Università Ca' Foscari Venezia
Università Ca' Foscari Venezia
Dipartimento di Management
Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione Finanza e Controllo
LM-‐77 -‐ Scienze economico-‐aziendali
LA CLAUSOLA DEL BENEFICIARIO EFFETTIVO QUALE STRUMENTO DI CONTRASTO ALL’ELUSIONE FISCALE INTERNAZIONALE
Relatore
Ch. Prof. Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx
Xxxxxxxxx Xxxxxx Xx Xxxxx
Matricola 857539
Anno Accademico 2019/2020
Desidero ringraziare innanzitutto il relatore di questa tesi, il Professor Xxxxxxx Xxxxxx, per avermi guidato e supportato nella fase più importante del mio percorso accademico e anche perché i
suoi insegnamenti sono stati fonte di passione e di entusiasmo;
Un ringraziamento particolare va anche al Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx per avermi seguita durante la stesura dell’elaborato;
Un ringraziamento di cuore va ai miei nonni Xxxxxxxx e Xxxxx ai quali
dedico questo traguardo;
Infine, ma non meno importante, desidero ringraziare i miei genitori per il supporto datomi in questi anni e rivolgere un pensiero a Xxxx che è stato per me un punto di riferimento in questi ultimi mesi.
INDICE
Introduzione 6
Parte I
ELUSIONE FISCALE E ABUSO DEL DIRITTO
Capitolo 1. L’elusione fiscale: inquadramento e definizioni 10
1.1 Premessa 10
1.2 Elusione, evasione e lecito risparmio d’imposta 11
1.3 Elusione fiscale “relativa” 13
Capitolo 2. L’elusione fiscale internazionale 15
2.1 Descrizione del fenomeno 15
2.2 La pianificazione fiscale aggressiva 17
Capitolo 3. Il concetto di abuso del diritto nell’ordinamento europeo
..................................................................................................................................................................................26
3.1 Considerazioni preliminari sull’abuso del diritto 26
3.2 La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sul divieto di pratiche abusive 28
3.3 La direttiva ATAD 1 contro le pratiche di elusione fiscale 37
Capitolo 4. Il concetto di abuso del diritto nell’ordinamento italiano .42
4.1 Premessa 42
4.2 Analisi normative anteriori l’articolo 10 Legge n. 408 del 1990 43
4.3 Dall’articolo 10 Legge n. 408 del 1990 all’articolo 37-‐bis D.P.R. 600/1973 45
4.4 L’abuso del diritto nell'elaborazione giurisprudenziale 49
4.5 L’articolo 10-‐bis Legge 212/2000 51
Capitolo 5. L’elusione nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni 56
5.1 Breve introduzione 56
5.2 Il ruolo dell’OCSE e del Rapporto BEPS nella lotta all’elusione fiscale
..........................................................................................................................................................................57
5.3 Treaty abuse, treaty shopping e società conduit 61
PARTE II
LA CLASUOLA DEL BENEFICIARIO EFFETTIVO
Capitolo 1. La clausola del beneficiario effettivo 68
1.1 La clausola del “beneficiario effettivo” nel Modello di convenzione OCSE 68
1.2 Analisi degli articoli 10, 11 e 12 del Modello di convenzione OCSE ......
.........................................................................................................................................................................80
1.3 Le “sentenze danesi”: rapporto tra beneficiario effettivo e direttive dell’Unione Europea 94
1.3.1 Introduzione 94
1.3.2 La Direttiva madre figlia 95
1.3.3 La Direttiva interessi – royalties 99
1.3.4 Considerazioni preliminari all’analisi delle sentenze danesi 103
1.3.5 La sentenza danese sui dividendi 107
1.3.6 La sentenza danese sugli interessi 113
1.3.7 Breve cenno alle holding statiche 117
1.4 Tabella sulle Convenzioni concluse dall’Italia che contengono o no la clausola del beneficiario effettivo 121
Conclusioni 124
Bibliografia 129
Introduzione
Per comprendere il significato di “elusione fiscale” o “abuso del diritto” è necessario analizzare la normativa comunitaria e nazionale sia per individuare la definizione – specifica per l’ordinamento tributario – di un fenomeno comunque relativo e in continua evoluzione, sia per delimitare l’ambito di applicazione in cui lo stesso si manifesta.
Una delle prime criticità nell’analisi del concetto di elusione fiscale è che esso viene utilizzato o sovrapposto a diverse fattispecie abusive che in qualche modo ne sono correlate.
In passato esso era impropriamente accostato alla simulazione, al contratto in frode alla legge, all’interposizione fittizia di persona e non sempre era chiaro se l’elusione fiscale e l’abuso del diritto fossero considerati sinonimi. Per quanto concerne tale ultimo aspetto, la soluzione positiva è ormai pacifica.
La seconda difficoltà deriva dal fatto che l’elusione fiscale si colloca in una posizione intermedia tra il risparmio d’imposta lecito, consentito dal legislatore, e l’evasione fiscale, non ammessa dalla legge e anzi sanzionata sia in via amministrativa che, in talune ipotesi, penale.
Si ritiene quindi necessario provare a delimitare i confini di tale posizione in modo da non confondere le tre sopracitate reazioni del sistema fiscale.
Inoltre, l’analisi è stata complicata dallo sviluppo di altri fenomeni riconducibili alla pianificazione fiscale aggressiva quali l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili, questi ultimi meglio noti con la locuzione inglese base erosion and profit shifting (BEPS).
Tali ultime due fattispecie si sono accentuate a seguito del processo di globalizzazione e della digitalizzazione dell’economia che hanno visto una repentina crescita di transazioni commerciali -‐ anche prive di fisicità -‐ e finanziarie che vanno oltre i confini nazionali. Infatti, la dinamica dell’elusione fiscale, se fino a qualche decennio fa era relegata all’interno dei singoli Stati, ha nel corso del tempo raggiunto dimensioni di carattere internazionale. Ciò in quanto le imprese hanno ritenuto opportuno svolgere le proprie attività in diversi paesi creando dei gruppi societari multinazionali e questo processo di espansione ha comportato una dimensione globale del reddito, rendendo
difficile la sua ridefinizione su base territoriale e quindi l’individuazione della giurisdizione o delle giurisdizioni nelle quali debba essere effettivamente tassato.
Ogni Stato, infatti, esercita la propria sovranità tributaria definendo quali sono i criteri per determinare sia quando un reddito è fiscalmente imponibile in detto Stato e sia quando un soggetto è considerato fiscalmente residente e quindi soggetto a tassazione per i redditi ivi prodotti. Possono esistere dei criteri di collegamento all’imposizione che si sovrappongono tra gli Stati e quindi si possono originare fenomeni di doppia tassazione sul medesimo reddito. Tale doppia imposizione internazionale può essere di due tipologie, giuridica qualora uno stesso reddito sia soggetto a tassazione in due stati diversi in capo allo stesso soggetto, oppure, economica quando uno stesso reddito viene tassato da due stati diversi in capo a due soggetti distinti.
I fenomeni di doppia imposizione creano delle distorsioni poiché possono scoraggiare l’esportazione dei capitali, oppure gli Stati stessi cercano di attrarre gli investimenti attenuando i livelli di tassazione o introducendo agevolazioni più favorevoli per diminuire o annullare la doppia imposizione, realizzando così una sorta di concorrenza. Gli Stati, quindi, hanno percepito l’esigenza di un sistema coordinato di esercizio della potestà impositiva sui redditi transazionali, accettando delle limitazioni volontarie alla propria sovranità tributaria. Uno dei metodi principali per evitare la doppia imposizione è la stipulazione di accordi, in genere bilaterali, che prendono il nome di Convenzioni contro le doppie imposizioni. Infatti, lo scopo principale di queste Convenzioni è proprio quello di evitare la doppia imposizione, specialmente quella giuridica. In genere esse s’ispirano ai modelli di convenzione elaborati da organizzazioni internazionali come OCSE o ONU. In questa tesi sarà oggetto di approfondimento il Modello di convenzione OCSE. Nonostante lo scopo di questi trattati sia quello di eliminare o ridurre la doppia tassazione e quindi di agevolare la circolazione dei capitali, le imprese hanno cercato di abusarne, puntando alla ricerca della convenzione o del sistema di convenzioni idonei per raggiungere il livello più favorevole o nullo di prelievo fiscale. Tale fenomeno può dar luogo al cosiddetto treaty abuse, ovvero abuso dei trattati convenzionali e comprende tutte quelle costruzioni poste in essere dai contribuenti con l’applicazione indebita o distorta delle norme contenute nelle Convenzioni.
La tipologia principale di abuso delle Convenzioni è quella del c.d. treaty shopping, in
altre parole una tecnica che comporta la creazione di strutture societarie allo scopo precipuo di sfruttare le migliori Convenzioni contro le doppie imposizioni e quindi ottenere vantaggi fiscali indebiti. Le procedure di treaty shopping più frequenti sono attuate dal contribuente per eliminare o ridurre le imposte applicate dallo Stato in cui è stato deciso di localizzare l’investimento (Stato della fonte), specialmente attraverso la costituzione di società intermediarie (conduit) in uno Stato che ha concluso con lo Stato della fonte una Convenzione bilaterale che garantisce una disciplina fiscale vantaggiosa.
Il primo obiettivo del presente elaborato è cercare di contestualizzare e definire le principali fattispecie di elusione fiscale internazionale analizzando sia l’evoluzione che tali fenomeni hanno assunto nel tempo, sia il percorso normativo antielusivo all’interno dell’ordinamento giuridico europeo e nazionale. Per quanto riguarda la normativa europea si analizzerà la Direttiva 1164/2016 (Direttiva ATAD 1) e si commenteranno le pronunce della Corte di Giustizia Europea nelle Sentenze che riguardano le fattispecie elusive. Per la normativa domestica, invece, si costruirà un percorso storico sull’evoluzione del concetto dell’elusione fiscale o dell’abuso del diritto in ambito tributario e, nello specifico, si analizzerà l’articolo 10-‐bis della Legge 212/2000 situato all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente, anche a confronto con alla normativa antielusiva precedente (art. 37-‐bis del D.P.R. n. 600/1973). Oltre all’analisi della normativa europea e nazionale, si approfonderà il prezioso contributo dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Infatti, sia con l’approvazione del Pacchetto di azioni BEPS durante il G20 a Lima dell’8 ottobre 2015 e sia con l’aggiornamento, in data 21 novembre 2017, del nuovo Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni, l’OCSE ha introdotto delle importanti novità in ambito di contrasto all’elusione fiscale e all’erosione della base imponibile. Il secondo obiettivo dell’elaborato si focalizzerà sulla clausola del beneficiario effettivo (beneficial owner) che è utilizzata nelle convenzioni contro le doppie imposizioni per contrastare l’elusione dei redditi derivanti dall’impiego del capitale (passive income), ossia dividendi, interessi e canoni in tutte le situazioni in cui viene interposta un’entità che non rappresenta il reale percettore del reddito, ma essenzialmente un mezzo per beneficiare di una tassazione nulla o ridotta. In questa seconda parte si cercherà di dare una definizione al
concetto di beneficiario effettivo in primis, ricostruendo l’evoluzione che tale concetto ha assunto nel tempo, e poi riportando e commentando gli articoli 10, 11 e 12 del modello di Convenzione OCSE nei quali viene utilizzata la clausola del beneficiario effettivo. Infine, l’ultimo capitolo di questa seconda parte sarà dedicato a capire le interpretazioni delle direttive europee in tema di tassazione dei dividendi, interessi e royalties recate dalle cosiddette “sentenze danesi” della Corte di Giustizia Europea del 26 febbraio 2019. In esso saranno analizzate e confrontate la direttiva madre figlia e la direttiva interessi – royalties e saranno ripresi i punti delle sentenze che riguardano sia il concetto di abuso del diritto che di beneficiario effettivo.
Parte I
ELUSIONE E ABUSO DEL DIRITTO
Capitolo 1. L’elusione fiscale: definizione e profili normativi
1.1 Premessa
In questo primo capitolo analizzo il tema dell’elusione fiscale alias abuso del diritto, anche se si tratta di un concetto difficilmente inquadrabile e complesso da definire. Infatti, l’espressione elusione fiscale assume significati, sfumature ed effetti diversi nei molteplici contesti normativi1. È per questo che nella parte I, ho diversificato l’elusione fiscale inquadrata all’ interno dell’ordinamento giuridico europeo (capitolo 3) da quella propria dell’ordinamento giuridico italiano (capitolo 4) e inoltre, nel capitolo successivo (capitolo 5) si delineeranno le possibili definizioni proposte dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE, oppure con l’acronimo inglese OECD, Organisation for Economic Co-‐operation and Development). In questo capitolo saranno analizzati diversi fenomeni di elusione fiscale delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, quali per esempio il treaty abuse, il treaty shopping e le strutture conduit. Nel capitolo 2, invece, sarà descritta l’elusione fiscale dal punto di vista internazionale, la quale si differenzia dall’elusione fiscale che rimane all’interno dei confini nazionali – che sarà inquadrata in questo primo capitolo – e sempre nel capitolo due si tratterà della pianificazione fiscale aggressiva.
Come si accennava nell’introduzione, per quanto concerne la sovrapposizione del termine di elusione fiscale con le altre fattispecie abusive, anch’essa sarà spiegata nei successivi paragrafi in base alla normativa considerata, specialmente nel contesto giuridico italiano. Dunque, dopo aver tracciato il percorso logico per una miglior lettura di questa prima parte dell’elaborato, comincio a inquadrare il fenomeno dell’elusione fiscale.
1 Anche X. XXXXXXX in Elusione fiscale internazionale, 2014 cit., p. 23, afferma che “non esiste una definizione ontologica di elusione fiscale, per cui è opportuno chiedersi quale sia l’essenza, sotto quali aspetti e che cosa s’intenda per elusione”.
1.2 Elusione, evasione e lecito risparmio d’imposta
In generale, la maggior parte della Dottrina concorda nel definire l’elusione fiscale come un tertium genus rispetto alla pianificazione fiscale legittima e all’evasione 2 . Con pianificazione fiscale legittima s’intendono tutti i comportamenti del contribuente finalizzati a ridurre il carico tributario nel rispetto della legge. Infatti, se l’Ordinamento offre diverse opzioni fiscali per il raggiungimento del medesimo risultato economico, esso riconosce inevitabilmente al contribuente una piena facoltà di scelta, quale espressione della propria autonomia negoziale. Qualora dunque il contribuente si avvalga in maniera lecita della strada più conveniente dal punto di vista fiscale, si realizza un legittimo risparmio d’imposta che è coerente anche con il principio di libertà d’iniziativa economica (art. 41 Costituzione). In un contesto aziendale, la pianificazione fiscale di una società o di un gruppo societario rappresenta un’attività legittima e financo necessaria, purché avvenga nel rispetto della Legge e dei principi dell’ Ordinamento, tra cui quelli di correttezza e buona fede. In uno scenario internazionale, le società di un medesimo Gruppo che sono situate in Paesi diversi possono sfruttare non solo le soluzioni offerte dalla normativa domestica, ma anche quella sovranazionale e convenzionale. Tengo a precisare che sia nella normativa interna3 sia in quella europea4 il contribuente è libero di pianificare la propria attività nel modo fiscalmente più conveniente5.
2 X. XXXXXXXXXX, Codificazione tributaria e abuso del diritto contributo allo studio degli strumenti di contrasto all’elusione fiscale, Padova, 2007, p. 164: il comportamento fiscalmente elusivo occupa una “zona d’ombra” che separa le concettualmente meno sfuggenti aree dell’evasione e della lecita pianificazione fiscale”; X. XXXXXXX, Elusione fiscale internazionale, 2014 cit., p. 23: “L’elusione occupa una zona grigia fra lecito risparmio d’imposta ed evasione fiscale: è un tertium genus al cui interno è possibile ricondurre comportamenti diversi”; X. XXXXXXXX, Abuso del diritto ed elusione fiscale, 2016, in Abuso del diritto ed elusione fiscale, di X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXX, Xxxxxx, 0000, p.22; COMANDO GENERALE DELLA
GUARDIA DI FINANZA, Manuale operativo di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, Circolare n.1/2018, p.7:“i comportamenti elusivi si collocavano al confine tra il lecito e l’illecito ovvero, in ambito tributario, nello spazio intermedio tra il lecito risparmio d’imposta e l’evasione fiscale”.
3 L’Art. 10-‐bis Legge 212/2000, che sarà oggetto di approfondimento nel capitolo 4, al comma 4 recita: ”Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.”
4 La direttiva dell’Unione Europea 1164/2016 al punto 11 afferma: ”il contribuente dovrebbe avere il diritto di scegliere la struttura più vantaggiosa dal punto di vista fiscale per i propri affari commerciali”. In aggiunta, in numerose sentenze della Corte di Giustizia Europea si sostiene che nulla vieta al contribuente di scegliere l’opzione fiscalmente più vantaggiosa, C-‐255/02 Halifax, punto 73; 12 settembre 2006,
C-‐277/09 RBS Deutschland Holdings GmbH, punto 54; 22 dicembre 2010, C-‐589/2012 Gmak UK, punto 48; 23 Settembre 2014.
5 P. L. CARDELLA, “Il prelievo sostitutivo improprio nel sistema di imposizione sul reddito”, Torino, 2018, p.187.
L’evasione fiscale, all’opposto, può essere definita <<come la condotta illecita volontariamente realizzata dal contribuente, il quale si sottrae in tutto (evasore totale) o in parte (evasore parziale) all’obbligazione tributaria attraverso una falsa rappresentazione della realtà o un'errata qualificazione giuridica della situazione di fatto>>6. Il comportamento evasivo è diretto e a posteriori7. Diretto perché il soggetto evasore non cerca di trovare una soluzione lecita per ridurre l’onere tributario, ma in maniera semplice e rozza riesce ad evitare le conseguenze illegali; a posteriori poiché nell’istante in cui il comportamento evasivo si rivela, il presupposto imponibile si è già determinato e l’obbligazione è quindi realizzata. L’evasione, dunque, consiste in un inadempimento dell’obbligazione tributaria validamente sorta e per questo è considerata un atto illecito. Dal mio punto vista, ciò che caratterizza l’evasione, rispetto all’elusione, che sarà in seguito delineata, non è tanto il fatto di ottenere un vantaggio tributario indebito, piuttosto l’aperta violazione di una norma tributaria. Infatti, in entrambi i casi si ha un risparmio d’imposta, solo che nell’evasione il presupposto dell’imposta viene realizzato e non dichiarato, mentre nell’elusione viene aggirato o in qualche modo evitato. Per essere più esplicita, nell’evasione fiscale il contribuente non dichiara tutto quello che dovrebbe censire in sede, per esempio, di dichiarazione dei redditi (o dell’IVA) e perciò paga un’imposta minore di quella che effettivamente corrisponderebbe alla propria capacità contributiva. Anche nell’elusione, il contribuente versa un’imposta inferiore rispetto a un’altra8, ma essa non è dovuta a delle reali fattispecie impositive poste in essere dal contribuente e non dichiarate, ma a quelle che avrebbe dovuto porre in essere e non lo ha fatto. Nell’elusione, quindi, il Fisco, riprende a tassazione non la fattispecie “elusiva”, ma quella “elusa”, ovvero quella che il contribuente ha evitato di realizzare cercando una soluzione a lui più favorevole dal punto di vista fiscale.
L’elusione fiscale può essere definita come la realizzazione da parte del contribuente di una o più operazioni collegate, che, pur nel rispetto formale della legge, si prefiggono come unico o principale scopo l’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti.
6 R. C. GUERRA, X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx [dir. trib.], Diritto on line, 2017,
xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx-‐dir-‐trib_%28Diritto-‐on-‐line%29/.
7 X. XXXXXXXXXX, Codificazione tributaria e abuso del diritto contributo allo studio degli strumenti di contrasto all’elusione fiscale, Padova, 2007, p. 164.
8 X. XXXXXX, Elusione e abuso del diritto [dir. trib.], Diritto on line, 2014,
xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx-‐e-‐abuso-‐del-‐diritto-‐dir-‐trib_%28Diritto-‐on-‐line%29/.
Come sostenevo prima, la caratteristica principale dell’elusione fiscale è quella di ottenere un risparmio fiscale non dovuto << per l’effetto dell’aggiramento di una norma tributaria impositiva (o dell’indebita applicazione della norma esentativa) attraverso il riscorso a fattispecie prive di valide ragioni economiche>>9. In aggiunta, l’elusione altera la finalità sostanziale di una norma impositiva rispettandone, però, l’aspetto xxxxxxx00. Infatti, si pongono in essere fatti e atti formalmente leciti secondo una norma o un insieme di norme, ma che in realtà determinano un vantaggio tributario non conforme allo spirito (ratio) delle stesse. Gli elementi caratterizzanti l’elusione fiscale sono dunque tre: uno soggettivo, uno oggettivo e uno di risultato11. L’elemento soggettivo si riscontra nell’intenzione di ottenere un risparmio d’imposta tramite operazioni che non hanno altri scopi se non la riduzione dell’onere tributario; quello oggettivo, consiste nell’anormalità delle operazioni poste in essere e infine dal punto di vista del risultato, si ottiene un risparmio di imposta indebito ovvero non previsto dalla norma impositiva o esentativa.
L’elusione, quindi, si differenzia dall’evasione poiché pone in essere delle fattispecie formalmente lecite e si distingue dal lecito risparmio d’imposta poiché ha come obiettivo il raggiungimento di un vantaggio tributario indebito, ovvero non lecito.
1.3 Elusione fiscale “relativa”
Come accennavo nell’introduzione, l’elusione fiscale è un fenomeno relativo poiché è funzione diretta della quantità e qualità delle norme che compongono il sistema tributario 12 . Il diritto tributario, infatti, è caratterizzato da un insieme di norme particolaristiche che individuano fattispecie impositive casistiche. Essendoci, quindi, una legislazione asistematica e puntuale, l’ordinamento tributario diventa vulnerabile e si creano così le condizioni per indurre comportamenti elusivi da parte del contribuente. Un sistema normativo rigido e casistico non riesce a seguire l’evoluzione normativa e diventa inefficace nel controllare la genuinità delle nuove forme di aggregazione societaria. L’elusione, inoltre, è sinonimo di un aggiramento che è tanto più facile quanto
9 P. PISTONE, Diritto tributario internazionale, Torino, 2019, p. 76.
10 COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, Manuale operativo di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, Circolare n.1/2018, p. 7:”L’elusione è una forma di risparmio che è conforme alla lettera ma non alla ratio delle norme tributarie”.
11 Corte di Cassazione, sentenza del 29 luglio 2004, n. 14515
00 X. XXXXXXXXX, Xx legge civile e la legge fiscale: il problema dell’elusione fiscale, Padova, 1992, p.125.
più “la norma costituisca una micro-‐entità circoscritta ed inserita in un contesto legislativo atomizzato”13. L’iperattivismo legislativo, tipico del diritto tributario, lascia spazi vuoti e incrinature che causano problemi di certezza del diritto e più possibilità di fenomeni elusivi.
Infine, un altro aspetto che rende relativo il fenomeno dell’elusione fiscale è quello che riguarda in quale contesto normativo il contribuente si inserisce, se nazionale, internazionale, convenzionale o in tutti e tre. Infatti, in base alla fonte della norma che è stata sostanzialmente aggirata ci sarà, se prevista, una disciplina antielusiva che contrasta l’indebito vantaggio tributario ottenuto e tale disciplina è coerente con la fonte della norma. Le norme antielusive saranno oggetto di approfondimento nei prossimi paragrafi nei quali sarà tracciato anche un rapido excursus sulla nascita ed evoluzione del divieto di abuso del diritto in ambito tributario.
13 X. XXXXXXXXX, op.cit.,p. 131.
CAPITOLO 2: L’elusione fiscale internazionale
2.1 Descrizione del fenomeno
Negli ultimi anni, i fenomeni elusivi hanno travalicato i confini nazionali come conseguenza del crescente sviluppo delle imprese a livello internazionale. Le imprese, infatti, si sono spinte a ricercare condizioni fiscali favorevoli in altri Paesi in maniera non sempre lecita. Da un punto di vista concettuale, l’elusione fiscale internazionale non è diversa da quella che produce effetti nell’ordinamento interno, giacché si sostanzia sempre nell’aggiramento di una norma per evitare di far emergere il presupposto impositivo, ponendo in essere delle operazioni economiche che hanno come scopo principale l’ottenimento di un vantaggio fiscale indebito. Ciò che le distingue, invece, è il contesto normativo di riferimento. Nell’elusione fiscale domestica gli effetti economici negativi14 ricadono all’interno dello Stato ed è la normativa interna che provvede a contrastare i fenomeni elusivi. Invece, l’elusione fiscale internazionale può comportare conseguenze negative in più Stati qualora il gruppo societario riesca a far saltare la tassazione sia nello Stato della fonte sia in quello della residenza15 tramite meccanismi di
14 L’elusione fiscale comporta inevitabilmente delle conseguenze economiche negative perché se l’obiettivo delle operazioni elusive è quello di ridurre o annullare l’onere tributario, le entrate fiscali nelle casse dello Stato diminuiscono e non si coprono quindi le spese pubbliche statali. A livello costituzionale, l’articolo 53 recita: ”Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Da questo articolo se correlato con il numero 2 (principio di solidarietà) e il numero 3 (principio di eguaglianza), si può dedurre che tutti devono impegnarsi nel partecipare a sostenere le spese pubbliche come espressione di un generale dovere di solidarietà e per garantire il rispetto dell’eguaglianza. I contribuenti, quindi, qualora siano effettivi titolari di reddito sono chiamati a concorrere alla spesa pubblica.
