, Roskilde University, 2011, in xxxx://xxxxxx.xxx.xx/xxxxxx/0000/0000.
La strategia europea di flexicurity
dell’utilizzo di psicofarmaci, che viene collegato dai ricercatori alla continua esposizione dei cittadini danesi al “rischio” ed all’instabilità lavorativa, in assonanza con le note ricerche di Xxxxxxx, che già da tempo hanno ipotizzato un collegamento tra flessibilità del lavoro ed “erosione del carattere”55. Un ulteriore segnale di disagio sociale, infine, emerge se si guarda ai tassi di criminalità, cresciuti progressivamente dal 2000 al 2010: in particolare, nel “paese più felice del mondo” i crimini violenti hanno registrato un incremento del 47% in un decennio56.
4.1.3. Struttura e andamento dell’economia
Passando al quadro economico ed alla struttura produttiva del paese, l’economia danese è molto terziarizzata, circa il 77% dell’occupazione è concentrato nel settore dei servizi, in particolare nei servizi pubblici (che assorbono il 33% dell’occupazione complessiva, nove punti percentuali in più che nel resto dell’Unione Europea57), mentre i settori dell’industria e delle costruzioni sono sottodimensionati rispetto al resto d’Europa, così come il settore primario, la cui incidenza è ulteriormente ridotta dall’intensa industrializzazione delle attività agricole. Il paese dipende dunque fortemente dalle importazioni estere, i principali partners commerciali sono altri paesi europei (primo fra tutti la Germania), Stati Uniti e Cina. La struttura produttiva è caratterizzata dalla prevalenza di micro e piccole imprese, tanto nel settore manifatturiero, quanto nel commercio e nei servizi alle imprese, mentre le dimensioni aziendali
55 Cfr. X. Xxxxxx, L’uomo flessibile: le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Xxxx, 0000.
56 Cfr. Eurostat, Data Navigation Tree: Crimes and criminal justice, xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx.xxxxxx.xx/xxxxxx/xxxx/xxxxxx/xxxxx/xxxx/xxxxxxxx.
57 Cfr. S. Rolls, X. Xxxx (a cura di), Denmark. VET in Europe – Country Report 2010, Cedefop, 2010.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
crescono nel settore dei servizi sociali ed educativi, caratterizzati da una più significativa presenza di imprese di medie dimensioni, per via della loro concentrazione nel settore pubblico.
A partire dalla fine del 2007, l’economia danese ha registrato performance via via più deludenti, dopo un lungo periodo di crescita ininterrotta: le importazioni, le esportazioni ed i livelli di spesa privata hanno registrato un andamento negativo negli ultimi anni, soprattutto dopo il 2009. La crisi economica internazionale ha avuto pesanti conseguenze sull’economia danese: tra il secondo trimestre 2008 ed il secondo trimestre 2009 il PIL si è ridotto di 7,3 punti percentuali, a fronte di una media europea del 5,1%.
4.1.4. Occupazione, disoccupazione, lavoro atipico
A partire dal 1994 e fino a prima della crisi economica internazionale, l’andamento del mercato del lavoro danese è stato costantemente positivo, fino a raggiungere risultati occupazionali ampiamente al di sopra della media europea: l’occupazione è cresciuta stabilmente, la disoccupazione è progressivamente diminuita, la mobilità sul mercato del lavoro è aumentata.
Il “miracolo occupazionale” danese ha riguardato tanto gli uomini quanto le donne ed è stato caratterizzato dalla presenza di una lieve discriminazione per età, se si confrontano i tassi di occupazione e disoccupazione di donne, giovani ed anziani con quelli registrati nel resto di Europa (Tab.1).
La strategia europea di flexicurity
TAB. 1 – Tassi di attività, occupazione, disoccupazione per genere e per età (Danimarca, media EU, Italia 2010)
T.attività | T. | T. | T. | T. | T. disocc. | T. | T. | ||
occup. | occup. (F) | occup. (15-24) | occup. (55-64) | disocc. (F) | disocc. (15-24) | ||||
M | F | ||||||||
DK | 82,7 | 76,1 | 73,4 | 71,1 | 58,1 | 57,6 | 7,4 | 6,6 | 13,8 |
EU(27) | 77,6 | 64,4 | 64,1 | 58,2 | 34 | 46,3 | 9,7 | 9,6 | 21,1 |
IT | 73,3 | 51,1 | 56,9 | 46,1 | 20,5 | 36,6 | 8,4 | 9,7 | 27,8 |
Fonte: Eurostat (2010), European Labour Force Survey, nostra elaborazione
Per quanto riguarda, in particolare, la situazione delle donne nel mercato del lavoro, il dato senza dubbio più interessante riguarda il tasso di occupazione, ben 13 punti percentuali più alto che nel resto d’Europa ed addirittura 25 punti percentuali più alto che in Italia: le donne danesi sono generalmente più attive (il differenziale con il tasso di attività degli uomini è molto più basso che negli altri paesi) e meno spesso incorrono nel rischio di vedere frustrate le loro aspirazioni occupazionali.
Anche la distribuzione del rischio di disoccupazione per età, con particolare riferimento ai giovani con meno di 25 anni, fa emergere un quadro positivo. Solo il 13% dei giovani danesi è disoccupato, a fronte di una media europea del 21%, ed il vantaggio dei giovani danesi emerge anche paragonando la loro situazione a quella dei giovani tedeschi, generalmente definiti tra i meno discriminati sul mercato del lavoro in Europa: se il tasso di disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni in Germania è più basso (10%), i tassi di occupazione ribaltano la situazione poiché in Danimarca il 57,6% dei giovani nella stessa classe di età è occupato, a fronte del 46% in Germania. Con riferimento, inoltre, ad un’altra categoria tradizionalmente interessata da discriminazioni per età, cioè la classe 55-64, in Danimarca il tasso di occupazione degli over 55 è alto, pari a quello dei giovani nella classe d’età 15-24. Anche i differenziali
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
tra i tassi di occupazione degli individui con bassi livelli di istruzione e quelli dei più istruiti, infine, sono inferiori che nel resto di Europa, segno che il possesso di un basso livello d’istruzione è meno penalizzante che negli altri paesi58.
Sebbene siano peggiorati rispetto al quadro registrato da alcuni studiosi prima della crisi59, dunque, gli indicatori del mercato del lavoro danese registrano tutt’oggi risultati positivi, tanto in termini generali, quanto rispetto ai tradizionali vettori di discriminazione per genere, età e livello di istruzione, confermandone la fama di mercato del lavoro estremamente inclusivo. Questi risultati, d’altra parte, non sono solo il frutto di politiche del lavoro efficienti, ma sono stati ricondotti soprattutto a fattori legati alla particolare struttura economica del paese ed al modello di regolazione del mercato del lavoro. Sul primo versante, la sovra- terziarizzazione dell’economia danese ha comportato una crescita ad alta intensità occupazionale, in grado di coinvolgere anche le cosiddette “fasce deboli”; sul secondo, il mercato del lavoro danese è tra i più flessibili in Europa, grazie ad un modello di regolazione incentrato su alta flessibilità non solo in entrata, ma anche in uscita. In Danimarca, inoltre, l’impugnazione di licenziamenti ritenuti illegittimi avviene di fronte a collegi arbitrali specificamente competenti, che sono tradizionalmente orientati verso soluzioni di tipo risarcitorio, piuttosto che in direzione della reintegrazione nel posto di lavoro60.
In questo paese, un impiego dura in media quattro anni ed ogni lavoratore cambia posto di lavoro almeno cinque volte nel corso della sua
58 Cfr. Eurostat, Data Navigation Tree: Labour market indicators, xxxx://xxxxxx.xxxxxxxx.xx.xxxxxx.xx, 2010.
59 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Il sogno danese e i principi del learnfare, cit.
60 Cfr. Xxxxxxx Xxxxxxxx, I licenziamenti nei principali paesi dell’Unione Europea, consultabile online al sito xxxx://xxxxxx.xxxx.xx/xxxxxxxxx/Xxxxxxxxx.xxxx?XXXxXXXXXXXXX&XXXx0&XXx0000, 16 febbraio 2000.
La strategia europea di flexicurity
carriera. Il job turnover (media dei posti di lavoro creati e soppressi) è pari al 30% ed ogni anno circa il 25% dei lavoratori danesi perde il proprio lavoro61, ma senza rimanere a lungo nello stato di disoccupato, poiché è altrettanto facile reinserirsi, da soli o attraverso la partecipazione a programmi di attivazione. Bisogna sottolineare, d’altra parte, come la mobilità job to job e la robusta rete di sostegno in caso di disoccupazione, a lungo indicati come fattori in grado di influire positivamente sui tassi di disoccupazione, mantenendoli bassi, non siano stati sufficienti a fronteggiare le conseguenze occupazionali della crisi economica a partire dalla fine del 2007: il tasso di disoccupazione, infatti, è più che raddoppiato dal 2008 al 2010.
I bassi vincoli al licenziamento hanno inciso anche sulla diffusione del lavoro temporaneo, inferiore rispetto alla media europea (solo l’8,9 % a fronte di una media UE del 13,9%) e del lavoro atipico più in generale. L’incidenza del lavoro temporaneo si è addirittura ridotta dal 2000 al 2010, passando dal 9,2% all’8,9%62, in controtendenza rispetto agli altri paesi europei. Il part-time, al contrario, presenta un alto livello di diffusione (22% dell’occupazione totale), soprattutto tra le donne, considerato che il 31% delle donne danesi ha un impiego part-time63, sebbene sia meno diffuso che in altri paesi (come Olanda e Germania), probabilmente perché la prevalente occupazione delle donne nei servizi pubblici, con orari ridotti rispetto al privato, e le politiche di conciliazione rendono meno necessario il ricorso a forme contrattuali ad orari ridotti, che, d’altra parte, in alcuni paesi hanno dimostrato di essere penalizzanti per le donne in termini di reddito ed avanzamento di carriera.
Il lavoro tramite agenzia non è molto diffuso in Danimarca, sebbene
61 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Il sogno danese e i principi del learnfare, cit.
62 Cfr. Statistics Denmark, Employees by permanency of the job, in
xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx, 2011.
63 Cfr. Eurostat, Data Navigation Tree: Labour market indicators, 2010.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
nel corso degli anni 2000 si sia passati da una percentuale di lavoratori in somministrazione pari allo 0,2% dell’occupazione totale ad una percentuale più vicina agli altri paesi europei (circa l’1%)64.
4.1.5. I livelli di partecipazione alla formazione continua
L’inclusività del modello danese si gioca sulla combinazione tra mobilità sul mercato del lavoro e politiche attive, in particolare sul trade off tra sicurezza occupazionale ed occupabilità, assicurato da un’ampia rete di servizi educativi e formativi. La Danimarca presenta, infatti, i più alti livelli di partecipazione degli adulti ad attività di formazione continua. Tutte le principali indagini europee sulla formazione continua collocano questo paese tra i best performers, registrando risultati non paragonabili alla maggior parte dei paesi europei su molteplici indicatori (Figg. 1 e 2). I risultati della Labour Force Survey (Fig. 1), che registrano la percentuale di adulti che ha partecipato ad un intervento di formazione continua nelle ultime quattro settimane, collocano la Danimarca al primo posto della classifica europea, ma anche guardando ad altre indagini che fanno riferimento ad arco temporale più esteso (come la Adult Education Survey, che si riferisce ai 12 mesi precedenti la rilevazione) il tasso di partecipazione dei cittadini danesi alla formazione continua è tra i più alti in Europa.
64 Cfr. E.J. Xxxx, X. Xxxxxxx, Looking beyond the bridge: How temporary agency employment affects labor market outcomes, IZA Discussion Paper n. 4973, 2010.
