EVOLUZIONI E MODIFICHE A SEGUITO DELLO SHOCK PANDEMICO
IL PREMIO DI RISULTATO NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN ITALIA
EVOLUZIONI E MODIFICHE A SEGUITO DELLO SHOCK PANDEMICO
a cura di
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Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx Massimo Resce
L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) è un ente pubblico di ricerca che si occupa di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e, in generale, di tutte le politiche economiche che hanno effetti sul mercato del lavoro. Nato il 1° dicembre 2016 a seguito della trasformazione dell’Isfol e vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, l’Ente ha un ruolo strategico – stabilito dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 – nel nuovo sistema di governance delle politiche sociali e del lavoro del Paese.
L’Inapp fa parte del Sistema statistico nazionale (SISTAN) e collabora con le istituzioni europee. Da gennaio 2018 è Organismo Intermedio del PON Sistemi di Politiche Attive per l’Occupazione (SPAO) del Fondo sociale europeo delegato dall’Autorità di Gestione all’attuazione di specifiche azioni ed è Agenzia nazionale del programma comunitario Erasmus+ per l’ambito istruzione e formazione professionale. È l’ente nazionale all’interno del consorzio europeo XXXX-ESS che conduce l’indagine European Social Survey.
Presidente: Xxxxxxxxxx Xxxxx
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Riferimenti
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La collana Inapp Report è curata da Xxxxxxxxxx Xxxxxx.
INAPP
IL PREMIO DI RISULTATO NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN ITALIA EVOLUZIONI E MODIFICHE
A SEGUITO DELLO SHOCK PANDEMICO
a cura di
Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx Massimo Resce
La pubblicazione raccoglie i risultati dell’attività di ricerca “Evoluzione degli assetti della contrattazione collettiva e del sistema di relazioni industriali”, realizzata nel corso del 2021, curata della Struttura dell’Inapp “Mercato del Lavoro” (responsabile Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx), nell’ambito del PON FSE 2016 Sistemi di Politiche Attive per l’Occupazione (SPAO) 2014-2020, Azione 8.5.6 “Individuazione e diffusione di modelli previsionali di anticipazione dei cambiamenti strutturali dell’economia e del mercato del lavoro”, Ambito di attività 2 “Analisi del sistema di contrattazione collettiva”.
Questo testo è stato sottoposto con esito favorevole al processo di peer review
interna curato dal Comitato tecnico scientifico dell’Istituto.
Gruppo di lavoro: Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx
(Responsabile), Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx. Testo a cura di Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx
Autori: Xxxxxxxxx Xxxxxxx (parr. 1.4, 3.4); Xxxxx Xxxxxxxxx (par. 3.2); Xxxxxx Xxxxxxx (par. 1.4, cap.2); Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx (Introduzione, par. 3.3, Conclusioni); Xxxxxxx Xxxxx (Introduzione, par. 3.1, Conclusioni); Xxxxxxxx Xxxxxxxxx (parr. 1.1, 1.2, 1.3).
Coordinamento editoriale: Xxxxxxxx Xxxxxx
Editing grafico e impaginazione: Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Le opinioni espresse in questo lavoro impegnano la responsabilità degli autori e non necessariamente riflettono la posizione dell’Ente.
Testo chiuso a febbraio 2022 Pubblicato a settembre 2022
Alcuni diritti riservati [2022] [INAPP].
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ISSN 2533-1795
ISBN 978-88-543-0243-3
Indice
1 Alcune tendenze generali nella contrattazione collettiva 10
1.1 Il doppio livello di contrattazione in Italia e alcune recenti problematiche 10
1.2 I contratti collettivi di primo livello analizzati nelle fasi pre e post shock pandemico 14
1.3 I richiami al premio di risultato nella contrattazione collettiva 17
1.4 Il sistema a doppio livello della contrattazione collettiva e il grado di diffusione presso le imprese 22
2 Evoluzione normativa del premio di risultato: gli obiettivi del legislatore 32
2.1 L’origine: lo sgravio contributivo dei premi di risultato 33
2.2 La prima fase di sperimentazione della leva fiscale 37
2.3 La detassazione del PdR: la rivoluzione del 2016 40
2.4 La messa a regime dell’impatto e lo shock pandemico 44
3 Monitoraggio degli incentivi sul PdR e gli effetti della crisi pandemica 47
3.1 I principali aspetti distributivi: le tre polarizzazioni 48
3.2 La rilevanza degli obiettivi e degli indicatori di risultato come misura del buon andamento aziendale 55
3.3 Il welfare occupazionale e la partecipazione dei lavoratori all’andamento economico complessivo dell’impresa 65
3.4 La crisi pandemica e la contrattazione di secondo livello: una contrazione inevitabile 82
Introduzione
Il presente studio vuole affrontare la problematica del premio di risultato (PdR) nella contrattazione collettiva in Italia, soffermandosi sulle recenti evoluzioni, con particolare riferimento allo shock determinato dalla crisi socioeconomica derivante dalla pandemia da coronavirus (Covid-19). Le misure di contenimento della pandemia, infatti, hanno causato la più profonda recessione dalla crisi del ‘29. Nel solo 2020 si sono persi quasi dieci punti percentuali di PIL, l’equivalente di quanto fu perso nell’intero periodo della Grande recessione 2008-2013.
Il tema assume importanza poiché, dopo un lungo periodo di silenzio la questione salariale in Italia è entrata nuovamente nel dibattito. L’Italia è l’unico paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale1 è diminuito del 2,9%, mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%. Di recente questa condizione è resa più preoccupante dai primi segnali di ripresa dell’inflazione, tanto che si sta tornando a parlare di meccanismi di contrasto degli effetti negativi sul potere d’acquisto.
In questo scenario la componente variabile del salario legata agli incrementi di performance può rappresentare uno stimolo alla crescita salariale e a quella della produttività del lavoro anch’essa stagnante.
I PdR rappresentano dei tipici elementi integrativi della retribuzione contrattuale e consistono sostanzialmente in vere e proprie poste monetarie aggiuntive. L’accezione ‘premio di risultato’ sta a significare che l’erogazione dell’importo stabilito si concretizza al raggiungimento di un obiettivo, vale a dire di uno specifico, misurabile ed incrementale risultato aziendale.
Le modalità con cui i PdR possono essere erogati sono le più diverse, ma nel caso di specie qui indagato essi devono essere siglati dal datore di lavoro e
Un pensiero per la cara collega Xxxxxxx, compagna di stanza di uno degli autori: per il suo sorriso, la gentilezza e l’ineffabile levità della sua graziosa persona, rimarrà di lei un indelebile ricordo, pur nel fugace passaggio per questa vita.
1 OECD, Dataset: Average annual wages (2020 constant prices).
dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Per quel che concerne la loro genesi, è tra gli anni Cinquanta e Sessanta2 che emergono nuovi modelli retributivi nella contrattazione aziendale. Si trattava di una risposta alle richieste della forza lavoro, desiderosa di veder riconosciuto il proprio apporto al buon andamento aziendale (in quegli anni di vero e proprio sviluppo economico) ma anche all’interesse precipuo dei datori di lavoro di sostituire gli schemi retributivi individuali a cottimo con incentivi che potenzialmente riguardassero tutti i lavoratori. Chiaramente, la sede appropriata, a tal fine, era laddove gli aumenti di produttività venivano realizzati: pertanto, era proprio il secondo livello di contrattazione il luogo in cui gli interessi contrapposti di capitale e lavoro, potevano trovare un naturale luogo di mediazione.
Al raggiungimento degli obiettivi aziendali tutti i dipendenti, che rientrano nel campo di applicazione del contratto decentrato, hanno diritto al PdR. La negoziazione sindacale interna alle singole aziende, difatti, ha da subito assunto tali contratti decentrati come oggetto precipuo del proprio intervento.
Oggi il modello di negoziazione dei salari è sostanzialmente quello previsto dal Protocollo del ‘93, basato su due livelli negoziali specializzati e non sovrapposti. Nel primo livello (Ccnl) vengono stabiliti i minimi retributivi, nel secondo (aziendale o territoriale) viene contrattato il PdR legato ad incrementi di produttività, di qualità e di altri elementi di competitività (Resce e Sestili 2021). Diversi sono stati gli interventi governativi che, dalla fine degli anni ‘90, hanno cercato di incentivare la contrattazione di secondo livello (Marocco et al. 2018), prima facendo leva su un incentivo contributivo poi, negli ultimi anni, puntando sull’incentivo fiscale.
A partire dalla Legge di stabilità del 2016 (legge n. 208 del 28 dicembre 2015), la contrattazione decentrata del PdR ha assunto una fisionomia ricorrente e ben riconoscibile. I contratti devono essere depositati3 esclusivamente in modalità telematica presso un archivio digitale presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (MLPS) per poter maturare il premio fiscale. Nonostante gli stimoli fiscali uno dei principali problemi di questo modello di contrattazione rimane la scarsa diffusione del secondo livello tra le aziende e nei territori.
2 Riguardo ai soggetti istituzionali che più hanno insistito sulla loro applicazione e diffusione non si può non citare l’Intersind la quale rappresentava, in sede di trattative sindacali, le aziende a partecipazione statale afferenti all’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) e all’Ente partecipazioni e finanziamento industrie manifatturiere (EFIM). Nel 1962 l’Intersind siglava con Cgil, Cisl e Uil l’accordo quadro sul doppio livello di contrattazione (nazionale ed aziendale) dando così un forte impulso alla contrattazione decentrata.
3 Entro 30 giorni dalla sottoscrizione.
Su un quadro di riferimento negoziale così composto, caratterizzato da fragilità endemiche, è intervenuta la crisi socioeconomica innescata dalla pandemia e dalle relative misure restrittive. Il riflesso negativo è stato immediato su tutti i settori produttivi, ad eccezione di quelli4 che sono rimasti in produzione per esigenze di tenuta dei sistemi economici e sociali. Ciò detto, le limitazioni alla circolazione di merci e persone, il contestuale crollo della domanda e dell’offerta, con la conseguente caduta dei fatturati delle imprese, hanno rischiato di far saltare anche il meccanismo virtuoso dei premi di risultato.
Durante la fase pandemica, anche la contrattazione collettiva, sia di primo che di secondo livello, ha fatto registrare una forte battuta di arresto. Basti pensare che nel primo livello di contrattazione, nel corso del 2020, sono stati siglati solo sette contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl). Si tratta di un elemento comunque importante, poiché il ruolo svolto dal primo livello non può essere per nulla negletto in quanto una parte della promozione degli accordi decentrati trova in esso un necessario quadro di riferimento e un costante impulso alla sua ulteriore diffusione. Xxxxx qui solo riflettere sul ruolo chiave per la spinta all’adozione di diversi strumenti contrattati nel secondo livello (welfare, partecipazione, formazione, assistenza sanitaria ecc.) svolto dal Ccnl del settore manifatturiero.
In generale, a differenza del primo livello, durante lo shock pandemico, la contrattazione decentrata è stata costretta a riorganizzarsi in funzione delle misure urgenti per la tutela della forza lavoro impiegata nelle attività aziendali. Quindi il focus negoziale si è spostato sui temi legati alla sicurezza e alla salute sul posto di lavoro. Per le stesse ragioni ha subito una forte accelerazione l’adozione di modalità di svolgimento dell’attività lavorativa da remoto che sono state chiamate, con qualche forzatura concettuale, ‘lavoro intelligente’ (smart working). Anche il lavoro da remoto è diventato presto oggetto di una diffusa contrattazione tra le organizzazioni sindacali e il management delle imprese al fine di tutelare la ridotta attività produttiva aziendale.
In questo studio, dunque, partendo dalle tendenze generali registrate nella contrattazione di primo livello, affrontate nel capitolo 1, si analizzano da un lato alcuni fenomeni di frammentazione contrattuale, che potrebbero determinare una corsa al ribasso dei livelli minimi salariali, dall’altro si evidenziano i richiami ai PdR in recenti contratti che, incidendo sulla parte variabile dei salari, dovrebbero determinarne una spinta al rialzo degli stessi. In seguito, si affronta la problematica del radicamento della contrattazione di
4 Quali il settore sanitario, l’approvvigionamento agroalimentare, la grande distribuzione, le forze di sicurezza, i circuiti bancari e finanziari, tutte le infrastrutture critiche nazionali, le utility dei servizi essenziali (comunicazioni, reti, acqua, luce, gas, nettezza urbana) ecc.
primo e di secondo livello tramite le evidenze empiriche dell’indagine Inapp RIL (Rilevazione Longitudinale su Imprese e Lavoro).
Nel capitolo 2 si descrive l’evoluzione normativa della misura governativa basata sull’incentivo fiscale sul PdR e volta a stimolare un maggior uso della contrattazione di secondo livello. Si analizzano le diverse fasi dallo sgravio contributivo, alla prima fase di sperimentazione della leva fiscale fino all’ultima ‘rivoluzione’ del 2016, che ha introdotto, tra l’altro, il monitoraggio amministrativo. Viene dunque evidenziata la filosofia di fondo della recente misura, tesa a collegare strettamente l’erogazione del premio aziendale a incrementi di performance oggettivamente misurabili. Si ripercorre dunque la messa a regime del nuovo impianto normativo e gli effetti dello shock pandemico.
Il capitolo 3, riporta una prima analisi del monitoraggio amministrativo descrivendo negli aspetti generali le polarizzazioni che sta assumendo la contrattazione decentrata per dimensione, settore economico e territorio. Si passa quindi ad una specifica trattazione delle misurazioni, legate ai diversi obiettivi e indicatori di performance, che il legislatore propone di adottare nella sottoscrizione dei contratti aziendali e territoriali. Si analizzano, inoltre, i tre strumenti complementari previsti nella contrattazione di secondo livello come il welfare aziendale, la partecipazione al buon andamento aziendale e la partecipazione agli utili d’impresa. Da ultimo ci si sofferma sugli effetti determinati dalla crisi pandemica sull’andamento della contrattazione decentrata del PdR.
Infine, si provano a tracciare alcune conclusioni con riflessioni di sintesi e suggestioni che potrebbero essere utili ai decisori politici.
1 Alcune tendenze generali nella contrattazione collettiva
In questo capitolo si descrivono alcune tendenze di carattere generale che si stanno registrando nell’ambito della contrattazione collettiva.
Partendo dal modello negoziale, basato su due livelli specializzati e non sovrapposti di contrattazione, si evidenziano alcuni fenomeni preoccupanti — presenti in particolar modo nel primo livello — che si ipotizza potrebbero generare una spinta al ribasso dei livelli minimi salariali e determinare una distorsione delle condizioni di lavoro e della corretta competizione tra le aziende. In questo contesto, la componente variabile legata agli incrementi di performance, potrebbe svolgere una leva importane di spinta al rialzo dei salari.
Usualmente i PdR vengono contrattati nel secondo livello ma importanti riferimenti si possono riscontrare anche nel primo, per cui si cerca di comprendere se e in che misura essi sono stati previsti anche negli ultimi contratti sottoscritti a ridosso della crisi determinata dall’emergenza sanitaria per la malattia da coronavirus (Covid-19).
Infine, si cerca di misurare il grado di radicamento delle diverse forme di contrattazione presso le imprese facendo uso dei dati quantitativi derivanti dall’indagine Inapp RIL (Rilevazione Longitudinale su Imprese e Lavoro). La scarsa diffusione del secondo livello, limitando di fatto il ricorso ai PdR, potrebbe costituire un freno alla crescita dei salari.
1.1 Il doppio livello di contrattazione in Italia e alcune recenti problematiche
Come noto, nel nostro Paese il sistema contrattuale si articola in due livelli: il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (Ccnl), che garantisce la certezza e l’uniformità del trattamento economico e normativo comune a tutti i lavoratori
del settore, e il contratto di secondo livello che riguarda materie diverse da quelle proprie dei Ccnl, che non siano già state negoziate a livello nazionale, tra cui le erogazioni economiche correlate a risultati concordati tra le parti, in relazione a determinati obiettivi come l’incremento della produttività e della redditività, il miglioramento dell’efficienza organizzativa ecc.
La struttura di tale sistema si basa sul ruolo delle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative che stipulano sia accordi trasversali ai diversi settori, mediante i quali sono governati gli assetti della contrattazione e l’esercizio della rappresentanza, sia contratti collettivi nazionali, che stabiliscono modalità di utilizzo della manodopera e retribuzioni in ciascun settore. In mancanza di un intervento legislativo che definisca i requisiti necessari alla stipula di intese con valore nei confronti di tutto il settore, queste ultime non hanno efficacia generale e sono vincolanti solamente per le parti firmatarie.
È noto che, in virtù di una consolidata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, che considera immediatamente precettivo il primo comma dell’art. 36 della Costituzione, in Italia i c.d. minimi tabellari stabiliti nei Ccnl costituiscono un “equivalente funzionale del salario minimo legale” (Leonardi 2014, 190). Grazie a questo meccanismo, infatti, detti minimi risultano applicabili anche a imprese e lavoratori che non hanno sottoscritto alcun contratto collettivo. Questo meccanismo giurisprudenziale, di estensione soggettiva, ha ovviato alla mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione sull’estensione erga omnes dei contratti collettivi (Guarriello 2015, 328), consentendo ai Ccnl di essere applicati con efficacia generalizzata, almeno per i minimi retribuitivi, benché formalmente essi siano privi d’efficacia generale.
I livelli retributivi minimi sono unici per il territorio nazionale e per aggirare questo ostacolo si sono diffusi nel tempo nuovi accordi che regolano gli stessi comparti e inquadramenti, ma caratterizzati da livelli salariali differenziati, stipulati da associazioni di rappresentanza minori, sulla cui legittimità la giurisprudenza non ha ancora raggiunto un orientamento definitivo (D’Amuri e Xxxxx 2017). D’altro canto, in applicazione del principio costituzionale di libertà sindacale (art. 39), nel nostro ordinamento la coesistenza di più Ccnl riferiti ad uno stesso settore è legittima; non è quindi possibile impedire a un’associazione sindacale di autodefinirsi rappresentativa, né di concludere un accordo nazionale in un settore già coperto da altri accordi di pari livello. In ambito privato, poi, i datori di lavoro non hanno l’obbligo di applicare nella propria azienda un contratto specifico e non esistono regole che determinano una soglia di rappresentatività ai fini della contrattazione di primo livello. Tutto ciò ha dato luogo in primis ad una crescente frammentazione nel panorama della contrattazione nazionale e in secundis al fenomeno conosciuto come dumping contrattuale (CNEL 2021b), basato sulla proliferazione di accordi nazionali
stipulati allo scopo di creare condizioni di maggior favore per il datore di lavoro (c.d. contratti pirata).
La situazione è deflagrata negli ultimi anni, portando il numero di contratti collettivi in vigore depositati presso l’archivio del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) dai 549 di settembre 2012 ai 991 di settembre 2021 (CNEL 2021a), nonostante il periodo più recente sia stato segnato dalla pandemia e sia stata registrata una ridotta attività di negoziazione (grafico 1.1).
Grafico 1.1 Ccnl vigenti depositati al CNEL, settembre 2012-settembre 2021
Andamento temporale
991
868
884
909
939
803
743
664
606
549
2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
Fonte: CNEL, Archivio nazionale dei contratti, 2021b5
Attualmente, la problematica del dumping viene molto dibattuta ai tavoli di negoziazione nazionale; un esempio è rappresentato dalla Ipotesi per il Rinnovo del Ccnl per gli addetti delle aziende conciarie del 2021, che introduce per l’appunto nel testo un articolo definito come nuovo: “Legalità e dumping contrattuale”. Le parti firmatarie tengono a evidenziare il fatto che, sempre più frequentemente, vengono formalizzati Ccnl diversi da quelli firmati dalle associazioni Confindustriali e dai sindacati aderenti a Cgil, Cisl e Uil, e sottoscritti da parti sindacali e datoriali di dubbia rappresentatività. Contratti che, “…pur regolarmente depositati al CNEL, introducono nel mercato elementi di sfruttamento oltre a non consentire una corretta competizione tra le aziende e una ingiustificata distorsione delle condizioni di lavoro…”.
All’interno di tale contesto i delegati storici di imprese e lavoratori stanno cercando di costruire un sistema di regole utili a riordinare la contrattazione
5 Cfr: xxxxx://xxx.xx/0XxxXXX (pag. 35).
collettiva e a mantenere in vita la sua funzione principale. Per sostenere una diffusa applicazione dei Ccnl sottoscritti dalle maggiori organizzazioni, viene ritenuto necessario intervenire anche sul completamento del processo di certificazione della rappresentanza pur considerando che, in assenza di una misurazione codificata della rappresentatività degli organismi delegati delle imprese e dei lavoratori, e quindi del numero di addetti cui il singolo Ccnl risulta essere applicabile, non è possibile quantificare l’esatta entità del fenomeno della frammentazione contrattuale6 (Schiavo 2021).
Molto recentemente però si è verificata una svolta: è stato finalmente istituito il Codice alfanumerico unico dei contratti collettivi nazionali di lavoro7 la cui composizione, definita secondo criteri stabiliti dal CNEL, d'intesa con Inps e Ministero del Lavoro, consentirà di mettere a sistema le informazioni sulla contrattazione collettiva. Con la Circolare Inps n. 170 del 12 novembre 2021 si dà applicazione alla legge di conversione del Decreto Semplificazioni8, recependo quanto previsto da un disegno di legge presentato dal CNEL allo scopo di svolgere un censimento della contrattazione collettiva, consentendo l’immediata determinazione del numero di lavoratori ai quali si applica una specifica disciplina contrattuale. Allo stesso Xxxxxxxxx è affidato il compito di attribuire il codice a ciascun Ccnl al momento del suo xxxxxxxx0.
In quanto al ruolo della contrattazione di secondo livello, questo rimane gerarchicamente subordinato alle disposizioni definite a livello nazionale: può modificare aspetti dell’organizzazione del lavoro, ma solo su delega del Ccnl e può stabilire il pagamento di componenti aggiuntive, rispetto ai minimi previsti
6 Secondo uno studio di Banca d’Italia, i dati a disposizione renderebbero possibile almeno una riclassificazione dei contratti in tre categorie: a) Principali: i maggiormente rappresentativi all’interno di ciascun settore e monitorati dall’Istat ai fini del calcolo dell’indice delle retribuzioni contrattuali; b) Secondari: accordi generalmente siglati da organismi rappresentativi che possono riguardare specifiche categorie di imprese all’interno di un settore in cui è già presente un contratto ‘principale’, non monitorati dall’Istat ma comunque presenti nelle classificazioni Inps; c) Minori: intese di stipula recente ad opera prevalentemente di organizzazioni marginali, non presenti né nell’indagine Istat né nella classificazione contributiva Inps aggiornata al 2004 (D’Xxxxx e Xxxxx 2017).
7 <xxxxx://xxx.xx/0xxxX0X>.
8 DL. n. 76/2020 convertito dalla L. n. 120/2020, art.16 quater.
9 La procedura prevede che a ciascun contratto collettivo, depositato presso l’archivio nazionale del CNEL, venga attribuito un codice alfanumerico unico per tutte le amministrazioni, da utilizzare anche nelle varie trasmissioni che i datori di lavoro sono tenuti ad effettuare mensilmente (COB, UniEmens ecc.). L’Inps potrà utilizzare tale numerazione per le proprie finalità istituzionali e verificare il rispetto dei minimali contributivi, ottenendo dal CNEL la mappatura costantemente aggiornata dello stato della contrattazione collettiva di livello nazionale. Il codice permetterà di individuare anche dei parametri utili a identificare quale o quali contratti collettivi di lavoro possono essere presi a riferimento all’interno di un medesimo settore ai fini giudiziali, e costituire un benchmark utile a tracciare la linea di demarcazione fra pluralismo contrattuale e pratiche sleali, grazie all’abbinamento a ciascun contratto del numero di lavoratori dipendenti ai quali è applicato sulla base del flusso di comunicazioni UniEmens.
dal contratto nazionale, ma non rimodulare i livelli retributivi. Nonostante la struttura di contrattazione fissi in maniera abbastanza puntuale gli ambiti delle materie di cui devono occuparsi i due livelli contrattuali, non è infrequente che alcune materie, se pure trattate in maniera esaustiva al secondo livello, vengano comunque richiamate al livello superiore. Tale aspetto risulta interessante in quanto, come è noto, la contrattazione decentrata non è diffusa in maniera omogenea in tutti i comparti e settori economici.
1.2 I contratti collettivi di primo livello analizzati nelle fasi pre e post shock pandemico
In questo paragrafo si intende verificare se il PdR sia oggetto di interesse nella negoziazione di primo livello. In particolare, ci si chiede se nel testo degli accordi di rinnovo contrattuale siano presenti richiami relativi alla misura e al suo utilizzo, o indicazioni che ne raccomandino la discussione in ambito decentrato. Lo studio ha preso in analisi i principali atti siglati nel 2020 e nel primo trimestre del 2021, in coerenza con i dati dell’archivio digitale del MLPS che verranno trattati nel capitolo 3.
