ANDREA CRESCENZI*
XXXXXX XXXXXXXXX*
L’ABS NELLA CONVENZIONE SULLA BIODIVERSITÀ: IL PROTOCOLLO DI NAGOYA
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. L’Access and Benefit Sharing. – 3. Il previo con- senso informato. – 4. I termini reciprocamente convenuti. – 4.1. Gli accordi di bioprospezione. – 5. La ripartizione dei risultati e dei benefici. – 5.1. I Benefici derivanti dallo sfruttamento della biodiversità – 6. Il processo negoziale del Protocollo su ABS. – 7. Il Protocollo di Nagoya. – 7.1. I sistemi di monitorag- gio ed i meccanismi di compliance. – 8. Valutazioni finali.
1. Introduzione
Il presente lavoro si occupa dell’art. 15 della Convenzione sulla biodi- versità (CBD) relativo all’accesso e l’equa condivisione dei benefici deri- vanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche e del Protocollo su Access and Benefit Sharing, adottato a Nagoya nell’ottobre 2010.
Il testo definitivo della CBD, adottato in seno all’UNEP nel maggio 1992, fu aperto alla firma in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo del giugno 1992 ed è entrato in vigore il 29 dicem- bre 1993. Ad oggi ne sono Parti 193 Stati. L’Italia vi ha dato esecuzione con legge n. 124 del 14 febbraio 19941.
La Convenzione persegue tre obiettivi, di cui, due di natura ambienta- le, la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità, ed uno di natura economica, l’accesso alle risorse e l’equa condivisione dei benefici derivanti dal loro sfruttamento (art. 1).
La questione emersa nel corso dei lavori preparatori di considerare le risorse biologiche come patrimonio comune dell’umanità fu presto accan- tonata a causa delle contrapposizioni tra gli Stati partecipanti. Il testo fina- le, infatti, riporta nel Preambolo la nozione di interesse comune dell’umanità e consacra, all’art. 3, il diritto sovrano degli Stati sulle proprie risorse naturali2.
* Tecnologo presso l’Istituto di Studi Giuridici Internazionali (ISGI) del Consiglio Na- zionale delle Ricerche.
1 La Convenzione sulla Biodiversità (CBD) è stata ratificata dall’Italia con Legge 14 febbraio 1994, n. 124, recante «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992» in Gazzetta Ufficiale n. 44 del 23 feb- braio 1994. Per il testo della Convenzione si veda xxx.xxx.xxx. In generale, sugli atti adot- tati nel corso dell’UNCED e per le Convenzioni ambientali globali si veda: X. XXXXXXXXX, Il diritto internazionale dell’ambiente, in G. XXXXXXX, X. FOIS, X. XXXXXXXXX (a cura di), Dirit- to ambientale. Profili internazionali, europei e comparati, Torino, 2008, pp. 11 ss.
2 X. XXXXXX, The Nature, Development and Philosophical Foundations of the Biodiversity Concept in International Law, in X. XXXXXX, X. XXXXXXXX (Xxxxx), International Law and the Conservation of Biological Diversity, London-The Hague-Boston, 1995, pp. 5-31.
L’effetto diretto della consacrazione della conservazione della biodiver- sità come un interesse comune dell’umanità è l’affermazione dell’obbligo giuridico per gli Stati parti di conservarla. Il riferimento all’umanità, infatti, non ha portato alla creazione di un’autorità internazionale incaricata della protezione della biodiversità. Il concetto di patrimonio comune del- l’umanità, al contrario, presuppone la creazione di un meccanismo interna- zionale appropriato per l’amministrazione del patrimonio3.
Esiste, quindi, un dovere a conservare, da parte degli Stati, e un inte- resse alla conservazione da parte dell’umanità. Questo dovere di conserva- re si traduce, a livello interno, nell’obbligo di adottare una legislazione na- zionale in grado di proteggere la propria diversità biologica e, a livello in- ternazionale, nell’obbligo di cooperare per la conservazione della diversità biologica del pianeta.
La conseguenza giuridica più importante della qualificazione della bio- diversità come interesse comune dell’umanità è la regolamentazione dell’accesso alle risorse genetiche.