La strategia europea di flexicurity
35
30
25
20
15
10
5
0
1,4
1,5
2,9
3,1
3,3
4,7
4,9
5,3
6,2
6,3
6,8
6,8
7,1
7,3
7,8
7,9
8,5
8,5
9,5
9,8
10,4
13,2
13,9
17
19,9
23,1
30,2
Fig. 1 – Partecipazione degli adulti (25-64) ad attività educative e formative in Europa (%sul totale della popolazione) 2008
Bulgaria Romania Greece Hungary Slovakia Poland Lithuania Portugal
Malta Italy Belgium Latvia Ireland France
Czech Republic
Germany Cyprus
Luxembourg EU (27 countries)
Estonia Spain Austria Slovenia Netherlands
United Kingdom
Finland Denmark
Fonte: Eurostat, EU Labour Force Survey (nostra elaborazione)
Il quadro non cambia se si guarda ai comportamenti formativi delle imprese e, dunque, alla sola componente degli occupati, poiché la Danimarca è il paese con la più alta percentuale di imprese che hanno erogato formazione per i propri lavoratori nei 12 mesi precedenti. Bisogna sottolineare, tuttavia, come si faccia qui riferimento ad ogni attività formativa a prescindere dal canale di finanziamento, poiché se si guarda alla formazione continua finanziata dalle aziende la Danimarca si colloca più indietro, vicina a paesi come la Francia, segno dell’incidenza dei finanziamenti pubblici sulla partecipazione dei lavoratori alla formazione continua.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
% imprese formatrici
100
80
60
40
20
0
19
21
24
26
27
28
30
31
32
34
38
38
47
48
49
54
55
56
61
62
63
67
67
70
70
71
72
81
Fig. 2 – Imprese che erogano attività (corsi o altre forme) di formazione continua (%) 2005
Greece Bulgaria Poland Lithuania
Italy Romania
Latvia Malta Portugal Hungary Spain Slovakia Cyprus Belgium EU (27)
Germany Ireland Estonia Luxembourg
Slovenia
Cze Rep Austria
UK
Netherlands
Finland France Sweden Denmark
Fonte: Eurostat, Continuing Vocational Training Survey (nostra elaborazione)
Anche sul versante dell’accesso alle opportunità formative, inoltre, si evidenziano bassi livelli di discriminazione di genere, anzi, sembra si possa parlare di una discriminazione “alla rovescia” poiché le donne partecipano alla formazione continua più degli uomini (Fig. 3). In realtà, un livello di partecipazione delle donne alla formazione continua pari o superiore a quello degli uomini può avere diversi significati. Sebbene i paesi in cui le donne partecipano alla formazione molto di più degli uomini siano generalmente tra i best performers in quanto a tassi generali di partecipazione al lavoro ed al lifelong learning (segno di una maggiore capacità di creare occasioni di lavoro e di formazione per tutti), anche nei paesi che presentano alti indici di discriminazione delle donne sul mercato del lavoro65, infatti, può registrarsi una forte partecipazione delle donne alla formazione continua, che ha, però, un carattere difensivo più che
65 Cfr. X. Xxxxxxx, Sociologia del mercato del lavoro, Vol. I, Il Mulino, Bologna,
2011.
La strategia europea di flexicurity
promozionale (come invece nel primo gruppo di paesi), poiché riguarda soprattutto le disoccupate.
Fig. 3 – Partecipazione degli adulti (25-64) alle attività formative per genere (% popolazione totale) 2009
39,3
45
35,5
40
26,9
25,8
16,6 23,2
35
25
30
17,2
16,8
19,3
25
12,6
11,3
14,2
12,2
1215,4
,5
20
10,4
8,7
7,2
7,9
7,7
7,8
8
6,6
6 8,1
9,5
7,6
6,9
6,6
8,9
8,1
4,3 9
9,5
7,6
15 FEMALES
6,4
1,5
1,3
3,1
2,8
6,1
3, 6,1
7
3,5
2,7
6,2
6,1
5,2
4,2
5,6
5
1,6
1,3
4
2,6
10 MALES
5
EU
Belgium Bulgaria Czech Rep Denmark Germany Estonia Ireland Greece Spain France
Italy Cyprus Latvia Lithuania Luxembourg
Hungary
Malta Netherlands
Austria Poland Portugal Romania Slovenia Slovakia Finland Sw eden
UK
0
Fonte: Eurostat, Labour Force Survey (nostra elaborazione)
Fig. 4 – Partecipazione delle donne (25-64) alle attività formative per status
occupazionale (% popolazione totale) 2009
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
EU
Bulgaria
Denmark
Estonia
Greece
France
Cyprus
Lithuania
Hungary
Netherlands
Poland
Romania
Slovakia
Sw eden
0,0
employed unemployed inactive
Fonte: Eurostat, Labour Force Survey (nostra elaborazione)
In Danimarca, al contrario, come si evince dalla Fig.4, non si rilevano grandi differenze tra occupate, disoccupate ed inattive nel tasso di
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
partecipazione alla formazione continua, segno che questa partecipazione non è dovuta ad una debolezza sul mercato del lavoro, ma riguarda tutte le donne, coerentemente con gli alti tassi di attività e di occupazione femminili. Lo stesso discorso può farsi in relazione agli altri vettori di discriminazione e si può dunque affermare che, considerati i loro tassi di occupazione, gli alti livelli di partecipazione alla formazione continua di giovani ed anziani sono interpretabili come segnale di forza e non di debolezza sul mercato del lavoro.
Queste considerazioni servono a sottolineare come le buone performance del sistema danese in tema di partecipazione alla formazione continua non siano legate solo al sovradimensionamento delle politiche attive e dei programmi formativi ad esse connessi, ma più in generale alla diffusione di una “cultura della formazione” tanto come fattore di protezione sul mercato, quanto di sviluppo e promozione individuale.
Il quadro della partecipazione dei lavoratori alle attività di formazione continua dovrebbe completarsi con l’analisi dei modelli di partecipazione dei lavoratori atipici, che è resa, tuttavia, problematica dalla carenza di dati e studi approfonditi su questo argomento. Le principali fonti statistiche sulla formazione continua si limitano, il più delle volte, a distinguere tra lavoratori permanenti e temporanei, ma in alcuni casi anche i pochi dati disponibili risultano non significativi per via della bassa numerosità dei gruppi di lavoratori coinvolti in determinate tipologie contrattuali (è il caso del lavoro tramite agenzia in Danimarca).
La strategia europea di flexicurity
Fig. 5 – Rilevazione dei fabbisogni formativi di lavoratori permanenti e temporanei da parte delle imprese in Europa (2008)
Fonte: European Company Survey, elaborazione EC-DG EMPL (2010)
Tra le poche fonti disponibili per la Danimarca, l’European Company Survey riporta informazioni sui comportamenti delle imprese in relazione all’analisi dei fabbisogni formativi della componente permanente della forza lavoro, confrontandoli con quelli relativi alla forza lavoro temporanea, evidenziando una minore attenzione delle imprese ai bisogni formativi della componente temporanea della forza lavoro.
4.2. Il modello danese di flexicurity: flessibilità, protezione del reddito e politiche attive
4.2.1. Il “triangolo d’oro” danese
Come è stato evidenziato attraverso la descrizione dei principali indicatori del mercato del lavoro danese, in questo paese la diffusione del lavoro temporaneo è alquanto ridotta, per via dei bassi costi di licenziamento previsti per i contratti di lavoro standard a tempo indeterminato. Sulla base di questo dato, bisogna dunque sottolineare come il dibattito sulla flexicurity (nell’accezione europea del termine),
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
nell’individuare nel caso danese un esempio da seguire, trascuri spesso la specificità del modello, che si bassa proprio sull’aver reso “flessibile”, mantenendolo “sicuro”, il lavoro standard. Ciononostante, il confronto con il modello danese di flexicurity è importante per due ragioni: in primo luogo, perché la crescente diffusione di alcune tipologie di lavoro atipico, tra cui il lavoro tramite agenzia, sollecita una riflessione sull’integrazione di queste forme contrattuali all’interno del modello generale di flexicurity danese; in secondo luogo, perché il sistema costruito in Danimarca, pur se con riferimento al lavoro standard, offre un ottimo esempio di come accompagnare la mobilità nel mercato del lavoro attraverso misure formative e di sostegno economico, dunque è ricco di spunti per l’individuazione di politiche atte a sostenere i lavoratori nella discontinuità lavorativa (tanto quella derivante da molteplici interruzioni di contratti stabili, quanto quella dovuta alla successione di contratti temporanei).
Il modello danese della flexicurity è ormai da tempo rappresentato
attraverso l’immagine del c.d. triangolo d’oro 66 (golden triangle), in riferimento alla combinazione di tre elementi che descriveremo di seguito: alta flessibilità del mercato del lavoro; generosi schemi di protezione del reddito in caso di disoccupazione; ampie ed efficaci politiche attive.
4.2.2. La flessibilità del mercato del lavoro
Sul primo versante, come già anticipato, il mercato del lavoro danese è caratterizzato da un’ampia flessibilità tanto numerica, quanto funzionale: la facilità con cui le imprese assumono e licenziano non deve essere, però, interpretata in termini di laissez faire, cioè di de-regolazione estrema, ma
66 Cfr. P.K. Xxxxxx, Employment protection and labour market policies. Trade off and complementaries: the case of Denmark, Employment papers, n. 00, XXX, Xxxxxx, 0000.
La strategia europea di flexicurity
si realizza in un quadro caratterizzato dal continuo confronto tra Stato, imprese e sindacati, tanto da spingere alcuni commentatori a parlare di flessibilità negoziata67.
Le regole per i licenziamenti cambiano a seconda del profilo professionale e dell’anzianità di servizio: per gli impiegati, vige una regola generale per cui il licenziamento deve essere preceduto da un periodo di preavviso variabile a seconda degli anni di servizio e, nel caso di impiegati con un’anzianità di servizio superiore a 12 anni, il datore di lavoro deve al lavoratore licenziato una liquidazione (pari ad un numero di mensilità variabile, da uno a tre, a seconda degli anni di servizio, misura che può essere comunque oggetto di contrattazione tra le parti); nel caso degli operai, in linea di massima non ci sono vincoli al licenziamento, se non un periodo di preavviso che può variare da zero ad un massimo di cinque settimane, ma non esistono regole generali, in quanto queste vengono stabilite dalla contrattazione collettiva68.
Le associazioni di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, dunque, contrattano e controllano i dispositivi ed i livelli di flessibilità, esercitando una fortissima influenza sulla regolazione del mercato del lavoro: non a caso, la Danimarca è uno dei paesi con i più alti tassi di sindacalizzazione in Europa (77%), processo senza dubbio favorito dal sistema di assicurazione per la protezione dal rischio di disoccupazione, che descriveremo meglio più avanti, che prevede che siano i sindacati a gestire i fondi ed assicura l’accesso automatico alle prestazioni agli iscritti al sindacato.
67 Cfr. X. Xxxxxx, Modelli di capitalismo: le risposte europee alla sfida della globalizzazione, Laterza, Xxxx, 0000.
68 Cfr. M.T. Xxxxxxxx, A flexicurity labour market in the great recession – the case of Denmark, Paper prepared for CPB‐ROA conference on flexibility of the labour market, Den Xxxx, January 2011.