15 Quando si tratta di fattispecie transazionali un problema che si verifica è la doppia imposizione, solo più recentemente si sono sviluppati fenomeni di doppia non imposizione. Cerco di spiegarne le differenze. Le fattispecie transazionali si possono attuare in diversi modi. Un esempio è quando un soggetto passivo ponga in essere delle operazioni che lo portino a essere considerato soggetto passivo in due Stati (Stato A e Stato B) e perciò può essere tassato da entrambi se sia lo Stato A sia lo Stato B tassino i redditi prodotti dal soggetto. Un secondo esempio è quando un soggetto passivo di uno Stato produce reddito nel territorio di un altro Stato. In questo caso, è possibile che sia lo Stato della residenza, ovvero lo Stato in cui il soggetto è considerato fiscalmente residente e quindi soggetto passivo, e sia lo Stato della fonte, nel quale è localizzato il reddito, vogliono tassare il medesimo reddito. Questo accade perché in genere, gli Stati della residenza adottano il criterio della worlwide taxation, ovvero tassano i propri residenti per tutti i redditi prodotti nel mondo, e dall’altra parte adottano il criterio della fonte, ovvero gli Stati tassano i non residenti per il presupposto che hanno localizzato nel proprio territorio una fonte di reddito. La combinazione di questi due criteri può far emergere la doppia tassazione. La doppia imposizione può essere giuridica o economica. Giuridica quando lo stesso soggetto viene assoggettato a tassazione da due Stati diversi, quindi stesso soggetto sullo stesso reddito; economica quando due soggetti diversi vengono assoggettati a tassazione sulla stessa ricchezza in due Stati diversi.
esenzione o deduzione delle imposte oppure conseguenze anche a livello europeo quando riguarda imposte armonizzate come l’IVA. Nel primo caso ci si riferisce ai fenomeni di doppia non imposizione che l’OCSE si sta impegnando a contrastare attraverso un coordinamento fiscale internazionale e del quale si tratterà nel capitolo 5 . Rimanendo in ambito OCSE, riporto la definizione che l’Organizzazione internazionale attribuisce all’elusione fiscale: “A term that is difficult to define but which is generally used to describe the arrangement of a taxpayer's affairs that is intended to reduce his tax liability and that although the arrangement could be strictly legal it is usually in contradiction with the intent of the law it purports to follow”16, ovvero, secondo una mia personale traduzione, “un termine che è difficile da definire ma che è generalmente usato per descrivere la gestione degli affari (business) di un contribuente che ha lo scopo di ridurre il debito d’imposta e sebbene questa gestione possa sembrare legale, di solito è in contraddizione con lo scopo della legge che il contribuente ritiene di rispettare”. Ciò che emerge è che anche a livello OCSE è stata colta la difficoltà di fornire una soddisfacente definizione di elusione fiscale, pur se si fa anche qui ricorso aconcetti noti alla
Ci sono dei metodi leciti per evitare la doppia imposizione di carattere unilaterale o di carattere convenzionale, a seconda che le misure siano contenute in una norme di legge nazionale oppure a seconda che siano contenute in una Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni. Le misure possono essere: il credito d’imposta, l’esenzione e la deduzione. Il Modello di Convenzione OCSE adotta il metodo del credito d’imposta e della deduzione. L’Italia, in via unilaterale, ovvero nel caso non sia stipulata una convenzione con lo Stato della fonte, adotta il metodo del credito d’imposta (art.165 TUIR). I tre metodi comportano situazioni economiche diverse.
Il credito d’imposta concede al residente di detrarre dall’imposta nazionale quella pagata in un altro Stato sul medesimo reddito. Tale metodo ha però un limite, in altre parole, l’imposta estera detraibile non può superare quella nazionale.
L’esenzione è una misura per cui lo nello Stato della residenza i redditi prodotti all’estero sono esentati da imposta.
La deduzione, infine, è un metodo secondo cui le imposte pagate all'estero si deducono dalle imposte dovute nello Stato di residenza. Tale metodo è poco utilizzato.
A livello economico, il credito d’imposta produce effetti diversi dall’esenzione. In generale si può affermare che il metodo dell'esenzione allinea la tassazione sul livello della tassazione dello Stato della fonte, il metodo del credito, invece, tendenzialmente allinea la tassazione sul livello più alto dei due Stati (che in genere è lo Stato della residenza) poiché uno Stato non concederà mai un credito maggiore delle imposte nazionali pagate.
I contribuenti, sia persone fisiche sia giuridiche, cercano di localizzare la produzione di reddito in uno Stato con il quale lo Stato della residenza abbia stipulato una Convenzione molto favorevole dal punto di vista fiscale. Ciò è consentito sia a livello nazionale che europeo (si vedano note n. 3 e 4), tuttavia, non è considerato lecito il fatto di aggirare le norme contenute nelle Convenzioni o le norme interne di uno Stato con lo scopo principale di ottenere un vantaggio fiscale che diventa quindi indebito.
Infine, di recente, i contribuenti non solo hanno puntato ad appropriarsi indebitamente di vantaggi fiscali non dovuti, ma hanno anche realizzato fenomeni di doppia non imposizione. Con questa espressione si fa riferimento alla situazione in cui il contribuente evita la tassazione sia nello Stato di residenza sia nello Stato della fonte.
16 OECD, Glossary of tax terms, xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.
legislazione domestica quali l’ intento di ridurre il carico di imposta e la discrasia tra il dettato della norma, formalmente rispettato (“the arrangement coudl be stictly legal”) e la violazione della sua ratio (“intent of the law”).
Nel paragrafo successivo sarà approfondita una fattispecie di elusione fiscale internazionale.
2.2 La pianificazione fiscale aggressiva
La pianificazione fiscale aggressiva (o in inglese, aggressive tax planning, ATP) può essere considerata una forma elusiva anche se una parte della Dottrina sostiene che non sia perfettamente sovrapponibile al concetto di elusione fiscale poiché per alcuni aspetti vi si differenzierebbe. In aggiunta, l’ATP non è una vera categoria giuridica17, ma un fenomeno da contrastare poiché altera l’equilibrio di ripartizione della potestà impositiva tra Stati. La pianificazione fiscale aggressiva consiste nello sfruttamento delle disparità transnazionali tra gli ordinamenti tributari, al fine di conseguire vantaggi d’imposta che gli Stati non avrebbero altrimenti inteso concedere18.
A livello internazionale sia il Consiglio dell’Unione Europea sia l’OCSE si sono interessati a tale fenomeno. Secondo l’Unione Europea, la pianificazione fiscale aggressiva è causata da diversi fattori, ovvero, dalla difficoltà del diritto tributario di evolversi riguardo ai fenomeni di globalizzazione e digitalizzazione, dalla poca coordinazione delle norme impositive che regolano la tassazione del reddito delle società (specie tra gruppi societari europei) e dalla concorrenza fiscale dannosa19 che si genera tra gli Stati membri per attrare gli investimenti. Infatti, il mercato globale, nel quale dovrebbero trovare applicazione norme anch’esse globali, è invece dominato dalla presenza di tanti
17 A conferma del fatto che non lo sia, l’ho potuto riscontrare sia all’interno del Sito online dell’OCSE dove non vi è una definizione di ATP nel “Glossary of tax terms” e anche in vari articoli di riviste come per esempio X. XXXXXXX, Taking EU Fundamental Freedoms Seriously: Does the Anti-‐tax Avoidance Directive Take Precedence over the Single Market, EC Tax Review, n. 3/2017, p. 170 o X.Xxxxxx , La “pianificazione fiscale aggressiva”come non-‐categoria del diritto, Novità Fiscali, dicembre 2018.
18 P. PISTONE, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale, Rivista trimestrale diritto tributario, Fascicolo 2-‐2016.
19 S’intende una corsa al ribasso delle aliquote fiscali per incentivare gli investimenti di capitali. Se uno Stato decide di attrare potenziali investitori, riduce il prelievo fiscale a danno di un’equa ripartizione della ricchezza tra gli Stati. Questi ultimi allora, giocheranno anche loro a ribasso delle loro aliquote e così facendo, nel lungo periodo, si arriverebbe a una competizione fiscale dannosa poiché la pressione fiscale raggiungerebbe livelli eccessivamente bassi.
ordinamenti giuridici quanti sono gli Stati coinvolti nelle transazioni economiche20. Le cause sopra elencate offrono alle società multinazionali la possibilità di allocare i propri investimenti considerando, tra le altre, la variabile fiscale, spostando quote degli utili, che si caratterizzano per avere un minore collegamento con uno specifico territorio, in altri Stati dove l’imposizione fiscale è più vantaggiosa e ciò fa si che la pianificazione fiscale aggressiva crei distorsioni nelle condizioni di parità tra le società che riescono a evitare di pagare la loro giusta quota di tasse e altre società che non hanno accesso alle stesse possibilità di pianificazione fiscale transfrontaliera 21 . Altre conseguenze economiche dell’ATP sono la perdita del gettito fiscale nei paesi in cui la base imponibile viene erosa e il venir meno della fiducia dei contribuenti onesti in quanto possono ritenere che le Istituzioni non riescano a svolgere una efficiente azione di contrasto.
Tuttavia, negli ultimi anni, l’Unione Europea ha cercato di fronteggiare i fenomeni elusivi, compresa la pianificazione fiscale aggressiva seguendo anche le raccomandazioni e gli studi dell’OCSE. Le principali misure adottate dall’Unione Europea e che ritengo utili citare sono la direttiva antielusione (Anti-‐Tax Avoidance Directive, ATAD) e l’ATAD222 che contrastano i disallineamenti da ibridi23 e la promozione della trasparenza fiscale tramite lo scambio automatico di informazioni, ovvero il ruling
20 X. XXXXXXX, Elusione fiscale internazionale, Milano, 2014, p. 49.
21 COMMISSSIONE EUROPEA, Contenere la pianificazione fisale aggressiva, scheda tecnica per il semestre europeo, 20.11.2017.
22 La direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016 (cosiddetta Anti Tax Avoidance Directive
– ATAD 1) fa parte del pacchetto anti elusione emanato dalla Commissione Europea per introdurre negli Stati membri un insieme di misure di contrasto alle pratiche di elusione fiscale. Essa si basa
sulle raccomandazioni dell’OCSE del 2015 volte a scoraggiare l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (BEPS). La direttiva (UE) 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017 (ATAD 2) ha apportato modifiche alla direttiva 2016/1164, con l’intento di contrastare i disallineamenti da ibridi (anche qui l’UE si rifà all’OCSE basandosi sull’azione n. 2 dell’Action Plan (si veda nota n.23)) che coinvolgono i Paesi terzi.
La direttiva 2016/1164 (ATAD 1), infatti, stabilisce solo le regolazioni ibride da disallineamento fiscale derivate dall’interazione fra i regimi di imposizione delle società degli Stati membri e non coinvolge anche Stati terzi.
23 Le entità ibride sono definite dall’art. 6, comma 1, lett. i), D.lgs. n. 142/2018 come “qualsiasi entità o accordo che in base alla legislazione di uno Stato è considerato un soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi e i cui componenti positivi e negativi di reddito sono considerati componenti positivi e negativi di reddito di un altro o di altri soggetti passivi a norma delle leggi di un'altra giurisdizione”; alla lettera a) del medesimo articolo, invece, con disallineamento si intende “un effetto di doppia deduzione o di deduzione senza inclusione”. La deduzione senza inclusione è una deduzione di un componente negativo (pagamento) all’interno di una giurisdizione senza che esso sia incluso tra i redditi imponibili della entità che riceve il pagamento di un’altra giurisdizione.
fiscale e il country by country reporting 24 . Il country by country reporting rientra all’interno della direttiva europea n. 881 del 2016 chiamata anche DAC 4. L’acronimo DAC sta per Directive Administrative Cooperation e il numero 4 fa riferimento alla DAC quattro in quanto in totale sono sei. Per un breve percorso di analisi sull’evoluzione delle DAC rinvio alla Tavola n.1 a fine paragrafo.
Per quanto concerne l’OCSE, all’interno dell’Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting25, l’azione numero 12 è dedicata all’analisi dei metodi per contrastare l’ATP. L’action 12 ha come titolo ”Require taxpayers to disclose their aggressive tax planning arrangements”. L’action 12 sviluppa delle raccomandazioni per elaborare regole di divulgazioni obbligatorie (mondatory disclosure rules) per imporre ai contribuenti di divulgare gli schemi di pianificazione fiscale aggressiva. L’intento di tale azione è di agevolare le autorità fiscali nell’ottenimento di informazioni tempestive, complete e pertinenti sulle strategie di pianificazione fiscale potenzialmente aggressive o abusive. La disponibilità di tali informazioni è inoltre essenziale per consentire ai governi di identificare rapidamente le aree di politica fiscale che potrebbero subire delle perdite per la mancanza di entrate. L'action 12 invita i paesi membri dell'OCSE e del G20 a sviluppare raccomandazioni in merito alla progettazione di regole di divulgazione obbligatorie per transazioni, accordi o strutture aggressive o abusive, tenendo conto anche dei costi amministrativi per le amministrazioni e le imprese fiscali. Un esempio di raccomandazione viene elaborato sempre dall’OCSE attraverso il documento “Mandatory Disclosure Rules, Action 12 -‐ 2015 Final Report”, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project26.
Esso si suddivide in 4 capitoli:
24 Per una contestualizzazione del country by country reporting riporto quella che il sito dell’Agenzia delle Entrate fornisce: “La direttiva (UE) 2016/881 del Consiglio del 25 maggio 2016 ha introdotto disposizioni relative allo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale. L’articolo 1, commi 145 e 146 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (stabilità 2016) ha previsto che la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale, residente nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 73 del TUIR, deve presentare all’Agenzia delle Entrate una rendicontazione paese per paese”. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxxx/xxxxxx/xxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxx-‐dati-‐nazionali-‐ paese-‐per-‐paese/scheda-‐informativa-‐rendicontazione-‐dati-‐nazionali.
25 OECD (2013), Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting, OECD Publishing. xxxx://xx.xxx.xxx/00.0000/0000000000000-‐en. L’Action Plan o Progetto BEPS fu pubblicato dall’OCSE il 19 Luglio 2013 e approvato a Lima l’8 Ottobre 2015 dai ministri finanziari del G20. Di questo si parlerà nel paragrafo 2.2 del capitolo 2 (parte I). Anticipo che l’Action Plan è un pacchetto di 15 azioni per contrastare il fenomeno BEPS in maniera coordinata e globale.
26 OECD (2015), Mandatory Disclosure Rules, Action 12 -‐ 2015 Final Report, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, OECD Publishing, Paris. xxxx://xx.xxx.xxx/00.0000/0000000000000-‐en.
Il capitolo 1 fornisce una overview delle caratteristiche chiave di un regime di divulgazione obbligatorio e considera la sua interazione con altre iniziative di divulgazione; il capitolo 2 illustra sia la struttura sia le caratteristiche per la progettazione modulare di un regime di divulgazione obbligatorio; il capitolo 3 esamina le transazioni internazionali e considera come queste potrebbero essere meglio catturate da un regime di divulgazione obbligatoria; infine il capitolo 4 considera lo scambio di informazioni nel contesto di schemi internazionali.
Le caratteristiche principali del mondatory disclosure regime sono riassunte dai seguenti passaggi:
-‐ Who has to report (chi deve fornire le informazioni).
Il regime si rivolge ai contribuenti (utenti) e / o pianificatori (promotori o consulenti) di potenziali schemi di elusione;
-‐ What has to be reported (cosa deve essere comunicato alle Autorità fiscali).
A questa caratteristica il documento risponde con due concetti:
• Gli Stati devono prima decidere quali tipi di schemi e piani dovrebbero essere divulgati in base al regime (per esempio la definizione di uno "schema da segnalare"). Il fatto che un regime sia oggetto di segnalazione non significa automaticamente che comporti un’elusione fiscale. Inoltre, è improbabile che sia progettato un regime di divulgazione per raccogliere tutte le elusioni fiscali, mentre è probabile che la divulgazione abbia come target le aree di elusione e pianificazione fiscale aggressiva che sono percepite come rischi maggiori;
• Gli Stati necessitano anche di determinare quali informazioni devono essere riportate / divulgate nello schema prescelto. Ciò comporta il raggiungimento di un equilibrio tra la garanzia che le informazioni siano chiare e utili e oneri eccessivi per i contribuenti.
-‐ When information is reported (quando le informazioni vengono comunicate).
Lo scopo del regime sulla divulgazione obbligatoria è fornire all'Autorità fiscali
informazioni tempestive su determinati schemi di pianificazione fiscale e sui loro utenti;
-‐ What other obligations (if any) should be placed on promoters and/or scheme users (quali altri obblighi (se presenti) dovrebbero essere imposti ai promotori e / o agli utenti del regime).
Alcuni Stati, ad esempio, potrebbero segnalare un numero di identificazione univoco al loro schema al fine di identificare gli utenti dei sistemi divulgati. Le regole di divulgazione possono anche richiedere ai promotori di fornire elenchi di clienti alle Autorità fiscali;
-‐ What are the consequences of non-‐compliance (quali sono le conseguenze della non conformità, ovvero di non comunicare).
La mancata osservanza delle regole di comunicazione in genere innesca delle sanzioni. Inoltre, gli Stati possono applicare altre sanzioni per imporre regole di divulgazione obbligatorie e scoraggiare la non collaborazione;
-‐ What are the consequences of disclosure (quali sono le conseguenze della divulgazione/ comunicazione dello schema all’Autorità fiscale).
I regimi di divulgazione obbligatoria devono essere chiari sulle conseguenze della divulgazione per il contribuente e il consulente. In particolare, gli Stati dovrebbero chiarire che la comunicazione di un regime non significa che sia accettato dall’Autorità fiscale o che non sarà contestato;
-‐ How to use the information collected (come utilizzare le informazioni raccolte dalle comunicazioni).
I regimi di divulgazione obbligatoria dovrebbero fornire informazioni pertinenti sui sistemi di elusione fiscale, pertanto, oltre a definire l'ambito di applicazione delle norme sopra menzionate, gli Stati dovrebbero anche considerare come sfruttare appieno le informazioni raccolte al fine di migliorare la collaborazione.
La Mandatory disclosure rules elaborata dall’OCSE è stata utilizzata anche dall’Unione Europea come spunto per la direttiva 2018/822 (DAC 6) comportando, quindi, un rilevante ampliamento e contributo agli obiettivi di trasparenza e comunicazione che l’OCSE e di conseguenza l’Unione Europea vogliono raggiungere, in modo da identificare possibili schemi di ATP ed evitare quindi erosione di base imponibile negli Stati.
Per terminare questo paragrafo dedicato alla pianificazione fiscale aggressiva, desidero soffermarmi ancora sulla sua definizione per stabilire se possa considerarsi sinonimo di elusione fiscale o se da questa si differenzi. La definizione che oggi fornisce l’Unione Europea rispecchia quella della Raccomandazione 2012/772/UE della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva del 6 dicembre 2012 che al punto (2) recita: “la pianificazione fiscale aggressiva consiste nello sfruttare a proprio vantaggio gli aspetti tecnici di un sistema fiscale o le disparità esistenti fra due o più sistemi fiscali al fine di ridurre l’ammontare dell’imposta dovuta27” ed è ripresa appunto nella scheda tecnica del 2017 “contenere la pianificazione fiscale aggressiva”28 che afferma “la pianificazione fiscale aggressiva consiste nella riduzione, da parte dei contribuenti, del loro debito d’imposta mediante operazioni che, sebbene possano essere lecite, sono in contrasto con lo scopo della norma. La pianificazione fiscale aggressiva prevede lo sfruttamento delle lacune esistenti in un sistema fiscale e dei disallineamenti tra sistemi fiscali”. Altra conferma di quanto appena sostenuto, ovvero che la definizione attuale di ATP è rimasta pressoché identica a quella passata, la si ritrova all’interno del documento dell’ European Commission, Aggressive tax planning indicators29, il quale recita che “we start with the definition of the European Commission (2012), which describes aggressive tax planning as “taking advantage of the technicalities of a tax system or of mismatches between two or more tax systems for the purpose of reducing tax liability.” Subito dopo questa definizione vi è uno schema che a mio avviso chiarisce in maniera semplice e immediata la distinzione tra pianificazione fiscale, evasione e pianificazione fiscale aggressiva. Lo riporto di seguito:
27 RACCOMANDAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA sulla pianificazione fiscale aggressiva del 6 dicembre 2012, (2012/772/UE).
28 Documento citato alla nota n.21.
29 EUROPEAN COMMISSION, Aggressive tax planning indicators, 2017, p. 23.
Using tax
provisions in the spirit of law.
Rearrange
Tax planning
Aggressive tax planning
Tax evasion
international flows to avoid repatriation taxes.
Reallocate the
tax base to a lower−tax country.
Reduce the tax
base via a double deduction or double non− taxation.
Illegal
measures,
e.g. non disclosure of income.
Aggressiveness of firm behaviour
Sempre all’interno del documento, la Commissione studia tre schemi di ATP, ovvero quelli realizzabili tramite i pagamenti di interessi, i pagamenti delle royalties e le strategie di transfer pricing.
Per quanto riguarda, invece l’ultimo punto di analisi, sostengo che la pianificazione fiscale aggressiva non sia sinonimo di elusione fiscale piuttosto una fattispecie abusiva/elusiva che ha caratteristiche sia simili sia diverse rispetto all’elusione fiscale internazionale. Con entrambi i due fenomeni si ottengono vantaggi fiscali indebiti solo che nell’ATP è più difficile dimostrare che non vi siano valide ragioni economiche a supporto delle scelte effettuate dalle società. Infatti, una delle forme di pianificazione fiscale di un gruppo societario è quella di localizzare le società in diversi paesi sfruttando le normative interne e ciascuna potrebbe svolgere effettivamente attività economica senza essere considerata una struttura di puro artificio (concetto che verrà delineato nel capitolo 3). Lo schema complessivo di pianificazione, quindi, potrebbe non essere considerato una manifestazione di elusione e quindi è difficilmente contrastabile dai singoli Stati poiché le disposizioni nazionali vigenti in questo settore spesso non sono pienamente efficaci, soprattutto a causa della dimensione transnazionale di molte strutture di pianificazione fiscale e della maggiore mobilità dei capitali e delle persone (punto 3 raccomandazione). Proprio per questo ultimo motivo sia l’OCSE sia l’Unione Europea puntano a una cooperazione tra gli Stati realizzata tramite lo scambio di informazioni in materia fiscale e a una maggiore trasparenza.
Tavola n. 1 -‐ Cenni sull’evoluzione delle direttive DAC (Directive Administrative Cooperetion)
DAC | Data direttiva | direttiva n. | Breve descrizione* | Attuazione in Italia |
1 | 15/02/2011 | 2011/16/UE | Cooperazione amministrativa nel settore fiscale, scambio automatico di informazioni dai periodi d’imposta dal 1o gennaio 2014 (abroga la direttiva 77/799/CEE | D. Lgs. 4 marzo 2014, n. 29 |
2 | 09/12/2014 | 2014/107/UE recante modifiche | Amplia le categorie di reddito oggetto di scambio | Decreto del Ministro |
alla direttiva | automatico, obbligo di trasmettere | dell'economia | ||
2011/16/UE | informazioni, per i periodi d’imposta | e delle finanze | ||
a decorrere dal 1o gennaio 2016, per | del 28 | |||
quanto concerne i Conti Bancari | dicembre | |||
2015. | ||||
3 | 08/12/2015 | 2015/2376/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE | Estende lo scambio automatico obbligatorio di informazioni ai ruling preventivi transfrontalieri e agli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento | D. Lgs. 15 marzo 2017, n. 32 |
4 | 25/05/2016 | 2016/881/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE | Scambio automatico obbligatorio di informazioni in materia di rendicontazione Paese per Paese (country by county reporting) | Articolo 1, commi 145 e 146 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 |
D.M. 23/02/2017 | ||||
5 | 06/12/2016 | 2016/2258/UE recante modifiche | Accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di | Legge 25 ottobre 2017, |
alla direttiva | antiriciclaggio | n. 163 | ||
2011/16/UE | X.Xxx. 18 | |||
maggio 2018, | ||||
n. 60 | ||||
6 | 25/05/2018 | 2018/822/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE | Scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica. | D. Lgs. 29 gennaio 2020, n.26 (esame preliminare) |
* descrizione rinviabile al sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx/xxx/xxxxx.xxx/0000/00/00/xxxxxxxxxxx-‐delle-‐ direttive-‐dac-‐directive-‐administrative-‐cooperation/ e alla RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO sull'applicazione della direttiva 2011/16/UE del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore della fiscalità diretta, COMMISSIONE EUROPEA, Bruxelles, 18.12.2017.
Le Direttive DAC sono degli strumenti che l’Unione Europea ha adottato per contrastare le pratiche di elusione fiscale internazionale tra cui rientra la pianificazione fiscale aggressiva. Esse si basano su uno scambio automatico d’informazioni affinché vi sia più cooperazione e trasparenza tra le Autorità Fiscali degli Stati specialmente in materia di imposizione sul reddito. Questa collaborazione è promossa anche dall’OCSE e, infatti, molte DAC si basano sulle diverse azioni dell’Action Plan dell’OCSE (nota n.23): la DAC 4 fa riferimento all’azione n.13 dell’Action Plan e la DAC 6 prende spunto dall’azione n. 12.
Capitolo 3. Il concetto di abuso del diritto nell’ordinamento europeo
3.1 Considerazioni preliminari sull’abuso del diritto
In questa prima parte dell’elaborato mi sono dedicata a delineare una generale contestualizzazione del concetto di elusione fiscale prima limitandomi all’ambito nazionale e poi estendendo la trattazione a livello internazionale. Il passaggio successivo è quello di descrivere l’abuso del diritto in ambito tributario riportando le norme che vietano e contrastano tale pratica nell’ordinamento unionale e nazionale. Infatti, l’elusione fiscale è un sinonimo di abuso del diritto30. In generale, l’abuso del diritto consiste in un “esercizio anomalo del diritto” 31 e si realizza quando un soggetto, esercitando un diritto espressamente riconosciuto dalla legge, pone in essere dei comportamenti o conclude atti e fatti in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso gli viene riconosciuto, e quindi si spinge oltre il limite meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Infatti, negli anni ’30 del 1900, la cultura giuridica riteneva che l’abuso del diritto fosse più un concetto etico sociale che una nozione giuridica, cosicché chi poneva in essere comportamenti abusivi era meritevole di biasimo ma non di sanzione giuridica. L’espressione abuso del diritto potrebbe sembrare un apparente ossimoro32, frutto dell’accostamento di due termini aventi significato antitetico: il diritto quale espressione di una libertà tutelata dall’ordinamento, l’abuso come appropriazione non lecita di quella libertà e quindi è meritevole di sanzione da parte dell’ordinamento. Storicamente, il concetto di abuso del diritto risale alla giurisprudenza francese del diciannovesimo secolo in materia di proprietà33. Infatti, con la rivoluzione francese, i
30 Prima dell’ufficiale unificazione dei due concetti con l’articolo 10-‐bis L. 200/2012, diversi autori ritenevano che l’elusione e l’abuso del diritto fossero due fenomeni simili, per esempio in LA ROSA, Abuso del diritto ed elusione fiscale: differenze ed interferenze, in Diritto e pratica tributaria, 4/2012, p. 707; X. XXXXXX, Note in tema di elusione fiscale, abuso del diritto e applicazione delle sanzioni amministrative, Rivista trimestrale di diritto tributario, 2/2013 “Allo stato della elaborazione giurisprudenziale l’elusione di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 e l’abuso (avente fonte comunitaria per i tributi armonizzati e costituzionale per i tributi non armonizzati) finiscono sostanzialmente per coincidere, in quanto fenomeni omogenei, e il loro rapporto dovrebbe essere risolto in base al principio di specialità”.
31 XXXXXXXX, MARINI, MERONE, L’abuso del diritto nel dialogo tra corti nazionali ed internazionali, Napoli, 2014, p. 15.
32 X. XXXXXX, Ancora sull’abuso del diritto Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza, Questione Giustizia, 4/2016.
33 I sostenitori della teoria secondo cui l’abuso del diritto sia nato in Francia nel diciannovesimo secolo sono molti. Cito, ad esempio, X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto nella fiscalità vista da un civilista, in FONDAZIONE XXXXXXX XXXXXX, I “Venerdì di Diritto e Pratica Tributaria” Macerata 29-‐30 giugno 2012,
principi di libertà ed eguaglianza portarono nel corso del tempo a delle conseguenze tutt’altro che positive, poiché l’autonomia del singolo individuo finì per recare danno ad altri, proprio a causa dell’utilizzo in maniera eccessiva e “abusiva” di tali principi.