Il regime di patrimonio comune dell’umanità implica la libertà di ac- cesso alle risorse, indipendentemente dal luogo in cui esse sono situate, al contrario il concetto di interesse comune dell’umanità ed il principio di so- vranità degli Stati sulle proprie risorse naturali determinano un regime di accesso peculiare fondato su due cardini: il previo consenso informato del- lo Stato che possiede le risorse e i termini reciprocamente convenuti.
Si ricordi, inoltre, che, prima dell’entrata in vigore della Convenzione, il principio del libero accesso ispirava le relazioni tra i possessori delle ri- sorse e coloro che le utilizzavano. La raccolta e l’uso erano di fatto prive di una regolamentazione giuridica. Questo ha permesso una sottrazione inso- stenibile delle risorse con gravi perdite economiche per gli Stati di origine, ed ha aggravato il degrado degli ecosistemi. Con la CBD si è notevolmente ristretta la libertà di accesso, ma non tanto da impedire le irregolarità nelle esplorazioni e lo sfruttamento illegale di risorse genetiche e saperi tradizio- nali ad esse associate dei Paesi in via di sviluppo (PVS).
L’interesse verso il tema dell’ABS ha portato, come vedremo, la Confe- renza degli stati parti (COP) ad occuparsene fin dai suoi primi lavori arri- vando all’adozione delle Linee guida di Bonn, prima, e del Protocollo di Nagoya poi.
2. L’ Access and Benefit Sharing
Il regime sull’accesso alle risorse genetiche rappresenta uno dei pilastri della Convenzione sulla biodiversità ed è diretto ad assicurare una parteci- pazione giusta ed equa degli Stati possessori delle risorse ai benefici deri- vanti dal loro sfruttamento.
L’ampiezza degli obiettivi della Convenzione deriva, come è noto, dalle
3 X. XXXXXXXXX, Patrimonio comune dell’umanità, in ffnciclopedia Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, pp. 728-731.
posizioni assunte dai PVS durante i negoziati. Tali Paesi, infatti, posseden- do la maggior parte della biodiversità del pianeta, hanno operato perché fosse riconosciuto il valore delle risorse biologiche sia a livello ambientale che industriale.
Fino ad allora, infatti, i benefici economici ottenuti dallo sfruttamento delle risorse genetiche erano limitati4. Per questo motivo, i Paesi in via di sviluppo avevano subordinato la partecipazione alla Convenzione alla pre- visione, nel testo definitivo, di disposizioni e strumenti che garantissero un accesso ai benefici derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche ed alle tecnologie, incluse le biotecnologie.
Si ricordi, infatti, che la Convenzione sulla biodiversità è il primo trat- tato internazionale che lega l’accesso alle risorse genetiche al diritto di par- tecipare alla distribuzione dei benefici derivanti dal loro utilizzo5.
Come detto, ai fini della piena attuazione dell’obiettivo del Access and Benefit Sharing è necessario che ogni Stato parte si doti di una legislazione con cui regolamentare l’accesso e lo sfruttamento delle risorse genetiche possedute6.
L’art. 15, dedicato all’accesso alle risorse genetiche, intende realizzare un equilibrio tra la facoltà degli Stati di regolare l’accesso alle proprie ri- sorse genetiche e l’obbligo di facilitare l’accesso alle altre Parti contraenti.
La norma riconosce la facoltà degli Stati di regolare l’accesso alle pro- prie risorse genetiche, a condizione che non si impongano restrizioni con- trarie agli obiettivi della CBD7.
La Convenzione non fornisce, però, una definizione del termine «ac- cesso» né chiarisce che tipo di attività rappresenti un «accesso», lascia, in- fatti, ad ogni Stato parte la libertà di circoscrivere il concetto secondo la propria legislazione nazionale e le proprie particolari esigenze. Nella prassi tale attività è stata definita dalle Parti contraenti in funzione del criterio geografico, attraverso la delimitazione delle aree interessate dall’attività di bioprospezione e in base alla categoria di risorse genetiche alle quali la legi- slazione si applica8.
Rileva, a tal fine, la definizione data del termine «accesso» dalla Comu- nità Andina nella Decisione 391 del 1996: «Para los efectos de la presente Decisión se entenderá por Acceso: obtención y utilización de los recursos
4 K. T. XXXX, X. X. XXXXX, The Commercial Use of Biodiversity, Londra, 2002, pp. 1 e ss.
5 X. XXXXXX, X. XXXXXXXX - GUILMIN, X. XXXXX, A Guide to Convention on Biologi- cal Diversity, Environmental Policy and Law, IUCN, 1994.