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4.2.3. Gli schemi di protezione del reddito per i disoccupati
Passando al secondo elemento del “triangolo d’oro”, cioè gli schemi di protezione del reddito in caso di disoccupazione, il sistema danese è stato tradizionalmente classificato tra i più estesi e generosi in Europa: a partire dal 2008, tuttavia, l’incidenza sul PIL della spesa per i sussidi di disoccupazione si è ridotta, sebbene sia in linea con la media europea (1,3%), a fronte di una incidenza complessiva della spesa per politiche del mercato del lavoro sul PIL del 3,2% (anch’essa ridottasi negli ultimi anni, ma superiore, in questo caso, alla media europea del 2,2%)69. Guardando alla distribuzione della spesa in politiche per il mercato del lavoro tra misure (formazione, job rotation, incentivi all’occupazione, ecc.), servizi (servizi per l’impiego) e supporto economico (sussidi di disoccupazione, pensionamento anticipato), si nota come, d’altra parte, i maggiori sforzi continuino a concentrarsi sull’ultima categoria, che complessivamente rappresenta circa l’1,7% del PIL, mentre l’incidenza delle prime due voci di spesa sul PIL è rispettivamente dell’1,4% (misure) e dello 0,31% (servizi).
Il sistema di sostegno al reddito per i disoccupati è articolato in tre pilastri. Quello assicurativo è gestito dai sindacati: i fondi di assicurazione sono, dunque, privati, sebbene co-finanziati dallo Stato con risorse pubbliche; quello assistenziale dedicato è finanziato tramite la fiscalità generale e versa prestazioni a somma fissa, rivolte esclusivamente alle famiglie; quello assistenziale generale, anch’esso finanziato per via fiscale, riguarda le persone in stato di indigenza ed escluse da altre forme di assicurazione. I tassi di rimpiazzo per il pilastro assicurativo (che copre circa il 77% della forza lavoro) possono arrivare fino al 90% dell’ultima retribuzione percepita e la durata del sussidio, che prima poteva arrivare
69 Cfr. Eurostat, Labour Market Policies Expenditure, xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx_xxxxxxxxx/xxxxx.xxx/Xxxxxx_xxxxxx_xxxxxx_x xpenditure, 2010.
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fino a 4 anni, è stata ridotta a due anni a partire dal 2011. Tuttavia, mentre durante il primo anno il sussidio non è condizionato a particolari impegni del beneficiario, a partire dal secondo anno egli è tenuto ad assolvere ad obblighi stringenti (periodo di attivazione): in particolare, il beneficiario non può rifiutare offerte congrue di lavoro e di formazione che vengono proposte regolarmente dai servizi per l’impiego.
4.2.4. Le politiche attive del lavoro
Infine, il pilastro attorno a cui ruota l’intero sistema di flexicurity danese è quello delle politiche attive, cioè l’insieme delle azioni e delle misure finalizzate a intervenire sulle possibili cause di disoccupazione, attraverso il concorso attivo della persona disoccupata: la Fig. 6 riporta la spesa in politiche attive della Danimarca, confrontandola con quella di altri paesi europei.
Fino al 2007 in Danimarca la spesa è stata distribuita uniformemente tra tre tipologie principali di politica attiva (formazione, incentivi all’impiego, integrazione dei soggetti svantaggiati)70, al contrario di quanto accada negli altri paesi europei, dove la maggior parte delle risorse va tradizionalmente alla formazione (soprattutto nel Regno Unito) ma, nonostante ciò, il sistema danese ha sempre registrato, come evidenziato nel paragrafo precedente, le migliori performances in relazione ai tassi di partecipazione alla formazione.
70 Cfr. X. Xxxx, Politiche del lavoro e servizi di attivazione: scenario europeo e approfondimenti nazionali, in X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, Welfare possibili, tra workafare e learnfare, cit.
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Fig. 6 – Spesa in politiche attive in Danimarca, Francia, Italia e Regno Unito come quota del PIL
1,6
1,4
1,2
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
Danimarca Francia Italia Regno Unito EU(15)
Fonte: Eurostat 2009 (nostra elaborazione)
Negli ultimi anni, l’allocazione della spesa tra le diverse tipologie è mutata sensibilmente, con uno spostamento di risorse verso le misure di integrazione di lavoratori svantaggiati, segnalando il peso avuto dalla crisi economica sull’equilibrio del modello danese di welfare.
TAB. 2 – Ripartizione percentuale dell’investimento in politiche attive per paese, anno e categoria
Danimarca | Francia | Italia | Regno Unito | |
Formazione | 25,4 | 50 | 47 | 36 |
Job rotation e job sharing | 0,1 | 0 | 0,7 | 0 |
Incentivi all’impiego | 16,3 | 13,2 | 44 | 32 |
Integrazione lavoratori svantaggiati | 58,1 | 40,4 | 0 | 21,6 |
Job creation | 0 | 21,2 | 1,8 | 9,8 |
Incentivi allo start-up | 0 | 5,36 | 6 | 0 |
Fonte: Eurostat, 2009 (nostra elaborazione)
Sebbene l’impegno sul versante delle politiche formative si sia
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ridimensionato negli anni più recenti, esse costituiscono il fulcro del sistema danese di attivazione, poiché la condizionalità dei generosi schemi di sostegno al reddito si basa sulla capacità dello Stato di offrire opportunità di qualificazione e ri-qualificazione a tutti i cittadini, in particolar modo a quanti rischiano l’esclusione dal mercato del lavoro. Il sistema formativo danese è tra i più “aperti” in Europa71, nel senso che oltre ad offrire opportunità educative in strutture pubbliche per tutti i giovani nell’età dell’obbligo, consente anche agli adulti ed in generale a chiunque voglia completare il proprio percorso di istruzione il “rientro a scuola”, attraverso percorsi ad hoc studiati sulla base delle esigenze dei territori ed impartiti negli istituti di istruzione superiore o professionali.
Accanto alle possibilità nell’ambito dell’adult education, la formazione continua dei lavoratori occupati e disoccupati prevede diverse tipologie di corsi sia personalizzati, che gestiti dalle imprese: una specificità del sistema danese è, tuttavia, la personalizzazione degli strumenti di accesso alla formazione continua, poiché quasi l’80% delle risorse è utilizzato per sostenere direttamente gli individui, attraverso la copertura dei costi della formazione o il finanziamento di congedi retribuiti, mentre un’esigua parte viene gestita dalle imprese, nell’ottica della formazione come diritto soggettivo e non solo come strumento di competitività aziendale. Il sistema di lifelong learning è a tal punto sviluppato in questo paese che alcuni commentatori72 hanno utilizzato l’espressione learnfare per indicare il welfare danese, proprio per sottolineare la centralità della formazione.
Il sistema di formazione continua è gestito da una Fondazione tripartita, finanziata attraverso la contribuzione obbligatoria delle imprese (l’8% della massa salariale). A ciò bisogna aggiungere che le imprese possono aderire volontariamente a Fondi bilaterali di settore per la
71 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Il sogno danese e i principi del learnfare, cit.
72 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Il sogno danese e i principi del learnfare, cit.
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formazione, che hanno lo scopo di coprire la domanda di formazione non soddisfatta dal sistema pubblico. Bisogna sottolineare come le strategie di sviluppo del lifelong learning costituiscano un asse portante del sistema danese di politiche sociali da prima che si diffondesse una forte enfasi sulla formazione a livello europeo, poiché la formazione lungo tutto il corso della vita ha da sempre rappresentato, in questo paese, uno strumento di integrazione lavorativa, ma più in generale di cittadinanza attiva e di partecipazione alla vita sociale. Negli ultimi anni, d’altra parte, proprio la formazione per l’accesso al lavoro dei disoccupati, che ha reso famoso il sistema danese, è stata messa in secondo piano, mentre è stato ribadito l’apprendimento permanente come diritto individuale di tutti i cittadini, in chiave di empowerment individuale e partecipazione attiva.
Di particolare interesse appare, infine, anche perché costituisce un utile riferimento rispetto alle possibilità di interazione tra misure di politica attiva e diffusione del lavoro temporaneo, l’esperimento della job rotation, che prevede che i lavoratori in congedo formativo siano sostituiti da disoccupati assunti con contratti temporanei, in modo che il diritto alla formazione dei primi si traduca nel diritto all’occupazione dei secondi. I datori di lavoro che optano per la job rotation ottengono benefici fiscali, mentre i disoccupati coinvolti nei programmi non solo ottengono un’occasione di lavoro, ma anche una formazione specifica per la posizione che ricopriranno (job-training): questa formazione specifica ne accresce l’occupabilità tanto sul mercato, quanto nella stessa azienda in cui si è svolto il programma.
4.2.5. Il ruolo dei servizi per l’impiego e di cura
Il sistema danese di flexicurity è strettamente radicato nel suo
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contesto istituzionale, sociale ed economico e quindi dipenda non solo dai dati di contesto presentati nei paragrafi iniziali, ma anche dall’esistenza di un apparato di servizi pubblici efficiente, tanto sul versante dei servizi di cura (cruciali per l’attivazione sul mercato delle persone con responsabilità familiari), quanto, soprattutto, su quello dei servizi pubblici per l’impiego. L’efficienza e la capillarità dei servizi per l’impiego (decentrati, dal 2007, a livello municipale) rappresentano una condizione indispensabile per il funzionamento del “triangolo d’oro”, poiché essi sono cruciali tanto sul versante del controllo e della distribuzione delle risorse per il sostegno al reddito, quanto su quello dell’implementazione delle politiche attive e con la loro azione rendono “trasparente” il mercato del lavoro favorendo la flessibilità. All’efficienza del sistema pubblico di servizi per l’impiego è stata ricondotta anche la scarsa diffusione delle agenzie di lavoro interinale, sebbene di recente lo scenario sia cambiato e, come argomenteremo più avanti, si profilino oggi nuove possibilità di integrazione tra pubblico e privato nel campo dei servizi di intermediazione di manodopera e delle politiche attive.
4.3. Il “triangolo d’oro” ai tempi della crisi
4.3.1. La sfida della crisi e le risposte istituzionali
La recente crisi internazionale ha avuto un forte impatto sul mercato del lavoro danese: in presenza di bassi costi di licenziamento, a fronte di un calo improvviso della domanda le imprese hanno reagito riducendo il volume della forza lavoro, con il risultato che in pochi anni il tasso di disoccupazione in Danimarca si è più che raddoppiato (dal 3,3% nel 2008 al 7,6% nel 2011), sebbene rimanga comparativamente basso rispetto al
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resto di Europa; mentre il tasso di occupazione, tra il 2008 e il 2011, si è ridotto del 4,8 punti percentuali, a fronte di una media europea di 1,5 punti.
Ciò su cui è importante riflettere, tuttavia, non è tanto l’effetto della crisi economica sulle performance occupazionali, ma sono, piuttosto, le implicazioni sul modello danese di flexicurity, tentando di comprendere se esso abbia dato prova di saper resistere ad uno shock economico di tale portata e se sia in grado di riportare il paese alla situazione di equilibrio precedente, ora che si trova a fronteggiare livelli molto più alti di disoccupazione.
Come prevedibile, considerato il contesto istituzionale e le tradizioni regolative del paese, la crisi è stata affrontata da subito favorendo la stabilizzazione della domanda ed il mantenimento dei livelli di consumo, attraverso una politica fiscale espansiva, la riduzione delle tasse e numerose iniziative di sostegno alla ricerca, alla formazione ed alla imprenditorialità. A partire dal 2010, tuttavia, questa ricetta è parzialmente mutata, aderendo alle strategie adottate in altri paesi europei ed ispirate da uno scarso ottimismo rispetto alle possibilità di ripresa che ha spinto ad optare per politiche economiche più restrittive 73 . Sul versante degli interventi riguardanti il mercato del lavoro, a seguito della crisi si è assistito ad un intensificarsi dell’azione delle parti sociali sul versante della negoziazione dei livelli occupazionali e dell’individuazione di percorsi di fuoriuscita dalle imprese della forza lavoro eccedente il più possibile concertati; allo stesso tempo, l’impianto delle politiche del lavoro è rimasto sostanzialmente immutato, sebbene ci siano stati dei cambiamenti nella distribuzione delle risorse tra diverse tipologie di intervento e siano state predisposte misure di attivazione più stringenti per alcune categorie
73 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Danish »Flexicurity« in Crisis –Or Just Stress-tested by the Crisis?, International Policy Analysis, Xxxxxxxxx Xxxxx Stiftung, Berlin, 2011.
