INDICE DELLA TESI
INDICE DELLA TESI
PREFAZIONE | 1 |
INTRODUZIONE | 2 |
PARTE PRIMA. LINGUAGGIO, INTENZIONALITÀ E DIRITTO. MATERIALI CONCETTUALI E PROSPETTIVE DI ANALISI. | |
CAPITOLO 1 FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO. QUESTIONI DI METODO, TEORIA E METATEORIA. | |
1. DIRITTO E LINGUAGGIO NELLA RIFLESSIONE CONTEMPORANEA | 9 |
2. LA FILOSOFIA ANALITICA E IL DIRITTO COME DISCORSO DEL LEGISLATORE | 14 |
3. ERMENEUTICA E DIRITTO | 19 |
4. IL DIRITTO TRA COMUNICAZIONE E ARGOMENTAZIONE, FATTO E NORMA: LE TEORIE DEL DISCORSO | 22 |
5. LA CONCEZIONE PRAGMATISTA: LINGUAGGIO, AZIONE E NARRAZIONE | 26 |
6. LA NORMATIVITÀ DEL DIRITTO: ACCENNI DI UNA MAPPA CONCETTUALE MINIMALE | 31 |
7. NOTE SULLO STATUTO DELLA TEORIA DEL DIRITTO: TRA SCIENZA E DOTTRINA MORALE. DESCRIZIONE, PRESCRIZIONE E INTERPRETAZIONE | |
7.1 LE COORDINATE DEL PROBLEMA | 36 |
7.2 PARADIGMI DESCRITTIVI E PARADIGMI PRESCRITTIVI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO: QUATTRO CONCEZIONI | 49 |
7.3 IL METODO DELLA RICOSTRUZIONE RAZIONALE | 58 |
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
CAPITOLO 2 INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA | |
1. INTRODUZIONE | 61 |
2. LA NOZIONE FILOSOFICA DI INTENZIONALITÀ. CENNI SULLE ELABORAZIONI CLASSICHE | 64 |
3. STATI INTENZIONALI E ATTI LINGUISTICI: LE TESI DI XXXX XXXXXX | 66 |
4. IL CONTRIBUTO DI XXXXXX X. XXXXXXX. QUESTIONI E TESI | 68 |
5. LA TEORIA DEI SISTEMI INTENZIONALI | 69 |
6. SISTEMI INTENZIONALI E PERSONALITÀ MORALE | 71 |
7. L’EVOLUZIONE DELLA POSIZIONE DI XXXXXXX | 72 |
8. L’INTERPRETAZIONE INTENZIONALE COME ETEROFENOMENOLOGIA | 75 |
CAPITOLO 3 LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA. LA TEORIA DI XXXXXX X. XXXXXXX | |
1. LA CONCEZIONE PRAGMATICA DEL LINGUAGGIO. XXXXXXXXXXXX, XXXXXX, XXXXXX | 76 |
2. L’OPERA DI XXXXXXX TRA FILOSOFIA ANALITICA E CONTINENTALE | 79 |
3. IL DEONTIC SCOREKEEPING MODEL OF DISCURSIVE PRACTICE | 81 |
4. LA CONCEZIONE ESPRESSIVA DELLA RAZIONALITÀ | 82 |
5. LA NOZIONE DI STATUS DEONTICO | 84 |
6. L’INFERENZIALISMO COME TEORIA DEL SIGNIFICATO E DEL CONCETTO | 86 |
7. SULLA NORMATIVITÀ DELLA PRATICA LINGUISTICA | 89 |
8. LA VERITÀ COME RESPONSABILITÀ: L’ESSERE DISCIOLTO NELLA NORMATIVITÀ PRIMITIVA DEL DISCORSO | 94 |
9. LA MATERIALITÀ DELLA PRASSI DISCORSIVA. PERCEZIONE E AZIONE | 96 |
10. L’HEGELISMO BRANDOMIANO | 98 |
11. IL DIBATTITO TRA XXXXXXX E HABERMAS | 103 |
INDICE
CAPITOLO 4 IL DIRITTO COME PRATICA DELIBERATIVA, ESPRESSIVA ED AGONISTICA, TRA GIOCO LINGUISTICO E DEONTIC SCOREKEEPING | |
1. INTRODUZIONE | 107 |
2. LA “PROMESSA DEL DIRITTO”: IL CONTRIBUTO DI XXXXXX XXXXXXXX | 110 |
3. RENDERE ESPLICITO IL NORMATIVO: LA POSIZIONE DI XXXXXXXX XXXXX | 115 |
4. INFERENZIALISMO PRAGMATICO ED INTERPRETAZIONE DEL DIRITTO: LE TESI DI CANALE E TUZET. | 117 |
5. XXXXXXX SCOREKEEPING MODEL E AGIRE POLITICO: PRATICHE AGONISTICHE E LEGITTIMAZIONE DEL POTERE NELLA PROPOSTA DI XXXXXX XXXXXX | 121 |
PARTE SECONDA. RIPENSARE IL NEOISTITUZIONALISMO | |
CAPITOLO 5 ISTITUZIONALISMO E NEOISTITUZIONALISMO RICOGNIZIONE CRITICA | |
1. INTRODUZIONE | 127 |
2. L’ISTITUZIONALISMO GIURIDICO CLASSICO. | |
2.1. XXXXXXX XXXXXXX | 128 |
2.2. XXXXX XXXXXX | 133 |
3. L’ISTITUZIONALISMO GIURIDICO CONTEMPORANEO. | |
3.1 LA TEORIA DI XXX XXXXXXXXXX E XXXX XXXXXXXXXX. PROFILI GENERALI | 139 |
3.2 SULLA NATURA DELLE NORME | 142 |
3.3 RAPPORTI CON IL POSITIVISMO | 146 |
3.4 MACCORMICK SULLA RAZIONALITÀ PRATICA IN CONNESSIONE AL RAGIONAMENTO GIURIDICO | 147 |
3.5 INSTITUTIONS OF LAW: LA POSIZIONE MATURA DI MACCORMICK | 148 |
3.6 CONTINUITÀ E SVOLTE TEORICHE TRA VECCHIO E NUOVO ISTITUZIONALISMO | 150 |
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
CAPITOLO 6 LA COSTRUZIONE DELLA DATITÀ DELLE ISTITUZIONI | |
1. INTRODUZIONE | 153 |
2. IL CONCETTO DI ISTITUZIONE IN XXXXXXXXXX E MACCORMICK | 155 |
3. L’ELABORAZIONE DI M. LA TORRE: L’ISTITUZIONE COME AMBITO DI AZIONE E DI SENSO | 157 |
4. LA COSTRUZIONE DELLA REALTÀ SOCIALE: LA TEORIA DI XXXX XXXXXX | |
4.1. I FATTI ISTITUZIONALI | 159 |
4.2 LA GENESI E LA STRUTTURA DELL’ONTOLOGIA SOCIALE | 161 |
4.3. L’ONTOLOGIA SOCIALE RIVISITATA: MAKING THE SOCIAL WORLD | 165 |
CAPITOLO 7 IL SOGGETTO RAZIONALE E LO STRATO ISTITUZIONALE DELLA REALTÀ | |
1. L’AZIONE INTENZIONALE | 167 |
2. AZIONE E INTENZIONALITÀ NEL PENSIERO DI XXXX XXXXXX | 169 |
3. LA TEORIA DELL’AZIONE NEOISTITUZIONALISTICA. LE TESI DI XXX XXXXXXXXXX | 173 |
4. I LIVELLI DELL’AGIRE ISTITUZIONALE. LA RICOSTRUZIONE DI LORINI | 177 |
CAPITOLO 8 LA VALIDITÀ (IM)POSSIBILE. SOSPENSIONE, SUPERAMENTO O SINTESI DI REALISMO E NORMATIVISMO | |
1. ALCUNI TEMI DALL’AGENDA GIUSFILOSOFICA SUL CONCETTO DI VALIDITÀ | 180 |
2. LA CONCEZIONE KELSENIANA DELLA VALIDITÀ | 183 |
3. TEORIE DEL DISCORSO E VALIDITÀ | |
3.1 LA POSIZIONE DI XXXXXX XXXXX | 185 |
3.2 LE TESI DI XXXXXX XXXXXXXX | 000 |
4. LA VALIDITÀ NELLA PROSPETTIVA DEL NEOISTITUZIONALISMO | 189 |
INDICE
5. LA VALIDITÀ COME IMPEGNO DOXASTICO | 192 |
6. UNA CONCEZIONE INFERENZIALISTA DELLA VALIDITÀ | 194 |
CAPITOLO 9 CONCETTI DI DIRITTO IN AGONE: LA SOLUZIONE ISTITUZIONALISTICA | |
1. RICOGNIZIONI | 197 |
2. IL CONCETTO POSITIVISTICO DI DIRITTO | 199 |
3. IL GIUSREALISMO | 201 |
3.1 IL GIUSREALISMO SCANDINAVO | 202 |
3.2 IL GIUSREALISMO AMERICANO | 204 |
4. GIUSNATURALISMO E CONCETTO DI DIRITTO | 205 |
5. IL NEOISTITUZIONALISMO COME GIUSNATURALISMO INCLUSIVO: AZIONE, ARGOMENTAZIONE E COGNITIVISMO METAETICO | 207 |
6. LA POSIZIONE DI MACCORMICK SU DIRITTO E MORALE | 210 |
7. IL PRIMATO DEL SENSO SULLA FORMA E SUL DEONTICO: LA CONNESSIONE TRA DIRITTO E MORALE NELL’ISTITUZIONALISMO DI M. LA TORRE | 214 |
EPILOGO | 218 |
BIBLIOGRAFIA | 233 |
PREFAZIONE
Il presente testo è frutto di duro lavoro, tensione intellettuale e sforzi intensi di redazione e ricerca. Se tutto quanto segue esiste e può oggi essere letto, lo devo alle molte persone che mi sono state vicine in questi anni trascorsi da umile discente del Corso di Dottorato in Filosofia istituito presso l’Università degli Studi di Messina.
Xxxxxxxxx, innanzitutto, il Professore Xxxxxx Xx Xxxxxx dell’Università di Palermo, mio tutor nella fase iniziale, e, quindi, la Professoressa Xxxxxxxxx Xxxxxxx dell’Università di Messina, che mi ha accompagnato in tale veste sino alla conclusione, alla cui competenza, professionalità ed incondizionata disponibilità nei miei riguardi devo il compimento di questa impresa.
Xxxxxxxxx, altresì, il Professore Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Coordinatore del nostro Dottorato e uomo di straordinario intuito e saggezza, emersi in innumerevoli circostanze durante questo periodo e di cui ho in prima persona beneficiato, tramite i non pochi consigli che mi ha, passo passo, autorevolmente somministrato.
Devo, inoltre, esprimere la mia gratitudine nei confronti di tutti i membri del Collegio di Xxxxxxxxx ed, in particolare, della Professoressa Xxxxxxxx Xxxxx e del Professore Xxxxxxxxxx Xxxxx, grazie ai quali ho potuto prendere parte al magnifico progetto di ricerca “Rappresentare l’Irrappresentabile: La Grande Guerra”, trascorrendo, in quella cornice, un periodo di studio presso l’Università di Lille 3, dove mi ha accolto in amicizia il Professore Xxxx Xxxxx, cui va, del pari, il mio più sentito ringraziamento.
Sono certamente debitore nei confronti dei miei colleghi tutti, anche di quelli che hanno, infine, fatto altre scelte, splendidi compagni di strada ed impagabili interlocutori: il mio auspicio sincero è che essi restino tali anche in futuro.
Un ringraziamento speciale va al personale delle biblioteche delle Università di Messina, Palermo e Catania, che hanno dimostrato verso di me una pazienza che va ben oltre i doveri connessi al loro ufficio; alle Dott.sse Xxxxxxxx Xx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx dell’Ufficio Dottorati, almeno altrettanto comprensive e puntuali, ed a tutto il personale amministrativo che ha reso possibile lo svolgimento del nostro percorso di studio.
L’elenco degli altri, verso cui ho un debito di riconoscenza, sarebbe troppo lungo e rischierei, in ogni caso, di lasciare fuori qualcuno. Xxxx, però, certamente sanno che gli sono e sarò, per sempre, infinitamente grato.
I difetti ed i limiti di questo lavoro sono, naturalmente, solo ed esclusivamente miei.
INTRODUZIONE
Il presente lavoro si colloca in un’area idealmente definita dall’intersezione di filosofia del diritto, filosofia della mente e filosofia del linguaggio: la sua finalità complessiva è la rivisitazione e approfondimento della teoria istituzionalistica del diritto, il suo rapporto con le principali correnti giusfilosofiche e, segnatamente, il ruolo che in essa assumono le dimensioni della discorsività, dell’argomentazione e della giustificazione.
Le tesi istituzionalistiche vengono fatte oggetto di rilettura all’interno di un quadro teorico per molti versi eclettico, che trae nutrimento, appunto, dalla filosofia del diritto, dalla filosofia del linguaggio e della mente, con diversi punti di contatto con le teorie di matrice sociologica sul proprium dell’organizzazione umana. Il fulcro, tuttavia, è nella esplorazione delle possibilità di una ricostruzione del fenomeno giuridico nei termini della teoria dell’interpretazione intenzionale, dell’azione intenzionale e dei sistemi intenzionali, nonché della teoria del linguaggio sviluppata da Xxxxxx Xxxxxxx, tenendo fermo, come postulato fondamentale imprescindibile, un quadro ontologico che, nel rifiuto di strategie riduzionistiche, conferisca piena dignità alla sfera del normativo, colto sia nella dimensione discorsiva della prassi linguistica sia nella realtà delle istituzioni – complesso intreccio di fatto, norma, azione e tempo, ossia storia.
Ed è attraverso questo percorso, che ci si è sforzati di rendere il più possibile lineare e verificabile, che potrà proporsi una analisi dei rapporti tra diritto e morale che tenga conto dei modi in cui la razionalità, attraverso i meccanismi dell’intenzionalità, si esplica in rapporto agli enti sociali, la cui possibilità di esistenza dipende dal discorso e dalla responsabilità, in senso lato normativa, dei partecipanti al game of giving and asking for reasons, ed, ancora prima, dalla intenzionalità originaria localizzata nella comunità, che sembrerebbe rinviare ad una forma di hegelismo.
Quanto alla struttura della tesi, essa è suddivisa in due macrosezioni, articolate in quattro e cinque capitoli rispettivamente, oltre ad un epilogo in cui saranno rassegnate le conclusioni.
Nella prima parte, “Linguaggio, Intenzionalità E Diritto: Materiali Concettuali E Prospettive di Analisi”, vengono poste le premesse di metodo e teoriche per poter procedere alla rilettura della teoria istituzionalistica del diritto, oggetto della seconda parte, “Ripensare Il Neoistituzionalismo”.
Il primo capitolo affronta questioni di portata generale concernenti i rapporti tra diritto e linguaggio, traendo spunto dai contributi più recenti sul tema ed esponendo sinteticamente i capisaldi dell’approccio analitico, ermeneutico e pragmatista, nonché, più diffusamente, della teoria del discorso, con lo scopo non solo di effettuare una utile ricognizione delle opzioni in campo, ma anche di acquisire strumenti, tesi e argomenti, da utilizzare nel corso del lavoro, affinché questo possa svolgersi con maggiore consapevolezza teorica. Il capitolo prosegue
INTRODUZIONE
fornendo alcune indicazioni topografiche per orientarsi sul tema della normatività, con precipua attenzione al dominio della filosofia del diritto.
Il discorso non sarebbe, tuttavia, completo senza congrui cenni al cruciale dibattito filosofico sulla natura, funzione e caratteri della teoria del diritto, il cui statuto oscilla tradizionalmente tra scienza e dottrina morale, descrizione di un fenomeno complesso così come esso è, e prescrizione, su come il diritto - e la sua stessa teoria - dovrebbero essere. La posizione che si sottoscrive è, si evidenzia, a favore di una teoria latamente prescrittiva che sia aperta a considerazioni di valore e che abbracci un robusto cognitivismo metaetico.
Nel secondo capitolo si introduce il tema dell’intenzionalità quale nozione filosofica, attraverso la succinta esposizione delle teorie classiche di Xxxxxxxx e Xxxxxxx, e, quindi, tra le proposte contemporanee, quella sviluppata da Xxxx Xxxxxx.
Le sezioni successive sono dedicate all’opera di Xxxxxx X. Xxxxxxx, ed in special modo alla teoria dei sistemi intenzionali e della interpretazione intenzionale, focalizzando l’attenzione sui meccanismi di ascrizione degli stati intenzionali e, soprattutto, sulle finalità dell’interpretazione intenzionale.
Il terzo capitolo ruota intorno alla concezione pragmatica del linguaggio elaborata da Xxxxxx Xxxxxxx, basata in notevole misura sulle intuizioni di Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx e Xxxxxx, di cui si darà conto sinteticamente, ed imperniata sulla formulazione del deontic scorekeeping model of discorsive practice. Vengono puntualmente esaminate le tesi caratterizzanti la teoria di Xxxxxxx, secondo quanto esposto nel capolavoro Making It Explicit e nella produzione successiva, tenendo ben presente la letteratura critica: la nozione di status deontico, l’espressivismo, l’inferenzialismo come teoria del significato e dei concetti, la concezione della verità, della percezione e dell’azione.
Il quarto capitolo, “Il Diritto Come Pratica Deliberativa, Espressiva Ed Agonistica, Tra Gioco Linguistico e Deontic Scorekeeping”, si prefigge lo scopo di illustrare alcuni degli esempi più rilevanti ai nostri fini di appropriazione del pensiero del “secondo” Xxxxxxxxxxxx e di Xxxxxx Xxxxxxx nell’ambito giusfilosofico. Si esamineranno le tesi di Xxxxxx Xxxxxxxx sul diritto come pratica “aperta” e “deliberativa”, e, quindi, i contributi di Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxx, i quali declinano con grande acume la pragmatica inferenzialista brandomiana nel contesto della teoria dell’argomentazione giuridica. Infine, si tratterà dell’interessante tentativo di ricostruzione dei meccanismi di legittimazione dell’ordine politico da parte di Xxxxxx Xxxxxx che si appoggia esplicitamente al modello del deontic scorekeeping.
La seconda parte, “Ripensare il Neoistituzionalismo”, consta, come detto, di cinque capitoli, ed ha come obiettivo la revisione delle tesi più convincenti della tradizione istituzionalista, filtrate alla luce delle considerazioni e dei contributi considerati nella prima parte.
Il capitolo cinque ha ad oggetto la ricognizione e ricostruzione in chiave critica dei postulati caratterizzanti l’istituzionalismo giusfilosofico e la sua agenda teorica, attribuendo particolare
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
rilievo alla tesi centrale del diritto come istituzione, ed alle sue implicazioni sul piano ontologico e per ciò che concerne il problema della validità delle norme. La trattazione si snoda attraverso l’esposizione succinta del pensiero dei principali istituzionalisti classici, Xxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx, e l’approfondimento dell’opera dei più importanti autori neoistituzionalisti, Xxx Xxxxxxxxxx e Xxxx XxxXxxxxxx.
Nel sesto capitolo si dà conto delle soluzioni offerte al problema della costruzione della realtà sociale e della “datità” delle istituzioni, quasi un ossimoro, che necessita di ampia ed approfondita riflessione. Lo scopo principale del capitolo è la comprensione di questi oggetti singolarissimi, le istituzioni appunto, all’interno dell’agenda giusfilosofica. Il concetto di istituzione viene approcciato a partire dagli assunti del neoistituzionalismo, inclusa la posizione di M. La Torre, trascorrendo, quindi, alla disamina scrupolosa della articolata teoria di Xxxxxx sulla costruzione della realtà sociale.
Il capitolo sette prosegue, per molti aspetti, il discorso sviluppato nel capitolo precedente, spostando l’attenzione, per così dire, sul rovescio della medaglia, occupandosi del rapporto tra la soggettività e lo strato istituzionale della realtà. Se infatti, come noi riteniamo, non può darsi realtà sociale senza istituzioni, queste non possono darsi senza soggettività, la quale, a sua volta, non può che definirsi anche con riguardo alle sue proiezioni intenzionali nell’oggettività dell’azione e delle norme. Si affronterà, pertanto, il tema dell’agire intenzionale, innanzitutto operando una ricognizione delle coordinate essenziali della action theory, per poi passare in rassegna le proposte di Xxxx Xxxxxx e Xxx Xxxxxxxxxx, concludendo con la rimarchevole ricostruzione operata da Xxxxxx dei livelli dell’agire istituzionale, ossia delle diverse descrizioni che si possono fornire di una medesima condotta, intesa in senso materiale, rispetto ad uno sfondo ontologico istituzionale.
Il capitolo ottavo si confronta con il tema della validità, una delle questioni più importanti della filosofia del diritto, a completamento del quadro sin qui tracciato. Dopo una indicazione sintetica degli interessi in gioco, si espongono in chiave critica le principali opzioni teoriche in merito, e, quindi, in maggiore profondità, le proposte dell’istituzionalismo, per poi passare alle ricadute dell’adozione di una posizione inferenzialista sulla questione della validità, attraverso l’esame del pregevole lavoro di Xxxxxxxx Xxxxxx.
L’ultimo capitolo si propone di accostare, in chiave comparativa, il concetto di diritto come istituzione alle più note teorie giusfilosofiche ancora ben presenti nel dibattito contemporaneo, ponendo mente, in special modo, alla vexata questio dei rapporti tra diritto e morale: il positivismo, il giusrealismo nelle due principali versioni, quella scandinava e quella americana, il giusnaturalismo.
L’istituzionalismo, in particolare nella originale lettura di X. Xx Xxxxx, emerge, infine, come forma moderata di giusnaturalismo inclusivo che trae dal giuspositivismo inclusivo l’idea che i principi morali giochino un ruolo nella norma di riconoscimento (quindi, nell’identificazione del diritto valido, in quanto tale vincolante), ponendo l’accento sulla dimensione argomentativa e
INTRODUZIONE
procedurale del diritto, in ciò differenziandosi dal giusnaturalismo esclusivo, rispetto al quale evita l’appiattimento su proposizioni universali sostantive da cui derivare norme giuridiche concrete, per lo più per via di inferenza logica.
L’epilogo, a chiusura del lavoro, traccia un bilancio dei nove capitoli, suggerendo alcune conclusioni a partire dalla ricognizione effettuata.
PARTE PRIMA
LINGUAGGIO, INTENZIONALITÀ E DIRITTO MATERIALI CONCETTUALI E PROSPETTIVE DI ANALISI
CAPITOLO 1
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO. QUESTIONI DI METODO, TEORIA E METATEORIA.
1. Diritto E Linguaggio Nella Riflessione Contemporanea. 2. La Filosofia Analitica E Il Diritto Come Discorso Del Legislatore. 3. Ermeneutica E Diritto. 4. Il Diritto Tra Comunicazione E Argomentazione, Fatto E Norma: Le Teorie Del Discorso. 4.1 Profili Generali. 4.2 La Fondazione Dei Diritti Nella Teoria Del Discorso. 4.2.1 La Tesi Di Habermas
4.2.2 Il Ruolo Della Libertà Comunicativa. 4.3 La Fondazione Dei Diritti Umani Nella Proposta Teorica Xx Xxxxxx Xxxxx. 5. La Concezione Pragmatista: Linguaggio, Azione E Narrazione. 6. La Normatività Del Diritto: Accenni Di Una Mappa Concettuale Minimale. 7. Note Sullo Statuto Della Teoria Del Diritto: Tra Scienza E Dottrina Morale. Descrizione, Prescrizione E Interpretazione. 7.1 Le Coordinate Del Problema. 7.2 Paradigmi Descrittivi E Paradigmi Prescrittivi Della Filosofia Del Diritto: Quattro Concezioni. 7.3 Il Metodo Della Ricostruzione Razionale
1. DIRITTO E LINGUAGGIO NELLA RIFLESSIONE CONTEMPORANEA
Per quanto possa apparire nulla più che un luogo comune nell’ambito dei discorsi sui rapporti tra diritto e linguaggio, è comunque inevitabile fare almeno un fugace riferimento a quelle che sono considerate le prime enunciazioni esplicite circa la loro sussistenza. Così, come ci ricorda, ad esempio, Xxxxx Xx Xxxxx, tanto in Xxxxx Xxxxx, quanto in Savigny, si rinviene una assimilazione tra le due sfere che si realizza dal lato del linguaggio, di cui è negato il carattere artificiale. In particolare, per Xxxxxxx l’analogia si dipanerebbe lungo due dimensioni, avendo sia il diritto che il linguaggio origine e vita nella coscienza popolare intesa come processo storicamente connotato, ed essendo entrambi soggetti ad una opera di sistematizzazione dottrinale che interviene su fenomeni sviluppatisi spontaneamente ed irriflessivamente. D’altronde, è ben concepibile una assimilazione in senso inverso, dal linguaggio al diritto, come sostenuto dal cosiddetto istituzionalismo linguistico, che evidenzia la presenza di rilevanti caratteristiche comuni, identificate nella mobilità, istituzionalità e sistematicità1.
Lo stesso Xx Xxxxx ci mostra che i rapporti tra diritto e linguaggio possano e siano stati intesi nei termini di una equazione, già oltrepassata la soglia della contemporaneità, da Xxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx, l’iniziatore della filosofia analitica del diritto italiana, in due contributi, rispettivamente del 1942 e del 1950. Per il primo, interessato alla possibilità di applicare l’analisi logica al diritto, occorre considerare quest’ultimo quale insieme di enunciati;
1 DI XXXXX, Xxxxx, Normatività: Diritto, Linguaggio, Azione, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 4 ss.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
per il secondo, sulla stessa linea, il diritto è costituito dalle proposizioni normative prodotte dal legislatore. Corollario di questa tesi è il carattere metalinguistico del discorso sul diritto: la scienza giuridica concepita come metalinguaggio avente ad oggetto un linguaggio prescrittivo di primo ordine2.
Inoltre, Xx Xxxxx enuclea tre paradigmi – nell’accezione di Xxxxxx X. Xxxxx – che possano guidare una teoria dei rapporti tra diritto e linguaggio: i) giuridicità del linguaggio vs linguisticità del diritto; ii) linguisticità del diritto vs linguisticità della norma; iii) linguaggio della normatività vs normatività del linguaggio3.
Dall’angolo visuale del senso comune, potrebbe partirsi dalla constatazione che il linguaggio è medium del diritto4, sua forma e veicolo di comunicazione, rispetto al quale possono sorgere questioni legate, in primo luogo, appunto alla interpretazione, alla determinatezza ed all’aspetto pragmatico connesso al suo carattere intersoggettivo.
Così, quanto all’aspetto comunicativo, Xxxxxx Xxxxx ha evidenziato il carattere informativo del diritto, in quanto esso può essere considerato, e quindi studiato, come sistema di informazioni, ponendo l’accento sul meccanismo in virtù del quale i destinatari del precetto giuridico vengono a conoscere le regole ed il comportamento da seguire5.
Nella medesima ottica deve essere considerata la posizione di chi concepisce la nozione di validità come costruzione discorsiva, come parte del messaggio veicolato dal testo giuridico, come trasferimento di un valore modale relativo allo status di un fenomeno, senza che ne sia sottoscritta la verità o la giustificabilità. Si tratta, per certi versi, di un messaggio ideologico che
2 Ivi, pp. 11 ss.
3 Ivi, pp. 25 ss. Da sottolineare che per l’autore la tesi della linguisticità del diritto è da ritenersi tesi epistemologica; mentre la tesi della linguisticità della norma è una tesi ontologica, nello specifico di “ontologia del deontico” (p. 31). Le relative questioni si svolgono attorno alla “domanda semiotica”: quando una entità linguistica è normativa? Di quali specie di entità linguistiche si predica la normatività? E a quale livello semiotico? Sintattico, semantico o pragmatico? A quali condizioni si predica di una entità linguistica la normatività? (pp. 34 ss.).
4 Vedi BIX, Xxxxx, Law, Language, And Legal Determinacy, Oxford, Clarendon Press, 1993: a partire da questo assunto l’autore discute in particolare il problema della determinatezza del diritto attraverso le posizioni di Xxxx, Xxxxxxx, Xxxxx. Per Xxxx il linguaggio era un limite al formalismo giuridico e ciò spiega l’inevitabilità della discrezione; per Xxxxxxx i problemi del linguaggio possono in definitiva essere aggirati; per Xxxxx il linguaggio rappresenta una strada per trovare il risultato corretto in diritto e, altresì, una tentazione verso quello scorretto.
5 XXXXX, Xxxxxx, Some Problems of Legal Language, “Ratio Juris”, Vol. 4, N. 1, 1991, pp. 1 ss. Di un certo interesse, per quanto esuli dai confini del presente lavoro, il dibattito cui fa riferimento Knapp circa la questione se il diritto costituisca o meno un linguaggio a sé stante all’interno di una lingua naturale. Quanto alle proprietà del linguaggio giuridico in quanto tale, ne enuncia le seguenti: accuratezza; coerenza; discernibilità: chiarezza del precetto; non emotività; intellegibilità da parte dei destinatari (pp. 4 ss.).
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
reclama, nella prospettiva della semiotica giuridica, una analisi di natura parzialmente empirica sulle sue caratteristiche formali e modalità di trasmissione6.
Le medesime questioni si ripropongono pressoché immutate quando si trascorre dal piano del diritto a quello della sua conoscenza, e ciò vale non limitamente a quegli approcci, su tutti la scuola analitica italiana, che riducono metodologicamente l’indagine sul diritto all’analisi del discorso giuridico nel quadro di una epistemologia fondamentalmente empirista, connotata dall’aspirazione a separare il diritto dall’esperienza valutativa, declinata come morale, politica o estetica. Come osserva Xxxxx Xxxx, qualunque conoscenza viene comunicata tramite il linguaggio, ed i discorsi conoscitivi, scientifici o meno, si svolgono nel e grazie al linguaggio7.
Xxxxxxx ha affermato che una teoria generale della norma giuridica, quindi un discorso conoscitivo sul diritto, non può che fondarsi su una teoria del linguaggio in funzione precettiva, sullo sfondo della tradizionale tripartizione degli usi del linguaggio in uso descritto, prescrittivo ed espressivo8. E Xxxxxxxx, allievo di Xxxxxxx, ancora oggi definisce il diritto come il discorso del legislatore, di tipo prescrittivo, scomponibile in enunciati e questi in sequenze di parole di senso compiuto9. A sua volta, la prescrizione può essere analizzata su tre livelli: la norma, infatti, deve
6 XXXXXXX, Xxxxxxx S., On Scholarly Developments in Legal Semiotics, “Ratio Juris”, Vol. 3, N. 3, 1990, p. 416. La semiotica giuridica è uno dei settori disciplinari più giovani ad occuparsi del diritto come entità linguistica. Il fondatore è lo stesso Xxxxxxx che nei suoi primi lavori ha applicato al diritto le teorie di Xxxxxxx, dando avvio ad un movimento munito di una formidabile carica espansiva. Tutti i testi e concetti giuridici sono suscettibili di analisi semiotica ma non è lo scopo di questo lavoro esaminare questa specifica metodologia, che sacrifica il proprium del diritto nella riduzione, sia pure solo metodologica, di questo a linguaggio, testo, messaggio, contenuto “narrativo”.
7 XXXX, Xxxxx, Il Metodo Giuridico Tra Scienza E Politica, Milano, Xxxxxxx, 1976, pp. 1 ss. Lo stesso ci ricorda che, nonostante il neopositivismo logico abbia, quantomeno al principio, negato che gli enunciati non descrittivi, e fra questi gli enunciati normativi, fossero dotati di significato o senso, la filosofia del diritto analitica, su cui torneremo fra breve, ha dovuto prendere sul serio la “fallacia descrittivistica”, ammettendo che enunciati e discorsi prescrittivi sono dotati di senso, estendendo il concetto di significato oltre gli angusti limiti della corrispondenza tra le entità linguistiche e gli stati di cose. XXXX, Xxxxx, Introduzione, p. 8 ss., in ID. (a cura di), Ermeneutica e Filosofia Analitica: Due Concezioni del Diritto a Confronto, Torino, Giappichelli, 1994. Sulla filosofia analitica del diritto si tornerà tra breve.
8 XXXXXXX, Xxxxxxxx, Diritto, Enunciati, Usi: Studi Di Teoria e Metateoria Del Diritto, Bologna, Il Mulino, 1974, pp. 135 ss. Più avanti, Xxxxxxx illustra le implicazioni metodologiche dell’adesione a questa impostazione, che porta alla rigorosa specificazione della nozione altrimenti generica di norma, il cui ruolo viene assunto da nozioni quali: enunciato prescrittivo, enunciazione di un enunciato, significato proposizionale, riferimento, enunciato interpretativo, forza di una enunciazione e così via. Ed ancora, il legislatore, e gli attori che creano il diritto, vengono qualificati come “formulatori di enunciati”; la validità intesa come grado di circolazione e di impiego dell’enunciato normativo, oltre che come grado di assenso ai precetti. Conformemente ai principi che informano il paradigma analitico, questa metodologia conduce, secondo Xxxxxxx, ad una chiarificazione dei problemi legati allo studio del diritto (pp. 267 ss.).
9 XXXXXXXX, Xxxxxxxx, Il Diritto Come Linguaggio: Lezioni, Torino, X. Xxxxxxxxxxxx, 2001, p 7. Va precisato che il carattere prescrittivo non è tratto necessariamente presente in ogni enunciato giuridico; nel definire il diritto come discorso prescrittivo Guastini intende, piuttosto, che alcuni degli enunciati che lo compongono sono certamente prescrittivi, mentre gli enunciati non prescrittivi dipendono funzionalmente da essi (pp. 10-11).
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
essere intesa come il significato della disposizione quale enunciato emesso con un certo tipo speciale di atto linguistico10.
A questo proposito, xxxxx rilevare che la teoria degli atti linguistici, inaugurata da Xxxx X. Xxxxxx, è stata importata ed ampiamente applicata nell’ambito della filosofia del diritto. La sua importanza emergerebbe rispetto a due profili: in primo luogo, la normatività del diritto andrebbe colta nella funzione illocutoria dell’atto di posizione della regola, non potendosi ritenere altrimenti immanente; inoltre, successi e fallimenti di questi atti performativi, con le conseguenze che ne derivano, ad esempio, in punto di validità, vanno inquadrati in una teoria degli atti del linguaggio11. Vedremo nel corso del capitolo l’importanza che le tesi austiniane hanno assunto nell’ambito delle teorie del discorso, in particolare per argomentare la connessione concettuale tra diritto e morale.
Come è noto, tra le principali proposte teoriche che più hanno insistito sulla nozione di atto performativo, nell’accezione di Xxxxxx, per illustrare la natura del diritto, vi è il realismo giuridico scandinavo. Per gli autori appartenenti a questo indirizzo teorico, al diritto va negato ogni carattere ideale, ogni esistenza in una sfera di realtà – quella del dover essere – distinta dalla realtà che si sviluppa nelle coordinate dello spazio e del tempo. Per Olivecrona, uno dei maggiori esponenti di questa scuola, la nozione di performativo consente di gettare una luce sull’origine delle comuni credenze, metafisicamente cariche, sul diritto e sui concetti giuridici12. La radice di questo fenomeno risiede nel carattere magico-religioso di certe pratiche arcaiche, nel cui contesto il proferimento di determinate formule si riteneva potesse produrre di per sé modificazioni in una sfera sovrasensibile della realtà, conformemente, appunto, ai meccanismi che governano i performativi. A questi processi immaginari, si associavano, invece, concreti processi psicologici aventi ad oggetto le condotte conseguenti a quei mutamenti immaginari.