6 Gli obiettivi della Convenzione sono la conservazione e l’uso sostenibile della biodi- versità e, appunto, l’equa distribuzione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse gene- tiche (art. 1). Cfr. A. XXXXXXXXX, Biodiversità (diritto internazionale), in ffnc. Giur., 2009, pp. 1-6.
7 In base alle definizioni date dalla Convenzione, per risorse genetiche fornite da una Parte contraente, si intendono esclusivamente quelle risorse fornite dai Paesi d'origine o fornite dalle Parti che le hanno acquisite in modo lecito (art. 2).
8 UNEP, Access to Genetic Resources, Note by the Executive Secretary, UNEP/CBD/COP/3/20, 5 ottobre 1996, parr. 6 e 7, p. 22.
genéticos conservados en condiciones ex situ e in situ, de sus productos derivados o, de ser el caso, de sus componentes intangibles, con fines de investigación, prospección biológica, conservación, aplicación industrial o aprovechamiento comercial, entre otros»9.
Questione importante è quella legata all’accesso ai saperi e alle pratiche tradizionali delle comunità autoctone sulle risorse genetiche e sul loro uso10. La mancata protezione delle conoscenze e delle pratiche tradizionali delle comunità indigene, le attività di biopirateria e la tendenza ad ammet- tere la brevettabilità degli OVM, hanno determinato l’esigenza di una loro tutela.
Tali conoscenze, infatti, nonostante abbiano contribuito alla scoperta di nuove sostanze e di nuovi procedimenti poi brevettati, non soddisfano in sé i criteri richiesti a livello internazionale per ottenere una protezione derivante dai diritti di proprietà industriale11.
L’opzione più realistica e con maggior possibilità di successo sembra essere quella di applicare il regime di accesso e di distribuzione dei benefici previsto dalla CBD anche alle conoscenze tradizionali. In questo modo si assicura il rispetto dei diritti delle comunità autoctone e si garantisce la possibilità di restringere, attraverso i contratti di accesso, la brevettabilità dei prodotti ottenuti sfruttando tali conoscenze, oltre che la possibilità di partecipare ai guadagni derivanti dalla commercializzazione del prodotto brevettato.
Tuttavia, le legislazioni nazionali esistenti in materia di ABS sono scarse e, per lo più, incomplete ed i casi di biopirateria continuano ad essere nu- merosi12.
Inoltre, la maggior parte dei regimi nazionali adottati, non stabiliscono una protezione adeguata per le comunità autoctone; gli interessi economi-
9 Decisione 391, Articolo I, xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx . Cfr. X. XXXXXX, Access to Genetic Resources: a Critical Approach to Decision 391 “Common Regime on Access to Ge- netic Resources” of the Commission of the Cartagena Agreement, in Rev. ffur. Com. Int. ffnv. Law, 1997, pp. 274-283.
10 E. XXXXXXX, La tutela della “Traditional ffnowledge”, in Riv it. dir. xxx.xxx, 2006, pp. 801-810.
11 L’Accordo sui Trade-Related Aspects on Intellectual Property Rights (TRIPs) pur non dando una definizione di invenzione, afferma che, al fine di essere considerata tale, un’invenzione deve rispondere a tre requisiti: novità, attività inventiva e applicazione indu- striale (art. 27) xxx.xxx.xxx; E. XXXXXXX, La protezione giuridica delle invenzioni biotecno- logiche tra TRIPs, Convenzione sulla biodiversità e UPOV, in Rass. Dir. pub. ffur., 2004, pp. 121 ss.; X. XXXXXXXX, Intellectual Property Rights, Trade and Biodiversity, London, 2000, pp. 14-19; X. XXXXXXX, Normative brevettuali e accesso alle risorse biologiche: ripartizione giusta ed equa dei vantaggi o “biorazzia”, in N. BOSCHIERO (a cura di), Bioetica e biotecnolo- gie nel diritto internazionale e comunitario. Questioni generali e tutela della proprietà intellet- tuale, Torino, 2006, pp. 261-281.
12 Con il termine di biopirateria si descrivono i modi attraverso cui vengono sfruttate illegalmente le risorse genetiche ed i saperi tradizionali dei Paesi in via di sviluppo; X. XXXXXXXX, Biodiversity, Biopiracy and Benefits: What Allegations Biopiracy tell us about Intellectual Property, in Developing World Bioethics, 2006, pp. 158-173.
ci, infatti, finiscono con il prevalere rispetto a quelli delle popolazione loca- li13.