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sociali.
4.3.2. Le conseguenze occupazionali della crisi in Danimarca
Prima della crisi, la Danimarca registrava un basso livello di disoccupazione con un tasso del 3,1% nel secondo trimestre 200874. Nel corso della crisi, si è trovata a fronteggiare un deciso peggioramento della situazione occupazionale. Nonostante abbia raggiunto nel secondo trimestre 2010 un tasso di disoccupazione del 7,5%, comunque inferiore alla media europea (9,7%), tale valore è più che raddoppiato nell’arco di due anni, mantenendosi su questi livelli anche nel corso del 2011. Il peggioramento del mercato del lavoro danese è confermato anche dall’andamento del tasso di occupazione. Dal secondo trimestre 2008 allo stesso periodo del 2010 ha subito una riduzione di 4,2 punti percentuali, passando dal 78,3% al 74,1%, facendo perdere, in tal modo, alla Danimarca il primato dell’occupazione in Europa, superata dai Paesi Passi. Tale andamento negativo si è rafforzato nel corso del 2011, arrivando a segnare nel secondo trimestre un ulteriore -0,6 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, portando così la Danimarca al terzo posto nella classifica dei livelli occupazionali, superata anche dalla Svezia.
Un effetto della crisi sul modello danese di occupazione è stato, inoltre, la messa in discussione del primato “egualitario” nell’accesso alle opportunità di lavoro da parte delle differenti classi di età, con il profilarsi di una discriminazione nei confronti dei giovani, sebbene più contenuta rispetto a quanto sia avvenuto negli altri paesi europei.
La crisi ha inoltre colpito più duramente i lavoratori meno qualificati, invertendo un altro indicatore di discriminazione, quello per livello d’istruzione, tradizionalmente basso in Danimarca. A fronte di questi effetti
74 Dati Eurostat.
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preoccupanti, ma comparativamente meno allarmanti che nel resto di Europa, il governo danese ha optato per un mantenimento del sistema complessivo di politiche del lavoro, con aggiustamenti al margine in termini di interventi specifici per i gruppi più penalizzati.
4.3.3. L’impatto della crisi sul sistema danese di flexicurity
Il forte incremento della disoccupazione è diretta conseguenza degli aspetti caratterizzanti il modello sociale applicato. Infatti, come noto, l’approccio danese privilegia la flessibilità in uscita, compensata da generosi ammortizzatori sociali, piuttosto che la protezione del posto di lavoro. In condizioni economiche di stabilità o di crescita, gli efficienti servizi per l’impiego e il sistema della formazione garantiscono un veloce rientro nel mercato. In una congiuntura negativa, dove la domanda è bassa, più complesso è il reinserimento nel mercato, determinando pertanto un incremento dei livelli di disoccupazione.
Tuttavia, la disoccupazione ha continuato ad essere di breve periodo, infatti l’80% dei disoccupati, nel momento centrale della crisi (il 2009), ha trovato un nuovo lavoro entro 26 settimane.
L’analisi di Xxxxxxxx 75 mostra come non ci sia una correlazione positiva tra alta spesa in sostegno al reddito per i disoccupati e persistenza del fenomeno della disoccupazione: l’aumento improvviso del tasso di disoccupazione non ha, infatti, costituito uno shock in termini di sostenibilità economica per il sistema danese, nonostante il numero dei partecipanti ai programmi di sostegno si sia triplicato, poiché la durata della disoccupazione non si è allungata.
75 Cfr. M.T. Xxxxxxxx, A flexicurity labour market in the great recession – the case of Denmark, cit.
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È opinione diffusa che ciò sia legato proprio all’esistenza di una rete efficiente di misure di attivazione, poiché esse, da un lato, sostengono la ricerca di lavoro con interventi di ri-qualificazione, dall’altro sollecitano il reinserimento, poiché i benefici economici sono condizionati al comportamento attivo del disoccupato. Le politiche di attivazione, d’altra parte, sono state progressivamente riformate nella direzione di rendere più stringenti i requisiti di accesso ai benefici, riducendo il numero di programmi individuali di politica attiva, dando priorità all’orientamento ed al job placement rispetto alla formazione, riducendo i tempi di attivazione soprattutto per i giovani e l’entità dei sussidi per alcune categorie (coppie sposate ed immigrati neo-arrivati). Il rapporto tra severità delle politiche di attivazione e contenimento della disoccupazione non è facile da dimostrare empiricamente, alcuni studi sottolineano una riduzione complessiva dei tassi di disoccupazione in uscita dai programmi di attivazione durante la crisi ed un impatto differenziato delle diverse forme di attivazione sugli esiti occupazionali, sottolineando come il job training nelle imprese private e la formazione producano risultati migliori rispetto al job training nel settore pubblico e ad altre misure.
Il ridimensionamento dei programmi di politiche attive, in realtà, è iniziato in Danimarca molto prima che si dispiegassero gli effetti della crisi, dietro la spinta del governo liberal-conservatore insediatosi nel 2001, che ha introdotto una svolta workfarista, preoccupato della sostenibilità economica del sistema danese a fronte dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento della popolazione immigrata.
Alcuni autori sottolineano come queste riforme abbiano, indirettamente, contribuito anche alla diffusione del lavoro tramite agenzia, aumentando la propensione dei disoccupati ad accettare lavori temporanei e meno garantiti. Inoltre, la collaborazione tra pubblico e privato nella gestione del welfare attivo ed il coinvolgimento di imprese ed
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organizzazioni private nell’attuazione delle politiche del lavoro sono tra gli elementi che caratterizzano l’agenda del cambiamento del modello danese.
4.3.4. Verso una trasformazione del modello?
Non è ancora chiaro se si possa parlare di una trasformazione del sistema danese di flexicurity, legata ai cambiamenti demografici verificatisi nel corso degli anni ed alla crisi internazionale. D’altra parte, è evidente una riduzione della generosità degli schemi di protezione del reddito ed una rimodulazione dei programmi di attivazione, sempre più orientati all’inserimento immediato e differenziati per profilo sociale dei beneficiari. Queste trasformazioni si sono accompagnate al decentramento amministrativo degli interventi di welfare e ad ipotesi di riforma dei sistemi di finanziamento che potrebbero portare alla messa in discussione del ruolo centrale dei fondi di assicurazione contro la disoccupazione gestiti dai sindacati. Probabilmente è ancora presto per trarre bilanci definitivi, ma è certo che il modello sia in corso di rivisitazione, attraverso un ripensamento delle forme tradizionali di regolazione del mercato del lavoro, ma anche attraverso l’ibridazione di interventi, politiche e forme di azione delle parti sociali estranei alla tradizione danese. È il caso dell’introduzione nei contratti collettivi, nel corso del 2010, di forme di liquidazione per i lavoratori licenziati con almeno tre anni di anzianità di servizio; della deviazione del modello di attivazione verso i principi del work first di stampo tipicamente anglosassone; dell’instaurarsi di un rapporto più conflittuale tra governo e parti sociali, in seguito agli interventi del governo sul versante del ridimensionamento degli schemi di sostegno al reddito ed alla messa in discussione del sistema di
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assicurazione contro la disoccupazione gestito dai sindacati.
Tuttavia, a dispetto dell’innalzarsi dei livelli di conflitto sociale legato ai tentativi di riforma di stampo neo-liberista, le caratteristiche generali e l’impianto complessivo del “triangolo d’oro” sono ad oggi invariati, anche se sono messi a dura proba dalla crisi economica.
4.4. La non trasferibilità del modello danese di flexicurity
A fronte di questo quadro, sono oggi più evidenti i condizionamenti di contesto e la difficile esportabilità del sistema danese di flexicurity. La crisi economica ha consentito di realizzare un “esperimento controllato” su tale sistema, verificando l’efficacia di determinate policies a fronte di sfide comuni agli altri paesi (alti livelli di disoccupazione, bassa crescita economica, discriminazione di alcune fasce della forza lavoro).
Il modello danese sembra avere avuto buone performance con riferimento al contenimento della disoccupazione di lungo periodo, benché abbia visto più che raddoppiare la disoccupazione, pur rimanendo, in termini assoluti, abbastanza contenuta. Questi risultati devono però essere considerati su due versanti: quello della sostenibilità nel lungo periodo del modello di regolazione danese, da un lato; quello del peggioramento complessivo dell’andamento del mercato del lavoro, rispetto alle sue performance degli ultimi due decenni, dall’altro.
Sul primo versante, la generosità dei sistemi di protezione del reddito è a rischio a seguito dell’invecchiamento della popolazione e, adesso, dell’emergente penalizzazione dei giovani sul mercato del lavoro, che hanno spinto il governo ad adottare misure ristrettive; la tradizionale focalizzazione delle misure di attivazione sugli interventi formativi cede il passo a misure maggiormente orientate all’inserimento in tempi brevi nel
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mercato del lavoro, sebbene il paradigma del learnfare danese non sia stato messo in discussione. Già prima della crisi, inoltre, emergevano tensioni tra diversi gruppi sociali legate soprattutto all’aumento dei flussi migratori ed hanno cominciato a profilarsi segnali di disagio sociale, ricondotti da alcuni studiosi all’instabilità dei percorsi lavorativi, che sempre più si configurerebbe come un’imposizione e potrebbe risultare penalizzante a fronte di un ridimensionamento dei dispositivi di sostegno in caso di disoccupazione.
Sul secondo versante, gli indicatori del mercato del lavoro danese hanno registrato risultati preoccupanti in seguito alla crisi, tanto in termini di aumento del tasso di disoccupazione che di riduzione del tasso di occupazione, sebbene essi appaiano comparativamente positivi poiché si situano ancora al di sopra di quelli raggiunti da altri paesi europei. Non bisogna trascurare, però, che a fronte di “punti di arrivo” che vedono la Danimarca della flexicurity attestarsi ancora in una posizione da best performer, il deterioramento del mercato del lavoro è stato di gran lunga inferiore in paesi riconducibili ad un modello “tradizionale” di welfare state, come Germania, Belgio, Austria ed in qualche misura Italia, che hanno registrato un aumento della disoccupazione proporzionalmente inferiore a quello della Danimarca76. La spiegazione è probabilmente da ricercarsi nei diversi mix di policies adottati. Nel caso della Danimarca, una tradizione di politiche del lavoro basata più sull’attenzione ad un veloce reinserimento dei disoccupati che sulla protezione dell’occupazione si è probabilmente rilevata inadeguata a reagire prontamente al calo della domanda di lavoro conseguente alla crisi. Da un lato, infatti, l’investimento in formazione produce effetti positivi solo a lungo termine ma non ha un impatto immediato sui livelli di disoccupazione; dall’altro, gli interventi di sostegno
76 Cfr. X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, La somministrazione di lavoro, un confronto comparato, cit.