In seguito, il concetto di abuso del diritto fu trattato in diverse situazioni in ambito giurisprudenziale e parte della dottrina riteneva che “dove finisce il diritto, inizia l’abuso”34. Infatti, l’impianto normativo garantisce agli individui di esercitare in maniera piena e assoluta i diritti previsti dalla Legge ed espressivi della capacità giuridica acquisita. Tuttavia, ogni diritto è sottoposto a una serie di limiti e qualora siano normativamente previsti, nel valicarli si attua un comportamento contra lege; invece l’abuso del diritto si ha quando l’individuo esercita un diritto con l’intenzione di raggiungere uno scopo non tutelato dalla legge stessa. Un soggetto, quindi, utilizza le singole disposizioni dell'ordinamento giuridico secondo modalità che, pur rispettando la lettera delle specifiche norme utilizzate, portano a un risultato ulteriore o addirittura antitetico rispetto ai principi e alle finalità che sottendono all'ordinamento giuridico di cui quelle stesse norme sono parte35.
In linea generale, il significato di abuso del diritto è estendibile a diversi ambiti dell’ordinamento, ad esempio a quello civile, penale e tributario. In questo elaborato si approfondirà il concetto del divieto di abuso del diritto in ambito tributario ove consiste “nell'utilizzo, anche combinato, delle norme di diritto positivo che disciplinano il sistema fiscale, al fine di ottenere risparmi d’imposta che, seppure coerenti rispetto alla lettera delle specifiche norme di riferimento, risultano contrari alle logiche e ai principi cui è informato l'intero ordinamento tributario”36.
L’ultima premessa introduttiva che ritengo utile ripetere è che il concetto di abuso del diritto e di elusione fiscale sono stati unificati nell’ordinamento italiano con
p. 229; X. XXXXXXXXXX, Codificazione tributaria e abuso del diritto contributo allo studio degli strumenti di contrasto all’elusione fiscale, Padova, 2007, p. 469. Secondo altra dottrina, invece, la figura dell’abuso del diritto andrebbe fatta risalire al diritto romano ritenendo l’abuso del diritto assimilabile all’exceptio doli;
X. XXXX, L’abuso del diritto, Milano, 1993, p. 120.
34 PLANIOL, Traité élémentaire de droit civil, Parigi, 1939, p. 312.
35 X. Xxxxxxx, Abuso del diritto: in particolare sulla rilevabilità d'ufficio e sull'applicazione delle sanzioni, in "Il fisco" n. 38 del 18 ottobre 2010, p. 1-‐6123.
36 Sito online del Parlamento italiano, L’abuso del diritto: un approfondimento”, xxxxx://xxxx.xxxxxx.xx/xxx00/xxxx/xxx_xxxxxx_xxx_xxxxxxx.xxxx.
l’introduzione dell’art. 10-‐bis dello Statuto dei diritti del contribuente, introdotto con l’art. 1 del D.Lgs. n. 128/2015.
3.2 La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sul divieto di pratiche abusive
La Corte di Giustizia Europea ha assunto un ruolo fondamentale nell’elaborazione del principio generale del divieto di abuso del diritto. Tale principio viene definito e delineato in molteplici pronunce della stessa, oltre a essere presente in numerose direttive comunitarie e costituire ormai un principio generale immanente del diritto comunitario. In questa prima parte del paragrafo riporto le più importanti e citate sentenze della CGUE che definiscono e affrontano le pratiche abusive.
Già negli anni ’7037, la Corte aveva iniziato ad elaborare un principio generale di divieto delle pratiche abusive attraverso il susseguirsi di numerose sentenze ove si affermava come “i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme comunitarie”. Tuttavia, i primi importanti risultati in tema di abuso del diritto si sono registrati in ambito doganale con la Sentenza C-‐110/99 del 14 dicembre 2000, Emsland – Starke Gmbh38, con la quale la Corte ha per la prima volta delineato gli elementi caratterizzanti una pratica abusiva, ossia:
-‐ Un elemento oggettivo, vale a dire la prova che le condizioni per la concessione di una prestazione sono state create artificiosamente, cioè che l'operazione commerciale non è stata conclusa per uno scopo economico, bensì esclusivamente per l'ottenimento delle sovvenzioni, a carico del bilancio comunitario, che accompagnano questa operazione;
-‐ Un elemento soggettivo, ovvero il fatto che l'operazione commerciale in questione è stata compiuta fondamentalmente per ottenere un vantaggio finanziario in contrasto con lo scopo della normativa comunitaria;
37 Corte di Giustizia, sentenza del 3 dicembre 1974, Xxx Xxxxxxxxxx, causa C-‐33/74, punto 13.
38 Corte di Giustizia, sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland – Xxxxxx Xxxx, causa C-‐110-‐99.
-‐ Un elemento procedurale, relativo all'onere della prova. Questo sarebbe a carico dell'amministrazione nazionale competente. Tuttavia nei casi più gravi di abuso sarebbe possibile anche un «principio di prova» il quale porti eventualmente ad un'inversione dell'onere della prova.
Fino agli anni 2000, però, la Corte non ha espressamente affermato un principio generale del divieto dell’abuso di diritto. Successivamente, una clausola generale antiabuso nell’ambito dei tributi armonizzati è stata per la prima volta citata dalla Corte di Lussemburgo con la notissima sentenza 21 febbraio 2006, causa C-‐ 255/02, Halifax39 con riguardo alla direttiva Iva 2006/112/CE del 28 novembre 2006. Tale pronuncia viene considerata il leading case nella delineazione del divieto di abuso di diritto in ambito tributario. Nella Sentenza in commento la Corte ha enunciato gli elementi caratterizzanti il concetto di abuso limitatamente all’IVA e alle imposte armonizzate stabilendo che:
-‐ Perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni;40
-‐ Deve altresì risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale. Come ha precisato l’avvocato generale al paragrafo 89 delle conclusioni, il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali41.
Come si evince attraverso questi due passaggi della Sentenza, per realizzare una fattispecie abusiva sono necessari due presupposti: uno oggettivo, ovvero l’ottenimento
39 Corte di Giustizia, sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax, causa C-‐255/02.
40 Sentenza Halifax, punto 74.
41 Sentenza Halifax, punto 75.
di un vantaggio fiscale incompatibile con lo spirito della norma e un secondo elemento soggettivo per cui lo scopo essenziale dell’operazione controversa è finalizzato al raggiungimento di un vantaggio fiscale. Nella sentenza Emsland-‐Starke, prima citata, la Corte riteneva che il vantaggio fiscale dovesse costituire lo scopo esclusivo dell’operazione posta in essere, mentre nella sentenza Halifax si apre al carattere dell’essenzialità. Per attuare un comportamento abusivo, un altro elemento, che si può definire di contorno rispetto ai due presupposti, è il rispetto formale delle disposizioni e delle norme, in quanto, in caso contrario si entrerebbe nel campo dell’evasione fiscale e della frode. Infatti, al punto 80 la Corte precisa che “permettere ad un soggetto passivo di detrarre la totalità dell’IVA assolta a monte laddove, nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali, nessuna operazione conforme alle disposizioni del sistema delle detrazioni della sesta direttiva o della legislazione nazionale che le traspone glielo avrebbe consentito, o glielo avrebbe consentito solo in parte, sarebbe contrario al principio di neutralità fiscale e, pertanto, contrario allo scopo del detto sistema”.
Successiva considerazione che ritengo utile riportare è che al punto 73 della Sentenza, che rinvia anche al punto 85 delle Conclusioni dell’avvocato generale Xxxxxx, la Corte sostenne che non vi è necessariamente un automatismo tra l’abuso del diritto e il fatto che il soggetto inciso abbia optato per la soluzione meno onerosa dal punto di vista fiscale. È necessario, semmai, verificare se l’operazione posta in essere dal soggetto abbia o meno come scopo essenziale l’ottenimento di un vantaggio fiscale non conforme con lo spirito della norma violandone quindi la ratio legis. Al punto 81 della sentenza si stabilisce, infatti, che spetta al giudice nazionale verificare il reale intento dell’operazione controversa o dell’ insieme delle operazioni controverse sulla base dei due presupposti sopra citati. Due anni dopo la sentenza Xxxxxxx, con la sentenza Part Service srl42 la Corte di Giustizia ha precisato che per realizzare il requisito soggettivo è richiesto che lo scopo di conseguire un vantaggio fiscale sia la ragione essenziale dell’operazione e non quella esclusiva. Infatti, nel punto 62, la Corte, confermando il punto 81 della sentenza Halifax, ovvero, affermando che spetti sempre al giudice nazionale verificare l’intento fittizio dell’operazione posta in essere dal soggetto passivo, aggiunge anche che qualora ci fossero ulteriori obiettivi economici ispirati da
42 Corte di Giustizia, sentenza del 21 febbraio 2008, Part Service Srl, C-‐425/06.
considerazioni, ad esempio, di marketing, di organizzazione e di garanzia, essi non escludono la condotta abusiva in quanto lo scopo essenziale rimane comunque l’ottenimento di un vantaggio tributario.
In seguito, con la sentenza Cadbury Schweppes43 si entra nell’ambito delle imposte dirette, ovvero, delle imposte che rappresentano la potestà impositiva dei singoli Stati pur nel rispetto del diritto comunitario. In questa pronuncia, la Corte analizza le possibili interferenze tra la normativa nazionale antiabuso e le libertà fondamentali riconosciute dall’Unione Europea, in particolar modo quella di stabilimento sancita dall’art 49 del TFUE. Secondo i giudici, una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato44. La situazione analizzata in questa sentenza riguarda la società Cadbury Schweppes, residente nel Regno Unito e due sue controllate residenti in Irlanda. Secondo la normativa SEC del Regno Unito, una società ivi residente che costituisce una SEC, ovvero una società controllata estera, che è assoggettata nello Stato di stabilimento a un'imposta inferiore ai 3/4 dell'imposta che avrebbe dovuto essere assolta nel Regno Unito, deve versare la differenza tra l’imposta pagata all’estero e quella che avrebbe pagato qualora la società controllata fosse stata collocata nel Regno unito. Tuttavia, la legislazione sulle SEC contiene delle eccezioni che escludono l'imposizione sugli utili delle SEC in capo alla società residente e un esempio è la situazione in cui non appare sussistere una costruzione puramente artificiosa a meri fini fiscali. Al punto 65, la Corte afferma che “ perché la legislazione sulle SEC sia conforme al diritto comunitario, la tassazione da essa prevista non deve trovare applicazione se, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la costituzione di una SEC corrisponde a una realtà economica”; il contribuente è quindi libero di optare per la soluzione più favorevole dal punto di vista fiscale, senza essere considerato autore di pratiche abusive, purchè vi sia una realtà economica e non fittizia che giustifica il perseguimento della strategia più favorevole. In questo caso, la SEC deve corrispondere a un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento45. Secondo la Corte, affinché si
43 Corte di Giustizia, sentenza del 12 settembre 0000, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, C-‐196/04.
44 Sentenza Cadbury Schweppes, punto 51.
45 Sentenza Cadbury Schweppes, punto 66.
realizzi una costruzione artificiosa, si deve constatare l’esistenza di due presupposti, ovvero, di un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale e di elementi oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall'ordinamento comunitario, l'obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento non è stato raggiunto.
Un ulteriore sentenza che ritengo utile analizzare in quanto anticipa una questione che sarà approfondita nel capitolo 4 è la sentenza Kofoed46 poiché con essa si inizia a delimitare il rapporto tra le clausole antiabuso nazionali e quelle comunitarie. La sentenza Xxxxxx tratta della direttiva 90/434/CE47 e, in specie, dell’articolo 11.1 lettera a), il quale permette agli Stati membri di disapplicare le agevolazioni fiscali previste dalla direttiva e di applicare, quindi, la normativa interna che disciplina le imposte dirette se le operazioni poste in essere risultassero abusive. In tale sentenza si fa riferimento all’assoggettamento all'imposta sul reddito di uno scambio di quote sociali. Tuttavia, in essa non si apportano delle novità in ambito di definizione del concetto di abuso del diritto, ma si affronta il tema dell’applicabilità del generale principio antiabuso comunitario e anche di quello speciale recato dall’articolo 11.1 della direttiva sopra citata, in riferimento alle imposte dirette, nell’ipotesi in cui uno Stato membro non abbia appositamente adottato una disposizione di recepimento della norma antiabuso. Nel caso di specie, due erano le questioni oggetto di controversia da sottoporre alla Corte. La prima questione riguardava l’amministrazione fiscale danese e la società acquirente Cosmopolit che aveva acquisito le quote azionarie della società Xxxxxxxxx. I sigg. Xxxxxx e Xxxx possedevano in parti uguali la totalità del capitale sociale della Cosmopolit, che era una società a responsabilità limitata di diritto danese. Essi acquistavano ciascuno una delle due azioni che componevano il capitale sociale della società di diritto irlandese Xxxxxxxxx. Quest’ultima aumentava successivamente il capitale sociale e, quindi, i sigg. Xxxxxx e Xxxx poterono scambiare tutte le quote sociali da essi detenute nella Cosmopolit con tutte le nuove azioni detenute nella Xxxxxxxxx. In seguito, la Xxxxxxxxx incassava un dividendo versato dalla sua consociata Cosmopolit, da
46 Corte di Giustizia, sentenza del 5 luglio 2007, Xxxxxx, C-‐321/05.
47 Direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati Membri diversi.
poco acquisita e l'assemblea generale della Xxxxxxxxx decideva a sua volta di distribuire un dividendo, di ammontare poco inferiore a quello del dividendo ricevuto due giorni prima dalla Cosmopolit, ai suoi due soci. In sede di dichiarazione dei redditi, la Cosmopolit considerava lo scambio di quote sociali esente da imposta applicando il regime fiscale di neutralità previsto dal combinato disposto degli articoli 2 lettera d) e 8
n.1 della direttiva. Tuttavia, l’amministrazione fiscale danese non condivideva tale posizione, in quanto, considerava la distribuzione del dividendo a favore della prima società come facente parte dell'operazione di scambio di quote sociali, di modo che il massimale del 10% del valore nominale dei titoli consegnati in cambio, previsto dalla direttiva 90/434 per un eventuale saldo in contanti, risultava superato. A parere di tale amministrazione, infatti, il ridetto scambio di quote sociali non poteva quindi beneficiare dell'esenzione in conformità a tale direttiva. Infatti, l'art. 2, lett. d), della direttiva 90/434 definisce lo «scambio di azioni» come «l'operazione mediante la quale una società acquista nel capitale sociale di un'altra società una partecipazione il cui effetto sia quello di conferirle la maggioranza dei diritti di voto di questa società, mediante l'attribuzione ai soci dell'altra società, in cambio dei loro titoli, di titoli rappresentativi del capitale sociale della prima società ed eventualmente di un saldo in contanti che non superi il 10 % del valore nominale o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile dei titoli consegnati in cambio». Quindi, il primo quesito posto alla Corte, le richiedeva di stabilire «Se l'art 2, lett d), della direttiva 90/434/CEE (...) debba essere interpretato nel senso che non ha luogo alcuno "scambio di azioni" ai sensi di tale direttiva qualora i partecipanti all'operazione di scambio, contemporaneamente all'accordo sullo scambio, manifestino, pur senza vincolarsi giuridicamente, la comune intenzione di deliberare, nella prima assemblea generale della società acquirente successiva allo scambio, una distribuzione di utili in misura superiore al 10 % del valore nominale dei titoli ceduti in occasione di tale scambio, e tali utili vengano poi anche effettivamente distribuiti». Pertanto, la questione pregiudiziale verteva innanzitutto sulla corretta interpretazione dell’operazione attuata e sulla sua qualificazione o meno, ai sensi della direttiva, come operazione di scambio di azioni. Con la seconda questione, invece, si chiede se l'amministrazione fiscale potesse reagire ad un eventuale abuso del diritto, benché il legislatore nazionale non abbia adottato provvedimenti specifici per trasporre
l'art. 11 della direttiva 90/434. La risposta della Corte al primo quesito è quella di considerare lo scambio di quote sociali di cui trattasi rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 8, n. 1, della direttiva 90/434, il che implica che la sua tassazione è, in linea di principio, vietata. Tuttavia, la Corte rileva il fatto che l’amministrazione finanziaria danese avesse più volte sottolineato che il detto scambio di quote sociali è stato effettuato senza alcuna ragione commerciale e al solo scopo di realizzare economie di natura fiscale; il passaggio successivo diventava perciò, quello di capire se l'applicazione del detto art. 8, n. 1 rappresentava un’ipotesi di abuso del diritto. Con riferimento alla seconda questione, la Corte ha riconosciuto che “l'art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 riflette il principio generale di diritto comunitario secondo il quale l'abuso del diritto è vietato. I singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto comunitario. L'applicazione di queste ultime non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell'ambito di normali transazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario”. La Corte, in tale risposta, ha invocato il principio generale di divieto dell’abuso del diritto nel senso che i singoli individui non possono abusare delle norme del diritto comunitario. Tuttavia, è necessario chiedersi se l’articolo 11.1 lettera a della direttiva che vieta di beneficiare delle agevolazioni previste in essa possa essere applicato se non vi è stato recepimento nell’ordinamento danese. Quindi, al punto 46 la Corte afferma che “spetta dunque al giudice del rinvio esaminare se nel diritto danese esiste una disposizione o un principio generale sulla cui base l'abuso del diritto è vietato ovvero se esistono altre disposizioni sulla frode o sull'evasione fiscale che possano essere interpretate conformemente all'art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 e, pertanto, giustificare la tassazione dello scambio di quote sociali di cui trattasi”. La Corte, conclude sostenendo che è il giudice nazionale che deve verificare se esiste una norma di recepimento dell’articolo 11 della direttiva o se esiste un principio generale di divieto di abuso del diritto nell’ordinamento danese che può essere sempre ritenuto un mezzo di recepimento. A mio avviso, ritengo utile rilevare che la Corte di Giustizia europea ha negato di applicare in maniera automatica il principio generale del diritto europeo di divieto di abuso del diritto per le imposte dirette e quindi non armonizzate e si è solo soffermata a evidenziare che l’articolo 11 riflette tale principio, ma deve essere
pur sempre recepito da una norma e deve comunque esistere nel diritto interno un principio generale in base al quale l’abuso del diritto è vietato.
Infine, una sentenza della Corte di Giustizia che afferma in maniera chiara e aperta l’esistenza del principio generale del divieto di abuso del diritto è la sentenza 3M Italia48 del 2012, C-‐417/10. In precedenza, la Corte ha sempre fatto riferimento al concetto secondo cui i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto comunitario o si è limitata a citare un principio di divieto di abuso del diritto ma senza dilungarsi troppo nell’approfondirlo o definirlo. In questa sentenza, la Corte di Cassazione italiana si è rivolta alla Corte di Giustizia europea per chiedere se il principio comunitario del divieto di abuso del diritto fosse direttamente applicabile nell’ordinamento italiano. In particolare, la prima questione pregiudiziale chiede se il principio del contrasto all’abuso del diritto in materia fiscale, così come definito nelle sentenze Halifax e Part Service, costituisca un principio fondamentale del diritto comunitario soltanto in materia di imposte armonizzate e nelle materie regolate da norme di diritto comunitario secondario, ovvero si estenda, quale ipotesi di abuso di libertà fondamentali, alle materie di imposte non armonizzate. Nella sentenza, la Corte di Giustizia ha negato l’applicabilità di tale principio alle imposte non armonizzate sostanzialmente per due ragioni:
-‐ Anzitutto va rilevato che il procedimento principale non ha ad oggetto una controversia in cui i contribuenti si avvalgono o potrebbero avvalersi in modo fraudolento o abusivo di una norma del diritto dell’Unione. Pertanto, nel caso di specie, le citate sentenze Halifax e a. nonché Part Service, pronunciate in materia di imposta sul valore aggiunto e alle quali fa riferimento il giudice del rinvio nel domandarsi se il principio del divieto dell’abuso di diritto da esse sancito si estenda al settore delle imposte non armonizzate, non sono pertinenti49;
-‐ Inoltre, non risulta nemmeno che nella controversia siano in discussione l’applicazione di una norma nazionale che comporti una restrizione ad una delle
48 Corte di Giustizia, sentenza del 29 marzo 2012, 3M Italia, C-‐417/10.
49 Sentenza 3M Italia, punto 30.
libertà garantite dal Trattato FUE50.
Attraverso questi due punti, la Corte ha affermato che il principio del divieto di abuso del diritto è applicabile per i tributi non armonizzati solo nel caso in cui i soggetti pongano in essere delle condotte abusive delle norme comunitarie oppure quando l’applicazione di una norma domestica determina una violazione delle libertà garantite dal TFUE.
Attraverso l’analisi di queste sentenze che ho voluto riportare, si possono ricavare gli elementi che caratterizzano il principio dell’abuso del diritto a livello comunitario. Infatti, dalla sentenza Xxxxxxx – Xxxxxx si sono tracciate le caratteristiche per definire un’operazione economica abusiva e nel seguito si è delineato un principio generale immanente del diritto europeo di divieto di abuso del diritto in abito tributario applicabile direttamente, però, soltanto ai tributi armonizzati. Ancora oggi nelle sentenze della Corte di Giustizia Europea si fa riferimento agli stessi elementi delineati circa trenta anni prima. Ad esempio, nella sentenza C-‐273/18 del 10 luglio 2019 ai punti 34 e 35 viene affermato “i singoli non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme dell’Unione” e “l’accertamento di una pratica abusiva, in materia di IVA richiede la sussistenza di due condizioni, vale a dire, da un lato, che le operazioni di cui trattasi, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della normativa nazionale di trasposizione, abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da dette disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale delle operazioni di cui trattasi si limita all’ottenimento di tale vantaggio fiscale”. Quest’ultimo punto rispecchia la sentenza Halifax del 2006, dove si delinearono gli elementi caratterizzanti il concetto di abuso limitatamente all’IVA e alle imposte armonizzate, ovvero, quello oggettivo di ottenimento di un vantaggio fiscale incompatibile con le disposizioni della norma e quello soggettivo per cui lo scopo essenziale dell’operazione controversa è finalizzato al raggiungimento di un vantaggio fiscale.
50 Sentenza 3M Italia, punto 31.
3.3 La direttiva ATAD 1 contro le pratiche di elusione fiscale
Dopo aver analizzato le principali sentenze della Corte di Giustizia Europea che definiscono il concetto di abuso del diritto nell’ordinamento internazionale, riporto in seguito un’altra fonte di diritto europeo, ovvero le direttive, trattante sempre disposizioni inerenti al concetto del divieto di abuso del diritto o dell’elusione fiscale.
La direttiva 2016/1164/UE, c.d. Anti Tax Avoidance Directive – ATAD 1, è inclusa nel pacchetto anti-‐elusione 51 emanato dalla Commissione Europea con lo scopo di introdurre negli Stati membri un insieme di misure di contrasto alle operazioni di elusione fiscale.
Essa, è stata adottata dal Consiglio il 12 luglio 2016 e ha introdotto per la prima volta nel campo delle imposte dirette un obbligo generale degli Stati membri di prevenire ed eliminare le pratiche abusive o elusive. Tale direttiva poggia sulle raccomandazioni dell'OCSE del 2015 per fronteggiare l'erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (BEPS), tramite l’implementazione di azioni che contrastino gli schemi di pianificazione fiscale aggressiva e al fine di evitare lo spostamento di base imponibile dai Paesi ad alta pressione fiscale verso altri con fiscalità bassa o nulla, cercando altresì di definire regole uniche e trasparenti condivise a livello internazionale.
La direttiva è strutturata in tre parti e si compone di tredici articoli. La prima parte tratta delle disposizioni generali e contiene l’articolo 1 rubricato “ambito di applicazione”, l’articolo 2 “definizioni” e l’articolo 3 “livello minimo di protezione”. La seconda parte, riguarda le misure di contrasto all’elusione fiscale e si compone dell’articolo 4 “Norma relativa ai limiti sugli interessi”, l’articolo 5 “Imposizione in uscita”, l’articolo 6 “Norma generale antiabuso”, l’articolo 7 ”Norme sulle società controllate estere”, l’articolo 8 “Calcolo dei redditi delle società controllate estere” e l’articolo 9 “Disallineamenti da ibridi”. Infine, la terza parte cura le disposizioni finali tramite l’articolo 10 “riesame”, l’articolo 11 “recepimento”, l’articolo 12 “entrata in vigore ” e l’articolo 13 “destinatari”.
La direttiva, si applica a tutti i contribuenti che sono soggetti all'imposta sulle società in
51 Il pacchetto anti-‐elusione fiscale fa parte dell'ambiziosa agenda della Commissione per una tassazione delle società più equa, semplice ed efficace nell'UE. Il pacchetto contiene misure concrete per prevenire la pianificazione fiscale aggressiva, rafforzare la trasparenza fiscale e creare condizioni di parità per tutte le imprese nell'UE. Fonte: xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxx_xxxxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxx-‐tax/anti-‐tax-‐avoidance-‐ package_en.
uno o più Stati membri, comprese le stabili organizzazioni52 situate in uno o più Stati membri di entità residenti a fini fiscali in un paese terzo. Il termine di recepimento scadeva il 31 dicembre 2018, (tranne che per le norme sull’exit tax, per le quali il termine era il 31 dicembre 2019). In Italia, la direttiva è stata recepita attraverso il Decreto Legislativo del 29 novembre 2018, n. 142.
Uno degli scopi della direttiva in commento è assicurare un miglior funzionamento del mercato interno europeo facendo sì che l’imposta sia versata nel luogo in cui gli utili e il valore sono generati e quindi permettendo agli Stati di esercitare compiutamente la propria sovranità fiscale. Le differenze di trattamento fiscale tra i paesi membri creano delle distorsioni e quindi, per migliorare l’efficienza del mercato interno sono necessarie strategie comuni e azioni coordinate. Strategie e azioni vengono esplicate tramite delle direttive e, poiché esistono diversi regimi d’imposta dato che nell’UE ci sono 28 Stati membri, le disposizioni delle direttive dovrebbero rimare su un livello generale in modo che poi ciascuno Stato le attui secondo delle modalità più adatte ai rispettivi regimi d’imposta53. Quest’ultimo concetto rappresenta un secondo scopo della direttiva ATAD e potrebbe essere raggiunto lasciando un livello minimo di protezione per i regimi nazionali di imposta sulle società contro le pratiche di elusione fiscale. Da un lato quindi le direttive predispongono delle norme generali in modo che gli Stati adottino un cambiamento comune e dall’altro lato, ciascuno stato può poi affinare tale cambiamento secondo le proprie esigenze interne. Tuttavia, lo scopo principale di questa direttiva è
52 Per una definizione di stabile organizzazione rinvio all’articolo 162 del TUIR o all’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni aggiornato al 2017.