La CBD, comunque, non restringe l’accesso alle risorse. La Conven- zione dispone, infatti, che ogni Stato parte si sforzerà di creare le condizio- ni adatte per facilitare l’accesso delle altre parti contraenti alle risorse gene- tiche (art. 15.2).
Lo stesso articolo dispone, inoltre, che l’accesso avvenga in modo tale da garantire un utilizzo sostenibile dell’ambiente. In altre parole l’obbligo di facilitare l’accesso alle Parti contraenti sussiste solo se l’accesso richiesto dagli utenti è finalizzato ad un uso sostenibile. L’accesso potrà essere nega- to o ristretto da una Parte contraente qualora, sulla base delle informazioni fornite dal richiedente, si evinca che questo intende destinare il materiale genetico a un utilizzo ambientale non sostenibile. Nel caso in cui si verifi- chi una tale eventualità lo Stato non avrà più l’obbligo di facilitare l’accesso.
La Convenzione non definendo, però, cosa si intende per “uso sosteni- bile dell’ambiente”, lascia alla discrezionalità dello Stato fornitore la possi- bilità di indicare quali siano gli usi da considerare tali.
3. Il previo consenso informato
La Convenzione stabilisce il principio del previo consenso informato (Prior Informed Consent – PIC) che l’utente interessato all’acceso alle risor- se genetiche deve richiedere ed ottenere dallo Stato fornitore prima di ef- fettuare le ricerche e prima di acquisire il materiale14.
L’art. 15.5 dispone, infatti, che, salvo decisione contraria della Parte contraente, l’accesso alle risorse genetiche sia soggetto all’autorizzazione preventiva dello Stato che possiede le risorse e rilasciata sulla base delle in- formazioni ricevute dall’utente che intende sfruttarle.
La nozione di «previo consenso informato», include tre elementi: «pre- vio» si riferisce alla dimensione temporale, ad indicare che occorre ottene- re il consenso, sulla base dei procedimenti previsti dallo Stato interessato, prima di effettuare l’accesso alle risorse genetiche; «consenso», è richiesto, cioè, un parere favorevole dello Stato che fornisce le risorse, concesso dall’autorità competente appositamente designata e, qualora la legislazione nazionale lo preveda, delle altre parti coinvolte; e, infine, «informato», cioè il consenso deve fondarsi sulle informazioni, fornite in modo adeguato dal richiedente l’accesso, al fine di conoscere i procedimenti utilizzati e di valu-
13 A. XXXXXXXXX, Access to Genetic Resources in the Practices of States, in R. XXX, X. LO- RENZON, X. XXXXXX (Xxxxx), Biotech Innovations and Fundamental Rights, Milano, 2012, pp. 350 e ss.
14 X. XXXXXX, Managing Access to Genetic Resources, in X. XXXXXX (Xxxxx), Access to Genetic Resources: Strategies for Sharing Benefits, Nairobi, 1997, pp. 9 e ss.
tare le implicazioni e i rischi potenziali derivanti dallo svolgimento delle attività15.
Il principio del previo consenso informato è un procedimento ammini- strativo che permette agli Stati fornitori e agli altri soggetti coinvolti di ave- re le informazioni necessarie per valutare i costi e i benefici dell’accesso e di prendere una decisione consapevole sull’autorizzazione delle attività di bioprospezione.
La Convenzione non fornisce indicazioni sul tipo di informazioni che la Parte che richiede l’accesso dovrà dare. Dallo studio delle legislazioni stata- li emerge che i richiedenti hanno indicato, tra l’altro: la quantità e il tipo di materiale campionato; la durata dell’accesso; l’area geografica interessata dalla bioprospezione; la valutazione dell’impatto che l’accesso può provo- care nella conservazione e nell’uso sostenibile della biodiversità; lo scopo della ricerca; gli usi futuri e il valore potenziale dei risultati16.
Il previo consenso informato può essere poi subordinato dallo Stato fornitore alla partecipazione ai benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse come, ad esempio, una compensazione di natura finanziaria, tecnologica e scientifica. In generale, comunque, l’autorizzazione all’accesso è una deci- sione unilaterale che spetta allo Stato fornitore.