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al reddito combinati a schemi di attivazione hanno buoni risultati, ma solo in presenza di un’effettiva disponibilità di posti di lavoro. D’altra parte, il sistema di politiche integrate (attive/passive) danesi sembra aver riportato buoni risultati in termini di contrasto alla disoccupazione di lunga durata. Se il “sogno danese” conserva la sua valenza, emergono dunque rischi di fragilizzazione del modello, derivanti probabilmente anche dalla destabilizzazione dell’equilibrio complessivo del sistema, determinata dall’ibridazione di politiche economiche e del lavoro neo-liberiste mutuate da altri contesti nazionali (è il caso delle politiche di workfare) e da stili di governo conflittuali, basati sulla contrapposizione tra governo e parti sociali e non più sulla cooperazione. Questo elemento suggerisce come il funzionamento delle politiche del lavoro sia strettamente legato alle tradizioni istituzionali ed ai modelli di governance, nonché ai rapporti di forza e di cooperazione tra i principali stakeholders. Come evidenziato nei paragrafi introduttivi, lo “scambio tacito” tra sindacati, governo ed imprese e la lunga tradizione di cooperazione tra questi attori hanno costituito dei pre-requisiti istituzionali per l’affermazione del modello danese di flexicurity, che difficilmente sembra poter sopravvivere ad una loro modificazione estrema.
Inoltre, anche riflettendo sull’esportabilità del modello danese “al
netto” delle ambivalenze emerse in seguito alla crisi economica, l’efficacia di questo mix di politiche non dipende solo dai rapporti tra gli stakeholders e da scelte strategiche di allocazione delle risorse e, dunque, da una maggiore spesa in sussidi d disoccupazione e politiche attive del lavoro, ma anche da un alto livello di qualità dei servizi. Il buon funzionamento dei servizi per l’impiego e della formazione è un elemento imprescindibile, ma di difficile realizzazione, poiché in Danimarca è il frutto di un’evoluzione che è durata più di due decenni e si è intersecata con buone politiche di conciliazione lavoro-famiglia, da un lato, con un processo di
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semplificazione ed efficientamento dei livelli locali di governo, dall’altro.
L’efficienza dei servizi per l’impiego e di formazione, di cui al punto precedente, è però legata, in Danimarca, alla natura pubblica degli stessi: la capillarità, il decentramento, ma allo stesso tempo un buon coordinamento centrale dei servizi per il lavoro e di formazione pubblici è considerata da buona parte della letteratura sull’argomento, laddove realizzabile, un’alternativa preferibile alla pura regolazione di mercato, perché in grado di combinare efficienza ed equità, arginando le derive particolaristiche che inevitabilmente possono emergere a seguito dell’affidamento a soggetti privati di funzioni di interesse pubblico. Accanto a questa interpretazione, tuttavia, se ne fa strada un’altra, che vede nell’interazione e cooperazione tra un sistema pubblico forte ed un settore privato competitivo un’alleanza vincente e valorizza il ruolo delle imprese e delle parti sociali nel regolazione del mercato del lavoro.
4.5. Flexicurity e somministrazione
Indubbiamente la Danimarca è un modello di flexicurity e di conciliazione tra flessibilità e sicurezza, ma questo avviene nel sistema complessivo di regolamentazione dei rapporti di lavoro e di sicurezza sociale. Infatti, come descritto in precedenza, l’elevata flessibilità in entrata e in uscita è “compensata” dal ricco sistema di trattamenti di disoccupazione.
Al contrario, la somministrazione in Danimarca non può essere presa come esempio di combinazione e conciliazione di flessibilità e sicurezza. Questo istituto, al pari di altre tipologie contrattuali rappresenta sostanzialmente la flessibilità e la liberalità del sistema, infatti non esiste una regolamentazione legislativa specifica di questo istituto, dopo che nel
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1990 è stata abrogata la legge precedentemente esistente nell’intento, insieme ad altre liberalizzazioni, di combattere la crescente disoccupazione (che tuttavia aveva raggiunto nel 1990 il 7,2%, in crescita rispetto agli anni precedenti77).
Benché la somministrazione di lavoro sia totalmente deregolamentata dal punto di vista legale, per cui non esistono limitazioni al ricorso o divieti (tranne quello della sostituzione di lavoratori in sciopero), limiti di durata del contratto di lavoro o di somministrazione, essa è disciplinata dalle fonti contrattuali e da forme di autoregolamentazione del settore. Sono, infatti, i contratti collettivi applicati alle aziende utilizzatrici che garantiscono le tutele minime ai lavoratori, come per esempio la parità di trattamento, la formazione e diritti sindacali.
77 Fonte, Eurostat.
CAPITOLO III
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO: LA «FLESSIBILITÀ SICURA»
1. Gli orientamenti internazionali e comunitari in materia di flessibilità e sicurezza nella somministrazione di lavoro
A livello internazionale e comunitario, come anticipato, la Convenzione OIL 19 giugno 1997, n. 181, 78 e la direttiva europea 2008/104/CE rappresentano due importanti fonti normative internazionali per la regolamentazione della fattispecie del lavoro tramite agenzia, con un particolare riguardo alla tutela e alla sicurezza dei lavoratori.
Anche il Consiglio d’Europa considera «il lavoro tramite agenzia come quell’istituto a cui i Legislatori degli Stati Membri devono evitare di frapporre impedimenti ed ostacoli poiché utile a consentire un ingresso in un mercato del lavoro che altrimenti sarebbe precluso per una schiera di lavoratori perché le imprese, già poco competitive rispetto ad altri mercati, rinunciano progressivamente alla loro attività»79.
Pur riconoscendo il ruolo positivo che possono svolgere le agenzie per l’impiego private per il buon funzionamento del mercato del lavoro, la Convezione OIL n. 181 del 1997 risente ancora dello sfavore per questa
78 Per ulteriori approfondimenti si rimanda a X. Xxxxx, Pubblico e privato nella gestione del collocamento: la convenzione OIL n. 181/97, in Diritto delle Relazioni Industriali, 1998, n. 2, 161-167.
79 Cfr. Tribunale di Vicenza, Sezione Lavoro, 4 febbraio 2011, n. 39 e 18 febbraio
2011.
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fattispecie, infatti sottolinea la necessità di proteggere i lavoratori contro gli abusi. Tuttavia, la convenzione presta adeguata attenzione a entrambe le parti del rapporto di lavoro, individuando i propri obiettivi nel creare un contesto di operatività per le agenzie private per l’impiego e nel tutelare i lavoratori da esse dipendenti 80 . Anche a questo fine, la convenzione prevede di subordinare l’operatività delle agenzie alla «concessione di licenze o di abilitazioni»81, regolando l’accesso al mercato attraverso un controllo preventivo sulle agenzie private.
Ancora con riferimento alla tutela dei diritti, in verità più che con riferimento alla sicurezza, dei lavoratori tramite agenzie viene specificato che devono essere loro garantiti il diritto alla libertà sindacale ed alla negoziazione collettiva.
La tutela della sicurezza (sotto diversi profili) dei lavoratori viene, poi, perseguita con la previsione di garantire un’adeguata regolamentazione in materia di: libertà sindacale; negoziazione collettiva; minimi salariali; orari, durata del lavoro ed altre condizioni di lavoro; prestazioni istituzionali di sicurezza sociale; pari opportunità e divieto di discriminazione; accesso alla formazione; igiene e sicurezza sul lavoro; risarcimento in caso d’infortuni sul lavoro o di malattie professionali; indennizzo in caso d’insolvenza e protezione dei crediti dei lavoratori; protezione e prestazioni di maternità, protezione e prestazioni parentali.
A livello europeo, come noto, la direttiva 2008/104/CE è stata approvata per armonizzare le legislazioni nazionali in materia di lavoro
80 Art. 2, Convenzione n. 181/1997.
81 Per la precisione, la convenzione prescrive all’art. 3 che «Ogni Membro deve determinare per le agenzie per l’impiego private, per mezzo della concessione di licenze o di abilitazioni, le condizioni di esercizio delle loro attività, salvo quando tali condizioni siano in altro modo regolamentate dalla legislazione e dalla prassi nazionali», consentendo di fatto la libertà agli Stati di non imporre l’obbligo di una licenza o autorizzazione, ma subordinatamente al fatto che le modalità di svolgimento delle attività siano garantire altrimenti.
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tramite xxxxxxx00. Infatti, data la diversificazione delle discipline statali nella regolazione dell’interposizione, l’intervento regolatorio è incentrato a disciplinare il rapporto di lavoro attraverso la costituzione di un complesso normativo «non discriminatorio, trasparente e proporzionato che tuteli i lavoratori tramite agenzia»83.
È immediatamente evidente dalla lettura dei “considerando” che la direttiva pone la propria attenzione sia ai profili di flessibilità sia a quelli delle sicurezza, infatti viene affermato che il lavoro tramite agenzia
«risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti. Contribuisce pertanto alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato»84.
Viene quindi conferita peculiare valorizzazione all’istituto in commento, in quanto considerato come quel modello negoziale che consente di realizzare un miglioramento della situazione lavorativa dei singoli, garantendo la salvaguardia dei diritti e delle tutele fondamentali e favorendo l’ingresso nel mercato del lavoro.
Un aspetto fondamentale della sicurezza del lavoratore è rappresentato dalla retribuzione e dalle condizioni di lavoro. La direttiva, infatti, conferisce particolare rilievo al principio di parità di trattamento, poiché questa è la premessa per assicurare un livello minimale di protezione85, affermando perciò nella premessa che «le condizioni di base
82 Per approfondimenti sulla ricostruzione antecedente l’approvazione di tale documentazione comunitaria, v. M.M. Mutarelli, Il lavoro tramite agenzia: modelli di disciplina in Europa, cit., 567 ss.
83 12° Considerando, direttiva 2008/104/CE.
84 11° Considerando, direttiva 2008/104/CE.
85 Così X. Xxxxxxx, Il lavoro tramite agenzia interinale nell’ordinamento comunitario, cit., 6. All’art. 4, comma 1, la direttiva specifica che eventuali «divieti o restrizioni imposti al ricorso al lavoro tramite agenzie sono giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela di tale tipologia di lavoratori, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon
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di lavoro e d’occupazione applicabili ai lavoratori tramite agenzia interinale dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero a tali lavoratori se fossero direttamente impiegati dall’impresa utilizzatrice per svolgervi lo stesso lavoro». Questo principio è ulteriormente affermato e approfondito nell’articolo 5, dove è specificato che ciò deve avvenire per tutta la durata della missione. La direttiva contiene inoltre due richiami specifici al principio di parità di trattamento con riferimento alle regole vigenti nelle imprese utilizzatrici a tutela delle donne in stato di gravidanza o allattamento, dei bambini o dei giovani (art. 5, comma 1, lett. a) e volte a garantire la parità di trattamento tra uomini e donne e a contrastare
«qualsiasi forma di discriminazione fondata su sesso, razza, origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o tendenze sessuali» (art. 5, comma 1, lett. b).
A completamento del principio enunciato, il Legislatore comunitario ha previsto alcune disposizioni volte a sostenere le condizioni di lavoro di tale prestatore d’opera, assicurandogli l’accesso alle «strutture e attrezzature collettive» (art. 6, comma 4). La direttiva si riferisce in particolare ai «servizi di ristorazione, alle infrastrutture di accoglienza dell’infanzia e ai servizi di trasporto». Tali servizi devono essere garantiti alle stesse condizioni dei lavoratori dipendenti, salvo che esistano «ragioni oggettive che giustifichino un trattamento diverso». L’accesso a tali benefici e servizi non garantisce soltanto la parità di trattamento, ma incrementa la sicurezza dell’occupazione aumentando la stessa possibilità di accedere al lavoro, in particolare per esempio i servizi di accoglienza dell’infanzia e i servizi di trasporto.
Il diritto di informazione (di cui all’art. 6 della direttiva) dei lavoratori tramite agenzia sui posti di lavoro vacanti nell’impresa utilizzatrice rappresenta una tutela e una misura volta a promuovere la sicurezza
funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi».