Va considerato come l’incertezza economica derivante dall’emergenza sanitaria e il progressivo indebolimento dell’inflazione, cui si guarda per fissare gli incrementi tabellari, abbiano inciso negativamente sulla chiusura delle numerose trattative in corso. Nel 2020 si sono registrati solamente sette accordi di rinnovo, un’esigua parte degli oltre cinquanta scaduti a inizio anno. Il marcato rallentamento dei processi negoziali appare evidente anche se, già dal primo trimestre del 2021, si rilevano importanti segnali di ripresa dell’attività, con otto contratti ratificati nell’arco dei tre mesi.
Andando più nello specifico, nel corso del primo trimestre 2020, sono stati recepiti solamente tre accordi mentre ne sono scaduti dieci; quelli in attesa di rinnovo a fine marzo ammontano a 51 e interessano circa 9,9 milioni di dipendenti (80,4% del totale). Nel secondo trimestre non è stato recepito alcun nuovo accordo e ne è scaduto uno; i contratti in attesa di rinnovo a fine giugno sono 52 e coinvolgono circa 10,2 milioni di dipendenti (82,4% del totale). Nel terzo trimestre sono stati recepiti tre accordi e nessuno è scaduto, ma i contratti in attesa di rinnovo a fine settembre sono 49 e interessano circa 9,7 milioni di dipendenti (78,8% del totale). Nel xxxxx xxx xxxxxx xxxxxxxxx è stato recepito un solo accordo e ne è scaduto uno mentre i contratti in attesa di rinnovo a fine dicembre sono 49 e coinvolgono circa 10 milioni di dipendenti (80,9% del totale). Nel solo primo trimestre 2021 però, sono stati recepiti otto contratti e quelli in
attesa di rinnovo a fine marzo ammontano a 43 e interessano circa 9,7 milioni di dipendenti 78,5% del totale (Istat 2020a, 2020b, 2020c, 2020d, Istat 2021).
Ai fini dell’indagine, prendendo come riferimento i dati Istat sui Contratti collettivi e retribuzioni contrattuali, sono stati analizzati diciassette Accordi di rinnovo: quattordici Ccnl ratificati nel corso del 2020 e nel primo trimestre del 202110, più tre Ipotesi di accordo, scelte in base alla loro importanza come guida nella stagione dei rinnovi contrattuali, ma in attesa di validazione dopo consultazione certificata al momento della stesura del capitolo.
Più specificamente, sono stati analizzati sette accordi ratificati nel corso del 2020:
• Accordo di rinnovo del Ccnl per il personale dipendente da società e consorzi concessionarie di Autostrade e trafori, siglato il 16 dicembre 2019 da Federreti, Fise-Acap con Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil Trasporti, Sla-Cisal, Ugl Viabilità e logistica.
• Accordo di rinnovo del Ccnl Parte generale del Trasporto aereo, siglato il 30 maggio 2019 da Assaeroporti, Assaereo, Assohandlers, Assocontrol, Federca- tering, Fairo con Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil Trasporti, Ugl Trasporto aereo.
• Accordo di rinnovo del Ccnl per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, si- glato il 19 dicembre 2019 tra ABI e Fabi con First Cisl, Fisac-Cgil, Uilca, unità sindacale Falcri-Silcea-Sinfub.
• Accordo di rinnovo del Ccnl Industria alimentare, siglato il 31 luglio 2020 da Ancit, Anicav, Assica, Assobibe, Assitol, Assobirra, Assolatte, Federvini, Mine- racqua, Unaitalia, Unione Italiana Food con Fai-Cisl, Flai-Cgil, Uila-Uil.
• Accordo di rinnovo del Ccnl per gli addetti delle aziende industriali che produ- cono e trasformano articoli di vetro, comprese le aziende che producono lampade e display, siglato il 19 giugno 2020 da Assovetro con Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil.
• Accordo per il rinnovo del Ccnl Gomma e materie plastiche, siglato il 16 set- tembre 2020 dalla federazione Gomma Plastica con Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil.
• Accordo di rinnovo del Ccnl Legno, sughero, mobile, arredamento, boschivi e forestali, siglato il 19 ottobre 2020 da Federlegno Arredo con Feneal-Uil, Filca- Cisl, Fillea-Cgil.
10 Tutti i dati riportati nel capitolo sono tratti da ISTAT, Statistiche flash - Contratti Collettivi e Retribuzioni Contrattuali del 2020 e 2021.
Sette accordi recepiti nel primo trimestre del 2021:
• Accordo per il rinnovo del Ccnl per gli addetti dell’industria delle piastrelle di ceramica, dei materiali refrattari, ceramica sanitaria, porcellane e ceramiche di uso domestico e ornamentale, di ceramica tecnica e di tubi in gres, siglata il 26 novembre 2020 da Confindustria ceramica con Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil.
• Accordo per il rinnovo del Ccnl per il settore privato dell’Industria armatoria- le, trasporti marittimi, siglato il 16 dicembre 2020 da Confitarma, Assarmato- ri, Assorimorchiatori, Federrimorchiatori con Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil Trasporti.
• Accordo per il rinnovo del Ccnl per il personale dipendente da imprese eser- centi servizi di telecomunicazione, siglato il 12 novembre 2020 da Assotele- comunicazioni- Asstel con Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Fistel-Cisl.
• Accordo per il rinnovo del Ccnl Lavanderie e tintorie – industria e artigianato, siglato il 30 gennaio 2019 da Conflavoro PMI con Confsal, Fesica, Fisals.
• Accordo per il rinnovo del Ccnl per gli addetti delle aziende conciarie, siglato il 21 gennaio 2021 da Unic-Concerie italiane con Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uil- tec-Uil.
• Accordo per il rinnovo del Ccnl per grafici editori, siglato il 19 gennaio 2021 da Associazione italiana industrie grafiche cartotecniche e trasformatrici- Assografici, Associazione italiana editori-Aie, Associazione nazionale editoria di settore-Anes con Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Fistel-Cisl (rappresentanti generali e nazionali).
• Accordo di rinnovo Ccnl dei lavoratori dei porti, siglato il 24 febbraio 2021 da Assiterminal, Assologistica, Fise-Uniport, Assoporti con Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil Trasporti.
Infine, tre verbali di accordo, non ancora ratificati al tempo della stesura di que- sto studio, ma presi in considerazione sia in ragione della loro rilevanza, sia per il fatto di essere in attesa di rinnovo già dal primo trimestre del 2020:
• Ipotesi di Accordo per il Rinnovo del Ccnl per l’industria metalmeccanica e della installazione di impianti 2021, siglato il 5 febbraio 2021 da Federmecca- nica, Assistal con Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil.
• Ipotesi di Accordo per il rinnovo del Ccnl per le lavoratrici e i lavoratori addet- ti alla piccola e media industria metalmeccanica, orafa e alla installazione di impianti, firmato il 26 maggio 2021 da Unionmeccanica Confapi con Fiom- Cgil, Fim-Cisl e Uim-Uil.
• Ipotesi di Accordo per il rinnovo del Ccnl logistica, trasporto e spedizione, si- glato il 18 maggio 2021 dalle 23 Associazioni datoriali del settore.
1.3 I richiami al premio di risultato nella contrattazione collettiva
Tra i diciassette documenti analizzati solamente in sette il premio di risultato è oggetto di specifico interesse o sono presenti riferimenti relativi all’utilizzo della misura, o indicazioni che ne suggeriscono la discussione in ambito aziendale.
Il Ccnl per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione siglato nel 2020 dedica l’intero articolo 44 al PdR. Viene specificato che la contrattazione aziendale a contenuto economico è consentita per l’istituzione del premio calcolato in relazione ai risultati conseguiti, già concordati tra le Parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, redditività, qualità e altri utili al miglioramento della competitività e andamento economico aziendale. La misura dovrà avere caratteristiche tali da consentire il trattamento fiscale e contributivo previsto dalla normativa. Al fine di definire gli obiettivi della contrattazione aziendale, le parti esamineranno “in apposito incontro in sede” le condizioni produttive e occupazionali d’impresa. Si sottolinea che l’erogazione del premio avrà caratteristiche non determinabili a priori, in quanto variabile in funzione dei risultati ottenuti, e avverrà secondo le modalità precedentemente concordate dalle Parti in sede aziendale e che, in considerazione di quanto previsto dalla norma in sede di contrattazione di secondo livello (art.1 L. n. 208/2015 e art.51 TUIR), “fermi restando i requisiti di reddito previsti dalla norma richiamata”, i lavoratori interessati potranno decidere se convertire l’importo maturato (totalmente o in parte) in servizi di welfare già esistenti o che saranno implementati.
L’Accordo di rinnovo del Ccnl Legno, sughero, mobile, arredamento, boschivi e forestali, ratificato nel 2020, riserva alla misura l’articolo 39 e ricalca i punti considerati dal contratto appena esaminato, descrivendo il premio di risultato, la sua variabilità, la sua finalità e la sua applicabilità nonché l’ambito di negoziazione, che è quello aziendale. Oltre a ciò, specifica che “in attesa che le parti nazionali si attivino per concordare altre forme di welfare bilaterale, a livello aziendale la contrattazione di secondo livello potrà definire l’offerta di welfare”. Anche in questo caso le Parti dovranno valutare, in un apposito incontro preventivo, la situazione reddituale dell’impresa, il livello di competitività, le sue prospettive di sviluppo e concordare ‘forme e modi’ di corresponsione del premio “senza oneri per le aziende e senza svantaggi per i lavoratori”, anche in forma di welfare integrativo.
L’Accordo di rinnovo del Ccnl del Trasporto aereo (2020) alla sezione Generale non fa alcuna menzione al PdR, ma alla parte specifica ‘Gestori aeroportuali’ troviamo l’articolo G1, dedicato alla ‘Contrattazione di secondo livello e Premio
di risultato’. Al pari dei casi precedenti viene descritta la misura dal punto di vista contrattuale, normativo e la sua entità variabile; vengono poi fornite le ‘Linee guida’ degli obiettivi da misurare in relazione al miglioramento di produttività, redditività, qualità e andamento economico delle singole aziende. Oltre alle voci appena menzionate, si rileva un ‘parametro di base’, importo di riferimento comune a tutte le aree aziendali e la ‘Produttività di area’ che ha come riferimento gli elementi di produttività previsti dalla carta dei servizi ENAC (Ente nazionale per Aviazione civile). Il documento sottolinea altresì che gli elementi economici sono esclusivamente legati alla presenza del lavoratore in azienda. Specifico istituto di questo contratto è la voce della ‘Garanzia retributiva’, ai sensi del quale: “Nelle aziende prive di qualsiasi contrattazione di secondo livello (…) nelle quali non siano stati definiti accordi aziendali relativi al Premio di risultato, i cui dipendenti non percepiscano nessun altro trattamento economico/normativo individuale o collettivo in aggiunta a quanto spettante per il Ccnl, si darà luogo all’erogazione di un importo a titolo di garanzia retributiva, pari a 120 euro”.
Tra i contratti ratificati nel primo trimestre del 2021 il solo Ccnl Lavanderie e tintorie – industria e artigianato fa menzione al premio di risultato. Già dalla premessa si proclama una maggiore attenzione alle logiche collaborative e partecipative sia all’interno delle imprese, attraverso la premialità di risultato, sia tra le organizzazioni rappresentative, attraverso la bilateralità quale strumento di attivazione del welfare contrattuale e supporto del welfare aziendale e territoriale. Al PdR è riservato l’articolo 28, con la specifica secondo la quale sarà variabile, e negoziato in funzione dei parametri concordati di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione che dovranno essere misurati obbiettivamente anche attraverso comitati paritetici. Ulteriore elemento considerato è che in sede di negoziazione del premio sia avviato un confronto sulla eventuale attivazione di programmi di welfare aziendale, che oltre a essere agevolati sono utili al “rafforzamento dei legami collaborativi…”.
Tra i contratti non ancora validati ma presi in considerazione ai fini dello studio, l’Ipotesi di accordo per il rinnovo del Ccnl per l’industria metalmeccanica e della installazione di impianti (2021), all’articolo 9bis, intitolato ‘Iniziative di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nell’impresa’, contiene alcuni richiami al PdR. Le parti concordano di istituire una commissione che “fornirà indirizzi al fine di promuovere — anche attraverso attività svolte in accordo con le rispettive strutture territoriali — la sperimentazione di iniziative di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nell’impresa anche in relazione alle innovazioni legislative in materia”. Il modello sperimentale sarà ampliato dalle aziende su base volontaria e in accordo con la RSU, con la possibilità di essere formalizzato all’interno di un protocollo da predisporre con l’assistenza delle rispettive organizzazioni.
L’analogo accordo per l’Industria metalmeccanica relativo alle PMI (2021) non dispone nulla di specifico, salvo un piccolo rinvio all’articolo 52-welfare, ai sensi del quale le parti dovranno tenere conto dell’evoluzione normativa al fine di produrre indicazioni o soluzioni utili alle aziende associate.
Molto dettagliata invece l’Ipotesi di accordo Ccnl logistica, trasporto e spedizione (2021) che alla Sezione seconda — Disciplina del rapporto di lavoro — oltre agli articoli dedicati al welfare contrattuale, dedica interamente l’articolo 53 al welfare aziendale sperimentale. In prima istanza si rileva un rimando alla contrattazione aziendale: “L’erogazione di ulteriori elementi economici rispetto a quanto già previsto dal contratto sarà realizzata mediante la contrattazione di secondo livello, in coerenza con le strategie delle imprese,…” e il ricorrente richiamo alla modalità di definizione degli obiettivi della contrattazione integrativa e alla variabilità degli importi dei nuovi elementi economici integrativi che saranno “non predeterminabili e non utili ai fini di alcun istituto legale e contrattuale”. Anche in questo caso le Parti concordano che, in sede di negoziazione del PdR, sia avviato un confronto sull’eventuale attivazione di programmi di welfare aziendale che “oltre ad essere particolarmente agevolanti… possono rafforzare i legami collaborativi che, oggi più che mai, rappresentano un elemento strategico di competitività delle aziende…”. Le misure di welfare aziendale, che potranno sostituire in parte o totalmente il premio di risultato, saranno indirizzate a facilitare la conciliazione tra vita professionale e vita privata dei lavoratori, migliorandone anche la qualità della vita attraverso educazione, istruzione, ricreazione e assistenza sociale e sanitaria. Di seguito, l’accordo elenca in via esemplificativa, gli strumenti di welfare aziendale non soggetti a regime fiscale e contributivo, fruibili in alternativa a premi di risultato in forma monetaria. Viene specificato, inoltre, che il valore del premio, non monetizzabile, si aggiunge all’eventuale piano welfare già presente in azienda “sia esso previsto da un accordo aziendale piuttosto che fornito unilateralmente dall’azienda tramite regolamento, lettera di assunzione o altre modalità di formalizzazione, derivanti da accordi collettivi”.
Il testo dell’articolo 53 sottolinea, inoltre, che qualsiasi erogazione dovrà avere caratteristiche tali da consentire l’applicazione del trattamento contributivo e fiscale previsto dalla normativa e specifica che i PdR saranno oggetto di tassazione agevolata solo se correlati a miglioramenti misurabili e verificabili, attraverso il ricorso a indicatori individuati secondo criteri che possono riguardare l’aumento della produzione, il miglioramento della qualità dei prodotti/servizi e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro o il ricorso al lavoro agile. Viene indicato altresì che ai sensi dell’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, è necessario introdurre almeno due interventi selezionati dalle
aree tematiche della genitorialità, della flessibilità organizzativa o del welfare aziendale (art. 3 del decreto interministeriale del 12 settembre 2017).
Oltre a ciò, viene specificato che i contratti a livello aziendale dovranno riguardare almeno il 70% della media dei lavoratori dipendenti, occupati nell’anno precedente a quello in cui è presentata la domanda di accesso al beneficio, e che al fine della validità tali accordi dovranno essere depositati presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente, ai sensi di legge.
Le Parti firmatarie degli accordi territoriali e/o aziendali, potranno affidare all’Osservatorio Nazionale, istituito presso l’Ente Bilaterale, il compito di acquisire ed elaborare le informazioni nonché di monitorare e analizzare i PdR “al fine di promuovere e favorire la diffusione della contrattazione di II livello con vantaggi su produttività, redditività, qualità ed efficienza, al fine del godimento delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa…”. Viene poi indicato alle aziende di confrontarsi con le RSU, o con gli stessi lavoratori, per individuare beni e servizi adatti alle caratteristiche dei dipendenti, utili al miglioramento della qualità della loro vita personale, privilegiando quelli con finalità di educazione, istruzione, ricreazione e assistenza sociale e sanitaria o culto. Le Parti, infine, dovranno monitorare sia l’attuazione delle misure, sia l’evoluzione normativa, per definire congiuntamente eventuali indicazioni o soluzioni.
In definitiva, la stagione contrattuale del 2020 è stata sicuramente anomala: l’incertezza economica, derivante dall’emergenza sanitaria e il progressivo indebolimento dell’inflazione, cui si guarda per fissare gli incrementi tabellari, hanno inciso negativamente sulla chiusura delle numerose trattative in corso. Nel 2020 si sono registrati solamente sette Accordi di rinnovo; si è visto infatti come a fine dicembre le intese ancora in attesa di essere sottoscritte siano 49 e coinvolgano circa 10 milioni di dipendenti. Il marcato rallentamento dei processi negoziali appare evidente, anche se, già dal primo trimestre del 2021, si rilevano importanti segnali di ripresa dell’attività, con otto contratti ratificati nell’arco del periodo.
Per quel che riguarda l’analisi svolta in questo capitolo, tra i documenti analizzati, una parte ha esplicitamente previsto un richiamo alle materie oggetto di studio da svolgersi al secondo livello, trattando in maniera più o meno approfondita il premio di risultato e le tematiche ad esso collegate, come il welfare aziendale e la partecipazione dei lavoratori al buon andamento economico dell’impresa.
Nella maggioranza dei casi la misura viene descritta accuratamente, specificando che la contrattazione aziendale a contenuto economico è consentita per l’istituzione del PdR. Il premio sarà calcolato in relazione ai risultati conseguiti, precedentemente concordati tra le Parti, e che avranno come obiettivo incrementi di produttività, redditività, qualità e altri utili al miglioramento della competitività e dell’andamento economico aziendale. Viene sottolineato con altrettanta frequenza che la misura dovrà avere caratteristiche tali da consentire
il trattamento fiscale e contributivo previsto dalla normativa, che l’erogazione del premio non avrà caratteristiche determinabili a priori, in quanto variabile in funzione dei risultati concordati in sede di contrattazione di secondo livello e poi ottenuti. I lavoratori interessati avranno comunque la possibilità di decidere se convertire l’importo maturato in servizi di welfare.
Diffusissimo è il rimando diretto alla contrattazione di secondo livello in quanto tale forma di negoziazione potrà definire l’offerta di welfare a livello aziendale in attesa che le parti nazionali si attivino per concordare altre forme di welfare bilaterale. Le Parti sono anche invitate a valutare, in appositi incontri preventivi, la situazione reddituale dell’impresa, il livello di competitività, le sue prospettive di sviluppo e concordare forme e modi utili alla corresponsione del PdR, anche in forma di welfare integrativo. In alcuni casi i Ccnl mettono l’accento verso una maggiore attenzione alle logiche collaborative e partecipative, sia all’interno delle imprese attraverso la premialità di risultato, sia tra le organizzazioni rappresentative attraverso la bilateralità quale strumento di attivazione del welfare contrattuale e supporto del welfare aziendale e territoriale.
In una particolare Ipotesi di Accordo di rinnovo11 si fa riferimento ad un Osservatorio Nazionale, istituito presso l’Ente Bilaterale con il compito di acquisire ed elaborare le informazioni relative ai PdR, proprio al fine di promuoverne la diffusione nella contrattazione di secondo livello. Viene poi indicato alle aziende di confrontarsi con le RSU, o con gli stessi lavoratori, per individuare beni e servizi adatti alle caratteristiche dei dipendenti, utili al miglioramento della qualità della loro vita personale. Oltre a ciò, si è notato come, in più casi, i Ccnl diano indicazione affinché le Parti tengano conto dell’evoluzione normativa al fine di monitorare sia l’attuazione delle misure sia per definire congiuntamente eventuali indicazioni o soluzioni utili alle aziende associate.
Sembra altresì importante segnalare come in due recenti Ipotesi di Accordo si accenni ad una forma di welfare definito ‘sperimentale’. In un primo caso12, le parti concordano di istituire una commissione che dovrà fornire indirizzi al fine di promuovere la sperimentazione di iniziative di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nell’impresa, in relazione alle innovazioni legislative in materia, anche attraverso attività svolte in accordo con le rispettive strutture territoriali. Tale modello sarà ampliato dalle aziende su base volontaria e in accordo con la RSU, con la possibilità di essere formalizzato all’interno di un protocollo da
11 Ipotesi di Accordo di rinnovo del Ccnl Trasporto Logistica e spedizioni (2021).
12 Ipotesi di Accordo di rinnovo del Ccnl Industria metalmeccanica e della installazione di impianti (2021), art. 9.bis ‘Iniziative di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nell’impresa’.
predisporre con l’assistenza delle rispettive organizzazioni. In un secondo caso13 viene dedicato un intero articolo al welfare aziendale sperimentale, ossia “alle misure di welfare aziendale, che potranno sostituire in parte o totalmente il premio di risultato”. Misure che dovranno facilitare la conciliazione tra vita professionale e vita privata dei lavoratori, migliorandone anche la qualità della vita attraverso l’istruzione, la ricreazione e l’assistenza sociale e sanitaria.
Altro particolare e specifico elemento riportato dal medesimo Accordo è la voce ‘Garanzia retributiva’, dedicata ai dipendenti delle aziende prive di qualsiasi contrattazione di secondo livello, nelle quali non siano stati ancora definiti accordi relativi al PdR. Si prevede che ai lavoratori che non percepiscano nessun altro trattamento economico/normativo individuale o collettivo in aggiunta a quanto spettante per il Ccnl, venga appunto erogato un importo a titolo di garanzia retributiva.
In conclusione, quanto illustrato dal presente studio testimonia l’importanza che queste tematiche rivestono anche nella contrattazione nazionale. L’attenzione degli attori sociali, a livello centrale, è probabilmente dovuta alla comune volontà di superare la stagione conflittuale tra capitale e lavoro, nella fase attuale in cui la competizione a livello globale impone delle scelte, il più partecipative possibili, sia ai datori che alla forza lavoro. La stessa crisi pandemica può aver accentuato la situazione. Allo stesso tempo, le tematiche del welfare sono sempre più centrali in una contrattazione nazionale in cui le poste salariali scontano dei livelli retributivi molto appiattivi, anche perché legate all’andamento dell’indice Indice dei Prezzi al Consumo (IPCA)14.
1.4 Il sistema a doppio livello della contrattazione collettiva e il grado di diffusione presso le imprese
Prima di considerare, nello specifico, l’evoluzione normativa del PdR, è opportuno soffermarsi sul grado di radicamento delle diverse forme di contrattazione presso le imprese.
Come detto, a partire dal Protocollo Ciampi del 1993, in Italia il sistema di contrattazione collettiva si basa su di un doppio livello di negoziazione gerarchicamente ordinato, ciascuno dotato di specifiche materie di elezione.
13 Ipotesi di Accordo di rinnovo del Ccnl Trasporto Logistica e spedizioni (2021).
14 Harmonised Index of Consumer Prices, sviluppato dall’Eurostat per fornire una misura comune per l'inflazione comparabile a livello europeo, viene compilato secondo una metodologia armonizzata tra i Paesi dell’Unione.
Ai fini dello studio di questo sistema risulta utile analizzare i dati di un’indagine campionaria Inapp (circa 26.000 imprese), rappresentativa delle società di persone e di capitale non agricole in Italia: la Rilevazione su imprese e lavoro (RIL). L'indagine, giunta nel 2018 alla quinta edizione, nasce nel 2005 con l’intento di studiare le caratteristiche della domanda di lavoro e il comportamento delle imprese nel nostro Paese. L’esigenza iniziale era valutare le riforme del mercato del lavoro; successivamente l’indagine ha allargato i propri interessi di ricerca a numerosi altri aspetti che caratterizzano le aziende italiane. Il questionario (somministrato con tecnica CATI) è molto articolato e tratta molteplici aspetti. L’indagine è inserita nel Programma Statistico Nazionale ed è compresa tra le rilevazioni con obbligo di risposta. Essa è inoltre una rilevazione campionaria e produce stime statisticamente significative su specifiche sottopopolazioni. La popolazione di riferimento è rappresentata dalle imprese attive afferenti ai settori privati industriali e dei servizi, aventi forma giuridica di società di capitale e di persone.