Il principio del previo consenso informato previsto dalla Convenzione si riferisce solamente agli Stati contraenti. Ciò non toglie che a livello di di- ritto interno si possa prevedere nella procedura anche il consenso di altri soggetti direttamente coinvolti nell’accesso, come i proprietari delle specie o dell’area interessata dalle ricerche.
Nell’ipotesi poi in cui esistano comunità indigene direttamente coinvol- te dalle attività di bioprospezione, la loro partecipazione nel procedimento del previo consenso informato non solo è utile, ma auspicabile per le Parti contraenti, in applicazione degli artt. 8 (j) e 10 (c) della Convenzione sulla biodiversità relativi, rispettivamente, alla protezione e alla conservazione delle conoscenze e delle tradizioni delle popolazioni autoctone e alla parte- cipazione ai benefici derivanti dallo sfruttamento dei loro saperi.
4. I termini reciprocamente convenuti
Le condizioni reciprocamente convenute sono il secondo pilastro del regime di accesso alle risorse genetiche. La nozione è indicata nell’art. 15.4 della CBD, in base al quale «l’accesso, qualora sia concesso, avrà luogo alle condizioni stabilite di comune accordo».
15 Si ricordi che il previo consenso informato fu previsto per la prima volta dalle Linee guida di Londra per lo scambio di informazioni sulle sostanze chimiche nel commercio internazionale (1987) e, successivamente, dalla Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione (1989).
16 UNEP, Review of National, Regional and Sectorial, Measures and Guidelines for the Implementation of Article 15. Note by the Executive Secretary, UNEP/CBD/COP/4/23, 19 febbraio 1998, p. 10; xxx.xxx.xxx .
L’uso che la Convenzione fa dell’espressione «condizioni stabilite di comune accordo» presuppone che i soggetti che intendano sfruttare le ri- sorse genetiche sottoposte alla sovranità di uno Stato parte, siano essi Stati o soggetti privati, dovranno accordarsi con questo ai fini della partecipa- zione ai benefici.
La CBD non indica le condizioni ed i requisiti a cui l’accordo deve ri- spondere, si limita a menzionare alcuni aspetti generali, quali: il previo consenso informato; un accordo reciprocamente convenuto; un accordo sulla distribuzione dei benefici; il trasferimento delle tecnologie pertinenti allo Stato fornitore; e la garanzia che l’utilizzo delle risorse avvenga in mo- do sostenibile.
L’espressione «termini reciprocamente convenuti» implica che il pro- cesso di negoziazione si concluda con un accordo o con un contratto di ac- cesso tra lo Stato fornitore e l’utente che utilizza le risorse, sia esso uno Sta- to o un privato. Generalmente questo accordo non determina solamente le condizioni per l’accesso, ma anche le misure previste ai fini dell’equa di- stribuzione dei benefici e dei risultati.
Ciò evidenzia l’importanza di definire gli elementi di ogni accordo di accesso e la stretta dipendenza di questo con il principio del previo con- senso informato. Lo Stato che possiede le risorse potrà decidere se conce- dere o meno l’accesso sulla base delle informazioni ricevute dall’utente in- teressato alla bioprospezione.
Gli Stati parti della Convenzione dovranno recepire nel proprio ordina- mento le disposizioni contenute nella CBD e imporre i relativi obblighi ai sog- getti privati interessati dalle attività di bioprospezione. Qualora ciò non fosse, gli obiettivi della Convenzione sarebbero seriamente compromessi.
In generale, va evidenziata la difficoltà che incontra lo Stato fornitore nel determinare a priori a quali benefici desidera partecipare, questo per- ché i tipi e la portata dei benefici dipendono dalla rarità delle risorse utiliz- zate e dalla loro utilità nella scoperta di un nuovo prodotto o di un nuovo processo biologico. Per tale ragione è importante che lo Stato che possiede le risorse abbia la capacità di valutare le potenzialità delle risorse genetiche coinvolte e riceva tutte le informazioni possibili sul valore delle risorse ge- netiche, sul loro futuro utilizzo e sui possibili benefici.
4.1. Gli accordi di bioprospezione
I termini reciprocamente convenuti sono generalmente definiti al mo- mento della firma del contratto di accesso tra i soggetti interessati.