Ebbene, residui di quel pensiero magico sono alla base della concezione secondo la quale possono darsi effetti giuridici in base a puri proferimenti linguistici, mentre, a ben vedere, si tratta di effetti puramente psicologici mediati dall’idea dell’esistenza di tali effetti che, dunque, spingono i soggetti verso determinate forme di condotta.
I concetti fondamentali di dovere e diritto, a partire da queste premesse, sono ridotti, il primo, all’introiezione della coattività dell’ordinamento, mentre il secondo, parimenti privo di un referente “sovrasensibile”, ad una sensazione di potere rafforzata dalla tutela che il medesimo ordinamento accorda a determinate situazioni.
10 Ivi, pp. 13-4.
11 XXXXXXX, Xxxx, Philosophy of Law and the Theory of Speech Acts, “Ratio Juris”, Vol. 1, N. 3, 1988, pp. 187-223, in particolare p. 194. L’autore evidenzia altresì l’influenza che, in direzione opposta, la teoria del diritto ha avuto sulla teoria degli atti linguistici.
12 Xxxx XXXXXXXXXX, Silvana, Diritto, Linguaggio, Realtà: Saggi Sul Realismo Giuridico, Torino, X. Xxxxxxxxxxxx, 1995, pp. 245 ss.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
Tutto questo, si badi bene, non implica per Xxxxxxxxxx che il linguaggio del diritto sia superfluo e sostituibile con un linguaggio rigorosamente descrittivo, mutuato eventualmente dalle scienze naturali: al contrario, ai concetti giuridici deve essere riconosciuta una capacità persuasiva e direttiva, pur nella loro “vacuità” sul piano semantico. Ad Austin egli, inoltre, rimprovera di non avere intuito il carattere magico dei performativi, cui è in ultima analisi riconducibile l’ipostatizzazione del giuridico, e la distinzione tra due categorie di effetti perlocutori, quelli psicologici puri e quelli mediati da rappresentazioni di realtà immaginarie, questi ultimi cruciali per la comprensione del fenomeno giuridico.
Anche Xxx Xxxx, altro esponente del giusrealismo scandinavo, prende spunto dalla teoria dei performativi per spiegare alcune caratteristiche fondamentali del diritto 13 . Individuando all’interno della classe dei verbi illocutori la categoria dei verbi normativi, sostiene che le norme giuridiche connettano determinate conseguenze a fatti operativi condizionanti, tra i quali quegli atti verbali, gli atti giuridici (legal acts) che creano regole e relazioni, come le decisioni giudiziali e amministrative, le promesse, i contratti. Presupposto di tali atti normativi è una o più norme di competenza che conferiscano la facoltà di porlo in essere: in virtù di tale sistema di norme è possibile produrre effetti specifici che trascendono gli effetti che si realizzano grazie alle regole linguistiche. Il carattere magico del diritto dipende, di fatto, dall’esistenza di un sistema normativo che conferisce il potere di “fare cose con le parole” ponendo regole che connettono certi effetti a certi atti linguistici. Come Olivecrona, anche Xxxx nega consistenza ontologica alle categorie giuridiche fondamentali, ammettendone, tuttavia, l’utilità come tecnica di rappresentazione sintetica di un complesso di norme, nel senso che potrebbe comunque ottenersi lo stesso risultato sostituendo, ad esempio, enunciazioni sul diritto soggettivo con delle parafrasi più o meno articolate senza pretermettere nulla di rilevante, ma con un maggiore dispendio di risorse linguistiche.
Si è voluto fornire, in queste poche pagine introduttive, un quadro, certamente frammentario ed incompleto, dei rapporti tra diritto e linguaggio e dell’intreccio, che si è via via fatto più fitto, delle relative filosofie e strumenti di indagine. È delle teorie del diritto che maggiormente hanno posto l’attenzione alla dimensione linguistica del diritto che adesso ci occuperemo: la filosofia analitica del diritto, l’ermeneutica, in minor misura il pragmatismo e, soprattutto, le teorie del discorso cui sarà dedicato congruo spazio per la rilevanza che esse rivestono nel contesto del presente lavoro. Infine, in chiusura del capitolo, si trova una lunga sezione dedicata alle questioni metateoriche concernenti i caratteri e lo statuto della filosofia del diritto, tema veementemente dibattuto e intrinsecamente “aperto”, che, proprio per la circolarità del rapporto tra il concetto di diritto e la teoria che aspira a coglierlo, richiede un esame quanto più accurato affinché, non
13 Vedi ivi, pp. 308 ss.
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trattandosi di questione cui possa essere data una soluzione ultimativa, possa almeno essere chiarito quali e quanto importanti interessi siano in gioco.
2. LA FILOSOFIA ANALITICA E IL DIRITTO COME DISCORSO DEL LEGISLATORE
Il momento inaugurale della scuola analitica italiana è costituito dal saggio di Xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx Del Diritto E Analisi Del Linguaggio del 195014 che può esserne considerato a tutti gli effetti il manifesto. Il tema che anima il testo è lo statuto epistemologico della teoria del diritto, dotata di un grado di scientificità precario e, comunque, minore rispetto alle scienze naturali. Bobbio denuncia, a tal riguardo, la sussistenza di una duplicazione del sapere nel dominio giuridico, frutto della scissione tra prassi e teoria: “da un lato, una giurisprudenza che non è scienza, dall’altro una scienza che di per se stessa non ha più nulla a che fare con la giurisprudenza (e di cui i giuristi generalmente non sanno che farsene)”15. Il carattere scientifico di una indagine, constata Xxxxxx, dipende principalmente dal rigore del suo linguaggio, inteso come coerenza interna tra gli enunciati della teoria, cui si perviene rispettando le regole di formazione e di trasformazione degli enunciati teorici che siano state formulate inizialmente. Questo ideale, però, può essere in concreto realizzato in grado diverso, ottenendosi un linguaggio più o meno rigoroso, che si distanzia in maggiore o minore misura dal linguaggio comune. Xxx Xxxxxx, allora, la giurisprudenza – come studio del contenuto della regola, contrapposto allo studio della regola in quanto tale, di pertinenza della teoria generale del diritto – per divenire scienza deve farsi analisi del linguaggio normativo del Legislatore. Tale attività scientifica del
14 XXXXXX, Xxxxxxxx, Scienza Del Diritto E Analisi Del Linguaggio, “Rivista Trimestrale Di Diritto E Procedura Civile”, 1950, pp. 342-367. Xxxx’approccio analitico alla filosofia del diritto, rinviandosi comunque alla bibliografia del capitolo, si segnalano qui in particolare BETTIOL, Massimiliana, Positivismo Moderato Della Gius-Filosofia Analitica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1985; e PINTORE, Xxxx, La Teoria Analitica dei Concetti Giuridici, Napoli, X. Xxxxxx, 1990. Per una disamina in chiave storica vedi VILLA, Xxxxxxxx, Storia della Filosofia Analitica del Diritto, Bologna, Il Mulino, 2003. Villa, peraltro, applica gli strumenti analitici per circoscrivere l’ambito della filosofia analitica, a partire dalla constatazione che la sua definizione è essenzialmente contestabile; nondimeno, è possibile tentare di offrire una definizione a vari livelli. Quanto alle definizioni “deboli”, la filosofia analitica troverebbe la sua unità nella adesione ad una concezione della filosofia come impresa di analisi antimetafisica che persegue il rigore argomentativo; oppure, potrebbe essere riguardata in prospettiva storica come tradizione di ricerca. Definizioni “forti” fanno leva sulla presunta condivisione di postulati filosofici quali la distinzione tra linguaggio descrittivo e prescrittivo, giudizio analitico e sintattico, o contesto della scoperta e contesto della giustificazione. Una definizione forte, ma più moderata, evidenzia quale elemento unificatore una certa concezione del rapporto tra pensiero e linguaggio: in particolare, la tesi per cui il pensiero può essere comunicabile attraverso il linguaggio senza residui. Vedi sul punto pp. 40 ss.
15 Ivi p 344.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
giurista, che mantiene, si sottolinea, natura interpretativa, si sviluppa nei tre momenti della purificazione, completamento e ordinamento del linguaggio normativo16.
Tra i testi fondativi della scuola analitica italiana va annoverato, oltre al saggio di Xxxxxx, almeno il contributo di Xxxxxx Xxxxxxxxx Filosofia Analitica e Giurisprudenza del 195317. Xxx Xxxxxxxxx occorre instaurare un dialogo con la filosofia analitica - allora in piena espansione - per acquisirne i risultati evitando al contempo una sorta di isolamento culturale, in certa misura riferibile all’esaurimento dell’idealismo, soprattutto in quanto è l’oggetto stesso della riflessione del teorico del diritto ad imporre una nuova metodologia. Scrive Xxxxxxxxx: “Lo strumento filosofico della analisi del linguaggio sembra … degno della speciale considerazione dei giuristi e di chi medita sul diritto e la sua scienza. L’attività del giurista, infatti, riguarda in gran parte testi linguistici (le norme) ed ha per risultato non modificazioni del mondo delle cose, e macchine per trasformarlo, ma enunciazioni linguistiche” 18 . La filosofia analitica persegue la chiarificazione concettuale attraverso lo studio del linguaggio e della logica, rifuggendo dalle tentazioni della metafisica, che ammonta ad un insieme di pseudo problemi originati da un cattivo uso del linguaggio19, abbandonando o quantomeno mettendo in luce le ambiguità del linguaggio ordinario e le aree sottratte al principio di verificabilità, attraverso strumenti quali la definizione stipulativa20.
Trasposta nel dominio giuridico, la metodologia analitica deve essere applicata sul presupposto che la scienza giuridica si occupa del diritto come complesso di proposizioni normative e quindi come linguaggio oggetto, cui pertiene una indagine che si articola sul piano della forma, con lo studio delle regole di formazione e trasformazione, ivi incluse la sintassi logica e le condizioni di validità intesa come appartenenza; e della sostanza, ossia il piano del contenuto prescrittivo in relazione a stati o eventi del mondo e l’accertamento delle condizioni per l’attribuzione ad essi del carattere giuridico21. Se, dunque, la scienza giuridica deve procedere secondo le predette modalità e obiettivi, avendo ad oggetto un linguaggio normativo, le sue
16 Ivi. p. 351. Nelle pagine seguenti discute partitamente ed estesamente delle tre attività.
17 Ripubblicato assieme a Il Problema Della Definizione E Il Concetto Di Diritto del 1955 in PINTORE, Xxxx (a cura di), Filosofia Analitica Del Diritto, Pisa, ETS, 2014. Nel prosieguo si farà riferimento a questa edizione.
18 Ivi p. 41.
19 Ivi. p. 44.
20 Nelle parole di Xxxxxxxxx: “L’analisi del linguaggio serve all’accurato esame dell’impostazione dei problemi, prima di tentarne la soluzione, al severo controllo dei passaggi del ragionamento, alla precisa determinazione del significato delle proposizioni che si enunciano come soluzione. Si tende ad eliminare, quanto più è possibile, le parole ambigue, le possibilità di errore e di fraintendimento, lasciate da definizioni imprecise, le asserzioni non verificabili, le discussioni su questioni non ben determinate”. Ivi p. 43. Nondimeno, lo studioso ammette che l’approccio analitico non possa essere adottato senza riserve. Vedi pp. 45-6.
21 Ivi pp. 103-4.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
conclusioni consisteranno in enunciati normativi. Pertanto, combinando analisi del linguaggio e finalità specifiche dello studio del diritto, essa scienza guiderà gli operatori del diritto nella produzione di nuove proposizioni normative, individuando nello stesso tempo il contenuto dei precetti per i destinatari22. Da questa impostazione di fondo, deriva la necessità di elaborare un nuovo e più preciso linguaggio giuridico che consenta il progresso della legislazione e della scienza medesima, anche qui ricorrendo principalmente allo strumento delle definizioni stipulative. Infine, l’ambito della teoria analitica è delimitato dal consapevole disinteresse verso le questioni etiche e politiche concernenti i contenuti delle norme, che non hanno, secondo Xxxxxxxxx, attinenza con la loro validità. Parimenti sono escluse le indagini circa l’efficacia delle norme, salvo questa non sia contemplata da un’altra norma23.
La filosofia analitica del diritto, dunque, sposa le tesi nel neopositivismo logico, ritenendo che il compito della filosofia sia l’analisi e la critica del linguaggio, ed assume come oggetto le norme considerate come entità linguistiche, enunciati formulati dal legislatore. Questa impostazione ha delle rilevanti implicazioni sul piano della qualificazione dei discorsi sul diritto: come afferma Xxxxxxxx, mentre il diritto è il discorso delle autorità che producono le norme, la giurisprudenza è un metalinguaggio che verte su quel discorso, secondo quanto già affermato da Xxxxxx; la filosofia del diritto, tuttavia, si collocherebbe ad un livello di discorso ulteriore, come meta- metalinguaggio avente ad oggetto il discorso prodotto al livello della giurisprudenza: essa non sarebbe altro se non una particolare incarnazione della filosofia della scienza24. Non si tratterebbe, invero, di una cesura rigida, in quanto i discorsi che si svolgono nei vari livelli finiscono per interagire tra loro, ad esempio tramite l’interpretazione e la formulazione di norme desumibili da altre norme o dal sistema nel suo complesso.
Una filosofia del diritto così intesa non può che coniugarsi con una impostazione giuspositivistica che, in termini generalissimi, considera il diritto come artefatto umano sociale.
Per quanto occorra distinguere nettamente la filosofia del diritto analitica dalla analytical jurisprudence riconducibile a Xxxx Xxxxxx, e ancor prima a Xxxxxx Xxxxxxx, per ovvie ragioni
22 Ivi pp. 105-6. Xxxxxxxxx pone una certa enfasi sul ruolo pratico dello scienziato analitico del diritto, che non esaurisce affatto il suo compito in una attività quasi computazionale idiosincratica: “Procedendo con particolare rigore e precisione di metodi, lo scienziato come analista del linguaggio delle norme assume in modo speciale nella pratica la funzione di dirigere, indirizzare, controllare, criticare metodologicamente l’attività degli operatori giuridici che producono proposizioni normative” (p. 106).
23 Ivi p. 119.
24 XXXXXXXX, Xxxxxxxx, Manifesto Di Una Filosofia Analitica Del Diritto, “Rivista di Filosofia del Diritto”, Vol. 1, N. 1, pp. 57 ss. Quanto agli strumenti di base di cui dispone il filosofo analitico del diritto, Xxxxxxxx individua le definizioni, informative e stipulative; la distinzione tra enunciati empirici e analitici e tra enunciati descrittivi e prescrittivi; la distinzione tra linguaggio e metalinguaggio e tra motivi, intesi come stati psicologici, e ragioni quali enunciati che si avanzano nella comunicazione a giustificazione di asserzioni o decisioni.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
storiche, è stato dimostrato come tra le due possa tracciarsi una linea sostanzialmente ininterrotta, sotto il segno della continuità del rispetto dei canoni della “ragione analitica”25.
Così già Xxxxxxx lamentava il fenomeno della mistificazione del diritto ad opera dei giuristi, che si realizzava attraverso un uso strumentale e impreciso del linguaggio: impiego di imperativi travisati da asserzioni e di espressioni denotanti entità fittizie normative, come doveri, diritti e divieti; l’utilizzo delle cd finzioni giuridiche accanto ad enunciazioni pseudo-descrittive, ma in realtà valutative; lessico intriso di apparenti tecnicismi ed espressioni appartenenti al gergo giuridico26. Nella ricostruzione di Xxxxxxxx, Xxxxxxx, da filosofo analitico ante litteram, propone un complesso alquanto articolato di strategie di “demistificazione”, operanti su più livelli27. Quanto ai postulati fondamentali, egli sottoscrive una ontologia marcatamente empirista, da cui consegue la delimitazione di una indagine che si voglia propriamente scientifica alle sole entità percepibili. Inoltre, sostiene la tesi della separazione concettuale di diritto e morale, del diritto come è dal diritto come deve essere, e, dunque, della neutralità assiologica della teoria e dei suoi concetti, pur ammettendo la possibilità di una connessione contingente tra diritto e morale. Quanto agli strumenti di analisi a disposizione del teorico, Xxxxxxx suggerirebbe il ricorso alle distinzioni tra forma grammaticale e logica, tra termini valutativi e neutri, tra termini reali e fittizi, discorsi descrittivi e prescrittivi. Lo scopo è la costruzione di un apparato esplicativo in cui trovino posto concetti giuridici universali, capaci di dare conto del diritto nelle sue varie manifestazioni concrete. Tali concetti devono essere organizzati in sistema attraverso un metodo dicotomico o per biforcazioni, di modo che i concetti di livello più generale siano scomposti in sottoclassi mutuamente esclusive ma congiuntamente esaustive. Ad un linguaggio rigoroso e teoricamente adeguato, infine, si perviene tramite l’utilizzo della tecnica della parafrasi da applicarsi eminentemente alle espressioni che denotano realtà “fittizie”, di cui il diritto abbonda: a partire da una concezione nettamente referenzialistica, il significato delle espressioni fittizie viene ridotto a fatti sociali o altre entità reali28.
25 XXXXXXXXX, Xxxxxxxxx, L'Utopia Della Ragione Analitica: Origini, Oggetti E Metodi Della Filosofia Del Diritto Positivo, Torino, Giappichelli, 2005.
26 Ivi pp. 27 ss.
27 Ivi pp. 29 ss.
28 Non è questa la sede per addentrarsi nei dettagli dell’originalissimo metodo della parafrasi elaborato da Xxxxxxx, essendo sufficiente menzionarne il carattere trifasico. La prima fase, denominata freseoplerosi, consiste nell’individuazione di un contesto enunciativo in cui compaia l’espressione fittizia, perché il significato varia al variare di quello. Quindi si procede con la parafrasi quale vera e propria traduzione in termini riduzionistici dell’espressione di partenza. Infine, si pone in essere la cd archetipazione, grazie alla quale si rendono esplicite le immagini associate alle espressioni fittizie.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Si ritrovano le medesime aspirazioni di fondo nel pensiero di Xxxx Xxxxxx, da molti considerato il fondatore della analytical jurisprudence. Xxxx’egli propone una insieme di strumenti di analisi linguistica e concettuale, con l’obiettivo di attuare un’operazione ortopedica e terapeutica che consenta di ottenere le condizioni per la formulazione di discorsi rigorosi sul diritto, privi di concetti oscuri che non facciano riferimento a realtà esperienziali29. Quanto alla postura teorica dello studioso del diritto, Xxxxxx propone, innanzitutto, che questi adotti il principio della metodica ignoranza lessicale, prescindendo dalla conoscenza che eventualmente possieda del significato dei termini giuridici, di modo da assumere un atteggiamento quanto più possibile obiettivo e neutrale. Il teorico, quindi, deve affrontare lo studio del diritto nella consapevolezza della distinzione tra discorsi descrittivi e valutativi, ragionamenti compiutamente formulati ed ellittici, della presenza pervasiva dei fenomeni dell’ambiguità semantica, delle espressioni fittizie, delle definizioni circolari, che vanno sostituiti con definizioni chiare, le quali permettano di porre in relazione tra loro i concetti giuridici, per costruire un discorso coerente sul diritto30.
Per Guastini, l’impostazione austiniana e la filosofia analitica del secondo Novecento si collocano su una piattaforma comune, condividendo ben più che mere assonanze superficiali: “Si tratta dell’adesione ai valori della razionalità, dell’empirismo, del rigore metodologico, della precisione terminologica, della chiarezza concettuale, dell’avalutatività e, non ultimo, dell’onestà intellettuale. Dimodoché tali modelli si possono considerare il riflesso di uno stesso anelito: il frutto di una stessa utopia della ragione nel diritto”31. Non, però, una ragione in senso idealistico, bensì una ragione che opera distinzioni e scomposizioni, una ragione che porta a collegare il progetto della filosofia analitica del diritto all’illuminismo.
Da ultimo, occorre rimarcare il legame, sovente sottaciuto, tra l’analytical jurisprudence e la Reine Rechtslehre di Xxxx Xxxxxx, esplicitamente riconosciuto da quest’ultimo in un saggio del 194132. Qui il giurista austriaco sostiene la sovrapponibilità della propria teoria con quella austiniana, a partire dall’interesse rivolto esclusivamente al diritto positivo, al diritto come è, spingendosi a sostenere di averne applicato la metodologia con maggiore coerenza33. Così, ad esempio, Xxxxxx afferma di essersi spinto oltre Xxxxxx, ma lungo la medesima direttrice, pervenendo alla tesi normativistica del diritto come comando depsicologizzato, laddove quest’ultimo aveva sostenuto una teoria imperativistica del diritto come atto di volontà nella
29 Ivi p. 52.
30 Ivi pp. 49 ss.
31 Ivi p. 4.
32 Vedi XXXXXX, Xxxx, The Pure Theory Of Law And Analytical Jurisprudence, “Harvard Law Review”, Vol. 55, N. 1, pp. 44-70.
33 Ivi p. 54.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
forma del comando emesso dal sovrano e sostenuto dalla minaccia della sanzione. Per entrambi, tuttavia, la coazione è posta al centro del fenomeno giuridico, così come il concetto di obbligo assume un ruolo prioritario rispetto al concetto di diritto (in senso soggettivo) 34.
L’unitarietà della filosofia analitica del diritto è venuta successivamente meno, parallelamente al declino del neopositivismo logico, soppiantato da altri approcci, come la filosofia del linguaggio ordinario, ed all’affermarsi di altri paradigmi teorici, come il pragmatismo o l’ermeneutica, con cui ha finito, più o meno consapevolmente, per ibridarsi35.
3. ERMENEUTICA E DIRITTO
L’interpretazione è momento costitutivo dell’esperienza e della prassi giuridica: con l’eccezione delle concezioni che possiamo definire “meccaniche ingenue”, per le quali il momento applicativo non reclama alcuna operazione ermeneutica sulle fonti, in ossequio al principio della separazione dei poteri e per evitare che al giudice siano attribuiti poteri creativi, in pregiudizio del principio della certezza del diritto, nessuno dubita della centralità dell’interpretazione per la vita del diritto e delle regole di cui è composto, che richiedono una complessa attività cognitiva sia sul piano linguistico-testuale, sia su quello esistenziale-valoriale. E nel panorama contemporaneo, non mancano le proposte, tra le quali basti menzionare quella, autorevolissima, di Xxxxxxx, per le quali l’interpretazione è fusa nel concetto stesso di diritto, inteso, appunto esso stesso come concetto interpretativo.
L’ermeneutica filosofica ha indagato estesamente il significato e i modi della comprensione da una prospettiva antitetica rispetto alla filosofia analitica, pur condividendo con questa la speciale attenzione riservata al linguaggio. Laddove quest’ultima, come abbiamo visto, propugnava l’ideale della chiarificazione concettuale attraverso l’analisi logica e la sostituzione del linguaggio ordinario con un linguaggio rigoroso, l’ermeneutica considera la comprensione delle entità di linguaggio come operazione riflessiva, che si inscrive in un orizzonte esistenziale, storico, culturale, mirando alla esplicitazione del senso del comprendere, che, infine, si fa
34 Ivi pp. 56-7. La distanza tra le due teorie è, invece, marcata con riferimento alla produzione delle norme, all’aspetto dinamico del sistema giuridico nella terminologia kelseniana, e nella mancata elaborazione della nozione di Stato (pp. 61 ss.).
35 Vedi Villa, Op. cit., pp. 135 ss. Villa ravvisa alcuni elementi di convergenza convergenze tra la filosofia analitica contemporanea e l’approccio ermeneutico al diritto, di cui ci occuperemo nel prossimo paragrafo, segnatamente l’elezione del linguaggio ad oggetto di indagine; l’olismo di fondo; la storicità dei linguaggio, incluso in linguaggio scientifico; attenzione alla prassi linguistica e concezione del diritto come pratica sociale; la dogmatica giuridica come prosecuzione del discorso del legislatore (p. 154). Quanto alle tendenze attuali, vedi pp. 156 ss.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
autocomprensione. Il comprendere è, in questo quadro, relazione tra il soggetto e il mondo, inserita nella struttura ontologica dell’esperienza, senza ridursi a pura questione di metodo36. Secondo l’impostazione ermeneutica, la comprensione è preceduta dalla precomprensione, una anticipazione e aspettativa di senso che ne costituisce condizione indefettibile, come interrogativo indirizzato a un testo, da cui promana un significato che ne è la risposta, secondo un paradigma dialogico che si diffonde dentro, ed attraverso un linguaggio costitutivo del mondo e dell’esperienza37.
Il rapporto tra filosofia ermeneutica e diritto non è lineare, bensì circolare: i giuristi di tutte le epoche hanno praticato l’ermeneutica giuridica, sviluppando strategie sofisticate e consapevoli di interpretazione dei testi normativi, i cui principi trascendono il dominio giuridico. Così Xxxx Xxxxx Xxxxxxx giungeva ad affermare in Verità E Xxxxxx la rilevanza generale dell’interpretazione giuridica per la concettualizzazione della pratica ermeneutica38.
Più nello specifico, Xxxxxxxx ha affermato che “l’ermeneutica giuridica è definita teoricamente dal riconoscimento che la norma astratta rivela una struttura necessariamente incompleta, completabile soltanto nel procedimento ermeneutico di concretizzazione della norma giuridica all’interno della decisione di un caso pratico”39. Ciò significa che il diritto non è mai dato definitivamente e staticamente, né può essere ridotto alle sue fonti, o, più in generale, alla volontà che si esprime nella decisione, in quanto questa è parte di un processo interpretativo che implica valutazioni e scelte, e non mere operazioni logico-deduttive40. Il linguaggio, allora, assume una duplice rilevanza, quale forma dell’oggetto da interpretare e medium della decisione interpretativa rispetto ad una comunità, cui deve essere offerta, giacché essa non è mai il frutto di attività monologica chiusa in se stessa; così come il testo giuridico non è entità autoreferenziale, perché si riferisce al mondo dell’azione umana, che si colloca prima ed al di fuori di essa, e da cui trae il senso41. Inoltre, il significato emerge, secondo il paradigma ermeneutico, solo ed unicamente nel
36 XXXXXXXX, Xxxxxxxx, L' Apporto Dell'ermeneutica Alla Teoria Del Diritto Contemporanea, “Rivista di Diritto Civile”, Vol. 3, 1989, p. 325.
37 Ivi pp. 329 ss.
38 Ivi p 333.
39 Ivi p. 334.
40 Nelle parole di Xxxxxxxx: “Al fine di svolgere un sillogismo, è…necessaria non solo l’attività conoscitiva per identificare i possibili significati di un enunciato normativo, ma anche una scelta da operare tra le tante possibili premesse maggiori; ma ogni scelta involge una valutazione. Il ragionamento del giudice prende in tal modo avvio con un’operazione mentale di tipo extralogico o prelogico, una valutazione”. Ivi. p. 335.
41 Ivi p. 336-7. Assai significativamente per i nostri fini, Xxxxxxxx ravvisa una convergenza tra la filosofia del diritto di matrice ermeneutica e il neoistituzionalismo: per entrambe le prospettive teoriche, non può darsi conto del fenomeno giuridico senza tenerne in debita considerazione la dimensione sociale, in quanto sistema aperto permeabile alle istanze dei consociati ed ai contenuti assiologi da essi negoziati nelle relazioni interindividuali. Vedi pp. 338-9.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
rapporto con una fattispecie concreta, secondo un processo dialettico di determinazione reciproca: è il caso reale a strutturare l’interrogativo che l’ermeneuta rivolge al testo, di per sé altrimenti silente. Ne discendono, quali corollari, l’unità della premessa maggiore, quella contenente la norma astratta, e della premessa minore, quella che racchiude il fatto concreto, del ragionamento posto in essere dall’interprete, e la natura non lineare del comprendere nella sfera giuridica42.
Quanto alla accettabilità della scelta, che per le caratteristiche della prassi giuridica non può essere puramente soggettiva, deve farsi riferimento ad una comunità interpretativa, di cui il singolo interprete fa parte, all’interno di una tradizione giuridica, che in una arco di tempo apprezzabile abbia prodotto un corpus di testi, comprendente giurisprudenza e dottrina, e nel cui ambito si siano sviluppate delle consuetudini. Nell’interpretazione, pur così intesa, vi è comunque un ineliminabile elemento creativo che determina l’evoluzione nella continuità43. Si tratta, per l’ermeneutica, di un processo razionale, contro le posizioni scettiche e decisionistiche proprie, ad esempio, del realismo giuridico, controllabile e suscettibile di dibattito sia nel procedimento che media la norma ed il fatto, sia nel prodotto dell’interpretazione, introducendo una componente di forte dinamismo nel concetto di diritto: più precisamente, “la teoria ermeneutica trasforma la statica positività giuspositivistico-tradizionale del diritto, concepita come oggettività conchiusa e nettamente distinta dal soggetto interpretante, in un processo ininterrotto di positivizzazione”44. La prospettiva ermeneutica pone particolare attenzione alla dimensione assiologica, affermando l’incorporazione dei valori nella prassi interpretativa e, quindi, nei concetti giuridici, aspirando a superare la rigida separazione tra essere e dover essere, propria del giuspositivismo45. Ciò non implica l’adesione ad una forma forte di cognitivismo metaetico, poiché i valori cui deve fare riferimento l’interprete sono quelli che emergono nelle pratiche all’interno della comunità, pertanto, è più appropriato parlare di intersoggettività degli stessi piuttosto che di oggettività in
senso stretto.
Venendo al circolo ermeneutico applicato al diritto, esso ha inizio con il momento della precomprensione, che è condivisione di un senso comune, acquisito con la formazione
42 Ivi pp. 342-5.
43 Ivi. p. 347-8. Scrive Xxxxxxxx: “in tal senso l’interprete continua a determinare e a rinnovare la tradizione giuridica stessa, con un’operazione dialettica che media il passato interpretato e il presente interpretante”
44 Ivi. pp. 348-9.
45 XXXXXXXX, Xxxxxxxx, Per Un Manifesto Filosofia Del Diritto Ermeneutica, “Rivista di Filosofia del Diritto”, Vol. 1,
N. 1, pp. 139 ss. Come ben dice l’autore: “Il contatto con i valori può divenire rilevante, all’interno del percorso intellettuale del giudice, nella fase della precomprensione e ritorna nella fase del controllo della razionalità della decisione raggiunta dopo l’applicazione del circolo ermeneutico e la costruzione delle premesse del sillogismo giudiziale” (pp. 139-40).
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
professionale, che si inserisce in un orizzonte di attesa, legando l’interprete alla comunità, professionale e non solo e alla tradizione46.
Quanto detto sinora rimanda alla questione della storicità del diritto, oggetto di penetranti riflessioni da parte di Xxxxxx Xxxxxxxx, uno dei maggiori e più raffinati esponenti dell’approccio ermeneutico47. A ben vedere, questo aspetto non può esaurirsi nell’affermazione del legame che avvince l’interprete ad una tradizione, che concerne il profilo teoretico metodologico, perché occorre piuttosto chiedersi se il diritto sia ontologicamente strutturato secondo i modi della storicità48. Xxx Xxxxxxxx, dal momento che il diritto è fenomeno culturale prodotto dell’uomo, che è ente storico che realizza se stesso nel tempo, partecipa anch’esso della sua storicità. Né il positivismo, né il giusnaturalismo colgono il carattere storico del diritto, ridotto a norma, mentre per la concezione ermeneutica non può darsi diritto se non nella concretizzazione dialettica della norma in relazione a un caso vitale49.
4. IL DIRITTO TRA COMUNICAZIONE E ARGOMENTAZIONE, FATTO E NORMA: LE TEORIE DEL DISCORSO
In questa sezione consideriamo, in estrema sintesi, alcune delle tesi più significative ai nostri fini, per illustrare la sussistenza di un nesso tra il diritto e il linguaggio dalla prospettiva della teoria del discorso50.
46 XXXXX, Xxxxxxxxx; XXXXXXXX, Xxxxxxxx, Diritto e Interpretazione: Lineamenti di Teoria Ermeneutica Del Diritto, 5a ed., Roma; Bari, Laterza, 2004, pp. 186 ss.
47 XXXXXXXX, Xxxxxx, Filosofia del Diritto ed Ermeneutica, Milano, Xxxxxxx, 2003.
48 Ivi pp. 39-40.
49 Ivi pp. 141-2. Circa la natura concreta del diritto afferma Xxxxxxxx: “La comprensione di quanto è singolare o individuo, presuppone la (pre-) comprensione del tutto, ma questa è possibile e prende corpo movendo dal singolo. Il contenuto reale della vita concreta è comprensibile, nella sua rilevanza giuridica, solo se si guarda alla/e norma/e giuridica/he che vengono prese in considerazione, mentre il significato di queste norme giuridiche si coglie solo dalla comprensione del fatto di vita. Quando la norma giuridica giunge all’applicazione, essere e dover essere vengono a corrispondere, e il diritto ha il modo d’essere della concreta esistenza storica” (p. 72).
50 In questo paragrafo faccio ampio uso del lavoro svolto per la mia tesi “Libertà di Espressione: Giustificazione, Limiti e Xxxxxx Xxxxxxxxxxxxxxxxx”, nell’ambito del dottorato di ricerca in “Teoria del Diritto e Ordine Giuridico Europeo” presso l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, A.A. 2008-9, pp. 110 ss. Il presente paragrafo costituisce una sintesi dello studio effettuato in quella sede, cui si rinvia per una più approfondita trattazione. È doveroso evidenziare che vengono qui nuovamente riportate alcune citazioni dai medesimi autori presi in esame già in quel lavoro.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
A partire da Teoria dell’Agire Comunicativo51, Xxxxxx Xxxxxxxx sviluppa una teoria delle condizioni immanenti alla comunicazione, nota come pragmatica universale. Di particolare rilievo è la tesi della esistenza di alcune pretese implicite negli atti linguistici, imposte dal carattere razionale del discorso: la comprensibilità, relativa al mutuo intendersi; la pretesa di verità; la pretesa di sincerità; la pretesa di correttezza, riferibile alla accettabilità dell’atto comunicativo in rapporto al suo sfondo normativo52.
Per superare i limiti delle situazioni discorsive concrete, nelle quali le summenzionate pretese possono non essere soddisfatte cagionando il fallimento dell’atto comunicativo, il filosofo tedesco introduce un postulato di carattere controfattuale, indicando una situazione discorsiva ideale nella quale dette pretese siano sempre soddisfatte. In considerazione, poi della loro natura morale, oltre che logica, Xxxxxxxx elabora una etica del discorso, purificata dai condizionamenti e vincoli, derivanti dalla forza, dall’autorità o dagli interessi, che ostacolino una comunicazione pienamente razionale53. Va sottolineato che nella situazione discorsiva ideale i partecipanti si trovano su un piede di perfetta eguaglianza e conducono il discorso in base al criterio del migliore argomento54. L’etica del discorso è retta da due principi. Secondo il principio (U): “Ogni norma valida deve ottemperare alla condizione che le conseguenze e gli effetti secondari prevedibilmente derivanti dalla loro universale osservanza per la soddisfazione degli interessi di ciascun singolo individuo,
00 XXXXXXXX, Xxxxxx, Xxxxxx Dell’agire Comunicativo, Bologna, Il Mulino, 1986.
52 Ivi, pp. 417 ss. In Etica del Discorso il filosofo tedesco scrive: “Chiamo comunicative quelle interazioni nelle quali i partecipanti coordinano di comune accordo i loro piani d’azione; qui l’accordo di volta in volta raggiunto si commisura in base al riconoscimento intersoggettivo delle pretese di validità. Nel caso di processi di intesa esplicitamente linguistici, gli attori con le loro azioni linguistiche, in quanto si intendono fra loro su qualcosa, elevano pretese di validità, e cioè pretese di verità, pretese di giustezza e pretese di veracità, a seconda che si riferiscono a qualcosa nel mondo oggettivo (inteso come totalità di stati di cose esistenti), a qualcosa nel comune mondo sociale (inteso come totalità di relazioni interpersonali di un gruppo sociale regolate secondo leggi), a qualcosa nel comune mondo sociale (inteso come totalità di relazioni interpersonali di un gruppo sociale regolate secondo leggi) o a qualche cosa nel proprio mondo soggettivo (inteso come totalità degli eventi vissuti accessibili in modo privilegiato)”. XXXXXXXX, Xxxxxx, Etica Del Discorso, Roma; Bari, Laterza, 1989, p. 66.