Una sezione del questionario somministrato alle aziende concerne le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva. Prima di passare all’analisi, va subito chiarita una scelta metodologica15: diversamente da altre analisi, si è scelto di considerare le imprese con due o più dipendenti. Riteniamo, infatti, che sia indispensabile considerare tutte le imprese cui l’indagine campionaria è rivolta, incluse le microimprese, volendo verificare l’ampiezza del campo di applicazione aziendale della contrattazione collettiva nel suo complesso (primo e secondo livello). D’altro canto, come già detto, in particolare la contrattazione settoriale, potenzialmente detiene un campo di applicazione soggettivo, di fatto, erga omnes, in quanto strumento fondamentale attraverso cui si esplica il ruolo di autorità salariale degli agenti collettivi.
Nella figura 1.2, considerando le tre indagini di RIL più recenti, è mostrato l'andamento nel tempo delle risposte relative all'applicazione nella azienda intervistata di un contratto di settore (Ccnl), ovvero di un contratto del secondo livello (aziendale o territoriale).
Sono state considerate quattro diverse ipotesi o gruppi d’imprese mentre le risposte sono state raggruppate considerando il caso in cui l'impresa:
15I dati elaborati sono riferiti alle variabili vF2 = “L’impresa applica uno o più contratti collettivi nazionali di categoria” e vF4 = “L’impresa ha attivato una contrattazione di secondo livello” presenti nel data base Inapp-RIL. Il metodo di stima utilizzato si basa sull’assegnazione ad ogni impresa rispondente di un coefficiente, peso, che indica il totale delle imprese rappresentate dall’unità analizzata. Per una valutazione più approfondita, i dati sono stati letti tenendo presente la loro distribuzione per classe di dipendenti, settori e area geografica.
1. è in linea con il sistema a doppio livello (linea blu sta ad indicare un’azienda
che applica entrambi i livelli);
2. applica il solo Ccnl (linea arancione);
3. applica il solo secondo livello (linea rossa);
4. dichiara di non applicare nessun contratto collettivo (linea gialla)16.
Consideriamo, innanzi tutto, il gruppo meno frequente (il terzo) e cioè quello delle imprese che dichiarano di aver attivato il solo contratto di secondo livello. Questa ipotesi residuale risulta stabile nel tempo (si passa dal 0,2% del 2011 allo 0,4% del 2018): su di essa si tornerà più avanti considerando i risultati della annualità più recente. Qui vale la pena ricordare come tale situazione richiama l’iniziativa di alcune grandi imprese attive nel nostro Paese (FCA Fiat Chrysler Auto e Luxottica) che, liberandosi al contempo dell’appartenenza all’associazione datoriale, hanno deciso di disapplicare il contratto di settore, per raggiungere un maggiore grado di flessibilità tramite il solo contratto collettivo aziendale.
Grafico 1.2 Quota di imprese che dichiarano di applicare un contratto collettivo. Anni 2011-2018
100,0%
90,0%
80,0%
L'impresa applica sia un
contratto collettivo di I° liv. sia un contratto collettivo di II° liv.
70,0%
60,0% L'impresa applica solo un
contratto collettivo di I° liv.
50,0%
40,0%
L'impresa applica solo un
30,0% contratto collettivo di II° liv.
20,0%
10,0%
L'impresa non applica nessun
tipo di contrattazione
0,0%
2011
2015
2018
Fonte: Inapp, elaborazioni su dati RIL
Più sorprendente è il fatto che, allo stesso modo, sostanzialmente bassa e stabile nel tempo è anche la quota di imprese che dichiara di applicare entrambi i livelli di contrattazione (primo gruppo); l’ultima annualità mostra un piccolo recupero che riporta il dato al livello del 2011 (si è passati dal 4,3% di quell'anno, al 3,4%
16 Un esercizio analogo è stato realizzato da Xxxxxxx (2021) sul caso tedesco, ma con numero di osservazioni inferiori (610 imprese) e comunque relativo ad imprese con almeno 150 dipendenti.
del 2015, per recuperare al 4% del 2018). In sostanza i dati mostrano che il doppio livello di contrattazione non riesce a superare una soglia critica (attorno al 4%), probabilmente riconducibile al panorama dimensionale dell’impresa in Italia. Da questo punto di vista, i dati relativi alla contrattazione decentrata del PdR (vedi capitolo 3), e al ruolo lì svolto dalla negoziazione di livello territoriale nella diffusione tra le PMI, dovrebbe indurre le parti sociali a vivificare il ruolo della stessa contrattazione territoriale.
Correlativamente, va quindi rimarcata la seguente evidenza: anche i dati RIL confermano che il sistema della negoziazione collettiva in Italia continua ad essere centralizzato e dunque sorretto dal primo livello (secondo gruppo). Sebbene il dato qui presentato non sia il classico indicatore relativo alla copertura della contrattazione collettiva17, l’indagine Xxxxx mostra comunque che la quota di imprese che dichiaravano di applicare un Ccnl nel 2011 era quasi pari all’87%. Le successive tornate della indagine mostrano un allarmante decremento: nel giro di sette anni si rileva una drastica riduzione di questa quota per più di 10 punti percentuali (nel 2018, quasi il 76% delle imprese dichiara di applicare un Ccnl). Il fenomeno presenta peraltro degli aspetti paradossali se si tiene conto del contemporaneo esplodere della contrattazione pirata, cui si è accennato nel paragrafo precedente. In sostanza, mentre aumenta il panorama della ‘offerta’ di accordi collettivi applicabili, la ‘domanda’ – fuor di metafora la numerosità delle aziende che dichiarano di applicare gli stessi accordi – cala. Questa disaffezione, peraltro, si specchia nell’andamento della quota di imprese che, nonostante la vigorosa spinta all’applicazione della parte economica della contrattazione settoriale18, dichiarano di non applicare alcuna fonte pattizia (quarto gruppo). Pur con tutti i caveat derivanti dalla platea delle imprese intervistate (come detto anche le microimprese), resta dunque il fatto che, inaspettatamente e in maniera preoccupante, questa quota di imprese nel tempo si è più che duplicata (erano pari al 9% nel 2011 per divenire il 20% nel 2018), con un andamento inverso alla quota di imprese del secondo gruppo. Ciò lascia presumere che il calo nel tempo della quota di quanti dichiarano di
17 Sempre sulla base dei dati RIL, altrove abbiamo stimato il tasso di copertura del primo livello. Secondo queste analisi, nel 2018, al 77,8% dei dipendenti e al 64,6% del totale addetti delle imprese da 1 a 4 dipendenti risulta applicato un Ccnl. Per maggiori approfondimenti sia consentito rinviare a Xxxxxxxxxx et al. 2021.
18 Ci si riferisce sia alla consolidata giurisprudenza che rinvia ai Ccnl per l’individuazione dei minimali retributivi, sia al c.d. minimale contrattuale a fini contributivi di cui all’art. 1, comma 1, del D.L. n. 338/89, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 3/89. Nella prassi oramai consolidata tale norma va interpretata come segue: “(…) anche i datori di lavoro, non aderenti, neppure di fatto, alla disciplina collettiva (…) sono obbligati, agli effetti del versamento delle contribuzioni previdenziali e assistenziali, al rispetto dei trattamenti retributivi stabiliti dalla citata disciplina collettiva” (così per l’anno in corso la Circolare Inps n. 15/2022).
applicare un Ccnl sia andato in particolare ad ingrossare le fila delle imprese che dichiarano di non applicare alcun accordo collettivo.
Lo stesso esercizio — e il raggruppamento per i gruppi sopra indicati — può essere replicato relativamente all’ultima wave disponibile di RIL (2018), al fine di entrare nel dettaglio e verificare come dimensione aziendale, settore di attività e area territoriale di appartenenza modifichino la distribuzione delle aziende tra gli stessi quattro raggruppamenti più volte sopra menzionati.
In primo luogo, pesa la dimensione aziendale (grafico 1.3) con evidenze in linea con le attese.
Grafico 1.3 Dispersione delle imprese per tipologia di contratto applicato e classe di dipendenti.
Anno 2018
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
2
3 - 5
6 - 9
10 - 49
50 - 249
250 e +
I° e II° livello Solo I° livello Solo II° livello Nessuna copertura
Fonte: Inapp, elaborazioni su dati RIL
Le imprese più piccole (comprese quelle micro) dichiarano di applicare solo la contrattazione settoriale (secondo gruppo), oppure di non applicare alcun contratto collettivo (quarto gruppo). La frequenza si modifica quando si considerano le imprese di grandi dimensioni: nelle dichiarazioni delle aziende di 50-249 dipendenti l’alternativa è ancora fra il secondo gruppo e l’applicazione di entrambi i livelli di contrattazione (primo gruppo). Infine, si inverte la frequenza dei gruppi per le imprese della classe dimensionale maggiore (250 e oltre): queste, appunto, applicano in primo luogo il modello a doppio livello e poi la sola contrattazione settoriale.
Come era lecito attendersi, la frequenza del terzo gruppo che applica solo il secondo livello è scarsa in tutte le dimensioni di impresa e cresce al crescere della dimensione aziendale, raggiungendo la quota percentuale maggiore nelle grandissime imprese. Al contrario, l’assenza di copertura contrattuale (quarto gruppo) è inversamente proporzionale all’accrescersi della dimensione aziendale, con una frequenza particolarmente alta tra le microimprese (quasi un terzo di queste ultime dichiara di non applicare alcun contratto collettivo).
Grafico 1.4 Distribuzione settoriale delle imprese in base alla tipologia di contratto applicato. Anno 2018
Industria in senso stretto Costruzioni Commercio, trasporti e alberghi Altri servizi
62,7%
44,2%
40,6%
40,0%
35,0%
26,1%
27,4%
22,3%
18,3%
20,0%
19,9%
13,9%
11,6%
8,6%
6,0%
3,3%
Nessuna copertura
Solo II° livello
Solo I° livello
I° e II° livello
Fonte: Inapp, elaborazioni su dati RIL
Analizzando la composizione per settori dei singoli gruppi (grafico 1.4), si evidenza innanzi tutto che il sistema a due livelli (primo gruppo) è sorretto dal Commercio (il 41% sul totale del gruppo) e dall’Industria in senso stretto (35%). In misura quasi analoga (40%) il Commercio incide nella composizione del secondo gruppo (quello delle imprese che dichiarano di applicare la sola contrattazione settoriale), seguito dalle imprese attive negli Altri servizi (26%), mentre non molto distante è l’Industria in senso stretto (22%). Altri servizi è quello assolutamente preponderante tra le aziende che hanno dichiarato il solo secondo livello (quasi il 63%). Infine, il Commercio è il settore principale di appartenenza delle aziende che hanno dichiarato di non applicare alcun contratto (quarto gruppo), seguito, a stretto giro, da Altri servizi (27%) e Industria in senso stretto (20%). L’ultimo raggruppamento è quello più eterogeno
dal punto di vista settoriale, in misura anche maggiore rispetto al secondo. In sostanza, sintomaticamente, il settore appare variabile più neutra rispetto alla assenza di protezione collettiva.
La distribuzione delle imprese fra i quattro gruppi considerati è diversa anche a seconda dei territori (figura 1.1). Le imprese che applicano il modello a due livelli sono presenti soprattutto nelle regioni del Nord e in Sicilia: la regione insulare presenta addirittura il secondo valore più elevato. All’interno del secondo gruppo si trovano soprattutto imprese delle regioni del Nord-Ovest e del Sud: in tale raggruppamento, quelle lombarde e quelle campane si attestano a valori più elevati. Il Sud Italia assorbe il 54,5% delle imprese che hanno dichiarato di aver attivato la sola contrattazione aziendale o territoriale, mentre la prevalenza di imprese che non ha attivato nessun tipo di copertura è maggiore nelle regioni del Nord-Est e, ancora una volta, nelle regioni del Mezzogiorno.
Figura 1.1 Distribuzione territoriale delle imprese in base alla tipologia di contratto applicato. Anno 2018
Fonte: Inapp, elaborazioni su dati RIL
Chiaramente la presenza/assenza del Sindacato incide sulla distribuzione interna dei raggruppamenti (figura 1.6 colonna di sinistra). Le aziende che dichiarano di avere una rappresentanza sindacale interna (Rsu/Rsa) sono presenti in particolare nel secondo gruppo (queste aziende per quasi il 64% dei casi dichiarano di applicare la sola contrattazione settoriale) e nel primo (26%). Quando invece sono assenti le rappresentanze sindacali, le imprese appartenenti al secondo gruppo (quelle applicano esclusivamente il primo livello di contrattazione) superano il 76%, mentre quelle che dichiarano di non applicare alcun contratto di qualsivoglia livello sono pari a poco meno del 21% (grafico 1.5, colonna di destra).
Grafico 1.5 Incidenza % della presenza/assenza della rappresentanza sindacale (Rsu/Rsa) all’interno dei quattro gruppi di risposta individuati. Anno 2018
6,3%
3,9%
20,8%
0,2%
Solo I° livello
63,7%
I° e II° livello
Solo II° livello
76,5% Nessuna copertura
26,1%
Si
2,5%
No
Fonte: Inapp, elaborazioni su dati RIL
In conclusione, l’indagine campionaria Inapp ci sembra consentire alcune considerazioni sullo stato di salute della contrattazione collettiva, almeno pre- pandemia (gli ultimi dati disponibili risalgono al 2018). L’andamento nel tempo dei quattro gruppi di risposte considerati conferma, in primo luogo, la difficoltà del pieno dispiegarsi del doppio livello di contrattazione: esiste, di fatto, uno sbarramento alla diffusione del modello tra le imprese (pari a circa il 4%), una soglia che nel tempo rimane costante. Ciò accade a quasi un trentennio dalla stipula dell’accordo trilaterale che ha costituzionalizzato — riprendendo la definizione di Xxxx Xxxxxx che egli attribuì all’intero Protocollo Ciampi del ’93
(Nuova carta costituzionale delle relazioni industriali) — questo modello e nonostante i tentativi di rivitalizzarlo, in particolare puntellando il secondo livello. Forse è tempo di una rimeditazione.
In questo ambito non può non tenersi conto di altre due osservazioni scaturenti
dall’analisi dei dati a disposizione.
Il primo livello continua a rappresentare ancora, posto il panorama dimensionale imprenditoriale italiano, il baluardo delle tutele collettive in particolare tra le PMI, ove è assente il sindacato. Strettamente collegata è l'altra evidenza: dove non è applicata la contrattazione settoriale vi è il forte rischio di completa assenza di tutele collettive. Al netto di caveat da ricollegarsi a difetti di comprensione del questionario, l’ultimo elemento da rimarcare è la presenza — del tutto inattesa e seppur minimale — di aziende che dichiarano di non applicare alcun accordo collettivo. Le caratteristiche anagrafiche di queste aziende meritano attenzione (si pensi pure alla dibattuta questione del salario minimo legale) e andranno riconsiderate in particolare quando saranno disponibili i dati successivi allo shock economico indotto dalla pandemia.
2 Evoluzione normativa del premio di risultato: gli obiettivi del legislatore
Il presente capitolo intende ricostruire la disciplina di una particolare politica pubblica di promozione del decentramento della contrattazione collettiva che, diversamente da interventi hard di alterazione della gerarchia delle fonti contrattuali pur sperimentati in Italia, piuttosto, in maniera soft, incentiva la diffusione autonoma dello stesso secondo livello attraverso la leva economica. Questo tipo di misure da tempo sono state sperimentate nel nostro Paese. Tradizionalmente, la disciplina di vantaggio, più che essere rivolta allo sviluppo della contrattazione decentrata in sé, è destinata ad un istituto specifico, la cui regolamentazione, fin dai tempi del protocollo del 1993, è affidata allo stesso secondo livello: quello della retribuzione variabile. Secondo la definizione ivi contenuta con retribuzione variabile ci si riferisce alle: “ (…) erogazioni […] correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività […], nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa”. L’incentivo economico, in particolare, passa attraverso un abbattimento del costo del lavoro correlato alla disciplina della parte variabile della retribuzione, effettuata in sede collettiva decentrata. Nel corso del tempo, lo sgravio, ha riguardato, in particolar modo, le due componenti essenziali del c.d. cuneo fiscale. Più precisamente, a partire dal 1997 ci si concentrò sulla contribuzione previdenziale, mentre, dal 2008 l’attenzione è passata all’ imposizione fiscale.
Qui di seguito, verrà esaminata la disciplina di questo strumento divenuto strutturale nel nostro ordinamento proprio seguendo questo sviluppo temporale e cioè passando in rassegna dapprima lo sconto contributivo ed in seguito quello fiscale; nell'ultima parte, invece, si concentrerà l'attenzione sulla disciplina più recente.
2.1 L’origine: lo sgravio contributivo dei premi di risultato
Ricostruendo l’evoluzione legislativa dello sgravio degli oneri previdenziali si possono individuare, a partire dal 1997, quattro diverse fasi di regolazione dell’incentivo, che hanno condotto, dopo una temporanea sospensione, posto il mancato finanziamento della misura per quasi un triennio (2015-2017), ad una recente e parziale ‘riedizione’ della misura, ma solo al fine specifico di premiare le intese collettive che prevedono forme di partecipazione paritetica dei lavoratori.
In origine, proprio in attuazione dell’impegno assunto dall’Esecutivo nel protocollo del 1993, era stato previsto (D.L. n. 67/1997) un regime di automatica e totale esclusione dalla retribuzione imponibile a fini previdenziali delle erogazioni, disposte dai contratti decentrati, di cui fosse incerta “la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura […] [fosse] correlata […] alla misurazione di incrementi di produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati” (art. 2).
Questa piuttosto generica nozione — sempre confermata nelle successive stagioni di regolazione dell’istituto — evidenziava la scelta del Legislatore di astenersi in ordine all’individuazione dei parametri di misurazione del risultato atteso in termini di produttività, competitività ecc., imponendo solo la presenza di un’alea legata all’attribuzione del premio, così delegando alla negoziazione collettiva il compito d’individuare nel concreto detti parametri.
Questa ampia delega, fondata su una pluralità di parametri di riferimento alternativi, aumentava il rischio di fenomeni collusivi delle parti. L’interesse comune al PdR (il lavoratore si vede riconosciuta una maggiore retribuzione netta e l’impresa un minor costo del lavoro), difatti, incentiva a far apparire ‘variabili’ parti della retribuzione che in realtà non sono tali. La ratio legis dell’incentivo risultava così inappagata: non solo la promozione del salario variabile, ma anche quella indiretta di diffusione del ‘contenitore’ di questo istituto, il contratto collettivo decentrato. Restava comunque surrettiziamente raggiunto un risultato di per sé apprezzabile: l’abbattimento del costo del lavoro che però non costituiva — e non costituisce anche per la Commissione UE — l’effetto atteso della misura.
Corredavano inoltre la disciplina: la concessione dell’agevolazione entro un’aliquota massima della retribuzione percepita dal lavoratore (1% sino al 1997; 2% sino al 1998; 3% a partire dal 1999 e sino alla abrogazione dell’incentivo), l’imposizione ai datori di un contributo di solidarietà (pari al 10%) e l’obbligo di applicare i minimali retributivi stabiliti dal livello nazionale.
Infine, la disciplina imponeva l’obbligo di deposito del contratto collettivo decentrato presso i competenti uffici ministeriali nonché un apparato sanzionatorio in caso d’indebito accesso all’incentivo.
Nella seconda fase, dopo una particolarmente lunga vigenza e sulla scorta di un nuovo impegno assunto dal Governo nell’ambito del c.d. Protocollo welfare del 2007, il regime agevolativo appena brevemente descritto è stato abrogato e sostituito da uno nuovo (L. n. 247/2007); la novella comunque non mutava il bene premiato, quanto piuttosto le modalità di concessione del premio stesso e il quantum. Infatti, replicando in maniera pedissequa la formulazione oramai utilizzata dal 1997 — con tutti i connessi rischi già evidenziati — anche sulla base della nuova disciplina lo sconto contributivo era riconosciuto con riguardo alle quote di retribuzione variabili disposte nel secondo livello (cfr. art. 1, co. 67, terzo periodo, L. n. 247/2007). L’assenza di un forte controllo ex ante in ordine al bene incentivato, perché genericamente definito, costringeva, però, ad un più intenso controllo ex post, con lo scopo di salvaguardare le casse pubbliche. Cambiavano, infatti, le modalità di riconoscimento dello sgravio, non più concesso automaticamente, ma su istanza del datore di lavoro ed entro le disponibilità di un fondo appositamente costituito (650 milioni di euro annui); mutavano anche l’intensità del premio (il tetto era innalzato dal 3% al 5% della retribuzione percepita) e le modalità di calcolo. Ulteriore novità del regime di incentivazione introdotto in attuazione del protocollo del 2007 era il carattere temporaneo della misura: si trattava di una sperimentazione triennale (2008- 2010), la cui conferma per il periodo successivo era subordinata ad una ‘verifica di coerenza’ rispetto agli obiettivi dello stesso protocollo (ovvero il sostegno alla produttività), affidata ad un osservatorio tripartito costituito presso il Ministero del lavoro. Proprio questo carattere, ma soprattutto l’esigenza di verificare il rispetto del tetto di spesa annuale appena introdotto, imponeva inoltre la previsione di una procedura annuale dedicata al “controllo del flusso di erogazioni e al rispetto dei tetti di spesa”, demandata ad un apposito decreto, concertato tra i dicasteri del Lavoro e dell’Economia.
Tramite questa decretazione attuativa veniva attribuita all’Inps la gestione della misura, ribadito l’obbligo di deposito dei contratti, nonché prevista una ripartizione delle risorse disponibili tra contrattazione aziendale e territoriale (62,5% in favore della prima e 37,5% per la seconda); ma soprattutto era fissato annualmente il tetto massimo di retribuzione contrattuale cui applicare lo sgravio, tenendo conto delle disponibilità del fondo. Da tutto ciò derivò la sostanziale impossibilità di raggiungere il già ricordato limite massimo legale (5%): esso si attestò infatti ad una percentuale compresa fra l’1,60% e il 2,25%, con l’unica eccezione del 2008 quando il tetto fu fissato al 3%.
L’incentivo, confermato con le medesime caratteristiche per l’anno 2011 (L. n. 220/2010), fu solo temporaneamente stabilizzato dalla c.d. riforma Fornero (L.
n. 92/2012). Quest’ultima, infatti, disponeva il superamento del carattere di sperimentalità che gli era stato conferito a partire dal 2007 (cfr. art. 26, D.L. n. 98/2011), seppure continuando a legarne l’erogazione alla procedura di verifica annuale delle disponibilità finanziarie (650 milioni annui) sopra descritta.
La terza fase di regolazione dello sconto contributivo, prese il via già a partire dall’anno successivo alla sua stabilizzazione, e si caratterizzava, paradossalmente, per una serie di interventi legislativi che testimoniavano il crescente e progressivo disinteresse del legislatore per l’incentivo sotto forma di sgravio contributivo, almeno fino all’aprile 2017. Addirittura, nel 2013, il premio rimase senza copertura finanziaria, poiché si attinse dalle risorse del relativo fondo per finanziare altre misure, in particolare i c.d. ammortizzatori sociali in deroga. Nel frattempo, la legge di stabilità per il 2013 (L. n. 228/2012) sanciva il progressivo depauperamento dello stesso fondo. Sempre nel 2013 inoltre, per migliorare la capacità previsionale della diminuita copertura finanziaria fu disposto che, a decorrere dal 2014, l’annuale decreto di concessione del beneficio fosse emanato a consuntivo e che quindi servisse a finanziare i premi di risultato corrisposti nell’anno precedente.
Il disinteresse per la leva contributiva — rectius la preferenza accordata piuttosto a quella fiscale — è stato confermato dalla legge di stabilità 2016. Quest’ultima infatti, ha, da una parte, dirottato a favore della detassazione quasi la metà delle risorse del fondo annuale dedicato alla decontribuzione e, dall’altra, ha deciso di destinare, per il triennio 2016-2018, una parte delle risorse residuali al finanziamento di contratti aziendali che promuovano la conciliazione vita-lavoro19.
La ‘distrazione di risorse’, combinata con il meccanismo di finanziamento a consuntivo dello sgravio contributivo in vigore dal 2014, è risultata nel mancato abbattimento del costo contributivo dei premi di risultato erogati nel 2015.