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dell’occupazione di questi laboratori, poiché consente ad essi, al pari dei dipendenti dell’impresa utilizzatrice, di poter aspirare a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Il diritto è garantito attraverso l’affissione all’interno dell’impresa utilizzatrice di un avviso.
Nella stessa ottica di favorire l’inserimento permanente dei lavoratori tramite agenzia nel mercato del lavoro e incrementare perciò la loro sicurezza dell’occupazione, il medesimo articolo 6 stabilisce, inoltre, che siano nulle le clausole che vietano o che di fatto impediscano la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia. Con le stesse finalità e a tutela dei lavoratori opera la disposizione che vieta all’agenzia per il lavoro di richiedere compensi ai lavoratori in caso di un’assunzione presso un’impresa utilizzatrice.
Una maggiore sicurezza dell’occupazione è favorita dall’incremento dell’occupabilità dei lavoratori tramite agenzia potenziata attraverso l’accesso alla formazione. Con riferimento a tale profilo, la direttiva prevede che gli Stati membri favoriscano il dialogo tra le parti sociali al fine di migliorare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia alle opportunità di formazione di cui godono i lavoratori delle imprese utilizzatrici.
Un’importante tutela per i lavoratori in somministrazione è offerta dalla direttiva con riferimento alla rappresentanza dei lavoratori all’interno dell’agenzia. Si specifica che i lavoratori tramite agenzia sono computati ai fini del calcolo del numero dei lavoratori necessari per la costituzione di organi rappresentativi dei lavoratori previsti dalla normativa comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi.
Con riferimento alle rappresentanze dei lavoratori all’interno delle imprese utilizzatrici, la direttiva prevede che i lavoratori in somministrazione possano essere conteggiati come lo sono i dipendenti diretti dell’azienda per il calcolo della soglia numerica di lavoratori per la
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costituzione delle rappresentanze dei lavoratori nell’impresa utilizzatrice.
Mentre il computo dei lavoratori somministrati per la costituzione delle rappresentanze presso le agenzie è una disposizione obbligatoria, il computo dei lavoratori somministrati per la costituzione degli organi di rappresentanza utilizzatrice è una facoltà che la direttiva lascia agli Stati membri. Tuttavia, se è attuata tale disposizione, non è necessario che venga applicata la disposizione che obbliga il computo dei lavoratori somministrati per le rappresentanze nelle agenzie di somministrazione.
Più in funzione di una tutela generale dei lavoratori dell’impresa utilizzatrice, ma anche dei lavoratori somministrati che entrano nell’organizzazione dell’impresa, l’articolo 8 della direttiva impone all’impresa utilizzatrice di informare adeguatamente le rappresentanze sindacali dei lavoratori sul ricorso al lavoro tramite agenzia. Tale previsione normativa non deve pregiudicare altre disposizioni nazionali e comunitarie, più restrittive o più specifiche, relative all’informazione e alla consultazione e, in particolare, la direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori.
Dal punto di vista della tutela e della sicurezza dei lavoratori, risultano particolarmente importanti le disposizione contenute nell’articolo 9 della direttiva. Infatti, poiché l’obiettivo della direttiva è di garantire un quadro minimo di tutele per i lavoratori somministrati in tutti gli Stati membri, essa specifica che la trasposizione della stessa negli ordinamenti nazionali non deve pregiudicare la facoltà per gli Stati membri di prevedere norme, anche di origine collettiva, più favorevoli ai lavoratori temporanei.
Contemporaneamente, la direttiva introduce una clausola di non regresso ovvero specifica che la trasposizione non deve essere occasione per ridurre il grado di protezione dei lavoratori già previsto nei singoli
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ordinamenti nazionali.
L’articolo 10, infine, intende garantire l’effettività delle disposizioni della direttiva, richiedendo agli Stati membri di prevedere delle misure sanzionatorie da applicare in caso di inosservanza da parte di agenzie di somministrazione degli obblighi che derivano della direttiva stessa.
2. La somministrazione di lavoro nel contesto italiano
Le complesse trasformazioni della realtà socio-economica, l’avvento delle nuove tecnologie e la globalizzazione dei mercati rendono necessario
«prendere atto dei cambiamenti profondi avvenuti nelle forme di lavoro nel mondo contemporaneo ed adattare la protezione e la difesa della persona nel lavoro, al mutato assetto delle attività lavorative»86. Questo determina la necessità di agire per ammodernare i concetti e le categorie fondamentali del diritto del lavoro. La legge Xxxxx ha cercato di andare in questa direzione, ponendosi come obiettivo l’adeguamento alle «variabili esigenze dei processi produttivi, grazie all’aumento dei modelli contrattuali, attraverso efficaci risposte ai mutevoli ritmi derivanti dai mercati economici, offrendo ai lavoratori e ai datori di lavoro la possibilità di gestire processi produttivi e occasioni di lavoro in modo dinamico ed efficiente»87. In altre parole, «l’intento delle modifiche è stato volto a rispondere alle istanze provenienti dal lato della domanda di lavoro, attraverso il ricorso a forme contrattuali flessibili per fronteggiare le esigenze produttive delle imprese e contemporaneamente a favorire l’accesso dei lavoratori al mercato, nell’auspicio che contratti di carattere temporaneo si trasformassero, nel tempo, in rapporti a tempo
86 X. Xxxxxx, Il diritto del lavoro europeo. Le sfide del XXI secolo, in DRI, 2007, n. 4, 1022.
87 Aa.Vv., Come cambia il mercato del lavoro, Ipsoa, Milano, 2004, 1.
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indeterminato»88.
Nell’esigenza di trovare un corretto bilanciamento tra la dimensione della flessibilità e quella della sicurezza, la somministrazione di lavoro pare essere il punto di equilibrio nell’individuazione di un raccordo tra le due enunciate esigenze, e ciò è ravvisabile nelle caratteristiche intrinseche di tale tipologia contrattuale, che unisce alla flessibilità della fattispecie triangolare, tutele consistenti: nella parità di trattamento; nei diritti collettivi; nell’informazione delle rappresentanze sindacali circa l’utilizzo della somministrazione nell’azienda; nel co-impiego (ripartizione di diritti e obblighi fra somministratore e utilizzatore); nella formazione per l’occupabilità e l’informazione dei lavoratori per il supporto all’occupazione, oltre alle tutele offerta attraverso gli enti bilaterali. Proprio tali peculiarità richiamano le componenti fondamentali del modello europeo di flexicurity, quali: forme contrattuali flessibili e affidabili; la formazione lungo tutto l’arco della vita lavorativa; politiche attive nel mercato del lavoro; moderni sistemi di sicurezza sociale.
Questo è il focus centrale della presente ricerca, il cui obiettivo è
volto a mostrare come, nell’ambito dell’istituto della somministrazione di lavoro, la flessibilità concessa ai datori di lavoro, per rispondere alle esigenze produttive ed organizzative aziendali, è bilanciata dalla salvaguardia dei diritti e delle tutele a favore dei lavoratori.
Spesso in Italia si parla di flessibilità e di sicurezza in termini di trade off, ipotizzando che una maggior sicurezza per i lavoratori debba necessariamente andare a svantaggio della flessibilità per i datori di lavoro e, viceversa, una maggior flessibilità a disposizione dei datori di lavoro debba significare minore sicurezza per i lavoratori.
In realtà, tali elementi possono combinarsi, l’esempio è proprio
88 X. Xxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Flessibilità e produttività: il caso del lavoro in somministrazione, Articolo da presentare alla Conferenza Annuale AIEL, Pescara 9-10 Settembre 2010, Sessione: Istituzioni e politiche del lavoro, 1.
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l’istituto della somministrazione di lavoro, dove flessibilità e sicurezza sono due facce della stessa medaglia e dove si realizza la piena valorizzazione di una forma di flessibilità garantita, alternativa ad altre forme contrattuali caratterizzate da minore tutele.
2.1. L’evoluzione del quadro regolatorio
La somministrazione di lavoro ha sperimentato, nel corso degli anni, un’importante evoluzione normativa. Nonostante il rigido divieto di fornitura professionale di lavoro altrui della legge n. 1369 del 1960, nuovi modelli organizzativi di impresa si erano progressivamente affermati cercando nuove forme contrattuali che li esprimessero. Nascevano così pseudo-fornitori di manodopera, spesso nella forma di cooperative spurie, che ancora oggi influenzano negativamente il settore della fornitura professionale, sia attraverso una competizione sleale, sia condizionandone la reputazione.
Benché la legge n. 196 del 1997 (c.d. Xxxxxxxxx Xxxx) avesse finalmente consentito l’introduzione di tale fattispecie nell’ordinamento italiano (con un ritardo di venticinque anni rispetto a Paesi come Francia e Germania, dove la fornitura professionale di manodopera venne legalizzata nel 1972), le limitazioni e i divieti erano notevoli, a causa del costante sospetto verso questa forma contrattuale. La legge, infatti, imponeva alle agenzie per il lavoro l’obbligo dell’oggetto sociale esclusivo, il divieto di fornitura di mansioni di esiguo contenuto professionale e il vincolo della soddisfazione di esigenze di natura meramente temporanea.
Il decreto legislativo n. 276 del 2003 (c.d. legge Biagi) supera l’impropria assimilazione tra la fornitura professionale di manodopera e il lavoro temporaneo da ammettere in casi eccezionali, consentendo il
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ricorso alla somministrazione di lavoro anche per ragioni legate all’ordinaria attività dell’azienda.
Più recentemente, a seguito del riesame di divieti e restrizioni, come richiesto dall’articolo 4 della direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia, sono state apportate alcune modifiche alla normativa in materia di somministrazione ad opera del decreto legislativo 2 marzo 2012, n. 24. All’articolo 1 di detto decreto viene innanzitutto specificato che gli interventi in oggetto non riguardano le norme in materia di ottenimento dell’autorizzazione e dell’iscrizione delle agenzie per il lavoro all’Albo informatico, mentre il Governo ritiene di ribadire che i contratti collettivi nazionali, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro possono applicare o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle previste dal decreto.
Le novità maggiormente rilevanti riguardano indubbiamente la deroga alle causali di ricorso alla somministrazione a tempo determinato, di cui al comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 276 del 2003. Il decreto legislativo ha, infatti, introdotto i commi 5-ter e 5-quater al medesimo articolo, stabilendo una deroga alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, normalmente necessarie per la validità di un contratto di somministrazione a tempo determinato.
La deroga ha l’intento di promuovere l’utilizzo della somministrazione come strumento di re-inserimento dei lavoratori disoccupati di lungo periodo nel mercato del lavoro. Infatti, accanto alla possibilità, già introdotta in precedenza, di assumere in deroga alle causali summenzionate i lavoratori in mobilità (comma 5-bis), è ora concessa la acausalità anche per la somministrazione di: a) soggetti disoccupati percettori dell’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali o ridotti, da almeno sei mesi; b) soggetti percettori di
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ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno sei mesi; c) lavoratori definiti “svantaggiati” o “molto svantaggiati” ai sensi dei numeri 18) e 19) dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008.
In realtà, la deroga alle ragioni di ricorso alla somministrazione a tempo determinato è potenzialmente molto più ampia e non limitata alla promozione dell’inserimento di percettori di trattamenti di sostegno al reddito. Infatti, introducendo il comma 5-quater all’articolo 20 del decreto legislativo n. 276 del 2003, concede alla autonomia collettiva la possibilità di deroga a dette causali, consentendo ai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro applicabili agli utilizzatori di individuare ulteriori ipotesi di ricordo “incondizionato” alla somministrazione a tempo determinato.
Il decreto legislativo ha, poi, l’obiettivo di rafforzare alcune tutele previste per i lavoratori tramite agenzia, alle quali la direttiva presta particolare attenzione. In quest’ottica, viene modificato il comma 1, dell’articolo 23 ampliando il principio di parità di trattamento, per cui il diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore viene sostituito dal diritto a condizioni di base di lavoro e d’occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte.