53 L’etica del discorso si definisce, secondo Xxxxxxxx, per le seguenti tre caratteristiche: essa è cognitivistica, giacché i problemi morali possono essere decisi tramite ragioni e i giudizi morali possono essere giusti o sbagliati; formalistica poiché si limita alla definizione di norme procedurali e non sostantive; universalistica, valendo per tutti a prescindere dall’orizzonte culturale di riferimento. XXXXXXXX, Xxxxxx, Etica del Discorso, cit., pp. 128-9.
54 Conviene menzionare, a proposito della situazione discorsiva ideale di cui si discorre, la originale ricostruzione operata da Xxxxxxxx Xxxxx: “In the ideal speech situation, (1) Rule of Participation - Each person capable of engaging in communication and action is allowed to participate; (2) Rule of Equality of Communicative Opportunity - Each participant is given equal opportunity to communicate with respect to the following: a. Each is allowed to call into question any proposal; b. Each is allowed to introduce any proposal into the discourse; c. Each is allowed to express attitudes, sincere beliefs, wishes and needs; (3) Rule against Compulsion. - No participant may be hindered by compulsion - whether arising from the inside the discourse or outside of it - from making use of the rights secured under (1) and (2)”. XXXXX, Xxxxxxxx X., Freedom of Communicative Action: A Theory of the First Amendment Freedom of Speech, “Northwestern University Law Review”, Vol. 83, N. 1-2, 1989, pp. 54-135, pp. 96-7.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
possano venir accettati senza costrizioni da tutti i soggetti coinvolti”55. Il principio (D) prevede che “possono pretendere validità soltanto quelle norme che trovano (o possono trovare) il consenso di tutti i soggetti coinvolti quali partecipanti ad un discorso pratico”56.
Nel volume Fatti e Norme57 Habermas articola un proposta teorica incentrata sull’applicazione dell’etica del discorso al dominio propriamente giuridico. In particolare, egli afferma che le norme moralmente valide possono assurgere a norme giuridiche valide in virtù di un processo di istituzionalizzazione, da cui traggono origine i diritti costituzionali e le procedure di formazione della volontà politica, di carattere eminentemente discorsivo, rispetto alle quali gioca un ruolo cruciale la nozione di libertà comunicativa.
I diritti fondamentali sono, in questo quadro, il risultato dell’applicazione del principio del discorso, sotto forma di principio democratico, al medium del diritto: le norme ricevono una giustificazione controfattuale consistente nel legame tra la pretesa di legittimità e la possibilità che le norme medesime ricevano l’assenso di tutti gli interessati. Secondo Xxxxxxxx, si danno in tal modo le seguenti categorie di posizioni giuridiche fondamentali: “1. Basic rights that result from the politically autonomous elaboration of the right to the greatest possible measure of equal individual liberties. [...] 2. Basic rights that result from the politically autonomous elaboration of the status of a member in a voluntary association of consociates under law. 3. Basic rights that result immediately from the actionability of rights and from the politically autonomous elaboration of individual legal protection 4. Basic rights to equal opportunities to participate in processes of opinion- and will-formation in which citizens exercise their political autonomy and through which they generate legitimate law 5. Basic rights to the provision of living conditions that are socially, technologically, and ecologically safeguarded, insofar as the current circumstances make this necessary if citizens are to have equal opportunities to utilize the civil rights listed in (1) through (4)”58.
Quanto alla teoria di Xxxxxx Xxxxx, occorre richiamare innanzitutto la cd “tesi del caso speciale” avanzata in Teoria Dell’argomentazione Giuridica59: per lo studioso tedesco il discorso giuridico è una istanza particolare del discorso pratico, vertendo anch’esso su questioni relative all’obbligatorio, al lecito ed al proibito, la cui specialità risiede nel suo carattere istituzionale ed
00 XXXXXXXX, Xxxxxx, Etica del Discorso, cit., 1989, p. 128.
56 Ivi, p. 103.
57 HABERMAS, Between Facts And Norms: Contributions To A Discourse Theory Of Law And Democracy, Cambridge, Polity Press, 1996.
00 XXXXXXXX, Xxxxxx, Between Facts And Norms, cit., pp. 122-123.
59 XXXXX, Xxxxxx, Teoria Dell'argomentazione Giuridica: La Teoria Del Discorso Razionale Come Teoria Della Motivazione Giuridica, Milano, Xxxxxxx, 1998.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
autoritativo, nel senso che tali questioni vengono in rilievo sempre e solo nel contesto di un ordinamento dato. Inoltre, secondo Xxxxx, nel discorso giuridico coloro che vi prendono parte sollevano una pretesa di correttezza che è stata interpretata, ci preme evidenziarlo, nei termini della filosofia di Xxxxxx Xxxxxxx, di cui ci occuperemo diffusamente più avanti60.
Da ciò discende quale conseguenza il carattere razionale delle decisioni giuridiche, le quali possono ricevere una giustificazione in base ad argomenti e secondo le condizioni procedurali fissate per il discorso pratico in generale e conformemente ai canoni di oggettività e correttezza. Xxxxxxxxx, nella concezione di Xxxxx, l’argomentazione giuridica non conduce ad una unica risposta corretta, essendo possibile individuare tre categorie di esiti argomentativi: necessari; compossibili e discorsivamente impossibili.
Va qui senz’altro menzionato il lavoro svolto da Xxxxx in merito alla fondazione dei diritti fondamentali nell’ambito della teoria del discorso, e segnatamente nel saggio Discourse Theory and Fundamental Rights61. Per lo studioso tedesco emergerebbe un triplice nesso tra teoria del discorso e diritti fondamentali, sul piano filosofico, su quello politico della istituzionalizzazione, su quello ermeneutico62. Xxx Xxxxx, la giustificazione o “sostanziazione” dei diritti umani è un caso speciale della giustificazione discorsiva delle norme morali63.
Egli opera un aperto riferimento alla già menzionata teoria del linguaggio di Xxxxxx Xxxxxxx, ed in particolare alla pratica del dare e chiedere ragioni, che presuppone implicitamente una condizione di libertà ed eguaglianza di coloro che vi prendono parte. Per giustificare i diritti, nella prospettiva di Xxxxx, occorre dunque chiamare in causa i presupposti inespressi del discorso, il luogo per eccellenza della razionalità, tramite il cd explicative argument: dal riconoscimento
60 Così si esprime sul punto Klatt: “Any legal assertion necessarily contains a discursive commitment in Xxxxxxx’x sense that the judgment be substantially and procedurally correct. This commitment has three elements. The first is the assertion of correctness. Since correctness implies justifiability, this assertion is supplemented by a claim to justifiability. Legal argumentation is a game of giving and asking for reasons in the sense of Brandomian normative pragmatics. Therefore, as a third element of the claim to correctness, every legal assertion implies the expectation that its correctness will be accepted by others” XXXXX, Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx’x Philosophy of Law as System, in ID. (a cura di), Institutionalized Reason: The Jurisprudence of Xxxxxx Xxxxx, Oxford, Oxford University Press, 2012, pp. 1- 26, p. 5.
61 XXXXX, Xxxxxx, Discourse Theory and Fundamental Rights, in XXXXXXXX, Xxxxxxx J.; XXXXXXX, Xxxx O., Constitutional Rights through Discourse: On Xxxxxx Xxxxx’x Legal Theory - European and Theoretical Perspectives, Oslo, ARENA, 2004, pp. 35-51.
62 Ivi, p. 35.
63 Vedi ivi, pp. 39-42. Scrive Xxxxx: “[I]f anything can establish the universal validity of human rights, then it is reasoning that establishes it. Discourse theory is a theory centred on the concept of reasoning. That is the most general reason for the view that discourse theory can contribute to the foundation of human rights. The discourse-theoretical approach might be called ‘explicative’, for it attempts to give a foundation of human rights by making explicit what is necessarily implicit in human practice. Making explicit what is necessarily implicit in a practice follows the lines of Xxxx’x transcendental philosophy”. Ivi.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
dell’altro come partecipante al gioco del dare e chiedere ragioni discende il riconoscimento dell’eguaglianza e libertà dei parlanti, e quindi della loro autonomia e del loro essere persone; da questo deriva poi l’attribuzione della dignità in capo ad essi ed, in ultima analisi, la titolarità di diritti umani, in cui si sostanzia l’essere persone64.
La strategia argomentativa di fondazione dei diritti umani richiede, tuttavia, ulteriori passaggi, in primo luogo, quanto alla necessità stessa della pratica discorsiva: per Xxxxx, è possibile, sebbene assai arduo in pratica, rifiutare la propria natura discorsiva, limitando l’uso del linguaggio all’espressione di desideri ed all’emanazione di comandi65; ed allora, bisogna introdurre un argomento che tenga conto della scelta esistenziale del soggetto a favore del prendere parte al gioco del dare e chiedere ragioni, una sorta di “convalida” della propria natura razionale. E non si tratta, sottolinea lo studioso tedesco, di una scelta basata sul nulla o infondabile66.
La fondazione dei diritti umani è dunque il risultato della unione di un elemento oggettivo, dato dall’argomento esplicitativo che verte sulla oggettività dei presupposti delle pratiche discorsive, e di un elemento soggettivo, fornito dalla decisione esistenziale di realizzare individualmente e seguire la nostra natura di esseri razionali, ed in questo modo i diritti umani, come posizioni normative discorsivamente fondate lungo le due dimensioni anzidette, si mostrano infine come diritti morali67.
5. LA CONCEZIONE PRAGMATISTA: LINGUAGGIO, AZIONE E NARRAZIONE
Il pragmatismo filosofico ed il pragmatismo giuridico si sono sviluppati contemporaneamente e parallelamente, anche se non è chiaro se ed in che misura il pensiero dei rispettivi esponenti sia stato plasmato da reciproche influenze. L’elaborazione del pragmatismo filosofico è da ascriversi principalmente a Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx e Xxxx Xxxxx, mentre sul versante
64 XXXXX, Xxxxxx, Law, Morality, and the Existence of Human Rights, “Ratio Juris”, vol. 25, n. 1, 2012, pp. 2-14, p. 11.
65 Ancora: “The price one pays for this, would, however, be high. Never to assert anything, never to ask any question, never to give any reason would be to forbear from participating in what essentially belongs to the form of life of human beings qua ‘discursive creatures’, as Xxxxxxx puts it”. Ivi.
66 Nelle parole dell’autore: “[T]o talk here about justification or substantiation seems to be warranted, for this decision is not based on groundless or arbitrary preferences, drawn, so to speak, from nowhere. Rather, the decision has the character of an endorsement of something that has been proven, by means of explication, to be a capability necessarily connected with human beings or, in other words, a necessary possibility” Ivi.
67 Ivi, pp. 12-3.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
xxxxxxxxxxxxxx occorre quantomeno menzionare, tra gli autori della prima generazione, Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxx e Xxxx Xxxxxxxx00.
Sul piano più propriamente filosofico, questo movimento si caratterizza per un atteggiamento fortemente antimetafisico ed un empirismo radicale, che si traduce in un approccio nonfondazionale alla conoscenza e nel rigetto della concezione della verità come corrispondenza: truth is what works, infatti, è il motto che sintetizza la posizione pragmatista sulla questione, che implica che la validazione delle proposizioni dipende dalle conseguenze che ne derivano, piuttosto che dagli antecedenti e che essa, in quanto risultato di una attività pratica, orientata alla pratica, può mutare. Mancando uno standard esterno indipendente a cui ancorare la conoscenza, essa andrà perseguita attraverso la costruzione di un metodo razionale, costituito da regole di giustificazione: in quanto correttamente formulate, queste regole e le teorie che se ne avvalgono finiranno nel lungo termine per convergere69.
Si ritiene comunemente che il pragmatismo giuridico abbia inizio con il libro The Common Law e il celeberrimo articolo The Path of Law di Xxxxxx e con il saggio di Xxxxx Logical Method and Law. In quest’ultimo, Xxxxx si fa sostenitore di una estensione degli assunti metodologici del pragmatismo al dominio giuridico, sostenendo la necessità di abbandonare il modello deduttivo della decisione giudiziale, valorizzando le conseguenze economico-sociali, in un quadro epistemologico fondamentalmente empirista, in cui rilevi maggiormente la prospettiva futura rispetto all’aderenza ai precedenti e alle fonti normative astrattamente intese, con una evidente dequotazione del formalismo giuridico 70 . Come afferma Xxxxxxx Xxxxxx: “Law is understood by the pragmatist as a social tool oriented to social ends. Judgments of social policy are reasonable or unreasonable, but only rarely can they when made be pronounced right or
68 Xxxx XXXXXXXX, Xxxxx X., Pragmatism in U.S. Legal Theory: Its Application to Normative Jurisprudence, Sociolegal Studies, and the Fact-Value Distinction, “American Journal of Jurisprudence”, Vol. 41, 1996, pp. 315-355. Secondo l’autore, l’opera degli autori appartenenti alla prima generazione dei giuspragmatisti ha avuto una influenza molto profonda sul modo di concepire il diritto, contribuendo in modo decisivo al declino delle metodologie razionaliste e antistoricistiche, a favore di indagini orientate alla prassi che, inoltre, valorizzano la contestualità dei concetti e la loro storicità. Xxxxxxxx, tuttavia, che il pragmatismo in quanto tale sia vuoto, aspirando ad una applicazione generalizzata al dominio giuridico del metodo scientifico per come era stato rielaborato dal pragmatismo filosofico, rifiutando – è bene evidenziarlo – la distinzione tra fatto e valore, poi caratteristica del cd postmodernismo. Ivi pp. 315 e 317-8. Per approfondimenti vedi il volume XXXXXXXXX, Xxxxxx (a cura di), The Revival of Pragmatism: New Essays on Social Thought, Law, and Culture, Durham; London, Duke University Press, 1998, che contiene una ampia sezione sul giuspragmatismo.
69 XXXXXX, Xxxxxxx, Legal Pragmatism, in XXXXXXXXX, Xxxxxx (a cura di), A Companion To Philosophy Of Law And Legal Theory, 2nd ed., Xxxxxx, Xxxxxxxxx Publishing, 2010, pp. 406 ss.
70 XXXXXX, Xxxxxxx A., Legal Pragmatism, “Metaphilosophy”, Vol. 30, N. 1-2, pp. 147 ss.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
wrong, unlike the products of logic or other exact inquiry. Only formalists believe that novel and difficult legal cases have only one right answer”71.
I giudici, in altri termini, devono essere guidati da considerazioni di policy e ponderare principalmente le conseguenze sistemiche delle proprie decisioni, e non quelle riconducibili al caso concreto.
Tuttavia, l’apertura al futuro va temperata attraverso una sorta di principio di conservazione della conoscenza, che spinge verso l’adozione di soluzioni che si inscrivano nelle strutture del sapere, ad esempio dottrinale, secondo un paradigma incrementale, con l’eccezione delle decisioni totalmente innovative: si tratta di una necessità epistemologica e non di un dovere moralmente o normativamente connotato. Questo di per sé esclude che si possa definire il giuspragmatismo come forma di consequenzialismo, perché la decisione migliore non coincide con quella avente le migliori conseguenze72.
Peraltro, nella ricostruzione di Xxxxxx, il ragionamento giuridico non si presenta differente dal ragionamento pratico generale, dovendo eminentemente articolarsi attorno al principio di ragionevolezza, senza impegnarsi nella implementazione di teorie politiche o morali astratte; ne discende che il giudice eserciterà in un gran numero di casi un potere di tipo discrezionale73.
Tuzet74 ritiene si possano individuare sei tesi e relativi campi di indagine che definiscono il giuspragmatismo: inferenzialismo quanto al significato di termini e concetti giuridici; inclusione metodologica nel ragionamento giuridico di inferenze induttive e abduttive75; compatibilità di creatività e oggettività dell’interpretazione giuridica; dipendenza logica delle relazioni giuridiche dalle pratiche sociali e la loro conoscibilità a posteriori; l’irriducibilità del diritto ad un paradigma
71 Ivi p. 151.
72 Ivi pp. 150 ss.
73 Precisa Xxxxxx: “When exercising discretion, which the pragmatist believes is a frequent and inescapable judicial duty, the judge is engaged in making policy judgments rather than in deducing decisions from legal rules. Law is not a mystery or a branch of moral theory; it is a policy science”. Ivi p. 152. Vedi anche XXXX, Xxxxxx X., Freestanding Legal Pragmatism, “Xxxxxxx Law Review”, Vol. 18, 1996-7, pp. 21-42. Xxxx definisce la concezione pragmatista del diritto nei seguenti termini: “Law is contextual: it is rooted in practice and custom, and takes its substance from existing patterns of human conduct and interaction. To an equal degree, law is instrumental, meant to advance the human good of those it serves, hence subject to alteration toward this end. Law so conceived is a set of practical measures for cooperative social life, using signals and sanctions to guide and channel conduct. More precise and determinate general theories of the nature and function of law should be viewed with suspicion, at least when put forward to control practice. Finally […] law itself imposes no absolute moral claims, though the rule of law is a political ideal worthy of respect and thus to be weighed in any individual's deliberations about what he or she finally should do” (pp. 41-2).
74 XXXXX, Xxxxxxxx, Sei Tesi Pragmatiste Sul Diritto, “Rivista di Filosofia del Diritto”, Vol. 2, N. 1, 2013, pp. 138-9.
75 In particolare, il procedimento abduttivo verrebbe in rilievo nel passaggio dai fatti alle norme; da queste ai principi; da fatti ad altri fatti; da proprietà fattuali a proprietà giuridiche; infine, da fini a mezzi. Ivi pp. 144-5.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
o a una categoria; l’appartenenza del diritto alla sfera dell’etica. Ai nostri fini bastano alcuni cenni sull’inferenzialismo e l’aspetto semiotico.
Secondo Xxxxx, il giuspragmatismo si confronterebbe con un dilemma non del tutto risolto: da un lato, abbracciare una concezione inferenzialistica del significato implica attribuire rilevanza teorica alle conseguenze normative inferenziali dell’applicazione di concetti giuridici; dall’altro, si tratta di considerarne le conseguenze empiriche, conformemente alle assunzioni del pragmatismo classico. Quanto alla dimensione semiotica, questa prospettiva enfatizza il nesso tra il diritto e l’attività di rappresentazione attraverso segni e simboli, ed, anzi, il diritto può essere considerato come rappresentazione, complesso di segni o sistema semiotico, che rinvia simbolicamente a pratiche ed esigenze sociali, economiche e politiche76.
Tra gli autori contemporanei, va certamente menzionato Xxxxx Xxxxxxx, uno dei sostenitori più autorevoli dell’approccio pragmatista al fenomeno giuridico, le cui posizioni trovano compiuta espressione nel volume La Pratica Dei Principi77.
Secondo Xxxxxxx, l’analisi deve mirare alla identificazione dei principi e i valori normativi incorporati nelle pratiche giuridiche, e non alla costruzione di un sistema normativo astratto da cui dedurli per via razionale. Nella sua prospettiva, una volta “rivelati” i principi nella fase esplicativa, possono essere affrontati i problemi morali o della giustificazione del diritto, che, dunque, si collocano a valle di quella indagine tutta rivolta alla dimensione pratica78.
L’autore enuncia un metodo pragmatista imperniato su cinque assunti fondamentali, solo in parte coincidenti con la ricostruzione di Tuzet79: il rifiuto dell’atomismo; l’adozione di una
76 Ivi p. 142 e 148.
77 XXXXXXX, Xxxxx X., La Pratica Dei Principi. In Difesa Di Un Approccio Pragmatista Alla Teoria Del Diritto, Bologna, Il Mulino, 2006.
78 Ivi pp. 37-8.
79 Ivi p. 38 ss. Il non atomismo consiste nel ritenere che non si possa attribuire valore semantico ad una entità linguistica indipendentemente da altre entità linguistiche all’interno dello stesso sistema e dalle relazioni esistenti tra termini o concetti. Della concezione inferenzialista si è detto poc’anzi e su di essa si tornerà diffusamente nel corso del presente lavoro. In sintesi, l’inferenzialismo afferma che il contenuto concettuale è definito dal ruolo che il concetto svolge nella rete di inferenze in cui compare. Per una riflessione sulla proposta di Xxxxxxx vedi CANALE, Xxxxxxx, Consequences of Pragmatic Conceptualism: On the Methodology Problem in Jurisprudence, “Ratio Juris”, Vol. 22, N. 2, 2009, pp. 171-186. Canale sottolinea come il discorso metodologico di Xxxxxxx possa essere considerato come un discorso di secondo grado finalizzato a fornire risposte agli interrogativi della teoria del diritto e le condizioni alle quali tali risposte possono dirsi giustificate; essa, dunque, è anche una indagine su come possa essere concepita la natura del diritto, in relazione alla strutture delle inferenze esplicative, la cui validità dipende anche dalle pratiche linguistiche e non solo da schemi logici. Così egli afferma: “The pragmatic root of his methodological stance can be seen, on the one hand, in taking the content of a theoretical claim to be the set of consequences it produces within a theory or a set of theories. On the other hand, it can be seen in verifying the explanatory power of legal theory on the basis of its capacity to provide a better prevision and control of social conduct” (p. 173). Di conseguenza, una impostazione metodologica pragmatista à la Xxxxxxx porta a mantenere la centralità dell’analisi concettuale, rispetto alla tentazione di cedere il passo alle ricerche empiriche, e a rivendicare la separazione tra diritto e morale con l’adozione di una postura descrittivistica rispetto al fenomeno giuridico. Tuttavia, per quanto sia questa la posizione sottoscritta da Xxxxxxx,
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
semantica del ruolo inferenziale pratico; la spiegazione mediante incorporazione – forse l’aspetto più caratteristico del pragmatismo di Xxxxxxx - delle pratiche attraversi i principi in esse integrati; l’olismo metodologico nell’indagine su tali pratiche, in quanto la valenza di un concetto all’interno di una pratica ha effetti sulla sua applicazione in altre pratiche; la rivedibilità delle credenze, concetti e categorie di pensiero alla luce delle nuove evidenze e di nuove ragioni - tesi quest’ultima caratteristica dell’approccio pragmatista alla conoscenza.
Di sicuro interesse rispetto alla questione dei rapporti tra filosofia del diritto e filosofia del linguaggio, è la proposta avanzata da Xxxxxx Xxxxxxxxx, elaborata combinando taluni postulati fondamentali dell’approccio pragmatista con le intuizioni del secondo Xxxxxxxxxxxx, così sviluppando una concezione “narrativa” più che discorsiva del diritto80.
L’essere del diritto, per Xxxxxxxxx, è attività, impresa interpretativa di costruzione e discussione di narrazioni esplicative che danno conto della pratica medesima in chiave diacronica, orientate, inoltre, alla risoluzione di problemi concreti81. Il significato di una norma giuridica è dato dal suo scopo o “punto” – di fatto il Witz di cui parlava Xxxxxxxxxxxx nelle Ricerche Filosofiche: tale senso è attribuito dai partecipanti alla prassi costruttivamente, a partire da una molteplicità non componibile di fonti, e dialogicamente, essendo il prodotto dell’interazione discorsiva. Tale senso emerge solo dal punto di vista interno, in quanto non può essere colto indipendentemente dagli atteggiamenti e dalla comprensione che di esso hanno i partecipanti alla pratica82.
Se il senso della regola si manifesta nel contesto d’uso, allora il suo significato non è intellegibile in astrazione da questo e, soprattutto, non può aversi una teoria del diritto che ne prescinda83: il diritto può essere conosciuto solo in relazione alle pratiche che identifichiamo come diritto, ed il conoscere stesso è attività.
Scrive incisivamente Xxxxxxxxx: “What we call ‘law’ is law because it is that activity by which we institutionally organize collective argument about how we should live. Law is a medium of intelligibility; it is a way of making sense of our collective and individual experience. As an
Xxxxxx ritiene che egli non abbia affatto escluso la possibilità o, persino, l’adeguatezza di una teoria normativa del diritto, avendo egli, a ben vedere, fornito gli strumenti generali per una teoria del diritto tanto descrittiva quanto normativa.
80 XXXXXXXXX. Xxxxxx X., Law’s Pragmatism: Law as Practice & Narrative, “Xxxxxxxx Xxx Review”, Vol. 76, N. 5, 1990, pp. 937-996.
81 Ivi p. 940.
82 Ivi pp. 965 ss. Il punto è espresso da Xxxxxxxxx nei seguenti termini: “Practices are creatures of reason and function as conventions. It is, therefore, against the specifics of a practice that claims for actions consistent with the practice are validated. Our perception of the objectivity of any particular decision is a function of the degree to which the act in question is in conformity with the demands of the practice as understood by the participants” (p. 966).
83 Ivi pp. 969-70.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
institution, law gives meaning to utterances which they would not have, but for the institution. In other words, the meaning of the law cannot be separated from the institution of law”84.
La comprensione del diritto, inoltre, ci fornisce una chiave di accesso al mondo 85 . Più specificamente, la concezione narrativa del diritto sostenuta da Xxxxxxxxx pone in evidenza che il mutamento del diritto avviene attraverso lo sviluppo di resoconti delle pratiche giuridiche, muniti di una unità interna che ne cattura gli elementi significativi del suo sviluppo sino al momento attuale, proiettandosi verso le nuove applicazioni, rispetto alle quali fornisce ragioni e argomenti in rapporto al punto x Xxxx delle pratiche medesime. Non si tratta di ricostruire, quanto al passato, una storia di azioni, quanto, piuttosto, di “creare una intellegibilità discorsiva dall’unità temporale”86.
6. LA NORMATIVITÀ DEL DIRITTO: ACCENNI DI UNA MAPPA CONCETTUALE MINIMALE
Xxxxxx Xxxxxx ritiene che le norme giuridiche veicolano un duplice messaggio: uno relativo all’obbligo di porre in essere una certa condotta ed uno, che per così dire lo incapsula, relativo alla ragione per la quale quell’obbligo è tale, vale a dire il suo carattere giuridico87. In altri termini, deve essere rilevante per la ragione pratica che quella prescrizione abbia natura giuridica, e non morale o genericamente sociale.
Il diritto, secondo Xxxxxx, pretenderebbe di offrire ragioni di un tipo particolare, chiamate identity-related o content-independent, che trarrebbero la propria forza dal provenire da un certo soggetto, e proprio perché provengono da questi: in ciò risiederebbe il nucleo essenziale della questione della normatività del diritto. La risposta migliore, per Xxxxxx, è quella elaborata dal suo maestro Xxxxxx Xxx: il diritto è una istituzione autoritativa, le cui direttive forniscono ragioni obbligatorie per i destinatari, che si giustificano (cd normal justification thesis) mostrando che è più probabile che il soggetto ponga in essere l’azione, per la quale valgono per lui già altre ragioni, adempiendo al dovere, se egli segue le direttive dell’autorità piuttosto che cercare da sé le ragioni dell’azione.
84 Ivi p. 981.
85 Ivi p. 983.
86 Ivi p. 988. Conclude Xxxxxxxxx: “[T]he whole of law is the production of one narrative after another. Every innovative case, law review article, and judicial opinion is an account of the past practice of the law and the advancement of reasons and arguments in support of a claim for the point (form) of law” (p. 989).
87 XXXXXX, Xxxxxx, Philosophy Of Law, Princeton, Princeton University Press, 2011, pp. 61 ss.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Non è questa la sede per addentrarsi nella teoria di Xxx, né può essere soddisfacente l’adesione all’impostazione di Marmor circa la questione della normatività del diritto, sulla quale si sono esercitati generazioni di studiosi e rispetto alla quale sono state fornite le più disparate soluzioni88. Nella ricostruzione di Xxxxx Xxxxxx la divisione principale tra le proposte teoriche in tema normatività del diritto è tra teorie esternaliste e internaliste. Le prime rinvengono la normatività del diritto in sistemi normativi non giuridici, sostenendo, sotto questo profilo, il carattere eteronomo del diritto; le seconde, per contro, considerano il diritto normativamente autonomo.
Un terzo gruppo di teorie è rappresentato da approcci descrittivistici che, ponendo l’accento sulla natura sociale del diritto, ne fondano la normatività con riferimento ai suoi aspetti funzionali89.
In maggiore dettaglio, si possono individuare secondo Shiner quattro forme di esternalismo: positivismo esclusivo; realismo; analisi economica del diritto e critical legal studies90. Per il giuspositivismo esclusivo, la normatività giuridica differisce dalla normatività morale, e si lega concettualmente alla validità: pertanto, resta aperta la questione della vincolatività o obbligatorietà del diritto, che reclama una giustificazione esterna. Quanto al realismo, nella versione sostenuta, ad esempio da Xxxxxxx Xxxxx, la morale è un sistema indipendente dal diritto, le cui proposizioni forniscono il significato alle proposizioni giuridiche: nel quadro di questa relazione semantica, la normatività delle norme giuridiche poggia sulla normatività delle norme morali. Per i sostenitori dell’analisi economica del diritto, scopo di questo è l’allocazione efficiente delle risorse e questo comporta un legame, almeno rispetto ad alcune aree dell’ordinamento, con i criteri della razionalità economica: in altri termini, qui la normatività del diritto si lega concettualmente alla ricerca egoistica della soddisfazione delle preferenze, vero motore della razionalità pratica. Per i critical legal studies, infine, la normatività del diritto dipende dalla morale e dai processi politici, essendo esso indeterminato e contraddittorio, oltre che intrinsecamente vincolato ai meccanismi del potere.
Tra le posizioni internaliste91, viene in primo luogo in rilievo il giusnaturalismo che sostiene, pur nella varietà delle elaborazioni teoriche, il legame concettuale tra diritto e morale, in
88 Xxxxxx Xxxxx ci ammonisce a non identificare acriticamente la questione della normatività del diritto e quella circa la forza normativa della giustificazione nell’ambito dell’argomentazione giuridica: la prima concerne la natura dei doveri giuridici o delle ragioni per l’azione fornite dal diritto, mentre la seconda viene in rilievo nel contesto della giustificazione degli enunciati normativi in sede di interpretazione o applicazione del diritto. XXXXX, Xxxxxx, Legal Positivism, Law's Normativity, and the Normative Force of Legal Justification, “Ratio Juris”, Vol. 16, N. 4, 2003, pp. 469-485, in particolare, pp. 470-1.
89 XXXXXX, Xxxxx X., Law And Its Normativity, in Xxxxxxxxx, Xxxxxx (a cura di), A Companion To Philosophy Of Law And Legal Theory, 2nd ed., Xxxxxx, Xxxxxxxxx Publishing, 2010, pp. 417-8.
90 Ivi pp. 418-23.
91 Ivi, p. 423 ss.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
particolare nell’orientamento verso il bene e la buona vita che il diritto deve avere per essere considerato genuinamente tale, e non puro arbitrio e sistema di coazione: il diritto positivo è vero diritto se e solo se costituisce istanziazione del diritto naturale secondo leggi razionali immanenti alla ragione pratica92.
Xxxxxx annovera tra gli approcci internalisti anche il formalismo giuridico, nella versione elaborata da Xxxxxxx, segnatamente con riferimento alla tesi secondo cui la forma esibisce una razionalità morale immanente al diritto, e la teoria di Xxx Xxxxxx sulla inner morality of law: il rispetto di determinati criteri formali e procedurali è condizione indefettibile affinché il diritto possa realizzare i benefici connessi alle funzioni che esso è chiamato a svolgere per i consociati. Per Xxxxxxx, il teorico del diritto come integrità, i principi hanno un ruolo essenziale per la prassi giuridica, a sua volta concettualizzata nei termini di una impresa interpretativa: i principi, che rimandano alla dimensione morale e politica, si inseriscono nella giustificazione delle decisioni e permettono l’avanzamento in concreto dei valori della giustizia, equità, moralità politica, all’interno di una storia collettiva e incrementale di interpretazioni colta nella metafora della chain novel.
Tra le teorie internaliste, Xxxxxx menziona anche il positivismo inclusivo, secondo cui la normatività del diritto può, sia pure contingentemente, derivare dall’incorporazione nel sistema di standard di giustificazione schiettamente morali tramite la norma di riconoscimento, grazie alla quale è possibile identificare quali norme siano parte dell’ordinamento.
Per quanto concerne il terzo gruppo di posizioni, definite descrittivistiche 93 , esse sono accomunate da un atteggiamento riduzionistico rispetto alla normatività: individuate talune caratteristiche essenziali del diritto, la normatività viene ricondotta ad esse. Così nella teoria di Xxxx Xxxxxx, ascritta da Xxxxxx a questa categoria, la normatività del diritto è interamente spiegata in termini fattuali, secondo la triade: comando, sanzione, habit of obedience. Per le teorie convenzionaliste, la normatività del diritto risiede nella circostanza stessa dell’esistenza di pattern di risposta reciproca che consentono di risolvere problemi di coordinazione ricorrenti: la chiave è nel concetto di salienza, nel senso che solo quelle regole che hanno acquisito rilevanza
92 Sulla obbligatorietà morale nel quadro del giusnaturalismo vedi PINK, Xxxxxx, Normativity and Reason, “Journal of Moral Philosophy”, Vol. 4, N. 3, 2007, pp. 406-431. Xxxx sostiene che occorre tenere distinti obbligo morale e obbligo giuridico e, correlativamente, i due tipi di normatività, sotto tre profili. In primo luogo, l’obbligo morale presuppone la bontà dell’azione, mentre l’obbligo giuridico può rendere buone azioni che non lo sono di per sé (ad es. perché moralmente neutre). Secondariamente, l’obbligo morale nella visione giusnaturalista ha una “presa” su tutti gli adulti razionali e responsabili, laddove il diritto possiede un carattere contingente che impedisce alla ragione da sola di individuarne i precetti vincolanti. Infine, il diritto naturale, come sistema morale, si estende al foro interno, investendo la volontà e la motivazione, mentre il diritto positivo si occupa dell’aspetto esteriore della condotta (pp. 415-6).
93 XXXXXX, Xxxxx, op. cit., pp. 431 ss.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
convenzionale a livello sociale e, quindi, validità in base a regole di riconoscimento, possiedono il carattere della normatività94.
Tutto questo, però, per quanto utile per orientarsi nella sterminata letteratura sul tema, ancora non ci dice nulla su cosa sia la normatività, concetto quanto mai elusivo, che è assai più facile impiegare praticamente nei nostri discorsi sul diritto piuttosto che definirlo esplicitamente con un grado accettabile di precisione.
Una possibile risposta a questo interrogativo ci viene offerta da Xxxxxx Xxx, già più sopra menzionato, autore che rappresenta un punto di riferimento imprescindibile sull’argomento95. Xxx Xxx, la normatività, in generale, riguarda la capacità umana di rispondere alle ragioni ed è connessa con il ragionamento così concepito: “reasoning is essentially an activity aiming to establish the justification, the case for its conclusion, undertaken in order to establish whether the conclusion is a correct aswer to its question”96.