Anche se la Convenzione non esclude la possibilità di stipulare accordi multilaterali di accesso, la prassi ha mostrato che i contratti bilaterali di bioprospezione, già utilizzati dagli Stati prima dell’entrata in vigore della CBD, risultano essere l’opzione più praticata17.
17 In relazione agli accordi multilaterali di accesso si veda: X. XXXXXX, Accesso alle risor- se fitogenetiche e diritti di proprietà intellettuale dopo il Trattato della FAO del 2001, in Com. Int., 2003, pp. 369-394.
I contratti bilaterali garantiscono, infatti, un’adeguata regolazione dei costi, benefici e rischi delle transazioni, dando alla parte che fornisce le ri- sorse la possibilità di controllare direttamente il processo di accesso e di distribuzione dei benefici.
La libertà delle parti nella negoziazione degli accordi di accesso e dei termini reciprocamente convenuti trova però un limite nella Convenzione stessa. Gli accordi devono, infatti, necessariamente contenere alcuni ele- menti del regime previsto dalla CBD, come l’indicazione delle modalità convenute per la distribuzione dei risultati e dei benefici.
I termini reciprocamente convenuti vincolano un fornitore di risorse genetiche e un bioprospettore, sia esso un ente di ricerca o un’impresa pri- vata, e regolano tutti gli aspetti relativi all’attività di accesso, estrazione, ri- cerca e sviluppo.
Dall’esame della prassi contrattuale emerge che le preoccupazioni degli Stati per la conservazione della biodiversità, in modo particolare di quelli fornitori, hanno determinato l’inclusione negli accordi di clausole che pre- vedono una compensazione per le risorse utilizzate e la creazione di alcuni fondi specifici. In realtà i contratti di bioprospezione contribuiscono solo in parte alla conservazione della biodiversità e in nessun caso possono esse- re considerati come strumenti di conservazione in sé. La stessa Convenzio- ne dispone, infatti, che solo una parte delle compensazioni ricevute debba- no essere destinate alla salvaguardia della biodiversità. È compito degli Sta- ti definirne il quantum.
Tra gli elementi che un accordo di accesso deve prevedere vi è, inoltre, una clausola di revisione, a cui far ricorso qualora si verifichino mutamenti non previsti nell’accordo originario e un meccanismo con cui si possa veri- ficare la sua attuazione. Per quanto riguarda il primo aspetto, che risponde all’esigenza di giustizia ed equità nella distribuzione dei benefici, il contrat- to dovrà obbligare la parte che accede alle risorse a fornire informazioni periodiche sulla loro utilizzazione, sul loro sviluppo, sugli usi posteriori e sulla possibilità di un loro trasferimento ad un terzo.
Maggiori problemi si riscontrano, invece, per il secondo requisito. La prassi ha mostrato che gli Stati fornitori hanno incontrato numerose diffi- coltà nel verificare la conformità dell’uso delle risorse alle disposizioni con- trattuali anche perché gli utenti hanno spesso aggirato i meccanismi di con- trollo predisposti.
5. La ripartizione dei risultati e dei benefici
La CBD stabilisce, come già accennato in precedenza, che ogni Parte contraente adotti opportune misure legislative, amministrative o politiche al fine di ripartire in modo giusto ed equo, tra essa stessa e la Parte con- traente che fornisce le risorse, i risultati della ricerca e dello sviluppo, non- ché i benefici che risultano dall’utilizzazione commerciale e di altro tipo di dette risorse genetiche; e che tale ripartizione si effettui secondo modalità convenute di comune accordo (art. 15.7). Si tratta di un obbligo di risultato
per gli Stati parti. La Convenzione non prevede, infatti, i mezzi con cui da- re attuazione a tale obbligo, lascia alle Parti la libertà di scegliere quelle che più ritengono adeguati18.
Secondo una parte della dottrina, mancando nella Convenzione una definizione dei termini, per «risultato» si intende il prodotto finale delle ricerche biotecnologiche che utilizzano le risorse genetiche, inclusi i dati scientifici o tecnologici e qualsiasi prodotto o processo sviluppato; per
«benefici», invece, si intendono i vantaggi che discendono dall’utilizzo dei risultati del lavoro biotecnologico quali, ad esempio, le informazioni tecni- che, gli aiuti commerciale, le royalties19.