Il ‘blocco’ si è protratto sino all’aprile 2017 e cioè sino all’entrata in vigore della
c.d. ‘manovrina’ (D.L. n. 50/2017), che ha ripristinato lo sgravio contributivo, indirizzandolo però ad uno specifico ed esclusivo fine: premiare i contratti
19 La misura è stata prevista dal D.Lgs. n. 80/2015 e disciplinata dal D.I. 12 settembre 2017; si tratta del riconoscimento di uno sgravio contributivo in favore dei contratti collettivi aziendali che prevedano istituti di conciliazione tra vita professionale e privata. In questo caso, infatti, il premio è concesso solo in caso di accordi aziendali; non sembra cioè ammessa l’adesione diretta a contratti territoriali, ma comunque necessario il recepimento a livello aziendale dell’accordo territoriale (anche in recepimento di contratti collettivi territoriali). Per di più, sotto il profilo contenutistico, a garanzia della genuinità dell’accordo, si escludono dal premio le misure che non rivestano carattere innovativo e migliorativo rispetto alle forme di conciliazione già previste dai Ccnl del settore di riferimento.
collettivi di secondo livello che prevedano forme di c.d. partecipazione organica dei lavoratori, volte cioè al “coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro”. I contratti collettivi decentrati devono cioè stabilire un piano per regolarne la partecipazione. A titolo esemplificativo si prevede espressamente la costituzione di gruppi di lavoro paritetici, ove operino responsabili aziendali e lavoratori, finalizzati al “miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione” e dotati di strutture permanenti di monitoraggio e consultazione (così il D.I. 25 marzo 2016, art. 4). Seppure la disciplina pretenda che la partecipazione vada al di là della previsione di organi volti alla semplice consultazione, addestramento o formazione dei dipendenti, l’ampia formulazione porta comunque ad escludere che il beneficio sia riservato a forme di c.d. partecipazione decisionale, ovverosia di co-gestione e siano cioè sufficienti forme di partecipazione strutturale dei lavoratori.
A proposito della partecipazione organica va precisato che essa era, in realtà, premiata già a partire dalla legge di stabilità 2016, ma con un diverso meccanismo. Infatti, quella disciplina stabiliva che, ove il contratto collettivo decentrato prevedesse anche questa forma di partecipazione, il regime di agevolazione fiscale dei PdR fosse più vantaggioso, giustificando un innalzamento del massimale dello stesso premio (da 2mila a 2.500 euro nel 2016, da 3mila a 4mila euro nel 2017).
La manovrina del 2017, abrogando la disciplina previgente appena descritta, prevede che la partecipazione giustifichi l’applicazione di una duplice agevolazione sui PdR20: questi ultimi, oltre a beneficiare dello stesso sconto fiscale, usufruiscono anche di un abbattimento del costo contributivo. Il quantum, rispetto al passato, risulta comunque ridotto: la riduzione del cuneo contributivo di cui usufruisce il datore di lavoro sulle somme erogate a titolo di premio di risultato è inferiore di 5 punti percentuali rispetto al passato (dal 25% al 20%) e comunque non riguarda l’aliquota contributiva totale, ma solo quella IVS (indennità, vecchiaia, superstiti); il lavoratore, invece, continua a beneficiare di un abbattimento totale, ma, diversamente dal passato, lo sconto pesa sulla sua posizione pensionistica (le somme accreditate ai fini pensionistici, infatti, sono corrispondentemente ridotte). In ogni caso, l’incentivo è riconosciuto entro un massimale delle somme erogate a titolo di premi di risultato (800 euro).
20 La misura è divenuta pienamente operativa a seguito dell’emanazione della Circolare Inps n. 104 dell’ottobre 2018, in cui sono state disciplinate le modalità operative per l’accesso al premio contributivo.
2.2 La prima fase di sperimentazione della leva fiscale
Come detto, l’utilizzo della leva fiscale in favore della parte variabile della retribuzione disciplinata in sede collettiva decentrata è di più recente fattura.
In prima battuta, era stata la legge attuativa del protocollo welfare del 2007 (legge n. 247/2007) ad annunciare che i premi di risultato, oltre a beneficare dello sconto contributivo sopra analizzato, dal 2008 sarebbero stati anche fiscalmente deducibili, oppure (come in effetti è poi stato) detassati; a tal fine, tuttavia, si prevedeva un limitato finanziamento (150 milioni).
In realtà, diversamente da questa previsione, il successivo Esecutivo decise piuttosto d’introdurre (con il D.L. n. 93/2008 — sperimentalmente — solo per il 2008, un piuttosto a-selettivo vantaggio fiscale. Si trattava, infatti, di un’imposizione fiscale ridotta (10%) per il lavoratore, sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali, in favore di varie ‘somme erogate a livello aziendale’, quindi anche se elargite su base individuale e non, necessariamente, collettiva. L’imposta sostitutiva si applicava entro un tetto massimo complessivo (3mila euro) e di un limite di reddito nell’anno precedente (30mila euro). Beneficiavano di questo trattamento fiscale agevolato non solo i compensi legati alla produttività (“incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa”, art. 2, comma 1, lett. c, D.L. n. 93/2008), ma anche il lavoro straordinario e le prestazioni eseguite oltre l’orario ridotto inizialmente concordato nell’ambito di contratti di lavoro a tempo parziale (lavoro supplementare, clausole elastiche e flessibili). In sostanza, in questa prima fase, l’incentivo fiscale era slegato dal contratto collettivo e riguardava diversi elementi della retribuzione, accomunati dal carattere incerto della loro corresponsione. Questa misura sostanzialmente a-selettiva, espressamente finalizzata ad un ‘incremento della produttività del lavoro’ (così era rubricato l’articolo di legge che la istitutiva), ma di fatto indirizzata ad una diminuzione dell’imposizione fiscale su elementi incerti della retribuzione, è stata confermata con un innalzamento dei tetti massimi sino alla fine del 2010.
Per il 2011 (D.L. n. 78/2010 e L. n. 220/2010), oltre ad essere nuovamente elevati i tetti d’imposta sostitutiva, ne sono stati tuttavia delimitati le condizioni di accesso e il campo di applicazione, indirizzando l’incentivo verso quello ivi definito ‘contratto di produttività’ (questa era la rubrica dell’art. 53 del D.L. n. 78/2010 istitutivo della misura). Era ivi disposto che l’imposta si applicasse a somme erogate “in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali” e che le erogazioni agevolate fossero solo
quelle “correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”. Sostanzialmente, lo schema di incentivazione già adottato per lo sgravio contributivo finiva per essere riprodotto per la detassazione in maniera quasi pedissequa.
Ne conseguiva che, anche in questo caso, finiva per essere indispensabile un controllo ex post dei limiti di spesa. A tal proposito, la legge di stabilità per il 2012 (L. n. 183/2011), prorogando l’agevolazione fiscale anche per quell’anno, introduceva sostanziali novità dirette in particolare a questo fine. Veniva previsto un onere massimo annuale di spesa (835 milioni nel 2012 e 263 milioni nel 2013) e si rinviava ad una successiva regolamentazione attuativa (un D.P.C.M.) la fissazione dei conseguenti tetti in termini di importo massimo assoggettabile all’imposta sostitutiva e di reddito annuo. Tale disciplina attuativa quindi emanata (D.P.C.M. 23 maggio 2012), proprio in virtù della stretta di spesa veniva annunciata: ha riabbassato i massimali ai livelli del 2008 (il limite di importo era stato assottigliato a 2.500 euro e quello di reddito riportato a 30mila).
In stretta connessione con il c.d. accordo sulla produttività 21 novembre 2012, la legge di stabilità 2013 annunciava, anche per quell’anno, la proroga di non meglio specificate misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro (una speciale agevolazione), limitandosi ad assicurare la necessaria provvista finanziaria, ovverosia 950 milioni per il 2013 e 400 per il 2014. Era demandato ad una successiva regolamentazione il compito di stabilire le modalità di attuazione dell’agevolazione stessa, solo abbozzata nella legge. Il provvedimento attuativo (D.P.C.M. 22 gennaio 2013), come era lecito attendersi, confermava e prorogava la misura introdotta fin dal 2011 (un’imposta sostitutiva al 10%, seppure con un innalzamento del tetto di reddito a 40mila euro, mentre rimaneva inalterato a 2.500 euro l’importo massimo detassabile), ma introduceva anche importanti novità imponendo, ai fini del monitoraggio, l'obbligo di deposito degli accordi decentrati presso gli uffici ministeriali competenti. Veniva poi ribadito e rafforzato il legame con la contrattazione decentrata, selezionando — per la prima volta — gli agenti contrattuali sulla base del grado di rappresentatività (i contratti dovevano essere sottoscritti “da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda”, ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.P.C.M. 22 gennaio 2013); si abbozzava altresì un maggiore sforzo definitorio rispetto al bene premiato, introducendo l’innovativa nozione di ‘retribuzione di produttività’. Tale nozione faceva riferimento a due tipologie di voci retributive (c.d. canali) che potevano
essere alternativamente introdotte dai contratti collettivi per accedere al beneficio fiscale. In primo luogo, la contrattazione decentrata poteva introdurre voci retributive espressamente collegate “ad indicatori quantitativi di produttività/redditività/qualità/efficienza/innovazione” (art. 2, comma 1); in secondo luogo, risultavano premiate anche le voci collegate ad elementi di flessibilità organizzativa introdotte in materia di orario di lavoro, ferie, nuove tecnologie e mansioni.
La tassatività, in particolare del secondo canale, fu tuttavia mitigata in sede di prassi amministrativa. Prima la circolare del Ministero del Lavoro n. 15/2013 interpretò estensivamente la nozione di ‘indicatore quantitativo’ del primo canale, riconoscendo che rientrassero nel regime agevolato tutte le voci retributive “suscettibili di variazione in relazione all’andamento dell’impresa”, intese cioè “a remunerare un apporto lavorativo finalizzato ad un miglioramento della produttività in senso lato e quindi anche ad una efficientazione aziendale”. Poi l’interpello n. 21/2013 dello stesso Dicastero aprì anche in tema di tasso di innovatività della disciplina collettiva decentrata rispetto a quella nazionale e alle modifiche dell’orario di lavoro. Nell’interpello, avallando l’apposito accordo interconfederale 24 aprile 2013 per l’accesso all’incentivo, sottoscritto da tutte le parti sociali (compresa la Cgil), si affermò che la regolamentazione in sede decentrata “non deve costituire necessariamente un elemento di novità in relazione al contratto collettivo nazionale applicato in azienda ma un elemento di novità per le aziende che la applicano” e che poteva consentire l’accesso al regime fiscale agevolato “anche la modifica degli orari aziendali, in quanto oggettivamente identificabile e quantitativamente misurabile”.
Si aggiunga che, sulla scorta dello stesso accordo interconfederale del 2013, veniva confermata la pratica di veri e propri accordi di detassazione (c.d. accordi cosmetici), ovverosia la predisposizione, a livello nazionale, di un modello di accordo territoriale di accesso alla defiscalizzazione. Sicché, all’indebolimento dell’obiettivo della promozione della retribuzione di produttività, a causa della scarsa selettività definitoria, si combinava l’incapacità dell’incentivo di produrre effettiva innovazione nelle pratiche contrattuali decentrate.
Senza innovazioni idonee a contrastare questi fenomeni, con il D.P.C.M. del 19 febbraio 2014, l’incentivo veniva meramente prorogato per tutto quell’anno e s’innalzava a 3mila euro la somma massima detassabile per ogni singolo lavoratore. Nel 2015, sia per il riconoscimento della scarsa effettività dell’incentivo che per la decisione di sostenere finanziariamente altre misure (si pensi allo sgravio contributivo triennale in caso di assunzione a tempo indeterminato inserito nella legge di stabilità per l’anno 2015), si veniva a
determinare una sospensione del regime agevolativo, che rimase privo di copertura finanziaria per quell’anno (come espressamente affermato dal Mef nel giugno 2015 in risposta ad una interrogazione parlamentare21).
2.3 La detassazione del PdR: la rivoluzione del 2016
A partire dal 2016 sono state apportate importanti modifiche rispetto al passato, modifiche che hanno mutato, arricchendolo, il bene premiato dal regime fiscale agevolato: accanto, e in combinato, alla retribuzione variabile vengono incentivati altri istituti sviluppati dalla contrattazione collettiva: la partecipazione dei lavoratori e il c.d. welfare aziendale. Da ultimo, poi (cfr. legge di stabilità per il 2017, n. 232/2016), quest’ultimo bene in particolare viene premiato indifferentemente dal livello in cui è disciplinato, sicché la finalità originaria, la promozione della contrattazione di secondo livello, risulta sfumata.
La legge di stabilità 2016, innanzi tutto, ha modificato la disciplina relativa all’agevolazione fiscale sospesa nel 2015, dirottando parzialmente, come detto, su quest’ultima, i fondi dedicati alla decontribuzione.
Come nel passato, l’imposta sostitutiva del 10% è riconosciuta ai ‘premi di risultato’ introdotti ‘in esecuzione’ di contratti collettivi del secondo livello, stipulati da agenti contrattuali selezionati (associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria) con la conseguenza che, in assenza di organismi sindacali interni — come avviene nella maggioranza delle imprese del nostro Paese — l’unica strada alternativa per accedere al beneficio fiscale è rappresentata dalla contrattazione territoriale. Sempre in continuità con il passato continuano a prevedersi massimali d’accesso alla misura. A tal proposito, tuttavia, il confronto con gli anni precedenti mostra la scelta del legislatore del 2016, e ancora di più di quello del 2017, di allargare la platea dei beneficiari in favore dei lavoratori con redditi medio-alti (il limite massimo di reddito da lavoro dipendente raggiunge prima i 50mila euro nel 2016 e addirittura la vetta degli 80mila euro nel 2017), a scapito del massimale di premio assoggettabile ad imposta sostitutiva. Questo, dopo aver raggiunto l’apice nel triennio 2009-2011 (6 mila euro), ha poi toccato il fondo dei 2mila euro nel 2016, per ritornare nel 2017 a 3mila euro, livello che era stato raggiunto nel 2014.
21 Busin: Emanazione del decreto di attuazione per la proroga della detassazione delle somme erogate a titolo di premi di produttività per il 2015, 4 giugno 2015, 5-05702, in xxxx://xxx.xx/xXXxxx.
La novità rispetto al passato è il maggior rigore definitorio. A questo fine la legge di stabilità 2016 ha attribuito, espressamente, alla decretazione attuativa il compito di individuare i ‘criteri di misurazione’ dell’incremento di produttività atteso. Il successivo D.M. 25 marzo 2016 supera l’incerta nozione di ‘retribuzione di produttività’ del passato e più scrupolosamente, individua una ventina di criteri per misurare “gli incrementi di produttività […] che possono consistere nell’aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi” (art. 2, co. 2). Anche la flessibilità organizzativa (il secondo canale) è pertanto premiata, considerandosi espressamente la riorganizzazione degli orari di lavoro, ma è invece esplicitamente escluso il lavoro straordinario; piuttosto si fa riferimento ad una particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, il lavoro agile, il cui utilizzo si è incrementato con il diffondersi della pandemia. Inoltre, proprio ai fini della verificabilità oggettiva della progressione, si richiede che i contratti collettivi del secondo livello, una volta prescelto il criterio di misurazione, lo aggancino ad un periodo congruo per accertare in modo obiettivo il raggiungimento dei risultati (su questo punto vedi anche infra). In questo ambito, il legislatore si mostra anche sensibile alla dimensione di genere della misura, stabilendo che ai fini della determinazione dei premi di produttività, venga computato anche il periodo obbligatorio di congedo di maternità.
A questo rigore definitorio, che riduce la discrezionalità delle parti sociali, si accompagna una maggiore attenzione alla raccolta dei dati, ai fini del monitoraggio e valutazione della misura, che rappresentava l’altro dei difetti principali della previgente disciplina: nel decreto ministeriale, in attuazione di un generale obbligo, non solo è previsto il deposito telematico dei contratti decentrati, ma si richiede la compilazione di una dichiarazione di conformità del contratto collettivo decentrato, che espliciti sinteticamente il criterio di misurazione prescelto. Proprio su questo strumento poggia il monitoraggio Inapp presentato nelle pagine successive.
La maggiore attenzione riservata alla misurabilità oggettiva del raggiungimento dei risultati attesi, se supera il difetto storico che, da sempre, accompagna l’incentivazione economica della retribuzione di risultato — a prescindere dal fatto che si tratti di decontribuzione o detassazione — non sembra, peraltro, doversi tradurre nella maggiore diffusione di genuine ed autonome forme di contrattazione decentrata, non escludendo di per sé il rischio di accordi cosmetici. Da questo punto di vista, in effetti, già nel corso del 2016 non sono mancati accordi di livello territoriale e di livello nazionale (si veda l’accordo del 14 luglio tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil) stipulati al mero fine di fare da apripista all’accesso al premio fiscale in favore dei lavoratori in aziende prive di
rappresentanza sindacale, rinverdendo una prassi che, di fatto, riduce l'effetto atteso della policy. La prassi in particolare22 sembra legittimare la facoltà del datore di lavoro, in assenza di RSA e non aderendo ad alcuna associazione di categoria, di applicare unilateralmente il contratto collettivo territoriale di accesso al premio fiscale, ovunque stipulato ed indifferentemente dal settore economico di appartenenza23.
Come anticipato, dal 2016, è premiata con lo stesso regime fiscale di favore anche la partecipazione finanziaria dei lavoratori relativa agli utili d’impresa, anche quella organica (cfr. supra). Quest’ultima forma, come detto nel paragrafo precedente, è in particolare favorita, posto che, dall’aprile 2017 ad essa si applica, oltre allo stesso premio fiscale, anche uno sconto contributivo. Con riguardo alla prima forma invece si dispone la semplice estensione dell’imposta sostitutiva anche agli utili distribuiti dalle imprese.
L’altro bene premiato è il welfare aziendale. In questo caso l’intervento è stato piuttosto ampio e direttamente finalizzato allo sviluppo di questa forma di servizi. Questo obiettivo è del tutto esplicito nell’ultima versione del premio, posto che per la legge di stabilità del 2017 sembrerebbe divenire neutro il livello del contratto collettivo che disciplina l’istituto.
In primo luogo, infatti, posto che le prestazioni di welfare aziendale già beneficiavano di un regime fiscale agevolato (per il lavoratore la non concorrenza nella formazione di reddito da lavoro dipendente e per il datore di lavoro, a seconda della tipologia di servizio, la totale o parziale deducibilità), la legge di stabilità 2016 è intervenuta per meglio definire l’ambito e la nozione dei beni e servizi agevolati. Oltre ad essere aggiornato ed esteso il paniere delle prestazioni agevolate (sono ora riconosciuti anche i ‘servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti’), soprattutto è stato svincolato dalla c.d. volontarietà l’accesso al regime di esclusione del reddito e deducibilità: prima, infatti, le misure di welfare aziendale godevano del regime agevolato solo se pagate sulla base di un atto volontario e unilaterale del datore di lavoro, mentre erano escluse quelle concordate con accordo collettivo. La disciplina del 2016, invece, ammette espressamente che il regime fiscale agevolato sia applicato anche — ma non esclusivamente — alle misure riconosciute dai
22 Si veda la nota del Ministero del Lavoro 22 luglio 2016, con cui sono fornite le modalità operative del deposito telematico e il relativo allegato, contenente le istruzioni di compilazione del modulo di deposito.
23 Questa lettura sembra confermata dal fatto che le istruzioni operative richiamate nel testo, in caso di azienda che intenda accedere al premio fiscale aderendo ad un contratto territoriale, sostituiscono all’obbligo di deposito la mera indicazione della data di avvenuto deposito dello stesso contratto, nonché consentono la “selezione di una qualsiasi direzione territoriale”.
datori “in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale” (art. 1, co. 190).
Su questo stesso impianto è nuovamente intervenuta la disciplina per il 2017: oltre ad essere ulteriormente allargato il paniere (sono considerati esenti sia la contribuzione versata a fondi e casse sia i premi assicurativi aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza), soprattutto — con una norma di interpretazione autentica della disciplina introdotta nel 2016 di dubbia legittimità costituzionale — si stabilisce che il regime di non deducibilità si applichi alle misure di welfare aziendale riconosciute “dal datore di lavoro, del settore privato o pubblico, in conformità a disposizioni di contratto collettivo nazionale di lavoro, di accordo interconfederale o di contratto collettivo territoriale” (art. 1, co. 162, legge di stabilità 2017). In sostanza, dopo che nel 2016 si è superato il vincolo della volontarietà, dal 1° gennaio 2017, per così dire, si rompe gli indugi ed estende la non concorrenza nel reddito del welfare aziendale qualunque sia il livello di contrattazione collettiva a disciplinare l’istituto.
Proprio il superamento della volontarietà garantisce l’altra novità introdotta fin dalla legge di stabilità del 2016 e cioè la legittimazione delle pratiche di c.d. ‘premio sociale’, ovverosia la facoltà concessa ai lavoratori di accedere al welfare aziendale, quale forma alternativa di remunerazione (totale o parziale) al premio di produttività aziendale o alla partecipazione agli utili di impresa. Nei limiti di accesso all’imposta forfettaria del 10% — accordo e massimali di premio e di reddito — il dipendente potrà volontariamente optare, a regime fiscale agevolato invariato, per trasformare il premio di produttività in servizi di welfare, piuttosto che ottenere detto premio in denaro. La legge di stabilità del 2017 sul punto si è limitata ad ampliare il limite di esenzione, in particolare si stabilisce che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, né sono soggetti all’imposta sostitutiva del 10% i contributi alle forme pensionistiche complementari, i contributi di assistenza sanitaria e il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti.
Infine, sempre la legge di stabilità 2016 ha previsto, con l’obiettivo di diffondere il welfare aziendale anche nelle realtà imprenditoriali non in grado di fornire direttamente il paniere di servizi, la possibilità che questi ultimi siano erogati attraverso voucher e cioè tramite il rilascio, da parte del datore, di titoli, in formato cartaceo o elettronico, riferiti ad un valore nominale (e non ad un tipo di prestazione o quantità di bene). Il decreto applicativo ha introdotto tuttavia dei limiti di utilizzo per evitare possibili abusi, stabilendo che i voucher debbano essere nominativi e non utilizzabili da terzi, nonché non monetizzabili o cedibili a terzi e, infine, utilizzabili esclusivamente per un solo bene, opera o servizio e per l’intero valore nominale, senza la possibilità di integrazioni a carico dell’interessato.
2.4 La messa a regime dell’impatto e lo shock pandemico
Una volta sistematizzata e resa strutturale la policy nel biennio 2016-17, successivamente la relativa disciplina è stata solo rimaneggiata, con alcune migliorie24, sulle quali è intervenuta nel 2018 l’Agenzia delle Entrate, fornendo chiarimenti operativi di ampio spettro25.
Quest’ultimo intervento è di particolare rilievo anche per importanti chiarimenti rispetto ad aspetti della disciplina che abbiamo già in precedenza esaminato, ma non solo. Alcuni spunti ci pare vadano in breve rimarcati.
In primo luogo, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta per dettagliare le caratteristiche della partecipazione organica dei lavoratori. Con la Circolare sono ulteriormente esemplificate le forme di coinvolgimento agevolate26, prevedendo che detto coinvolgimento debba essere formalizzato, a livello aziendale, in un ‘Piano di Innovazione’27 elaborato dal datore di lavoro sulla base di quanto disposto dal contratto collettivo ed eventualmente mediante appositi comitati paritetici aziendali28.
In secondo luogo, a conferma comunque della maggiore rigorosità definitoria della disciplina previgente, la Circolare ribadisce che il premio fiscale è concesso solo ove la disciplina collettiva preveda parametri oggettivi di verifica degli incrementi di produttività e un arco temporale xxxxxxx00, entro il quale riscontrare l’effettivo incremento dell’obiettivo prefissato nel contratto
24 In sintesi, la Legge di stabilità 2018 (L. 205/2017) è intervenuta sulla disciplina fiscale di favore in tema di c.d. ‘azionariato popolare’ (non genera reddito imponibile il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti), premiando fiscalmente le plusvalenze derivanti dalla vendita delle azioni ricevute dal lavoratore in sostituzione del premio di risultato. Inoltre, sempre dal 2018, sono divenuti non imponibili anche gli abbonamenti per trasporto pubblico pagati dai datori di lavoro ai propri lavoratori sulla base di previsioni contrattuali, individuali o collettive.
25 Ci si riferisce alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E/2018 del marzo 2018 <xxxxx://xxx.xx/xXxXXX>.
26 La Circolare, a solo titolo esemplificativo, e richiamando in proposito le indagini condotte dalla Fondazione di Dublino, propone due diverse modalità di coinvolgimento paritetico: gli schemi organizzativi di innovazione partecipata (SOP) e i programmi di gestione partecipata (PGP).
27 Il Piano deve riportare: 1) la disamina del contesto di partenza; 2) le azioni partecipative e gli schemi organizzativi da attuare e i relativi indicatori; 3) i risultati attesi in termini di miglioramento e innovazione; 4) il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale, se costituite.