Il ragionamento è attività intenzionale, per la quale, a sua volta, vi sono ragioni e scopi, ed è ricerca di giustificazioni, ossia di argomenti, rispetto alle quali possono essere valutate le azioni. Dunque, la normatività è concettualmente legata a doppio filo al ragionamento, da una parte,
e all’azione, dall’altra: “Reasoning is the handmaiden of normativity. In as much as features of the world make certain responses, emotional, cognitive or active, appropriate, where we have the capacity to respond to them through the use of rational powers, they belong to the normative domain. Reasoning is the reason-guided mental activity of finding out how we should orient ourselves towards the world. Practical reasoning consists of those reasoning activities that aim to determine how we or others should act in the world. The acting, including the intentions with which it is done, is not part of the reasoning, but is determined by it, at least when we react rationally”97. La normatività del diritto, allora, è parte di un fenomeno più fondamentale che per
94 Marmor illustra il punto nei seguenti termini: “Conventional practices create reasons for action only if the relevant agent has a reason to participate in the practice to begin with. And that is true of the law as well. If there is an ‘ought’ to play the game, so to speak, then this ought cannot be expected to come from the rules of recognition. The obligation to play by the rules – to follow the law, if there is one – must come from morale and political considerations. The reasons for obeying the law cannot be derived from the norms that determine what the law is”. XXXXXX, Xxxxxx, op. cit., p. 82.
95 XXX, Xxxxxx, Normativity: The Place of Reasoning, “Philosophical Issues”, Vol. 25, 2015, pp. 144-164.
96 Ivi pp. 145-6.
97 Ivi p. 161. Xxxxxxxx definisce questa impostazione come approccio “reason first”: la nozione di ragione normativa assume centralità nelle spiegazioni della normatività, e financo il ruolo di concetto primitivo. Ritiene che vi siano due modi principali di considerare le ragioni in questa prospettiva: le ragioni normative sono elementi della spiegazione di un fatto normativo, rilevando eminentemente per la verità dei giudizi intorno a come un soggetto razionale dovrebbe agire; oppure esse sono parte essenziale dei processi di deliberazione razionale. XXXXXXXX, Xxxxx, The Pitfalls of 'Reasons', “Philosophical Issues”, Vol. 25, N. 1, 2015, pp. 123-143, in particolare, p. 126.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
Raz investe l’articolazione delle giustificazioni per l’azione in ragioni che il soggetto deve riconoscere e alle quali, da soggetto razionale, deve rispondere.
Xxxxxxxxx, nel dibattito attuale si riscontrano posizioni assai differenziate che pervengono ad esiti opposti ed inconciliabili98. Per il realismo i concetti che usiamo sono normativi perché sono parte di una realtà o di caratteristiche normative della realtà, quindi la normatività è primariamente questione metafisica e derivativamente discorsiva. Per le posizioni antirealiste, la normatività non è parte del mondo ma caratterizza esclusivamente i concetti ed il linguaggio, in particolare laddove questo non svolge una funzione rappresentativa99. All’interno del realismo normativo, si possono poi distinguere tre orientamenti. Per un primo orientamento, non- riduzionista e quietista, l’esistenza di fatti e proprietà normative può essere spiegata solo con riferimento a entità normative più fondamentali, a loro volta non ulteriormente definibili. Un secondo approccio può essere etichettato come neoaristotelico: secondo questa posizione le norme in base alle quali formuliamo giudizi valutativi sono rinvenibili nella natura delle cose. Per il neohumismo, i fatti normativi dipendono dai desideri dei soggetti agenti.
Quanto alle visioni antirealiste, si tratta principalmente dell’espressivismo, che considera la normatività come qualità del linguaggio e dei concetti, il cui significato rimanda a stati mentali del soggetto e alla dimensione motivazionale, non spiegata dal realismo; e del costruttivismo, che riconduce la normatività al corretto modo di argomentare e giustificare l’azione, posizione ascrivibile a Raz100.
Una proposta teorica di un certo interesse ai nostri fini è stata avanzata da Xxxxx Xxxxxx, il quale ha suggerito che la normatività del diritto possa essere spiegata con riferimento ad ideali estetici101, applicando la tesi alla concezione sviluppata da Xxxx in The Concept of Law.
Come è noto, per Xxxx un sistema giuridico evoluto è una unione di regole primarie, che impongono obblighi, e secondarie, di riconoscimento, trasformazione e applicazione: affinché tale sistema possa dirsi esistente occorre che i consociati si comportino generalmente in conformità alle regole e che i funzionari (officials) accettino volontariamente e coscientemente la regola di riconoscimento, quali che siano le ragioni per tale accettazione. In altri termini, l’accettazione dell’autorità del diritto, nel modello minimale hartiano, può essere basata su ragioni anche non morali, in particolare, secondo Xxxxxx, ragioni di natura estetica.
98 Vedi XXXXXX, Xxxxxxx, Recent Work on Normativity, “Analysis”, Vol. 70, N. 2, 2010, pp. 331-346.
99 Ivi pp. 333 ss.
100 Ivi pp. 335 ss. Vedi anche XXXXXXXX, Xxxxx, The Nature of Normativity, Oxford, Oxford University Press, 2007, pp. 1-7.
000 XXXXXX, Xxxxx C., Legal Obligation and Aesthetic Ideals: A Renewed Legal Positivist Theory of Law's Normativity, “Ratio Juris”, Vol. 14, N. 2, 2001, pp. 176-211.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Questo in sintesi l’argomento. Le ragioni estetiche, caratterizzate, rispetto a quelle morali, dalla non universalizzabilità, dall’essere relative all’agente ed espressive di relazioni, possono avere un peso maggiore rispetto a quelle nella deliberazione pratica, ed allora fungono da ragioni per i funzionari posti di fronte alla questione dell’accettazione dell’autorità del diritto pure al cospetto di un conflitto con norme morali e nell’ipotesi di norme cui da cittadini non obbedirebbero volontariamente. Allora, la normatività del diritto è garantita, in presenza di ragioni non morali, proprio perché l’accettazione dei doveri non dipende esclusivamente da ragioni morali 102 . Le ragioni estetiche garantiscono, o giustificano in senso lato, taluni atteggiamenti intenzionali verso certi oggetti e talvolta possono assumere il ruolo di standard razionali per l’azione nel contesto di un ragionamento pratico: l’esempio portato da Xxxxxx è la decisione di fare una passeggiata per ammirare il tramonto. Il punto emerge con maggiore chiarezza quando si passa alla considerazione degli ideali estetici incorporati in pratiche sociali, che spingono – conclusivamente – a favore di azioni moralmente discutibili, se non addirittura ingiuste: è il caso, per Xxxxxx, della corrida103.
7. NOTE SULLO STATUTO DELLA TEORIA DEL DIRITTO: TRA SCIENZA E DOTTRINA MORALE. DESCRIZIONE, PRESCRIZIONE E INTERPRETAZIONE
7.1 LE COORDINATE DEL PROBLEMA
L’argomento oggetto delle pagine che seguono, i caratteri, i confini, la metodologia e, in definitiva, la natura della filosofia del diritto, è da sempre tra i più aspramente dibattuti: su di esso si sono confrontate e continuano a confrontarsi pressoché tutti gli studiosi appartenenti alle più autorevoli scuole e correnti, mettendo in campo argomenti talora estremamente sofisticati che si appoggiano, oltre che esigenze immanenti al fenomeno giuridico, a considerazioni filosofiche generali ovvero a suggestioni tratte dalle più disparate discipline, come la sociologia, l’economia, la scienza politica o, financo, la psicologia empirica.
102 Ivi pp. 184-6.
103 Ivi pp. 187-8. La conclusione è, quindi, formulata nei seguenti termini: “actions resulting from acceptance of aesthetic ideals are identified by participants not in terms of universalisable principles, but rather in terms of appropriate actions given the existence of a standard whose moral merit is either irrelevant, or not immediately open to question. This matter of best action is assessed on agent-relative grounds (individual or group), rather than with respect to what can be universalised. Aesthetic ideals provide reasons for action which presuppose a sort of self- interest or group-interest which is usually alien to moral principles. It seems that while moral reasons are expressed in right conduct, aesthetic reasons nearly always express relationships and may not even encounter the question of whether such conduct is justifiably universalised as a rule” (p. 189).
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
Semplificando ai limiti della caricatura, vi sono due modi principali di atteggiarsi della filosofia del diritto, come teoria descrittiva e come teoria prescrittiva. All’interno dell’approccio descrittivo, possono individuarsi due metodologie distinte, che focalizzano l’attenzione, rispettivamente, su entità naturali esistenti nello spazio-tempo, e sull’analisi concettuale. Le teorie prescrittive si fondano sull’assunto della sussistenza di una relazione teoricamente rilevante tra diritto e morale, che richiede una metodologia normativa o, meglio, normativamente impegnata104.
D’altronde, molte delle disquisizioni sui compiti e sulla natura della filosofia del diritto riguardano la delimitazione del suo ambito di indagine rispetto ad altre discipline, segnatamente la scienza giuridica, ma questi tentativi non possono mai portare ad una soluzione “meccanica” o necessaria, in quanto si intrecciano profili definitori e tradizioni, concezioni condivise e idiosincrasie, che suggeriscono di cercare di comprendere, innanzitutto, cosa è in gioco105.
Si tratta, infatti, di un territorio amplissimo e non è certo il fine di queste brevi note riuscire a dare conto della inesauribile ricchezza di argomenti e tesi avanzate a riguardo: piuttosto, si tratta di acquisire maggiore consapevolezza dei problemi connessi all’identificazione ed al senso del discorso sul diritto, che sono in grado di fornirci, talora direttamente, talora di riflesso, elementi per la sua comprensione.
104 XXXXXXXXX XXXXXX, Xxxxxxxx, The Methodological Problem in Legal Theory: Normative and Descriptive Jurisprudence Revisited, “Ratio Juris”, Vol. 19, N. 1, 2006, pp. 26-7. Occorre almeno menzionare, sul fronte descrittivistico, la proposta avanzata da Xxxxx Xxxxxx in una serie di contributi, per i quali si rimanda alla bibliografia del capitolo, tra le più discusse degli ultimi anni. In estrema sintesi, Leiter propone la “naturalizzazione” della teoria del diritto secondo le indicazioni di Xxxxx, ossia l’abbandono dell’analisi concettuale a favore dell’adozione di una metodologia empirica che rappresenti la continuazione dell’indagine portata avanti dalle scienze sociali. In questo quadro, gli unici enunciati valutativi ammessi sono quelli concernenti i valori epistemici che determinano il successo della teoria: coerenza, semplicità, perspicuità e così via. Nel caso dei concetti “ermeneutici”, quale il concetto di diritto stesso, occorre che la ricerca si incentri sugli atteggiamenti e credenze di coloro che prendono parte alla pratica giuridica. Secondo Xxxxxx, il realismo giuridico è stato il movimento che più coerentemente ha sostenuto questo tipo di impostazione. Sulla proposta di Leiter vedi XXXXXXX, Xxxxx, On Naturalizing Jurisprudence: Some Comments on Xxxxx Xxxxxx'x View of What Jurisprudence Should Become, “Law & Philosophy”, Vol. 30, N. 4, 2011, pp. 477-498.
105 Peraltro, anche a volere circoscrivere la filosofia del diritto rispetto alla cd scienza giuridica, ci si scontra con il dato di una grande varietà di posizioni teoriche che è arduo ricondurre ad unità. Secondo Xxxxxxx (VAQUERO, Xxxxxx Xxxxx, Five Models of Legal Science, “Revus”, Vol. 13, 2013, pp. 53-81), si deve distinguere una accezione lata ed una accezione “stretta” di scienza giuridica. La prima è così definita: “the activity and/or the method used (or that can be used or that should be used) by those involved in determining the content of law (from this point ‘legal scholars’), and to which no legal value is recognized by any legal system. That is, the method and/or the activities of those engaged in establishing what is the legal qualification that corresponds to a behaviour according to a legal system, and those behaviours that the legal system does not recognize as having legal value” (p. 50). La seconda, in quanto distinta dalla dogmatica giuridica: “the method recommended by those who believe that legal scholars should devote themselves solely to describing the content of positive law; by ‘legal dogmatics’ I understand the method proposed by those who believe that legal scholars should not be limited to describing—or should not at all engage in describing—the content of law, but must propose solutions to the judges for resolving hard cases” (p. 60). Quanto alla scienza giuridica in senso lato, Xxxxxxx ne individua ben cinque modelli: normativista, realista, argomentativo, tecnologico e critico (vedi pp. 61 ss. per la discussione di ciascuno di essi).
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Non è, peraltro, agevole orientarsi nella sterminata letteratura sul tema, né individuare uno spunto o un contributo che ci porti senza indugio in medias res. Nondimeno, posto che ogni scelta in tal senso è opinabile, se non connotata da arbitrarietà, ci sembra non azzardato assumere come introduzione alla questione il denso saggio di Xxxxxx Xxxxx The Nature of Legal Philosophy106, in cui l’autore, tra i più influenti nel panorama giusfilosofico contemporaneo, propone una ricostruzione dei compiti e delle caratteristiche della filosofia del diritto, definita in termini di specialità rispetto alla filosofia generale.
Per Xxxxx, il tratto unificante della riflessione filosofica è da individuarsi nel suo carattere riflessivo, vale a dire nel suo essere, in ultima analisi, un ragionamento, fondato su ragioni, avente ad oggetto una pratica basata, a sua volta, su ragioni, che mira a definire il mondo, il Sé e l’Altro, e i connotati dell’azione umana.
Il compito della filosofia, dunque, è eminentemente giustificativo, articolandosi nelle tre dimensioni dell’ontologia, dell’etica e dell’epistemologia, che indagano, rispettivamente, cosa c’è, cosa è buono e, più idiosincraticamente, come giustificare le credenze ontologiche ed etiche107.
Non vi sarebbe nulla di particolarmente rimarchevole nelle tesi di Xxxxx se egli non introducesse un elemento chiaramente mutuato dal pensiero di Xxxxxxx, qualificando ulteriormente come esplicita la riflessività che caratterizza l’impresa filosofica: “Philosophy attempts to make explicit the ontological, ethical, and epistemological assumptions implicit in human practice”108. Inoltre, quali requisiti parimenti necessari alla definizione della riflessione filosofica, Xxxxx indica la generalità o il carattere fondamentale dei problemi affrontati e il carattere sistematico della riflessione.
Il carattere brandomiano dell’impostazione dello studioso tedesco emerge anche con riferimento ai tre corollari che la sua definizione di filosofia reca con sé, vale a dire il suo carattere critico, analitico, e sintetico o olistico. In primo luogo, la riflessione filosofica ha un carattere critico, nel senso che le domande fondamentali possono essere riformulate in termini normativi, se la normatività consiste nella capacità di distinguere corretto e scorretto. Il carattere analitico, nelle parole di Xxxxx, “is defined by the attempt to identify and to make explicit the fundamental structures of the natural and social world in which we live and the fundamental concepts and principles by means of which we can grasp both worlds”109. Il carattere olistico è un ideale regolativo della filosofia, il cui scopo ultimo è fornire una immagine comprensiva e unitaria del suo triplice oggetto.
000XXXXX, Xxxxxx, The Nature of Legal Philosophy, “Ratio Juris”, Vol. 17, N. 2, 2004, pp. 156-167.
107 Ivi pp. 156-7.
108 Ivi p. 157.
109 Ivi p. 158.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
La filosofia del diritto, in quanto filosofia, ne mantiene tutte le caratteristiche, indagando il diritto lungo le tre direttrici indicate, ciò che ammonta, secondo Xxxxx, ad una indagine sulla sua natura. La circostanza per la quale il campo della filosofia del diritto è delimitato dal suo stesso oggetto di indagine non conduce ad una circolarità che ne vanifica le ambizioni, trattandosi, invece, di una applicazione del circolo ermeneutico: l’indagine prenda le mosse da una precomprensione del suo oggetto, il diritto, per come si riscontra nella prassi, per poi sottoporlo a scrutinio critico. Le difficoltà sorgono piuttosto dalla pluralità irriducibile delle opzioni che si situano nel momento della precomprensione, che si riverbera sull’aspetto metodologico della filosofia del diritto. Per non cadere nella tentazione di una ricostruzione astratta che scivoli nel catalogo storico, l’unica via è l’analisi comprensiva degli argomenti sulla natura del diritto, in ossequio al carattere argomentativo della filosofia.
Allora, le questioni concernenti la filosofia in quanto filosofia del diritto, concernono, sul piano ontologico, le entità di cui consiste il diritto, dunque le norme e i sistemi normativi, il problema della validità sul piano fattuale, comprendente la questione dell’autorità e dell’efficacia sociale, e su quello della legittimità, in particolare la relazione tra diritto e xxxxxx000.
Non è tutto. Quattro ulteriori tesi qualificano la filosofia del diritto nell’implementazione dello schema triadico proposto da Xxxxx: 1) la “general nature thesis”, secondo la quale nell’ambito della riflessione sul diritto possono sorgere questioni di pertinenza della filosofia generale; 2) la “specific character thesis”, vale a dire l’esistenza di questioni proprie della filosofia del diritto;
3) “special relation thesis”, vale a dire la sussistenza di un rapporto particolarmente stretto tra la filosofia del diritto e la filosofia politica e morale; 4) la tesi dell’ideale comprensivo, quale criterio che guidi la ricerca filosofica, prescrivendo l’adozione di tutte e tre le tesi precedenti. Le quattro tesi esprimono una posizione che, a differenza del modello triadico, non può dirsi neutrale, implicando scelte di metodo, specialmente rispetto ad una serie di approcci che condividono quella che Xxxxx definisce “massima restrittiva”. Questa ultima, per coloro che la sottoscrivono, imporrebbe al teorico del diritto di astenersi dall’affrontare problemi filosofici generali, espungendo le questioni normative, circoscrivendo l’indagine al carattere istituzionale o autoritativo del diritto. Nella definizione della natura della filosofia del diritto, la scelta tra la
110 Ivi pp. 159-60. Secondo Xxxxx, l’indagine assume i caratteri della completezza, neutralità e sistematicità: la teoria, per dimostrarsi adeguata rispetto a questi canoni, deve confrontarsi con un numero elevato di istanze critiche, per quanto riguarda completezza e neutralità che discende dall’assenza di criteri di preferenza rispetto a certi argomenti; mentre, rispetto alla completezza, questa si avrà con una immagine alla fine comprensiva e coerente della natura del diritto. L’elaborazione di un chiaro schema di indagine sulla natura del diritto, inoltre, è in grado di chiarire quale sia il compito della filosofia del diritto: non si tratta di un ideale di perfezione ma di utilizzare un modello che consenta di affrontare le questioni paradigmatiche (p. 160).
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
massima restrittiva e l’ideale comprensivo ammonta ad una scelta tra una metodologia che non è qualificabile come filosofia e una genuina filosofia.
Così, sul piano metateorico, con una buona dose di originalità, Xxxxx conclude che anche la scelta di campo tra positivismo e non positivismo sia comunque una scelta all’interno della filosofia del diritto, mentre, come è noto, la “massima restrittiva” sembrerebbe esprimere il nucleo metodologico proprio, appunto, del giuspositivismo111. In altri termini, un approccio positivistico, di per sé, non incide sull’agenda giusfilosofica, e, quindi, sulla natura della filosofia del diritto, che invece viene ad essere privata del suo senso quando si abbandona anche una sola delle quattro tesi illustrate.
La concezione della natura o compito della filosofia del diritto si salda in Xxxxx con la propria teoria “sostantiva” sulla natura del diritto.
La questione ontologica è irrilevante per il teorico che adotti la massima restrittiva. Per Xxxxx la questione ontologica si salda all’interrogativo sulla possibilità che le norme possano essere parte di un sistema inferenziale e dunque di una pratica argomentativa o meno: solo nel primo caso potrà venire in rilievo la correttezza anche come ideale della pratica argomentativa112.
Xxxxx è perentorio sul ruolo che assume l’indagine sulle proprietà necessarie del diritto, affermando: Questions about the nature of law are questions about their necessary properties113. Il che significa che l’interrogativo fondamentale della filosofia del diritto, quale sia la natura di questo, può essere riformulata come domanda sulle sue proprietà necessarie114, non dissimilmente da quanto ritiene Raz.
Per lo studioso tedesco, sia la coazione sia la correttezza sono caratteri essenziali del diritto. La coazione è un carattere necessario del diritto non perché è l’uso linguistico ad imporre questa conclusione; piuttosto, la ragione è da rinvenirsi in una ragione pratica: “Coercion is necessary if law is to be a social practice that fulfils its basic formal functions as defined by the values of legal certainty and efficiency as well as possible”. La necessità della coazione è, quindi, definita in termini teleologici115.
La seconda e più originale caratteristica del diritto è per Xxxxx la sua pretesa di correttezza, vera e propria architrave della sua teoria, avente carattere deontologico, ed emergente dalla struttura delle norme e del ragionamento giuridico. Ed è ancora l’eco dell’impostazione brandomiana ad essere percepibile, laddove Xxxxx afferma di poter pervenire alla predetta
111 Ivi p. 161.
112 Ivi pp. 161-2.
113 Ivi p. 162.
114 Ivi p 163.
115 Ivi e p. 164.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
conclusione proprio rendendo esplicita la struttura deontologica del diritto, quest’ultimo tra i principali compiti della filosofia del diritto.
L’argomento di Xxxxx è divenuto moneta corrente nel dibattito filosofico: utilizzando metodologicamente la nozione di contraddizione performativa, egli, facendo altresì appello alle nostre intuizioni profonde, mostra come una norma costituzionale del seguente tenore: “X è una repubblica sovrana, federale e ingiusta”, suonerebbe contraddittoria non sul piano grammaticale, quando rispetto alla implicita pretesa di giustizia insita nel diritto. La pretesa di giustizia è un caso speciale della pretesa di correttezza ed in questo esempio l’uso della nozione di contraddizione performativa consente di mettere in evidenza il sostrato normativo sottostante alla pratica giuridica. In sostanza, il diritto solleva necessariamente una pretesa di giustizia, e a fortiori di correttezza, ed è questa pretesa a giustificare il legame, così reso esplicito, tra diritto e morale116.
Alla filosofia del diritto spetta, quindi, con i modi anzidetti, il compito di comprendere i rapporti tra la dimensione morale e la dimensione istituzionale o autoritativa.
In un articolo del 2010, The Dual Nature Of Law117, Xxxxx sostiene la tesi della doppia natura del diritto, reale ed ideale al contempo. La prima emerge rispetto alle dimensioni dell’autorità e dell’efficacia, la seconda con riferimento alla correttezza morale: un approccio, secondo lo studioso tedesco, non positivistico, che si sviluppa secondo un movimento triadico.
La dimensione ideale, più in dettaglio, concerne il rapporto di connessione tra diritto e morale, tramite la pretesa di correttezza, già menzionata. Nell’analizzare quattro obiezioni alla tesi della pretesa di correttezza, Xxxxx precisa il senso della sua proposta118.
116 Ivi p. 164. La connessione tra diritto e morale, sostiene Xxxxx, presenta anche un aspetto, per così dire, funzionale, in quanto permette di affrontare tre ordini di questioni concernenti la valutazione e la giustificazione del diritto, la sua creazione e applicazione ed, infine, i suoi confini. In particolare, la connessione tra diritto e morale rende possibile l’ingresso di ragioni appartenenti al dominio dell’etica nella argomentazione giuridica in sede di giustificazione delle decisioni negli hard cases, che prima facie almeno non sembra possano essere risolti sulla base esclusivamente del diritto positivo. D’altra parte, la morale gioca un ruolo essenziale nel negare il carattere giuridico al diritto ingiusto, così delimitando la sfera del giuridico rispetto ad altre dimensioni della pratica sociale (p. 165).
117 Da XXXXX, Xxxxxx, The Dual Nature of Law, “Ratio Juris”, Vol. 23, N. 2, June 2010, pp. 167–182.
118 Vedi Ivi pp. 168-73. Contro XxxXxxxxxx, che aveva negato che il diritto, in quanto ordinamento normativo e, dunque, porzione di realtà, possa avanzare “pretese”, lo studioso tedesco risponde che, sebbene non si tratti di una pretesa in senso letterale, essa è comunque, in concreto, presente negli atti dei funzionari e di tutti gli operatori giuridici, che assumono il ruolo di suoi rappresentanti. La seconda obiezione si appunta sul carattere al più contingente della pretesa di correttezza. Xxxxx ritiene, come si è visto, che il carattere necessario di tale connessione sia reso esplicito dalle contraddizioni performative. La connessione è presente in ogni parte del sistema, dalla costituzione alla decisione giudiziale. Più in particolare, secondo Xxxxx occorre distinguere un senso oggettivo e un senso soggettivo rispetto alla pretesa di correttezza: può ben essere vero, e forse addirittura indiscutibile, che coloro che rappresentano la legge, in quanto individui, possano non sempre sollevare una pretesa di correttezza, o di giustizia; tuttavia, dal lato ufficiale o pubblico, essi non possono che sollevarla, pena, nei casi estremi, la trasformazione del sistema giuridico in un regime di puri rapporti di forza. Ancora, è possibile contestare la pretesa, in quanto ovvia o formale, oppure perché in realtà si riferisce non alla dimensione ideale, bensì a quelle fattuale del diritto. La pretesa di correttezza ha sì un carattere formale, ammette Xxxxx, ma ciò dipende dalla sua oggettività, dal suo essere rivolta a tutti e non a destinatari
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Il secondo passaggio, riguarda la dimensione fattuale del diritto, cui afferiscono le procedure relative alla decisione e all’implementazione, altrimenti definibile come positività, resa moralmente necessaria per evitare l’anarchia, da un lato, e ottenere, dall’altro, le condizioni per la cooperazione e coordinazione119.
Infine, la strategia teorica di Xxxxx si completa con il terzo passaggio, quello della istituzionalizzazione della ragione, nel quale, quasi hegelianamente, si attua la riconciliazione del carattere ideale e fattuale del diritto. La chiave è nella distinzione tra pretese di correttezza di primo livello, che concernono la dimensione ideale, e quelle di secondo livello, che includono, oltre alla giustizia, una pretesa legata alla certezza del diritto. Più in particolare, secondo Xxxxx, il principio della certezza del diritto, di carattere formale, legato all’autorità e all’efficacia, può entrare in confitto con la giustizia, che ha carattere materiale o sostanziale, il che significa che essi vanno bilanciati ed è questo bilanciamento a caratterizzare le pretese di correttezza di secondo livello.
Nessuna delle due ramificazioni del giuspositivismo, quello esclusivo e quello inclusivo, può conciliarsi con la tesi della natura duale del diritto: il primo, espungendo ogni considerazione morale dal diritto come concetto, non riesce a dare conto della pretesa di correttezza sollevata dai partecipanti alla pratica giuridica; il secondo, è parimenti insufficiente, ammettendo la connessione tra diritto e morale solamente quale contingenza120. Solamente il “non positivismo inclusivo” è compatibile con la natura duale del diritto, mentre il non-positivismo esclusivo e il
individualmente determinati. Quanto al contenuto fattuale, è sufficiente considerare che anche le decisioni dei giudici, che possono scegliere tra più opzioni basate sull’assetto normativo vigente, si muovono sulla base di standard normativi di giustizia, che è la correttezza nella distribuzione e compensazione, e le questioni di giustizia sono questioni morali. Se tutto questo appare intuitivamente condivisibile, più controverso il seguente passaggio, che riguarda la decisione obbligata ingiusta sulla base del dato normativo positivo: “In such cases the claim to correctness either amounts to the claim that it is morally justified to adhere to the unjust statute for reasons that address the moral value of legality, or it leads to the claim that it is morally justified to make an exception to it, perhaps even to declare it invalid, on the ground that in this case justice outweighs the moral value of legality” (p. 171). Infine, la pretesa di correttezza può essere criticata in quanto illusoria o erronea. L’obiezione proviene da posizioni metaetiche non cognitiviste, le quali affermano il carattere irrazionale dei giudizi morali, basati su valutazioni soggettive o relative o frutto di decisione: in questo senso, non è possibile parlare di correttezza rispetto ad essi, e, dunque, di pretesa di correttezza nell’ambito giuridico se non con riferimento a ragioni di tipo istituzionale o autoritativo, pena la connessione del diritto con l’irrazionale piuttosto che con la morale. La replica si svolge attraverso il richiamo alla razionalità o ragionevolezza all’interno della teoria del discorso, che ammette il disaccordo anche quando siano rispettate le regole procedurali del discorso pratico. Senza entrare nel dettaglio delle regole e principi della pratica discorsiva, basti evidenziare come, al fondo, essa sia basata sulla libertà ed eguaglianza dei partecipanti al discorso che possono avanzare tesi ed argomenti, ed è in questo aspetto che Xxxxx ravvisa la possibilità di fondare i diritti umani, in quanto discorsivamente necessari (vedi il saggio Human Rights and Discourse Theory, di cui abbiamo già discusso più sopra). La pretesa di correttezza, allora, si situa tra il discorsivamente necessario e il discorsivamente impossibile, laddove la giustificazione secondo le regole del discorso sia compatibile con altri giudizi parimenti argomentati e giustificati, senza che vi sia contraddizione.
119 Ivi p. 173.
120 Ivi p. 174-5.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
non-positivismo superinclusivo vengono ritenuti inadeguati. Il non positivismo esclusivo è radicale nel sostenere che qualunque difetto sul piano morale impedisce alle legge di essere valida, e dunque di essere diritto, mentre per il non-positivismo superinclusivo mantiene separata la dimensione della validità dalla morale: nondimeno, sussistendo una connessione qualificativa tra diritto e morale, la legge ingiusta sarà legge in un senso secondario, non pieno121. Entrambi gli approcci non riescono a dare adeguatamente conto della necessità di bilanciare il principio di giustizia con il principio della certezza giuridica, appiattendo il diritto sull’uno o sull’altro.
Oltre al lato esterno, concernente la delimitazione della sfera giuridica, l’istituzionalizzazione della ragione ha luogo all’interno del sistema, nella sua conformazione strutturale: solo la democrazia costituzionale è compatibile con la natura duale del diritto. In particolare, per Xxxxx, deve potersi realizzare una forma di democrazia deliberativa che rappresenti l’istituzionalizzazione delle procedure discorsive ideali, che coniughi la dimensione argomentativa con il principio maggioritario discendente dalla sua natura di metodo di decisione. Inoltre, devono essere riconosciuti i diritti costituzionali, che altro non sono se non la posivizzazione dei diritti umani, che, per lo studioso tedesco, sono morali, universali,
fondamentali, astratti e aventi priorità su ogni altra norma122.
Come può constatarsi dall’esame della posizione di Xxxxx, una certa concezione della filosofia del diritto può avere implicazioni rilevanti sul concetto di diritto e viceversa, ed essere formulata e sottoscritta all’esito di un procedimento argomentativo eccezionalmente complesso ed articolato.
Apparentemente più modesta sul piano teoretico, è la riflessione di Xxxxxx Xxx sulla teoria del diritto che offre, in luogo di una concezione “robusta”, annotazioni critico-metodologiche, di cui dovrebbe tenere conto lo studioso che si confronta con il concetto di diritto123.
Raz si occupa della “teoria del diritto” intesa come spiegazione della natura del diritto, per la quale prescrive due condizioni fondamentali che ne costituiscono lo standard di adeguatezza: essa deve articolarsi in proposizioni sul diritto necessariamente vere, le quali, inoltre, spieghino cosa sia il diritto.
Per Raz i concetti sono creazioni filosofiche: in particolare, essi si situano in una dimensione intermedia tra il mondo, cui si riferiscono, e il linguaggio che li esprime124. Di fatto, secondo l’autore, non occorre neppure usare il termine diritto per riferirsi ad esso. Spiegare i concetti significa spiegare cosa sia possederli e comprenderli, ivi incluse le abilità che il loro possesso
121 Ivi p. 176.
122 Ivi p. 178. Si rimanda alla discussione di questo aspetto della teoria di Xxxxx nella sezione 4.2.3 di questo capitolo.
123 Xxx, Xxxxxx, Can There Be a Theory of Law?, in XXXXXXX, Xxxxxx X.; XXXXXXXX, Xxxxxxx X., The Xxxxxxxxx Guide to the Philosophy of Law and Legal Theory, Xxxxxx (MA); Oxford, Xxxxxxxxx, 2005, pp. 324-342.
124 Ivi p. 324.
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comporta. La piena padronanza di un concetto altro non è se non la comprensione di tutte le qualità necessarie dell’oggetto cui si riferiscono, per quanto sia arduo possedere una conoscenza completa.
Il metodo da lui proposto per la ricostruzione concettuale, da applicare anche al concetto di diritto, si articola in quattro passaggi: determinazione delle condizioni per la completa padronanza del concetto, con riferimento alle caratteristiche essenziali della “cosa”; spiegazione della comprensione ad essa connessa; determinare a quali condizioni può dirsi che si abbia una padronanza parziale del concetto, distinguendo tra caratteri essenziali e non essenziali125.
I concetti, inoltre, mantengono un certo grado di indipendenza rispetto alle pratiche individuali, ma non rispetto alla comunità, sicché è ben possibile che nessun individuo in quanto tale padroneggi pienamente un concetto126. L’indagine sul concetto di diritto è per Xxx un compito secondario della teoria del diritto, il cui scopo principale è indagarne la natura127. Ciò significa, applicando i criteri esposti, che occorre rinvenire le proprietà essenziali del diritto, le sue caratteristiche universali, in difetto delle quali un sistema normativo, a prescindere dal grado di complessità, non potrà dirsi giuridico.
Il diritto è per Raz l’istituzione sociale designata dal suo concetto che la teoria, nell’indagarne la natura, mira a migliorare128.
Esistono differenti concetti di diritto, in varie culture, e il concetto di diritto, egli ammette, può variare nel tempo. Xxxxxxxxx, per lui, ed è questa una delle tesi centrali, mentre il concetto di diritto ha un carattere “regionale” o relativo, lo stesso non può dirsi per la natura del diritto e ciò si riverbera sull’ambito della teoria del diritto, che la indaga129. Né argomenti a supporto della conclusione opposta possono trarsi dalla eventuale incorporazione della teoria nella pratica del
125 Ivi. p. 326.
126 Ivi p. 327.
127 Scrive Raz: “That the explanation of the concept of law is one of its secondary tasks is the result of the fact that part of the task of explaining the nature of law is to explain how people perceive the law, and therefore, where the law exist in a country whose population has the concept of law, it becomes relevant to know whether the law is affected by its concept”. Ivi p. 328
128 Ivi p. 331. Getta una luce chiarificatrice sulla impostazione raziana il seguente rimarchevole passaggio: “In large measure what we study when we study the nature of law is the nature of our own self-understanding. The identification of a certain social institution as law is not introduced by sociologists, political scientists, or other academics as part of their study of society. It is part of the self-consciousness, of the way we conceive and understand our society. … That consciousness is part of what we study when we inquire into the nature of law”.
129 Ivi pp. 332.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
diritto, secondo la tesi che Xxx ascrive a Xxxxxxx, e questo perché le corti non possono reclamare alcuna autorità speciale a riguardo130.
Xxx affronta anche la questione della possibilità del diritto nelle società o culture prive del suo concetto, concludendo che il nostro concetto di diritto non impone che gli individui abbiano consapevolezza di esso affinché si possa ritenere che una particolare società sia retta da un sistema giuridico131. Xxxxxxxxx, secondo Raz: “The existence of law requires awareness by (at least some) members of the society of being guided by rules, awareness of disputes regarding the meaning of the rules, and regarding claims that they have been breached, being subject to adjudication by human institutions, and – in many, though not necessarily in all cases – awareness that the rules, or some of them, are the product of deliberate rule-creation by some people or institutions”132. Si tratta di caratteristiche che il diritto condivide con altre istituzioni sociali e, dunque, la consapevolezza di questi aspetti non è necessariamente consapevolezza del loro carattere giuridico. La presenza in una determinata cultura del concetto di diritto, di un concetto diritto, se non è precondizione per attribuire a quella società un sistema giuridico, è nondimeno essenziale per la riflessione su di esso: la teoria del diritto, a partire da un concetto relativo, perviene a conclusioni che si applicano universalmente al suo oggetto. Perché, infine, la teoria del diritto, emergente a partire da una specifica cultura, munita di un concetto di diritto, possa essere applicata universalmente, occorre altresì comprendere in che modo i membri di un’altra società concepiscano sé stessi e come i loro concetti ed istituzioni si relazionino con i nostri, ed appunto, il concetto di diritto appartiene al novero dei concetti che trascendono le singole culture133.