I verbi «to promote» e «to advance», utilizzati nell’art. 19.2, furono og- getto di dibattito all’interno dei negoziati e furono scelti al fine di evitare la creazione di un obbligo più stringente nei confronti delle imprese private degli Stati che sfruttano le risorse. Va detto però che nella maggior parte dei casi, i benefici e i risultati delle ricerche sono nelle mani del settore pri- vato. Per questo, lo Stato fornitore delle risorse si troverà a negoziare i con- tratti di accesso e di distribuzione dei benefici con le società private.
Nell’art. 15.7, vi è poi un riferimento all’art. 16 della Convenzione su
«l’accesso alle tecnologie e il suo trasferimento». Esso stabilisce, infatti, che le Parti contraenti si impegnino ad assicurare e facilitare alle altre Parti, in modo particolare a quelle che forniscono le risorse, l’accesso alle tecnologie pertinenti per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità e il loro trasferimento, secondo condizioni eque e termini più favorevoli.
5.1. I Benefici derivanti dallo sfruttamento della biodiversità
In generale possiamo distinguere due tipologie di benefici: diretti e in- diretti.
Per benefici diretti, si intendono quei benefici che ricevono i consuma- tori attraverso il consumo delle risorse biologiche o di quei prodotti realiz- zati attraverso l’uso delle stesse. Si pensi all’importanza che rivestono le ri- sorse biologiche nel campo dell’industria farmaceutica, dell’industria agri- cola e dell’ingegneria genetica.
Tra quelli indiretti troviamo, invece, la ricchezza che il turismo sosteni- bile genera, i risultati delle ricerche scientifiche che possono avere impor- tanti applicazioni economiche, il valore estetico delle stesse risorse, il man- tenimento della qualità dell’atmosfera, del suolo, del clima e degli equilibri naturali e il corretto funzionamento degli ecosistemi naturali.
Va inoltre evidenziato come attualmente solo una parte delle specie ve-
18 Sugli obblighi di risultato degli Stati si vedano le osservazioni del relatore speciale R. AGO, Seventh Report on State Responsibility, A/CN.4/307 and Add.1- 2, YB. Int. Law Comm., 1978, vol. I(1), pp. 32-37, par. 1-19; R. AGO, Scritti sulla responsabilità internaziona- le degli Stati, Napoli, 1986, pp. 1019 ss. ; A. MARCHESI, Obblighi di condotta e obblighi di risultato, Milano, 2003.
19 X. XXXXXX, X. XXXXXXXX - GUILMIN, X. XXXXX, A Guide to Convention on Biologi- cal Diversity, ffnv. Pol. Law, IUCN, 1994, pp. 97 e ss.
getali conosciute sono sfruttate dall’industria farmaceutica, medica ed este- tica. È abbastanza plausibile pensare che molte delle specie ritenute oggi non utili possano rappresentare nel futuro un beneficio per l’umanità. La recente rivoluzione biotecnologica ha aumentato, infatti, le potenzialità di utilizzo delle specie lasciando intravedere un contributo notevole al rag- giungimento di un benessere generale. Per questa ragione, la distruzione degli ecosistemi, l’estinzione di alcune specie e l’impoverimento della bio- diversità presuppone un’incalcolabile perdita di risorse industriali, medi- che ed agricole.
È possibile distinguere, poi, tra benefici monetari e benefici non mone- tari. Nella prima tipologia rientrano: le tasse destinate al finanziamento del- la ricerca scientifica e alla creazione di joint ventures; i fondi fiduciari a fa- vore della conservazione e dell’uso sostenibile della biodiversità; e il paga- mento delle royalties o delle licenze nel caso di commercializzazione delle risorse. Nella seconda tipologia troviamo, invece: la condivisione dei risul- tati derivanti dalle attività di ricerca e sviluppo, la partecipazione in tali at- tività, il trasferimento tecnologico, la promozione dell’educazione e della capacity-building, la formazione delle risorse umane, la soddisfazione delle esigenze prioritarie, quali, ad esempio, la sicurezza alimentare e sanitaria ed, infine, la condivisione dei brevetti e degli altri diritti di proprietà intel- lettuale20.