28 A scanso di equivoci, Confindustria (Nota di aggiornamento 18 luglio 2018, reperibile qui
<xxxxx://xxx.xx/XXxx0x>) sottolinea che il fatto che la redazione del Piano sia attribuita al datore porta ad escludere che l’istituto porti ad alterare il potere decisionale dell’imprenditore, aprendo a forme di partecipazione decisionale, ovverosia di cogestione.
29 Sul punto vedi anche la Risoluzione n. 78/E del 19 ottobre 2018, nella quale l’Agenzia delle Entrate afferma: “Non è ,pertanto, sufficiente che l'obiettivo prefissato dalla contrattazione di secondo livello sia raggiunto, dal momento che è altresì necessario che il risultato conseguito dall'azienda risulti incrementale rispetto al risultato antecedente l'inizio del periodo di maturazione del premio.”
collettivo30. Tuttavia, la Circolare — mitigando il rigore logico-matematico di questo approccio — ha aggiunto che il beneficio fiscale è concesso anche se la verifica temporale mostra un incremento di uno solo degli obiettivi, alternativamente indicati nel contratto collettivo, di miglioramento della produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione31. Questa possibilità potrebbe avere l’effetto di attenuare la rigorosità dei contratti collettivi nella scelta degli indicatori incrementali di riferimento.
L’Agenzia delle Entrate nella Circolare del 2018 torna su due questioni interpretative già affrontate nelle pagine precedenti. Innanzi tutto, è confermato il ruolo del contratto territoriale quale strumento tarato sulle esigenze delle imprese prive di rappresentanza sindacale interna: non solo è sufficiente il recepimento da parte del datore di questa tipologia di contratto per accedere al premio, ma il datore è anche libero di “adottare il contratto territoriale che ritiene più aderente alla propria realtà”. Peraltro, è precisato che per accedere al beneficio non sono sufficienti incrementi di risultato territoriali e cioè raggiunti dal complesso delle aziende il contratto si riferisce, ma è comunque necessario che l’incremento di risultato sia verificabile nei confronti della singola azienda che eroga il premio.
Infine, la disciplina — però, si noti, solo a livello di prassi — ha risentito della crisi sanitaria, posto che molte imprese sono state costrette a rallentare o addirittura a sospendere temporaneamente l’attività produttiva (vedi in proposito il capitolo 3). In questa situazione, a diversi livelli, ci si è posti il problema di come affrontare la situazione relativa all’erogazione dei PdR. Una prima soluzione ipotizzata, accertata l’eccezionalità della situazione e della non volontarietà di quanto accaduto, avrebbe potuto essere quella di non tener conto del criterio dell’incrementalità della misura, sopra ricordato. All’interno di uno dei numerosi atti emergenziali adottati durante la crisi pandemica, era ipotizzabile la sospensione, per il solo 2020, di questo requisito per fruire dell’agevolazione fiscale sui PdR. D'altro canto, una norma di questo tipo
30 Sul punto l’Agenzia delle Entrate ha inoltre specificato che non vi è necessaria coincidenza tra gli obbiettivi aziendali così stabiliti, e che danno accesso al regime fiscale agevolato, e la strutturazione del premio di risultato. Quest’ultima – quella cioè in cui sono stabilite criteri e condizioni per l’erogazione del premio e il loro ammontare – “risponde esclusivamente alle politiche retributive concordate con le organizzazioni sindacali”.
31 Secondo La Circolare: “Ad esempio ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva se, in conformità alle previsioni del contratto, l’erogazione del premio è subordinata al raggiungimento di diversi obiettivi, fra di essi alternativi, è sufficiente il raggiungimento incrementale di uno solo di questi misurato sulla base di appositi indicatori (…), indipendentemente dalla circostanza che, con riferimento alle modalità di determinazione del quantum, le parti abbiano concordato di graduarne l’erogazione in ragione del raggiungimento degli stessi o di diversi obiettivi”.
avrebbe portato, comunque, a uno stravolgimento della legge stessa e quindi pare essere stata percorsa una strada alternativa.
A tale riguardo, una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (36/E/2020), in un inciso, sembrava consentire una rimodulazione degli obiettivi/indicatori aziendali, presenti negli accordi decentrati, a seguito di situazioni eccezionali che li rendessero di difficile realizzazione32. Si apriva così la strada alla possibilità di poter effettuare delle integrazioni agli accordi di secondo livello o agli accordi territoriali già sottoscritti in anni precedenti. Di fatto, ciò poteva essere raggiunto mediante l’introduzione di ulteriori obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione, che dovevano comunque essere confrontati con i risultati conseguiti in un periodo definito dalle parti contrattuali.
Così come veniva adombrato dalla stessa Agenzia, le parti potevano prorogare fino al 31 dicembre 2020 il contratto aziendale del 2019, introducendovi delle modifiche, pertinenti il paragrafo relativo alla determinazione del PdR, ovvero sostituendolo con nuovi indicatori o con periodi di tempi rimodulati in base alle nuove esigenze contrattuali. Infatti, in un Interpello, l’Agenzia ha affermato, da una parte, che: “(…) Non si ravvisano criticità nell’aver ricalcolato il valore di riferimento dell’indicatore di redditività (…) dal momento che tale rideterminazione, in ragione del periodo di sospensione delle attività registratasi nel 2020, consente ugualmente di poter rilevare un incremento attuale di redditività”; dall'altro che: “(…) la rideterminazione del periodo congruo, dovuta all'emergenza epidemiologica da Covid-19 (…) non osta all'applicazione del regime agevolato, dal momento che, come detto, la durata del periodo di maturazione del premio è rimessa all'accordo delle parti” (corsivo dell'Agenzia)33.
Il punto fermo da non oltrepassare, nondimeno, rimane quello dell’aleatorietà del PdR, in quanto continua a non essere ammissibile la ratifica ex-post di obiettivi aziendali già raggiunti, così come più volte ribadito nella prassi e, da ultimo, nella Risoluzione 26 giugno 2020, n. 3634.
32 In questa Risoluzione espressamente si afferma: "Pertanto, qualora nel contratto aziendale/territoriale venga attestato che il raggiungimento dell’obiettivo incrementale è — anche per circostanze eccezionali — effettivamente incerto alla data della sua sottoscrizione perché l’andamento del parametro adottato in sede di contrattazione è suscettibile di variabilità, si ritiene che l’azienda, sotto la propria responsabilità, possa applicare l’imposta sostitutiva del 10 per cento qualora al termine del periodo congruo sia conseguito il risultato incrementale".
33 Così la Risposta n. 270 del 20 aprile 2021 dell'Agenzia, reperibile qui <xxxxx://xxx.xx/0xxXX0x>.
34 Il regime fiscale di favore può “applicarsi sempreché il raggiungimento degli obiettivi incrementali alla base della maturazione del premio (previamente definiti nel contratto e misurati nel periodo congruo stabilito su base contrattuale), e non solo la relativa erogazione, avvenga successivamente alla stipula del contratto”.
3 Monitoraggio degli incentivi sul PdR e gli effetti della crisi pandemica
Come evidenziato nell’evoluzione normativa del PdR, il sistema di incentivi, messo in campo dal Governo a partire dalla Legge di stabilità 2016 (art. 1 co. 182-190 della legge n. 208/2015), prevede un regime fiscale agevolato sui premi di produttività successivamente potenziato dalla Legge di Bilancio per il 2017 (legge n. 232/2016)35.
Xx XxX introdotti in esecuzione di contratti collettivi di secondo livello è riconosciuta l’imposta sostitutiva del 10%, con la possibilità di erogare il premio tramite prestazioni di welfare aziendale. Il regime fiscale premiante viene riconosciuto anche in presenza di partecipazione dei lavoratori agli utili e all’organizzazione del lavoro.
Per questa misura è stata prevista un’azione di monitoraggio basata sull’archivio digitale prima menzionato ed attivato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (MLPS) come strumento di raccolta dei dati di sintesi degli accordi siglati36.
Questi dati, come tutti i dati di fonte amministrativa, sono stati sottoposti ad un processo di verifica (Inapp 2017), per aumentarne la qualità informativa37.
Il dataset così implementato permette una lettura per dimensione aziendale, per distribuzione geografica e per settore ATECO. Le variabili principali sono la tipologia di contratto di secondo livello (aziendale e territoriale), il numero di beneficiari, il premio di risultato, gli obiettivi di performance, gli indicatori di
35 Come visto nel precedente capitolo, la Legge di Bilancio per il 2017, in particolare, ha aumentato (da 50.000 a 80.000 euro lordi annui) il limite dei redditi di lavoro per i beneficiari dell’incentivo; ha elevato da 2.000 a
3.000 euro lordi il limite massimo di importo soggetto a tassazione agevolata (nel caso di aziende che prevedono forme di partecipazione dei lavoratori, il limite è innalzato da 2.500 a 4.000 euro).
36 Disciplinato dal Decreto Interministeriale 25 marzo 2016.
37 In particolare, sono stati integrati i dati dell’archivio digitale con informazioni sui settori di attività economica e sulla dimensione aziendale ricavate dall’Archivio statistico delle imprese attive (ASIA), diffuso dall’Istat.
performance, la partecipazione, e la previsione di misure di welfare aziendale. L’archivio digitale non è cristallizzato nel tempo ma è dinamico con rilasci degli aggiornamenti da parte del Ministero.
Di seguito si illustrano le principali evidenze empiriche scaturenti dal monitoraggio amministrativo, con due approfondimenti specifici: uno sugli indicatori con i quali le parti hanno deciso di misurare gli incrementi di performance dei lavoratori per l’erogazione del premio di risultato; un altro sugli strumenti complementari di welfare occupazionale e partecipazione dei lavoratori.
3.1 I principali aspetti distributivi: le tre polarizzazioni
Dall’archivio digitale (versione luglio 2021) messo a disposizione dal Ministero è possibile definire il numero di istanze presentate e il numero di beneficiari coinvolti nel premio di risultato. L’integrazione con altri dataset come ASIA ha permesso di declinare questi dati per tre caratteristiche strutturali delle imprese che hanno aderito all’incentivo: quella dimensionale, quella settoriale, quella territoriale.
Nel periodo da giugno 2016 a febbraio 2021 sono state presentate 66.526 istanze da parte di 24.049 imprese, di cui 1.330 ditte individuali.
La maggior parte è costituita da contratti aziendali (82% delle istanze e 93,5% dei beneficiari coinvolti), mentre i contratti territoriali rappresentano una parte residuale (18% delle istanze e 6,5% dei beneficiari coinvolti).
Tabella 3.1 Contratti presentati per tipologia contrattuale, istanze e beneficiari coinvolti (dati a febbraio 2021)
Tipologia di contratto | Istanze | Beneficiari | |||
n. | % | Media | n. | % | |
Aziendale | 54.316 | 82,0% | 194 | 10.554.237 | 93,5% |
Territoriale | 11.940 | 18,0% | 61 | 733.414 | 6,5% |
Totale | 66.256 | 100% | 170 | 11.287.651 | 100,0% |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Nonostante la portata limitata, la contrattazione territoriale svolge una funzione importante per il coinvolgimento soprattutto delle micro e piccole imprese.
Se si considerano, infatti, i dati dimensionali risulta evidente come l’adesione alla contrattazione territoriale diminuisca al crescere delle dimensioni aziendali, contrariamente alla contrattazione aziendale che aumenta.
Grafico 3.1 Distribuzione contratti per tipologia contrattuale e per dimensione aziendale (dati a febbraio 2021)
Aziendale Territoriale
16.000
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
0
fino a 9
da 10 a 49
da 50 a 249
250 e oltre
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Nonostante il ruolo svolto dalla contrattazione territoriale, quella aziendale soprattutto quella attivata dalla media e grande impresa resta il perno dell’intero sistema di decentramento contrattuale per capacità di coinvolgimento di un maggior numero di beneficiari finali (grafico 3.2).
Grafico 3.2 Distribuzione contratti per numero di istanze, beneficiari coinvolti e dimensione aziendale (dati a febbraio 2021)
La dimensione delle sfere è proporzionale al numero dei beneficiari
441.349
1.086.378
311.790
147.053
0-9
10-49
50-249
250+
Dimensione aziendale
Istanze
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Dal punto di vista settoriale (grafico 3.3), al netto di un dato mancante che pesa per il 18%, le attività manifatturiere registrano il primato registrando il 35% dei beneficiari coinvolti. Seguono le attività finanziarie ed assicurative con il 14% dei beneficiari coinvolti, il trasporto e magazzinaggio con il 7%, il commercio con il 6%, le attività professionali scientifiche e tecniche con il 4%. Tutti gli altri settori, che registrano un coinvolgimento di beneficiari inferiore al 4%, raggruppati coinvolgono complessivamente il 16,2% dei beneficiari.
Grafico 3.3 Distribuzione contratti per beneficiari coinvolti e settore economico (dati a febbraio 2021)
Mancante
Manifattura (C)
16%
18%
4%
6%
Attività finanziarie e assicurative (K)
Trasporto e magazzinaggio (H)
7%
35%
14%
Commercio (G)
Attività professionali, scientifiche e
tecniche (M)
Altro
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Questa distribuzione potrebbe essere influenzata dal peso in termini di occupati che hanno i diversi settori economici, per cui si è ritenuto opportuno calcolare il grado di copertura38 della contrattazione di secondo livello attivata per accedere all’incentivo che permette anche di evidenziare una maggiore o minore propensione di alcuni settori a ricorrere al PdR (figura 3.4). I contratti di secondo livello depositati per accedere all’incentivo fiscale sul PdR coprono mediamente il 14,5% dei dipendenti. La più alta propensione al coinvolgimento di dipendenti nella contrattazione di secondo livello è registrata dal settore estrattivo (cave e miniere) con una copertura del 92,6%, la più bassa invece viene registrata nei servizi di ricettività con una copertura dell’1,2%.
38 Rapporto tra i beneficiari medi annui tra il 2016 e il 2020 e i dipendenti del 2016 prima annualità utile
per accedere all’incentivo.
Grafico 3.4 Grado di copertura della contrattazione di secondo livello per settore in termini di beneficiari coinvolti (dati a febbraio 2021)
Grado di copertura contrattazione di secondo livello
Beneficiari medi annui (2016-2020)/Totale dipendenti 2016
I - Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione 1,24%
S - Altre attività di servizi 1,69% F - Costruzioni 2,08% P - Istruzione 3,51%
N - Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese 3,76%
L - Attività immobiliari 5,53% R - Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento 5,65% G - Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di… 6,14%
Q - Sanità e assistenza sociale 6,78%
COPERTURA MEDIA SUL TOTALE DEI SETTORI ECONOMICI 14,50%
H - Trasporto e magazzinaggio 15,06%
M - Attività professionali, scientifiche e tecniche 16,94%
J - Servizi di informazione e comunicazione 17,07%
C - Attività manifatturiere 22,53%
E - Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti… 36,27%
D - Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata
50,81%
K - Attività finanziarie e assicurative 62,75%
B - Estrazioe di minerali da cave e miniere 92,64%
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al “Deposito contratti aziendali e territoriali e
tassazione agevolata dei premi di risultato”
Dal punto di vista della distribuzione territoriale (tabella 3.2) la maggior parte dei contratti sono stati stipulati nel Nord-Ovest (41,2% delle istanze presentate e il 44,2% dei beneficiari coinvolti), seguito dal Nord-Est (32,5% delle istanze presentate e il 26,9% dei beneficiari coinvolti), dal Centro (16,8% delle istanze presentate e il 23,5% dei beneficiari coinvolti) e infine dal Sud e Isole (9,4% delle istanze presentate e il 5,2% dei beneficiari coinvolti).
Tabella 3.2 Istanze presentate e beneficiari coinvolti per circoscrizione (dati a febbraio 2021)
Circoscrizione | Istanze | Beneficiari | ||
n. | % | n. | % | |
Nord-Ovest | 23.117 | 41,22% | 4.095.526 | 44,29% |
Nord-Est | 18.249 | 32,54% | 2.494.989 | 26,98% |
Centro | 9.439 | 16,83% | 2.170.518 | 23,47% |
Sud e Isole | 5.276 | 9,41% | 485.583 | 5,25% |
Totale | 56.081 | 100,00% | 9.246.616 | 100,00% |
Mancante | 10.175 | 15,36% | 2.041.035 | 18,08% |
Totali | 66.256 | 11.287.651 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Tra le regioni quella con il maggior numero di beneficiari risulta essere la Lombardia con circa 2,4 Mln di beneficiari cumulati nelle diverse annualità, seguita dal Lazio con 1,7 Mln, il Piemonte 1,4 Mln e l’Xxxxxx-Romagna con 1,2.
Grafico 3.5 Beneficiari coinvolti per regione e annualità di PdR d riferimento (dati a febbraio 2021)
Beneficiari annui per regione
Molise Calabria
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste
Sardegna Umbria Sicilia Marche Puglia Basilicata Campania Abruzzo
Trentino-Alto Adige/Südtirol
Liguria Toscana
Friuli-Venezia Giulia
Veneto Xxxxxx-Romagna
Piemonte
Lazio Lombardia Mancanti
Mancanti
≤2015
2016
2017
2018
2019
≥ 2020
0 500000 1000000 1500000 2000000 2500000 3000000
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Figura 3.1 Grado di copertura della contrattazione di secondo livello per regione in termini di beneficiari coinvolti (dati a febbraio 2021)
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Anche in questo caso si è voluto calcolare il grado di copertura calcolando l’incidenza dei beneficiari del dispositivo sui dipendenti per regione39. Per l’Italia il grado medio di copertura è pari al 18,27%40. Le regioni con il più alto tasso di copertura sono il Piemonte con il 31,1%, il Friuli-Venezia Giulia con il 30,3%, la Basilicata con il 24,4% (unica regione del Sud). Seguono il Lazio con il 23,2%, l’Xxxxxx-Romagna con il 19,9% e la Lombardia con il 15,44%, che come si è visto, insieme al Piemonte registrano il primato dei beneficiari coinvolti considerati in termini di valori assoluti.
Da questa breve analisi dei dati generali sono evidenti delle forti polarizzazioni nell’adesione agli incentivi del premio di risultato e quindi nell’attivazione della contrattazione di secondo livello a favore di imprese medio grandi, concentrata prevalentemente in alcuni settori economici e localizzata prevalentemente nelle regioni del centro nord con l’eccezione della Basilicata.
Una prima riflessione può già emergere: laddove questi incentivi dovessero realmente funzionare determinando un reale incremento della produttività del lavoro si rischierebbe di radicalizzare le polarizzazioni in un sistema produttivo già fortemente squilibrato.
3.2 La rilevanza degli obiettivi e degli indicatori di risultato come misura del buon andamento aziendale
Com’è stato evidenziato nell’analisi dell’evoluzione della normativa41, di recente sono state introdotte importanti novità soprattutto sull’oggettività e la misurabilità degli incrementi di performance rispetto ai quali corrispondere il bonus fiscale. Si tratta di un percorso evolutivo che, sulla base di risultati parziali, ha portato a rendere la misura più stringente sui risultati. Il processo di apprendimento che accompagna la valutazione è l’elemento cruciale che permette ai decisori politici di modificare le proprie strategie e la propria agenda o decidere di mantenere lo status quo (Xxxxxxx e Xxxxxx 1995).
Proviamo a ricostruirne il sistema di valutazione in tre fasi fondamentali, quella del D.L. n. 67/1997, quella della legge n. 247/2007 e infine della legge di stabilità per il 2017, n. 232/2016.
39 Rapporto tra la media dei beneficiari per anno tra il 2016 e il 2020 e il numero di dipendenti del 2016 per regione.
40 In questo caso è superiore al 14,50% registrato come copertura media per i settori economici grazie al minor numero di dati mancanti, che viziano le informazioni a disposizione.
41 Nel presente paragrafo si intendono mettere in evidenza gli aspetti ‘metodologici’ della normativa; per una analisi completa, cfr. il capitolo 2.
Con il D.L. 67/1997 il Legislatore legava lo sgravio fiscale alle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali “la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati”, ma si asteneva dal fornire parametri di verifica degli incrementi nei campi suddetti, lasciando questo compito alla negoziazione collettiva. Il premio, inoltre, veniva riconosciuto automaticamente senza l’obbligo di presentarne richiesta. In questa prima fase emergeva la mancanza di un impianto metodologico condiviso tra le parti, che delimitasse il campo di applicazione del beneficio economico e ne monitorasse l’efficacia e la corretta applicazione. Tutto ciò rendeva complessa anche la semplice valutazione ex post dei risultati prodotti, indipendentemente dagli obiettivi fissati.
Con la legge n. 247/2007 vengono apportate alcune modifiche alle modalità di concessione del premio: esso viene legato alla parte variabile della retribuzione; deve essere presentata una richiesta da parte del datore (non più mediante un riconoscimento automatico); viene istituito un osservatorio tripartito che ne verifichi ex post la coerenza con gli obiettivi prefissati, al fine principale di monitorare eventuali eccessi nella spesa pubblica. Questo tipo di controllo, però, è legato ad aspetti solo formali (coerenza con gli obiettivi) non misurabili. L’impianto metodologico risulta troppo lasco, ovvero sembra che non ci sia ancora una visione chiara sulle finalità dell’istituto (premi di risultato) e manca una certa ‘robustezza’ nelle regole e nelle procedure operative per attuare la policy. In questi casi, i rischi sono quelli di lasciare troppa autonomia decisionale alle imprese e ai lavoratori (vedi contratti ‘cosmetici’42), con la conseguente scelta di obiettivi, da parte di questi ultimi, che non portino a reali vantaggi competitivi per l’impresa e all’aumento della produttività come beneficio generale per il sistema produttivo nazionale.
È con la legge di stabilità del 2016 ed interventi successivi43 che si delinea un maggior rigore metodologico. Da questo momento in poi si vincola il beneficio fiscale al raggiungimento di un incremento di produttività verificabile. Vengono pertanto individuati cinque obiettivi su cui misurare gli incrementi di performance (produttività, redditività, efficienza, qualità e innovazione) e venti indicatori di risultato.
Di seguito le principali evidenze empiriche.
42 Cfr § 2.2 e 2.3.
43 Decreto ministeriale 25 marzo 2016.
3.2.1 Le principali evidenze empiriche
Come già detto, per avere accesso alla detassazione del premio di risultato, le imprese sono tenute alla compilazione di un documento (dichiarazione di conformità), in cui, tra l'altro, sono esplicitati gli obiettivi prefissati e gli indicatori prescelti (i c.d. criteri di valutazione) per verificarne il raggiungimento.
Tabella 3.3 Obiettivi della contrattazione decentrata (val.%) (dati a febbraio 2021)
Obiettivi | % |
Produttività | 60,2 |
Redditività | 44,9 |
Efficienza | 36,4 |
Qualità | 33,8 |
Innovazione | 7,7 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al ‘Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato’
I dati (tabella 3.3) mostrano che, tra tutti gli indicatori possibili, quelli maggiormente presenti nei contratti collettivi firmati sono quelli relativi all’incremento della produttività nel 60,2% dei casi e della redditività nel 44,9%44. In poco più di 1/3 l’efficienza e la qualità. Fanalino di coda è, come nelle annualità precedenti del monitoraggio, l’obiettivo dell'innovazione (7,7%). Probabilmente, come sottolineato in studi recenti (Marocco e Resce 2020) le imprese continuano a implementare processi innovativi finanziandoli mediante altri strumenti normativi, ad esempio quelli legati ad Industria 4.0. Ciò equivale a dire che in questi casi considerano tale obiettivo raggiungibile con investimenti diretti in infrastrutturazione tecnologica piuttosto che tramite investimenti in capitale umano e in modifiche all’organizzazione del lavoro.
44 È bene precisare che le imprese possono dichiarare più di un obiettivo. Si aggiunga che, come detto, l'Agenzia delle Entrate adombra una certa fungibilità tra gli obiettivi, posto che: “(…) se l’erogazione del premio è subordinato al raggiungimento di diversi obiettivi, fra di essi alternativi, è sufficiente il raggiungimento incrementale di uno solo di questi misurato sulla base di appositi indicatori” (Circolare n. 5/2018).
Tabella 3.4 Obiettivi della contrattazione decentrata in base all’area geografica (val.%) (dati a febbraio 2021)
Circoscrizione | Produttività | Redditività | Efficienza | Qualità | Innovazione |
Nord-Ovest | 20,8 | 16,3 | 13,0 | 13,0 | 2,7 |
Nord-Est | 17,8 | 13,4 | 10,1 | 8,8 | 1,6 |
Centro | 8,6 | 6,4 | 4,8 | 3,8 | 1,0 |
Sud e Isole | 3,7 | 2,5 | 2,3 | 2,0 | 0,6 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Dal punto di vista della distribuzione territoriale (tabella 3.4), l’analisi mostra che il fenomeno oggetto di studio tende a concentrarsi nelle aree settentrionali del Paese, poco sviluppato al Centro e ancor meno al Sud e Isole. La tendenza a prediligere le voci produttività e redditività si ripete anche per questa chiave di lettura.