Critiche alla concezione raziana sono state sollevate da più parti, come è ovvio che accada rispetto ad un autore di tale importanza134. Esaminiamo brevemente i rilievi critici di Xxxxx Xxxxx, rivolti tanto alla tesi secondo cui la teoria del diritto deve investigare la natura di questo e non il
130 Argomenta Raz: “When a decision turns on a correct elucidation of the concept the courts try to get it right, as they do when it is about an undertaking, or about an economic argument. If they fail this may lead to the emergence of a technical sense for the term in that legal system. But it will not lead to a change in the notion of law”. Ivi p. 334.
131 Ivi p. 336.
132 Ivi p. 337.
133 Può forse lasciare perplessi la dissonante conclusione di Xxx, il cui argomentare nel corso del saggio non è privo di incongruenze, per quanto invero mirato più ad una chiarificazione concettuale che non alla proposizione di una tesi pienamente compiuta: “That does not establish that a theory of law is in principle possible, or that if it is possible it can achieve objective knowledge, rather than provide a blinkered way of understanding those alien cultures, albeit the best understanding which can be achieved from our subjective point of view. To positively establish the possibility of a theory of law we need to examine the nature of explanation and of objectivity” (p. 340).
134 XXXXX, Xxxxx, The Purpose of Legal Theory: Some Problems with Xxxxxx Xxx'x View, “Law and Philosophy: An International Journal for Jurisprudence and Legal Philosophy”, Vol. 30, N. 6, 2011, pp. 685-698.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
suo concetto, quanto all’idea che vi possa essere diritto presso società che non possiedono il relativo concetto.
Il fulcro della critica, che infine evidenzia una contraddizione della proposta raziana, consiste nel qualificare la posizione del filosofo rispetto ai concetti come relativistica nella variante non individualistica. Non si tratta soltanto di negare l’esistenza di una prospettiva privilegiata rispetto ai concetti ma, altresì, di assumere il loro carattere sociale, sicché i criteri di applicazione e adeguatezza sono determinati a livello collettivo135. Ciò implica, almeno in prima battuta, che le questioni di correttezza nell’applicazione del concetto di diritto non possono trovare una definizione indipendentemente dalle pratiche sociali in cui il concetto viene in rilievo. Una simile impostazione non si accompagna ad un rifiuto di una ontologia realista, limitandosi ad affermare che le proprietà essenziali delle entità del mondo sono stabilite dalla comunità.
Come si è visto, Xxx identifica le quattro condizioni che caratterizzano il possesso minimo di un concetto come parte del concetto stesso ma questo, sostiene la Gaido, appare incompatibile con l’idea che il diritto sia una parte della comprensione di noi stessi, giacché tra la completa padronanza del concetto e il possesso minimo dello stesso vi è spazio per una concorrenza di concetti “incompleti” che ciononostante si riferiscono alla stessa entità nel mondo, il diritto appunto, tramite vari insiemi di proprietà.
In questo modo, però, viene meno, o, comunque, si indebolisce il legame tra il senso della teoria del diritto e la nostra autocomprensione tramite il concetto di diritto, perché tale nesso è intelligibile solamente se vi è un unico concetto di diritto136. L’alternativa è secca: “Either we admit that the concept of a thing is one way of conceiving it, so all can have different concepts of the same thing, or we admit that the concept of a thing is the way a group conceives it, and if there is disagreement it is because we have a greater or lesser degree of understanding of the group’s concept”137.
La conclusione è che vi sono diverse articolazioni di una sola comune autocomprensione mentre il concetto di diritto resta unitario per quanto oggetto di una conoscenza imperfetta, ed allora, il compito della filosofia del diritto è articolare questa autocomprensione nel miglior modo possibile, mentre distinguere questa indagine dall’indagine sulla natura del diritto diviene una strada impraticabile all’interno della proposta raziana. Nelle parole della Gaido: “According to Raz our concept of law is related to our self-understanding. If so, we cannot gain an understanding of the nature of law through our concept of law...simply because the conception of
135 Ivi p. 687-8.
136 Ivi p. 695-6.
137 Ivi p. 696-7.
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the concept of law that Xxx maintains exhaust everything there is, leaving no ontological space for the nature of law”138.
Prima di esporre succintamente alcune delle concezioni classiche della filosofia del diritto, segnatamente quelle di Xxxxxx, Xxxx, Xxxxxxx e Xxxxxx, soffermiamoci ancora sulla recente letteratura in materia.
Il dibattito sui compiti ed il metodo della filosofia del diritto è stato notevolmente influenzato nella scorsa decade dalla pubblicazione del libro di Xxxxx Xxxxxxx Evaluation And Legal Theory139, oggetto di numerosi commenti e sentite reazioni da parte del mondo accademico. Nel pur lungo saggio Methodology in Jurisprudence140, la Xxxxxxx espone in forma più agile le tesi sostenute nel suddetto volume, che andremo ora ad illustrare nelle linee essenziali.
138 Ivi. p. 697. Di sicuro interesse sono anche le critiche mosse alle argomentazioni di Xxxxxx Xxxxx, che riflettono la sua concezione del diritto e della filosofia del diritto, su cui ci siamo ampiamente soffermati (XXXXX, Xxxxxx, On Two Juxtapositions: Concept and Nature, Law and Philosophy: Some Comments xx Xxxxxx Xxx'x 'Can There Be a Theory of Law?', “Ratio Juris”, Vol. 20, N. 2, 2007, pp. 162-169). Le osservazioni di Xxxxx si concentrano sul rapporto tra natura e concetto di diritto, e sul versante metateorico, tra diritto e riflessione filosofica. Per Raz il concetto di diritto è “regionale” (parochial), in quanto prodotto di una specifica cultura, mentre la sua natura è universale. Per Xxxxx ciò non è del tutto corretto, essendo i concetti in parte “regionali” ed in parte universali e perciò non riconducibili tout court a una certa cultura: “If the nature or essence of a thing is universal, then its concept is universal to the degree that it grasps the essential features of that thing” (p. 164). D’altronde, osserva Xxxxx, mancando un accesso diretto alla “natura” del diritto, occorre scegliere, tra vari concetti del diritto, quello che meglio ne coglie le caratteristiche essenziali, sicché, in definitiva, l’indagine sul concetto del diritto e quella sulla sua natura non sono in linea di principio indipendenti l’una dall’altra. Non sarebbe, però, neppure corretto identificare il concetto di diritto con il significato della parola, a sua volta inteso come regola convenzionale, e questo perché nei concetti si riscontra una tensione verso l’adeguatezza al proprio oggetto. Insomma l’indagine basata sull’uso linguistico è fuorviante. Xxxxx prosegue sostenendo l’implausibilità della tesi avanzata da Raz secondo cui l’incorporazione di un concetto di diritto nella legge porterebbe ad attribuire una competenza degli organi deputati alla sua applicazione sul concetto. Egli sostiene, per contro, che il concetto di diritto può fare parte del diritto senza perciò essere regionale né assoggettato ad un principio di autorità. Secondo Xxxxx, il possesso di un qualche concetto di diritto da parte dei giuristi è innegabile, giacché solo in questo modo è possibile distinguere tra ragioni giuridiche e ragioni non giuridiche. Così egli afferma, assai significativamente: “the possession of the ability to distinguish between legal and non-legal reasons – in one way or another – is enough to warrant the claim that one has an at least implicit possession of a concept of law” (p. 168). Ma la circostanza per la quale questi concetti possono essere corretti o meno, ed il fatto che nell’argomentazione giuridica si sollevi una pretesa di correttezza che ha carattere universale, portano a concludere che il concetto di diritto non possa essere ridotto ad una dimensione “regionale”. È, peraltro, vero, concede Xxxxx, che vi siano casi in cui ad un certo concetto di diritto viene conferito il crisma dell’ufficialità, ad esempio in sede di constitutional review, e che, pertanto, esso sia ammantato della autorità propria delle decisioni dell’organo competente: questo, tuttavia, non significa che quel concetto si cristallizzi e non possa più essere discusso, perché le decisioni possono essere corrette o meno, dovendosi sottoporre a scrutinio razionale nella sfera discorsiva. Nelle parole dell’autore: “They have a “special authority” to hand down a legally binding decision, but the question of whether their decision is correct can only be decided in a discourse, which, on issues concerning the concept of law, is a philosophical discourse in which no authority counts save for that of argument” (p. 169). La conclusione di Xxxxx è dunque che il concetto di diritto è sì parte della pratica giuridica, ma al contempo costituisce irriducibilmente una questione genuinamente filosofica.
139 XXXXXXX, Xxxxx, Evaluation And Legal Theory Oxford; Portland (OR), Xxxx Publishing, 2001.
140 XXXXXXX, Xxxxx, Methodology in Jurisprudence: A Critical Survey, “Legal Theory”, Vol. 10, N. 3, 2004, pp. 117- 156.
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L’autrice evidenzia come, a ben vedere, già nell’ambito della riflessione hartiana sul metodo, che rappresenta, nell’opinione comune, il paradigma dell’impostazione descrittiva, si trovino delle considerevoli aperture verso un approccio non del tutto avalutativo. Questo perché Xxxx ammette che occorre una scelta, appunto, valutativa rispetto alle caratteristiche salienti del diritto, oggetto della teoria: addirittura, nella lettura della Xxxxxxx, sarebbe opportuno introdurre nel quadro anche considerazioni morali sul diritto, rispetto alle quali, però, i giudizi di valore si limitano alla loro importanza, senza che essi vengano sottoscritti direttamente dal teorico. In particolare, seguendo Xxxx e Finnis, la Xxxxxxx ritiene di primaria importanza per comprendere il diritto considerare come gli attori giuridici e coloro che sono sottoposti all’autorità della legge interpretano se stessi attraverso il diritto141.
La Xxxxxxx denomina tale approccio descrittivo moderato, aperto a considerazioni valutative di carattere non morale, indirectly evaluative theory. Il teorico del diritto, contrariamente a quanto, come si vedrà, afferma Finnis, non deve procedere alla formulazione di giudizi morali o direttamente valutativi sul diritto: infatti, le posizioni morali riscontrabili all’interno della pratica giuridica possono essere osservate e ricostruite senza assumere in prima persona un atteggiamento morale.
Ancora, l’identificazione delle caratteristiche essenziali del diritto nei termini anzidetti è il presupposto per potersi poi interrogare circa il valore morale del diritto. Quindi la Xxxxxxx non esclude affatto che vi possa essere una riflessione in termini normativi puri: questa, però, è logicamente successiva alla analisi indirettamente valutativa142. Nondimeno, la possibilità di interrogarsi in questi termini sul diritto, ad esempio sulla giustificazione morale, getta una luce sugli elementi che la teoria deve prendere in considerazione anche prima che si intraprenda una riflessione normativa pura. Nelle parole inequivoche della Xxxxxxx: “if you want to know whether you ought to obey something, you will be able to consider the matter better if you first of all know something about its nature and about the character of the demands being made upon you”143.
Vi è poi un altro modo di includere considerazioni di valore nella metodologia giusfilosofica. Questo si riscontra in quegli autori che ritengono che una certa teoria del diritto abbia delle conseguenze pratiche sul piano morale e politico, sicché gli argomenti a favore di una opzione o
141 Più precisamente: “Legal theory tries to help us understand ourselves and our social world in terms of law, and so a successful legal theorist must make evaluative judgments of importance and significance about his or her subject matter and must do so in a way that is sufficiently sensitive to those already existing self-understandings in terms of law held by those who create, administer, and are subject to law. Some of these self-understandings will include moral beliefs about and attitudes toward law…and the nature and existence of such beliefs and attitudes about law are important aspects of law to explain”. Ivi pp. 125-6.
142 Ivi pp. 126-7.
143 Ivi p. 128.
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di un’altra devono essere supportati da considerazioni valutative riguardo a quelle conseguenze e rispetto a quali conseguenze si vogliono trarre da una particolare prospettiva e, dunque, decidere in base ad esse quale è la teoria preferibile144.
7.2 PARADIGMI DESCRITTIVI E PARADIGMI PRESCRITTIVI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO: QUATTRO CONCEZIONI
Passiamo ora ad illustrare alcune concezioni classiche del ruolo e dei connotati della filosofia del diritto, iniziando dalla celeberrima Dottrina Pura del Diritto di Xxxx Xxxxxx000.
Scrive Xxxxxx: “La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo. Del diritto positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento giuridico. È teoria generale del diritto, non interpretazione di norme giuridiche particolari, statali o internazionali. Essa, come teoria, vuole conoscere esclusivamente e unicamente il suo oggetto. Essa cerca di rispondere alla domanda: che cosa e come è il diritto, non però alla domanda: come esso deve essere o deve
144 Ivi p. 145. Occorre quantomeno dare conto brevemente della replica di Xxxxxxxxx Xxxxxxx, autore di indiscussa rilevanza nel panorama attuale (XXXXXXX, Xxxxxxxxx, The Social Construction of the Concept of Law: A Reply to Xxxxx Xxxxxxx, “Oxford Journal of Legal Studies”, Vol. 25, N. 3, pp. 493-501). Nella prospettiva di Xxxxxxx, la Xxxxxxx sosterrebbe che la desiderabilità morale di una teoria del diritto che abbia ambizioni definitorie o esplicative, non è rilevante per valutarne la correttezza. (p. 496 cd “anchovy fallacy” che la Xxxxxxx gli imputa, basata sulla fallace attribuzione di rilevanza alle proprie preferenze normative). Tuttavia, obietta Xxxxxxx da positivista, il diritto non è una entità materiale bensì una costruzione sociale, ed affermare questo di per sé non equivale ad assumere una posizione morale consequenzialista. Lo stesso vale per il concetto di diritto, frutto di una costruzione sociale: è ben possibile che tale concetto in alcuni contesti sia frammisto a considerazioni morali, mentre in altri no, così come il concetto di diritto può mutare nel tempo (p. 496-7). Pertanto, conclude Xxxxxxx: “I do not deny that one crucially important task of jurisprudence is that of describing and explaining the concept of law…But another task of jurisprudence is unashamedly normative, prescribing not what law should be but what the concept of law should be. And it should be plain that to engage in that enterprise is to set upon a task in which consideration of beneficial moral consequences is at least highly relevant and arguably unavoidable” (p. 501). Si tratta allora di una metodologia cui non è estraneo un compito descrittivo. Vedi anche PRIEL, Xxxxx, Description and Evaluation in Jurisprudence, “Law and Philosophy”, Vol. 29, N. 6, 2010, pp. 633-667. p. 655-658. Se i giudizi di rilevanza devono basarsi su valori oggettivi, sostiene Xxxxx in chiave critica, verosimilmente si tratterà di valori etici, in considerazione dell’oggetto dell’indagine, il diritto, che ha a che fare con la libertà e l’azione. D’altra parte, non è neppure verosimile che si tratti di valori meramente “teorici”, perché allora non si spiegherebbe il disaccordo su questioni sostanzialmente tecniche. E così la distinzione tra giudizi valutativi indiretti e diretti sfuma, perché i primi finiscono per essere basati sui secondi. Neppure può applicarsi sic et simpliciter alla filosofia del diritto il dibattito sui disaccordi metodologici nel campo delle scienze, incentrati sui corretti valori teoretici da applicare, innanzitutto perché non è possibile dimostrare che nel campo della riflessione sul diritto tutti i conflitti riguardino tali valori, mentre nessuno di essi è riconducibile a conflitti basati su valori politici e morali. Vi sono, poi, delle differenze tra i conflitti nell’ambito delle scienze e quelli nell’ambito della filosofia del diritto. In primo luogo, il conflitto nelle scienze ha una ampiezza minore; inoltre, normalmente ha origine in una mancanza di dati; nell’ambito della filosofia del diritto il disaccordo riguarda l’oggetto; anche quando si tratta di disaccordo sulla natura della spiegazione, si tratta spesso di disaccordo su quale sia una buona spiegazione del comportamento umano, che “tende” ad essere correlato da visioni politiche e morali (pp. 655-8).
145 XXXXXX, Xxxx, Lineamenti Di Dottrina Pura Del Diritto, Torino, Einaudi, 2000.
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essere costituito. Essa è scienza del diritto, non già politica del diritto”146. La teoria del diritto, nelle forme della Dottrina Pura, esclude dal suo ambito di indagine tutto quanto non sia diritto, così liberandosi da ciò che è estraneo alla vera scienza: questo il suo principio metodologico fondamentale che porta ad espungere psicologia, sociologia, biologia, etica, teologia dal dominio giuridico.
Inoltre, occorre separare il diritto dai fatti giuridici, nei quali si intrecciano due elementi: l’uno è un atto sensibilmente percepibile il quale procede nello spazio e nel tempo, un accadimento esteriore, per lo più un comportamento umano, l’altro è un significato, uno specifico significato quasi immanente o aderente a quest’atto o accadimento147.
Questo significato non può essere rilevato come fatto esteriore, come qualità naturale. Tuttavia, a differenza degli oggetti naturali, un atto sociale può portare una qualificazione di se stesso, ad una enunciazione del suo significato. Quindi è necessario distinguere il significato soggettivo da quello oggettivo di un atto: solo contingentemente il significato soggettivo coincide con quello oggettivo nel sistema del diritto.
Il fatto in quanto fatto è retto dalla causalità ma non è oggetto della conoscenza giuridica: a renderlo giuridico è il suo senso, il suo significato; ed è una norma a conferire al fatto il significato giuridico: “La norma funziona così come schema qualificativo. Essa viene prodotta da un atto giuridico che da parte sua riceve di nuovo il suo significato da un’altra norma”148. È a queste norme, e solo ad esse, che si rivolge la scienza giuridica.
La scienza del diritto è scienza dello spirito e non della natura: il diritto come norma è realtà spirituale che va liberata da altre componenti della realtà spirituale umana, su tutte la morale. Per quanto sia per Xxxxxx auspicabile che il diritto sia conforme alle morale, esso è ben distinto da questa. La giustizia esprime un valore assoluto il cui contenuto, però, non può essere determinato dalla Dottrina Pura, non essendo neppure oggetto possibile della conoscenza razionale. Da questa ultima prospettiva, si danno solamente interessi e conflitti di interessi che l’ordinamento giuridico ha il compito di comporre149.
Essendo la giustizia un ideale irrazionale, la scienza giuridica, nelle forme della Dottrina Pura, deve occuparsi del diritto reale e non del diritto giusto; in questo senso: “Essa si rifiuta di valutare il diritto positivo. Come scienza si ritiene obbligata soltanto a comprendere il diritto positivo secondo la sua essenza e di intenderlo mediante una analisi della sua struttura. Essa si rifiuta
146 Ivi p. 47.
147 Ivi. p. 48.
148 Ivi p. 50.
149 Ivi pp. 56 ss.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
specialmente di servire a qualsiasi interesse politico fornendo ideologie mediante le quali l’ordine sociale esistente possa venire legittimato o squalificato” 150 . Per contro, la scienza giuridica tradizionale è invece ideologica.
La Dottrina Pura del diritto si avvale del principio di imputazione, come elemento di mediazione nel rapporto tra le condizioni e le conseguenze formulate nella norma giuridica: si tratta di un meccanismo contrapposto al nesso di causalità, di natura squisitamente normativa. Di più, per Xxxxxx l’imputazione è l’espressione dell’esistenza specifica del diritto: “Questa categoria del diritto ha un carattere puramente formale e con ciò si distingue in linea di principio da un’idea trascendente del diritto. Essa rimane applicabile qualunque sia il contenuto dei fatti così collegati e qualunque sia la specie degli atti da concepirsi come diritto… Essa è, nel senso della filosofia kantiana, gnoseologicamente trascendentale, non metafisicamente trascendentale”151.
Nella struttura della norma giuridica, il ruolo di fatto condizionante è assunto dall’illecito, cui consegue, secondo lo schema dell’imputazione, l’atto coattivo, la sanzione: pertanto, un illecito è tale, nella teoria kelseniana, in quanto condizione di applicazione della sanzione152.
Corollario di questa impostazione è la concezione del diritto come tecnica sociale, nel senso che con esso si cerca di raggiungere un certo stato al livello della società, collegando al comportamento un atto coattivo percepito come male: la privazione della vita, libertà, beni economici153. Nondimeno, la teoria del diritto come Dottrina Pura non si occupa degli scopi che il diritto persegue, né dei condizionamenti storici e ideologici, indagando esclusivamente l’ordinamento e le singole norme che ne fanno parte nella loro struttura. Secondo Xxxxxx l’unità dell’ordinamento è data dalla norma fondamentale, la Grundnorm, fondamento ultimo della validità all’interno del sistema e criterio in base al quale può stabilirsi l’appartenenza di una norma ad esso, collocata al vertice dell’ordinamento concepito come Stufenbau, o costruzione a gradini154.
150 Ivi pp. 59-60.
151 Ivi p. 65.
152 Ivi p. 67.
153 Ivi pp. 69 ss. Scrive Xxxxxx: “Il diritto è un meccanismo coattivo a cui in sé e per sé non corrisponde nessun valore politico o etico, un meccanismo coattivo il cui valore dipende piuttosto dallo scopo che lo trascende in quanto mezzo. Questa è anche una qualificazione – estranea a ogni ideologia – del fatto che deve essere compreso come diritto” (p. 71).
154 Ivi pp. 95 ss. Non è questa la sede per discutere in dettaglio la teoria della norma fondamentale in Xxxxxx, uno degli aspetti più caratteristici ed al contempo più controversi della dottrina pura, in quanto fonte di validità del diritto posto ossia positivo, eppure essa stessa non posta, bensì presupposta come condizione logico-trascendentale. Così si esprime Xxxxxx a riguardo in questo importantissimo passaggio: “Essa è soltanto l’espressione del presupposto necessario per comprendere positivisticamente il materiale giuridico. Essa non vale come norma giuridica positiva, perché non è
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Come può constatarsi, il giurista austriaco ha elaborato una concezione estremamente complessa della teoria del diritto e del diritto stesso, che risponde puntualmente alle sollecitazioni culturali del suo tempo, ma che, infine, le trascende.
A confronto, la posizione di Xxxx, avanzata in The Concept Of Law e soprattutto nel Postscript155, nel quale replica alle obiezioni di Xxxxxx Xxxxxxx, appare meno attenta all’aspetto sistematico e, ad un primo livello di lettura, filosoficamente meno sofisticata.
È appunto nel Postscript che Xxxx mostra una più compiuta consapevolezza delle questioni metateoriche coinvolte nell’indagine sulla natura del diritto, affermando che la teoria esposta in The Concept Of Law è sia generale che descrittiva. Il carattere generale si ricollega all’individuazione delle costanti del fenomeno giuridico, inteso come istituzione politica e sociale retta da regole, indipendentemente dalle specifiche coordinate culturali o ordinamentali: la teoria del diritto può essere generale perché può rinvenirsi una forma comune a tutte le manifestazioni di questa istituzione. La teoria è, inoltre, descrittiva in quanto moralmente neutrale e senza scopi giustificativi o di critica del diritto, per quanto la comprensione delle sue caratteristiche con le predette modalità ne sia la precondizione. Secondo Xxxx, le nozioni impiegate – i diversi tipi di regole, punto di vista interno ed esterno, validità e così via – riguardano elementi essenziali del diritto, che attraverso esse può essere analizzato ad un livello teoricamente adeguato di astrattezza156.
Contro Xxxxxxx, egli afferma che non vi sono ragioni di principio che ostino ad una descrizione del diritto dal punto di vista esterno di un osservatore, il quale consideri il punto di vista interno dei partecipanti ad una pratica retta da regole, qualificando tali regole come ragioni per l’azione per costoro, ma senza che l’osservatore stesso sottoscriva in prima persona quelle ragioni, né ammetta per se stesso la normatività della pratica157.
È, dunque, possibile per Xxxx costruire una teoria del diritto che faccia a meno di giudizi di valore, e ciò anche nel caso in cui nella pratica giuridica in considerazione si faccia ricorso a
prodotta nel corso del procedimento del diritto; essa non è posta, ma è presupposta come condizione di ogni posizione del diritto, di ogni procedimento giuridico positivo. Con la formulazione della norma fondamentale la dottrina pura del diritto non vuole assolutamente inaugurare un nuovo metodo scientifico della giurisprudenza. Essa vuol dare soltanto la coscienza di ciò che tutti i giuristi fanno per lo più incoscientemente quando, nel comprendere il loro oggetto, rifiutano un diritto naturale dal quale potrebbe essere dedotta la validità dell’ordinamento giuridico positivo, ma intendono però questo diritto positivo come ordinamento valido, non già come realtà psicologica, ma come norma. Con la teoria della norma fondamentale, la dottrina pura del diritto tenta di rilevare, attraverso l’analisi dei procedimenti effettivi, le condizioni logico-trascendentali del metodo, sinora usato, della conoscenza giuridica positiva”. (p. 99).
155 XXXX, Xxxxxxx L. A., Xxx Xxxxxxx Xx Xxx, Xxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000.
156 Ivi pp. 239-40.
157 Ivi p. 242.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
considerazioni morali o valutative di altra natura. In un passaggio sovente citato, Xxxx afferma appunto: “Description may still be description, even when what is described is an evaluation”158. Inoltre, sempre nel difendere la propria postura metodologica rispetto agli attacchi portati da Xxxxxxx, egli contesta che il diritto abbia come fine la giustificazione della coazione statale, avanzando seri dubbi sul fatto che il diritto abbia un unico fine specifico e, correlativamente, che
la teoria del diritto debba individuare a quali condizioni tale fine possa dirsi raggiunto159.
Infine, Xxxx nega che la propria impostazione metodologica venga colpita dal cd semantic sting, vale a dire l’argomento elaborato da Xxxxxxx secondo cui il positivismo sarebbe inadeguato perché cerca di spiegare il diritto attraverso l’individuazione di regole linguistiche per la corretta applicazione del termine “diritto”, prospettiva rispetto alla quale risulterebbero comprensibili i contrasti tra i partecipanti alla pratica giuridica. Xxx Xxxx, la metodologia cui fa ricorso non mira a scoprire i criteri che reggono l’uso della parola “diritto”: la nozione di regola di riconoscimento da lui elaborata, ad esempio, non può essere letta nel senso che è parte del significato della parola “diritto” che vi sia in ogni ordinamento sviluppato questo tipo di regola. In realtà, l’argomento del semantic sting dipende dalla mancata distinzione tra significato e criteri di applicazione di un concetto: mentre un concetto può avere un significato costante, i criteri di applicazione possono essere mutevoli ed essenzialmente controversi160.
Se le teorie di Xxxxxx e Xxxx rappresentano esempi eminenti della filosofia del diritto descrittiva, quelle di Xxxxxxx e Finnis sono autorevoli esempi dell’approccio prescrittivo o normativo al diritto ed alla sua filosofia.
Esaminiamo, innanzitutto la posizione di Xxxxxxx, nella complessa elaborazione proposta in Law’s Empire161, testo ormai classico in cui l’intreccio tra diritto e morale, a livello teorico e metateorico, emerge sin dalle prime righe.
In linea di principio, le controversie giuridiche sollevano al contempo questioni di fatto, di diritto, e di morale politica e fidelity. È soprattutto rispetto alle seconde che si riscontra l’insorgere di disaccordi, fenomeno sul quale Xxxxxxx concentra una parte considerevole della propria argomentazione. Vi sono due categorie principali di disaccordo: nella prima rientrano quelli empirici, che si danno allorché vi sia accordo sui fondamenti (grounds of law nella terminologia dworkiniana) ma non sulla loro ricorrenza o soddisfazione; nella seconda si collocano i disaccordi teorici rispetto ai fondamenti. Per quanto si tratti di un tratto ineliminabile della prassi giuridica,
158 Ivi p. 244. Si rimanda alla breve esposizione nella sezione precedente della posizione di Xxxxx Xxxxxxx sul carattere moderatamente o indirettamente valutativo della metodologia hartiana.
159 Ivi pp. 248-50.
160 Ivi pp. 244-8.
161 XXXXXXX, Xxxxxx, Law’s Empire, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1986.
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la filosofia del diritto non lo avrebbe preso sul serio, adottando la plain fact view, secondo la quale il disaccordo non investe il diritto come esso è, ma il diritto come dovrebbe essere, e dunque ammonterebbe ad un disaccordo di carattere morale, mentre il diritto dipende comunque da certi fatti storici162.
L’indagine sul diritto, nella prospettiva di Xxxxxxx, non si giustifica solo in ragione degli scopi che attribuiamo al diritto e perseguiamo tramite esso, ma, altresì, perché è l’istituzione umana che meglio riflette ciò che siamo: “If we understand the nature of our legal argument better, we know better what kind of people we are”163.
Nella sua concezione, la pratica giuridica è eminentemente argomentativa, consistendo nell’utilizzo di enunciati normativi che traggono il loro senso dalla pratica e solo all’interno di essa. È possibile adottare un punto di vista esterno, sociologico o storico, oppure quello interno di coloro che prendono parte alla pratica: entrambe le prospettive sono parimenti essenziali e dovrebbero integrarsi reciprocamente 164 . Dal canto suo, Xxxxxxx adotta quella interna, in particolare quella che considera il punto di vista dei giudici, e questo perché la pratica argomentativa di costoro assurge a paradigma della pratica argomentativa in generale, in virtù del grado elevato di esplicitazione delle sue strutture e della influenza sistemica che essa possiede.
Le teorie che adottano la plain fact view sono etichettate come teorie semantiche, in quanto rivolgono l’attenzione alla definizione del diritto o all’uso del termine: il disaccordo concerne quest’ultimo aspetto, i criteri condivisi che, ad esempio, consentono l’individuazione delle fonti165. Esse sarebbero vittime del cd semantic sting, già più sopra menzionato, che egli definisce nei seguenti termini: “People are its prey who hold a certain picture of what disagreement is like and when it is possible. They think we can argue sensibly with one another if, but only if, we all accept and follow the same criteria for deciding when our claims are sound, even if we cannot state exactly, as philosopher might hope to do, what these criteria are” 166 . Xxxxxxx nega veementemente che il disaccordo emergente nella prassi giuridica di questo tipo, essendo, soprattutto, disaccordo teorico.
L’interpretazione di una pratica sociale è analoga all’interpretazione di un’opera d’arte o letteraria, in quanto in entrambi i casi l’oggetto è una creazione umana distinta dal suo autore,
162 Ivi pp. 3 ss. e p. 31.
163 Ivi p. 11.
164 Ivi pp. 13-4.
165 Ivi pp. 32 ss.
166 Ivi p. 45.
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vertendo, inoltre, sui fini piuttosto che sulle cause, ed essendo altresì costruttiva, giacché vengono in rilievo i fini dell’interprete e non quelli dell’autore.
È un passaggio chiave nella costruzione Dworkiniana di una teoria del diritto: l’interpretazione costruttiva, infatti, consiste nell’attribuzione di un fine ad un oggetto o ad una pratica di modo da renderli i migliori possibili rispetto al genere cui appartengono, e può essere considerata il paradigma dell’interpretazione in generale167. Ebbene, una pratica sociale può essere oggetto di interpretazione da parte di un partecipante alla stessa, ed allora questi attribuirà inevitabilmente un valore alla pratica attraverso la descrizione di schemi di interessi, scopi o principi che la pratica serve, esprime o esemplifica168.
Xxxxxxx qualifica il diritto come concetto interpretativo ed è in questo suo carattere che può rinvenirsi la spiegazione del disaccordo tra i partecipanti alla pratica, quale disaccordo sulla migliore interpretazione di esso, ma, per quanto i giudici possano sviluppare proprie teorie interpretative che portano a risultati differenti, si realizza comunque un convergenza, ad esempio attorno a paradigmi consolidati, senza che sia preclusa l’emersione di nuovi paradigmi169.
In questo quadro la filosofia del diritto, rifiutato l’approccio semantico, diviene indistinguibile dal suo oggetto, come parte generale della pratica dell’applicazione (adjudication) del diritto, ed assume i connotati di una teoria interpretativa. In quanto tale, essa mira a mostrare la pratica giuridica nella sua luce migliore, puntando al raggiungimento di un equilibrio riflessivo tra la pratica e la sua migliore giustificazione. Pertanto: “no firm line divides jurisprudence from adjudication or any other aspect of legal practice…Jurisprudence is the general part of adjudication, silent prologue to any decision at law”170.
Come già più sopra evidenziato, per Xxxxxxx il senso della pratica giuridica, di cui è parte la sua filosofia, è dato dal suo essere guida e vincolo per l’esercizio della coazione. Ed allora il diritto può definirsi come lo schema di diritti e responsabilità che rende lecito l’uso della coazione in quanto derivino da decisioni passate del giusto tipo171.
167 Ivi pp. 50 ss.
168 Xxxxxxx identifica tre fasi o stadi dell’interpretazione: “First, there must be a ‘preinterpretive’ stage in which the rules and standards taken to provide the tentative content of the practice are identified…Second, there must be an interpretive stage at which the interpreter settles on some general justification for the main elements of the practice identified at the preinterpretive stage. This will consist of an argument why a practice of that general shape is worth pursuing, if it is….Finally, there must be a postinterpretive or reforming stage, at which he adjusts his sense of what the practice ‘really’ requires so as better to serve the justification he accepts at the interpretive stage”. Ivi pp. 65-66.
169 Ivi pp. 87 ss.
170 Ivi p. 90.
171 Così Xxxxxxx sul punto: “the most abstract and fundamental point of legal practice is to guide and constrain the power of government in the following way. Law insists that force not be used or withheld, no matter how useful that
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Xxxxxxx avanza, inoltre, la tesi del diritto come integrità, secondo la quale gli enunciati giuridici sono giudizi interpretativi aventi ad oggetto la pratica considerata come unfolding political narrative: detto più chiaramente, “propositions of law are true if the figure in or follow from the principles of justice, fairness, and procedural due process that provide the best constructive interpretation of the community’s legal practice”172.
L’integrità opera a due livelli: legislativo e giudiziale. Nel primo caso, impone al Legislatore di rendere l’insieme delle leggi moralmente coerente; nel secondo, il diritto deve essere interpretato per quanto possibile come coerente in quel senso173. Più in particolare, i giudici che accettano l’ideale dell’integrità come ideale interpretativo, decidono i casi difficili, gli hard cases, mettendo in campo la migliore interpretazione possibile della struttura politica, ossia di principio, della comunità, nonché della dottrina giuridica. Considerazioni di tipo politico sono, allora, tratto ineliminabile e soccorrono l’interprete anche nella opera di risoluzione dei conflitti tra ideali e le soluzioni che essi reclamerebbero sul piano morale. Assai significativamente Xxxxxxx rileva che nessun giudice mortale, può articolare completamente e definitivamente la propria teoria interpretativa: principi e regole elaborate dall’interprete hanno perciò carattere provvisorio e vanno abbandonate laddove analisi più sofisticate siano necessarie per la soluzione di un nuovo caso concreto174.
Consideriamo ora brevemente la posizione di Xxxx Xxxxxx, il principale esponente del giusnaturalismo contemporaneo.
Il primo capitolo di Natural Law And Natural Rights175 è dedicato specificamente al tema che abbiamo affrontato in queste pagine. In aperto contrasto con quanto riteneva Xxxx, egli sostiene che non si possano fornire descrizioni di fatti sociali se non prendendo parte in prima persona alle valutazioni intorno al bene ed alla buona vita ed ai dettami della ragionevolezza pratica: non è possibile comprendere azioni e pratiche sociali in quanto tali, prescindendo dal valore e dal significato che esse possiedono per i partecipanti alla pratica176. La teoria del diritto, dunque, non può essere puramente descrittiva, né avalutativa, né moralmente neutrale.
would be for the ends in view, no matter how beneficial or noble these ends, except as licensed or required by individual rights and responsibilities flowing from past political decisions about when collective force is justified”. Ivi p. 93.