53 Nel Documento della COMMISSIONE EUROPEA, Proposta di DIRETTIVA DEL CONSIGLIO recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno, il Consiglio europeo evidenzia tale aspetto, infatti: “Dopo la pubblicazione da parte dell’OCSE della relazione Addressing Base Erosion and Profit Shifting all’inizio del 2013 e l’approvazione del piano d’azione dell’OCSE sul BEPS da parte dei leader del G20 nel settembre 2013, l’Organizzazione ha iniziato un periodo di 2 anni di lavori che ha portato, nel novembre 2015, alla presentazione di 13 relazioni. Tali relazioni stabiliscono norme internazionali nuove o rafforzate, nonché misure concrete per aiutare i paesi ad affrontare l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili. Numerosi Stati membri, in qualità di membri dell’OCSE, si sono impegnati a recepire nel diritto nazionale i risultati del progetto BEPS in tempi brevi. In considerazione di un serio rischio di frammentazione del mercato interno che potrebbe risultare da azioni non coordinate realizzate unilateralmente dagli Stati membri, nella direttiva la Commissione propone soluzioni minime comuni per l’attuazione. La Commissione ha compiuto ogni sforzo possibile per rispondere contemporaneamente sia all’urgenza di agire, sia alla necessità imperativa di evitare che il funzionamento del mercato interno sia compromesso da misure unilaterali adottate dagli Stati membri (siano essi membri dell’OCSE oppure no) in modo autonomo o dall’inazione degli altri Stati membri”,Bruxelles, 28.1.2016.
quello di contrastare l’elusione fiscale e esso non può essere realizzato dalle azioni individuali dei singoli Stati membri. Infatti, l'azione indipendente degli Stati membri si limiterebbe a riprodurre l'attuale frammentazione del mercato interno nel campo della fiscalità diretta 54 . La direttiva, quindi, punta a raggiungere un livello minimo di coordinamento all'interno dell'Unione che è essenziale per raggiungere i suoi scopi. A differenza di altre direttive come quella “Madre-‐Figlia” che sarà analizzata nella parte II e che puntano a contrastare le pratiche elusive o abusive delle loro disposizioni, l’articolo 6 della direttiva ATAD 1 contiene una clausola generale xxxxxxxxx, c.d. General Anti Avoidance Rule – GAAR, e prevede per gli Stati membri l’obbligo di adottarla nel diritto interno e nei confronti di tutti i contribuenti soggetti alle imposte sulle società in uno o più Stati membri. Infatti, l’articolo 6 è rubricato “Norma generale antiabuso” e afferma:
“1. Ai fini del calcolo dell'imposta dovuta sulle società, gli Stati membri ignorano una costruzione o una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l'oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti. Una costruzione può comprendere più di una fase o parte;
2. Ai fini del paragrafo 1, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica;
3. Quando le costruzioni o una serie di costruzioni sono ignorate a norma del paragrafo 1, l'imposta dovuta è calcolata in conformità del diritto nazionale”.
Per comprendere il rapporto tra la clausola generale delineata dall’articolo 6 e le eventuali clausole disposte dai singoli ordinamenti interni, riporto il testo dell’articolo 3 intitolato “Livello minimo di protezione” che esplicita “la presente direttiva non pregiudica l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a salvaguardare un livello di protezione più elevato delle basi imponibili nazionali per l'imposta sulle società”. Infatti, come scritto in precedenza, le disposizioni della direttiva rimangono a un livello generale e non compromettono le normative interne ove queste siano allineate
54 Direttiva ATAD 1, punto 16).
perlomeno allo standard minimo recato dalla direttiva55.
Un’altra tematica affrontata dalla direttiva è il limite alla deducibilità degli interessi passivi da parte di un’impresa. Dato che, nella parte II, si analizzerà la clausola del beneficiario effettivo d’interessi, anticipo in questo paragrafo che cosa afferma la direttiva limitatamente alla deducibilità degli interessi. L’art. 4 rubricato "Norma relativa ai limiti sugli interessi”, rientra nella seconda parte della direttiva che fa sempre riferimento alle misure volte a contrastare l’elusione fiscale. L’intento dell’Unione Europea è quello di far capire agli Stati membri di porre dei limiti alla deducibilità degli interessi passivi perché se le imprese fossero libere di dedursi dall’imponibile fiscale una qualsivoglia quantità di oneri finanziari, pagherebbero meno imposta di quella effettivamente dovuta causando quindi delle inefficienze al gettito fiscale totale dello Stato che deve colmare la spesa pubblica56. Secondo la direttiva, sarebbe importante fissare una percentuale di deducibilità che sia riferita agli utili imponibili del contribuente al lordo d’interessi, imposte, deprezzamento e ammortamento, ovvero riferita a quello che in gergo economico si chiama EBITDA, Earnings Before Interest Tax Depreciation and Amortizazion. Proprio per lasciare libertà agli Stati, la direttiva suggerisce che essi possono decidere una percentuale minore di quella che in seguito riporterò oppure porre limiti temporali o ridurre l'importo degli oneri finanziari non dedotti che possono essere riportati in avanti o all'indietro. Inoltre, gli Stati membri,
55 In Italia, ad esempio l’articolo 6 della direttiva ATAD 1 non è stato recepito. Infatti, nella Relazione illustrativa al decreto legislativo emanato in attuazione della legge 25 ottobre 2017, n. 163 (legge di delegazione europea) al fine di recepire la direttiva (UE) 2016/1164, vi è scritto che “si è ritenuto di non disporre in merito alla norma generale antiabuso in quanto l’attuale formulazione dell’articolo 10-‐bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente) recante la disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale appare conforme al testo dell’articolo 6 della direttiva ATAD I. Ciò trova conferma nella circostanza che le disposizioni della direttiva sono identiche a quella della direttiva Madre-‐ figlia n. 2015/121/UE del 27 gennaio 2015, attuata, ai sensi del comma 5 dell’art. 27-‐bis del DPR n. 600 del 1973, proprio con l’art. 10-‐bis dello Statuto del contribuente”.
56 Nel Documento della COMMISSIONE EUROPEA, Proposta di DIRETTIVA DEL CONSIGLIO recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno, si spiega che “I gruppi multinazionali spesso finanziano le loro entità in giurisdizioni ad alta fiscalità attraverso il debito e dispongono che tali società restituiscano interessi “gonfiati” a società controllate residenti in giurisdizioni a bassa fiscalità. In questo modo la base imponibile del gruppo (o più precisamente, delle entità che versano gli interessi “gonfiati”) diminuisce nelle giurisdizioni ad alta fiscalità e aumenta invece nello Stato a bassa fiscalità che riceve il pagamento degli interessi. Il risultato globale è una riduzione della base imponibile del gruppo multinazionale nel suo complesso.
Scopo della norma proposta è scoraggiare tale pratica limitando l’importo degli interessi che il contribuente è autorizzato a dedurre in un esercizio fiscale”, Bruxelles, 28.1.2016.
potrebbero scegliere di adottare un parametro alternativo determinato in modo che sia equivalente alla percentuale stabilita sulla base dell'EBITDA. Per quanto concerne le imprese finanziarie, ossia gli istituti finanziari e le imprese di assicurazione, la direttiva, le esclude dall'ambito di applicazione in quanto sono necessarie delle norme specifiche date le loro caratteristiche particolari. In base all’art. 2 della direttiva con oneri finanziari si intendono gli interessi passivi su tutte le forme di debito nonché altri oneri economicamente equivalenti a interessi e costi sostenuti in relazione alla raccolta di finanziamenti ai sensi del diritto nazionale. La direttiva, però, fa riferimento al limite di deducibilità degli oneri finanziari eccedenti, ovvero l’importo di onere finanziario che va oltre l’ammontare di interessi attivi imponibili e altre entrate imponibili economicamente equivalenti che il contribuente riceve conformemente al diritto nazionale. Secondo l’articolo 4, gli oneri finanziari eccedenti sono deducibili nel periodo d'imposta in cui sono sostenuti solo fino al 30 per cento degli utili del contribuente al lordo di interessi, imposte, deprezzamento e ammortamento (EBITDA)57. In caso di un gruppo societario, gli Stati membri lo possono considerare come un contribuente e quindi gli oneri finanziari eccedenti e l'EBITDA possono essere calcolati a livello del gruppo e includono i risultati di tutti i suoi membri. Inoltre, gli Stati membri possono escludere le imprese finanziarie dall'ambito di applicazione dei limiti previsti dall’art. 4 dal paragrafo numero 1 al 6 anche se tali imprese finanziarie sono parte di un gruppo consolidato a fini di contabilità finanziaria.
57 In Italia, per effetto del recepimento dell’articolo 4 della direttiva, viene modificato l’articolo 96 TUIR, rubricato “interessi passivi”.
Capitolo 4. Il concetto di abuso del diritto nell’ordinamento italiano
4.1 Premessa
Dopo aver affrontato gli elementi caratterizzanti il concetto di abuso del diritto nell’ordinamento europeo specialmente tramite l’analisi delle sentenze della CGUE, si riporteranno, in seguito, le più indicative tappe nell’evoluzione del concetto di abuso del diritto all’interno dell’ordinamento italiano. Se nell’ordinamento europeo vi è stato un percorso più lineare e coerente nella formulazione di un principio generale immanente; in quello domestico, invece, per contrastare le pratiche abusive si è ricorso nel tempo a soluzioni diverse tra loro.
Come riportato in precedenza, nell’ordinamento europeo, per aversi una fattispecie abusiva sono necessari due prerequisiti, uno oggettivo di ottenimento di un vantaggio fiscale incompatibile con le disposizioni della norma e un secondo elemento soggettivo per cui lo scopo essenziale dell’operazione controversa è finalizzato al raggiungimento di un vantaggio fiscale. Inoltre, la Corte ha precisato che il principio antiabuso di diritto europeo è applicabile limitatamente alle imposte armonizzate come l’IVA; quindi, se gli Stati membri, per esempio l’Italia, intendessero reprimere delle fattispecie abusive riguardanti le imposte dirette, non potrebbero né applicare il principio generale, né una clausola antielusiva contenuta in una direttiva comunitaria qualora non esistesse una norma di recepimento. Nell’ordinamento italiano fino agli anni ’90 non esisteva una norma antielusiva generale o specifica che reprimesse le condotte abusive in ambito tributario e, infatti, la Corte di Cassazione italiana ricorreva a soluzioni ricavabili o da alcuni articoli del Codice Civile oppure, utilizzando in maniera impropria i principi europei e così facendo minava il principio di certezza del diritto58.
L’analisi che effettuerò nei prossimi paragrafi punta a ripercorrere come il diritto domestico nel 2016 sia giunto a formulare una clausola antiabuso generale e il percorso storico sarà suddiviso in tre parti in base ai tre principali traguardi legislativi che si sono susseguiti in tale ambito ovvero l’articolo 10 della Legge n. 408 del 1990, l’articolo 37-‐ bis del D.P.R n. 600/1973 e, infine, l’articolo 10-‐bis della legge 212/2000.
58 Ad esempio X. XXXXX afferma che utilizzare il principio della Corte di Giustizia in tema di IVA sulle imposte dei redditi rappresenta un abuso dell’abuso del diritto. L’abuso dell’abuso del diritto, in Rivista di giurisprudenza tributaria, 6/2008, p. 465.
4.2 Analisi normative anteriori l’articolo 10 Legge n. 408 del 1990
In questo primo arco temporale oggetto di analisi, nell’ordinamento italiano non esisteva una norma generale anti elusiva o un principio che potesse essere utilizzato per contrastare fattispecie abusive. Una espressa previsione legislativa del concetto dell’abuso del diritto compariva invero nel progetto definitivo del codice civile del 194259 con l’art. 7 secondo cui “nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto”. Un’affermazione di tale portata avrebbe attribuito troppi poteri all’amministrazione finanziaria e al giudice e poteva destare preoccupazioni per la tutela del principio di certezza del diritto e l’articolo non venne inserito nell’elaborazione definitiva del Codice Civile. Il legislatore, pertanto, decise di risolvere le diverse situazioni che configuravano un abuso del diritto disciplinando delle norme specifiche che consentissero di contrastare i fenomeni abusivi nei diversi ambiti giuridici. Nel campo tributario, per reprimere le condotte elusive, la giurisprudenza cercò delle soluzioni all’interno del Codice Civile, ovvero utilizzando degli istituti giuridici estranei al sistema tributario. Le fattispecie cui si è più spesso fatto ricorso furono l’applicazione dell’istituto del contratto in frode alla legge alla materia tributaria, la simulazione e l’interposizione fittizia di persona.
In base all’articolo 1344 del codice civile, rubricato “contratto in frode alle legge”, quando il contratto costituisce un mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa, esso diventa nullo per illiceità di causa. Le norme imperative possono essere proibitive qualora vietano un comportamento o precettive se impongono un comportamento. Tuttavia, nonostante l’intento di una lettura estensiva della disposizione dell’articolo 1344 c.c., la maggior parte della Dottrina lo ha ritenuto non applicabile all’elusione fiscale. La Corte di Cassazione60 ha più volte sostenuto che il sistema tributario dovesse trovare al proprio interno un rimedio a contratti che sottendevano meccanismi di elusione fiscale e non basarsi sulle nullità civilistiche. Inoltre, l’applicazione di tale articolo risulta limitata in quanto le fattispecie elusive non si realizzano soltanto tramite la conclusione di contratti. Altra parte della dottrina invece sosteneva in maniera positiva l’applicabilità dell’articolo 1344 c.c. combinandolo con l’articolo 53 della Costituzione in tema di capacità contributiva. Il principale
59 X. XXXXXXXXXX, Codificazione tributaria e abuso del diritto, Padova, 2007, p. 473.
60 Corte di Cassazione, Sentenza del 15 Novembre 1974, n. 3620.
esponente di tale posizione era Franco Gallo61. In seguito, la Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza 3 settembre 2001, n. 11351, ha definitivamente esplicitato l’inapplicabilità dell’articolo 1344 c.c. al diritto tributario, stabilendo che “non è sufficiente infatti che una norma sia inderogabile perché possa essere qualificata come imperativa essendo a tal fine necessario che essa sia di carattere proibitivo e sia posta altresì a tutela di interessi generali che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall'ordinamento giuridico. Caratteri questi certamente non ravvisabili nelle norme tributarie in quanto esse sono poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e, in linea di massima, non pongono divieti ma assumono un dato di fatto quale indice di capacità contributiva”. Infatti, la norma tributaria non vieta dei comportamenti, piuttosto elenca quali sono i possibili effetti fiscali di una determinata operazione economica.
Altra soluzione civilistica per contrastare l’elusione è stata quella di ricorrere alla categoria del negozio simulato. La simulazione può essere definita come una situazione che si verifica quando vi è divergenza voluta tra la volontà e la dichiarazione. Più precisamente, si ha simulazione quando uno o più soggetti stipulano un negozio giuridico apparente, perché in realtà perseguono interessi diversi, oggetto dell'accordo simulatorio62. Tuttavia, l’elusione e la simulazione sono due fattispecie diverse. La simulazione è una manipolazione della realtà, mentre l’elusione manipola le regole63. Infine, applicando sempre una tipologia di simulazione, ovvero, quella soggettiva, si è fatto ricorso alla figura dell’interposizione fittizia di persona quale mezzo per reprimere comportamenti considerati elusivi. Questa fattispecie di simulazione si realizza quando un soggetto, formalmente estraneo al contratto concluso da terzi, ne diviene tuttavia parte sostanziale. Anche questo ultimo espediente non si è considerato applicabile all’ambito tributario.
61 X. XXXXX, Xxxxx spunti in tema di elusione e frode alla legge (nel reddito d’impresa), in Rass. Tribut., 1989, I, p. 11. (riferimento anche, X. XXXXXXXXXX, Codificazione tributaria e abuso del diritto, Padova, 2007, p.197).
62 xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/0000.xxxx.
00 X. XXXX, Xxxxxxxx: esperienze europee tra l'uso e l'abuso del diritto tributario, in AA.VV., L'elusione fiscale nell'esperienza europea, a cura di X. Xx Xxxxxx, Milano, 1999, p. 268.
4.3 Dall’articolo 10 Legge n. 408 del 1990 all’articolo 37-‐bis D.P.R. 600/1973 Dal paragrafo precedente si è potuto rilevare che, in un primo momento, per contrastare l’elusione fiscale si sono utilizzati degli espedienti civilistici, ma al tempo stesso essi si sono rilevati inefficaci, data la peculiarità della materia tributaria.
Un problema che ostacolava la formulazione di una norma antielusiva era il dibattito che si era creato tra le norme antielusive speciale e le norme antielusive generali.
Una norma antielusiva speciale prevede dei presupposti applicabili a una singola fattispecie, mentre quella generale potrebbe essere troppo ampia e quindi applicabile in maniera limitata. In aggiunta, una clausola generale offre ampi poteri all’Amministrazione finanziaria e può essere applicata in qualsiasi ipotesi elusiva minando quindi il rispetto del principio di certezza del diritto. Tuttavia, per ovviare a tale problema si possono formulare delle condizioni idonee in modo da evitare un uso indiscriminato del potere degli Uffici fiscali. Un aspetto positivo, invece, è che essa permette al legislatore di non dover intervenire con una norma antielusiva specifica ogniqualvolta un contribuente realizza nuove fattispecie abusive. Infatti, una criticità delle norme antielusive speciali è che una volta emanate, il contribuente trova sempre un modo per potersi discostare e quindi realizzare fattispecie abusive. Invero, esse possono essere applicate solo alle ipotesi elusive che sono state puntualmente indicate dal legislatore. La normativa antielusiva specifica essendo molto puntuale e precisa garantisce un maggiore rispetto del principio della certezza del diritto ed è più semplice da applicare, ma al tempo stesso rende vulnerabile il sistema normativo. Infatti, la previsione dettagliata dà luogo ad una spirale normativa, all’interno della quale ciascuna disposizione è al contempo limite ed oggetto dei comportamenti elusivi, effetto e causa dell’attività legislativa64, ovvero, la norma specifica antielusiva viene resa inutilizzabile qualora il contribuente con una lieve correzione pone in essere comportamenti elusivi da richiedere un nuovo intervento legislativo.
Fino agli anni Novanta, quindi, il legislatore per contrastare i fenomeni elusivi utilizzava singole norme ad hoc e quindi era reprimibile solo ciò che era legislativamente previsto. Tuttavia, dagli anni Ottanta il dibattito per una clausola antielusiva generale s’inasprì, poiché i fenomeni elusivi cominciarono a diventare sempre più numerosi. Quindi, il
64 S. CIPOLLINA, La legge civile e la legge fiscale. Il problema dell’elusione fiscale, Padova, 1992, p. 232.
primo risultato cui si giunse, anche in base alle azioni dell’Unione Europea specie con la direttiva 90/43465, fu l’articolo 10 della Legge 29 dicembre 1990, n.408. Esso, si colloca in una posizione intermedia tra una clausola generale e una specifica, più precisamente ha un’impostazione di una clausola generale, ma alla fine è applicabile a livello settoriale. Il comma 1 dell’articolo 10 Legge n.408/1990 recita infatti:
“E` consentito all’amministrazione finanziaria disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo, cessione di azienda, riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti o cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta”.
Da questo comma si può rilevare che al contribuente sono disconosciuti i vantaggi tributari ottenuti attraverso le operazioni, che sono elencate in esso, se, tali operazioni, sono state poste in essere in concomitanza di tre condizioni:
-‐ in assenza di valide ragioni economiche;
-‐ allo scopo esclusivo di ottenere un risparmio d’imposta;
-‐ con condotta fraudolenta.
La novità di tale articolo è che per la prima volta fu introdotto il concetto di valide ragioni economiche che si ritroverà anche nelle norme antielusive in seguito delineate. Nonostante quest’articolo rappresentasse un primo passo in avanti nel contrasto all’elusione, esso conteneva degli elementi che con il passare del tempo lo resero poco efficace. Innanzitutto il legislatore, per non attribuire ampi poteri all’amministrazione finanziaria aveva limitato l’applicabilità di tale norma alle sole operazioni individuate dall’articolo e quindi la norma perdeva il suo livello di generalità. Poi, le espressioni “allo scopo esclusivo” e “fraudolentemente” limitarono ancora di più l’utilizzo della disposizione. Infatti, anche se molte condotte elusive portano a ottenere in maniera non lecita risparmi d’imposta, esse possono avere ulteriori scopi e quindi per tali operazioni
65 Si veda articolo 11.1 della direttiva analizzato nel capitolo precedente.
la norma non risultava applicabile. Inoltre, anche se uno degli impulsi all’introduzione dell’art. 10-‐bis fu la direttiva 90/434, la quale fa riferimento al fatto che l’obiettivo di eludere poteva essere anche solamente principale, la norma interna lo considera, invece, esclusivo. Anche la Corte di Cassazione affermava che lo scopo esclusivo di ottenere un vantaggio fiscale costituiva l’unica ragion d’essere delle operazioni compiute dal contribuente66 e quindi confermava il contenuto dell’articolo.
L’espressione “fraudolentemente”, invece, destava dei dubbi in merito alla sua interpretazione, ovvero, se doveva essere intesa in base all’articolo 1344 c.c. oppure nella sua accezione penalistica. Solo in seguito, prevalse la tesi di interpretare l’avverbio con l’accezione dell’agere in fraudem legi che è anche coerente con la natura dell’elusione d’imposta67.
Per superare i limiti applicativi dell’articolo 10, il Parlamento delegava il Governo a intervenire in maniera organica e globale nella disciplina antielusiva68. Per attuare la delega venne introdotto il D.Lgs. 8 ottobre del 1997, n. 358 e il risultato a cui si giunse fu l’articolo 37-‐bis del D.P.R. 600 del 1973, entrato in vigore l’8 Novembre del 1997, il quale abrogava la normativa antielusiva precedente. Esso si articola in otto commi che descrivono gli aspetti sostanziali e procedurali della norma antielusiva.
L’articolo 37-‐bis al primo comma recita “sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.
Facendo un confronto con l’articolo 10 della Legge n.408, non si ritrovano le espressioni “allo scopo esclusivo” e “fraudolentemente”, rimane, invece, il requisito dell’assenza di valide ragioni economiche. La prima espressione è stata sostituita con una generica che indica solo il fine di ottenere riduzioni d’imposta o rimborsi. L’avverbio fraudolentemente, invece, è stato sostituito con l’espressione di aggiramento di obblighi e divieti.
66 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00 novembre 2000, n. 14776.
67 Secit, delibera n. 105/94 del 5 Luglio 1994. Il Secit, escluse che l’avverbio fraudolentemente esprimesse qualcosa di più della connotazione complessiva dell’operazione come abuso dello strumento negoziale. In altri termini, esso non introduce alla fattispecie alcun ulteriore elemento riconducibile all’accezione penalistica dell’artificio o dell’aggiro.
68 Delega contenuta nella lettera g), del comma 161, dell’articolo 3 della legge 23 Dicembre 1996, n. 662.
Dal primo comma, l’articolo 37-‐bis poteva sembrare una norma antielusiva generale, tuttavia esso si applicava alle operazioni tassativamente previste al comma 3 e inoltre era stato inserito nel D.P.R. n. 600/1973 che tratta delle disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi e pertanto non era applicabile a tutte le tipologie d’imposte. Anche nella Relazione ministeriale di accompagnamento al D.Lgs. 358/1997, si rileva che l’articolo 37-‐bis non era affatto una norma generale: “I primi due commi del nuovo articolo 37 ben potrebbero costituire una norma antielusiva generale, ma – con-‐ formemente alle limitazioni della delega e alla sfera applicativa del precedente articolo l0 della legge 408 – è stato previsto che essi scattino solo se il contribuente ha utilizzato una delle operazioni specifiche indicate al comma 369”.
Dall’analisi del primo comma, l’articolo inquadrava quali erano i criteri per considerare una fattispecie elusiva e, quindi, le circostanze in cui applicare tale articolo. I requisiti erano:
-‐ l’assenza di valide ragioni economiche;
-‐ l’aggiramento di obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario;
-‐ l’ottenimento di riduzioni d’imposta o rimborsi altrimenti indebiti.
Le operazioni che presentavano contemporaneamente queste tre caratteristiche erano inopponibili all’amministrazione finanziaria. Secondo la Relazione ministeriale, il concetto di “inopponibilità” andava inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria poteva disconoscere i vantaggi fiscali ottenuti dall’operazione, ma rimanevano comunque validi sul piano civilistico i negozi, gli atti e i fatti, conclusi dal contribuente con soggetti terzi o con l’Amministrazione fiscale.
69 “Relazione ministeriale di accompagnamento” al D. Lgs. 8.10.1997, n. 358. In senso conforme anche X. XXXXXXX, Le valide ragioni economiche nell’art. 37-‐bis del D.P.R. 600/1973, in Bollettino tributario d’informazioni n. 13 del 15 luglio 2006.
4.4 L'abuso del diritto nell'elaborazione giurisprudenziale
Poiché l’articolo 37-‐bis non è una clausola antielusiva generale, la Corte di Cassazione ha cercato di formulare nelle sue sentenze un principio generale antiabuso per contrastare quei fenomeni che non rientravano nell’articolo 37-‐bis. Nessun problema vi era per le fattispecie che avevano ad oggetto i tributi armonizzati, giacché per contrastarle, si applicava il principio immanente dell’ordinamento europeo di divieto di abuso del diritto, decritto nel capitolo terzo. Per quelle, invece, che riguardavano le imposte non armonizzate e per le quali non era possibile applicare l’articolo 37-‐bis, bisognava cercare una soluzione.
In un primo momento, la Corte di Cassazione70, sostenne che potevano essere qualificati come elusivi (e quindi irrilevanti nei confronti del Fisco) solo quei comportamenti che tali sono definiti da una legge dello Stato vigente al momento in cui essi sono venuti in essere71. In seguito, la Corte 72 ha cercato di contrastare le condotte elusive applicando nell’ordinamento italiano il principio antielusivo europeo anche alle imposte non armonizzate, pur in assenza di una norma di recepimento. I Giudici della Corte affermarono infatti: “il principio secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sono opponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti che costituiscano "abuso di diritto" trova applicazione in tutti i settori dell'ordinamento tributario e dunque anche nell'ambito delle imposte dirette73”.
Tuttavia, in numerose sentenze della CGUE si è affermato che il principio di divieto di abuso del diritto di derivazione comunitaria è applicabile alle sole imposte dirette e rinvio al capitolo 3 dove sono state riportate le sentenze XXXXXX e 3M ITALIA che esprimono tale posizione.
In seguito, con le c.d. “tre sentenze di Natale”74 del 2008, la Corte di Cassazione ha cercato di trovare un’altra soluzione al contrasto dei fenomeni elusivi, superando le debolezze del precedente orientamento. La Corte nella sentenza n. 30057 ha affermato “il riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo; con la precisazione che la fonte di tale principio, in tema di
70 Corte di Cassazione, 3 aprile 2000, n. 3979; Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 0 settembre 2001, n. 11351; Xxxxx xx
Xxxxxxxxxx, 0 marzo 2002, n. 3345.
71 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00 maggio 2008, n. 8772.
72 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00 settembre 2006, n. 21221; Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00 ottobre 2006, n. 22023.
73 Nota n. 59.
74 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00 dicembre 2008, nn. 30055, 30056, 30057.
tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano”.
La Corte prosegue dicendo che per le imposte non armonizzate, la fonte costituzionale di tale principio è da rinvenire nell’art. 53 della Costituzione. E quindi, il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale75.
Sempre in base alle tre sentenze, il principio di divieto di abuso del diritto derivante dall’articolo 53 della Costituzione non contrasta con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali.