Tabella 3.5 Obiettivi della contrattazione decentrata in base alla regione (val.%) (dati a febbraio 2021)
Regioni | Produttività | Redditività | Efficienza | Qualità | Innovazione |
Piemonte | 4,7 | 3,4 | 3,1 | 3,7 | 0,4 |
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste | 0,1 | 0,1 | 0,0 | 0,1 | 0,0 |
Lombardia | 14,7 | 11,9 | 9,1 | 8,6 | 2,2 |
Trentino Alto Adige/Südtirol | 1,1 | 1,2 | 0,8 | 0,7 | 0,1 |
Veneto | 6,1 | 4,2 | 3,5 | 3,1 | 0,6 |
Friuli-Venezia Giulia | 1,7 | 1,1 | 1,1 | 0,9 | 0,2 |
Liguria | 1,2 | 0,9 | 0,8 | 0,6 | 0,1 |
Xxxxxx-Romagna | 8,9 | 6,9 | 4,7 | 4,2 | 0,7 |
Toscana | 3,4 | 2,6 | 1,7 | 1,1 | 0,2 |
Umbria | 0,7 | 0,4 | 0,5 | 0,4 | 0,1 |
Marche | 0,9 | 0,8 | 0,5 | 4,0 | 0,1 |
Lazio | 3,6 | 2,5 | 2,1 | 1,9 | 0,6 |
Molise | 0,0 | 0,0 | 0,0 | 0,0 | 0,0 |
Campania | 1,0 | 0,6 | 0,6 | 0,6 | 0,2 |
Puglia | 0,7 | 0,5 | 0,4 | 0,3 | 0,1 |
Basilicata | 0,2 | 0,1 | 0,1 | 0,1 | 0,0 |
Calabria | 0,2 | 0,2 | 0,1 | 0,1 | 0,1 |
Sicilia | 0,6 | 0,4 | 0,5 | 0,4 | 0,1 |
Sardegna | 0,4 | 0,3 | 0,2 | 0,1 | 0,0 |
Fonte: Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Disaggregando i dati per regione (tabella 3.5), emerge che la maggioranza dei contratti depositati si concentrano in tre regioni del Nord: Lombardia, Xxxxxx-
Romagna e Veneto a prescindere dall’obiettivo prefissato. Si nota come sia esiguo in termini percentuali il numero delle istanze presentate dalle regioni del Sud. La produttività continua a rappresentare l’obiettivo cui sono agganciati la maggior parte dei premi di risultato: Lombardia (14,7%), Xxxxxx-Romagna (8,9%) e Veneto (6,1%), praticamente una parte consistente del sistema produttivo italiano, sono capofila nel numero di richieste.
Tabella 3.6 Obiettivi della contrattazione decentrata in base alla classe dei dipendenti dell’impresa (val.%) (dati a febbraio 2021)
Dimensione aziendale | Produttività | Redditività | Efficienza | Qualità | Innovazione |
0-9 | 7,7 | 4,9 | 3,7 | 2,7 | 0,8 |
10-49 | 12,9 | 9,5 | 7,0 | 6,0 | 1,4 |
50-249 | 16,5 | 13,1 | 9,9 | 9,8 | 1,8 |
250 e più | 13,7 | 11,0 | 9,5 | 9,1 | 1,9 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
L’analisi rispetto alla dimensione aziendale (tabella 3.6) riporta un quadro piuttosto in linea con le informazioni precedenti. Al crescere del numero dei dipendenti vi è un aumento del numero di obiettivi presi in esame. Il picco si ha nelle medie imprese con 50-249 dipendenti con una leggera flessione nelle grandi (250+); probabilmente in queste ultime si adottano strategie operative più delineate, che necessitano di un raggio d’azione meno ampio con un minor numero di obiettivi.
Tabella 3.7 Obiettivi della contrattazione decentrata in base ai settori economici (val.%) (dati a febbraio 2021)
Settori | Produttività | Redditività | Innovazione | ||
Efficienza | Qualità | ||||
Estrazione di minerali da cave e miniere | 0,5 | 0,1 | 0,3 | 0,1 | 0,0 |
Attività manifatturiere | 22,4 | 17,0 | 14,5 | 14,7 | 2,2 |
Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata | 1,6 | 1,5 | 1,0 | 1,0 | 0,2 |
Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gest. dei rifiuti e risan. | 2,1 | 1,7 | 1,5 | 1,3 | 0,3 |
Costruzioni | 1,9 | 0,9 | 0,6 | 0,8 | 0,2 |
Commercio all'ingrosso e al det.; rip. di autoveicoli e motocicli | 4,7 | 3,4 | 2,4 | 1,9 | 0,6 |
Trasporto e magazzinaggio | 3,0 | 1,7 | 1,8 | 1,6 | 0,3 |
Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione | 0,8 | 0,7 | 0,4 | 0,4 | 0,1 |
Servizi di informazione e comunicazione | 1,7 | 1,4 | 1,0 | 0,9 | 0,3 |
Attività finanziarie e assicurative | 3,1 | 3,2 | 1,4 | 0,8 | 0,4 |
Attività immobiliari | 0,3 | 0,2 | 0,2 | 0,2 | 0,0 |
Attività professionali, scientifiche e tecniche | 3,4 | 2,7 | 2,2 | 1,8 | 0,5 |
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese | 2,3 | 1,5 | 1,1 | 0,8 | 0,3 |
Istruzione | 0,3 | 0,2 | 0,2 | 0,2 | 0,1 |
Sanità e assistenza sociale | 2,1 | 1,7 | 1,1 | 0,9 | 0,3 |
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento | 0,2 | 0,2 | 0,1 | 0,1 | 0,0 |
Altre attività di servizi | 0,5 | 0,4 | 0,4 | 0,2 | 0,1 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Alcune informazioni si possono ricavare anche dall’analisi delle scelte operate dalle imprese appartenenti alle varie categorie merceologiche (tabella 3.7). Le attività manifatturiere e il commercio riportano i valori più elevati per ogni singolo obiettivo, con valori significativamente più alti rispetto agli altri settori. Queste attività, in quanto ad alta intensità di lavoro, giustificano la scelta di concentrarsi su obiettivi quali la produttività e la redditività rispetto all’innovazione, misura per la quale le imprese potrebbero utilizzare strumenti di finanziamento alternativi alla detassazione del salario accessorio (a solo titolo esemplificativo, Piano nazionale Industria 4.0).
Spetta alla contrattazione di secondo livello determinare i criteri di misurazione e verifica di tali incrementi, affidando così alla negoziazione collettiva la possibilità di orientare il premio di risultato a specifiche necessità aziendali, che possono essere determinate sia da fattori interni (tipologia di prodotto, organizzazione del processo produttivo ecc.) o da fattori esterni (ordinativi, andamento economico ecc.). I criteri (indicatori) prescelti variano su un’ampia
gamma che tocca temi quali: l’aumento della produzione, i risparmi dei fattori
produttivi o il miglioramento della qualità dei prodotti o dei processi.
Per agevolare la presentazione delle istanze, il Legislatore ha individuato una serie di 19 indicatori ampliati a 20 con la voce altro.
Ad una prima lettura si nota come vi sia un ampio ventaglio di scelta che contempla sia i classici indici di bilancio che le usuali leve organizzative (Inapp et al 2020; Marocco e Resce 2020) finalizzate all’incremento della produttività.
Tabella 3.8 Indicatori per ordine di scelta (val.%) (dati a febbraio 2021)
Indicatori | % |
INDIC20 - Altro | 36,0 |
INDIC13 - Riduzione assenteismo | 26,8 |
INDIC02 - Fatturato o VA di bilancio/n. dipendenti | 22,0 |
INDIC01 - Volume della produzione/n. dipendenti | 20,2 |
INDIC03 - MOL/VA di bilancio | 19,0 |
INDIC04 - Indici di soddisfazione del cliente | 14,4 |
INDIC06 - Riduzione degli scarti di lavorazione | 11,8 |
INDIC17 - Riduzione numero infortuni | 9,7 |
INDIC05 - Diminuzione n. riparazioni, rilavorazioni | 8,0 |
INDIC12 - Rapporto costi effettivi/costi previsti | 7,6 |
INDIC07 - % di rispetto dei tempi di consegna | 7,4 |
INDIC09 - Modifiche organizzazione del lavoro | 7,1 |
INDIC11 - Modifiche ai regimi di orario | 5,1 |
INDIC08 - Rispetto previsioni di avanzamento lavori | 4,6 |
INDIC19 - Riduzione tempi di commessa | 3,9 |
INDIC16 - Riduzione dei consumi energetici | 3,6 |
INDIC18 - Riduzione tempi di attraversamento interni lavorazione | 2,7 |
INDIC10 - Lavoro agile (smart working) | 2,0 |
INDIC15 - Riduzione tempi sviluppo nuovi prodotti | 1,4 |
INDIC14 - N. brevetti depositati | 0,5 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Nel complesso, analizzando la tabella 3.8 si riscontra una preferenza per l’indicatore ‘Altro’ (36%), posto che quelli indicati nella disciplina attuativa non presentano carattere di tassatività. È bene ricordare che sebbene il premio di risultato possa essere legato anche a qualche azione di tipo rivendicativo a livello salariale da parte delle rappresentanze sindacali dei lavoratori (Mosca e Xxxxxxxxx 2016), nella quasi totalità dei casi esso si basa su un dialogo sociale costruttivo e non conflittuale, oramai riconosciuto come leva organizzativa significativa rispetto all’incremento di risultato (Eurofound 2017). Purtroppo, in questa fase dello studio non è stato possibile effettuare un’analisi qualitativa delle informazioni di questa voce. Il precedente monitoraggio (Inapp et al
2020), mostrava come la scelta fosse ricaduta principalmente su indici di bilancio, a titolo esemplificativo l’EBITDA45.
Il criterio della riduzione dell’assenteismo (26,8%) risulta prevalente, a seguire vi sono gli indici di bilancio: il rapporto tra fatturato o VA di bilancio per numero dei dipendenti (22,0%), il rapporto tra volume della produzione per numero dei dipendenti (20,2%), il rapporto tra margine operativo lordo (MOL) e valore aggiunto (VA) di bilancio (19%). Minore rilevanza è stata assegnata a quegli indicatori che attengono a una rivisitazione dell’organizzazione del lavoro: modifiche all’organizzazione del lavoro (7,1%), modifiche ai regimi di orario (5,1%) e lavoro agile (2%). Riguardo a quest’ultimo indicatore e considerato il periodo storico attuale, in cui la pandemia ha modificato significativamente l’organizzazione del lavoro, le imprese non potranno non tenerne conto, nella prossima tornata di accordi di II livello relativi alla detassazione del PdR.
3.2.1 Alcune considerazioni
I vincoli dell’incrementalità e della misurabilità nel tempo hanno probabilmente orientato i richiedenti verso la scelta di indicatori che facilitassero una valutazione ex ante del contratto che si andava a siglare. Non sorprende, quindi, l’uso ricorrente di indicatori economici. Questi, infatti, sono di regola utilizzati dalle imprese, sia in adempimento di precisi obblighi legali (nelle scadenze in cui bisogna presentare i bilanci), che per valutare l’andamento della produttività e quindi del valore stesso dell’impresa. L’analisi della prestazione economica quale fattore discriminante per la valutazione della prestazione, e di conseguenza il suo utilizzo come criterio premiante, è una prassi cristallizzata nella cultura d’impresa. Si cerca di massimizzare l’impegno da parte dei dipendenti legando la retribuzione variabile all’andamento di questi indici economici. Le filosofie adottate sono principalmente due: corrispondere il premio in base all’incremento degli utili (profit sharing) o al contenimento dei costi/miglioramento dell’efficienza (gain sharing). In questi casi è più semplice analizzare la prestazione individuale perché la si può legare più facilmente all’operato di un reparto, di una divisione o di una unità organizzativa. La funzione incentivante del premio di risultato dovrebbe avere maggior presa sul singolo dipendente in quanto l’importanza del suo impegno, rispetto alla prestazione del gruppo, gli appare più evidente aumentandone, di conseguenza, la motivazione al lavoro.
45 Acronimo inglese che sta per Earnings Before Interests Taxes Depreciation and Amortization, ossia l’utile prima degli interessi, delle tasse e degli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali e immateriali.
In una realtà italiana fatta di PMI, dove il senso di appartenenza all’impresa e al gruppo è più spiccato, quest’approccio sembra essere quello preferito dai sottoscrittori di questi accordi di II livello; ovviamente bisogna tener conto anche di altri aspetti quali, a solo titolo esemplificativo, il mercato di riferimento (più o meno competitivo), l’orientamento dei vertici aziendali e lo stato delle relazioni industriali all’interno di queste imprese.
L’importanza della funzione incentivante nei contesti aziendali permette di fare un discorso simile anche per il criterio dell’assenteismo. Con questo termine si può intendere “la mancata presenza fisica al lavoro, riconducibile ad eventi di malattia dichiarata”, l’incidenza del suo peso (tasso di assenteismo) è dato dal rapporto tra le ore di assenza dal lavoro e le ore contrattuali di lavoro previste, dedotte le ore dovute ad assenze prevedibili46 (Xxxxxxx et al. 2003, 130). A livello di misurazione è quindi facilmente verificabile un suo aumento o decremento nel tempo.
In generale, poi, le caratteristiche di brevità e intermittenza di questa particolare assenza, la rendono assai nociva per tutti gli attori coinvolti. Per le imprese rappresenta un aumento dei propri costi, oltre che incidere sulla produttività generale. La contrattazione collettiva prevede la copertura, da parte delle imprese, dei costi legati ad assenze prevedibili (ferie, festività, assemblee, ecc.). Questi costi sono distribuiti su ogni ora effettivamente lavorata, di conseguenza all’aumentare dell’assenteismo il costo per unità di ora lavorata aumenta. Per questo nella contrattazione aziendale si è cercato di porre un freno a questo fenomeno legando il premio di produttività alla presenza sul posto di lavoro (Pulvirenti 2018), disincentivando economicamente l’abuso dell’assenza per malattia47. Nondimeno il sistema produttivo nazionale, nel suo complesso, può vedere aumentare i suoi costi sia diretti (indennità di malattia) che indiretti con una perdita di produttività potenziale dovuta alla diminuzione della forza lavoro disponibile. Per questa ragione, recenti politiche governative48 cercano di spostare i costi dell’assenteismo sul lavoratore.
46 È bene distinguere il termine assenteismo da quello di assenza dal lavoro, Nel nostro ordinamento sono previste delle assenze per varie ragioni: ferie, festività, sciopero, maternità ecc., ma sono perlopiù prevedibili da parte del datore di lavoro.
47 La contrattazione collettiva attribuisce all’assenteismo un effetto correttivo nei confronti del premio aziendale calcolato in base al raggiungimento di determinati obiettivi. Generalmente vi è una diminuzione proporzionale dell’ammontare del premio all’aumentare del numero di ore di assenza, inversamente si prevede un aumento nel caso di nessuna assenza del lavoratore nell’anno di corresponsione del premio.
48 La lotta all’assenteismo nel settore pubblico, che non usufruisce del premio di produttività, ha portato all’emanazione decreto-legge n. 112/2008, che prevede la decurtazione dalla retribuzione, per ogni evento di malattia, a prescindere dalla durata, nei primi dieci giorni di assenza, di ogni indennità o
Come accennato precedentemente, l’obiettivo innovazione e i criteri ad esso connessi hanno avuto una bassa rilevanza tra le scelte effettuate. Le ragioni possono essere molteplici. Il ruolo dell’innovazione quale volano per l’incremento della produttività è un dato, oramai, consolidato. È possibile, però, che le politiche industriali delle imprese italiane tendano a privilegiare aspetti dell’innovazione legati al prodotto o al processo piuttosto che ad aspetti legati all’organizzazione del lavoro. La scelta in questo caso potrebbe ricadere su misure legate a politiche di connessione Stato-imprese, piuttosto che all’incentivazione diretta attraverso sgravi fiscali (Burroni 2020). L’incentivo, però, potrebbe ricoprire un ruolo addizionale (Xxxxx et al. 2017) producendo un effetto anticipazione sull’investimento in innovazione programmato da parte delle imprese, che si attiverebbero grazie al sostegno dell’incentivo. Queste ultime, però, possono permettersi di investire? E se lo fanno che tipo di incentivo fiscale prediligono? Il sistema produttivo italiano è caratterizzato da imprese di piccole dimensioni, che difficilmente possono sostenere i costi fissi della R&D. Sono investimenti che portano frutti sul lungo periodo, i quali sottendono un’alta propensione al rischio da parte dell’imprenditore. Infine, per produrre innovazione vi è necessità di una forza lavoro altamente qualificata, più adeguata ad adattarsi agli inevitabili cambiamenti organizzativi connessi all’innovazione (Xxxxxxxxxx e Greco 2020), mentre in Italia, purtroppo, si registra un significativo ritardo nello sviluppo delle competenze dei lavoratori (Xxxxx 2021). In sintesi, vi sono ostacoli all’investimento in innovazione.
In questo contesto, è importante capire come intervenire in maniera efficace. Xxxxx et al. (2017) sostengono che il tasso di innovatività delle imprese è più alto laddove, ad un investimento in capitale fisico, si affianchi uno in capitale umano (formazione), l’implementazione di innovazioni organizzative rivestono un ruolo fondamentale nell’agevolare la complementarità e l’efficacia di questi investimenti (Xxxxx 2007). Con l’avvio del piano Industria 4.049, la politica industriale italiana sembra aver puntato su misure d’incentivazione fiscale volte a favorire l’acquisto di beni strumentali (capitale fisico) (Xxxxxxxx e Xxxxx 2020), dando l’impressione di prestare minore attenzione a fattori legati all’innovazione organizzativa.
Probabilmente ciò è dovuto ad una oggettiva difficoltà ad operazionalizzare il concetto di innovazione organizzativa e a trovare sistemi di misurazione standardizzati (Eurofound 2017), che ne permettano una valutazione ex ante-
emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio.
49 Ci si riferisce a misure quali il Super-ammortamento, la Nuova Xxxxxxxx, l’Iper-ammortamento ecc.
post. Le sue caratteristiche di trasversalità e supporto rendono difficoltoso comprendere se essa sia una condizione per lo sviluppo di innovazione o il risultato di altre tipologie di innovazione e non un obiettivo essa stessa da perseguire.
Un ultimo elemento da tenere in considerazione è come le imprese si approcciano all’innovazione, se la loro attenzione è finalizzata a introdurre un nuovo prodotto/servizio sul mercato o se vogliano introdurre un’innovazione radicale (Eurofound e Cedefop 2021). Nel primo caso è possibile che finalizzino i loro sforzi a un’innovazione di prodotto/servizio curando aspetti come la ricerca e sviluppo di nuovi materiali, componenti ecc.. Nel secondo caso, l’introduzione di un nuovo prodotto/servizio basato, ad esempio, sulle tecnologie abilitanti di Industria 4.0 comporta la riorganizzazione, più o meno radicale, del processo produttivo e la necessaria formazione del personale; ciò va ad impattare su altre dimensioni (obiettivi) quali l’efficienza e la qualità. In entrambi i casi è possibile l’adozione di incentivi fiscali (vedi Industria 4.0) di più facile accesso e rendimento potenziale.
In una situazione di crisi pandemica si dovrà necessariamente porre maggiore attenzione ad aspetti legati alla modalità di svolgimento del lavoro, se si vuole essere competitivi. Già le precedenti crisi economiche hanno portato le imprese ad indagare la possibilità di trarre profitto da modifiche all’organizzazione del lavoro (modifiche ai regimi di orario, lavoro da remoto), agli stili manageriali da adottare e al ruolo che i dipendenti possono svolgere nel processo decisionale. In conclusione, è possibile attendersi, in un breve futuro, un riequilibrio del peso dell’innovazione (in particolare quella organizzativa) nelle scelte effettuate dalle imprese al momento della richiesta di agevolazioni fiscali.
3.3 Il welfare occupazionale e la partecipazione dei lavoratori
all’andamento economico complessivo dell’impresa
Il Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo, del 23 luglio 1993, può essere considerato un cardine delle politiche di promozione del secondo livello di contrattazione. Già nel Protocollo veniva stabilito il principio che: “le erogazioni del livello di contrattazione aziendale siano strettamente correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità e altri elementi di competitività, nonché ai risultati legati all’andamento
economico dell'impresa”. Il secondo livello può favorire, difatti, la realizzazione dell’incontro tra esigenze individuali, tramite delle scelte contingenti, flessibili e personalizzate riguardo ai bisogni dei lavoratori, sempre però all’interno di una cornice di contrattazione collettiva. Le esigenze personali vengono mediate, difatti, da una forma di rappresentanza collettiva, assicurata dalla stipula di un contratto aziendale o territoriale, e non rappresentano, pertanto, lo sviluppo di una negoziazione di tipo individuale.
La Grande crisi finanziaria del 2008-09 accentuava l’attenzione da parte dei decisori pubblici sul secondo livello di contrattazione, nell’ambito di una linea volta al contenimento della spesa (dai tagli diretti alla spesa pubblica, al blocco della contrattazione nel pubblico impiego, alla dinamica delle retribuzioni contrattuali da allora molto appiattita) e che legava, in maniera quasi cogente, lo sviluppo della contrattazione di secondo livello all’andamento della produttività. I prodromi di tali misure potevano essere facilmente rintracciati anche nel ‘diktat’, a firma congiunta, inviato dai governatori della Banca centrale europea (BCE), l’allora entrante Xxxxx Xxxxxx e l’allora uscente Xxxx- Xxxxxx Xxxxxxx, contenute in una lettera ‘segreta’ (Sensini 2011) indirizzata al Governo italiano, nel settembre 2011. In generale, peraltro, sulle ‘incursioni’ della BCE nel mercato del lavoro italiano esiste una vasta letteratura, cui si rimanda per maggiori approfondimenti (cfr. per tutti, Resce 2016).
Qui si vuole affermare la tesi secondo la quale in Italia le relazioni industriali svolgono un ruolo cruciale nella promozione dei benefici del welfare occupazionale attraverso la contrattazione collettiva e che a seguito della Grande crisi si sono accentuate le politiche pubbliche tese a difendere la tendenziale erosione del reddito dei lavoratori. In questo quadro generale diviene difficile aumentare i salari al primo livello di contrattazione (Ccnl), laddove vengono contrattate le poste salariali, cosicché si sono utilizzate le agevolazioni fiscali per favorire lo sviluppo di misure di welfare al secondo livello, commisurate alla corresponsione dei PdR. Lo sviluppo del welfare occupazionale in Italia è stato incentivato, difatti, dal Legislatore mediante la promozione della leva fiscale generale, come ricostruito nel secondo capitolo di questo rapporto, laddove si è dato conto dell’evoluzione normativa di questi ultimi decenni e che ha trovato nella Legge di stabilità del 2016 uno dei tasselli più importanti. A seguito di quella disciplina, il welfare è divenuto una materia di crescente scambio contrattuale e non più solo una misura attuata in azienda, in maniera unilaterale da parte del datore di lavoro, sostanzialmente sulla base di un principio di volontarietà. Oggigiorno, il welfare si configura come uno degli elementi strategici nell’evoluzione delle relazioni industriali sui luoghi di lavoro, al pari della partecipazione dei lavoratori, sia quella organica che agli utili, contemporaneamente favorita dal Legislatore.
Quest’ultima rappresenta un tema storico, che si può dire sia nato insieme allo stesso rapporto di lavoro alle dipendenze e che ne ha accompagnato nel tempo lo sviluppo, poiché, ancor più che il welfare, ha l’obiettivo esplicito, più o meno utilizzato strumentalmente, di legare l’andamento economico e l’organizzazione del lavoro complessivo dell’impresa a quello dei dipendenti.
Qui si analizzeranno le tre misure previste dal Legislatore: dapprima verrà trattato il tema del welfare occupazionale, poi quello della partecipazione organica ed infine quello della partecipazione agli utili.
3.3.1 Il welfare occupazionale
Il welfare occupazionale, inteso come l’insieme di tutti quei programmi di protezione sociale siglati tra sindacati e datori di lavoro (Resce e Xxxxxxxx 2019) — nell’accezione che gli venne originariamente data da Xxxxxxx Xxxxxxx (1958) — ha fatto registrare un incremento significativo nel corso degli anni e, oggigiorno, viene promosso anche nel primo livello di contrattazione, confermando una significativa ri-calibrazione ‘funzionale’ (Xxxxxxxx e Ascoli 2014) del sistema di protezione sociale complessivo, promosso dal legislatore, dalle imprese e dalle parti sociali.