172 Ivi p. 225.
173 Ivi p. 176.
174 Ivi p. 254. Così conclude Xxxxxxx sul diritto come integrità: “We should accept integrity as a virtue of ordinary politics because we should try to conceive our political community as an association of principle; we should aim at this because, among other reasons, that conception of community offers an attractive basis for claims of political legitimacy in a community of free and independent people who disagree about political morality and wisdom” (p. 411).
175 XXXXXX, Xxxx, Natural Law and Natural Rights, 2nd ed., Oxford, Oxford University Press, 2011.
176 Ivi p. 3.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
Nella selezione dei tratti salienti del fenomeno giuridico, Xxxxxx ritiene che si debba dare rilevanza, innanzitutto, ai casi centrali o idealtipici in senso weberiano: i casi periferici possono poi essere affrontati a partire dai casi centrali. Inoltre, in ragione dell’oggetto di indagine, il teorico deve adottare un punto di vista pratico, vale a dire relativo alla decisione e all’azione, nella prospettiva dei soggetti coinvolti, per selezionare e formare i concetti che entrano a far parte della teoria177.
Affrontando il cuore della questione, Xxxxxx applica il criterio del caso centrale alla scelta della postura teorica adeguata al diritto: “If there is a point of view in which legal obligation is treated as at least presumptively a moral obligation … a viewpoint in which the establishment and maintenance of legal as distinct from discretionary or statistically customary order is regarded as a moral ideal if not a compelling demand of justice, then such a viewpoint will constitute the central case of the legal viewpoint. For only in such a viewpoint is it a matter of overriding importance that law as distinct from other forms of social order should come into being, and thus become an object of the theorist’s description”178.
Se tuttavia, il riferimento alla morale può risultare vago, la tesi metodologica fondamentale di Xxxxxx può essere riformulata in termini di ragionevolezza pratica, il che comporta, peraltro, che alcuni punti di vista saranno più ragionevoli di altri, e nondimeno: “the central case viewpoint itself is the viewpoint of those who not only appeal to practical reasonableness but also are practically reasonable, that is to say: consistent; attentive to all aspects of human opportunity and flourishing, and aware of their limited commensurability; concerned to remedy deficiencies and breakdowns, and aware of their roots in the various aspects of human personality and in the economic and other material conditions of social interaction”179. Quindi, il punto di vista che deve essere adottato dal teorico del diritto è un punto di vista interno, orientato alla ragionevolezza pratica, e, per così dire, sincronizzato prioritariamente con la prospettiva dei partecipanti ragionevoli. Per Xxxxxx, non vi sono motivi ragionevoli per rifiutare questa assunzione metodologica.
Ma v’è di più. Infatti, l’identificazione del caso centrale di punto di vista giuridico, richiede una decisione da parte del teorico in merito a quali siano i requisiti della ragionevolezza pratica che consentono di apprezzare gli aspetti, legati al complesso della vita umana, che rendono il diritto importante dal punto di vista pratico. Tale giudizio ha una rilevanza primaria sul piano epistemologico, in quanto consente di comporre ad unità fenomeni che altrimenti apparirebbero
177 Ivi pp. 9-12.
178 Ivi pp. 14-5.
179 Ivi p. 15.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
come fatti irrelati. Insomma, il normativo si fa epistemico, ma questa conoscenza iniziale, frutto di scelta, per non degradare a pregiudizio deve modificarsi orientandosi riflessivamente verso ciò che è buono180: “the point of reflective equilibrium in descriptive social science is attainable only by one in whom wide knowledge of data, and penetrating understanding of other persons’ practical viewpoints and concerns, are allied to a sound judgement about all aspects of genuine human flourishing and authentic practical reasonableness” 181.
Nell’economia dell’argomentazione di Xxxxxx, l’opzione a favore del giusnaturalismo appare la conseguenza delle premesse sin qui succintamente esaminate. Una teoria giusnaturalistica pretende di identificare le condizioni e i principi della retta ragione, del bene e dell’ordine adeguato a livello individuale e interpersonale, e, dunque, si pone come obiettivo discriminare i punti di vista irragionevoli da quelli ragionevoli. Una teoria siffatta, inoltre, non deve essere intesa come orientata esclusivamente alla conoscenza, potendo giocare un ruolo anche per l’azione182.
Nel saggio What Is Philosophy Of Law183 Xxxxxx afferma con maggiore enfasi l’appartenenza della filosofia del diritto al dominio della filosofia della ragione pratica, ed al suo interno, come specificazione della filosofia politica. Mentre quest’ultima considera i problemi individuali nel quadro dell’esigenza dell’agire comune, la filosofia del diritto si occupa delle scelte per il futuro della comunità in quanto fondate o plasmate da scelte e atti passati, identificando altresì le basi per l’accettazione dei principi fondamentali, delle leggi e delle decisioni giudiziali, come xxxxxx e muniti di autorità184 . E poiché apprezza e pone al centro della riflessione i beni universali dell’uomo ed i principi che guidano la sua azione ragionevole in quanto soggetto morale, essa deve fondarsi direttamente ed immediatamente nell’etica185.
7.3 IL METODO DELLA RICOSTRUZIONE RAZIONALE
In chiusura di questa sommaria ricognizione delle opzioni metateoriche in campo circa la natura, i compiti e il metodo della filosofia del diritto, consideriamo brevemente il contributo di
180 Ivi p. 16.
181 Ivi pp. 17-8.
182 Ivi p. 18-9.
183 XXXXXX, Xxxx, What Is Philosophy Of Law, “Rivista di Filosofia del Diritto”, Vol. 1, N. 1, pp. 67-77.
184 Ivi pp. 67-8.
185 Ivi p. 69.
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIRITTO.
Xxxxx Xxxxxxxxx sulla ricostruzione razionale, metodologia che si collega direttamente a numerosi assunti teorici posti alla base del presente lavoro186.
La ricostruzione razionale può essere considerata una forma particolare di analisi logica: essa mira a rendere esplicite le premesse implicite degli enunciati giuridici e gli argomenti che le sostengono, di modo che possano essere considerate riflessivamente nel dibattito, esponendosi con chiarezza i punti di accordo e disaccordo, servendo altresì al raggiungimento di decisioni più ponderate 187 . L’esplicitazione delle premesse è poi guidata dalla ricerca costruttiva dell’argomento più forte a supporto di una certa enunciazione, senza che questo implichi la sottoscrizione delle premesse o dell’argomento: “in reconstructing a normative claim, we are not interested simply in identifying the rationale adopted by the claimant. In assessing whether a normative claim deserves our allegiance, we need to evaluate that claim on its most persuasive grounds”188.
La ricostruzione razionale è una metodologia in parte descrittiva e in parte normativa. È descrittiva in quanto le premesse vengono descritte senza essere sottoscritte, ma tali premesse hanno natura normativa. Dal punto di vista interno, si assume che esse siano giustificate, ma può anche darsi una prospettiva esterna laddove si sostenga o si raccomandi che certe premesse sono da sottoscrivere189.
Al fondo ogni affermazione normativa su come un individuo o una istituzione dovrebbe agire si basa su una assunzione circa la fonte dell’obbligo, che, secondo Xxxxxxxxx, è un principio morale e non strumentale. In breve: “normative claims presuppose moral principles”190. Ciò non significa adottare una posizione sulla esistenza dei principi morali, che sarebbe resa da una prospettiva esterna. Il fine della metodologia in discorso è la ricostruzione dall’interno ricercando le assunzioni occorrenti per produrre una affermazione normativa categoriale.
Nel ragionamento vi sono anche premesse normative intermedie che concretizzano il modo in cui l’affermazione normativa serve il principio morale. Principi e proposizioni intermedie devono presentare una coerenza verticale o adeguatezza rispetto alla giustificazione della conclusione191.
186 XXXXXXXXX, Xxxxx J., The Logic of Legal Theory: Reflections on the Purpose and Methodology of Jurisprudence, “Mississippi Law Journal”, Vol. 73, 2004, pp. 560-637.
187 Ivi p. 576-8.
188 Ivi p. 580.
189 Ivi p. 581.
190 Ivi p. 585.
191 Ivi pp. 587-90. Xxxxxxxxx rifiuta il relativismo in quanto inadeguato dal punto di vista interno. I principi oggettivi sono divisi in consequenzialisti e deontologici. Possono giustificare contro le credenze transitorie di gruppi. Questo perché i giudizi morali includono una pretesa di oggettività (Vedi pp. 591 ss.).
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Vi è poi, per Xxxxxxxxx, un requisito di coerenza orizzontale: i conflitti tra norme intermedie devono essere componibili nei termini di un singola norma morale. Una teoria che soddisfa entrambe le dimensioni della coerenza fornisce un argomento morale per ogni decisione e principi per risolvere i conflitti tra i fondamenti logici (rationales). Una teoria che adotti questi strumenti e standard metodologici, in conclusione, è una teoria del diritto pienamente razionale o coerente192.
192 Ivi pp. 589-90.
CAPITOLO 2
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
1. Introduzione. 2. La Nozione Filosofica Di Intenzionalità. Cenni Sulle Elaborazioni Classiche. 3. Stati Intenzionali E Atti Linguistici: Le Tesi Di Xxxx Xxxxxx. 4. Il Contributo Di Xxxxxx X. Xxxxxxx. Questioni E Tesi. 5. La Teoria Dei Sistemi Intenzionali. 6. Sistemi Intenzionali E Personalità Morale. 7. L’evoluzione Della Posizione Xx Xxxxxxx. 8. L’interpretazione Intenzionale Come Eterofenomenologia
1. INTRODUZIONE
Il tema dell’intenzionalità, presente in varie forme nel pensiero occidentale sin dall’antichità, assume una rilevanza trasversale nel dominio filosofico, rilevando con eguale valenza nelle aree della filosofia della mente, della filosofia linguaggio e della teoria dell’azione, come problema che investe con pari forza le sfere dell’epistemologia, dell’ontologia e della metafisica.
In termini generalissimi, l’intenzionalità è la proprietà di alcuni stati mentali dell’essere diretti verso o relativi a individui o stati di cose: se uno stato mentale è intenzionale, ha senso chiedere quale sia il suo oggetto. Credenza e desiderio come considerati esempi paradigmatici di stati intenzionali: si crede che “p” o si desidera che “p”, dove “p” è l’oggetto dello stato intenzionale; ma anche intenzioni di agire, speranze, volizioni e aspettative. Vi è un sostanziale consenso circa la non identità tra la classe degli stati mentali e la classe degli stati intenzionali, contrariamente a quanto riteneva Xxxxxxxx, non tutti gli stati mentali sono intenzionali; esistendo stati fenomenici che accompagnano ad esempio il dolore fisico o le emozioni193.
Se la caratteristica minimale degli stati intenzionali è l’essere rivolti ad un oggetto, la questione dell’intenzionalità rinvia al problema della rappresentazione. Più in dettaglio, si ritiene di poter distinguere, quanto al contenuto intenzionale, due specie: il contenuto proposizionale, corrispondete sul piano linguistico agli enunciati e su quello ontologico a stati di cose; e il contenuto rappresentativo in senso stretto, corrispondente sul piano linguistico ai termini singolari e su quello ontologico ad entità individuali. Ancora, si suole distinguere il contenuto rappresentativo degli stati intenzionali in intensionale ed estensionale, nel senso che è possibile darne una lettura diversa a seconda che ci si basi sulla caratterizzazione dell'oggetto ovvero sulla sua esistenza attuale194.
193 XXXXXXX, Xxxxxx, Storia e Teorie Dell'intenzionalità, Roma, Laterza, 1997, pp. VII ss.
194 XXXXXXXXX, Xxxxxxx; XXXXXX, Xxxxxxxx, I Problemi Dell'intenzionalità, Torino, Einaudi, 2009, pp. 9-17.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
La filosofia analitica, in special modo, ha puntato l'attenzione sull'analisi del linguaggio mediante il quale formuliamo enunciati intenzionali ed in parte è su questa base che Xxxxxxx, la cui teoria verrà analizzata nel prossimo capitolo, costruisce la sua argomentazione contro le teorie rappresentazionaliste latamente cartesiane, che postulano un concetto primitivo semantico di rappresentazione per edificare una teoria del giudizio e delle inferenze.
È però il pensiero di Xxxxxxx a fornire la maggior parte del materiale necessario per una teoria dell'intenzionalità che si sposi con l'impianto pragmatico e normativo del sistema Brandomiano. Come si vedrà tra breve, secondo una delle tesi più caratteristiche del pensiero di Xxxxxx Xxxxxxx il rapporto tra la pratica dell'interpretazione intenzionale e gli stati intenzionali è di necessaria implicazione: l'intenzionalità non è una caratteristica intrinseca di uno stato quanto piuttosto il risultato di un atto di interpretazione, di un atteggiamento complesso, che egli chiama intentional stance, nei confronti di un target ascrizionale. In questo senso, nel contesto della pratica interpretativa, l’oggetto dell’interpretazione viene qualificato come sistema intenzionale quando si vuole offrire una spiegazione razionale del suo comportamento. L'intentional stance dennettiana si risolve in una strategia per rendere intelligibile quanto viene imputato ad un soggetto agente e predirne le mosse future.
Quello che rende questa teoria descrittiva piuttosto che prescrittiva è la tesi della substantive rationality assumption, in base alla quale il comportamento del sistema intenzionale sarà generalmente conforme ai risultati dell'interpretazione. La intentional stance opera a due livelli, quello normativo e quello della realtà. Dunque è l'attributore che decide sulla base della propria utilità cosa merita di essere considerato uno stato intenzionale ed è sempre sulla base dell'utilità che si può giudicare l'appropriatezza della ascrizione.
Xxxxxxx fa proprio questo aspetto della teoria della intentional stance nella ricostruzione della pratica linguistica del dare e chiedere ragioni: in particolare, la circostanza per la quale, nell’ambito dell’interpretazione intenzionale, vengono mutuamente attribuiti dai partecipanti al gioco linguistico stati intenzionali, come credenze e desideri, che forniscono delle ragioni appropriate per l'azione confluendo in un pattern di ragionamento pratico che il target dovrebbe razionalmente seguire.
La lettura in termini di proprieties, ossia regole di appropriatezza o correttezza, fattane da Xxxxxxx rende la teoria Dennettiana una piattaforma ideale per la pragmatica normativa del deontic scorekeeping model, di cui ci occuperemo più avanti. Il carattere egalitario delle pratiche che sono in esso descritte è coerente con l'affermazione relativa all'equilibrio interpretativo tra il sistema intenzionale target e l'attributore. Affinché le tesi sulla stance non portino al collasso dell'intenzionale nel non-intenzionale, rischio insito nelle affermazioni sul carattere strumentale della stance, Xxxxxxx riconosce che solo i sistemi intenzionali possono essere ascrittori di intenzionalità, in particolare quei sistemi che possiedono il linguaggio. Una caratteristica degli
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
clementi appartenenti a questo sottoinsieme consiste nel fatto che è rispetto ad essi che i sistemi più semplici o second class si dicono intenzionali.
Anche nell’ambito della riflessione sul diritto, il problema dell’intenzionalità è stato oggetto di considerazione, in particolare attraverso l’applicazione del metodo fenomenologico, ad esempio da parte di autori come Xxxxx Xxxxxxx e, più di recente, Xxxx Xxxxxxx000.
In Xxxxx Xxxxxxx, autore che ha esercitato una influenza sul pensiero di Xxxxxxx, si riscontra il tentativo di fornire una analisi dei fondamenti aprioristici – nel senso di non fondati nell’esperienza - del diritto secondo i postulati metodologici della fenomenologia: le strutture e categorie di pensiero propriamente giuridiche possiedono una esistenza indipendente dalla percezione e dal diritto positive, che non le crea, bensì le rinviene facendone uso. Si tratta, nonostante le apparenze, di un approccio radicalmente alternative al giusnaturalismo e per alcuni versi affine all’istituzionalismo di Xxxxxxx, il quale sosteneva che all’origine delle istituzioni, e, quindi, del diritto, vi fossero idee direttrici esistenti in sé e prima della posizione delle norme giuridiche. In Reinach, l’analisi fenomenologica basata sui meccanismi dell’intenzionalità è, comunque, assimilabile e prossima ai modi dell’analisi concettuale.
Tra gli autori contemporanei, va certamente menzionato Xxxx Xxxxxxx, per il quale il metodo fenomenologico rileva – ed è questo il passaggio più interessante – non solo per la descrizione del giuridico ma per cogliere la relazione tra gli individui e il diritto nel loro impegno in una pratica giuridica. Le attività mentali che costituiscono l’esperienza del diritto esibiscono una struttura concettuale che può essere descritta: il diritto appare, quindi, come insieme di regole; le leggi sono norme etiche con funzione di comando, parte di una opera di direzione pubblica del comportamento. Xxxxxxx, insomma, riformula fenomenologicamente alcune delle tesi caratteristiche dell’impostazione kelseniana, in particolare la concezione del diritto come tecnica sociale. Le norme giuridiche sono standard di condotta il cui contenuto è la rappresentazione di un possibile sviluppo degli stati di cose, ma è necessario, affinché siano norme etiche vincolanti, che nella coscienza vi sia l’idea del potere pubblico che le impone.
195 Xxxx XXXXXX, David, Phenomenology and Jurisprudence, “The Liverpool Law Review”, Vol. 4, N. 1, 1982, pp.
5-18.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
2. LA NOZIONE FILOSOFICA DI INTENZIONALITÀ. CENNI SULLE ELABORAZIONI CLASSICHE
Consideriamo per cenni la nozione di intenzionalità elaborata da Xxxxxxxx e Xxxxxxx000.
Occorre fare riferimento alla teoria di Xxxxx Xxxxxxxx per comprendere la portata che la nozione di intenzionalità ha assunto nel pensiero contemporaneo, in particolare nella esposizione contenuta nell’opera La Psicologia dal Punto di Vista Empirico del 1874. Qui Xxxxxxxx utilizza il termine intentio per denotare il tratto che discrimina i fenomeni psichici da quelli naturali197. In estrema sintesi, egli sostiene che i fenomeni psichici si caratterizzano per il loro essere diretto verso oggetti aventi uno status ontologico definito come in-esistenza intenzionale ed è esattamente questo aspetto a differenziali dai fenomeni psichici. Inoltre, individue tre classi di fenomeni psichici: rappresentazioni, giudizi e sentimenti, inclusi i desideri, la speranza e così via. Tutti i fenomeni psichici possiedono un elemento rappresentazionale che ne costituisce la modalità di presentazione alla coscienza. I fenomeni psichici sono, dunque, connotati da una direzionalità verso oggetti dal peculiare statuto ontologico, l’in-esistenza intenzionale, che può leggersi come una forma particolare di immanenza o inerenza: in effetti, per Xxxxxxxx l’oggetto che è parte della relazione intenzionale ha una esistenza parassitaria rispetto all’atto intenzionante, ma quest’ultimo non è possibile indipendentemente da un oggetto; pertanto, siamo al cospetto di una relazione di interdipendenza.
Xxxxxxx prosegue sotto molti aspetti l’opera di Xxxxxxxx, elaborando, come è noto, soprattutto nelle Ricerche Logiche e in Idee per una Fenomenologia Pura e una Filosofia Fenomenologica, una nuova metodologia filosofica o, se si preferisce, una nuova forma di filosofia, la
196 Sul tema dell’intenzionalità in Xxxxxxxx e Xxxxxxx si segnalano i seguenti contributi: XXXXXX, Xxxxxx X., Xxxxxxxx'x Intentionality Thesis: Beyond the Analytic and Phenomenological Readings, “Journal of the History of Philosophy”, Vol. 43, N. 4, 2005, pp. 437-460; XXXXXXXXX, Xxxx, Towards A Theory Of Intentionality, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 30, 1970, pp. 354-367; XXXXXXXXX, Xxxx, Xxxxxxxx'x Scientific Revolution in Philosophy, “Southern Journal of Philosophy”, Vol. 40, 2002, pp.93-221; XXXXXXX, Uriah, Xxxxxxxx'x Mature Theory of Intentionality, “Journal for the History of Analytical Philosophy”, Vol. 4 N. 2, 2016, pp. 1-15; XXXXX, Xxxxxxxxx X., Intentional Objects, Pretence, and the Quasi-Relational Nature of Mental Phenomena: A New Look at Xxxxxxxx on Intentionality, “International Journal of Philosophical Studies”, Vol. 21, N. 3, 2013, pp. 377-393; XXXXXXXX, Xxxxxx, Xxxxxxx'x Phenomenological Conception Of Intentionality And Its Difficulties, “Philosophia”, Vol. 11, 1982, pp. 223-247; XXXXX, Xxxxxx, Intentionality: Some Lessons from the History of the Problem from Xxxxxxxx to the Present, “International Journal of Philosophical Studies”, Vol. 21, N. 3, 2013, pp. 317-358; XXXXXXXX, Xxxxx C., Xxxxxxx And Xxxxxxxx On Intentionality, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 31, 1970, pp. 27-46; XXXXXXX, Xxxxxxxxx A., Xxxxxxx'x Theory Of Intentionality In Contemporary Perspective, “Noûs”, Vol. 9, 1975, pp. 73-83; XXXXXXXXXXX, Xxxxxx, On The Scholastic Or Aristotelian Roots Of 'Intentionality' In Xxxxxxxx, “Topoi”, Vol. 8, N. 2, 1989, pp. 97-103; XXXXX, Xxxxx, The Substance Of Xxxxxxxx'x Ontology, “Topoi”, Vol. 6, N. 1, 1987, pp. 39-
49.
197 Per una ricostruzione del problema in Xxxxxxxx, non priva di spunti critici, vedi GOZZANO, Xxxxxx, Storia e Teorie Dell'intenzionalità, Roma, Laterza, 1997, pp. 4-13.
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
fenomenologia appunto198. Secondo questo approccio è possibile accedere alle forme pure del pensiero analizzando il mondo in cui esse trovano realizzazione nell’esperienze cosciente, a partire dal presupposto brentaniano del carattere intenzionale di essa. Tuttavia, a differenza di Xxxxxxxx, egli ritiene che non tutti i fenomeni mentali siano intenzionali, in particolare non lo sarebbero alcuni stati emotivi, come la gioia, l’euforia, la depressione o il nervosismo, privi di un riferimento. Xxxxxxx ritiene di poter pervenire all’individuazione dei caratteri del vissuto della coscienza partendo dal linguaggio che li esprimerebbe in quanto essenzialmente dipendente dal pensiero. Anche per lui, pur con la precisazione di cui sopra, l’intenzionalità è la caratteristiche degli stati di coscienza di essere diretti verso qualcosa: agli atti intenzionali non deve, però, corrispondere un oggetto concreto.
Non è questa la sede per addentrarsi nelle innumerevoli evoluzioni e ramificazioni che la teoria dell’intenzionalità ha conosciuto nella riflessione contemporanea 199 . Ci occuperemo, infatti, unicamente della proposta di Xxxx Xxxxxx e, quindi, di Xxxxxx Xxxxxxx: per quanto rileva ai nostri fini, il primo fonda, come vedremo, l’ontologia sociale, in ultima analisi, sui fenomeni dell’intenzionalità, individuale e collettiva, mentre del secondo ci interessa soprattutto la teoria dei sistemi intenzionali, poi, come detto, mutuata e profondamente rimeditata da Xxxxxxx, che può gettare una luce sui meccanismi che governano le pratiche sociali e, quindi, il diritto200.
198 Vedi Ivi pp. 13-24.
199 Nella sterminata bibliografia sull’argomento si segnalano i seguenti saggi: XXXXXXXXX, Xxxx, The Intentionality All-Stars, “Philosophical Perspectives”, Vol. 4, 1990, pp. 483-427; XXXX, Xxxxxxxxxxx S., Intentionality Downsized, “Philosophical Issues”, Vol. 20, N. 1, 2010, pp. 144-169; XXXXX, Xxxxxxx, Intentionality And Modern Philosophical Psychology, I. The Modern Reduction Of Intentionality, “Philosophical Psychology”, Vol. 3, N. 2/3, 1990, pp. 247- 270; XXXXX, Xxxxxxx, Intentionality And Modern Philosophical Psychology--II. The Return To Representation, “Philosophical Psychology”, Mar91, Vol. 4, N. 1, 1991, pp. 83-102; XXXXX, Xxxxxxx, Intentionality and Modern Philosophical Psychology, III--The Appeal to Teleology, “Philosophical Psychology”, Vol. 5, N. 3, 1992, pp. 309-326; XXXXXXXXX, Xxxx, Cognitive Psychology and the Rejection of Xxxxxxxx, “Journal for the Theory of Social Behaviour”, Vol. 23, N. 2, pp. 117-137; XXXXXXXX, Xxxx, Having The World In View: Xxxxxxx, Xxxx, And Intentionality, “Journal of Philosophy”, Vol. 95, N. 9, 1998, pp. 431-492; XXXXXXXX, Xxxxxxxx, Recent Work on Intentionality, “Analysis”, Vol. 70, N. 4, 2010, pp. 765-782; XXXXX, Xxxx, The Interdependence of Phenomenology and Intentionality, “Monist”, Vol. 91, N. 2, 2008, pp. 250-272; XXXXXXXXX, Xxxxx, Intentionality, Consciousness, and the Mark of the Mental: Xxxxx'x Challenge, “Monist”, Vol. 91, N. 2, 2008, pp. 324-346. Per ulteriori riferimenti si veda la bibliografia del capitolo.
200 Tra le varie concezioni contemporanee dell’intenzionalità, la più vicina alla prospettiva brandomiana è quella di chi ne sostiene il carattere normativo. Xxxxx Xxxxxxxx, ad esempio, nel sostenere questa tesi, fa espresso riferimento a Xxxxxxx (WEDGWOOD, Xxxxx, How We Know What Ought to Be, “Proceedings of the Aristotelian Society”, Vol. 106, 2006, pp. 63-86). Per l’autore gli stati mentali possono essere classificati lungo due dimensioni: in base al contenuto, spesso scomponibile in concetti, ovvero in quanto implichino una certa relazione mentale con quel contenuto, un certo atteggiamento. In entrambi i casi la spiegazione del carattere intenzionale si svolge attraverso l’impiego dei principi normativi che si applicano a quegli stati mentali e relazione, in particolare con riferimento alla dimensione della correttezza delle credenze che coinvolgono i concetti ed ai principi della razionalità (pp. 63 ss.). Nelle parole di Wedgwood: “Assuming that a belief is correct if and only if the content of the belief is true, the conditions under which beliefs involving a concept are correct would in effect determine the concept’s semantic value—the contribution that the concept makes to the truth conditions of contents in which it appears. On the other hand, the basic
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
3. STATI INTENZIONALI E ATTI LINGUISTICI: LE TESI DI XXXX XXXXXX
Volgiamo ora la nostra attenzione alla teoria elaborata da Xxxx Xxxxxx nel volume Della Intenzionalità201.
Xxxxxx condivide la definizione generale dell’intenzionalità come proprietà di stati ed eventi mentali caratterizzati dalla direzionalità verso oggetti e stati di cose. Come Xxxxxxx, egli ritiene che non tutti gli stati ed eventi mentali siano intenzionali in questo senso: lo sono le credenze, i timori, le speranze e i desideri, ad esempio, ma non l’euforia o l’ansia senza oggetto.
Se uno stato S è intenzionale, sostiene Xxxxxx, è possibile chiedersi a cosa sia relativo S, di cosa è o per cosa sta S. D’altronde, sottolinea, l’intenzionalità non coincide con la consapevolezza né in intensione né in estensione: sono possibili stati intenzionali non consapevoli, e stati consapevoli non intenzionali202.
Quanto al rapporto tra stati intenzionali e oggetti e stati di cose nel mondo, Xxxxxx ritiene di poter utilizzare il modello elaborato per gli atti linguistici: infatti, gli stati intenzionali rappresentano così come rappresentano gli atti linguistici, per quanto questa strategia non ammonti alla riduzione dell’intenzionalità al linguaggio, avendo l’operazione teorica essenzialmente un valore euristico203.
Stati intenzionali e atti linguistici sono connessi sotto quattro profili. In primo luogo, quanto alla distinzione tra contenuto proposizionale e forza illocutiva: anche per gli stati intenzionali, infatti, è possibile distinguere il contenuto rappresentativo dal modo psicologico (desiderio, timore, credenza). In secondo luogo, vale anche per gli stati intenzionali la nozione di direzione di adattamento (fit): credenze e affermazioni possono essere vere o false ed hanno una direzione
principles that specify certain ways of using the concept as rational (or specify certain other ways of using the concept as irrational) would determine what we could call— to adapt a term from Frege […]—the concept’s cognitive significance” (p. 64).
201 XXXXXX, Xxxx R., Della Intenzionalità. Un Saggio Di Filosofia Della Conoscenza, Milano, Bompiani, 1985. Si vedano anche: XXXXXX, Xxxx R., Intentionality And Method, “Journal of Philosophy”, Vol. 78, 1981, pp. 720-732; XXXXXX, Xxxx R., Intentionality And Its Place In Nature, “Synthese”, Vol. 61, 1984, pp. 3-16; XXXXXX, Xxxx R., What Is An Intentional State?, “Mind”, Vol. 88, 1979, pp. 74-92. Sulla teoria dell’intenzionalità di Xxxxxx si segnalano: BUONGIORNO, Federica, Fenomenologia In 'Prima' E In 'Terza' Persona: Xxxxxx E Xxxxxxx Critici Xx Xxxxxxx, “Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia”, Vol. 5, N. 3, 2014, pp. 267-288; XXXXXXXX, Akeel, Realism Without Internalism: A Critique Of Xxxxxx On Intentionality, “Journal of Philosophy”, Vol. 86, 1989, pp. 57-72; XXXXXX, Xxxx, Xxxx Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxxxx, 0000; XXXXXXX, Xxxxxx, Storia e Teorie Dell'intenzionalità, Roma, Laterza, 1997, pp. 119-125. XXXXXXXX, Xxxxxxx, Xx Xxxxxx, Xxxxxxxxx/Xxxxxxx Learning, Xxxxxxx, 2001; XXXXXX, Xxxxxx; XXX XXXXXX, Xxxxxx (a cura di), Xxxx Xxxxxx and His Critics, Oxford; Cambridge (MA), Xxxxxxxxx, 1991; REGNER, Xxx, Mind in the World: A Brief Introduction to Xxxxxx'x Concept of Intentionality, “Forum Philosophicum: International Journal of Philosophy”, Vol. 7, 2002, pp. 193-204.
202 XXXXXX, Xxxx, Della Intenzionalità, cit., pp. 11-4.
203 Ivi pp. 14-23.
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
di adattamento da mente a mondo; desideri e intenzioni possono essere realizzati, ed hanno una direzione di adattamento da mondo a mente. Inoltre, lo stato intenzionale è la condizione di sincerità degli atti illocutivi con un contenuto proposizionale: sebbene non costituisca contraddizione in senso logico, vi è comunque qualcosa di anomalo nell’esecuzione di un atto linguistico con il quale si neghi la sussistenza del corrispondente atto intenzionale, come accade, ad esempio, con l’enunciazione “sta piovendo ma non credo che stia piovendo”. Infine, la nozione di condizioni di soddisfazione si applica in entrambi i casi laddove vi sia una direzione di adattamento: l’atto linguistico sarà soddisfatto se e solo se lo stato psicologico espresso è soddisfatto e le condizioni di soddisfazione sono le medesime.
Più in particolare, ogni stato intenzionale può essere analizzato in un contenuto intenzionale e un modo psicologico: qualora il contenuto sia una intera proposizione, e vi sia direzione di adattamento, il contenuto intenzionale determina le condizioni di soddisfazione. Queste, sostiene Xxxxxx, sono la chiave per comprendere il fenomeno della rappresentazione204.
A partire da queste premesse, si può concludere che non si ponga un problema ontologico rispetto agli oggetti intenzionali, che acquisiscono questo carattere semplicemente in quanto vi sia uno stato intenzionale ad essi relativo, così risolvendosi una questione filosofica che affliggeva la teoria di Xxxxxxxx. Infatti, lo stato intenzionale può non essere soddisfatto qualora manchi il suo oggetto.
Ancora, le condizioni di soddisfazione non si determinano atomisticamente, bensì con riferimento alla posizione dello stato intenzionale in una rete di altri stati intenzionali e rispetto ad uno sfondo preintenzionale: questo evita il regresso ad infinitum circa il contenuto rappresentativo degli stati intenzionali, che si radica in fatti e fenomeni non intenzionali. Corollario di questa tesi è l’impossibilità di determinare con esattezza gli stati intenzionali di un soggetto205.
Quanto allo sfondo (background), uno degli aspetti più controversi della teoria di Xxxxxx, egli lo intende come insieme di capacità mentali, nel senso di know how, che rende possibile la rappresentazione. Egli distingue due livelli di sfondo: un livello più profondo che include le capacità comuni a tutti gli esseri umani in virtù della loro biologia; ed un livello più superficiale, per cui usa l’espressione “sfondo locale”, comprendete pratiche culturali206.
Da ultimo, deve evidenziarsi che per Xxxxxx, convinto sostenitore, come vedremo, di un robusto monismo ontologico, gli stati intenzionali in quanto stati ed eventi mentali sono reali nello
204 Ivi pp. 21-2.
205 Ivi pp. 23-35.
206 Ivi pp. 147-8.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
stesso senso in cui possono dirsi reali i fenomeni biologici, in quanto causalmente riconducibili alle operazioni che si svolgono nelle strutture del cervello207.
4. IL CONTRIBUTO DI XXXXXX X. XXXXXXX. QUESTIONI E TESI.
Diversamente da Xxxxxx, Xxxxxxx ritiene che l’intenzionalità non sia il tratto o la proprietà che caratterizza certi stati mentali, optando per una qualificazione in termini di proprietà funzionali. Xxxxxx Xxxxxxxx, egli sostiene che l’intenzionalità è una caratteristica che permette di distinguere tra classi di enunciati e non tra classi di fenomeni (mentali e fisici) 208.
Gli enunciati intenzionali, per Xxxxxxx, sono intensionali e non estensionali: hanno a che vedere con il significato e non con la classe di oggetti cui i termini della proposizione si riferiscono per avere un valore di verità. Ciò implica che gli enunciati intenzionali non possono essere ridotti né parafrasati come enunciati estensionali intorno alla realtà fisica. Il paradigma comportamentistico, basato sulla biografia di stimolo e risposta, non riesce a dare conto nel proprio linguaggio del fenomeno dell’intenzionalità e, dunque, la spiegazione e previsione dei fenomeni psicologici deve basarsi su una caratterizzazione in termini appunto intenzionali.
La fenomenologia, d’altro canto, fallisce nel fornire una spiegazione in termini causali del comportamento: “In una spiegazione intenzionale…le sequenze di eventi sono così caratterizzate che il verificarsi di una particolare azione conseguente è spiegato dal verificarsi di un particolare antecedente: una percezione, una credenza o un’intenzione; e non c’è spazio per la domanda sul perché questo conseguente debba seguire questo antecedente – e quindi non c’è nessuno spazio per una legge generale che ‘spieghi’ la sequenza”209. In questo senso, la spiegazione intenzionale fenomenologica rappresenta il rovescio della spiegazione comportamentistica in termini estensionali perché le connessioni tra antecedente e conseguente sono già presupposte come adeguate, quasi vi fosse un nesso analitico e non empirico-contingente tra antecedente e conseguente. Passare dal dato dell’esistenza di un linguaggio intenzionale ad una prospettiva scientifica che eviti il dilemma tra comportamentismo e fenomenologia, richiede la possibilità che si possano ridurre tali enunciati a espressioni sugli stati interni in termini estensionali: un tale programma di ricerca, all’epoca in cui Xxxxxxx scriveva, era ancora da formulare210.