Tale principio è stato riconosciuto come immanente nell’ordinamento tributario italiano e quindi poteva essere rilevato ogniqualvolta il giudice lo riteneva opportuno; non erano ben chiari, infatti, quali fossero i presupposti per applicarlo. In aggiunta, gran parte della Dottrina sosteneva che per contrastare i fenomeni abusivi non si dovessero utilizzare i principi costituzionali quali l’articolo 53.
In tale contesto di incertezza del diritto, era necessario un intervento legislativo che ponesse fine nel trovare soluzioni ai fenomeni elusivi non chiare, inadeguate e illecite da utilizzare. In aggiunta era da ricercare una clausola antiabuso generale (GAAR), come quella che si era affermata da anni a livello europeo per i tributi armonizzati, e che non fosse ricavata dai principi costituzionali. Secondo Xxxxx, nell’elaborazione di una clausola generale, sarebbe stato sufficiente togliere il comma 3 dall’articolo 37-‐bis e inoltre riposizionare la norma in un documento legislativo non settoriale 76 . Tuttavia, nonostante vi fosse l’articolo 37-‐bis per le operazioni del comma 3, rimanevano da
75 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00 dicembre 2008, n. 30057.
76 X. XXXXX, La nozione di abuso dell’art. 10 bis dello statuto dei diritti del contribuente, in Abuso del diritto ed elusione fiscale, di X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXX, Xxxxxx, 0000.
contrastare le altre operazioni elusive non rientranti né nel comma 3 né nel principio antiabuso europeo. Le soluzioni offerte dalla Corte dagli anni 2000 in poi non erano soddisfacenti e minavano il principio di certezza del diritto visto che non erano chiari i principi in base ai quali applicare le soluzioni e anche quale fosse l’effettivo significato di fattispecie elusiva. È solo attraverso La Legge delega n. 23 del 201477 che si riuscì a trovare una soluzione che ancora oggi è in vigore.
4.5 L’articolo 10-‐bis Legge 212/2000
Con la Legge delega 23/2014 e il suo successivo decreto attuativo n. 128 del 2015 è stata introdotta la nuova normativa in materia di abuso del diritto o elusione fiscale all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente. Essa, è contenuta nell’articolo 10-‐bis rubricato “Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale” ed è in vigore da ottobre 2015. Questa nuova norma rappresenta un importante punto di arrivo nell’ordinamento tributario italiano non solo perché esplicita in maniera chiara l’unione dei concetti di abuso del diritto ed elusione fiscale, ma anche perché viene delineata una clausola antiabuso generale che era stata tanto ricercata nella giurisprudenza precedente.
Al comma 1, l’articolo offre una definizione di abuso del diritto “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Quindi, i presupposti per l'esistenza dell'abuso sono:
-‐ l'assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate;
-‐ la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;
-‐ la circostanza che il vantaggio è l'effetto essenziale dell'operazione.
Sempre dall’analisi del primo comma si può rilevare che il divieto di abuso è un istituto unitario a valenza generale, il cui ambito di applicazione si estende trasversalmente a tutti i tributi – diretti e indiretti, armonizzati e non – ed alla generalità delle fattispecie78. Questa generalità che copre anche i tributi armonizzati ha un’importante conseguenza positiva, ovvero che gli eventuali cambiamenti del concetto di abuso del diritto nell’Unione Europea, richiederanno un adeguamento della norma interna. Già nella
77 LEGGE 11 marzo 2014, n. 23, Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale piu' equo, trasparente e orientato alla crescita.
78 CIRCOLARE ASSONIME, D.L.vo n. 128 del 2015 sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e
contribuente: la disciplina sull’abuso del diritto, circolare n. 21/2016.
Legge delega, al comma 1 dell’articolo 5, si chiedeva al Governo di attuare la revisione delle disposizioni tenendo in considerazione i contenuti della Raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012, analizzata nel capitolo 2 paragrafo 2.2 . Un aspetto da considerare sempre in riferimento al carattere della generalità è se tale articolo sia applicabile anche alle operazioni abusive a carattere transnazionale, ovvero a quelle operazioni che riguardano soggetti residenti in Stati diversi e che puntano a sfruttare le asimmetrie esistenti tra gli ordinamenti nazionali in modo da realizzare dei vantaggi. In prima battuta, la nozione di abuso dell’articolo 10-‐bis non appare del tutto idonea a contrastare il fenomeno dell’abuso realizzato attraverso l’arbitraggio tra regimi di Stati diversi e sembra piuttosto rivolgersi ai soli vantaggi tributari che possono ritenersi indebiti in base all’ordinamento nazionale79 . Tuttavia, la clausola antiabuso dell’articolo 10-‐bis può essere utilizzata nel momento in cui una norma di fonte internazionale viene recepita dall’ordinamento interno, come nei casi di recepimento delle Direttive comunitarie in materia di dividendi, interessi e royalties80. Analoga conclusione potrebbe riguardare anche le leggi ratifica delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni81.
Il comma 1 dell’articolo 10-‐bis prosegue affermando che le operazioni abusive non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, la quale ne disconosce i vantaggi e ricalcola i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
Ritornando ai presupposti per l'esistenza dell'abuso il comma 2 precisa che cosa s’intende con “operazioni prive di sostanza economica” e con “vantaggi fiscali indebiti”. Per quanto concerne la prima espressione si afferma che: “ai fini del comma 1, si considerano: operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra
79 CIRCOLARE ASSONIME, D.L.vo n. 128 del 2015 sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e
contribuente: la disciplina sull’abuso del diritto, circolare n. 21/2016.
80 Le direttive saranno analizzate nel capitolo 1 parte II.
81 Infatti, come sarà spiegato nel capitolo 5, nel documento Final report sull’Action 6 del progetto BEPS (Preventing the granting of treaty benefits in Inappropriate circumstances), pubblicato in data 5 ottobre 2015, si distinguono due fondamentali fattispecie: a) il caso in cui un soggetto cerchi direttamente di abusare delle norme di un trattato contro le doppie imposizioni; b) il caso in cui un soggetto si proponga di aggirare la disciplina interna avvalendosi in maniera indebita della disciplina di un trattato. Per porre rimedio alla prima fattispecie occorre inserire nel modello di Convezione una clausola antiabuso, nella seconda, invece, è necessario introdurre apposite discipline antiabuso interne.
loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato. Questi ultimi indici di mancanza di sostanza economica sono a titolo di esempio e quindi non rappresentano la totalità dei casi. Per quanto riguarda la seconda espressione, i vantaggi fiscali indebiti sono: “i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”.
Ritornando agli indici sopra riportati, essi possono essere confrontati con quelli contenuti nella Raccomandazione sulla pianificazione fiscale aggressiva del 2012, giacché nella Legge delega 23/2014 si chiese al Governo di introdurre una nuova norma anti abuso che prendesse spunto dalla appena citata Raccomandazione. In quest’ultima al punto 4.4 si elencano una serie di esempi in cui si manifesta una mancanza di sostanza economica e sono:
a) la qualificazione giuridica delle singole misure di cui è composta la costruzione non è
coerente con il fondamento giuridico della costruzione nel suo insieme;
b) la costruzione o la serie di costruzioni è posta in essere in un modo che non sarebbe normalmente impiegato in quello che dovrebbe essere un comportamento ragionevole in ambito commerciale;
c) la costruzione o la serie di costruzioni comprende elementi che hanno l’effetto di compensarsi o di annullarsi reciprocamente;
d) le operazioni concluse sono di natura circolare;
e) la costruzione o la serie di costruzioni comporta un significativo vantaggio fiscale, di cui tuttavia non si tiene conto nei rischi commerciali assunti dal contribuente o nei suoi flussi di cassa;
f) le previsioni di utili al lordo delle imposte sono insignificanti rispetto all’importo dei previsti vantaggi fiscali.
Da questo elenco appare evidente come la gamma di situazioni considerate sia ampia e diversificata82 e i casi c), d), e) ed f) parrebbero connotati da una totale carenza di sostanza economica, non producendosi alcun mutamento nella sfera economico-‐giuridica
82 X. XXXXX, La nozione di abuso dell’art. 10 bis dello statuto dei diritti del contribuente, in Abuso del diritto ed elusione fiscale, di X. XXXXX, V. FICARI, X. XXXXXX, Torino, 2016
del soggetto83. Facendo un confronto con l’articolo 10-‐bis, in esso le due ipotesi del comma 2 riprendono quelle delineate alle lettere a) e b) della Raccomandazione. In queste due situazioni sono descritti i casi in cui un soggetto compie delle operazioni che singolarmente o nel loro insieme non sono idonee con la sua sfera economica e giuridica e perciò sono considerate carenti di sostanza economica. Le altre fattispecie della Raccomandazione non sono state riproposte nell’articolo 10-‐bis poiché rappresentano situazioni in cui è chiaramente mancante la sostanza economica. Tuttavia, il comma 3 dell’articolo 10-‐bis precisa che, “non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”. Secondo il comma terzo, quindi, se un contribuente pone in essere delle operazioni supportate da motivi non fiscali, i quali devono essere non marginali, non sono da considerare abusive. Per capire il carattere della non marginalità, la relazione illustrativa allo schema del decreto 128/2015 afferma che «le valide ragioni economiche extrafiscali non marginali sussistono solo se l’operazione non sarebbe stata posta in essere in loro assenza. Occorre, appunto, dimostrare che l’operazione non sarebbe stata compiuta in assenza di tali ragioni».
Un’altra considerazione importante in merito a tale articolo che tengo a ripetere, visto che già all’inizio di questo elaborato mi ero soffermata, è che anche nella normativa italiana il contribuente è legittimamente libero di scegliere tra le varie soluzioni offerte dall’ordinamento, quella che li consente un risparmio fiscale purché sia lecito e non indebito, ovvero contrario all’intento sostanziale della norma che gli consente di ottenere un minor debito d’imposta. Tale concetto è espresso al comma quarto dell’articolo 10-‐bis: “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale” e sul punto la relazione illustrativa afferma che “il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio di imposta esercitando la propria libertà di iniziativa economica e scegliendo, tra gli atti i fatti e i contratti quelli meno onerosi sotto il profilo impositivo. La norma sottolinea, quindi, che l’unico limite alla suddetta libertà è costituito dal divieto di perseguire un vantaggio fiscale indebito”. Infine, per quanto riguarda l’onere della prova
83 cit. op. prec. .
sull’esistenza della pratica abusiva, l’articolo 10 bis al comma 9 stabilisce che l'amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d'ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2 e il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma
3. Quindi, grava sull’amministrazione finanziaria dimostrare che esistono i presupposti per qualificare abusiva un’operazione, ovvero: l'assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate, la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito e la circostanza che il vantaggio è l'effetto essenziale dell'operazione. Inoltre, tali aspetti devono essere dimostrati tenendo conto di ciò che specifica il comma 2 come delineato sopra. Invece, grava sul contribuente dimostrare l’esistenza di ragioni extrafiscali non marginali per l’operazione posta in essere.
Capitolo 5. L’elusione nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni
5.1 Breve introduzione
Negli ultimi anni la globalizzazione ha permesso alle imprese di espandersi creando dei gruppi societari internazionali con insediamenti in territori diversi da quelli nazionali. La scelta dei territori nei quali svolgere l’attività, e quindi potenzialmente realizzare redditi imponibili, è influenzata da svariati elementi tra i quali rileva, in modo variabile in relazione all’attività delocalizzata, la pressione fiscale esercitata dallo Stato. In genere, si tende a preferire paesi in cui il prelievo fiscale è minimo o nullo. Come più volte constatato all’interno di questo elaborato, per attrare gli investimenti, alcuni Stati cercano di diminuire la tassazione del reddito dando origine alla già citata concorrenza fiscale dannosa. Inoltre, un’altra conseguenza della scelta di localizzare i redditi al di fuori dei confini nazionali è l’eventuale doppia tassazione di essi attuata da un lato dallo stato della residenza e dall’altro lato dallo stato della fonte84. Per ovviare alla doppia imposizione, gli Stati hanno stipulato a livello bilaterale o multilaterale delle Convenzioni. Peraltro, è emerso che alcuni gruppi multinazionali hanno posto in essere degli schemi di pianificazione fiscale che, sfruttando le diversità di trattamento fiscale tra gli Stati oppure le norme delle Convenzioni o, più spesso, una combinazione tra disposizioni normative locali e convenzioni, sono state in grado di evitare la tassazione dei redditi. In questo capitolo si analizzerà specialmente il fenomeno dell’utilizzo in maniera non lecita delle clausole contenute all’interno delle Convenzioni e come l’OCSE è intervenuta per contenere tale fenomeno. Il suo contributo è stato fondamentale poiché essendo un organismo internazionale, riesce a superare le difficoltà dei singoli Stati che non riescono a collaborare tra loro in maniera efficace nel contrasto di fenomeni elusivi.
Nel paragrafo 5.2 sarà delineato il percorso che ha portato all’elaborazione degli strumenti di contrasto ai fenomeni elusivi da parte dell’OCSE. In particolare, si partirà dalla pubblicazione da parte dell’OCSE nel 2013 del “Rapporto BEPS” fino ad arrivare all’analisi degli strumenti per raggirare l’elusione fiscale internazionale, quali, ad
84 Rinvio alla nota esplicativa n.14 del capitolo 2 “elusione fiscale internazionale”.
esempio, le 15 azioni dell’Action Plan e la Convenzione Multilaterale contro le doppie imposizioni. Invece, nel paragrafo 5.3 saranno approfondite delle tecniche di elusione fiscale delle Convenzioni internazionali.
5.2 Il ruolo dell’OCSE e del Rapporto BEPS nella lotta all’elusione fiscale
Il 12 febbraio 2013 l’OCSE ha pubblicato il rapporto nominato “Addressing Base Erosion and Profit Shifting”85. Con esso si è affrontato il problema della Base Erosion and Profit Shifting in maniera approfondita e sistematica. Per Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) s’intende l'insieme di strategie fiscali che le imprese pongono in essere per erodere la base imponibile (base erosion) e per traslare i profitti (profit shifting) da paesi ad alta imposizione a paesi a tassazione nulla o ridotta. Ci si potrà chiedere quale sia la relazione tra i fenomeni beps e quelli elusivi, giacché, in questa prima parte, l’elaborato tratta dell’elusione fiscale. Come si può notare dall’appena citata definizione di BEPS, le imprese, specialmente quelle multinazionali, realizzano delle tecniche di pianificazione fiscale che sfruttano lacune e disallineamenti nelle norme fiscali per ridurre il carico impositivo gravante sui redditi realizzati. L’OCSE, quindi, si è interessata ad analizzare i fenomeni di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili, i quali rappresentano forme di elusione fiscale internazionale e che vengono realizzati anche attraverso l’Aggressive Tax Planning analizzata nel capitolo 2. È necessario trovare, dunque, delle soluzioni che contrastino sia i fenomeni BEPS sia gli schemi di pianificazione fiscale aggressiva86.
I fenomeni BEPS sono stati la conseguenza della globalizzazione, della dematerializzazione di molte attività, del mancato aggiornamento delle disposizioni normative alle mutate condizioni e del poco coordinamento tra i diversi Stati che si sono concentrati nel tentare di risolvere unilateralmente gli attacchi subiti da quei paesi che hanno (aggressivamente) agito per attrarre investimenti attraverso la riduzione del carico impositivo87. Un lato innovativo e determinante del valore del progetto dell’OCSE
85 xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxx/xxxxxxxxxx-‐base-‐erosion-‐and-‐profit-‐shifting-‐9789264192744-‐en.htm.
86 I principali metodi di contrasto dell’ATP sono già stati delineati nel capitolo 2.
87 All’interno dell’articolo di H. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX, E. S. IRIANTO, Review of Implementation of the Inclusive Framework on Base Erosion and Profit Shifting in Indonesia Haula Rosdina, INTERTAX, Volume 47, Issue 6-‐7, 2019, si ha un elenco delle condizioni che favoriscono lo sviluppo dei fenomeni BEPS: The tax avoidance practice under various schemes recognized as base erosion and profit shifting (BEPS) has
raised international concerns, as it reduces government revenue from taxation. This practice is common due
consiste nel pensare che il contrasto ai fenomeni BEPS debba essere perseguito congiuntamente dalla maggior parte degli Stati, abbandonando cioè la ricerca di soluzioni unilaterali. L’OCSE si è quindi fatta promotrice di trovare delle soluzioni comuni condivise dal maggior numero possibile di Stati. La pubblicazione del Rapporto BEPS è stata favorita anche dall’impulso dei Ministri delle Finanze in occasione del G20 del 18-‐19 giugno 2012. Nella dichiarazione finale i Leader hanno espresso il loro impegno "to prevent base erosion and profit shifting” chiedendo all’OCSE di approfondire il tema. L’interesse dei Governi e dell’OCSE è dovuto al fatto che l’erosione della base imponibile costituisce un rischio per le entrate tributarie statali e per l’equità fiscale sia per i paesi membri dell’OCSE sia per quelli non appartenenti. Infatti, secondo l’OCSE88, i fenomeni BEPS causano ai paesi perdite di entrate annuali tra i 100-‐240 miliardi di dollari (equivalent to 4 – 10% of global corporate income tax revenue89). Come si legge dall’introduzione al Rapporto, una fonte di erosione della base imponibile è appunto il trasferimento degli utili in paesi con condizioni fiscali più favorevoli ma indebite o in paesi, dove non vi è effettivamente la produzione della ricchezza. Sempre in esso, inoltre, si rileva che le norme nazionali in materia di fiscalità internazionale e le norme concordate a livello internazionale non si sono adeguate ai cambiamenti avvenuti in ambito economico. Quest’ultimo aspetto ha causato diverse inefficienze. In primis, le norme erano poco utili per contrastare i fenomeni elusivi che si manifestavano in seguito all’espansione delle imprese in territori diversi da quelli nazionali e quindi in seguito alla globalizzazione che ha spinto le società a produrre redditi in mercati diversi se volevano reggere alla competizione con le altre. In secondo luogo, lo scarso coordinamento di esse tra i diversi Paesi lasciava delle lacune normative che offrivano alle società delle opportunità per eliminare o ridurre la tassazione del reddito. Il rapporto analizza inoltre, le problematiche relative ai BEPS, contiene una panoramica
to the inability of tax authorities to quickly adapt to fastpaced developments in cross-‐border economic activities supported by advanced technology. This is indicated by (1) cross-‐border movements of capital and human resources, (2) the movement of business locations from high-‐cost countries to the low-‐cost ones, (3) the common free trade agreements between countries, (4) the development of communication technologies,
(5) the risk management that becomes increasingly important and (6) the existence of intellectual property protection. This phenomenon occurs as a result of the differences in tax rules between jurisdictions where globalization serves as a catalyst for cross-‐border transactions. The problem is only exacerbated when the government of a particular country does not have sufficient information (asymmetric information) to design tax rules that properly take into account the tax rules in other countries.
88 xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxx/xxxxx/.
89 xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxx/xxxxx-‐inclusive-‐framework-‐on-‐beps.pdf.
degli sviluppi globali che hanno un impatto sull’imposta delle società e fornisce un overview dei principi chiave che sono alla base della tassazione delle attività transfrontaliere.
In seguito alla pubblicazione del Rapporto BEPS, l’OCSE in data 19 luglio 2013 ha pubblicato l’Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting90 in cui ha individuato 15 azioni per fornire ai governi gli strumenti nazionali e internazionali necessari per combattere sia il fenomeno BEPS sia l'elusione fiscale. I paesi, quindi, dispongono di mezzi per garantire che i profitti siano tassati laddove vengono svolte attività economiche che generano profitti e dove viene creato valore. Dopo circa due anni di lavoro, il pacchetto di 15 azioni è stato approvato dai Ministri delle finanze del G20 a Lima l’8 ottobre 2015 e ratificato dai capi di Stato o di governo il 16 novembre ad Antalya (Turchia). In seguito, grazie ai lavori dell’OCSE e anche alla collaborazione degli Stati, sono stati raggiunti degli importanti risultati in ambito di contrasto ai fenomeni elusivi, ossia:
-‐ Aggiornamento del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, approvato dal Consiglio dell’OCSE in data 21 novembre 2017, e del relativo Commentario;
-‐ Adozione di una Convenzione Multilaterale91 ("strumento multilaterale" o "MLI") il 24 novembre 2016 per agevolare la modifica dei trattati fiscali bilaterali esistenti per introdurre alcune misure (minimum standard) previste dal pacchetto BEPS, senza la necessità di rinegoziare bilateralmente ogni trattato. Attualmente la Convenzione è stata firmata da 9492 Paesi, nei quali rientra anche l’Italia.
90 OECD (2013), Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting.
91 Multilateral Convention to Implement Tax Treaty Related Measures to Prevent Base Erosion and Profit Shifting, xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxxxx-‐convention-‐to-‐implement-‐tax-‐treaty-‐related-‐ measures-‐to-‐prevent-‐beps.htm.
92 L’elenco aggiornato dei paesi si trova nel sito dell’OCSE xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxxxxxx/xxxx-‐mli-‐ signatories-‐and-‐parties.pdf.
-‐ Istituito nel giugno 2016 l’Inclusive Framework on BEPS93 per garantire che i Paesi, anche non membri dell’OCSE e comprese le economie in via di sviluppo, possano partecipare allo sviluppo di norme sulle questioni relative ai BEPS e soprattutto monitorare l'attuazione dell'OCSE / Progetto BEPS G20. Nella figura94 di seguito riportata si evidenziano i paesi membri dell’Inclusive framework.
Over 135 Members of the inclusive Framework
OECD 26%
Other Jurisdictions 68%
G20 (non OECD) 6%
Di seguito riporto uno schema95 che raggruppa le 15 azioni in 3 pilastri e in colore azzurro evidenza i minimum standard.
Coerenza Sostanza Trasparenza
Misure Misure Misure
Neutralizzare gli effetti di strutture ibride 2
Rafforzare le prescrizioni sulla tassazione addizionale 3
Limitare la deduzione degli interessi 4
Impedire l'elusione artificiale dello statuto di stabilimento d'impresa 7
Lottare contro le pratiche fiscalmente dannose
5
Garantire la conformità tra i risultati dei prezzi di trasferimento e la creazione di valore aggiunto 8−10
Registrare / analizzare i dati BEPS e sviluppare contromisure 11
Verificare la documentazione sui prezzi di trasferimento
Migliorare i meccanismi di risoluzione delle controversie
13
14
Impedire l'abuso delle convenzioni fiscali 6
Presentare i modelli di pianificazione fiscale aggressiva 12
Risolvere i problemi legati all'economia digitale 1
Sviluppare uno strumento multilaterale 15
Standard minimo
93 xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxx/xxxxx-‐inclusive-‐framework-‐on-‐beps.pdf.
94 xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxx/xxxxx-‐inclusive-‐framework-‐on-‐beps.pdf
95 Fonte dello schema: xxxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxx/xxx/xxxxxxx/00/XXXXXXX/0/000000/xxxxx.xxxx?xxxxxxxxxxxx_xxxxxxx0-‐ sezione_sezione5-‐h1_h16; xxxxx://xxx.xxx.xxxxx.xx/xxx/xx/xxxx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxx-‐aktionsplan.html.
I tre pilastri sono coerenza, sostanza e trasparenza mentre le azioni che compongono il cd. standard minimo sono l’azione n.5, n.6, n.13 e n.14. Da notare che l’azione n.15 “develop a multilateral instrument” altro non rappresenta che il risultato della Convenzione multilaterale.
L’azione che sarà approfondita nel prossimo paragrafo poiché inerente con il contenuto di tal capitolo 5, è l’azione n. 6 “prevent treaty abuse“, ovvero prevenire l’abuso delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Infatti, l’elusione fiscale internazionale si realizza non solo mediante l’indebita applicazione delle norme fiscali previste da uno Stato diverso dallo Stato di residenza o dallo sfruttamento delle differenze esistenti fra i regimi fiscali degli Stati, ma anche dall’abuso delle disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
5.3 Treaty abuse, treaty shopping e società conduit
Il report finale dell’azione 6 del progetto BEPS 96 analizza le applicazioni dei trattati fiscali contro le doppie imposizioni in circostanze inappropriate, ossia il fenomeno del treaty abuse. Una delle forme principali del treaty abuse è il treaty shopping, che secondo la definizione97 data dall’OCSE, rappresenta le situazioni in cui una persona organizza la propria attività in modo tale da ottenere i benefici che un trattato fiscale concede a un residente dello Stato contraente 98 pur non essendo ivi residente99. Perciò treaty abuse e traty shopping non sono la stessa cosa. Generalmente e impropriamente quando si parla di abuso dei trattati fiscali si utilizza l’espressione treaty shopping, ma in realtà sarebbe più giusto utilizzare la locuzione treaty abuse. Infatti, con treaty shopping si fa riferimento a quelle situazioni in cui un soggetto beneficia delle disposizioni di un trattato senza esserne il legittimo beneficiario100, mentre con treaty abuse si fa rifermento a quelle
96 OECD, Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances, Action 6– 2015 Final Report, OECD Publishing, ottobre 2015.
97 Stessa fonte nota n.91, p. 19 del documento OCSE.
98 Una persona viene considerata Residente in uno stato contraente in base all’articolo 4 della Convenzione fiscale del modello OCSE 2017.
99 Come sostiene X. XXXXXXXX, uno dei problemi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni è la poca chiarezza di quali siano requisiti per determinare quando un soggetto è considerato fiscalmente residente in uno Stato e questa situazione di incertezza permette alle società di attuare comportamenti abusivi. X. XXXXXXXX, Alternative Approaches to Address the (Yet to Be Defined) Treaty Shopping Phenomenon, INTERTAX, Volume 47, Issue 11, 2019.
100 X. XXXXXXX, Beneficiario Effettivo e treaty shopping, Milano, 2016, p. 3.
situazioni in cui il risultato di una data operazione è in contrasto con il trattato medesimo101.
Secondo il report, il treaty abuse, e in particolare il treaty shopping, rappresenta una delle fonti principali dei fenomeni BEPS. Nella sezione A del report, vengono delineate delle norme che contrastano il fenomeno del treaty abuse e sono essenzialmente tre:
-‐ Includere nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, una esplicita dichiarazione in base alla quale gli Stati facenti parte del trattato intendono evitare che il trattato possa creare opportunità di non imposizione o di riduzione delle imposte attraverso l’evasione o l’elusione fiscale, anche attraverso accordi di treaty shopping;
-‐ Aggiungere nelle Convenzioni fiscali una clausola di limitazione dei benefici (LOB clause) in modo da limitare i benefici previsti dal trattato stesso solo in seguito alla verifica di determinate condizioni che puntano principalmente a garantire che ci sia un collegamento tra il soggetto percettore e il suo Stato di residenza;
-‐ Inserire una regola antiabuso generale basata sull’analisi degli scopi principali delle transazioni o degli accordi tra due soggetti (the principal purpose test o PPT rule) in modo da verificare se uno degli scopi principali sia quello di ottenere dei benefici in contrasto o non conformi con il trattato fiscale e quindi negarli di conseguenza.