Lo sviluppo del welfare occupazionale è stato promosso, esemplarmente, a partire dal Ccnl Metalmeccanica Industria 2017 (27 febbraio 2017). Tale disposizione, contenuta nel, tradizionalmente, più importante contratto collettivo nazionale, testimonia l'interesse significativo anche a livello nazionale, oltre a quelli aziendali e territoriali. Il welfare occupazionale, da elemento di stimolo e propulsione alla produttività, nelle imprese e nei territori, tende vieppiù ad acquisire il ruolo di strumento di sostegno dei minimi salariali e per la difesa del potere d’acquisto dei lavoratori, in una sorta di scambio salariale indiretto. Ça va sans dire che tale scambio avvantaggia più gli insiders che i midsiders, vale a dire coloro che sono impiegati “in micro and small firms, which have traditionally enjoyed a lower level of job protection and much less generous unemployment benefits than the insiders; and the heterogeneous world of ‘atypical workers’ — residual until the end of the 1980s — that has considerably expanded in the last two decades” (Xxxxxxxx et al. 2010, 4).
Ciò premesso, lo sviluppo attuale del welfare occupazionale trova un puntuale riscontro nel secondo livello di contrattazione, da considerare, peraltro, come il genius loci di tale misura, già individuato dalle parti sociali e dal governo, come detto, a partire dal Protocollo del luglio 1993.
L’archivio digitale ministeriale permette di registrare, a partire dal 2016, il dato cumulato relativo al numero delle istanze coinvolte, quantificabile, a febbraio 2021, in complessive 22.726. Se si considera la tipologia contrattuale, tale cifra
ragguardevole è da suddividere tra contrattazione aziendale, quella predominante, con 18.937 istanze, e quella territoriale, con 3.789.
La conversione del PdR in beni e servizi del welfare, dunque, sembra rappresentare una misura in via di consolidamento sotto la spinta delle misure di incentivazione fiscale promosse dal legislatore, in particolare nella contrattazione aziendale, con il coinvolgimento del 28,6% delle istanze presentate dalle imprese. Sono altresì da aggiungere quelle relative alla contrattazione territoriale, rispettivamente pari al 5,7%. Da evidenziare che le percentuali sono state calcolate rispetto al totale delle istanze, vale a dire a partire dal 2016 e fino a febbraio 2021.
Tabella 3.9 Numero di istanze (v.a. e %) relative al welfare (dati a febbraio 2021)
Tipologia contratti | Istanze |
Aziendale v.a. | 18.937 |
Territoriale v.a. | 3.789 |
Aziendale % | 28,6% |
Territoriale % | 5,7% |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Come molti altri fenomeni socioeconomici, relativi alle caratteristiche precipue delle imprese italiane, anche il ricorso alla detassazione del PdR mostra una spiccata relazione con la classe dimensionale. Sempre in riferimento alle istanze queste sono poco più di 6.000 nelle imprese con +250 addetti che hanno scelto di convertire il PdR in beni e servizi e ciò corrisponde al 9,2% del totale (tabelle 3.10 e 3.11).
È significativo, tuttavia, che più di 4.300 istanze siano state presentate da imprese appartenenti alla classe 10-49 addetti (6,5%). Una considerazione, meritevole di ulteriori approfondimenti, è che le istanze presentate dalle imprese con 50-249 addetti (6.578) sono addirittura superiori a quelle di tutte le altre classi: +250 addetti (6.102); 10-49 addetti (4.332); 0-9 addetti (2.469). In ultimo, la classe dimensionale 0-9 addetti fa registrare quasi 2.500 istanze con una percentuale del 3,7%.
Per quel che concerne la circoscrizione geografica (tabelle 3.10 e 3.11) il settentrione occidentale è il territorio nazionale in cui sono maggiormente presenti le misure di welfare con una quota percentuale del 12,9%, mentre il settentrione orientale segue al 10,2% e l’Italia centrale con il 4,5%. Buon ultimo il meridione con l’1,8% delle istanze presentate. In questa parte d’Italia sia le imprese che i lavoratori non sembrano puntare sulla detassazione del PdR e ciò potrebbe avere una spiegazione multi-causale. In generale, non vi è un’offerta
adeguata di beni e servizi, le piattaforme digitali a disposizione delle imprese sono non altrettante numerose e neppure al passo coi tempi, predomina una visione tradizionale imperniata tuttora sul salario monetario, non si è a conoscenza delle misure di agevolazione fiscale e molti altri aspetti che dovrebbero essere oggetto di ulteriori approfondimenti, forsanche di carattere qualitativo.
Per quanto riguarda la dimensione regionale del fenomeno oggetto di studio (tabelle 3.10 e 3.11) la Lombardia, l’Xxxxxx-Romagna (4,8%) e il Veneto sono le regioni che occupano le prime tre posizioni della graduatoria. Il risultato della Lombardia (9,6%) è ragguardevole rispetto al valore percentuale dell’Xxxxxx- Romagna (4,8%), del Veneto (3,8%) del Piemonte (2,6%), del Lazio (2,0%) e
della Toscana (1,7%).
Tabella 3.10 Numero di istanze (v.a.) relative al welfare, per classe dimensionale, circoscrizione geografica, settori ATECO e regioni (dati a febbraio 2021)
Categorie | Istanze |
0-9 | 2.469 |
10-49 | 4.332 |
50-249 | 6.578 |
250 e più | 6.102 |
Nord-Ovest | 8.570 |
Nord-Est | 6.763 |
Xxxxxx | 0.000 |
Xxx x Xxxxx | 0.000 |
Estrazioni minerali da cave e miniere | 199 |
Attività manifatturiere | 8.683 |
Fornitura energia elettrica, gas ecc. | 802 |
Fornitura acqua, reti fogniarie ecc. | 732 |
Costruzioni | 325 |
Commercio ingrosso e dettaglio ecc. | 1.718 |
Trasporto e magazzinaggio | 846 |
Attività di alloggio e ristorazione | 302 |
Servizi informazione e comunicazione | 769 |
Attività finanziarie e assicurative | 1.782 |
Attività immobiliari | 149 |
Attività professionali, scientifiche tecniche | 1.506 |
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese | 733 |
Istruzione | 107 |
Sanità e assistenza sociale | 551 |
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento | 86 |
Altre attività di servizi | 191 |
Piemonte | 1.733 |
Xxxxx x'Xxxxx/Xxxxxx x'Xxxxx | 00 |
Xxxxxxxxx | 6.369 |
Trentino-Alto Adige/Südtirol | 421 |
Veneto | 2.511 |
Friuli-Venezia Giulia | 643 |
Liguria | 428 |
Xxxxxx-Romagna | 3.188 |
Toscana | 1.115 |
Umbria | 176 |
Marche | 339 |
Lazio | 1.348 |
Abruzzo | 164 |
Molise | 14 |
Campania | 288 |
Puglia | 212 |
Basilicata | 41 |
Calabria | 78 |
Sicilia | 226 |
Sardegna | 147 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Tabella 3.11 Numero di istanze (%) relative al welfare, per classe dimensionale, circoscrizione geografica, settori ATECO e regioni (dati a febbraio 2021)
Multidimensionale | Istanze |
0-9 | 3,70% |
10-49 | 6,50% |
50-249 | 9,90% |
250 e più | 9,20% |
Nord-Ovest | 12,90% |
Nord-Est | 10,20% |
Centro | 4,50% |
Sud e Isole | 1,80% |
Estrazioni minerali da cave e miniere | 0,30% |
Attività manifatturiere | 13,10% |
Fornitura energia elettrica, gas ecc. | 1,20% |
Fornitura acqua, reti fognarie ecc. | 1,10% |
Costruzioni | 0,50% |
Commercio ingrosso e dettaglio ecc. | 2,60% |
Trasporto e magazzinaggio | 1,30% |
Attività di alloggio e ristorazione | 0,50% |
Servizi informazione e comunicazione | 1,20% |
Attività finanziarie e assicurative | 2,70% |
Attività immobiliari | 0,20% |
Attività professionali, scientifiche tecniche | 2,30% |
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese | 1,10% |
Istruzione | 0,20% |
Sanità e assistenza sociale | 0,80% |
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento | 0,10% |
Altre attività di servizi | 0,30% |
Piemonte | 2,60% |
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste | 0,10% |
Lombardia | 9,60% |
Trentino-Alto Adige/Südtirol | 0,60% |
Veneto | 3,80% |
Friuli-Venezia Giulia | 1,00% |
Liguria | 0,60% |
Xxxxxx-Romagna | 4,80% |
Toscana | 1,70% |
Umbria | 0,30% |
Marche | 0,50% |
Lazio | 2,00% |
Abruzzo | 0,20% |
Molise | 0,00% |
Campania | 0,40% |
Puglia | 0,30% |
Basilicata | 0,10% |
Calabria | 0,10% |
Sicilia | 0,30% |
Sardegna | 0,20% |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Tutte le altre regioni fanno registrare dei valori percentuali inferiori all’1% con le regioni meridionali a far registrare dei numeri, sia in termini di istanze che di beneficiari, del tutto residuali. A solo titolo esemplificativo, le imprese calabresi hanno presentato, dal 2016 a febbraio 2021, solo 78 istanze.
Da questo punto di vista, e solo in base a una visione assolutamente parziale quale è quella relativa ai dati dell’archivio digitale, si può dire, in maniera alquanto laconica, che il welfare non è certo attecchito al Sud. Da questo punto di vista il divario territoriale nel meridione è abbastanza omogeneo.
L’ultima analisi è quella relativa al settore di attività economica ATECO 2007 al fine di approfondire in quali comparti è maggiormente diffuso il ricorso al welfare occupazionale, sempre relativo alle percentuali complessive dal 2016 a febbraio 2021. Al primo posto vi è il ‘manifatturiero’ (13,1%) seguito dalle ‘attività finanziarie ed assicurative’ (2,7%) e dal ‘commercio all’ingrosso e al dettaglio’ (2,6%). Altri settori da evidenziare sono quelli delle ‘attività professionali, scientifiche e tecniche’ (2,3%), del ‘trasporto e magazzinaggio’ (1,3%) e dei ‘servizi informazione e comunicazione’ (1,2%).
3.3.2 La partecipazione dei lavoratori (coinvolgimento paritetico)
La partecipazione alla gestione dell’impresa trova una sua collocazione nobile nell’art. 46 della Costituzione, il quale programmaticamente dispone che: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Questa collocazione nobile non riveste necessariamente i tratti di un “residuato storico” (Xxxxxx 2014), di una norma costituzionale, in quanto il tema della partecipazione ritorna in auge, in maniera senz’altro intermittente, in Italia ma non mai sopita e questo perché i modelli collaborativi e partecipativi sono sempre più ricercati dalle parti sociali e dal legislatore al fine di affrontare le situazioni emergenziali, crisi pandemica attuale non esclusa. Si possono, dunque, “riprendere in mano [le] pagine ingiallite” (Pedrazzoli 2005) del dettato costituzionale poiché esse sono tuttora attuali, qualche volta oggetto di dissertazioni colte tra gli accademici, quanto sostanzialmente trascurate nella contrattazione attuale. La tematica trattata nell’art. 46 può essere, allora, a buon ragione, considerata “la norma più negletta dal giuslavorismo” (Pedrazzoli 2020, 13).
La partecipazione dei lavoratori, ciononostante, viene opportunamente promossa dal Legislatore e si configura come precipua espressione di democrazia industriale, ossia come metodo da utilizzare sia per far pesare gli interessi dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa, sia per regolare i
conflitti tra questi e il datore di lavoro (Xxxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxx 2015; Xxxxxxx et al. 2017). Del resto, non c’è bisogno di aggiungere molto alla considerazione pragmatica che “l’impresa di oggi ha bisogno di dipendenti che si impegnano, che siano coinvolti nei suoi problemi e per i suoi obiettivi, che operano tenendo presenti le domande del mercato e dei clienti, che collaborano gli uni con gli altri con armonia e trasparenza” (Baglioni 2003, 49).
Come visto nel secondo capitolo, la decretazione attuativa e la prassi hanno rimarcato che, ai fini del regime premiale, il coinvolgimento paritetico dei lavoratori deve essere sostanziale e non limitarsi ai meri diritti di informazione e consultazione e neppure ai gruppi di lavoro di semplice consultazione, quali quelli per l’addestramento o la formazione. A tal fine, si è specificato che i contratti collettivi debbano prevedere, a titolo esemplificativo:
1. gruppi di lavoro nei quali operino in maniera congiunta responsabili aziendali e lavoratori finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione;
2. strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie;
3. predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti.
I dati dell’archivio digitale del MLPS mostrano un dato complessivo di 5.737 istanze presentate dalle imprese, nel periodo compreso dal 2016 al febbraio 2021 (tabella 3.12). Come sempre la maggioranza dei contratti è di tipo aziendale (8,2%) rispetto a quelli territoriali (0,5%). In questo caso, tuttavia, la contrattazione territoriale sembra mostrare tutta la sua significatività, in quanto a fronte di poche istanze presentate dalle imprese (329) i lavoratori coinvolti sono sicuramente una buona quota. Ciò rappresenta senz’altro un aspetto da evidenziare in quanto la contrattazione territoriale è da sempre, per diffusione, la cenerentola nel sistema della contrattazione collettiva in Italia.
Tabella 3.12 Numero di istanze (%) relative alla partecipazione dei lavoratori (dati a febbraio 2021)
Tipologia di contratto | Istanze |
Aziendale v.a. | 5.408 |
Territoriale v.a. | 329 |
Aziendale % | 8,20% |
Territoriale % | 0,50% |
Fonte: Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Per quanto riguarda la classe dimensionale (tabella 3.13 e tabella 3.14) non appare per nulla sorprendente che venga rispettato, in maniera perfettamente lineare, l’assunto che vuole la classe +250 come quella in cui sono concentrati i valori maggiori di partecipazione dei lavoratori. In questa classe il numero delle istanze presentate dalle imprese è pari a 1.794 (2,7%), seguita dalla classe dimensionale 50-249 (2,4%), da quella 10-49 addetti (1,6%) e quella da 0-9
addetti (0,8%).
Per quel che attiene alla circoscrizione geografica (tabella 3.13) il Nord-Ovest è predominante (2.167 istanze presentate dalle imprese), seguito dal Nord-Est (1.455), dal centro (975 istanze) mentre il Sud è, ancora una volta, il fanalino di coda (337). In termini percentuali, come già detto, in Italia la misura della partecipazione dei lavoratori è senz’altro una tematica assai significativa in teoria e anche in prospettiva, ma allo stato attuale sostanzialmente negletta nella pratica e ciò viene ampiamente testimoniato dal suo valore percentuale, in leggera crescita in questi anni, ma che raggiunge solo il 3,3% delle istanze anche nella parte geografica più sviluppata e dinamica del Paese.
A livello di analisi regionale la Lombardia è sempre la capofila della partecipazione dei lavoratori (1.389 istanze), seguita dall’Xxxxxx-Romagna (716), dal Piemonte (652), dal Lazio (557) e dal Veneto (381). Nel Meridione è da segnalare solo la Campania con 114 istanze mentre in tutte le altre regioni i dati fanno sostanzialmente registrare dei valori residuali.
Tabella 3.13 Numero di istanze (%) relative alla partecipazione dei lavoratori, per classe dimensionale, circoscrizione geografica, settori ATECO e regioni (dati a febbraio 2021)
Multidimensionale | Istanze |
0-9 | 502 |
10-49 | 1.068 |
50-249 | 1.570 |
250 e più | 1.794 |
Nord-Ovest | 2.167 |
Nord-Est | 1.455 |
Centro | 975 |
Sud e Isole | 337 |
Estrazioni minerali da cave e miniere | 4 |
Attività manifatturiere | 1.969 |
Fornitura energia elettrica, gas ecc. | 188 |
Fornitura acqua, reti fognarie ecc. | 288 |
Costruzioni | 175 |
Commercio ingrosso e dettaglio ecc. | 408 |
Trasporto e magazzinaggio | 294 |
Attività di alloggio e ristorazione | 54 |
Servizi informazione e comunicazione | 216 |
Attività finanziarie e assicurative | 230 |
Attività immobiliari | 39 |
Attività professionali, scientifiche tecniche | 433 |
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese | 248 |
Istruzione | 36 |
Sanità e assistenza sociale | 262 |
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento | 47 |
Altre attività di servizi | 43 |
Piemonte | 652 |
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste | 5 |
Lombardia | 1.389 |
Trentino-Alto Adige/Südtirol | 121 |
Veneto | 381 |
Friuli-Venezia Giulia | 237 |
Liguria | 121 |
Xxxxxx-Romagna | 716 |
Toscana | 196 |
Umbria | 80 |
Marche | 142 |
Lazio | 557 |
Abruzzo | 43 |
Molise | 7 |
Campania | 114 |
Puglia | 64 |
Basilicata | 24 |
Calabria | 24 |
Sicilia | 26 |
Sardegna | 35 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Tabella 3.14 Numero di istanze (%) relative alla partecipazione dei lavoratori, per classe dimensionale, circoscrizione geografica, settori ATECO e regioni (dati a febbraio 2021)
Multidimensionale | Istanze |
0-9 | 0,80% |
10-49 | 1,60& |
50-249 | 2,40% |
250 e più | 2,70% |
Nord-Ovest | 3,30% |
Nord-Est | 2,20% |
Centro | 1,50% |
Sud e Isole | 0,50% |
Estrazioni minerali da cave e miniere | 0,00% |
Attività manifatturiere | 3,00% |
Fornitura energia elettrica, gas ecc. | 0,30% |
Fornitura acqua, reti fogniarie ecc. | 0,40% |
Costruzioni | 0,30% |
Commercio ingrosso e dettaglio ecc. | 0,60% |
Trasporto e magazzinaggio | 0,40% |
Attività di alloggio e ristorazione | 0,10% |
Servizi informazione e comunicazione | 0,30% |
Attività finanziarie e assicurative | 0,30% |
Attività immobiliari | 0,10% |
Attività professionali, scientifiche tecniche | 0,70% |
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese | 0,40% |
Istruzione | 0,10% |
Sanità e assistenza sociale | 0,40% |
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento | 0,10% |
Altre attività di servizi | 0,10% |
Piemonte | 1,00% |
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste | 0,00% |
Lombardia | 2,10% |
Trentino-Alto Adige/Südtirol | 0,20% |
Veneto | 0,60% |
Friuli-Venezia Giulia | 0,40% |
Liguria | 0,20% |
Xxxxxx-Romagna | 1,10% |
Toscana | 0,30% |
Umbria | 0,10% |
Marche | 0,20% |
Lazio | 0,80% |
Abruzzo | 0,10% |
Molise | 0,00% |
Campania | 0,20% |
Puglia | 0,10% |
Basilicata | 0,00% |
Calabria | 0,00% |
Sicilia | 0,00% |
Sardegna | 0,10% |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
In ultimo, la diffusione della partecipazione nei settori economici ATECO 2007 vede la conferma del settore delle ‘attività manifatturiere’ (3,0%), seguito dalle ‘attività professionali, scientifiche tecniche’ (0,7%) e dal ‘commercio all’ingrosso e al dettaglio’ (0,6%).
Come si vede da questi dati l’istituto della partecipazione non viene molto utilizzato dalle parti sociali. Di essa se ne parla in continuazione, tanto che ci si è spinti pure a scrivere di un suo ‘eterno ritorno’ (Xxxxxx 2014) ma mai effettivo nella contrattazione quotidiana. Sul perché di questa situazione si possono fare mille congetture ma per ragioni di spazio forse vale qui solo riportare quanto già scritto, in maniera sintetica, da Xxxxxxx Xxxxxxx (2017). La partecipazione “non è nel DNA delle imprese e delle organizzazioni di lavoro. Non lo è per molti imprenditori (alcuni temono di perdere il controllo del people, altri sostengono che l’azienda non è una democrazia…), non lo è per un’ampia percentuale dei manager (che preferiscono attenersi alla struttura gerarchico-funzionale, uno stile che genera il comando con i collaboratori e l’obbedienza verso i capi), non lo è per gran parte degli appartenenti alle organizzazioni sindacali (interni e/o esterni all’azienda), più orientati a una contrattazione a volte antagonistica, a volte solo rivendicativa. Lo stesso vale per il sindacato degli imprenditori” (Ferrari 2017,109).
Riguardo al settore di attività economica può essere indicativo, invece, la considerazione che nelle attività manifatturiere viene registrato il valore più elevato di partecipazione dei lavoratori e ciò potrebbe essere collegato alle esigenze di Industria 4.0 e alle campagne di coinvolgimento proattivo apportate dalle tecniche di lean production e del World Class Manufacturing (WCM), all’insegna del miglioramento continuo (Pero e Ponzellini 2015; Campagna et al. 2017).
3.3.3 La partecipazione agli utili
La partecipazione agli utili, ancor più della stessa partecipazione organica, è sempre stata e ancora rappresenta uno strumento ancora più minoritario. Dalle evidenze empiriche, desunte dall’archivio digitale del MLPS, d'altro canto, emerge un carattere sostanzialmente residuale, che vede coinvolto il 7,80% dei beneficiari, suddiviso tra contratti aziendali (1.765 istanze) e territoriali (146) per un totale di 1.911 istanze, sempre come dato cumulativo, dal 2016 a febbraio 2021.
Tabella 3.15 Numero di istanze (v.a. e %) relative alla partecipazione agli utili d’impresa (dati a febbraio 2021)
Tipologia di contratto | Istanze |
Aziendale v.a. | 1.765 |
Territoriale v.a. | 146 |
Aziendale % | 2,70% |
Territoriale % | 0,20% |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
A livello di classe dimensionale (tabella 3.16) la classe +250 addetti non si conferma essere quella dove sono più numerose le istanze (265), anzi questa fa registrare il numero più basso tra tutte le classi considerate. Nella classe 50-249 addetti le istanze sono 539 seguita dalla classe 10-49 addetti con 588 istanze e dalla classe 0-9 addetti con 360 istanze.
Per quel che concerne la circoscrizione geografica (tabella 3.16) il Nord-Est fa registrare il valore più alto con 806 istanze ma siamo pur sempre considerando uno 1,2% in termini percentuali (tabella 3.17). Il Nord-Ovest fa registrare un valore di 566 istanze, l’Italia centrale di 287 e il Sud e Isole di 93 istanze.
L’analisi a livello regionale (tabella 3.16) vede come capofila l’Xxxxxx-Romagna con 458 istanze, pari a un valore percentuale dello 0,7%. Altre regioni in cui i valori, seppur modesti, si elevano al di sopra della media sono la Lombardia (282 istanze), il Veneto (236), il Piemonte (233) e la Toscana (140).
Un aspetto di un certo interesse è, invece, quello relativo ai settori economici ATECO 2007 (tabella 3.16); il settore con il numero maggiore di beneficiari è quello della ‘sanità ed assistenza sociale’ con 457 istanze, seguito dalle ‘attività manifatturiere’ con 350, quello relativo al ‘noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese’ con 199 istanze e ‘trasporto e magazzinaggio’ con
162. Tali settori mostrano bene come questa misura, la partecipazione agli utili, trova un suo elemento fondativo originario nel mondo cooperativistico, i cui ambiti prevalenti sono quelli delle ‘strutture di assistenza sociale residenziale per anziani e disabili’, i ‘servizi di pulizia’, il ‘movimento merci e servizi di facchinaggio’.