207 Ivi pp. 263 ss.
208 XXXXXXX, Xxxxxx C. Contenuto E Coscienza, Bologna, Il Mulino, 1992, pp. 37-65.
209 Ivi p. 59.
210 Ivi pp. 62 ss.
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
Consideriamo adesso la teoria dei sistemi intenzionali, che rappresenta la concretizzazione di quel programma, i cui aspetti riduzionistici, in collegamento alle scienze cognitive e alle teorie evoluzionistiche non possiamo considerare in questa sede, dove ci interessano piuttosto i profili relativi all’atteggiamento intenzionale211.
5. LA TEORIA DEI SISTEMI INTENZIONALI
Esaminiamo ora la teoria dei sistemi intenzionali inizialmente elaborata da Xxxxxxx nel saggio
I Sistemi Intenzionali212.
Un sistema intenzionale è un sistema il cui comportamento può essere spiegato e previsto in virtù dell’attribuzione ad esso di stati intenzionali come credenze e desideri. L’oggetto della spiegazione intenzionale assume la qualità di sistema intenzionale unicamente in relazione alla strategia di un soggetto che miri appunto alla spiegazione e previsione del comportamento.
Per comprendere l’effettiva portata della teoria dei sistemi intenzionali, occorre inquadrare la predetta strategia all’interno della tripartizione di atteggiamenti che un osservatore può assumere. Ad un primo livello si colloca l’atteggiamento del progetto, che porta ad interpretare il comportamento – inteso in senso lato, in modo da ricomprendere anche oggetti inanimati – in base alla conoscenza del progetto in base al quale il target è stato creato. In effetti, questo atteggiamento si utilizza maggiormente rispetto ad oggetti meccanici o naturali. Se sappiamo, ad esempio, secondo quali istruzioni un calcolatore è stato progettato per operare, saremo in grado
di prevedere quali saranno le sue mosse a partire dallo stato attuale.
È un atteggiamento che considera, si sottolinea, esclusivamente l’aspetto funzionale del target, a differenza dell’atteggiamento fisico, che porta a formulare previsioni in base alla nostra conoscenza delle leggi naturali e dello stato in cui il sistema si trova. Questo secondo tipo di
211 Xx Xxxxxxx e in particolare sulla intentional stance si rimanda ai seguenti contributi: XXXXX XXXXXXXXX, Xxxxxxx, La Estrategia Intencional Xx Xxxxxxx Y El Escepticismo, “Ideas y Valores”, Vol. 52, N. 121, 2003, pp. 41-63; XXXXXXXXX, Xxxxx, Xxxxxxx’x Overlooked Originality, “Minds & Machines”, Vol. 16, N. 1, 2006, pp. 43-56; XXXX, David, Phenomenology and Fiction in Xxxxxxx, “International Journal of Philosophical Studies”, Vol. 6, N. 3, 1998, pp. 331-344; XXXXXX, Xxxxx, Xxxxxxx'x Stance on Intentional Realism, “Southern Journal of Philosophy”, Vol. 33, N. 3, 1995, pp. 299-312; XXXXX, Xxxxxx, Consciousness Demystified: A Wittgensteinian Critique of Xxxxxxx'x Project, “Monist”, Vol. 78, N. 4, 1995, pp. 464-479; XXXXX, Xxxxx, Symmetry between the Intentionality of Minds and Machines? The Biological Plausibility of Xxxxxxx'x Position, “Minds and Machines”, Vol. 16, N. 1, 2006, pp. 57-71; XXXXX, Xxxx, Why Xxxxxxx Cannot Explain What It Is To Adopt The Intentional Stance, “Philosophical Quarterly”, Jan96, Vol. 46, N. 182, 1996, pp. 93-98; XX, Xxxx; XXXXXX, Xxxx, A Critique Of Xxxxxxx, “Synthese”, Vol. 66, 1986, pp. 453-476. Altri riferimenti sono contenuti nella bibliografia del capitolo.
212 XXXXXXX, Xxxxxx C., I Sistemi Intenzionali, in ID., Brainstorms. Saggi Filosofici Sulla Mente E La Psicologia, Milano, Adelphi, 1991, pp. 37-65.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
interpretazione è di difficile applicazione laddove, come nel caso del funzionamento dei calcolatori, siano in gioco enormi quantità di variabili fisiche. Xx allora, suggerisce Xxxxxxx, il modo migliore per affrontare i casi in cui l’atteggiamento progettuale e l’atteggiamento fisico sono impraticabili, è adottare un atteggiamento che consista nell’attribuzione di razionalità al target. Ad esempio, nel caso di un calcolatore che sia programmato per il gioco degli scacchi, la previsione del suo comportamento, nell’ambito del gioco, consisterà nel ricercare la mossa più razionale dati gli obiettivi e le regole del gioco, presupponendo che la macchina funzioni secondo il progetto e che essa sia stata progettata per scegliere la mossa più razionale. Razionalità significa qui null’altro che rapporto adeguato del progetto con una gerarchia di scopi e un insieme di limitazioni prestabilite.
Questo è, dunque, l’atteggiamento razionale, da cui dipende l’interpretazione intenzionale di un sistema che perciò acquista il carattere intenzionale: il comportamento viene previsto attribuendo il possesso epistemico, distinto dall’immagazzinamento in senso fisico, di informazioni e scopi e, quindi, individuando la scelta ragionevole date quelle premesse.
La strategia intenzionale prescinde dal substrato materiale del target, dalla sua origine, naturale o artificiale, dal suo essere o meno un agente morale munito di autocoscienza, e dal carattere deterministico o non deterministico del suo funzionamento.
Da rilevare che per Xxxxxxx la decisione di adottare l’atteggiamento razionale non è intrinsecamente giusta o sbagliata, avendo natura essenzialmente pragmatica, nel senso che, come si è visto, talvolta può dipendere dalla impraticabilità degli altri due atteggiamenti o, semplicemente, dalla maggiore convenienza nell’adottarlo a fini predittivi. Il che implica che l’assunzione di questo atteggiamento non ammonta al riconoscimento del target come soggetto razionale: questo è trattato come se possedesse stati intenzionali e, dunque, la razionalità che esibisce nel contesto della interpretazione intenzionale è una razionalità artificiale.
Tuttavia, non tutti gli aspetti che vengono in rilievo nell’atteggiamento razionale sono imposti in tal senso: per Xxxxxxx, infatti, vi sono alcuni “punti di ancoraggio” da individuarsi nei bisogni relativi alla sopravvivenza, la regolarità del comportamento e sull’emergere del progetto ottimale del sistema in base alla selezione naturale – ovviamente per le entità biologiche213.
L’interpretazione intenzionale, è bene sottolinearlo, non può essere considerata come una attività lontana e confinata in ambiti ristretti, perché, al contrario, è parte delle nostre comuni pratiche predittive, anche rispetto al mondo animale 214 . Nell’articolare previsioni sul
213 Ivi pp. 38-46.
214 Scrive Xxxxxxx: “La presupposizione di razionalità è talmente radicata nelle nostre abitudini inferenziali che, quanto le nostre previsioni si dimostrano false, prima di mettere in discussione la razionalità del Sistema nel suo
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
comportamento possiamo attribuire o poche regole di inferenza e molte proposizioni logiche o il contrario, ma ogni sistema intenzionale concreto è inevitabilmente imperfetto: laddove l’interpretazione intenzionale fallisca a motivo di ciò, occorre tornare all’atteggiamento progettuale o fisico215.
La nozione di sistema intenzionale, nella concezione dennettiana, è del tutto priva di connotati metafisici, in quanto è definita in astrazione dalle questioni circa lo statuto ontologico o morale del target, che può essere così qualificato indipendentemente dalla concreta soluzione di tali questioni, niente affatto pertinenti all’interpretazione intenzionale.
Nondimeno, occorre operare una distinzione tra i sistemi intenzionali che possiedono il linguaggio e gli altri: è in virtù dei primi che si possono avere attribuzioni di credenze e più in generale l’interpretazione intenzionale. Peraltro, Xxxxxxx concepisce le capacità linguistiche in termini evoluzionistici e di adattamento all’ambiente: in questo senso, la capacità di credere non avrebbe alcun valore per la sopravvivenza, se non fosse capacità di credere e comunicare innanzitutto enunciati veri216.
6. SISTEMI INTENZIONALI E PERSONALITÀ MORALE
Il saggio Meccanicismo e Responsabilità contiene alcune precisazioni di un certo rilievo217. In particolare, qui Xxxxxxx afferma che l’atteggiamento intenzionale, pur non essendo un atteggiamento morale, ne è il prerequisito, essendo ben distinto da una postura meccanicistica. Il discrimine è nell’accento sulla razionalità: nell’interpretazione intenzionale l’attenzione è incentrata su come il target ragionerà, su come sarebbe ragionevole che si comportasse, non semplicemente su come si comporterà. L’atteggiamento intenzionale comporta spiegazioni e predizioni in questo senso, e non basate su generalizzazioni induttive218.
Xxxxxxx si occupa anche di formulare una teoria della persona che si inserisca nella sua concezione dell’interpretazione intenzionale e dei sistemi intenzionali219.
Vi sono sei “temi” che insieme identificano un insieme di condizioni necessarie per essere una persona: le persone sono esseri razionali; inoltre, sono esseri cui vengono ascritti stati di coscienza
insieme cerchiamo di modificare le condizioni sull’acquisizione delle informazioni… o l’ordine di importanza degli scopi”. Ivi p. 47.
215 Ivi pp. 46-56.
216 Ivi pp. 57-65.
217 XXXXXXX, Xxxxxx X., Meccanicismo e Responsabilità, in Id., op. cit., pp. 353 ss.
218 Ivi pp. 367-8.
219 XXXXXXX, Xxxxxx C., Condizioni per essere una persona, in Id., op. cit., pp. 404-429.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
e predicati psicologici, mentali o intenzionali; il considerare qualcosa come persona dipende costitutivamente da un certo atteggiamento nei suoi confronti; deve, poi, essere possibile che tale atteggiamento sia ricambiato; le persone devono possedere la capacità di comunicazione verbale e, infine, devono possedere un tipo particolare di coscienza.
L’ordine ed i rapporti tra questi “temi” non è casuale: secondo Xxxxxxx, i primi tre, mutuamente interdipendenti, costituiscono condizione necessaria ma non sufficiente per la reciprocità, che a sua volta è condizione necessaria ma non sufficiente per la capacità di comunicare, nuovamente condizione necessaria ma non sufficiente per il tipo di coscienza richiesto dalla qualità di soggetto morale220.
Il motivo per il quale egli considera queste condizioni come meramente necessarie dipende dal fatto che il concetto di persona è essenzialmente normativo e costituisce un ideale cui nei casi concreti è solo possibile avvicinarsi. Ed allora ogni giudizio di sufficienza di un insieme di condizioni risulterebbe inevitabilmente arbitrario e, nei casi concreti, nessun ente potrebbe soddisfarle. La nozione morale e la nozione metafisica di persona sono distinte e purtuttavia, nella visione di Xxxxxxx, parte di un continuum221.
7. L’EVOLUZIONE DELLA POSIZIONE DI XXXXXXX
La posizione matura di Xxxxxxx è espressa nel volume L’atteggiamento Intenzionale222, nel quale vengono sviluppati ed approfonditi alcuni aspetti della propria teoria, anche in risposta alle sollecitazioni provenienti dal dibattito che le sue tesi hanno stimolato.
Xxxxxxx affronta la questione della natura della credenza rifiutando le posizioni realiste, secondo cui avere una credenza è un fatto interno oggettivo, per sostenere una forma di interpretazionismo: il fenomeno della credenza mantiene comunque un carattere oggettivo ma tale carattere può essere apprezzato solo dal punto di vista di qualcuno che adotti una strategia predittiva intenzionale. Di un sistema target di cui si riesce a prevedere con successo il comportamento può dirsi in senso proprio che abbia delle credenze223.
Una implicazione della strategia intenzionale, già più sopra evidenziata, consiste nella circostanza che le credenze esibite dai “veri credenti” sono credenze per lo più vere. La regola
220 Ivi p. 407-9.
221 Ivi pp. 428-9. Il saggio in esame contiene, peraltro, una interessante critica della posizione originaria elaborata da Xxxx Xxxxx in A Theory o Justice in relazione al problema della attribuzione del carattere di persona.
222 XXXXXXX, Xxxxxx X., L’Atteggiamento Intenzionale, Bologna, Il Mulino, 1993.
223 Ivi pp. 27-30.
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
che governa l’attribuzione intenzionale impone che si attribuiscano desideri relativi a ciò che il target crede che siano i mezzi migliori per conseguire altri fini desiderati. L’assunzione iniziale è quella della razionalità perfetta ma, poi, man mano che si scopre che in concreto il sistema non risponde a quello standard, si adottano standard via via più deboli224.
Tratto peculiare della proposta dennettiana matura è l’impossibilità in pratica di potere operare una distinzione tra i sistemi che possiedano genuinamente delle credenze da quelli che sono trattati come tali: nella prospettiva pragmatica in cui è immersa la teoria dell’interpretazione intenzionale questo non è affatto un limite, nella misura in cui essa funziona, ossia produce predizioni utili ed accurate che ci procurano un qualche vantaggio. È questo, anzi, il criterio che ci spinge ad interpretare certe entità come sistemi intenzionali ed altre no, proprio perché non ne trarremmo alcuna utilità. Peraltro, la strategia intenzionale è insostituibile, giacché non possono darsi i medesimi risultati con nessun altro tipo di atteggiamento.
Nonostante l’adozione dell’atteggiamento intenzionale dipenda esclusivamente da una decisione del soggetto interpretante, i fatti relativi al suo successo o fallimento hanno carattere pienamente oggettivo. Tuttavia, qui Xxxxxxx sottolinea che l’atteggiamento intenzionale è inevitabile rispetto a se stessi e ai propri simili in quanto esseri intelligenti, rispetto ai quali vi sono modelli oggettivi di razionalità, che comunque non escludono la presenza di modelli, anche culturalmente connotati, che si affiancano ad essi pur essendo imperfetti. In questo contesto, ciò che fa di una caratteristica interna una rappresentazione può risultare essere solamente il suo ruolo nel regolare il comportamento del target225.
Se ci si chiede perché la strategia intenzionale funziona, la risposta, per Xxxxxxx, è duplice: nel caso di artefatti umani, dipende dalla bontà del progetto; nel caso delle persone ciò deriva da meccanismi evolutivi che hanno portato l’uomo ad essere razionale, ossia a credere quel che dovrebbe credere e a desiderare quel che dovrebbe desiderare razionalmente. Per quanto il meccanismo soggiacente possa essere oscuro, il successo della strategia intenzionale è invece evidente226.
Xxxxxxx ritiene che la teoria dei sistemi intenzionali sia per alcuni aspetti affine alla teoria della decisione e dei giochi, rappresentando una forma di comportamentismo logico-olistico, in quanto la spiegazione si rivolge ad interi sistemi più che a sue parti. In un passaggio, che va qui adeguatamente evidenziato, egli sottolinea che target ascrizionale può anche essere un ente giuridico o, persino, la nazione. Inoltre, credenze e desideri sono attribuiti non isolatamente, ma sempre in relazione ad altre attribuzioni di credenze e desideri227.
224 Ivi pp. 30-40.
225 Ivi pp. 40-54.
226 Ivi pp. 54-8.
227 Ivi pp. 87-91.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Ancora, i sistemi intenzionali possono essere classificati in base al grado: un sistema del primo ordine è un sistema che possiede delle credenze di primo ordine (credo che “p”), ma non credenze sulle credenze di primo ordine (credo di desiderare che “p”). Qualora un sistema intenzionale possieda questo tipo di credenze, allora sarà di secondo ordine, e così via. Quindi tutto dipende dal grado delle credenze che il sistema riesce a gestire: per l’uomo forse si può parlare di credenze di quinto o sesto grado228.
Collegato alla distinzione di grado tra i sistemi intenzionali è il tema della intenzionalità originaria. Coloro che ritengono che vi sia intenzionalità originaria, distinguono le altre forme di intenzionalità come derivata: in altri termini, mentre l’uomo sarebbe portatore di intenzionalità originaria, altre creature e oggetti, creati o naturali, esibirebbero intenzionalità solamente in relazione a quella intenzionalità originaria. Tuttavia, Xxxxxxx nega ripetutamente che si possa parlare di intenzionalità originaria in questo senso, in quanto l’intenzionalità dipende sempre e comunque dall’atteggiamento intenzionale, dal quale non può sfuggirsi 229 . Non è allora sorprendente che egli ritenga, infine, che anche l’intenzionalità umana sia derivata.
Nel saggio The Evolution Of ‘Why?’ Xxxxxxx afferma di sottoscrivere l’interpretazione che del proprio pensiero avanza Xxxxxxx, salvo che sulla questione dell’intenzionalità originaria230. Secondo Xxxxxxx, i sistemi intenzionali semplici, o first class, derivano la propria intenzionalità dai sistemi intenzionali capaci di interpretazione intenzionale, o second class, i quali, a loro volta, traggono il carattere intenzionale dagli atteggiamenti reciproci. Il passaggio teorico ulteriore, in particolare, è oggetto di disaccordo: secondo Xxxxxxx, infatti, le comunità, anche se non i partecipanti al game of giving and asking for reasons in quanto individui, possono essere interpretate come portatrici di intenzionalità originaria.
Come si è visto, Xxxxxxx, per contro, nega la configurabilità di una intenzionalità originaria all’interno della sua teoria dell’intentional stance, ritenendo che anche l’intenzionalità umana sia derivata al pari di quella esibita dagli oggetti artificiali interpretati come sistemi intenzionali. Tale caratteristica dipende, in ultima analisi, dall’evoluzione e questo consente di arrestare un possibile regresso teorico ad infinitum.
Per Xxxxxxx l’intenzionalità originaria è una questione essenzialmente linguistica o che si fonde con la dimensione linguistica delle pratiche umane razionali: questa opzione non è per Xxxxxxx una alternativa autonoma o autosufficiente ad una fondazione in termini naturalistici; al contrario, Xxxxxxx sembra adottare una postura comportamentistica laddove sostiene che gli individui possano imparare a distinguere in pratica tra performance corrette e performance
228 Vedi Ivi pp. 326-335.
229 Vedi ad es. pp. 386-7.
230 XXXXXXX, Xxxxxx C., The Evolution of ‘Why?’, in XXXXX, Xxxxxxxx; WANDERER, Xxxxxx (a cura di), Reading Xxxxxxx: On Making It Explicit, London; New York, Routledge 2010, pp. 48-62.
INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA
scorrette, in definitive secondo i modi del condizionamento stimolo-risposta. Il punto, secondo Xxxxxxx, è avere degli strumenti teorici che consentano di dare conto degli errori in quanto distinti da mutamenti estensionali delle categorie. La proposta di Xxxxxxx ha il vantaggio di fare appello alle pratiche a livello comunitario rispetto alla correttezza in relazione alle disposizioni che gli individui sviluppano, così illustrando cosa conta come performance corretta, ma ignora la questione del come ciò sia possibile ad un livello più profondo. Non si tratterebbe per Xxxxxxx di un problema da poco, giacché ad una analisi omessa a livello fondazionale corrisponde una analisi distorta al livello più alto, quello appunto delle pratiche discorsive colte nel modello brandomiano del deontic scorekeeping.
8. L’INTERPRETAZIONE INTENZIONALE COME ETEROFENOMENOLOGIA
In Sweet Dreams Xxxxxxx definisce la metodologia connessa alla teoria dei sistemi intenzionali come eterofenomenologia231. È un metodo che privilegia il punto di vista in terza persona, in grado di descrivere e spiegare le esperienze soggettive senza rinunciare alla scientificità.
L’atteggiamento intenzionale è una postura parzialmente comportamentistica perché si limita al comportamento osservabile; tuttavia, non lo è se si considera che consiste in interpretazioni mentalistiche o intenzionalistiche. Se dunque lo scopo è quello della formulazione di una scienza della coscienza, questo approccio consente l’organizzazione dei dati grezzi in modo neutrale.
Il metodo consiste nell’estrarre “testi” da soggetti che appaiono comunicare e da essi generare una finzione intorno al mondo eterofenomenologico del soggetto, di cui fanno parte immagini, eventi, percezioni che il soggetto si assume creda presenti nel proprio flusso di coscienza, fenomeno che una teoria scientifica della coscienza deve proporsi di spiegare. Esso consente, inoltre, di risolvere il problema degli “zombie filosofici”, entità che apparentemente producono atti linguistici e azioni intenzionali ma che, per definizione, sono privi di una vita interiore cosciente: la posizione di Xxxxxxx a riguardo è che, lungi dal costituire un controesempio o un ostacolo insormontabile alla teoria, gli “zombie filosofici” alla fin fine non sono, dal punto di vista dell’osservazione del comportamento, differenti dai soggetti coscienti e che, dunque, non ha senso, nella prospettiva eterofenomenologica che utilizza la strategia intenzionale, trattarli in modo speciale.
231 XXXXXXX, Xxxxxx C., Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness, Cambridge (MA), The MIT Press; London, A Xxxxxxxx Book, 2005, pp. 36 ss.
CAPITOLO 3
LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA. LA TEORIA DI XXXXXX X. XXXXXXX
1. INTRODUZIONE. LA CONCEZIONE PRAGMATICA DEL LINGUAGGIO. XXXXXXXXXXXX, XXXXXX, XXXXXX. 2. L’OPERA DI XXXXXXX TRA FILOSOFIA ANALITICA E CONTINENTALE. 3. IL DEONTIC SCOREKEEPING MODEL OF DISCURSIVE PRACTICE. 4. LA CONCEZIONE ESPRESSIVA DELLA RAZIONALITÀ. 5. LA NOZIONE DI STATUS DEONTICO. 6. L’INFERENZIALISMO COME TEORIA DEL SIGNIFICATO E DEL CONCETTO. 7. SULLA NORMATIVITÀ DELLA PRATICA LINGUISTICA. 8. LA VERITÀ COME RESPONSABILITÀ: L’ESSERE DISCIOLTO NELLA NORMATIVITÀ PRIMITIVA DEL DISCORSO. 9. LA MATERIALITÀ DELLA PRASSI DISCORSIVA. PERCEZIONE E AZIONE. 10. L’HEGELISMO BRANDOMIANO. 11. IL DIBATTITO TRA XXXXXXX E HABERMAS
1. INTRODUZIONE. LA CONCEZIONE PRAGMATICA DEL LINGUAGGIO. XXXXXXXXXXXX, XXXXXX, XXXXXX
Per comprendere lo sfondo filosofico della teoria brandomiana del linguaggio, occorre almeno per grandi linee richiamare gli aspetti più salienti di quel movimento di pensiero sviluppatosi sotto il nome di ordinary language philosophy, dando conto sinteticamente delle posizioni dei tre autori, ascrivibili ad esso, su cui essa poggia: Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, Xxxx Xxxxxx e Xxxx Xxxxxx000. La rivolta contro il logicismo esasperato del neopositivismo logico può ricondursi geneticamente alle osservazioni di Xxxxxxxxxxxx in merito all’importanza dei giochi linguistici e della grammatica dell’uso ordinario per la comprensione del linguaggio e dei concetti che impieghiamo. Tutti gli autori facenti parte di questa corrente, tra i quali vanno menzionati, inoltre, almeno Xxxxxxx Xxxx e Xxxxx Xxxxxxxx, condividono l’idea che sia un errore ridurre gli
innumerevoli usi del linguaggio al paradigma descrittivo233.
Nelle Ricerche Filosofiche, opera pubblicata postuma nel 1953234, Xxxxxxxxxxxx prende le distanze dalle posizioni da lui stesso espresse nel Tractatus del 1921, pur mantenendo una
232 Secondo Xxxxxxxx Xxxxxxxxx (XXXXXXXXX, Xxxxxxxx, Phenomenology And Ordinary Language Philosophy, “Metaphilosophy”, Vol. 8, 1997, pp. 116-146) vi sono delle somiglianze tra il movimento fenomenologico e la filosofia del linguaggio ordinario: entrambi i movimenti sosterrebbero una metafisica descrittiva contro il riduzionismo del positivismo logico. Il linguaggio sarebbe da un lato considerato nel rapporto con il mondo della vita e dell’esperienza ordinaria; mentre, sul versante della fenomenologia mira a fornire resoconti descrittivi di come l’esperienza è data nella coscienza. Entrambi, in ultima analisi, fanno riferimento ad un orizzonte o mondo vitale che fa da sfondo e consente le esperienze (pp. 116-121).
233 XXXXXXX, Xxxxxx, Philosophy of Language in the Twentieth Century XXXXXX, Xxxxxx; Xxxxx, Xxxxx X. (a cura di),
The Oxford Handbook Of Philosophy Of Language, Oxford etc., Oxford University Press, 2006, pp. 60-99, pp. 91 ss.
234 XXXXXXXXXXXX, Xxxxxx, Ricerche Filosofiche, Torino, Einaudi, 1999. Sarebbe vano cercare di fornire una bibliografia esaustiva su Xxxxxxxxxxxx anche in un lavoro specialistico; si segnalano unicamente i seguenti contributi per un primo approccio critico alle teorie qui brevemente considerate: XXXX, Xxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx'x Private Language Arguments, “Synthese”, Vol. 68, 1986, pp. 409-439; XXXXXXX, Xxxxxx, Do the Concepts of Grammar and Use in
LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA. LA TEORIA DI XXXXXX X. XXXXXXX
concezione della filosofia come critica del linguaggio. Nelle Ricerche nega che vi sia una essenza del linguaggio, argomentando a favore di una varietà di usi riscontrabili nelle pratiche comunicative, connotati da un grado di vaghezza che il neopositivismo logico – e il primo Xxxxxxxxxxxx – mirava ad eliminare. Se i problemi filosofici dipendono dall’uso del linguaggio, essi vanno affrontati ed esplicitati, secondo un ideale di perspicuità, considerando primariamente il linguaggio ordinario, il linguaggio come è e non come dovrebbe essere in base ad un ideale razionalistico astratto.
Ad ogni gioco linguistico corrisponde una differente grammatica che regola l’uso delle parole: questo implica che parlare è una attività normativamente connotata, una pratica all’interno della quale è possibile distinguere tra usi corretti e scorretti. In ogni caso, Xxxxxxxxxxxx afferma espressamente che il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio (§ 43).
Quanto alla nozione, centrale nelle Ricerche, di gioco linguistico, se ne possono enucleare le seguenti caratteristiche 235 . In primo luogo, la semplicità, giacché i giochi linguistici sono presentati come modi semplificati di usare le parole; essi, inoltre, mettono in mostra il nesso indissolubile tra il parlare e l’agire, o, meglio, lo svolgere una attività. Essi mostrano, altresì, che il linguaggio è retto da regole che non sono e non possono essere date una volta per tutte e che tra i vari usi – usi plurali ed irriducibili l’uno all’altro - vi sono rapporti di analogia e differenza. Infine, i giochi linguistici svolgono una fondamentale funzione metodologica come termini di paragone tra i vari giochi, illuminando la via per la riflessione filosofica.
Anche la nozione di forma di vita assume un ruolo assolutamente centrale nelle riflessioni wittgensteiniane, per quanto si riscontrino delle vistose oscillazioni di significato nel suo pensiero. In alcuni casi, la forma di vita si riconnette all’agire umano e questo al linguaggio, sicché immaginare un linguaggio, egli afferma al § 19, è immaginare appunto una forma di vita. Altre volte, sembra che Xxxxxxxxxxxx intenda riferirsi all’aspetto culturale delle pratiche umane; in altri casi ancora a certi dati naturali concernenti l’uomo236.
Anche Xxxxxx, come si è detto, riteneva insoddisfacente l’approccio analitico che riduceva le questioni sul linguaggio alla definizione delle condizioni di verità o verificabilità237. Non tutto il linguaggio descrive stati di cose né, laddove ciò non accada, la sua funzione può essere
Xxxxxxxxxxxx Articulate a Theory of Language or Meaning?, “Philosophical Investigations”, Vol. 29 Issue 4, 2006, pp. 309-341; XXXXXX, Xxxxxx, On What Sort Of Speech Act Xxxxxxxxxxxx'x Investigations Is And Why It Matters, “Philosophical Forum”, Vol. 28, N. 3, 1997, pp. 232-267; XXXXXX, Xxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, L'Intentionnalité Et Les Règles, “Philosophiques”, Vol. 25, N. 1, 1988, pp. 3-27.
235 Xxxx XXXXXXXXX, Marilena, Giochi Linguistici E Forme Di Vita, in MARCONI, Xxxxx (a cura di), Guida A Wittgenstein, 2a ed., Roma; Bari, Laterza, 2002, pp. 241-286, in particolare pp. 244-8.
236 Ivi pp. 248-54.
237 XXXXXX, Xxxx X., How To Do Things With Words, seconda edizione a cura di XXXXXX, J.O.; SBISÀ, Xxxxxx, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1975. Per una esposizione sintetica e, al contempo, critica della teoria austiniana vedi PENCO, Xxxxx, Introduzione Alla Filosofia Del Linguaggio, Roma; Bari, Laterza, 2004, pp. 118 ss.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
considerata esclusivamente emotiva: questo vale certamente per le enunciazioni performative, con le quali si esegue una certa azione, come promettere, battezzare, ringraziare e così via, che non possono essere perciò vere o false. A questi si contrappongono le enunciazioni constative, rispetto alle quali vale il criterio di significanza in senso stretto e che possiedono un valore di verità.
Xxxxxx ritiene, pertanto, che si debba adottare una nozione più ampia rispetto alle condizioni di verificazione, per dare conto di tutti gli aspetti del fenomeno dell’enunciazione linguistica, individuando nelle cd condizioni di felicità le condizioni per il successo dell’azione linguistica.
Vi sono due tipi di condizioni: quelle che riguardano le convenzioni che reggono un certo atto linguistico, e quelle che concernono l’intenzione. Nel primo caso, la violazione delle convenzioni rilevanti porta alla nullità dell’atto; nel secondo, ad esempio nel caso di una promessa non accompagnata dall’intenzione di adempiere, si avrà un atto che costituisce un abuso. Nondimeno, gli aspetti constativi e performativi risultano compresenti in ogni atto linguistico.
Nell’analisi del linguaggio inteso come azione, Xxxxxx individua tre livelli: l’atto locutorio, come atto di dire qualcosa definito dagli aspetti fonetici, sintattici e grammaticali; l’atto illocutorio, ossia il tipo di atto che si compie, ad esempio asserzione o richiesta; infine, l’atto perlocutorio, come l’atto che si compie con il dire qualcosa dal punto di vista del destinatario del proferimento. Austin, quindi, classifica gli atti linguistici nelle seguenti categorie: verdittivi, esercitivi, commissivi, comportativi ed espositivi.
Anche Xxxxxx concepisce il linguaggio in termini di azione, identificando l’atto linguistico come unità fondamentale del linguaggio238. Come si è visto nel precedente capitolo, egli ritiene vi sia un parallelismo tra il fenomeno dell’intenzionalità ed la struttura del linguaggio. Inoltre, sottoscrive la tesi per la quale il significato dipende dalla produzione di effetti sull’uditorio, ed è in base a questi effetti che gli atti linguistici possono essere studiati e classificati.
Vi sono tre tipi di intenzione soggiacenti all’atto linguistico: innanzitutto, l’intenzione di comunicare producendo un effetto illocutivo; quindi l’intenzione di produrre l’effetto tramite il riconoscimento dell’intenzione di produrlo; infine, l’intenzione di produrre l’effetto tramite la conoscenza dell’ascoltatore delle regole che governano l’enunciazione.
238 XXXXXX, Xxxx R., Atti Linguistici: Saggio Di Filosofia Del Linguaggio, Torino, Bollati Boringhieri Editore, 1992; XXXXXX, Xxxx X., Expression and Meaning: Studies on The Theory Of Speech Acts, Cambridge University Press, 2005. XXXXXXXXX, Xxxxx (a cura di), Speech Acts, Meaning And Intentions: Critical Approaches To The Philosophy Of J.
R. Xxxxxx, X. De Gruyter, Berlin; New York, 1990. XXXXX, L Xxxxxxxx, Xxxxxx'x Theory Of Speech Acts, Philosophical Review, Vol. 79, 1970, pp. 545-557. Xxxxxxxxxxx, Xxxxx X., Xxxx Xxxxxxxx Philosophy Of Language: Force, Meaning And Mind, Cambridge, Cambridge University Press, 2007. La sintetica esposizione che segue è in parte basata su RUST, Xxxxxx, Xxxx Xxxxxx, London; New York, Continuum, 2009, pp. 66 ss.
LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA. LA TEORIA DI XXXXXX X. XXXXXXX
Gli effetti illocutivi riguardano la comprensione, mentre gli effetti perlocutivi l’azione che il destinatario esegue a seguito del proferimento. Come bene spiega Xxxxxx Xxxx: “Language […] is not a two-part, timeless relation between words and object, but a temporal, multipart relation between two agents: the speaker’s intentional state causes a word to be produced, which, if successful, projects a similar intentional state into the mind of the hearer”239.
La tassonomia degli atti linguistici in Xxxxxx differisce da quella proposta da Xxxxxx, distinguendo egli tra assertivi, direttivi, commissivi, espressivi e dichiarazioni. Gli assertivi possiedono una direzione di adattamento da linguaggio a mondo; direttivi e commissivi, per contro, da mondo a linguaggio; gli espressivi non hanno direzione di adattamento, mentre le dichiarazioni, sulle quali torneremo a proposito della costruzione della realtà sociale, possiedono entrambe le direzioni di adattamento.
2. L’OPERA DI XXXXXXX TRA FILOSOFIA ANALITICA E CONTINENTALE
E' storicamente corretto affermare che a causare l'oltrepassamento della filosofia sistematica ed, in certa misura, l’accantonamento della metafisica abbia contribuito in modo preponderante lo sviluppo esponenziale della riflessione sul linguaggio, che a partire dalla Linguistic Turn è divenuto l'argomento principe per tutti coloro che si occupano professionalmente di filosofia.
La responsabilità maggiore è forse, però, da ascriversi specificamente a quella corrente di pensiero, la filosofia analitica, sviluppatasi in simbiosi con discipline più propriamente scientifiche, rappresentata da autori come Xxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxx, Xxxxxxx, il “primo Xxxxxxxxxxxx”, tra gli altri. Certamente tutti costoro sono d'accordo nel ritenere che dietro ad ogni assunzione metafisica vi sia un uso scorretto dei concetti espressi dalle parole, un fraintendimento basato magari su superficiali equivalenze fra categorie grammaticali e semantiche, sul ritenere esistenti enti di cui con certezza si sa solo che possono essere presenti in un enunciato atomico come soggetto di una predicazione, condizione necessaria ma non sufficiente per la formulazione di un giudizio di esistenza della "cosa" in questione.
Non deve stupire, quindi, che nella letteratura filosofica analitica non si rinvenga un solo esempio di edificazione di un sistema della pratica linguistica e che si siano trattate sempre tematiche relativamente circoscritte, come la codifica di sistemi di simboli, i rapporti di denotazione o la verità.
239 Ivi p. 78.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Nel 1994 Xxxxxx X. Xxxxxxx ha pubblicato la sua opera ad oggi più importante, Making It Explicit240, del cui contenuto di qui a poco ci occuperemo, nel quale è esposto sistema di filosofia del linguaggio e, per tale ragione, la sua apparizione ha costituito un vero evento.