In aggiunta, il report riconosce che le clausole LOB o PPT presentano punti di forza e di debolezza e potrebbero non essere appropriate o facilmente concordabili con la politica del trattato di ogni paese. Infatti, potrebbe essere difficile concordare o superare le condizioni che stabiliscono quando un soggetto venga considerato effettivamente residente per ottenere i benefici del trattato oppure determinare quale sia il reale scopo principale dell’operazione economica. Inoltre, le norme fiscali nazionali potrebbero includere delle disposizioni che rendono superfluo l’inserimento di tali clausole per
101 Cit. op. nota n.94.
contrastare l’abuso dei trattati. Così, i Paesi per proteggersi da tale fenomeno hanno provveduto a inserire nel preambolo delle Convenzioni stipulate una dichiarazione esplicita che rilevi che uno degli scopi principali delle Convezioni sia quello di prevenire e contrastare l’evasione e l’elusione fiscale e attueranno questa intenzione includendo nei loro trattati: (i) un approccio combinato di una regola LOB e PPT sopra descritte, (ii) una sola regola PPT o (iii) una dettagliata regola LOB a cui aggiungere un meccanismo che contrasti gli accordi conduit non previsti nei trattati. La soluzione di inserire una dichiarazione e uno dei tre modi per contrastare l’abuso dei trattati rappresenta lo standard minimo delineato e suggerito dall’OCSE nell’azione 6 102 . Un esempio di dichiarazione che gli Stati possono inserire nel preambolo delle Convenzioni stipulate può essere ricavato dal preambolo del Modello di Convenzione OCSE del 2017: “Intending to conclude a Convention for the elimination of double taxation with respect to taxes on income and on capital without creating opportunities for non-‐taxation or reduced taxation through tax evasion or avoidance (including through treaty-‐shopping arrangements aimed at obtaining reliefs provided in this Convention for the indirect benefit of residents of third States)103”, mentre un esempio di regola PPT lo si ritrova nel paragrafo 9 dell’articolo 29 del Modello di Convezione OCSE e per la LOB ai paragrafi da 1 a 7. Altre tre considerazioni ritengo utile riportare. La prima è che con treaty abuse non ci si riferisce solamente all’abuso delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, ma anche all’aggiramento delle norme interne di uno Stato e ciò lo si deduce dal fatto che all’interno della sezione A del Report vi è una suddivisione tra casi in cui un soggetto tenta di aggirare i limiti previsti dalla Convenzione (“1. Cases were a person tries to circumvent limitations by the treaty itself”) e casi in cui un soggetto tenta di abusare le norme impositive nazionali utilizzando i benefici della Convenzione (“2. Cases where a person tries to abuse the provisions of domestic tax law using treaty benefits”). La seconda è che una delle forme principali con cui si realizzano fenomeni di treaty shopping è la costruzione di società conduit, ovvero di entità giuridiche create in uno Stato al solo scopo di ottenere i benefici del trattato che non sarebbero altrimenti riconosciuti e quindi si crea una struttura artificiosa localizzata in uno dei Paesi con i quali lo Stato
102 xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxx/xxxx-‐actions/action6/.
103 Model Tax Convention on Income and on Capital 2017 (Full Version) ritrovabile al sito
xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xxxxx-‐tax-‐convention-‐on-‐income-‐and-‐on-‐capital-‐full-‐version-‐9a5b369e-‐en.htm.
della fonte ha concluso una Convenzione fiscalmente più favorevole. E infine, la terza è che oltre al treaty shopping esiste un’altra forma di abuso dei trattati ovvero il rule shopping. Con rule shopping s’intende la ricerca all’interno di una Convenzione internazionale della disposizione che comporta il minor prelievo fiscale, adeguando ad essa, quanto meno da un punto di vista formale, le operazioni economiche che s’intendono porre in essere104 .
Soffermandomi sul secondo aspetto, ovvero sull’utilizzo delle società conduit, delineo le principali tipologie, ossia:
-‐ La direct conduit company, che è la più classica delle strutture di tipo conduit e che si realizza nel seguente modo:
• Una società residente in un Paese X (chiamata PCo) desidera effettuare un investimento nel Paese Y, tramite la costituzione di un veicolo societario (denominata ForCo);
• Il Paese X non ha stipulato una Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni con il Paese Y o i benefici ottenibili dall’applicazione della Convenzione esistente non sono vantaggiosi;
• Il Paese Z ha stipulato una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni sia con il Paese X che con il Paese Y.
In questa situazione, per la società Pco potrebbe essere più conveniente, dal punto di vista fiscale, controllare la società Fco attraverso una società intermedia
– conduit, denominata IHco (intermediate company) localizzata nel paese Z; così la società residente fiscalmente nel paese Z potrà beneficiare sia delle agevolazioni previste dalla convenzione stipulata con il Paese X, sia delle agevolazioni previste dalla Convenzione stipulata con il Paese Y. Così facendo,
104 Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della GdF -‐ volume III -‐ parte V -‐ capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievo internazionale”, p. 333.
ForCo
PCo
PCo, residente nel Paese X, è in grado di diminuire l’onere fiscale per i flussi di reddito provenienti dal Paese Y (ForCo), grazie alla costituzione nel Paese Z della società IHCo. A livello grafico105 la situazione può essere presentata nel seguente modo:
PCo | |
IHCo | |
ForCo | |
-‐ La stepping stone conduit company:
• Una società residente in un Paese X (chiamata PCo) desidera effettuare un investimento nel Paese Y, tramite la costituzione di una società controllata (denominata ForCo);
• Il Paese X non ha stipulato una Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni con il Paese Y o i benefici ottenibili dall’applicazione della Convenzione esistente non sono vantaggiosi;
• Il Paese X ha stipulato, invece, una Convenzione contro le doppie imposizioni con il Paese Z, ma non con il Paese Y. Tuttavia, c’è una vantaggiosa Convenzione stipulata tra il Paese Z ed il Paese W che, a sua volta, ne ha una efficace stipulata con il Paese Y.
105 Vedere nota precedente, p. 334.
La struttura conduit si realizza costituendo una società intermedia nel Paese Z e nel Paese W, ovvero IHCo1 e IHCo2, in modo da far transitare i flussi di reddito (dividendi, interessi, royalty, ecc.) provenienti dal Paese Y (ForCo), secondo il seguente schema106:
PCo
IHCo1 IHCo2
ForCo
Secondo l’Agenzia delle Entrate, una società rappresenta un’entità conduit quando non svolge una reale e genuina attività economica107. Inoltre, l’Agenzia spiega come tali entità intermedie possono essere considerate prive di sostanza economica in base al riscontro di almeno una delle seguenti caratteristiche:
-‐ una struttura organizzativa “leggera” priva di effettiva attività e di una reale consistenza e, in concreto, senza autonomia decisionale se non dal punto di vista formale;
-‐ una struttura finanziaria passante, con riguardo alla specifica operazione, in cui fonti e impieghi presentano condizioni contrattuali ed economiche quasi del tutto speculari (durata, importi, modalità e scadenza di maturazione degli interessi) o comunque funzionali a consentire la corrispondenza tra quanto incassato sugli impieghi e quanto pagato sulle fonti e la non applicazione di alcuna ritenuta in uscita nella giurisdizione in cui risiedono fiscalmente – operazioni conduit.
106 Fonte schema nota n.98.
107 XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, Xxxxxxxxx x. 0/X, del 30 marzo 2016.
Per contrastare tutte quelle situazioni in cui viene interposta un’entità (fisica o giuridica) che non rappresenta il reale percettore del reddito, ma essenzialmente un mezzo per beneficiare di una tassazione nulla o ridotta, è stato introdotto il concetto del beneficiario effettivo che sarà analizzato nella seconda parte dell’elaborato. Tale concetto viene utilizzato per arginare l’utilizzo distorto dei trattati internazionali (treaty abuse/ treaty shopping), delle direttive europee e quindi dell’elusione fiscale internazionale.
PARTE II
LA CLASUOLA DEL BENEFICIARIO EFFETTIVO
Capitolo 1. La clausola del beneficiario effettivo
1.1 La clausola del “beneficiario effettivo” nel Modello di convenzione OCSE
In questa seconda parte dell’elaborato sarà analizzata la clausola del beneficiario effettivo quale strumento di contrasto all’elusione fiscale internazionale. Infatti, come riportato nel capitolo 5, alcune società tendono a utilizzare in maniera distorta le norme domestiche o quelle contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizione per ottenere un risparmio d’imposta altrimenti non concesso. Queste tecniche di treaty shopping avvengono tipicamente mediante l’interposizione di un soggetto residente in uno stato terzo (soggetto conduit) nel flusso reddituale tra lo stato della fonte e quello del beneficiario effettivo. Così facendo, tale beneficiario effettivo “tende a percepire un reddito con un’imposizione fiscale più bassa di quella che avrebbe avuto luogo qualora il flusso reddituale non fosse stato mediato, grazie alla possibilità di applicare il più conveniente regime pattizio previsto tra lo Stato della fonte e lo Stato della società conduit, anziché quello previsto tra lo Stato della fonte e lo Stato del beneficiario effettivo108”. Questa tipologia di elusione fiscale internazionale punta a diminuire fino anche ad azzerare l’imposizione fiscale sui flussi reddituali in uscita da uno Stato a un altro (flussi cross-‐border) e per contrastarla è stata introdotta la clausola del beneficiario effettivo nei modelli di Convenzioni OCSE contro le doppie imposizioni. Se non vi fosse tale clausola che prevede l’applicazione delle norme contenute nelle Convenzioni in seguito alla verifica che il soggetto percepente il reddito sia effettivamente il beneficiario, si lascerebbe alle società la possibilità di scegliere le disposizioni fiscali nazionali o convenzionali più favorevoli attraverso la mera e formale interposizione di una società tra lo Stato che eroga il reddito e il beneficiario finale. Tale società intermediaria diventa in maniera apparente l’effettivo beneficiario e la sua costruzione non è supportata da valide ragioni economicamente apprezzabili che siano diverse dal risparmio fiscale. Essa
108 X. XXXXXXX e X. XXXXXXX, Le ritenute in uscita su interessi e canoni: la nozione di beneficiario effettivo e l’approccio Look through, in Il fisco, n. 10/2017, p. 1-‐955.
può sfruttare le condizioni fiscali più agevoli che altrimenti non sarebbero applicabili all’effettivo beneficiario finale il quale sarebbe inciso da un onere fiscale più alto. Dopo queste iniziali contestualizzazioni, la tematica del beneficiario effettivo nasce proprio per contrastare eventuali utilizzi abusivi dei benefici convenzionali in materia di ritenute applicabili – quale espressione della potestà impositiva dello Stato della fonte – sui flussi di dividendi, interessi e royalties109.
La clausola del beneficiario effettivo si ritrova all’interno degli articoli 10, 11 e 12 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni che saranno analizzati nel paragrafo successivo. All’interno del Modello non vi è un’esplicita definizione del concetto di beneficiario effettivo e nemmeno nel relativo Commentario e ciò comporta delle problematiche relative alla sua interpretazione che saranno delineate alla fine del percorso storico sull’evoluzione del concetto di beneficial owner di seguito riportato.
La clausola del “beneficiario effettivo” è stata introdotta nel Commentario alla versione del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni varata nel 1977110 con l’intento inziale di chiarire il significato da attribuire all’espressione paid to, utilizzata negli articoli relativi al regime convenzionale degli interessi e dei dividendi (par. 12 del Commentario all’art. 10 del modello OCSE, par. 8 del Commentario all’art. 11 e par. 4 del Commentario all’art. 12). La clausola era finalizzata a escludere i benefici convenzionali ai soggetti (quali gli agenti, i nominee o i trustee) che percepivano il reddito per conto di terzi ancorché in nome proprio e la definizione si limitava ad escludere dalla nozione soggetti che, percependo il reddito in nome proprio ma per conto e negli interessi di terzi, sono tenuti ad un obbligo di retrocedere il medesimo reddito a taluni soggetti 111 . Successivamente, nel 1997 l’OCSE pubblicava un documento sulle società conduit112 in cui sosteneva che non possono essere considerati beneficiari effettivi non solo i c.d. agenti o nominee, ma anche le conduit company. Riporto una mia personale traduzione del documento in cui viene esplicata tale posizione:
“Gli articoli da 10 a 12 del Modello OCSE negano la limitazione dell'imposta nello Stato
109 CIRCOLARE ASSONIME, Imprese multinazionali: aspetti societari e fiscali, circolare n. 17/2016.
110 M. PIAZZA, C. RESNATTI, X. XXXXXXXXX, Concetto di beneficiario effettivo: l’analisi di Assonime sulle numerose incertezze, in "il fisco" n. 3/2017, p. 1-‐256.
111 C. SACCHETTO, Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino, 2016, p. 281.
112 OECD, “Double Taxation Convention and the Use of Conduit Companies”, 27 novembre 1986.
di origine su dividendi, interessi e royalties se la società conduit non è il suo beneficiario effettivo”. Pertanto, la limitazione non è disponibile quando, a livello economico, andrebbe a beneficio di una persona che non ha diritto ad essa e che ha interposto la società conduit come intermediario tra se stesso e il pagatore del reddito (paragrafi 12, 8 e 4 del Commentario rispettivamente agli articoli 10, 11 e 12). Il Commentario menziona il caso di un intestatario o di un agente (nominee, agent). Le disposizioni si applicherebbero tuttavia anche ad altri casi in cui una persona stipula contratti o assume obblighi in virtù dei quali ha una funzione simile a quella di un intestatario o di un agente. Pertanto, una società conduit non può di norma essere considerata il beneficiario effettivo se, sebbene sia la proprietaria formale di determinate attività e dei relativi flussi reddituali, ha poteri molto limitati assimilabili a quelli di un semplice fiduciario o un amministratore che agisce per conto delle parti interessate (molto probabilmente gli azionisti della società conduit)”113.
Dopo la pubblicazione del sopracitato documento sulle conduit company, veniva aggiornato il Commentario agli artt. 10, 11 e 12 del Modello OCSE del 2003114 per recepire i contenuti del lavoro sulle società conduit e quindi aggiungere queste ultime all’elenco dei soggetti che non potevano essere considerati beneficiari effettivi115.
Al paragrafo 12 del Commentario all’articolo 10 (sempre versione 2003) si rileva il fatto che “the requirement of beneficial ownership was introduced in paragraph 2 of Article 10 to clarify the meaning of the words “paid ... to a resident” as they are used in paragraph 1 of the Article…the term “beneficial owner” is not used in a narrow technical sense, rather, it should be understood in its context and in light of the object and purposes of the Convention, including avoiding double taxation and the prevention of fiscal evasion and avoidance”, ovvero, “il requisito del benficiario effettivo è stato introdotto nel paragrafo 2 dell'articolo 10 per chiarire il significato delle parole "pagato ... a un residente" come sono utilizzate nel paragrafo 1 dell'articolo. Il termine "beneficiario effettivo" non è usato in senso tecnico stretto, ma dovrebbe essere compreso nel suo contesto e alla luce dell'oggetto e degli scopi della Convenzione, tra cui evitare la doppia imposizione e la
113 OECD, “Double Taxation Convention and the Use of Conduit Companies”, 27 novembre 1986, punto R(6)-‐8.
114 Paragrafo 12.1 nel Commentario all’art. 10; 8.1 per l’art. 11 e 4.1 per l’art. 12.
115 Le modifiche al Commentario del 2003 che hanno ampliato l’analisi del beneficiario effettivo viene riportato anche da X. XXXXXX, Diritto tributario internazionale, Padova, 2005, p. 639.
prevenzione dell'evasione e dell'elusione fiscali”. Dalla contestualizzazione del Commentario rilevo due peculiarità sulle quali bisogna porre attenzione per capire poi come va interpretata la clausola del beneficiario effettivo, ossia:
-‐ il concetto di “beneficiario effettivo” è stato introdotto per spiegare il significato di paid to dell’articolo 10 del modello di convenzione OCSE;
-‐ l’espressione non va interpretata in senso tecnico, ma in base al contesto e alla luce e agli scopi della Convenzione.
Nello stesso anno, il concetto di beneficiario effettivo si ritrova anche nella legislazione europea, come condizione di esenzione dall’imposta sugli interessi transfrontalieri e sui pagamenti di royalties tra società collegate ai sensi della direttiva interessi-‐ canoni116 del Consiglio europeo, che sarà analizzata nel paragrafo terzo.
Dal 2003, numerose autorità fiscali hanno utilizzato la clausola del beneficial owner per contrastare gli accordi fiscali conclusi tra intermediari o società conduit. Senonché, queste contestazioni hanno generato un’ampia varietà di pareri e interpretazioni della clausola con una conseguente notevole incertezza riguardo alla portata del significato del concetto di beneficiario effettivo all’interno dei trattati fiscali bilaterali117. Per questa ragione, nel 2011, l’OCSE pubblicò un discussion draft per proporre delle modifiche ai commentari degli artt. 10, 11, e 12118 con lo scopo di chiarire il significato di beneficiario effettivo che si ritrova all’interno della Convenzione del modello OCSE. Le modifiche principali sono le seguenti:
-‐ Il termine "beneficiario effettivo" è stato aggiunto per affrontare le potenziali difficoltà derivanti dall'uso delle parole "pagato a ... un residente" al paragrafo 1 dell’art. 10, si intendeva interpretarlo in questo contesto e non fare riferimento a
116 DIRETTIVA 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003 concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi.
117 X. XXXX, P. XXXXXXX, X.XXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX, Beneficial Ownership: Recent Trends, Amsterdam, 2013, p. 2.
118 OECD, Clarification of the Meaning of “Beneficial Owner” in the OECD Model Tax Convetion, Discussion Draft, 29 April 2011 to 15 July 2011.
nessun significato tecnico che avrebbe potuto avere ai sensi della legislazione nazionale di un determinato paese (infatti, quando è stato aggiunto al paragrafo, il termine non aveva un significato preciso nella legge di molti paesi). Il termine "beneficiario effettivo" non è quindi utilizzato in senso tecnico stretto, piuttosto, dovrebbe essere compreso nel suo contesto, in particolare in relazione alle parole "pagato ... a un residente", e alla luce dell'oggetto e degli scopi della Convenzione, tra cui evitare la doppia imposizione e la prevenzione dell'evasione e dell'elusione fiscali. Ciò non significa, tuttavia, che il significato di diritto interno di "beneficiario effettivo" sia automaticamente irrilevante per l'interpretazione di tale termine nel contesto dell'articolo: tale significato di diritto interno è applicabile nella misura in cui è coerente con la guida generale inclusa in questo Commentario119;
-‐ Nei casi di agent, nominee e società conduit, il destinatario del dividendo (vale anche per interesse o royalties) non è il "beneficiario effettivo" perché quel destinatario non ha il pieno diritto di utilizzare e godere del dividendo (the full right to use and enjoy) che riceve e questo dividendo non è realmente “suo”; i poteri di quel destinatario su quel dividendo sono effettivamente limitati in quanto il destinatario è obbligato (a causa di un obbligo contrattuale, fiduciario o di altro tipo) a passare il pagamento ricevuto a un'altra persona. Il destinatario di un dividendo è il "beneficiario effettivo" di quel dividendo se ha il pieno diritto di utilizzare e godere del dividendo e non è vincolato da un obbligo contrattuale o legale di trasferire il pagamento ricevuto a un'altra persona. Tale obbligo deriverà normalmente da documenti legali pertinenti ma potrebbe anche essere accertato sulla base di fatti e circostanze che dimostrano che, in sostanza, il destinatario non ha chiaramente il pieno diritto di utilizzare e godere del dividendo; inoltre, l'uso e il godimento di un dividendo devono essere distinti dalla proprietà legale, nonché l'uso e il godimento delle azioni su cui viene pagato
119 Personale traduzione del paragrafo 12.1 del commento dell’articolo 10 che si ritrova a p. 3 del discussion draft, la stessa parte di questo primo punto (-‐) la si ritrova anche nel commento dell’articolo 11 al paragrafo 9.1 e nel commento dell’articolo 12 al paragrafo 4.
il dividendo120;
-‐ Il fatto che il destinatario di un dividendo (vale anche per interessi e royalties) sia considerato il beneficiario effettivo di tale dividendo non significa, tuttavia, che la riduzione dell'imposta prevista dal paragrafo 2 dell’articolo 10 debba essere automaticamente concessa. Questa limitazione fiscale non dovrebbe essere concessa in caso di abuso di questa disposizione. Come spiegato nella sezione "Uso improprio della Convenzione" nel Commento all'articolo 1, ci sono molti modi per contrastare le società conduit e più in generale, le situazioni di treaty shopping. Questi includono specifiche disposizioni anti-‐abuso del trattato, norme generali anti-‐abuso e approcci di substance over the form o economic substance. Mentre, il concetto di "beneficiario effettivo" si applica ad alcune forme di elusione fiscale (vale a dire quelle che comportano l'interposizione di un soggetto che è obbligato a trasferire il dividendo a qualcun altro) e non si occupa di altri casi di treaty shopping121.
Da questi punti del Discussion Draft, si riconfermano i due elementi che avevo fatto notare in precedenza ovvero che il concetto di beneficiario effettivo è stato introdotto per spiegare l’espressione paid to degli artt. 10, 11 e 12 della Convenzione OCSE e che la clausola non deve essere interpretata in senso tecnico, ma in relazione al contesto e agli scopi della Convenzione. Inoltre, essa va utilizzata per contrastare quei fenomeni di treaty shopping che prevedono l’uso di soggetti quali agenti o interposti, e anche società conduit. Quindi come nel 2003 anche nel 2011 questi concetti sono stati riconfermati. Tuttavia, gli elementi di novità che il documento specifica sono:
-‐ Il significato che un paese attribuisce al "beneficiario effettivo" non debba essere automaticamente irrilevante, dato che lo si deve interpretare in base al contesto e agli scopi della convenzione e quindi il significato di diritto interno è applicabile nella misura in cui è coerente con gli elementi che definiscono il concetto
120 Personale traduzione Commentario articolo 10 paragrafo 12.4, articolo 11 paragrafo 10.2, articolo 12 paragrafo 4.3 (tali paragrafi si ritrovano all’interno del “Discussion draft “del 2011).
121 Personale traduzione Commentario articolo 10 paragrafo 12.5, articolo 11 paragrafo 10.3, articolo 12 paragrafo 4.4 (tali paragrafi si ritrovano all’interno del “Discussion draft “del 2011).
all’interno del Commentario;
-‐ Il beneficiario effettivo va individuato in base a colui che ha il pieno diritto di utilizzare e godere del reddito (the full right to use and enjoy);
-‐ Non si possono applicare le riduzioni d’imposta previste dagli articoli 10, 11 e 12 122 quando, a causa di un obbligo contrattuale, legale o di altro tipo, il destinatario del reddito deve passare il reddito ricevuto a un'altra persona;
-‐ La situazione di cui sopra potrebbe anche sussistere qualora vi siano circostanze di fatto, anche non dimostrabili attraverso vincoli legali o contrattuali, che comportino il trasferimento del reddito da un soggetto a un altro in modo che il primo soggetto non abbia il potere di godere e di disporre del reddito. Tale situazione è riassumibile nel principio di prevalenza della sostanza sulla forma (substance over the form);
-‐ Non possono essere concesse le limitazioni all’onere fiscale come previste dagli articoli 10, 11 e 12 se il beneficiario effettivo del reddito in realtà sta abusando della Convenzione.
In seguito, nel 2012 l’OCSE pubblicava un altro discussion draft123 e all’esito del dibattito, nel Report “The 2014 Update to the Model Tax Convention124” attenuava notevolmente l’impostazione del precedente Draft del 2011 che, come appuntato prima, aveva identificato il beneficiario effettivo soltanto nel caso in cui esso disponesse del “full right to use and enjoy” del reddito.
In coerenza con il Report del 2014 e con il discussion draft del 2012, veniva aggiornato il Commentario al modello OCSE, ovvero edizione 2014. Le novità introdotte nel Commentario 2014 degli articoli 10, 11 e 12 in relazione al concetto del beneficiario
122 Saranno analizzate nel paragrafo successivo.
123 OECD, Revised Proposals Concerning the Meaning of Beneficial Owner in Articles 10, 11 and 12 of the OECD Model Tax Convention, Revised public discussion draft, 19 October 2012 to 15 December 2012. 124 OECD, The 2014 Update to the Model Tax Convention, 15 July 2014.
effettivo rispetto al 2011 sono le seguenti:
-‐ Al paragrafo 12.1 del commento dell’articolo 10 (e quindi anche al paragrafo 9.1 per l’articolo 10 al paragrafo 4 per l’articolo 12) è stata eliminata la parte finale, ovvero, “this does not mean, however, that the domestic law meaning of “beneficial owner” is automatically irrelevant for the interpretation of that term in the context of the Article: that domestic law meaning is applicable to the extent that it is consistent with the general guidance included in this Commentary” (vedere traduzione riportata al primo punto del commento del Discussion Draft pag. 71). Infatti, questa ultima parte del paragrafo 12.1 ha destato negli Stati molta confusione. Come riporta il “Revised Proposals Concerning the Meaning of Beneficial Owner in Articles 10, 11 and 12 of the OECD Model Tax Convention, Revised public discussion draft”, l’ultima parte del paragrafo 12.1 attribuiva agli stati un’autonoma interpretazione del concetto di beneficiario effettivo e quindi andava contro la parte precedente del medesimo paragrafo dove si sosteneva che il concetto va interpretato in base al contesto e agli scopi della Convenzione;
-‐ Viene modificata la nozione di beneficiario effettivo al paragrafo 12.4 (quindi anche al paragrafo 10.2 per l’articolo 11 e paragrafo 4.3 per l’articolo 12), ovvero, può essere negato lo status di beneficiario effettivo dei dividendi, quando “the recipient’s right to use and enjoy (e non più, come nel draft del 2011, the full right to use and enjoy) the dividend is constrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person. Such an obligation will normaly derive from relevant legal documents but may also be found to exist on the basis of facts and circustances showing that, in substance, the recipient clearly does not have the right to use and enjoy the dividend unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person”125 . Quindi, “i benefici convenzionali possono essere negati solo ove il percettore sia obbligato a
125 La parte in corsivo riguarda il nuovo paragrafo 12.4, che si trova riportato anche nella CIRCOLARE ASSONIME, allegato n.2, “ il post BEPS. L’obiettivo di tassare le imprese nei luoghi di produzione della ricchezza e i conseguenti nuovi profili della ‘dialettica’ tra Stati della residenza e Stati della fonte. Le iniziative per il superamento delle Harmful Tax Practices in ambito europeo”, circolare n. 17/2016. In questo allegato si analizza l’evoluzione del concetto di beneficiario effettivo.
trasferire i dividendi a terzi e non è, dunque, necessario che il percettore dei dividendi goda di un diritto pieno e assoluto a utilizzare e godere del reddito”126.
Nel Commentario del 2014 rimane quindi la previsione che il concetto di beneficiario effettivo vada interpretato in base al contesto in cui è utilizzato e alla luce dell’obbiettivo e scopo della Convenzione e cioè di evitare la doppia imposizione e di prevenire l’evasione e l’elusione fiscale. Tuttavia, il Commentario non rappresenta l’unica soluzione per interpretare la clausola del beneficiario effettivo, anzi, delle volte le sue indicazioni non risultano soddisfacenti o l’utilizzo stesso del Commentario non sempre viene considerato come fonte lecita nell’interpretare i termini della Convenzione. Per capire meglio questo ultimo passaggio, sono necessarie delle ulteriori considerazioni. Innanzitutto, come regola generale nell’interpretare i trattati internazionali contro le doppie imposizioni, si deve tener conto di cosa sancisce la Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati127 , in particolare agli articoli 31 e 32 che riguardano proprio l’interpretazione dei trattati.