In conformità alla direttiva europea (art. 6) che intende garantire il diritto all’informazione sui posti vacanti nell’impresa utilizzatrice per favorire l’accesso all’occupazione permanente, è stato aggiunto all’articolo 23 del decreto legislativo n. 276 del 2003 il comma 7-bis, che appunto esplicita il diritto dei lavoratori in somministrazione ad essere informati dall’utilizzatore dei posti vacanti nell’impresa. Tale obbligo è considerato assolto anche mediante l’affissione di un avviso generale all’interno dei
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locali dell’utilizzatore.
Con lo scopo di rendere effettive tali tutele, il decreto legislativo ha, inoltre, introdotto specifiche sanzioni. Il comma 3-bis all’articolo 18 del decreto legislativo n. 276 del 2003 punisce, ora, con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250: la mancata applicazione delle condizioni di base di lavoro e d’occupazione complessivamente non inferiore a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte; la mancata possibilità per i lavoratori in somministratore di fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell’utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva; la mancata informazione da parte dell’utilizzatore nei confronti dei lavoratori somministrati circa i posti vacanti; la mancata comunicazione alle rappresentanze sindacale (unitaria, aziendali o associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) dei motivi di ricorso alla somministrazione.
Come rafforzamento del già previsto divieto, sanzionato, di esigere o
di percepire compensi dai lavoratori per la loro assunzione da parte delle agenzie di somministrazione (comma 4), l’introduzione del comma 4-bis all’articolo 18 del decreto legislativo n. 276 del 2003 prevede la punizione con la sanzione penale prevista dal comma 4 (pena alternativa dell’arresto non superiore ad un anno o dell’ammenda da Euro 2.500 a Euro 6.000) anche per chi esige o percepisce compensi in cambio di un’assunzione presso un utilizzatore (a seguito o non di una missione presso il medesimo). La sanzione è ulteriormente inasprita dall’aggiunta della cancellazione dall’albo delle agenzie.
Mentre viene ribadito il divieto di percepire compensi dal lavoratore, è invece esplicitata, in linea con la direttiva europea (art. 6), la facoltà per il somministratore di richiedere all’utilizzatore un compenso, che deve
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essere ragionevole, per i servizi resi in relazione alla missione, all’impiego e alla formazione del lavoratore, anche con riferimento all’assunzione del lavoratore da parte dell’utilizzatore al termine della missione.
Con riferimento alle tipologie contrattuali, il decreto legislativo n. 24 del 2012 ha voluto precisare (con l’introduzione del comma 3-bis all’art. 22, d.lgs. n. 276/2003), benché fosse già pacifico, che le assunzioni a tempo indeterminato e a tempo determinato di lavoratori destinati alla somministrazione, possono essere effettuate anche a tempo parziale, sottolineando che trova applicazione, per quanto compatibile, il decreto legislativo n. 61 del 2000.
Infine, alcune modifiche apportate al decreto legislativo n. 276 del 2003 non sono altro che interventi lessicali per uniformare la normativa italiana alla direttiva europea che tuttavia non sembrano variare la sostanza della norma. È stata inserita nell’articolo 2, comma 1, riprendendola direttamente dalla direttiva europea, la definizione di
«missione». Nello stesso articolo viene, inoltre, sostituita alla definizione di
«somministrazione di lavoro» quella di «contratto di somministrazione di lavoro»: il contratto avente ad oggetto la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine, ai sensi dell’articolo 20. È inoltre aggiunta la definizione di «condizioni di base di lavoro e d’occupazione», consistente nel trattamento economico, normativo e occupazionale previsto da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, da contratti collettivi o da altre disposizioni vincolanti di portata generale in vigore presso un utilizzatore di cui all’articolo 20, comma 1, comprese quelle relative a: 1) orario di lavoro, ore di lavoro straordinario, pause, periodi di riposo, lavoro notturno, ferie e giorni festivi; 2) retribuzione; 3) protezione delle donne in stato di gravidanza e in periodo di allattamento, nonché la protezione di bambini e giovani, la parità di trattamento fra uomo e donna e altre disposizioni in materia di
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
non discriminazione.
Le più recenti novità normative in materia di somministrazione di lavoro hanno riguardato, in particolare, le causali di ricorso alla somministrazione a tempo determinato e in particolare l’introduzione di deroghe alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che normalmente giustificano il ricorso alla somministrazione. Poiché si ritiene che la somministrazione sia un buono strumento di supporto al reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro, in considerazione della crisi economica e dell’incremento dei lavoratori disoccupati, già con la legge finanziaria per il 2010 (l. n. 191/2009) venne introdotta la prima deroga alle causali di ricorso alla somministrazione a tempo determinato (art. 20, comma, 5-bis, d.lgs. n. 276/2003) in caso di assunzione di lavoratori in mobilità (ai sensi dell’art. 8, comma 2, n. 223/1991) da parte dell’agenzia di somministrazione, per promuoverne il loro reinserimento, di fatto riconoscendo, anche nell’ambito di tale fattispecie, l’acausalità prevista in caso di assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato di questi lavoratori disoccupati.
Accanto a questa ipotesi di acausalità, altre ne sono state introdotte,
come già detto, dal decreto legislativo n. 92 del 2012 in caso di assunzione di percettori di ammortizzatori sociali e lavoratori svantaggiati, consentito alla contrattazione collettiva di definirne di ulteriori.
L’ultima modifica alla disciplina delle causali di ricorso alla somministrazione a tempo determinato è stata definita dalla legge n. 92 del 2012, attraverso l’introduzione del comma 1-bis all’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e consiste in una ipotesi “oggettiva” di acausalità. Infatti, la norma stabilisce che sia possibile la stipulazione di un contratto a tempo determinato senza l’individuazione di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, a condizione che si tratti della prima missione di un lavoratore presso un
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utilizzatore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato e che abbia una durata non superiore a dodici mesi, non prorogabili. A ben vedere, nel contesto della somministrazione, non è tanto il contratto di lavoro a tempo determinato a essere acausale, quando piuttosto la somministrazione a tempo determinato89.
Anche la nuova disciplina prevede, inoltre, un rinvio alla contrattazione collettiva per la definizione di ipotesi di acausalità alternative a quella definita ex lege. In questo caso, i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata (dai contratti nazionali) ai livelli decentrati, che non siano richieste la causali di ricorso al lavoro a termine o alla somministrazione tempo determinato in caso in cui l’assunzione o la missione avvengano nell’ambito di un processo organizzativo determinato dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un nuovo prodotto o servizio innovativo, dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, dalla fase supplementare di un progetto di ricerca e sviluppo ovvero infine dal rinnovo di una commessa consistente. In questo caso, non sono previsti limiti di durata del contratto di lavoro a tempo determinato o della prima missione. Inoltre, i lavoratori assunti sulla base di tale ipotesi acasuale non devono superare il 6 percento del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva.
Il margine di discrezionalità della contrattazione collettiva
nell’individuare ipotesi di acausalità individuata ai sensi dell’articolo 1, comma 1-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è, tuttavia, molto limitato. Con riferimento alla somministrazione, si deve evidenziare
89 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Somministrazione di lavoro: ritorno al passato, in X. Xxxxxxx,
X. Xxxxxxxxxx (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2012.
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come la possibilità di intervento della contrattazione collettiva ai sensi del comma 5-quater dell’articolo 20 decreto legislativo n. 276 del 2003 sia molto più ampia, in quanto il rinvio è generico e la contrattazione collettiva ha facoltà di individuare ipotesi di acasualità senza limitazione a un ambito specifico, come invece previsto dal novellato decreto legislativo n. 368 del 2001.
2.2. Il ruolo della somministrazione di lavoro
La regolamentazione della somministrazione, secondo l’impostazione delle Legge Biagi, non intendeva offrire alle imprese soltanto uno strumento di flessibilità in entrata, ma anche, in particolare con l’introduzione del c.d. staff leasing, un dispositivo volto a supportare la selezione, la gestione e l’organizzazione delle risorse umane, attraverso modelli di integrazione contrattuale tra imprese in chiave moderna e rispondente alle nuove esigenze dei modi di lavorare e produrre.
Tuttavia, le agenzie svolgono piuttosto una funzione di intermediari e fornitori di flessibilità numerica, invece di essere riconosciute come veri datori di lavoro impegnati nella fidelizzazione e valorizzazione dei propri lavoratori. In particolare, si è sviluppata solo marginalmente e non si è radicata, secondo l’idea della Legge Biagi, la somministrazione a tempo indeterminato come strumento di innovazione organizzativa delle imprese attraverso l’affidamento a soggetti qualificati e specializzati, nonché in possesso di requisiti professionali ed economici richiesti dalla legge, di particolati servizi svolti da manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell’impresa.
Invero, anche la direttiva europea n. 104 del 2008 propone ancora il vecchio modello di agenzia come mero fornitore di prestazioni di lavoro
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temporaneo, infatti la definizione data dalla direttiva specifica che le agenzie assumono lavoratori per inviarli presso imprese utilizzatrici
«affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse». D’altra parte, lo stesso ambito di applicazione è riferito espressamente alla somministrazione a termine e nelle finalità della direttiva, volte a garantire tutele ai lavoratori e qualità del lavoro, viene sottolineata la necessità di considerare che il lavoro tramite agenzia ha l’obiettivo di «contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili».
Ma l’assunzione del ruolo di fornitori di flessibilità è dipesa soprattutto dal rilevante contenzioso intorno alle causali di ricorso alla somministrazione, ammissibile «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore». Parte della giurisprudenza ha, infatti, sanzionato l’utilizzo della somministrazione quando non fosse legato a esigenze di natura temporanea, sindacando, inoltre, le scelte dell’utilizzatore e le ragioni organizzative del ricorso alla somministrazione, non consentendo, pertanto, di governare i processi reali, ma valorizzando vincoli e divieti.
Tale caratteristica della somministrazione di lavoro è anche confermata dalla brevissima durata delle missioni, che nel 75% dei casi non supera i tre mesi90.
L’introduzione della acasualità oggettiva da parte della riforma Fornero rappresenta un altro elemento che sposta ulteriormente la somministrazione verso l’assunzione del ruolo di fornitori di flessibilità. Infatti, la possibilità di avere in missione lavoratori per 12 mesi senza dover esplicitare una causale, mettendosi al riparo da possibile contenzioso, induce le imprese utilizzatrici ad assumere prassi dirette lecitamente ad una sostituzione continua dei lavoratori.
90 Cfr. Ciett, The agency work industryaround the world, 2012.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
Avere, poi, disciplinato in modo analogo l’acausalità sia per il lavoro a termine sia per i contratti nell’ambito della somministrazione a tempo determinato, causa un’indebita equiparazione tra queste due fattispecie, rischiando di fare perdere alla somministrazione le proprie peculiarità e rendendola una semplice variante del lavoro a termine.
Se, da un lato, la “incondizionalità” della prima missione nell’ambito della somministrazione a tempo determinato può facilitare nel breve periodo l’operatività delle agenzie per il lavoro e ridurre i margini di contenzioso, dall’altro lato questo potrebbe sminuire e svilire il ruolo delle agenzie quali operatori polifunzionali e qualificati del mercato del lavoro.
L’assimilazione della somministrazione di lavoro al contratto a termine e la svalutazione del suo ruolo sono anche conseguenza dell’abrogazione degli articoli 13, lettera a), e 23, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003 che risultavano centrali nell’attribuire alla somministrazione un importante ruolo di strumento di politica del lavoro volto all’inserimento e al reinserimento di lavoratori svantaggiati nel mercato del lavoro con il supporto di appositi percorsi formativi91.