E' un lungo testo che si occupa di tutte le principali problematiche della tradizione analitica a partire dalle riflessioni di Xxxxxxx Xxxxx, radicando il discorso nel pensiero di Xxxx e, in minor misura, almeno in quest’opera, di Xxxxx.
E' articolato in una pragmatica e una semantica del linguaggio, vista quest’ultima come dottrina dei contenuti inferenziali al servizio della pragmatica normativa.
Al posto dei principi primi nel sistema di Xxxxxxx vi è il carattere normativo della razionalità, che permea di sé le pratiche linguistiche, fondandole.
Lo scopo ultimo dell’opera è la definizione della comunità ideale di cui facciamo parte come esseri razionali ovvero, utilizzando la terminologia brandomiana, la formulazione di una teoria dell'attribuzione della intentional stance originaria, quell'atteggiamento interpretativo rispetto ad un target che esibisce un'intenzionalità omogenea rispetto all'attributore, che riconoscendola conclude che il target va incluso in un ideale "Noi"241.
Xxxxxxx si occupa però anche delle pratiche non linguistiche, che da una parte sono alla base delle pratiche specificamente discorsive e dall'altra sono anch’esse oggetto di interpretazione, ma solo in quanto l'attributore interprete possieda delle abilità linguistiche.
Come si evince dal titolo, il linguaggio è visto come mezzo espressivo, qualcosa attraverso cui dire quello che può altrimenti essere soltanto fatto in pratica. Cuore del sistema è il deontic scorekeeping model of discursive practice. Come tutti i modelli è una idealizzazione, una semplificazione che propone una disposizione degli elementi secondo l'ordine che Xxxxxxx ritiene possano meglio spiegare il fenomeno delle pratiche linguistiche. Vi si descrivono le condizioni necessarie e sufficienti perché una pratica si qualifichi come discorsiva lasciando aperta la possibilità per una ricostruzione modulare di ambiti più complessi che presuppongano il discorso. Il diritto, riteniamo, è fra tali “moduli” che si possono aggiungere al nucleo basilare. La sua esistenza è condizionata dal fatto che gli individui che lo creano e volontariamente vi sottostanno abbiano sviluppato un linguaggio sufficientemente sofisticato.
240 XXXXXXX, Xxxxxx. B., Making It Explicit: Reasoning, Representing, And Discursive Commitment, Cambridge (MA); London, Harvard University Press, 1994.
LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA. LA TEORIA DI XXXXXX X. XXXXXXX
3. IL DEONTIC SCOREKEEPING MODEL OF DISCURSIVE PRACTICE.
Come tutti i modelli, anche il deontic scorekeeping model of discursive practice elaborato da Xxxxxxx è una idealizzazione: al suo interno, i contenuti proposizionali sono conferiti attraverso l'articolazione inferenziale delle pratiche linguistiche sociali, nel game of giving and asking for reasons242. In esso, fare un'asserzione, rispetto alla quale possono essere offerte e chieste delle ragioni o giustificazioni, è la mossa fondamentale. La pratica linguistica è identificata, in chiave pragmatica, come quella pratica che conferisce a certe performances il significato di asserzioni.
Trattare una performance come asserzione è trattarla, praticamente, come assunzione o riconoscimento di un impegno (commitment) doxastico o asserzionale, ed essere impegnato doxasticamente, a sua volta, significa possedere un certo status deontico.
Quanto a quest’ultima nozione, Xxxxxxx le assegna il compito tradizionalmente svolto dalla nozione di stato intenzionale. Questi status in senso lato normativi sono istituiti dall'atteggiamento pratico di coloro che partecipano al gioco del dare e chiedere ragioni: per essi può sempre sorgere la questione del titolo o giustificazione.
I parlanti competenti registrano gli impegni e i titoli - propri e degli altri - quali deontic scorekeepers, una sorta di arbitri, giudici (in senso sportivo) o gestori del “punteggio deontico”, soggetto a continuo mutamento man mano che vengono posti in essere nuovi atti linguistici, i cui significati possono essere spiegati anche nei termini delle norme di appropriatezza che reggono l’attività di scorekeeping243.
La metafora del punteggio è mutuata da Xxxxx, logico di grande spessore, che suggerisce un paragone con il modello del punteggio nel gioco del baseball, che si evolve secondo una funzione, per spiegare come la conversazione sia governata da regole244. La pratica linguistica descritta da Xxxxxxx prende le mosse dalla elaborazione di Xxxxx, opportunamente adattata.
Nei termini del deontic scorekeeping il significato di un atto linguistico consiste nel modo di interagire di questo con il punteggio deontico; comprendere il contenuto di un impegno asserzionale consiste nel sapere (un know how) quando e come è appropriato che si trasformi il punteggio. L'utilizzo della nozione di pragmatic significance, centrale nel metalinguaggio impiegato da Xxxxxxx, è un modo per etichettare il funzionamento dei contenuti concettuali nella loro interazione con altri contenuti concettuali.
Va precisato che se, da un lato, gli atteggiamenti sono essenziali nella determinazione normative del punteggio, d'altra parte, l’adozione di tali atteggiamenti è soggetta essa stessa a norme.
242 All’introduzione del modello è dedicato il terzo capitolo di Making It Explicit, cit. pp. 141 ss.
243 Ivi p. 142.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Il punteggio dello Sprachspiel è essenzialmente prospettico, a differenza di quanto accade nel gioco del baseball. Ogni interlocutore in un momento dato tiene un suo punteggio conversazionale, che può sovrapporsi parzialmente al punteggio di un altro partecipante, ma mai coincidere con esso. Qualora ciò accadesse la comunicazione tra questi soggetti, con un identico score deontico, sarebbe superflua. Nella realtà è impossibile che due soggetti possano avere le stesse credenze o intenzioni, in quanto possiedono corpi con sistemi nervosi e apparati percettivi differenti e differenti volizioni245.
Dunque non solo il punteggio viene tenuto per ogni interlocutore ma anche da ogni interlocutore. Lo scorekeeping deontico esibisce un carattere doppiamente prospettico e tale che, potenzialmente, in ogni interlocutore si rispecchia la rete degli status deontici (impegni e titoli) della intera comunità.
Il modello del deontic scorekeeping mira ad offrire il nocciolo per una teoria stratificata del linguaggio, in cui la pratica linguistica è intesa in termini di deontic status, nelle due specie di commitment e entitlement, a loro volta sono intesi in termini di atteggiamento, principalmente attribuire, ma anche riconoscere (e, correlativamente, essere disposti a sanzionare e ad essere sanzionati). Una performance ha il significato dell'assunzione di un impegno se dà titolo agli altri ad attribuire l'impegno stesso nei modi del deontic scorekeeping; il significato pragmatico dell’assunzione di impegno attribuita è dato dal modo di alterazione degli status deontici.
4. LA CONCEZIONE ESPRESSIVA DELLA RAZIONALITÀ
Xxxxxxx Xxxxxxx, cui congiuntamente a Xxxxxxx Xxxxx è dedicato Making It Explicit, è senza dubbio l' "eroe" del libro, la figura presente dietro ogni argomentazione, nei confronti del quale Xxxxxxx nutre ammirazione profondissima, ritenendo che egli abbia definitivamente smantellato i pregiudizi perduranti derivanti dal cartesianesimo, particolarmente nel suo capolavoro Empirismo e Filosofia della Mente246, dove si avanza la teoria inferenzialista su cui poggia in gran parte il modello della deontic scorekeeping practice. Manifestamente nel suo pensiero e, in modo più inconsapevole in quello di Xxxxx, si trovano le motivazioni filosofiche per un progetto teorico la cui natura sia dichiaratamente espressiva: Xxxxxxx, che ne condivide l’aspirazione di fondo, afferma di perseguire lo scopo del raggiungimento di un equilibrio espressivo, lungo le coordinate della pratica interpretativa e del metalinguaggio logico.
Posto che egli vede nelle locuzioni logiche uno strumento per poter dire quello che può altrimenti essere soltanto fatto e che quindi questa etichetta va applicata a tutte le espressioni che
245 Xxxxxxx, Xxxxxx, Making It Explicit, cit. pp. 185-6.
246 Xxxxxxx, Wilfrid, Empirismo E Filosofia Della Mente, Torino, Einaudi, 2004.
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hanno un ruolo esplicitante sia sul piano semantico che su quello pragmatico, la logica appare come organo della consapevolezza, un mezzo per accedere alla nostra vera natura razionale. Nell’acquisizione di un linguaggio naturale, i partecipanti hanno imparato a rendere esplicito quello che sono implicitamente in grado di fare. Con l’aiuto del vocabolario logico si rende esplicita la conoscenza intuitiva che possediamo riguardo al mondo in cui il nostro linguaggio può essere usato conformemente a delle regole.
Per Xxxxxxx, il fine cui deve tendere lo sforzo teoretico è l’elaborazione di un metalinguaggio in cui siano descritte le pratiche sufficienti a conferire, alle varie locuzioni considerate, tutte le forme e i contenuti richiesti per svolgere ed enunciare la teoria stessa247.
Il tema della razionalità espressiva veniva da Xxxxxxx affiancato al cosiddetto Metodo Socratico, grazie al quale vengono codificati in forma asseribile i contenuti materiali inferenziali che egli e lo stesso Xxxxxxx ritengono costitutivi della dimensione concettuale.
Il Metodo Socratico si contrappone al metodo induttivo che sviluppa conclusioni generali sulla base di fatti particolari tramite generalizzazione. Questo è, però, possibile soltanto ove nel linguaggio siano disponibili le risorse espressive della forma condizionale248.
Per certi versi si tratta del cuore della teoria sviluppata da Xxxxxxx, quantomeno sul piano metodologico. La formulazione in asserzioni condizionali permette l'assoggettamento dei contenuti impliciti al controllo della ragione. Quando, come spesso accade nel caso delle lingue naturali, il contenuto espresso dalle parole non è chiaro, è possibile la discussione e rettificazione dei concetti.
La forma proposizionale è il requisito che si richiede nello Sprachspiel di cui facciamo parte perché un contenuto possa fungere da premessa e conclusione e quindi essere ricombinabile in inferenze. Questo vale sia per le inferenze di un medesimo soggetto, sia per le inferenze che implicano la trasmissione interpersonale dei contenuti stessi.
Prima dell'ingresso nello stadio autocosciente del linguaggio, i parlanti possono risolvere le questioni relative alla correttezza soltanto al livello della pratica, assumendo un atteggiamento che consiste nel trattare implicitamente una inferenza come corretta249.
247 Nei vari capitoli del testo, in particolare nella seconda parte del volume, si introducono alcune locuzioni aventi un ruolo espressivo rispetto ad alcune caratteristiche della pratica: "True", "Refers", "Of", ma anche "Claims that","Believes that". Così la semantica e la pragmatica delineata nella prima parte del testo possono essere rese esplicite grazie a queste locuzioni al fine di raggiungere un equilibrio espressivo.
248 Ivi pp. 105-7.
249 Xxxxxxx insiste ripetutamente su questo punto. Si veda ad es. pp. 277-9.
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5. LA NOZIONE DI STATUS DEONTICO
Per Xxxxxxx i tipi fondamentali di status deontico sono due: commitment ed entitlement. Il commitment è lo status deontico basilare discorsivo, cui si può assegnare in certa misura il ruolo tradizionalmente svolto dalla credenza; l’entitlement, l’avere titolo, in senso pragmatico normativo, alla performance, è ad esso coordinato.
Essi corrispondono ai primitivi deontici tradizionali di obbligo e permesso, ma sono preferibili a questi non recando con sé l'idea del comando o dell’autorità di un superiore, e quindi non causando lo slittamento dell’interesse teorico verso un'indagine sulla natura del commando o dell’autorità250.
L'approccio di Xxxxxxx è originale nel trattare le relazioni reciproche tra i due primitivi. Solitamente l’uno è spiegato in termini dell’altro, mentre nel modello di Xxxxxxx essi possiedono uno statuto concettuale indipendente.
Gli status deontici sono costituiti dagli atteggiamenti pratici di attribuzione e riconoscimento all'interno della comunità. Dal punto di vista naturalistico, le performances legate a tali status deontici non esibiscono nessun tratto peculiare rispetto ad altri eventi della realtà fisica. Impegni e titoli sono sempre negli occhi degli “osservatori”, che attribuiscono quel carattere normativo costitutivamente, considerando la performance appropriata se e finché è conforme all'autorizzazione o licenza.
Assumere un impegno è fare qualcosa che rende appropriato attribuirlo: per spiegare in cosa consistano tali status l'attenzione va focalizzata sull'atteggiamento dell’attribuzione. L'impegno (commitment) può essere compreso nei termini del titolo o licenza, nel senso che assumere un impegno autorizza gli altri a sanzionare legittimamente o appropriatamente le performances in senso positivo o negativo251.
Ci sono due modi di assumere un impegno: direttamente, tramite avowal, o consequenzialmente252.
Questi due modi corrispondono ai tradizionali due sensi di credenza, in gioco nell’interpretazione intenzionale: quello ideale, ed allora si tratta di una credenza consequenzialmente espansa, indipendente dal riconoscimento del soggetto, e quello concreto, che implica, per contro, il riconoscimento del soggetto cui si ascrive la credenza medesima. Nel primo caso, la credenza si estende oltre ciò di cui si ha consapevolezza, comprendendo anche
250 Ivi pp. 159-61.
251 Ivi pp. 161-3.
252 Ivi pp. 193 ss.
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quanto si dovrebbe razionalmente credere sulla base dei rapporti inferenziali di implicazione e incompatibilità, sussistenti tra una credenza riconosciuta e quelle che da essa derivano.
Asserire è il modo principale di assumere un impegno. Le asserzioni sono ciò per cui vengono chieste ragioni ed, anzi, sono la forma delle ragioni stesse; si tratta di performances con cui si assume apertamente un impegno asserzionale253.
E’ essenziale per la loro forza o significanza pragmatica che le asserzioni siano proposte dai partecipanti al game of giving and asking for reasons come ragioni, nel senso che esse devono essere disponibili per gli altri parlanti come premesse in inferenze e perciò trasmissibili secondo la loro articolazione inferenziale254.
Quanto all’entitlement, Xxxxxxx individua tre modi per rivendicare il proprio titolo: attraverso la giustificazione, attraverso il deferimento e invocando la propria autorità come osservatore affidabile e produttore di nonobservational reports.
La giustificazione si basa sulla produzione di ulteriori asserzioni che fungono da premesse di una inferenza la cui conclusione è l'asserzione contestata, per cui si può dire che accettare la giustificazione significa, per l'audience, aderire all'inferenza proposta 255 . Ancora una volta emerge il legame tra l'articolazione inferenziale e la pratica giustificatoria.
Tramite il deferimento ci si può appellare all'autorità di un altro assertore. Che nel sistema esista tale modalità di rivendicazione del titolo è una conseguenza della presenza della licenza di riasserzione, che non si risolve in trasmissione di contenuti a senso unico, ma comporta uno scambio virtuale tra assertore e audience, e responsabilità del primo, nelle circostanze in cui si verifica la contestazione del titolo.
Quale è il significato pragmatico della differenza tra commitment garantiti da un titolo e non? L'asserzione non garantita non avrà autorità inferenziale e non potrà essere una premessa per le
253 Ivi p. 157.
254 Ivi pp. 168-72. Sono tre le dimensioni di questa articolazione inferenziale. La prima riguarda le modalità di trasmissione degli impegni e dei titoli a livello intrapersonale, che Xxxxxxx definisce committiva o commitment- preserving, per quanto riguarda gli “impegni" - esemplificata dalle inferenze deduttive e da quelle materiali – e permissiva o entitlement-preserving per quanto concerne i “titoli” – esemplificata dalle inferenze induttive empiriche. In questo quadro, l’incompatibilità tra due impegni si può definire dicendo che essi sono incompatibili se l'impegno verso un'asserzione preclude il titolo ad un'altra. La seconda specie di articolazione inferenziale deriva dal distinguere tra due specie di inheritance: quella concomitante e quella comunicativa, ovvero tra intrapersonal o interpersonal use di un'asserzione come premessa. Al livello interpersonale o comunicativo, proporre un'affermazione come vera ha come conseguenza il fornire agli altri una licenza all'attribuzione; è proporre qualcosa che è appropriato che gli altri trattino come vera, approvandola (endorsing). La terza dimensione della articolazione inferenziale è costituita dalle relazioni normative di autorità e responsabilità, che vengono correlativamente istituite in tale pratica. L'adesione ad un impegno doxastico comporta l'autorizzazione ad asserzioni ulteriori, una licenza di riasserzione potenzialmente destinata a tutti i partecipanti, secondo il principio egalitario fondamentale sottostante la pratica. La responsabilità è necessaria per evitare il rischio di una circolarità concettuale nella spiegazione della natura della trasmissione di impegni e titoli: gli altri parlanti possono ereditare il titolo per una propria asserzione dall'assertore, che ne diviene così il garante.
255 Ivi. pp. 176-8.
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transizioni inferenziali altrui. Nello Sprachspiel deontico ideale, descritto qui, fare un'asserzione, senza averne il titolo, costituisce violazione di una norma. La sanzione per tale violazione è di tipo interno: l'asserzione per cui il soggetto non aveva titolo, viene ritenuta inadatta a fornire il titolo agli impegni, il cui contenuto consegue da quello asserito, lungo le tre dimensioni dell'articolazione inferenziale.
Secondo Xxxxxxx, il modello da lui elaborato della pratica linguistica può dirsi caratterizzato da una default and challenge structure of entitlement. In questa pratica linguistica quando si attribuisce un impegno, solitamente, ossia di default, è attribuito il corrispondente titolo. La contestazione (challenge) deve essere appropriata, e non si fissa in uno status deontico particolare: essa contiene in sé i meccanismi per una fondazione pragmatica del game of giving and asking for reasons immune ad argomenti di tipo logico-formale ed all’argomento del regresso.
6. L’INFERENZIALISMO COME TEORIA DEL SIGNIFICATO E DEL CONCETTO
Per Xxxxxxx la riflessione sulla natura dei contenuti concettuali non può essere indipendente dalla teorizzazione delle pratiche umane nel cui ambito vengono in rilievo i concetti: detto più semplicemente, la semantica deve rispondere alla pragmatica256.
256 Ivi p. 83. Xxxxxxx ha dedicato un certo numero di saggi all’approfondimento dei temi pragmatisti presenti in Making It Explicit. Si segnalano i seguenti: XXXXXXX, Xxxxxx. B., Between Saying And Doing: Xxxxxxx Xx Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx, 0000; XXXXXXX, Xxxxxx. B., Perspectives On Pragmatism: Classical, Recent, And Contemporary, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2011; XXXXXXX, Xxxxxx. B., Pragmatics and Pragmatisms, in XXXXXX, Xxxxx; XXXXXX, Xxxxxxx X. (a cura di), Xxxxxx Xxxxxx: Pragmatism and Realism, Routledge, London, 2002, pp. 40-59; XXXXXXX, Xxxxxx. B., The Pragmatist Enlightenment (and its Problematic Semantics), “European Journal of Philosophy”, Vol. 12, No 1, 2004, pp. 1-16; XXXXXXX, Xxxxxx. B., When Philosophy Paints its Blue xx Xxxx: Irony and the Pragmatist Enlightenment, “Boundary 2”, Vol. 29, N. 2, Summer 2002, pp. 1-
28. Sul pragmatismo brandomiano si vedano: FAERNA, Xxxxx Xxxxxx, On Norms and Social Practices: Xxxxxxx, Xxxxx, and the Demarcation Question, “Transactions of the Xxxxxxx X. Xxxxxx Society: A Quarterly Journal in American Philosophy”, Vol. 50, N. 3, 2014, pp. 360-372; GIOVAGNOLI, Xxxxxxxx, Osservazioni sul Concetto di “Pratica Discorsiva Autonoma” in Xxxxxx Xxxxxxx, “Etica & Politica”, Vol. 10, N. 1, pp. 223-235; XXXXXXXXXXX, Xxxxxxxx, Constructing Commitment: Xxxxxxx'x Pragmatist Take on Rule-Following, “Philosophical Investigations”, Vol. 35,
N. 2, 2012, pp. 101-126; XXXXXXX, Xxxxx, Language Is a Form of Experience: Reconciling Classical Pragmatism and Neopragmatism, “Transactions of the Xxxxxxx X. Xxxxxx Society”, Vol. 43, N. 4, 2007, pp. 694-727; Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxx’x Pragmatism, “Transactions of the Xxxxxxx X. Xxxxxx Society: A Quarterly Journal in American Philosophy”, Vol. 48, N. 2, 2012, pp. 125-140; XXXXXX, Xxxxxx, Rehabilitating Objectivity: Xxxxx, Xxxxxxx, and the New Pragmatism, “Canadian Journal of Philosophy”, Vol. 40, N. 4, 2010, pp. 567-590; XXXX, Xxxxxx, Pragmatism and the Normativity of Assertion, “Transactions of the Xxxxxxx X. Xxxxxx Society”, Vol. 38, N. 4, 2002, pp. 521-542; XXXXXXX, Xxx, Pragmatismo e Teorie del Significato: Xxxxx, Davidson, Xxxxxxx, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Pragmatismo e Filosofia Analitica, Macerata, Quodlibet, pp. 139-158; XXXXXXX, Xxxxxxx, The Modal Bond of Analytic Pragmatism, “Etica e Politica: Rivista di Filosofia On-line”, Vol. 11, N. 1, 2009, pp. 385-411; XXXXXX,Xxxxxxx, On The Very Idea Of Xxxxxxx’x Pragmatism, “Philosophia“, Vol. 40. pp. 165-174.
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Un aspetto fondamentale nella ricostruzione brandomiana del concettuale è la difesa della priorità del contenuto proposizionale contro l’impostazione tradizionale prekantiana che, a partire da una dottrina dei termini, divisi in singolari e generali (tra cui i predicati), intelligibili indipendentemente dal loro ruolo nell'enunciato, costruiva una dottrina dei giudizi e delle inferenze, presupponendo come primitivo semantico la rappresentazione.
Sussistono, per Xxxxxxx, motivi sufficienti per abbandonare l'approccio proposto dalle teorie rappresentazionaliste classiche basate sul meccanismo della designazione, su tutti la difficoltà, presente negli approcci latamente cartesiani, di dare conto del significato rappresentativo dei giudizi che, a differenza dei termini, non corrispondono immediatamente ad una “cosa”.
Egli adotta piuttosto una tesi pragmatista e insieme inferenzialista, secondo la quale i contenuti concettuali presentano una articolazione inferenziale che vive nella prassi linguistica: la padronanza di un concetto ammonta alla presa sulle condizioni e sulle conseguenze inferenziali del suo uso, alla capacità pratica di apprezzarne il ruolo all’interno di un ragionamento257. Ciò vale anche per i concetti che originano dall’esperienza: il possesso di reliable differential responsive dispositions è non più di una condizione meramente necessaria della classificazione concettuale dello stimolo, la quale dipende appunto dal ruolo che gioca nel game of giving and asking for reasons.
Corollario di questa tesi è l'olismo riguardo ai concetti: per poter usare un singolo concetto bisogna possederne molti, conoscere i rapporti di derivazione, preclusione e conseguenza che sussistono tra di essi258.
Anche per Xxxxxxx, come per Xxxxxxx, inferire è essenzialmente una attività, qualcosa che si fa, che presuppone una abilità pratica, un know how che consiste nel trattare implicitamente come corrette o meno le transizioni inferenziali nel processo interpretativo. È attraverso questa attività o, meglio, nello svolgersi di essa che noi possiamo avere presa sui concetti, in quanto articolati inferenzialmente, ed è in questa attività che le norme concettuali hanno presa su di noi.
Ulteriore corollario dell’inferenzialismo pragmatico è la priorità del proposizionale giacché sono le proposizioni l’unità minima delle inferenze, di cui costituiscono premesse o conclusioni259. I concetti, allora, possiedono non solo una articolazione inferenziale ma hanno altresì forma proposizionale e in quanto tali sono suscettibili di essere trattati razionalmente.
Quanto alla nozione di inferenza, Xxxxxxx, ancora una volta seguendo Xxxxxxx, rifiuta gli approcci rigidamente formalistici, ammettendo, accanto alle inferenze formalmente rispondenti
257 Ivi pp. 85 ss.
258 Ivi pp. 89-91.
259 Ivi pp. 91-2.
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alle leggi della logica, anche le inferenze materiali, la cui validità dipende dal contenuto
concettuale delle premesse e delle conclusioni.
Egli raffina l’intuizione sellarsiana pervenendo alla conclusione che le inferenze materiali corrispondono al contenuto concettuale delle espressioni non logiche, mentre le inferenze valide in virtù della loro forma logica corrispondono al contenuto concettuale delle espressioni logiche260. Le prime, inoltre, possono vantare una priorità teoretica sulle seconde, in quanto le inferenze formali possono essere definite a partire da quelle materiali, mentre non vale l’inverso. Le inferenze materiali possono essere codificate attraverso l’uso del condizionale e, quindi, venire tematizzate e criticate come impegni inferenziali linguisticamente espliciti.
Un altro aspetto caratteristico dell’inferenzialismo brandomiano, discendente dalle tesi sopra esposte, risiede nel riconoscimento del carattere mutevole dei concetti, sottoponibili a critica, sia nei loro usi particolari che nel complesso della loro inferential significance, nell’ambito del gioco del dare e chiedere ragioni.
Vi sono tre modi, afferma il Nostro, per intendere il rapporto tra inferenzialismo e contenuto concettuale261. La tesi debole sostiene che l'articolazione inferenziale è condizione necessaria del possedere un contenuto inferenziale; quella forte che tale articolazione, latamente inferenziale, è anche condizione sufficiente. Infine, la tesi iperinferenzialista si riferisce all'articolazione inferenziale in senso stretto, come condizione necessaria e sufficiente perché si possa parlare di contenuto concettuale: si differenzia dalla precedente, tra le altre cose, per la negazione della possibilità di inclusione di circostanze e conseguenze di applicazione non inferenziali. Xxxxxxx qualifica la propria teoria come inferenzialista forte262.
260 In particolare vedi Ivi pp. 97 ss.
261 Ivi pp. 130-2.
262 Si veda anche XXXXXXX, Xxxxxx. B., Inferentialism and Some of its Challenges, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 74, No 3, 2007, pp. 651-676. Si segnalano, inoltre, i seguenti contributi sull’inferenzialismo brandomiano: XXXXXXX, Xxxxxxx, Inferentialism and Communicative Action: Robust Conceptions of Intersubjectivity, “Philosophical Studies: An International Journal for Philosophy in the Analytic Tradition”, Vol. 108, N. 1-2, 2002, pp. 121-131, dove si sostiene che l’inferenzialismo fornisce una semantica che complete la teoria habermasiana dell’azione comunicativa senza sacrificare; XXXXXXX, Xxxxx, L’Inferenzialismo Semantico di Xxxxxx Xxxxxxx: Tra Prospettivismo e Oggettività , “Esercizi Filosofici”, Vol. 2, 2007, pp. 256-271; XXXXXXX, Xxxxxx, Making 'Reasons' Explicit: How
Normative Is Xxxxxxx'x Inferentialism?, “Forum Philosophicum: International Journal of Philosophy”, Vol. 13, N. 1,
2008, 127-145; XXXX, Xxxxxxxxx, Making It Explicit And Clear: From “Strong” To “Hyper-” Inferentialism In Xxxxxxx And Xxxxxx, “Metaphilosophy”, Vol. 39, N. 1, 2008, pp. 105-123, che pone in relazione l’inferenzialismo brandomiano con la tradizione pragmatista; MARABINI, Alessia, Xxxxxxx'x Inferentialist Theory And The Meaning Entitlement Connection, “Al-Mukhatabat”, N. 16, 2015, pp. 41-68; XXXXXXXX, David L., The Implications of Xxxxxx Xxxxxxx'x Inferentialism for Intellectual History, “History and Theory”, Vol. 52, N. 1, 2013, pp. 1-31; XXXXX, Xxxxx, Ragione E Pratica Sociale: L'inferenzialismo Xx Xxxxxx Xxxxxxx, “Rivista di Filosofia”, Vol. 90, N. 3, 1999, pp. 467- 485; XXXXXXXX, Xxx, Xxxxxxx, Xxxxx and Inferentialism, “International Journal of Philosophical Studies”, Vol. 10,
n. 4, 2002, pp. 429-447. Xxxxxx Xxxxxxxx (XXXXXXXX, Xxxxxx, Normative Phenomenalism: On Xxxxxx Xxxxxxx'x Practice-Based Explanation of Meaning, “European Journal of Philosophy”, Vol. 13, N.1, 2005, pp. 32-69) ricostruisce quattro criteri di adeguatezza del fenomenalismo normative, etichetta che lo stesso Xxxxxxx (Making It Explicit, cit.
LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA. LA TEORIA DI XXXXXX X. XXXXXXX
In conclusione, nell’impianto teorico di Making It Explicit l’inferenzialismo e il pragmatismo sono inestricabilmente connessi: il fulcro è costituito dalle material proprieties of inference, le norme che reggono le inferenze materiali, che assumono il ruolo tradizionalmente assegnato alla rappresentazione. Il contenuto semantico origina dalla pratica del dare e chiedere ragioni nel suo complesso e non da definizioni stipulative o dal privilegiare un certo tipo di rapporto intercorrente tra certi termini e il mondo.
7. SULLA NORMATIVITÀ DELLA PRATICA LINGUISTICA
In Making It Explicit il tema della normatività delle pratiche linguistiche si lega all’interrogativo intorno alla individuazione dei caratteri che rendono speciale la natura umana, interrogativo che fa da sfondo all’intera trattazione e la cui risposta ne costituisce il fine ultimo. Xxxxxxx si domanda a quali condizioni è corretto includere nella comunità umana ideale qualcuno o qualcosa, quando sia lecito parlare di un “Noi” 263.
La demarcazione del confine tra umano e non umano è un motivo antichissimo nella tradizione filosofica. Nascono insieme indagine filosofica e impulso alla comprensione e definizione dell’uomo come creatura facente parte dell'ordine universale e contemporaneamente irriducibile ai suoi meccanismi.
pp. 291-3) utilizza a proposito della propria teoria: 1) Non-naturalizability constraint: la semantica non può essere spiegata in termini puramente non normativi, bastando, comunque, una normatività sui generis, quale quella esibita dagli atteggiamenti dei parlanti; 2) il vincolo della non circolarità: la nozione di atteggiamento normativo deve avere una sufficiente distanza concettuale dalla nozione di norma semantica per evitare una spiegazione circolare; 3) vincolo anti-realista: il carattere normativo non deve essere ridotto ad altre entità semantiche che trascendano la pratica; 4) vincolo di oggettività: deve essere dimostrato che le norme semantiche possiedano una autorità oggettiva sui parlanti. Nickel (XXXXXX, Xxxxxxxx, Dynamics, Xxxxxxx-style, “Philosophical Studies”, Vol. 162, N. 2, 2013, pp. 333-354) sostiene che la teoria brandomiana appartiene al novero delle teorie cd dinamiche, caratterizzate dall’assumere come tratto fondamentale delle asserzioni il loro effetto sullo scambio comunicativo: in particolare, secondo questa impostazione, il contenuto rappresentazionale può essere definito nei termini dell’alterazione che l’atto linguistico produce rispetto al common ground. La peculiarità dell’approccio brandomiano consiste nell’introduzione del carattere normativo nella dinamica conversazionale, laddove questa famiglia di teorie pone comunemente l’accento sulla dinamica intesa nella dimensione dell’informazione negoziata dai parlanti.
263 XXXXXXX, Xxxxxx, Making It Explicit, cit., pp. 2-7. Sulla normatività si veda dell’autore anche: XXXXXXX, Xxxxxx. B., Modality, Normativity, and Intentionality, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 63, N. 3, 2001, pp. 587-609. Quanto alla letteratura secondaria sul tema, si segnalano: HATTIANGADI, Xxxxxx, Making It Implicit: Xxxxxxx on Rule Following, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 66, N. 2, 2003, pp. 419-431; XXXXX, Xxxxxx, Xxxxxxx et les Sources de la Normativité, “Philosophiques”, Vol. 28, N. 1, 2001, pp. 27-46; XXXXX, David, Genuine Normativity, Expressive Bootstrapping, and Normative Phenomenalism, “Etica e Politica: Rivista de Filosofia On- line”, Vol. 11, N.1, 2009, pp. 321-350; XXXXXX, Xxxxxx, Xxxxx and Habits: Xxxxxxx on the Sociality of Action, “European Journal of Philosophy”, Vol. 23, N. 2, 2015, pp. 248-272; XXXXX, Xxxxxx, Xxxxxxx on Modality, Normativity and Intentionality, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 63, N. 3, 2001, pp. 611-623; XXXXXXX, Xxxxxx, Xxxxxxx on the Normativity of Meaning, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. LXVIII, N. 1, 2004, pp. 141-160.
SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO
Per Xxxxxxx il “Noi” con il quale ci identifichiamo deriva dal nostro essere in grado di esprimere le caratteristiche che ci accomunano ed è questo che fa di un altro essere razionale, dotato della coscienza di sé, un membro della nostra stessa comunità di parlanti partecipanti allo gioco linguistico del dare e chiedere ragioni. Nel riconoscimento di tale status la prospettiva privilegiata è, dunque, quella della socialità.
Nel contesto del progetto brandomiano, che mira alla teorizzazione di un metalinguaggio normativo completo, le risposte a quell’interrogativo fondamentale che fanno appello a categorie proprie di altri settori dell'indagine umana, come la religione, la biologia o persino la psicologia, non appaiono pertinenti. Xxxxxxx nega ripetutamente e recisamente che sia auspicabile o possibile una riduzione dei fatti normativi ai fatti non normativi, ovvero la formulazione del modello linguistico in un metalinguaggio naturalistico - anche se talvolta sembra emergere con forza anche maggiore la sua indifferenza ed estraneità al tema.
Gli uomini, scrive, sono le creature assoggettate alla forza della ragione, alla forza dell'argomento migliore che è una forza normativa. I giudizi percettivi, che costituiscono le nostre risposte all'ambiente che ci circonda, sono interpretabili in termini di verità e rapporti inferenziali con altre credenze e non, riduttivamente, secondo gli stimoli che li generano, comportando l'adozione di uno stato intenzionale di credenza con un contenuto concettuale proposizionale. Analogamente, anche le nostre azioni, che esibiscono una struttura razionale, devono essere distinte dal mero comportamento, oggetto di studio, ad esempio, della etologia.
E' nel pensiero di Xxxx che Xxxxxxx rinviene i postulati fondamentali sul peculiare carattere concettuale dell'attività umana, in particolare nell’affermazione che il nostro è il mondo della responsabilità, tanto per i giudizi quanto per le azioni, un mondo in cui il concettuale ha carattere normativo: i concetti sono regole e, nell’economia del sistema brandomiano, ciò significa che i contenuti proposizionali degli stati intenzionali coincidono con le regole in cui i concetti che li compongono si articolano.
Questo è un nodo cruciale, e sebbene vi siano delle sfasature tra il linguaggio Kantiano e quello di Xxxxxxx, per quest’ultimo essere in uno stato intenzionale consiste kantianamente nella assunzione di un impegno o obbligazione, ovvero nella responsabilità per la correttezza del loro uso rispetto a possibili critiche o giudizi (assessment of correctness). Il passo da questa tesi alla equivalenza delle nozioni di stato intenzionale e status deontico normativo è breve.
La concezione prescrittiva del concettuale si presenta come alternativa al cartesianesimo, e porta alla sostituzione del metalinguaggio descrittivo con un metalinguaggio normativo nella formulazione delle teorie epistemologiche. La nozione di Notwendigkeit è intesa da Xxxx come conformità ad una regola che può essere naturale o morale: allora, la distinzione tra fatti e norme