L’articolo 31 recita:
1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo.
2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, preambolo e allegati inclusi:
a) ogni accordo relativo al trattato e che sia intervenuto tra tutte le parti in occasione della sua conclusione;
b) ogni strumento disposto da una o piu' parti in occasione della conclusione del trattato ed accettato dalle altre parti in quanto strumento relativo al trattato.
3. Xxxxx' tenuto conto, oltre che del contesto:
a) di ogni accordo ulteriore intervenuto tra le parti circa l'interpretazione del trattato o l'attuazione delle disposizioni in esso contenute;
126 M. XXXXXX, C. RESNATTI, X. XXXXXXXXX, Concetto di beneficiario effettivo: l’analisi di Assonime sulle numerose incertezze, in "il fisco" n. 3/2017, p. 1-‐256.
127 Convenzione sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969.
b) di ogni ulteriore pratica seguita nell'applicazione del trattato con la quale venga accertato l'accordo delle parti relativamente all'interpretazione del trattato;
c) di ogni norma di diritto internazionale pertinente, applicabile alle relazioni fra le parti.
4. Si ritiene che un termine o una espressione abbiano un significato particolare se verra' accertato che tale era l'intenzione delle parti128.
Quindi, in base a tale articolo, al primo paragrafo si dichiara l’obbligo di interpretare i termini della Convenzione contro le doppie imposizioni in buona fede, in base al loro senso comune, nel loro contesto ed alla luce dell’oggetto e dello scopo della Convenzione. Al secondo paragrafo, si delimitano quali sono gli elementi che possono fare da contesto ovvero il preambolo alla Convenzione, gli allegati e le previsioni della lettera a) e b) del paragrafo 2. Il terzo paragrafo aggiunge anche gli accordi o le norme di diritto internazionale quali elementi da utilizzare per interpretare i termini. Infine, il quarto paragrafo lascia la possibilità di interpretare un termine in base al senso che hanno voluto dare le parti che hanno concluso il trattato.
L’articolo 32, invece, afferma che:
Si potra' ricorrere a mezzi complementari d'interpretazione, ed in particolare ai lavori preparatori ed alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, sia di confermare il significato risultante dalla applicazione dell'articolo 31, che di definire un significato quando l'interpretazione data in base all'articolo 31:
a) lasci il significato ambiguo od oscuro; o
b) porti ad un risultato chiaramente assurdo od illogico.
Secondo tale articolo, vengono aggiunti altri mezzi per interpretare i termini di un trattato quali i lavori preparatori e le circostanze nelle quali il trattato è stato concluso.
Come si può notare da questi due articoli, esistono diversi documenti o circostanze che possono essere presi in considerazioni per interpretare un termine o un concetto privo di una propria definizione all’interno del Modello di Convenzione OCSE. Tuttavia, in essi
128 LEGGE 12 febbraio 1974, n. 112, Ratifica ed esecuzione della convenzione sul diritto dei trattati, con annesso, adottata a Vienna il 23 maggio 1969.
non si fa alcun riferimento all’utilizzo del Commentario al Modello OCSE. In dottrina, infatti, vi è chi sostiene che il Commentario sia rilevante ai fini interpretavi e chi invece gli attribuisce una funzione limitata. Invero, sebbene esso sia inscindibilmente legato al Modello di Convenzione, a esso non può attribuirsi una rilevanza tale da vincolare il discernimento del giudice in sede interpretativa o da riflettere il valore da riconoscere alle clausole convenzionali oggetto di ratifica da parte dell’organo legislativa nazionale129. In tal senso, è opportuno un atteggiamento più limitativo in merito all’applicazione dell’articolo 31 al Commentario OCSE. Nell’ordinamento giuridico italiano, il Commentario, anche se non può vincolare il giudice, è comunque riconosciuto come mezzo d’interpretazione. Infatti, nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 10706 del 17/04/2019 si sostiene che “il Commentario Ocse, pur non avendo valore normativo, costituisce, comunque, una raccomandazione diretta ai paesi aderenti all'OCSE (Cass., sez. 5, 28 luglio 2006, n. 17206) e inoltre, il valore interpretativo del modello Ocse si rinviene in numerosi precedenti di legittimità Cass., 32842/2018, in tema di royalties per il concetto di "beneficiario effettivo"; (Cass., 7 settembre 2018, n. 21865, in materia di redditi percepiti all'estero dagli artisti; Cass., 10 novembre 2017, n. 26638, in relazione alla Convenzione Italia-‐Federazione Russa per l'individuazione della residenza della persona fisica; Cass., 33218/2018 con riferimento alla stabile organizzazione)130. Nella sentenza, la Corte si è limitata ad attribuibile un valore interpretativo al Commentario al Modello OCSE sul mero presupposto che esso costituisce una raccomandazione diretta ai paesi aderenti all’OCSE e che il giudice di legittimità, in molti suoi precedetti, ne ha fatto ampio uso al fine di attribuire un significato alle disposizioni pattizie131. Anche nella Sentenza 27113/16132 la Corte fornisce delle indicazioni interpretative sulla clausola del beneficiario effettivo. In primis, la Corte sostiene che “la clausola in esame – comune ad innumerevoli convenzioni in materia – si pone dunque quale disposizione antielusiva specifica in tema di eliminazione-‐attenuazione della doppia imposizione” e poi afferma che “la stessa clausola è però certamente conforme anche ai principi antielusivi della fiscalità internazionale (per quanto segnatamente concerne la nozione di “beneficial owner” in materia di dividendi
129 P. PISTONE, Diritto tributario internazionale, Torino, 2019, p. 195.
130 Corte di Cassazione, sentenza del 17 aprile 2019, n. 10706.
131 X. XXXXXXX, Trattati contro le doppie imposizioni: valenza del “Commentario OCSE” ai fini interpretativi e soggetti ammessi a beneficiare delle disposizioni convenzionali in una recente decisone della Cassazione, Rivista di Diritto Tributario, 19 agosto 2019.
132 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx xxx 00 dicembre 2016 n. 27113
sull’estero, rileva l’art. 10 del Commentario al mod. OCSE sulle convenzioni contro le doppie imposizioni) e, in particolare, di quella Eurounitaria; così come ormai definitivamente acquisiti, anche per i tributi non armonizzati, a seguito delle note sentenze nei casi Halifax C-‐255/02 e Cadbury Schweppes C-‐196/04”. Da questi passi della Sentenza si evince che la Corte ha espressamente richiamato il Commentario all’articolo 10 del Modello OCSE come guida interpretativa rilevante133 . Inoltre, sempre nella stessa Sentenza la Corte fornisce una definizione di beneficiario effettivo, ovvero, di soggetto al quale sia attribuito l’uso ed il godimento dei dividendi oggetto di tassazione, in relazione ai quali esso si ponga come destinatario finale (“owner”, dominus), e non come semplice intermediario, agente o fiduciario. Da questa definizione ciò che consegue è che dal punto di vista probatorio, per dimostrare che una società sia la beneficiaria effettiva di un reddito occorre valutare la sussistenza in concreto dell’unico elemento normativamente rilevante ai fini della nozione di “beneficiario effettivo”, costituito dalla padronanza ed autonomia della società – madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo).
Ritornando all’analisi delle fonti da utilizzare per interpretare la clausola del beneficiario effettivo, oltre alla Convenzione di Vienna, vi è anche all’interno della stessa Convenzione OCSE contro le doppie imposizione, il paragrafo 2 dell’articolo 3, il quale recita che “ai fini dell’applicazione della Convenzione da parte di uno Stato contraente, i termini e le espressioni non ivi definiti hanno il significato che ad essi è attribuito dalla legislazione di detto Stato relativamente alle imposte cui la convenzione si applica, a meno che il contesto non richieda una diversa interpretazione134. In base a tale articolo si ammette il rinvio al diritto interno come ulteriore metodo da utilizzare in sede interpretativa. Tuttavia, basarsi sul diritto interno può creare delle difformità d’interpretazione in quanto ciascuno Stato può esplicare in maniera diversa il medesimo
133 P. XXXXXXXXX, Spunti ricostruttivi sulla nozione di beneficiario effettivo ai fini convenzionali bilaterali per evitare le doppie imposizioni concluse dall’Italia, Rivista di Diritto Tributario, 4/2017.
134 Nell'ordinamento tributario italiano non è mai stata codificata una vera e propria definizione di "beneficiario effettivo", rinviando al limite il suo significato nell'art. 26-‐quater, comma 4, lett. c), n. 1) del DPR n. 600/73 di recepimento della direttiva comunitaria "Interessi e Canoni" (direttiva 2003/49 / CE del 3 giugno 2003) che qualifica come "beneficiario effettivo" quella persona che riceve i pagamenti "in qualità di beneficiario finale e non di intermediario, quale agente, delegato o fiduciario di un'altra persona (fonte: E. A. PALMITESSA, La Corte di Cassazione sulla clausola pattizia di beneficiario effettivo: oneri probatori rafforzati, sito online del Sole24Ore, 25/01/2019).
termine e qualora due Stati, che sono coinvolti nella stipulazione di un trattato fiscale, si trovino ad avere interpretazioni diverse, possono utilizzare degli strumenti di risoluzione come l’arbitrato disciplinato dall’articolo 25 del modello OCSE. Gran parte della Dottrina sostiene, però, che non sia del tutto corretto applicare l’articolo 3 e quindi affidarsi al diritto di fonte interna per una maggiore specificazione del concetto di beneficiario effettivo in quanto il Commentario dell’articolo 10, al paragrafo 12.1, sia nella versione del 2014 sia in quelle ultima del 2017, afferma che il termine "beneficiario effettivo” non è utilizzato in senso tecnico ristretto, piuttosto, dovrebbe essere interpretato nel suo contesto, in particolare in relazione alle parole "pagato a un residente" e alla luce dell'oggetto e degli scopi della Convenzione, compresa la prevenzione della doppia imposizione e la prevenzione dell'evasione e dell'elusione fiscali. Infine, un’altra possibilità che si è aggiunta tra i metodi interpretativi è quella di ricorrere alla procedura amichevole introdotta dal Modello di Convenzione OCSE del 2017.
Dopo questo inquadramento sul concetto del beneficiario effettivo si analizzeranno nel paragrafo seguente gli artt. 10, 11 e 12 nei quali appare il predetto concetto. Nell’ultimo paragrafo invece s’illustreranno le cosiddette “sentenze danesi” della Corte di Giustizia Europea del 26 febbraio 2019, le quali s’incentrano sul rapporto tra beneficiario effettivo e le direttive dell’UE ovvero la direttiva 90/435/CEE e la direttiva 2003/49/CE.
1.2 Analisi degli articoli 10, 11 e 12 del Modello di convenzione OCSE
Gli articoli 10, 11 e 12 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni fissano le modalità di ripartizione della potestà impositiva dei redditi derivanti dall’impiego del capitale e stabiliscono le definizioni rispettivamente di dividendi, interessi e canoni. Tuttavia, tali articoli lasciano interpretare alcuni concetti rilevanti, ad esempio quello del beneficiario effettivo, come riportato nel paragrafo precedente. L’analisi contemporanea di questi tre articoli deriva semplicemente dal fatto che essi riguardano i redditi derivanti dalla remunerazione del capitale, contengono al loro interno il concetto di beneficiario effettivo e presentano una struttura similare. Ciò non significa che essi siano più importanti rispetto agli altri articoli del modello di Convenzione OCSE e tantomeno che tra i tre articoli vi sia una prevalenza dell’uno
sull’altro. Essi tuttavia sono stati oggetto -‐ e lo sono tuttora -‐ di aggiramento da parte degli Stati al fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali tramite le tecniche del rule shopping (aggiramento della singola clausola) e del treaty shopping (aggiramento della Convenzione). Invero, l’OCSE è da sempre che s’interessa a contrastare questi e altri fenomeni di elusione fiscale internazionale tramite il progetto BEPS e le relative 15 Action di attuazione del report, come riportato nel capitolo 5.
Prima di procedere all’analisi caso per caso è bene chiarire alcuni concetti, ovvero chi sia lo Stato della residenza e lo Stato della fonte in quanto è su questi due Stati che gli articoli fanno riferimento per ripartire la potestà impositiva dei redditi di capitale. Lo Stato della residenza è lo Stato in cui risiede a livello fiscale il soggetto che percepisce il passive income ovvero colui che riceve il dividendo o l’interesse o il canone, mentre lo Stato della fonte è lo Stato in cui risiede il soggetto, in genere una società, che paga il reddito a favore del residente nell’altro Stato contrente. Quindi ci saranno lo Stato in cui risiede il pagatore e lo Stato in cui risiede il ricevente che saranno coinvolti nei tre articoli. Tuttavia tra i due Stati non è detto che esista la Convenzione a regolare la tassazione tra i flussi transazionali, ma se esiste ed è conforme al modello OCSE si seguono le regole di ripartizione stabilite dal trattato, che come detto più volte hanno lo scopo di eliminare la doppia imposizione internazionale. In linea generale e non esaustiva, è allo Stato della residenza che la Convenzione del modello OCSE attribuisce preminenza con la conseguenza che lo Stato della fonte può applicare una ritenuta limitata sul reddito che esce da detto Stato e transita nell’altro Stato.
Iniziamo l’analisi dell’articolo 10 del Modello di Convenzione OCSE del 2017 che tratta della tassazione dei flussi di dividendi transazionali, ovvero dei dividendi pagati da una società che risiede nello Stato A (lo Stato della Fonte dei dividendi) a una società o persona fisica, che risiede nello Stato B. L’articolo non si applica ai dividendi erogati fra soggetti residenti nello stesso Stato, o ai dividendi pagati e o erogati da residenti in un terzo Stato.
L’articolo si divide in 5 paragrafi. Il paragrafo 1 sancisce il diritto dello Stato dove risiede il soggetto pagatore ad assoggettare a tassazione i dividendi che sono definiti al paragrafo 3. Il paragrafo 2 stabilisce i limiti che lo Stato della fonte, ovvero lo Stato in cui
risiede la società che paga il dividendo, deve applicare nel momento in cui tassa il dividendo. Il paragrafo 4, invece, allarga la potestà impositiva dello Stato della fonte nel caso in cui colui che riceve il dividendo e che quindi risiede nell’altro Stato, ha una stabile organizzazione nell’altro Stato, ovvero nello Stato della fonte, dove risiede anche la società che paga il dividendo. L’ultimo paragrafo, ovvero il paragrafo 5, limita lo Stato della fonte ad applicare ulteriori imposte sugli utili non distribuiti, tranne nell’ipotesi in cui i dividendi non siano collegati ad una stabile organizzazione.
Come esempio dell’articolo 10, riporto i primi quattro paragrafi di tale articolo presi della Convenzione stipulata tra l’Italia e gli Stati Uniti che si basa sul Modello di Convenzione OCSE, che si può trovare all’interno del sito del Dipartimento delle finanze:
Articolo 10 Dividendi
1. I dividendi pagati da un residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato.
2. Tuttavia, tali dividendi possono essere tassati anche nello Stato contraente di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma, se l’effettivo beneficiario dei dividendi è un residente dell’altro Stato contraente l’imposta così applicata non può eccedere:
(a) il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se il beneficiario effettivo è una società che ha posseduto almeno il 25 per cento delle azioni con diritto di voto della società che paga i dividendi per un periodo di 12 mesi avente termine alla data alla quale i dividendi sono dichiarati, e
(b) il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi.
Questo paragrafo non riguarda l’imposizione della società per gli utili con i quali sono stati pagati i dividendi.
3. Ai fini del presente articolo, il termine «dividendi» designa i redditi derivanti da azioni, da azioni o diritti di godimento, da quote minerarie, da quote di fondatore o da altre quote di partecipazione agli utili, ad eccezione dei crediti, nonché i redditi assoggettati al medesimo regime fiscale dei redditi delle azioni secondo la legislazione fiscale dello Stato di cui è residente la società distributrice.
4. Le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 non si applicano nel caso in cui il beneficiario effettivo dei dividendi, residente di uno Stato contraente, eserciti nell’altro Stato contraente, di cui è residente la società che paga i dividendi, un’attività commerciale o industriale per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, oppure una professione indipendente mediante una base fissa ivi situata, e la partecipazione generatrice dei dividendi si ricolleghi effettivamente ad esse. In tal caso, i dividendi sono imponibili in detto altro Stato contraente secondo la propria legislazione.
5. Qualora una società che è residente di uno Stato contraente e non residente dell’altro Stato contraente ricavi utili o redditi dall’altro Stato contraente, detto altro Sta-‐ to non può applicare alcuna imposta sui dividendi pagati dalla società, a meno che tali dividendi siano pagati ad un residente di detto altro Stato o che la partecipazione generatrice dei dividendi si ricolleghi effettivamente a una stabile organizzazione o a una base fissa situate in detto altro Stato, né prelevare alcuna imposta, a titolo di imposizione degli utili non distribuiti, sugli utili non distribuiti della società, ad eccezione di quanto stabilito al paragrafo 6, anche se i dividendi pagati o gli utili non distribuiti costituiscono, in tutto o in parte, utili o redditi realizzati in detto altro Stato135.
Come riportato nel paragrafo 2 alla lettera a) l’aliquota massima che lo Stato alla fonte può applicare sul dividendo è del 5%. Tale aliquota è la stessa che il Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni pone come limite massimo. Tuttavia, gli Stati contraenti possono concordare aliquote inferiori in sede di negoziazione del Trattato. Infatti, il Modello di Convenzione OCSE stabilisce solo dei limiti ai prelievi e specifica a chi attribuire la potestà impositiva, se a uno dei due Stati contraenti (Stato della residenza / Stato della fonte), se a tutti e due gli Stati ma con dei vincoli per uno dei due o se a tutti e due gli Stati ma senza vincoli. La Convenzione, cioè, non può obbligare uno stato a esercitare la potestà impositiva su un determinato reddito, ma appunto ne può delimitare dei vincoli e attribuirla. In questo caso, anche la Convenzione Italia-‐Usa sancisce come limite massimo il 5% e non un numero inferiore. L’imposta sui dividendi che lo Stato, cui risiede la società pagatrice, applica sugli stessi è una ritenuta alla fonte. Ciò significa che il soggetto residente nell’altro Stato riceverà il dividendo al netto di tale
135 Articolo 10 Convenzione Italia – Stati Uniti contro le doppie imposizioni.
ritenuta. Sempre alla lettera a) vengono elencate una serie di condizioni per poter applicare al massimo l’aliquota del 5%. Tali condizioni sono:
1. Colui che riceve il dividendo è il beneficiario effettivo;
2. Il suddetto beneficiario effettivo possiede almeno il 25% delle azioni con diritto di voto nella società che paga i dividendi;
3. Le azioni di cui al punto sopra devono essere possedute per un periodo non inferiore ai 12 mesi dal momento in cui i dividendi sono dichiarati.
Come si nota dal punto 1., l’articolo 10 paragrafo 2 lettera a) sancisce un chiaro riferimento al fatto che il soggetto cui recepisce i dividendi sia il beneficiario effettivo. In tutti gli altri casi, ovvero in quelli cui le condizioni (1., 2. e 3.) non si verificano, si applica l’aliquota massima del 15%. In questo ultimo caso, se la normativa interna di uno Stato applica un aliquota inferiore, per esempio la normativa interna dello Stati Uniti stabilisce che deve applicare nel dividendo in uscita un aliquota del 10 %, si applica tale inferiore ritenuta in quanto più favorevole.
Per quanto riguarda la definizione di dividendo al paragrafo 3, l’elenco degli esempi non è da ritenersi esaustivo136. Esso comunque designa i seguenti casi137:
-‐ Distribuzione di utili ai soci di una società (o altri enti) il cui capitale sia formato da azioni;
-‐ Distribuzione di redditi derivanti da quote societarie che diano in ogni caso diritto alla partecipazione dei profitti in una società;
-‐ Distribuzione di redditi derivanti da diritti patrimoniali assoggettati al medesimo regime fiscale dei redditi delle azioni secondo la legislazione fiscale dello Stato in cui è residente la società erogante.
Giungo ora all’analisi dell’articolo 11 del Modello di Convenzione OCSE che tratta dei flussi di interessi transazionali. In questo caso, riporto l’articolo 11 contenuto nella Convenzione Italia-‐Francia che, anche in questo caso, segue il Modello di Convenzione OCSE. La struttura dell’articolo è similare a quella dell’articolo 10.
Articolo 11
136 Non include, infatti, il caso in cui le società di persone siano fiscalmente non trasparenti (e quindi soggette a ritenuta).
137 X. XXXXXX, Guida alla fiscalità internazionale, Milano, 2004, p. 518-‐519.
Interessi
1. Gli interessi provenienti da uno Stato e pagati ad un residente dell'altro Stato sono imponibili in detto altro Stato.
2. Tuttavia, tali interessi possono essere tassati nello Stato dal quale essi provengono ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma, se la persona che riceve gli interessi ne è l'effettivo beneficiario, l'imposta così applicata non può eccedere il 10 per cento dell'ammontare lordo degli interessi.
3. Nonostante le disposizioni del paragrafo 2, gli interessi menzionati nel paragrafo 1 sono imponibili soltanto nello Stato di cui è residente la persona che riceve gli interessi, se detta persona è il beneficiario effettivo degli interessi e gli stessi sono pagati:
a) in relazione alla vendita a credito di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche, o
b) in relazione alla vendita a credito di merci consegnate da un'impresa ad un'altra impresa.
4. Nonostante le disposizioni del paragrafo 2, gli interessi provenienti da uno dei due Stati sono esenti da imposta in detto Stato se:
a) il debitore degli interessi è lo Stato stesso o una delle sue suddivisioni politiche o amministrative o uno dei suoi enti locali (per quanto riguarda l'Italia) o uno dei suoi enti territoriali (per quanto riguarda la Francia); o
b) gli interessi sono pagati in dipendenza di un prestito contratto o garantito dall'altro Stato o da una delle sue suddivisioni politiche o amministrativa o da uno dei suoi enti locali (per quanto riguarda l'Italia) o da uno dei suoi enti territoriali (per quanto riguarda la Francia) o da una pubblica istituzione di detto altro Stato; o
c) gli interessi sono pagati ad altri enti od organismi (compresi gli istituti finanziari) in dipendenza di finanziamenti da essi concessi nel quadro di accordi conclusi tra i Governi dei due Stati.
5. Ai fini del presente articolo il termine "interessi" designa i redditi dei titoli del debito pubblico, delle obbligazioni di prestiti garantite o non da ipoteca e portanti o meno una clausola di partecipazione agli utili, e dei crediti di qualsiasi natura, nonché ogni altro provento assimilabile ai redditi di somme date in prestito in base alla legislazione fiscale
dello Stato da cui i redditi provengono138.
Attraverso una lettura combinata del primo e del secondo paragrafo dell’articolo 11, la Convenzione Italia-‐Francia prevede la tassazione degli interessi sia nello Stato in cui risiede il percettore sia nello Stato del debitore, o del pagatore, ovvero dello Stato della fonte. Tuttavia, se colui che riceve gli interessi ne è il beneficiario effettivo, la ritenuta che lo Stato della fonte può applicare è al massimo il 10 %. I primi due paragrafi sono conformi a ciò che prevede nel medesimo articolo e nei medesimi paragrafi la Convenzione OCSE. Invece, la Convenzione Italia – Stati Uniti, prevede, ad esempio, all’articolo 11 paragrafo 1 che gli interessi provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili soltanto in detto altro Stato. Quindi, sembrerebbe che la potestà impositiva spetterebbe in via esclusiva allo Stato in cui risiede il percettore. Tuttavia, esiste l’eccezione prevista al paragrafo due la quale sancisce che gli interessi possono essere tassati anche nello Stato contraente dal quale essi provengono ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma se l’effettivo beneficiario degli interessi è un residente dell’altro Stato contraente, l’imposta cosi applicata non può eccedere il 10 per cento dell’ammontare lordo degli interessi. Quindi il paragrafo 2 si allinea a ciò che è previsto nella Convenzione Italia-‐Francia. Continuiamo ora l’analisi con l’articolo 11, al paragrafo 3 della Convenzione Italia-‐Francia. Esso prevede alcuni casi in cui gli interessi sono imponibili soltanto nello Stato di cui è residente la persona che gli riceve se detta persona è il beneficiario effettivo degli stessi. Quindi esistono due casi delineati alla lettere a) e b) in cui vi è la tassazione esclusiva per lo Stato di residenza del percettore. Infine, il paragrafo 5, contiene la definizione di interessi. Come si evince da questo articolo, la limitazione sulla ritenuta alla fonte è possibile solo nel caso in cui colui che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario.
Infine, termino questo paragrafo con l’analisi dell’articolo 12 che disciplina la tassazione dei royalties (canoni). Per questo articolo ci sono delle considerazioni da fare prima di riportare un esempio. Nel Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni la struttura di questo articolo è un po’ diversa rispetto a quella dei due precedenti. La
138 Articolo 11 Convenzione Italia – Francia contro le doppie imposizioni.
diversità sta nel fatto che esso si articola in 4 paragrafi e che al paragrafo 1, il Modello OCSE attribuisce potestà impositiva esclusiva allo Stato di residenza139. Le convenzioni bilaterali italiane che seguono il Modello Ocse in tal caso sono limitate e inoltre ammettono comunque una ritenuta anche alla fonte che oscilla tra il 5% e il 20%140. Come esempio di articolo 12, riporto la Convenzione Italia – Canada.
Articolo 12 Canoni
1. I canoni provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell'altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato.
2. Tuttavia, tali canoni sono imponibili anche nello Stato contraente dal quale essi provengono ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma, se l'effettivo beneficiario dei canoni è un residente dell'altro Stato contraente, l'imposta così applicata non può eccedere:
(a) il 5 per cento dell'ammontare lordo dei canoni pagati per l'uso o la concessione in uso, di software per computer o di qualsiasi genere di brevetti o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico (escludendo, tuttavia, ogni canone analogo fornito in relazione ad un accordo di noleggio o di concessione);
(b) il 10 per cento dell'ammontare lordo dei canoni in tutti gli altri casi.
Le autorità competenti degli Stati contraenti regoleranno di comune accordo le modalità di applicazione di tali limitazioni.
3. Nonostante le disposizioni del paragrafo 2, i canoni relativi a diritti d'autore ed altre analoghe remunerazioni connesse alla produzione o alla riproduzione di un'opera letteraria, drammatica, musicale o altra opera artistica (ad eccezione dei canoni relativi a software per computer, canoni relativi a pellicole cinematografiche o canoni relativi a opere su pellicola o nastro per video o altri mezzi di riproduzione da utilizzare in relazione
139 X. XXXX, Fiscalità internazionale in pratica, Milano, 2012, p. 142: Il Modello di Convenzione stabilisce che i canoni sono assoggettabili ad imposizione soltanto nello Stato di residenza del percipiente, se costui è l’effettivo beneficiario.