Per raggiungere l’obiettivo dell’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro di questi lavoratori, l’articolo 13 del decreto legislativo
n. 276 del 2003 prevedeva che le agenzie di somministrazione potessero derogare al principio di parità di trattamento economico e normativo dei lavoratori in somministrazione, di cui all’articolo 23 del decreto legislativo
n. 276 del 2003, subordinando tale facoltà ad alcune condizioni: l’assunzione per almeno sei mesi e la formulazione di un piano individuale di inserimento o reinserimento del lavoratore, che in particolare preveda interventi formativi adeguati e funzionali al reinserimento del lavoratore, nonché l’individuazione di un tutore aziendale con adeguate competenze, con il compito di seguire il lavoratore nel suo percorso di reinserimento.
91 Per una trattazione più ampia della questione si rimanda al cap. IV, § 2.
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Benché la direttiva europea n. 104 del 2008 preveda espressamente, al comma 3 dell’articolo 1, la possibilità di derogare alla parità di trattamento a contratti o a rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un programma specifico di formazione, d’inserimento e di riqualificazione professionali, pubblico o sostenuto da enti pubblici, la legge n. 92 del 2012 ha abrogato tale deroga disattivando il meccanismo di reinserimento dei lavoratori svantaggiati disegnato dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 276 del 200392.
3. I profili di flessibilità della somministrazione di lavoro
Le sollecitazioni derivanti dal contesto economico, la globalizzazione, la crescente competitività e i relativi cambiamenti dei mercati hanno determinato la necessità di una nuova organizzazione del lavoro e della produzione che ha portato progressivamente alla richiesta di sempre maggiore «flessibilità» da parte delle imprese per potersi adeguare al nuovo contesto.
«Il dibattito occorso in Italia sulla distinzione tra flessibilità buona e cattiva ha generato non pochi fraintendimenti»93. Tuttavia, l’accostamento di questa espressione, nella sua ampia accezione, allo strumento contrattuale c.d. atipico del lavoro tramite agenzia deve essere inteso come l’elasticità operata dalle norme lavoristiche rispetto allo schema originario94, ossia: «il risultato di uno sforzo del diritto del lavoro per potersi adeguare ai mutamenti economici e sociali, al mercato ed alle esigenze aziendali, senza trascendere dalla sua originaria funzione di
92 Per una trattazione più ampia della questione si rimanda al cap. IV, § 2.
93 X. Xxxxxxxxx, Dimensioni del fenomeno e quadro comparato, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Le esternalizzazioni dopo la Riforma Biagi, cit., 41.
94 M.N. Xxxxxxx, La flessibilità del rapporto di lavoro, in MGL, 1998, 524.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
tutela»95.
Lo stesso Consiglio europeo ritiene positivo sia per i lavoratori sia per le imprese nuove forme di organizzazione del lavoro e una maggiore differenziazione dei contratti, che combinino in modo migliore flessibilità e sicurezza.
La somministrazione di lavoro è uno strumento di flessibilità regolata che consente alle imprese l’utilizzo di schemi contrattuali che si discostano dal lavoro subordinato, a tempo pieno ed indeterminato, rispondendo alle loro esigenze di gestione flessibile ed elastica della forza lavoro. Essa consente, infatti, alle imprese utilizzatrici di poter diventare più competitive offrendo la possibilità di adattare il personale alle fluttuazioni del mercato e alla domanda mutevole, garantendo veloci aggiustamenti secondo il fabbisogno professionale del momento.
La stessa direttiva europea n. 104 del 2008 rileva come il lavoro tramite agenzia riesca a risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti. Nell’ambito della somministrazione, infatti, i lavoratori possono trovare condizioni flessibili di lavoro e coerenti con le loro necessità lavorative, consenti in orario ridotto e/o concentrato in alcuni periodi della giornata o della settimana. È questo spesso il caso di madri, studenti o pensionati.
Più tecnicamente, la flessibilità della somministrazione è rappresentata, come peraltro noto, dalla possibilità dell’impresa utilizzatrice di avere a disposizione per un periodo di tempo (missione) un lavoratore che, pur non essendo proprio dipendente, ma della agenzia di somministrazione, svolge la sua prestazioni lavorativa nell’interesse dell’impresa utilizzatrice, sotto il suo controllo e la sua direzione dello
95 M. R.-P. Bravo-Xxxxxx, M. R.-X. Xxxx, Job Creation Policies, in X. Xxxxx (a cura di),
Job Creation and Labour Law, Kluwer, The Hague, 2000, 14 ss.
La somministrazione di lavoro: la «flessibilità sicura»
stesso.
A seguito della legge n. 92 del 2012, si può affermare che la somministrazione abbia aumentato il grado di flessibilità offerta, poiché, come in precedenza descritto, è ora possibile la messa a disposizione per
12 mesi delle imprese utilizzatrici di lavoratori senza la necessità di esplicitare le ragioni tecniche, produttive organizzative, o sostitutive nel caso si tratti della prima missione del lavoratore presso l’utilizzatore.
4. I profili della sicurezza nella somministrazione di lavoro
«In un quadro volto a sostenere l’esternalizzazione fisiologica, quale strumento di sostegno dei nuovi modelli di produzione ed organizzazione di lavoro richiesti dall’evoluzione del contesto economico, una delle principali preoccupazioni del Legislatore italiano è stata quella di fornire una tutela adeguata al prestatore di lavoro coinvolto in un contratto di somministrazione»96.
Accanto alle tutele garantite ai lavoratori nell’ambito del rapporto di lavoro, si è individuato un quadro di tutele che opera allo scopo di garantire il lavoratore nel mercato del lavoro e prima della costituzione del rapporto di lavoro.
La tutela e la sicurezza del lavoratore nel mercato sono attuate attraverso molteplici disposizioni normative, volte a garantire in diversi modi trasparenza e informazione; ma anche la veridicità delle comunicazioni a mezzo stampa internet, televisione o altri mezzi di informazione97; il divieto di realizzare indagini sulle opinioni dei lavoratori98
96 Cit., X. Xxxxx (continuato da) X. Xxxxxxxxxx, Istituzioni di diritto del lavoro,
Milano, 2007, 445.
97 Art. 9, d.lgs. n. 276/2003.
98 Art. 10, d.lgs. n. 276/2003.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
e di porre oneri in capo al lavoratore in cerca di occupazione99; fino alla formazione, all’informazione sui posti di lavoro disponibili presso l’utilizzatore; e alla vigilanza sugli operatori.
Autorizzazione e vigilanza
Anzitutto, è consentito lo svolgimento dell’attività di somministrazione soltanto a soggetti selezionati attraverso la concessione di un’autorizzazione da parte dell’attore pubblico (nello specifico il Ministero del lavoro) sulla base dell’adempimento di severi requisiti di natura finanziaria ed organizzativa. Tale autorizzazione assolve, quindi, alla funzione di un controllo preventivo sugli operatori che eserciteranno l’attività di somministrazione. Tale controllo e la relativa attività di vigilanza dell’attore pubblico rispondono all’esigenza di tutela dei diritti dei lavoratori, in particolare garantendo la solvibilità, la professionalità e l’affidabilità degli operatori.
Anche l’albo informatico delle agenzie per il lavoro, in cui sono iscritti gli operatori che hanno conseguito l’autorizzazione, rappresenta una forma di tutela per il lavoratore attraverso la trasparenza e l’informazione, poiché l’albo consente di verificare quali siano le agenzie effettivamente autorizzate e quindi in possesso di tutti i requisiti normativi richiesti ed evitare pertanto di rivolgersi a operatori non autorizzati ed esporsi a pericoli di pratiche illecite100.
Correttezza dell’informazione e trasparenza
Per garantire trasparenza e veridicità delle comunicazioni relative a ricerche di personale a mezzo stampa internet, televisione o altri mezzi di
99 Art. 11, d.lgs. n. 276/2003.
100 Cfr. P. Rausei, Lo «statuto giuridico» del lavoratore nel mercato: trasparenza, formazione e tutela per i lavoratori svantaggiati, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi, cit., 210 ss.
La somministrazione di lavoro: la «flessibilità sicura»
informazione101, la normativa vieta l’effettuazione di tali comunicazioni a soggetti che non siano il datore di lavoro direttamente interessato all’assunzione del lavoratore o operatori autorizzati o accreditati.
Con lo stesso scopo è inoltre disciplinato il divieto di comunicazioni relative a ricerche di personale effettuate in forma anonima e nel caso siano effettuate da operatori autorizzati o accreditati, esse devono sempre indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o accreditamento.
L’obiettivo del legislatore è, da un lato, prevenire la pubblicazioni di annunci da parte di operatori illegali, in quanto non autorizzati o accreditati; e dall’altro lato, consentire ai lavoratori di identificare sempre il soggetto proponente una opportunità lavorativa102.
Divieto di indagini e di richiesta di compensi
Attraverso la previsione di tutele precontrattuali per il tramite di disposizioni volte a proteggere il lavoratore si è voluto porre garanzie a favore di tale soggetto, al fine di evitare il verificarsi di trattamenti discriminatori nell’accesso al mercato della somministrazione di lavoro103.
Infatti, l’articolo 10 del decreto legislativo n. 276 del 2003 vieta
«qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro». Tale tutela, già garantita durante lo svolgimento del rapporto di
101 Art. 9, d.lgs. n. 276/2003.
102 Cfr. P. Rausei, Lo «statuto giuridico» del lavoratore nel mercato: trasparenza, formazione e tutela per i lavoratori svantaggiati, cit., 222.
103 X. Xxxxx, (continuato da) X. Xxxxxxxxxx, Istituzioni di diritto del lavoro, cit., 446.
La somministrazione di lavoro tra flessibilità e sicurezza
lavoro, è ora prevista nella fase precedente la costituzione del rapporto. Inoltre, è fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.
Di indubbia rilevanza, nell’ottica della tutela del lavoratore è la norma che vieta alle agenzie di esigere e/o di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore.
Forma scritto del contratto di somministrazione
Con riferimento alla sicurezza e alle tutele offerte nell’ambito del rapporto di lavoro, innanzitutto, un profilo rilevante è rappresentato dalla previsione normativa della stipulazione del contratto di somministrazione di manodopera in forma scritta e l’essenziale presenza di determinati elementi e requisiti richiesti ad substantiam. Tali elementi che devono essere indicati nel contratto sono:
a) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;
b) il numero dei lavoratori da somministrare;
c) i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 20;
d) l’indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate;
e) la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione;
f) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento;
g) il luogo, l’orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative;
h) assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del
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versamento dei contributi previdenziali;
i) assunzione dell’obbligo dell’utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro;
j) assunzione dell’obbligo dell’utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili;
k) assunzione da parte dell’utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell’obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.
Tutte queste informazioni relative al contratto di somministrazione nell’ambito del quale si inquadra la prestazione del lavoratore devono, poi, essere comunicate per iscritto allo stesso nel momento della stipulazione del contratto di lavoro ovvero del suo invio in missione, per consentire al lavoratore di verificare la corrispondenza tra i dati del contratto di somministrazione e del contratto di lavoro e il rispetto delle prescrizioni normative.
La violazione della forma scritta del contratto di somministrazione porta alla nullità del contratto, oltreché a considerare i lavoratori a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
Il principio di parità di trattamento
Un punto cardine dell’intera disciplina è rappresentato dalla applicazione del principio di parità di trattamento, col quale viene attribuito ai dipendenti del somministratore il diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte 104 . In proposito, si deve
104 Art. 23, comma 1, d.lgs. n. 276/2003.