Tabella 3.16 Numero di istanze (v.a.) relative alla partecipazione agli utili, per classe dimensionale, circoscrizione geografica, settori ATECO e Regioni (dati a febbraio 2021)
Multidimensionale | Istanze |
0-9 | 360 |
10-49 | 588 |
00-000 | 000 |
250 e più | 265 |
Nord-Ovest | 566 |
Nord-Est | 806 |
Centro | 287 |
Sud e Isole | 93 |
Estrazioni minerali da cave e miniere | 11 |
Attività manifatturiere | 350 |
Fornitura energia elettrica, gas ecc. | 2 |
Fornitura acqua, reti fogniarie ecc. | 57 |
Costruzioni | 90 |
Commercio ingrosso e dettaglio ecc. | 76 |
Trasporto e magazzinaggio | 162 |
Attività di alloggio e ristorazione | 40 |
Servizi informazione e comunicazione | 61 |
Attività finanziarie e assicurative | 26 |
Attività immobiliari | 5 |
Attività professionali, scientifiche tecniche | 118 |
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese | 199 |
Istruzione | 15 |
Sanità e assistenza sociale | 457 |
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento | 43 |
Altre attività di servizi | 40 |
Piemonte | 233 |
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste | 9 |
Lombardia | 282 |
Trentino-Alto Adige/Südtirol | 60 |
Veneto | 236 |
Friuli-Venezia Giulia | 52 |
Liguria | 42 |
Xxxxxx-Romagna | 458 |
Toscana | 140 |
Umbria | 27 |
Marche | 41 |
Lazio | 79 |
Abruzzo | 4 |
Molise | 1 |
Campania | 18 |
Puglia | 9 |
Basilicata | 0 |
Calabria | 3 |
Sicilia | 14 |
Sardegna | 44 |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Tabella 3.17 Numero di istanze (%) relative alla partecipazione agli utili, per classe dimensionale, circoscrizione geografica, settori ATECO e regioni (dati a febbraio 2021)
Multidimensionale | Istanze |
0-9 | 0,50% |
10-49 | 0,90% |
50-249 | 0,80% |
250 e più | 0,40% |
Nord-Ovest | 0,90% |
Nord-Est | 1,20% |
Centro | 0,40% |
Sud e Isole | 0,10% |
Estrazioni minerali da cave e miniere | 0,00% |
Attività manifatturiere | 0,10% |
Fornitura energia elettrica, gas ecc. | 0,00% |
Fornitura acqua, reti fognarie ecc. | 0,10% |
Costruzioni | 0,10% |
Commercio ingrosso e dettaglio ecc. | 0,10% |
Trasporto e magazzinaggio | 0,20% |
Attività di alloggio e ristorazione | 0,10% |
Servizi informazione e comunicazione | 0,10% |
Attività finanziarie e assicurative | 0,00% |
Attività immobiliari | 0,00% |
Attività professionali, scientifiche tecniche | 0,20% |
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese | 0,30% |
Istruzione | 0,00% |
Sanità e assistenza sociale | 0,70% |
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento | 0,10% |
Altre attività di servizi | 0,10% |
Piemonte | 0,40% |
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste | 0,00% |
Lombardia | 0,40% |
Trentino-Alto Adige/Südtirol | 0,10% |
Veneto | 0,40% |
Friuli-Venezia Giulia | 0,10% |
Liguria | 0,10% |
Xxxxxx-Romagna | 0,70% |
Toscana | 0,20% |
Umbria | 0,00% |
Marche | 0,10% |
Lazio | 0,10% |
Abruzzo | 0,00% |
Molise | 0,00% |
Campania | 0,00% |
Puglia | 0,00% |
Basilicata | 0,00% |
Calabria | 0,00% |
Sicilia | 0,00% |
Sardegna | 0,10% |
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
3.3.4 Alcune considerazioni
Nel corso di questo breve testo si è mostrato come il ricorso al welfare occupazionale, desumibile dall’archivio digitale del MLPS sulla detassazione dei PdR, a seguito della crisi pandemica del 2020 avrebbe potuto far immaginare una drastica flessione. Nella realtà, difatti, si è registrato un fortissimo e sostanziale decremento (-48,7%). La situazione, venutasi a creare nel corso del 2020, è stata così eccezionale, peraltro, tanto che in più occasioni la si è paragonata a quella di un ‘cigno nero’, per utilizzare la nota concettualizzazione di Xxxxxx Xxxxx, ché forse su tutte le statistiche, relative a questa annualità, andrebbe apposto un asterisco a connotare la difficoltà interpretativa di tale annualità al di fuori dell’ordinario.
Per quanto riguarda le tre misure qui prese in esame, vale a dire il welfare occupazionale, la partecipazione dei lavoratori e la partecipazione agli utili, valgono le seguenti considerazioni.
Il welfare occupazionale è una misura oramai largamente affermata e abbastanza trasversale, ma con una evidente eccezione: nel Mezzogiorno essa è largamente deficitaria.
Negli ultimi decenni, l’interesse verso l’altro strumento considerato in questo capitolo — la partecipazione dei lavoratori — è profondamente mutato e già si inizia a scorgere qualche riflesso positivo in termini di lenta crescita. Del resto, l’organizzazione del lavoro attuale e la lunga transizione digitale ed ecologica, con un fortissimo impegno nell’attività di up-skilling e di re-skilling, pure prevista dal PNRR, esemplificata da Industria 4.0, ha subito drammatici cambiamenti nella maggior parte dei paesi industrializzati. A differenza delle trasformazioni passate, i cambiamenti recenti saranno caratterizzati da una tendenza a forme di organizzazione del lavoro più flessibili e da minori livelli gerarchici. Ciò comporta, generalmente, che i lavoratori eseguano una più ampia gamma di compiti, l’attribuzione di maggiori responsabilità, nonché una maggiore decentralizzazione del posto di lavoro grazie anche allo smart working, ma anche un livello più qualificato di capitale umano e un aumento di incertezza e responsabilità. Tutti questi aspetti dovrebbero favorire una maggiore significatività della partecipazione dei lavoratori al buon andamento dell’impresa in cui sono impiegati. Questi processi sono tuttora in essere e non si riverberano ancora nella tradizionale struttura produttiva nazionale; non è un caso che essi non si riescano a rintracciare, in maniera netta, nelle statistiche relative alla detassazione del PdR. Ciò non esclude, comunque, che possano vedersi nei prossimi anni.
3.4 La crisi pandemica e la contrattazione di secondo livello: una contrazione inevitabile
La situazione che il mercato del lavoro ha vissuto negli ultimi mesi, generata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, ha provocato una situazione di grande incertezza per la maggior parte delle aziende, in alcuni casi, inducendo alla sospensione della produzione a seguito del lockdown.
Le tendenze al cambiamento del contesto economico-sociale, fortemente condizionato dall’emergenza sanitaria che ha colpito tutto il mondo, si sono velocizzate: la salute è stata messa al primo posto e lo smart-working ha modificato l’ambiente e le modalità stesse delle attività umane. In questo scenario, la necessità di coniugare politiche del lavoro, sicurezza sanitaria e i mutamenti del sistema socioeconomico è risultata essere evidente.
L’emergenza pandemica ha influito in maniera decisa anche sulla contrattazione decentrata, costretta a riorganizzarsi anche a fronte della decretazione d’urgenza emanata per individuare misure essenziali per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19. La contrattazione decentrata ha continuato a svolgere un ruolo importate sui posti di lavoro a tutela e difesa non solo della sicurezza e salute (Fondazione Di Xxxxxxxx 2020).
Questo capitolo, in continuità con l'attività di monitoraggio svolto da anni dall'Inapp sulla base dell’archivio digitale ministeriale delle istanze di accesso alla disciplina fiscale di vantaggio regolata dalla più volte ricordata Xxxxx di stabilità del 2016, approfondisce gli andamenti delle stesse istanze fatti registrare dagli accordi di secondo livello contrattati con i sindacati aziendali e territoriali. In particolare, questa sezione intende fare chiarezza su quali sono stati gli andamenti complessivi del fenomeno pre e post Covid-19 e quali settori economici e imprese siano riuscite, nonostante l’emergenza sanitaria, a siglare un accordo che potesse favorire la forza lavoro.
Dalle evidenze quantitative basate sui dati tratti dall’archivio digitale del MLPS emerge un’utile chiave di lettura che permette di cogliere le trasformazioni subite dal sistema produttivo a seguito dell’evento pandemico.
Una prima indicazione conferma che il Covid ha avuto una forte incidenza sulla contrattazione di secondo livello: analizzando la tendenza per annualità, ci si trova davanti ad un forte contrazione del numero dei nuovi contratti depositati nel periodo post Covid.
Grafico 3.6 Distribuzione nuovi contratti depositati per anno50 e variazione % pre-post Covid (dati a febbraio 2021)
14.000
12.000
10.000
-48,7%
8.000
6.000
Istanze dopo lo schok pandemico da
Covid-19
4.000
2.000
0
2016
2017
2018
2019 fino a da marzo 2020 a
febbraio 2020 febbraio 2021
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Infatti, ad una fase in cui la numerosità dei contratti siglati è stata in forte ascesa fino al 22 febbraio del 2020, ne è seguita una, dal 23 febbraio 2020, data di inizio del lockdown, al Febbraio 2021, caratterizzata dal tracollo del numero dei nuovi contratti depositati, con una diminuzione del 48,7% rispetto al periodo pre-Covid51.
Anche la tipologia di contratto segue lo stesso andamento (figura 3.2): infatti, mentre nel 2019 (e fino al 22 febbraio 2020) le nuove istanze depositate sono state per quello aziendale pari a 9952 e 2471 per quello territoriale, nel 2020 si registra un peggioramento repentino, con una diminuzione del 45,3% per la prima tipologia e ben del 62% per il territoriale. Il dato può essere sintomatico di maggiori difficoltà organizzative delle strutture orizzontali delle associazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese; peraltro, posto che in passato proprio la contrattazione collettiva territoriale aveva garantito la diffusione dello strumento tra le PMI, il consolidamento di questa tendenza, potrebbe avere conseguenze negative su una distribuzione omogena del premio di risultato, aldilà dei limiti dimensionali d'impresa.
50 L’inizio del lockdown viene qui fatto coincidere con il 23 febbraio 2020, data del primo D.P.C.M. che introduceva le misure necessarie a fronteggiare le necessità generate dalla pandemia.
51 Periodo pre-covid: dal 2019 fino al 22 febbraio 2020.
Figura 3.2 Distribuzione nuovi contratti depositati per tipologia ed annualità, variazione % pre- post Covid (dati a febbraio 2021)
da marzo 2020
a febbraio 2021
2019 fino a febbraio 2020
2018
-45,3%
-62,0%
2017
Aziendale
Territoriale
2016
% variazione post shock pandemico
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Infatti, la riduzione dei contratti per le micro-imprese (0-9 dipendenti) è stata quasi pari alla riduzione della contrattazione territoriale ovvero del 62,1%. Anche per le piccole aziende (10-49 dipendenti) è stata forte (-51,8%). Per le medie e grandi aziende è stata forte ma più contenuta, rispettivamente del 44,1% e del 40,9% (grafico 3.7).
Grafico 3.7 Distribuzione nuovi contratti depositati per classe dipendenti e annualità, variazione % pre-post Covid (dati a febbraio 2021)
0-9
10-49
50-249
250+
3500
3000
-62,1%
2500
2000
-51,8%
1500
-44,1%
1000
500
-40,9%
0
2016
2017
2018 2019 Mar '20
(fino a Feb '20) Feb '21
% variazione post shock pandemico
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Un altro dato che va rimarcato attiene gli effetti della pandemia sugli obiettivi della contrattazione decentrata: le dinamiche negative della produttività hanno fatto sì che il dato relativo al numero delle nuove istanze presentate nelle quali proprio la produttività viene individuata come obiettivo primario per misurare gli incrementi delle performance collettive (grafico 3.8) si riduce di più rispetto agli altri obiettivi nel post lockdown.
Grafico 3.8 Distribuzione nuovi contratti depositati per obiettivo e annualità, variazione % pre- post Covid (dati a febbraio 2021)
Produttività
Redditività
Qualità
Innovazione
Efficienza
12000
-48,5%
10000
-47,8%
8000
-47,6%
6000
4000
2000
0
2016
2017
2018
2019 fino a febbraio da marzo 2020 a
2020 febbraio 2021
-43,1%
-49,4%
Variazione %
post shock
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Tendenze simili si sono registrate anche per le opzioni sugli strumenti complementari (grafico 3.9), in particolare per il welfare aziendale (-47,5%), la partecipazione dei lavoratori (-50,8%) e la partecipazione agli utili (-33,7%).
Il dato può essere sintomatico di un maggior disinteresse per queste materie, peraltro inatteso, visto il contesto pandemico, in particolare per il secondo tema.
Grafico 3.9 Distribuzione nuovi contratti depositati per obiettivo e annualità, variazione % pre- post Covid (dati a febbraio 2021)
Welfare
Varziazione % post shock
Partecipazione lavorarori
Partecipazione agli utili
-50,8%
2016
2017
2018
2019 fino Marzo 2020
a Feb 2020 Feb 2021
-33,7%
-47,5%
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Un altro dato importante rilevato dalla banca dati concerne l’incidenza differenziata della pandemia sulle attività produttive: come era lecito aspettarsi, stante il distanziamento fisico imposto dalle autorità per limitare il contagio, l’incidenza più grave si è avuta nel settore delle ‘attività dei servizi di alloggio e di ristorazione’: se nel periodo pre-Covid sono stati 315 i contratti depositati, nel post-Covid si sono fermati a 32, registrando una diminuzione dell’89,8% rispetto al periodo precedente (figura 3.3).
Figura 3.3 Distribuzione nuovi contratti depositati per settore di attività economica e annualità, variazione % pre-post Covid (dati a febbraio 2021)
Var. % pre - post Covid
PRE COVID
B - ESTRAZIONE DI MINERALI DA CAVE E MINIERE
-18,6%
K - ATTIVITÀ FINANZIARIE E ASSICURATIVE
E - FORNITURA DI ACQUA; RETI FOGNARIE, ATTIVITÀ DI GESTIONE DEI RIFIUTI E RISANAMENTO
D - FORNITURA DI ENERGIA ELETTRICA, GAS, VAPORE E ARIA CONDIZIONATA
-26,3%
-33,1%
-36,0%
J - SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE
-39,3%
M - ATTIVITÀ PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE
-39,7%
F - COSTRUZIONI
-46,2%
H - TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO
-46,6%
N - NOLEGGIO, AGENZIE DI VIAGGIO, SERVIZI DI SUPPORTO ALLE IMPRESE
-50,0%
C - ATTIVITÀ MANIFATTURIERE
-51,3%
G - COMMERCIO ALL'INGROSSO E AL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI
AUTOVEICOLI E MOTOCICLI
-51,7%
L - ATTIVITA' IMMOBILIARI
-52,4%
Q - SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE
-56,3%
R - ATTI ARTISTICHE, SPORTIVE, DI INTRATTENIMENTO E DIVERTIMENTO
-58,0%
P - ISTRUZIONE
-59,3%
S - ALTRE ATTIVITÀ DI SERVIZI
-72,0%
I - ATTIVITÀ DEI SERVIZI DI ALLOGGIO E DI RISTORAZIONE
-89,8%
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
Stessa sorte hanno subito gli accordi sottoscritti nei settori ‘altre attività di servizi’ (dove rispetto al periodo pre-Covid i nuovi contratti depositati sono diminuiti del 72%) e ‘istruzione’ (dove la flessione post-shock covid è stata del 59,3%). Naturalmente anche gli altri settori hanno fatto registrare riduzioni significative nel numero dei depositi rispetto al periodo pre-pandemico.
Dal punto di vista territoriale, la tendenza per annualità ha evidenziato nel 90% del territorio nazionale un forte e generalizzato calo del numero dei nuovi contratti depositati, sebbene l’Xxxxxx-Romagna, la Calabria e il Friuli-Venezia Giulia siano le regioni che presentano la flessione maggiore (figura 3.4).
Figura 3.4 Distribuzione nuovi contratti depositati per regione e annualità, variazione % pre-post Covid (dati a febbraio 2021)
Fonte:Inapp, elaborazioni su archivio digitale del MLPS relativo al Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione agevolata dei premi di risultato
In conclusione, gli effetti della pandemia da Covid-19 si sono abbattuti sulla sostenibilità economica del premio di risultato e quindi sull'accesso al regime di agevolazione fiscale. Inoltre, il contesto mutato richiederebbe un cambiamento dei mezzi, che pur si sta verificando, per realizzare i fini di tutela e quindi una contrattazione aziendale che tenga maggiormente conto dell’incremento dei bisogni dei lavoratori in termini di welfare e di conciliazione vita-lavoro.
Conclusioni
In un sistema economico come quello italiano, caratterizzato da una problematica di crescita salariale e da bassi livelli di crescita della produttività del lavoro, assume un’importanza significativa la contrattazione dei PdR che può rappresentare un meccanismo di stimolo e regolazione per entrambi i fronti (Resce 2018).
Il modello negoziale di base vigente è ancora quello del Protocollo del ’93 che prevede due livelli di negoziazione: il primo (settoriale) che determina i minimi tabellari e il secondo (aziendale e territoriale) che determina la retribuzione variabile. Quest’ultima, in genere, viene correlata con i risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività e di altri elementi di competitività dell’impresa.
Uno dei principali problemi che ha sempre caratterizzato questo modello è rappresentato dallo scarso radicamento della contrattazione di secondo livello, sia aziendale che territoriale, che può essere annoverato tra le concause dei bassi livelli salariali in Italia.
Non sono mancate misure governative per stimolare un maggior ricorso alla contrattazione di secondo livello e al PdR. Inizialmente, a partire dal ’97, lo sgravio ha riguardato la contribuzione previdenziale mentre, dal 2008 in poi, l’attenzione si è spostata prevalentemente sulla leva fiscale.
Nelle leggi di stabilità per il 2016 (L. n. 208/2015) e per il 2017 (L. n. 232/2016), la contrattazione decentrata del PdR ha assunto una fisionomia ricorrente e ben riconoscibile con delle significative novità, che hanno riguardato la misurabilità dell’incrementalità dei risultati negoziati tramite obiettivi ed indicatori di performance.
Nonostante il monitoraggio più stringente restano perplessità sulla valenza della misura. Il Consiglio dell’Unione Europea nelle raccomandazioni sul programma di riforma per l’Italia ha dichiarato “Tax rebates on productivity- related pay increases have not proved effective in extending the use of second- level bargaining significantly” (Commissione europea 2017a). Questo lapidario
giudizio, forse affrettato, riflette la necessità di una valutazione tesa a verificarne i reali effetti sull’organizzazione interna delle imprese e sulle politiche salariali, per escludere un uso distorto del premio fiscale (“crucial to avoid that the scheme is used only to benefit from lower contributions and higher net salaries”, Commissione europea 2017b).
In questo contesto, per certi versi non consolidato, è intervenuta la crisi determinata dalle misure di restrizione per fronteggiare la pandemia da coronavirus Covid-19.
Anche se il deposito di nuovi contratti ha segnato il passo, le relazioni industriali sono state molto intense anche per fronteggiare l’eccezionalità dell’emergenza sanitaria. Una testimonianza viene dai Protocolli interconfederali del 14 marzo e 24 aprile 2020, poi assurti a un rango equiparabile alla legge che “hanno rappresentato una matrice decisiva per forgiare al secondo livello intese capaci di conciliare la necessità di continuare a produrre con quella di offrire sufficienti garanzie di tutela per chi o non ha mai smesso di lavorare o, dal 5 maggio, ha ripreso a farlo in un mondo diverso e per molti versi sconosciuto” (FDV e CGIL 2021).
L’intera contrattazione è stata quasi dirottata esclusivamente sul tema della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, in particolare sulla prevenzione e sulle nuove prerogative assunte dai rappresentanti della sicurezza. Nella fase emergenziale sono state potenziate alcune modalità partecipative e procedurali come l’istituzione di commissioni paritetiche con compiti di controllo del rispetto e dell’efficacia delle misure adottate.
La contrattazione in fase emergenziale si è concentrata anche sullo sviluppo di una nuova regolamentazione dell’organizzazione del lavoro e sul ricorso massivo all’istituto del lavoro agile, quasi sempre finalizzate alla riduzione dei contagi e non agli incrementi di produttività.
In questa fase il tema del trattamento economico in generale e della retribuzione variabile sono passati in secondo piano, come testimoniano anche i dati dell’archivio digitale del MLPS.
Difatti, durante la pandemia52, si è registrato un crollo delle istanze presentate dalle imprese per accedere all’incentivo fiscale sul PdR nella misura del -48,7%. La contrattazione aziendale fa registrare un segno negativo minore di quella territoriale (-45,3% versus -62%). È probabile che in questo dato pesi la minore reattività, di fronte allo shock pandemico, delle piccole imprese e di quelle che non hanno una rappresentanza sindacale stabile in azienda. In ambedue i casi si può ipotizzare che sia mancato il pieno supporto sindacale, alla forza lavoro
52 Nel periodo intercorso dal marzo 2020 fino al febbraio 2021.
impiegata in queste imprese, nel dare voce alle esigenze di integrazione del reddito così come è altrettanto valido immaginare una minore resilienza delle stesse imprese di fronte al rallentamento o stasi dell’attività produttiva.
Questo forte decremento si riflette in maniera omogenea su quasi tutti gli obiettivi che potevano motivare e supportare la firma di un accordo decentrato, vale a dire gli obiettivi di produttività (-49,4%), di redditività (- 47,8%), di qualità (-48,5%) e di efficienza (-47,6%). L’ultimo, l’obiettivo di innovazione fa registrare un decremento minore (-43,1%), ma in quest’ultimo caso, i valori assoluti sono molto minori rispetto a tutti gli altri obiettivi e ciò potrebbe senz’altro aver influito su tale risultato.
Per quel che riguarda, le misure relative al welfare aziendale (-47,5%) e alla partecipazione (-50,8%) si osserva lo stesso decremento già visto in precedenza. Una misura residuale, quale la partecipazione agli utili d’impresa, fa segnare un calo minore ma qui potrebbero valere le stesse considerazioni fatte a proposito dell’obiettivo innovazione.
In ultimo, quello che si può mettere qui in risalto è, invece, la situazione dei settori economici e della distribuzione regionale. È significativo il calo delle attività manifatturiere (-51,3%) e quello della regione Xxxxxx-Romagna (-66,3%), un decremento molto superiore a quello medio. La condizione della Lombardia, se si considera che è stata la prima regione a subire misure restrittive, è relativamente meno accentuata (-47%), di poco al di sotto della media complessiva.
La misura governativa, come ogni misura di natura fiscale, presenta un carattere pro-ciclico. Pertanto, per il futuro ci si attende una ripresa della contrattazione decentrata legata alla ripresa economica. Il 2020 resta un anno di veloci trasformazioni e repentini adattamenti, cui le relazioni industriali hanno saputo adeguarsi cambiando la scala delle priorità. Sono state adottate nuove soluzioni soprattutto nell’organizzazione del lavoro, da considerare delle vere e proprie sperimentazioni, che potranno essere riprese per migliorare le performance aziendali anche quando il ciclo economico tornerà a normalizzarsi.
Superando la dimensione contingente del ciclo economico, nel medio termine le evidenze empiriche analizzate in questo rapporto forniscono, rispettivamente, tre indicazioni:
1. fino a prima della crisi più recente, il sistema di determinazione del salario è fortemente centralizzato (le aziende applicano sostanzialmente solo il primo livello, preferito per evitare costose trattative a livello aziendale) e sono co- stantemente poche le aziende che applicano entrambi i livelli;
2. la scarsa diffusione del secondo livello di contrattazione rappresenta un fre- no per la crescita della produttività del lavoro e della componente salariale di premio di risultato;
3. la contrattazione di produttività, così come configurata nell’ordinamento e laddove dovesse realmente funzionare, rischia di acuire e non contrastare le differenze settoriali, dimensionali e territoriali nella diffusione della contrat- tazione di secondo livello.
Questo studio non ha voluto approfondire le critiche al sistema di contrattazione collettiva di determinazione salariale (in particolare al funzionamento del secondo livello di contrattazione e oggi, a seguito delle prime spinte inflazionistiche, anche al primo livello) ma ha voluto irrobustire la base conoscitiva per le future politiche dei redditi restituendo alcune importanti evidenze empiriche che hanno permesso di misurare, nell’ambito dell’evoluzione del sistema della contrattazione collettiva, l’effetto dello shock pandemico sulla contrattazione di secondo livello.
Si tratta di un primo lavoro cui potranno seguire altri con focus tematici più dettagliati che cercheranno di indagare il mutamento delle opzioni strategiche da parte delle imprese nel contesto mutato a seguito della pandemia.
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In un sistema economico come quello italiano, caratterizzato da una problematica di crescita salariale e da bassi livelli di crescita della produttività del lavoro, assume un’importanza significativa la contrattazione dei premi di risultato (PdR) che può rappresentare un meccanismo di stimolo e regolazione per entrambi i fronti.
I PdR costituiscono dei tipici elementi integrativi della retribuzione contrattuale e consistono sostanzialmente in vere e proprie poste monetarie aggiuntive. L’accezione ‘premio di risultato’ sta a significare che l’erogazione dell’importo stabilito si concretizza al raggiungimento di un obiettivo, vale a dire di uno specifico, misurabile ed incrementale risultato aziendale.
Il presente studio affronta la problematica della detassazione del PdR nella contrattazione collettiva in Italia, soffermandosi sulle recenti evoluzioni, con particolare riferimento allo shock determinato dalla crisi socioeconomica derivante dalla pandemia da coronavirus (Covid-19). Nel nuovo contesto determinato dalla crisi pandemica la componente variabile del salario, legata agli incrementi di performance, ha fatto registrare una forte contrazione del numero dei contratti di secondo livello, con un decremento del 48,7% rispetto al periodo pre-pandemia.
La misura governativa della detassazione, come ogni misura di natura fiscale, presenta un carattere pro- ciclico, per cui ci si attende un incremento della contrattazione decentrata con la ripresa del ciclo economico.
ISSN 2533-1795 ISBN 978-88-543-0243-3