140 X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Manuale di fiscalità internazionale, Milano, 2014, p.108 “Molti Stati (fra cui l’Italia), tuttavia, hanno esplicitato una riserva relativamente al diritto esclusivo di tassazione attribuito allo Stato di residenza. Tali Stati applicano una ritenuta, anche se ridotta, sulle royalties come in genere concordato nei trattati bilaterali”.
alle trasmissioni televisive), provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell'altro Stato contraente che ne è l'effettivo beneficiario, sono imponibili soltanto in detto altro Stato.
4. Ai fini del presente articolo il termine "canoni" designa i compensi di qualsiasi natura corrisposti per l'uso o la concessione in uso, di un diritto d'autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche, ivi compresi il software per computer, le pellicole cinematografiche ci canoni relativi a opere su pellicola o nastro per video o altri mezzi di riproduzione da utilizzare in relazione alle trasmissioni televisive, di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti, o altri beni immateriali, nonché, per l'uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico.
5. Le disposizioni dei paragrafi 1, 2 e 3 non si applicano nel caso in cui il beneficiario effettivo dei canoni, residente di uno Stato contraente, eserciti nell'altro Stato contraente dal quale provengono i canoni, un'attività commerciale o industriale per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, ovvero una professione indipendente mediante una base fissa ivi situata, ed il diritto o il bene generatore dei canoni si ricolleghino effettivamente ad esse. In tal caso, i canoni sono imponibili in detto altro Stato contraente secondo la propria legislazione interna.
6. I canoni si considerano provenienti da uno Stato contraente quando il debitore è un residente di detto Stato. Tuttavia, quando il debitore dei canoni, sia esso residente o no di uno Stato contraente, ha in uno Stato contraente una stabile organizzazione o una base fissa per le cui necessità è stato contratto l'obbligo al pagamento dei canoni, e tali canoni sono a carico della stabile organizzazione o della base fissa, i canoni stessi si considerano provenienti dallo Stato in cui è situata la stabile organizzazione o la base fissa.
7. Se, in conseguenza di particolari relazioni esistenti tra il debitore e il beneficiario effettivo o tra ciascuno di essi e terze persone, l'ammontare dei canoni, tenuto conto dell'uso, diritto od informazione per il quale sono pagati, eccede quello che sarebbe stato convenuto tra il debitore e il beneficiario effettivo in assenza di simili relazioni, le disposizioni del presente articolo si applicano soltanto a quest'ultimo ammontare. In tal caso, la parte eccedente dei pagamenti è imponibile in conformità della legislazione di
ciascuno Stato contraente tenuto conto delle altre disposizioni della presente Convenzione141.
Come per gli altri due articoli, anche in questo la ritenuta che lo Stato alla fonte applica prevede un tetto massimo se colui che percepisce il canone ne è il beneficiario effettivo. In particolare, in tale Convenzione si prevede una tassazione concorrente tra lo Stato della residenza e lo Stato alla fonte e quest’ultimo deve applicare:
a) il 5 per cento dell'ammontare lordo dei canoni pagati per l'uso o la concessione in uso, di software per computer o di qualsiasi genere di brevetti o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico (escludendo, tuttavia, ogni canone analogo fornito in relazione ad un accordo di noleggio o di concessione);
b) il 10 per cento dell'ammontare lordo dei canoni in tutti gli altri casi.
Esistono, quindi, due tetti di aliquote in base alla tipologia del canone su cui applicare la ritenuta e non si fa rifermento nella distinzione tra le due a un qualche particolare legame partecipativo tra i due soggetti coinvolti nel flusso transazionale del canone come nel caso dei dividendi. Al paragrafo 3, invece, si definiscono alcuni casi di tassazione esclusiva nello stato di residenza sempre se che colui che li percepisce ne è l’effettivo beneficiario, come nel caso degli interessi (articolo 11 paragrafo 3). Al paragrafo 4, l’articolo definisce cosa intende per canoni, mentre al paragrafo 5 si chiarisce che se il beneficiario effettivo dei canoni esercita nello Stato della fonte un'attività commerciale o industriale per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, ed il diritto o il bene generatore dei canoni si ricolleghino effettivamente ad essa, i canoni sono imponibili in tal Stato della fonte secondo la propria legislazione interna, ovvero non si applicano i limiti previsti nei paragrafi precedenti. Infine, il paragrafo 6, sancisce chi sia da considerare come Stato della fonte, ovvero è lo Stato dal quale vengono pagati i canoni se è lo Stato di residenza del debitore ovvero del pagatore, tuttavia, quando il debitore dei canoni, sia esso residente o no di uno Stato contraente, ha in uno Stato contraente una stabile organizzazione o una base fissa per le cui necessità è stato contratto l'obbligo al pagamento dei canoni, e tali canoni sono a carico
141 Articolo 12 Convenzione Italia – Canada contro le doppie imposizioni.
della stabile organizzazione o della base fissa, i canoni stessi si considerano provenienti dallo Stato in cui è situata la stabile organizzazione o la base fissa.
Per ultimare questo paragrafo desidero riportare sia una sentenza della Corte di Cassazione italiana con l’intento di far comprendere meglio come l’ordinamento giuridico italiano applica la clausola del beneficiario effettivo, nel caso in cui tale clausola non sia prevista nella Convenzione contro le doppie imposizioni e sia una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate inerente il concetto di beneficiario effettivo.
La sentenza è la numero 24291 del 30 settembre 2019 e riguarda un fondo pensionistico giapponese contro l’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 58/27/12 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, emessa il 16/4/2012. La CTR piemontese negava all’ente giapponese il rimborso della differenza tra le ritenute domestiche subite con l'aliquota del 32,4% sui dividendi ricevuti nell'anno 1998 da società italiane aventi sede legale nell'ambito di competenza territoriale del Centro Territoriale suddetto e l'importo delle ritenute convenzionalmente applicabili con l'aliquota del 15% sull'ammontare lordo dei dividendi azionari, ex art. 10 della Convenzione per eliminare la doppia imposizione dei redditi stipulata a Tokyo da Italia e Giappone in data 20 marzo 1969 e ratificata in Italia con L. 18 dicembre 1972, n. 855. Tuttavia la CTR negava il rimborso all’ente giapponese in quanto, per la Commissione non era il reale beneficiario effettivo e, quindi, secondo il ricorrente, la CTR aveva errato nel ritenere che l’articolo 10 della Convenzione Italia-‐Giappone regolasse solo i casi in cui una società italiana paga immediatamente e direttamente i dividendi a soggetti fiscalmente residenti in Giappone, restando esclusa dalla sua sfera di applicabilità i casi in cui i soggetti fiscalmente residenti in Giappone si qualifichino come "beneficiari effettivi" dei dividendi di fonte italiana, seppur pagati immediatamente e direttamente ad altri (nel caso di specie a società statunitensi). In particolare, la CTR ha ritenuto che che l'art. 10 della Convezione Italia Giappone fosse inapplicabile al caso di specie, in cui i dividendi erano stati pagati ad una società statunitense, perchè la norma citata presupponeva che il soggetto che riceve il pagamento sia residente in uno dei due stati contraenti (nel caso in esame il Giappone). Nel caso di specie, l'art. 10 della Convenzione Italia Giappone recita: "I dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente
ad un residente dell'altro Stato contraente sono tassabili in detto altro Stato contraente. Tuttavia, tali dividendi possono essere tassati nello Stato contraente di cui la società che li paga è residente, ed in conformità alla legislazione di detto Stato contraente, ma l'imposta così applicata non può eccedere:
(a) il 10 per cento dell'ammontare lordo dei dividendi se il beneficiario è una società che possiede almeno il 25 per cento delle azioni con diritto di voto della società che paga tali dividendi durante i sei mesi immediatamente precedenti la fine del periodo contabile per il quale ha luogo la distribuzione degli utili;
(b) il 15 per cento dell'ammontare lordo dei dividendi, in ogni altro caso"142.
Come si evince dal secondo paragrafo le limitazioni per lo Stato della fonte non prevedono che chi recepisca i dividendi sia l’effettivo beneficiario in quanto tale Convenzione è stata scritta prima del 1977 e come riportato nel paragrafo precedente, in ambito OCSE, il concetto di beneficiario effettivo è comparso per la prima volta nel Modello di Convenzione del 1977. Tuttavia, secondo la Cassazione, applicando i principi dell’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati alla Convenzione suddetta, l'interpretazione secondo buona fede dell'art. 10 della Convenzione, alla luce dell'oggetto e dello scopo del Trattato, porta a ritenere che la nozione di "beneficiario" coincida con quella di "beneficiario effettivo", sebbene l'espressione sia stata esplicitamente introdotta solo nelle Convenzioni redatte sulla base dei successivi Modelli OCSE e quindi anche nei casi d’inesistenza di previsione testuale (dell’espressione “beneficiario effettivo”), i parametri dell’articolo 31 indurrebbero comunque a non riconoscere il regime di favore alla società madre che non essendo il beneficiario effettivo dei dividendi che danno luogo al credito d'imposta -‐ abbia abusato del trattato mediante un'allocazione territoriale strumentale, stravolgendone appunto l'oggetto e lo scopo pratico (c.d. "treaty abuse)143
Inoltre, nell'ordinamento fiscale internazionale vige la clausola generale del beneficiario effettivo, in virtù della quale può fruire dei vantaggi garantiti dai trattati solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell'altro Stato contraente, che abbia l'effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione
142 Corte di Cassazione, Sentenza del 30/09/2019 n. 24291.
143 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx xxx 00 dicembre 2016, nn. 27112, 27113, 27115, 27116
impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione144.
In questo particolare caso, quindi, la Corte di Cassazione ha esteso la clausola del beneficiario effettivo anche alla Convenzione che non la conteneva, basandosi principalmente su due elementi:
1. L’applicazione dell’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati alla Convenzione Italia -‐ Giappone
2. Ritenendo la clausola del beneficiario effettivo come clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale.
Per quanto concerne il primo elemento, sono d’accordo che l’applicazione dei parametri dell’articolo 31 può far dedurre che, anche nelle convenzioni antecedenti il 1977, sia comunque da far includere l’espressione “beneficiario effettivo” in quanto è coerente con lo scopo delle Convenzioni del Modello OCSE che è quello di evitare le doppie imposizioni e prevenire fenomeni di evasione ed elusione fiscale. Tuttavia, per il secondo motivo mi sorgono delle perplessità in quanto, sia alcune Sentenze della Cassazione sia la stessa organizzazione OCSE considera la clausola del beneficiario effettivo come clausola specifica rivolta a contrastare alcuni particolari fenomeni di treaty shopping. Infatti, come riportato in precedenza nella Sentenza 27113/16, la Corte sostiene che la clausola in esame – comune ad innumerevoli convenzioni in materia – si pone dunque quale disposizione antielusiva specifica in tema di eliminazione-‐attenuazione della doppia imposizione e il Commentario al Modello di Convenzione OCSE sostiene che the concept of "beneficial owner" deals with some forms of tax avoidance (ie those involving the interposition of a recipient who is obliged to pass on the dividend to someone else), it does not deal with other cases of abuses, such as certain forms of treaty-‐shopping, that are addressed by these provisions and principles and must not, therefore, be considered as restricting in any way the application of other approaches to addressing such cases145 , ovvero, il concetto di "beneficiario effettivo" riguarda alcune forme di elusione fiscale (vale a dire quelle che comportano l'interposizione di un soggetto che è obbligato a trasferire il dividendo a qualcun altro), non tratta altri casi di abusi, come alcuni forme di treaty shopping, che sono affrontate da queste disposizioni e principi e non
144 Corte di Cassazione, Sentenza del 16/12/2015 n. 25281.
145 Commentario dell’articolo 10, paragrafo 12.5.
devono, pertanto, essere146 considerate come limitanti in alcun modo l'applicazione di altri approcci per affrontare tali casi147. Sul punto la Dottrina è quindi divisa tra chi sostiene che la clausola del beneficiario effettivo abbia valenza specifica148 e chi generale. A mio avviso, ripeto che tale clausola è specifica anche perché non va a contrastare tutti i fenomeni di treaty shopping, ma solo quelli che hanno principalmente a che fare con l’interposizione artificiosa di società / soggetti conduit.
Infine, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate che riporto è la numero 88 del 18 ottobre del 2019149 nella quale l’Agenzia prende posizione in merito alla nozione di beneficiario effettivo e afferma che: “una società riveste la qualifica di beneficiario effettivo qualora abbia la titolarità nonché la disponibilità del reddito percepito e tragga un proprio beneficio economico dall’operazione di finanziamento posta in essere. Inoltre, occorre verificare che la società beneficiaria svolga una reale e genuina attività economica, essendo caratterizzata da un radicamento effettivo nel tessuto economico del Paese di insediamento e che, come ricordato con Circolare n. 6/E del 30 marzo 2016, non funga da mera “conduit” con riferimento alla singola transazione”. Secondo l’Agenzia, quindi, una società è considerata beneficiaria effettiva se:
-‐ Ha la titolarità e la disponibilità del reddito percepito;
-‐ Trae un beneficio economico dalla percezione del reddito150;
-‐ Svolge una reale e genuina attività economica;
147 Personale traduzione nota precedente.
148 ASSONIME, Note e studi, Imprese multinazionali: aspetti societari e fiscali, 17/2016, allegato n.1. Il post BEPS. L’obiettivo di tassare le imprese nei luoghi di produzione della ricchezza e i conseguenti nuovi profili della ‘dialettica’ tra Stati della residenza e Stati della fonte. Le iniziative per il superamento delle Harmful Tax Practices in ambito europeo: “ulteriore dimostrazione della natura “specialistica” del concetto di beneficiario effettivo, inidoneo ad assumere la valenza di una norma antielusiva generale, osserviamo che anche nel contesto dell’Action 6 BEPS “Preventing the Granting of the Treaty Benefits in Inappropriate Circustances” gli strumenti suggeriti per contrastare lo sfruttamento di società veicolo (letterbox, shell companies, conduits) per triangolazioni di comodo sono, in alternativa, le disposizioni della LOB –Limitation on benefit -‐ e/o del PPT – Principal Purpose Test”.
149 Risoluzione Agenzia delle Entrate, n. 88, del 18 ottobre 2019.
150 Questo concetto di economicità sarà ripreso quando analizzerò le sentenze danesi della CGUE, in particolare la sentenza del 26 febbraio 2019 nelle cause riunite N Luxembourg 1 (C-‐115/16), X Denmark A/S (C-‐118/16), C Danmark I (C-‐ 119/16), Z Denmark ApS (C-‐299/16). In questa sentenza, la Corte di Giustizia ha sostenuto che “l’esenzione da qualsiasi tassazione per gli interessi versati (...) è riservata ai soli beneficiari effettivi degli interessi medesimi, vale a dire alle entità che beneficino effettivamente, sotto il profilo economico, degli interessi percepiti e dispongano, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione”.
-‐ Non sia una società conduit, tenendo in considerazione le caratteristiche che definiscono una struttura conduit secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate
n. 6/E del 30 marzo 2016, riportata nel capitolo 5 del presente elaborato.
1.3 Le “sentenze danesi”: rapporto tra beneficiario effettivo e direttive dell’Unione Europea
1.3.1 Introduzione
In quest’ultimo paragrafo conclusivo del capitolo sulla clausola del beneficiario effettivo, desidero soffermarmi ad analizzare se all’interno dell’ordinamento giuridico europeo sono stati accolti i suggerimenti dell’OCSE riportati negli articoli 10, 11 e 12 del Modello di Convenzione contro le doppie di imposizioni, riguardanti i dividendi, gli interessi e i canoni, alla luce anche di ciò che la Corte di Giustizia Europea ha sancito nelle cosiddette sentenze danesi151 del 26 febbraio 2019.
Nell’ordinamento giuridico europeo per quanto riguarda i dividendi, gli interessi e i canoni, le due principali fonti normative sono la direttiva madre xxxxxx000 per i dividendi e la direttiva interessi – royalties153 per gli interessi e i canoni e disciplinano un regime di esenzione applicabile alle suddette categorie di reddito in presenza di requisiti che saranno in seguito riportati. La differenza principale tra le due Direttive, e collegata all’argomento di cui trattasi, è che la clausola del beneficiario effettivo è esplicitamente prevista solo all’interno della direttiva interessi -‐ canoni e non nella direttiva madre-‐ figlia, la quale fa esclusivo riferimento alla clausola antiabuso generale europea154. Tale divergenza che sarà in seguito spiegata, ma che ho anticipato in maniera non esaustiva, rappresenta una delle principali discussioni sollevate nelle cosiddette Sentenze Danesi. In esse, la Corte di Giustizia Europea si pronuncia sulla nozione di beneficiario effettivo
151 Corte di Giustizia, sentenze del 26 febbraio 2019, sentenze danesi, C-‐115/16, C-‐118/16, C-‐119/16, C.299/16, C116/16 e C-‐117/16.
152 DIRETTIVA 2011/96/UE DEL CONSIGLIO del 30 novembre 2011 concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi.
153 DIRETTIVA 2003/49/CE DEL CONSIGLIO del 3 giugno 2003 concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi.
154 E così si è mosso anche il legislatore italiano il quale ha richiamato la clausola del beneficiario effettivo nell’attuazione della direttiva interessi -‐ royalties e si è orientato invece nella disciplina antiabuso per quanto riguarda il recepimento della direttiva sui dividendi (madre-‐figlia).
di cui all’articolo 1 della direttiva interessi-‐ royalties, ma allo stesso tempo ha in qualche modo lasciato alcuni dubbi circa il rapporto tra beneficiario effettivo e direttiva madre – figlia, che xxxxxx, non prevede alcun riferimento al suo interno del concetto di beneficial owner. Tuttavia, entrambe hanno l’obiettivo comune di eliminare la doppia imposizione rispettivamente su dividendi, interessi e royalties tra società fiscalmente residenti nell’Unione Europea.
1.3.2 La direttiva madre figlia
La direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, nota come direttiva madre figlia, che sostituisce e abroga la precedente direttiva 90/435/CEE del Consiglio del 23 luglio 1990, riguarda il regime fiscale applicabile tra società madri e figlie di Stati membri diversi e in particolare intende:
-‐ esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri;
-‐ eliminare la doppia imposizione dei redditi di cui sopra a livello di società madre.
Per raggiungere questo secondo obiettivo, la direttiva prevede che “l’utile sia tassato una sola volta presso la società figlia e che i dividendi distribuiti e attinti da quel medesimo utile siano (in base art. 5 della direttiva) esenti da ritenuta nel Paese della Fonte (e, cioè, nel Paese della società figlia che tassa già i suoi utili nell’esercizio di maturazione) e, allo stesso tempo, esenti da imposizione (art. 4) nel Paese di residenza della società madre; con la possibilità, per il Paese di residenza della madre di utilizzare, in luogo dell’esenzione, il regime d’imposizione riconoscendo, in tal caso, il credito d’imposta indiretto a fronte delle imposte pagate dalla figlia nell’altro Stato: il che equivale, anche in questo caso, a tassare l’utile una sola volta, sia pure con l’aliquota del Paese con il tasso più elevato”.155
Un terzo obiettivo della direttiva è di assicurare il buon funzionamento del mercato interno europeo in quanto i raggruppamenti di società di Stati membri non dovrebbero essere intralciati da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri.
155 ASSONIME, Note e Studi, Dividendi “in uscita”: le nozioni di beneficiario effettivo e di abuso del diritto alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia UE (c.d. “sentenze danesi”), 10/2020.
In base all’articolo 1 punto 1 della direttiva, essa va applicata ai casi in cui vi sia:
a) distribuzione di utili percepiti da società di uno Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri;
b) distribuzione di utili effettuata da società di uno Stato membro a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali;
c) distribuzione di utili percepiti da stabili organizzazioni di società di altri Stati membri situate in uno Stato membro e provenienti dalle loro società figlie di uno Stato membro diverso da quello in cui è situata la stabile organizzazione;
d) distribuzione di utili effettuata da società di uno Stato membro a stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro di società del medesimo Stato membro di cui sono società figlie.
L’articolo 2 chiarisce cosa s’intenda con «società di uno Stato membro» e con «stabile organizzazione». Con la prima espressione intende qualsiasi società che:
-‐ abbia una delle forme enumerate nell'allegato I, parte A;
-‐ secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, sia considerata come avente il domicilio fiscale in tale Stato membro e, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con uno Stato terzo, non sia considerata come avente tale domicilio fuori dell'Unione;
-‐ sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle imposte elencate nell'allegato I, parte B, o a qualsiasi altra imposta che venga a sostituire una delle imposte sopraindicate.
Con «stabile organizzazione», invece, intende una sede fissa di affari situata in uno Stato membro, attraverso la quale una società di un altro Stato membro esercita in tutto o in parte la sua attività, per quanto gli utili di quella sede di affari siano soggetti a imposta nello Stato membro nel quale essa è situata ai sensi del pertinente trattato fiscale bilaterale o, in assenza di un siffatto trattato, ai sensi del diritto interno.
Rimane da capire, a chi si riferisce la direttiva quando usa le espressioni società madre e società figlia/e. In base all’articolo 3 della direttiva, con società madre intende
a. una società di uno Stato membro che soddisfi le condizioni di cui all'articolo 2 e che detenga una partecipazione minima del 10 % nel capitale di una società di un altro
Stato membro che soddisfi le medesime condizioni;
b. una società di uno Stato membro che detenga nel capitale di una società dello stesso Stato membro una partecipazione minima del 10 %, parzialmente o totalmente attraverso una stabile organizzazione della prima società situata in un altro Stato membro;
Per «società figlia» si riferisce alla società nel cui capitale è detenuta la partecipazione indicata al punto a.
Tuttavia, gli Stati membri hanno la facoltà di sostituire, mediante accordo bilaterale, il criterio di partecipazione al capitale con quello dei diritti di voto e di non applicare la presente direttiva a quelle società di tale Stato membro che non conservino, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, una partecipazione che dia diritto alla qualità di società madre o alle società nelle quali una società di un altro Stato membro non conservi, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, siffatta partecipazione.
Dopo aver delineato gli obiettivi della direttiva madre e figlia, quando si applica e a chi si rivolge, giungo ora a riportare i riferimenti alla disciplina antiabuso in essa contenuta. Quest’ultima si ritrova all’articolo 1 nei punti 2, 3 e 4, ossia:
2. Gli Stati membri non applicano i benefici della presente direttiva a una costruzione o a una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l'oggetto o la finalità della presente direttiva, non è genuina156 avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti.
Una costruzione può comprendere più di una fase o parte.
3. Ai fini del paragrafo 2, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.
4. La presente direttiva non pregiudica l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l'evasione fiscale, la frode fiscale o l'abuso.
156 Come riportato da ASSONIME nella circolare n. 21 del 4 agosto 2016, la direttiva UE 2015/121 ha modificato la direttiva madre-‐figlia, la quale ha abbandonato il concetto di costruzione artificiosa, che era contenuto nella Raccomandazione della Commissione Europea n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012, sostituendolo con quello di “costruzione non genuina”.
Per contestualizzare meglio questa norma antiabuso la confronto con il principio antiabuso dell’ordinamento europeo come in precedenza enunciato dalla Sentenza Halifax, analizzata nel capitolo 3, e successivamente ripreso negli anni ritrovandolo anche nelle sentenze danesi: “perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni; deve altresì risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale”. A questa definizione, la CGUE, nelle cause riunite C-‐116/16 e C-‐117/16 ribadisce quanto espresso in precedenza ovvero, “la prova di una pratica abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non sia stato conseguito e, dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione per mezzo della creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento157… È quindi l’esame di un complesso di fatti che consente di verificare la sussistenza degli elementi costitutivi di una pratica abusiva e, in particolare, se taluni operatori economici abbiano realizzato operazioni puramente formali o artificiose prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale essenzialmente al fine di beneficiare di un indebito vantaggio158”.
Faccio notare alcune differenze tra le due norme antiabuso, ossia:
-‐ Nella direttiva si fa riferimento al fatto che il vantaggio fiscale sia lo scopo principale o uno degli scopi principali, e non quale scopo essenziale come nel principio della CGUE, tuttavia è una differenza apparente, dato che comunque la disposizione lascia intendere che la sussistenza di valide ragioni commerciali, pur
157 Sentenza danese, C-‐116/16; c-‐117/16, punto 97.
158 Sentenza danese, C-‐116/16; c-‐117/16, punto 98, che richiama altre sentenze della Corte di Giustizia, Sentenze del 20 giugno 2013, Xxxxx, C-‐653/11, EU:C:2013:409, punti da 47 a 49; del 13 marzo 2014, SICES e a., C-‐155/13, EU:C:2014:145, punto 33, nonché del 14 aprile 2016, Xxxxxxx e Malvi, C-‐131/14, EU:C:2016:255, punto 47.
se concorrenti rispetto allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, escluderebbe di per sé una pratica abusiva159 ;
-‐ Nella direttiva la norma antiabuso “non richiede la presenza di una costruzione di puro artificio e l’assenza di ragioni commerciali”, così come risulta dalla giurisprudenza della Corte, “ma solo l’assenza di tali ragioni”160 . Tale seconda divergenza non è di poco interesse, infatti, se una costruzione si considera non genuina per la mera assenza di ragioni commerciali, verrebbe meno il principio espresso dalla Corte secondo cui l’esercizio della libertà di stabilimento può essere esercitato anche ove motivato esclusivamente da ragioni fiscali, purché ciò non avvenga per il tramite di costruzioni artificiose161.
1.3.3 La direttiva interessi -‐ royalties
Giungo ora all’analisi della direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi. L’intento della direttiva è quello di assicurare che le operazioni tra società di Stati membri diversi non siano assoggettate ad un trattamento fiscale meno favorevole di quello applicabile alle medesime operazioni effettuate tra società dello stesso Stato membro162 e quindi l’intento è di garantire una tassazione equa dei pagamenti di interessi e di canoni eseguiti fra società consociate di Stati membri diversi, evitando la doppia imposizione tra Stati membri. Riporto le definizioni che la direttiva fornisce in modo da capire a cosa e a chi si rivolge.
Con il termine interessi, la direttiva all’articolo 2 intende i redditi da crediti di qualsiasi natura, garantiti o non da ipoteca e recanti o meno una clausola di partecipazione agli utili del debitore e, in particolare, i redditi derivanti da titoli e da obbligazioni di prestiti, compresi i premi collegati a detti titoli; le penali per tardivo pagamento non sono considerate interessi, mentre con canoni, sempre all’articolo 2 si riferisce a i compensi di
159E. DALLA VALLE, X. XXXXXXXX, Beneficiario effettivo e divieto di pratiche abusive nelle sentenze “danesi”, “il fisco" n. 16 del 2019, p. 1-‐1551.
160 X. XXXXXXX, “Per una rilettura critica della nozione unionale di abuso del diritto fiscale”, in Corr. Trib., 2019, p. 298.
161 Corte di Giustizia, sentenza del 12 settembre 0000, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, C-‐196/04.
162 DIRETTIVA 2003/49/CE DEL CONSIGLIO del 3 giugno 2003 concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, punto (1) dei considerando.