6. Il processo negoziale del Protocollo su ABS
Come emerge da quanto poc’anzi detto, il tema dell’accesso alle risorse genetiche e dell’equa ripartizione dei benefici ha rappresentato la principa- le difficoltà ai fini dell’attuazione della Convenzione sulla biodiversità21. Durante l’elaborazione della CBD l’introduzione di alcune disposizioni re- lative alla distribuzione dei benefici derivati dall’utilizzo delle risorse gene- tiche fu considerata come una contropartita necessaria ai fini della conser- vazione e dell’uso sostenibile della biodiversità. Furono principalmente i Paesi in via di sviluppo a battersi, nel corso dei negoziati, per far includere tale tematica tra gli obiettivi principali della CBD22.
Una volta adottata la Convenzione, il tema del Access and Benefit Sha- ring è stato oggetto di dibattito durante ogni Conferenza degli Stati parti
20 Attraverso la decisione VI/24, la COP ha invitato le organizzazioni internazionali competenti, in primis la WIPO, ma anche la FAO, l’UNCTAD e la WTO a presentare rapporti informativi e studi tecnici sull’impatto dei diritti di proprietà intellettuale sull’uso delle risorse genetiche, sulla ricerca scientifica e sulle conoscenze tradizionali alla successiva settima Conferenza delle Parti; COP 6, Decision VI/24, Access and Benefit-Sharing as Related to Genetic Resources, xxx.xxx.xxx .
21 M. XXXXX, X. XXXXX, New fflements of the International Regime on Access and Bene- fit Sharing of Genetic Resources the Role of Certificate of Origin, Bonn, 2005, pp. 11 e ss.
22 Xxx negoziati e l’evoluzione della Convenzione sulla biodiversità, si veda: X. XXXXX, X. XXXX, Principles of International ffnvironmental Law, Cambridge, 2012, pp. 461 e ss.
(COP). È possibile individuare, infatti, alcune decisioni importanti adotta- te nel corso degli anni.
In particolare, durante la quinta COP, tenutasi a Nairobi, nel maggio 2000, fu istituito l’Ad Hoc Open-ffnded Working Group on Access and Be- nefit Sharing (WG-ABS) al fine di elaborare linee guida in grado di assiste- re le Parti della CBD nell’attuazione delle norme riguardanti l’accesso alle risorse genetiche e la condivisione dei benefici23. Il Progetto delle Linee guida è stato adottato durante la Conferenza delle parti dell’Aja nell’aprile 200224.
Le Linee guida, a carattere volontario, rappresentano un modello per gli Stati ai fini dell’elaborazione delle misure legislative, amministrative e politiche sull’accesso e la condivisione dei benefici. Esse incoraggiano l’armonizzazione delle misure adottate a livello nazionale in materia di ABS e completano il quadro normativo previsto dalla Convenzione sulla biodi- versità, senza alterare i diritti e gli obblighi discendenti da questa in capo alle Parti (par. 7)25.
Il processo negoziale vero e proprio del regime internazionale ha avuto inizio, invece, nel settembre 2002 con l’adozione, al termine del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, del Piano d’azione26. Il par. 44, lett. o, del Piano esorta, infatti, gli Stati ad elaborare, nel quadro della Convenzione sulla biodiversità, e alla luce delle Linee guida, un regi- me internazionale per promuovere e salvaguardare l’equa distribuzione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche27. Tale raccomanda-
23 COP 5, Decision V/26, Access to Genetic Resources, par. 11, xxx.xxx.xxx .
24 COP 7, Decision VI/24, Access and Benefit Sharing as Related to Genetic Resources, Annex, xxx.xxx.xxx . Il Progetto era stata elaborato dal Gruppo di lavoro ad hoc nel corso della sua prima riunione tenutasi a Bonn nell’ottobre 2001.
25 Le Linee guida sono composte da cinque capitoli: il primo, di carattere generale, chiarisce i termini e delinea gli obiettivi; il secondo, stabilisce i ruoli e le responsabilità in materia di Access and Benefit Sharing (ABS); il terzo, disciplina la partecipazione delle parti coinvolte (stakeholders); il quarto, descrive le fasi che caratterizzano la procedura di accesso e condivisione dei benefici; e, l’ultimo, riguarda le disposizioni finali. Sono poi allegati due Annessi riguardanti, rispettivamente: gli accordi per il trasferimento di materiali e i benefici monetari e non monetari; X. XXXXX, The Bonn Guidelines on Access to Genetic Resources and Benefit Sharing, in Rev. ffur. Com. Int. ffnv. Law, 2003, pp. 84-98.
26 Sul processo negoziale del regime internazionale: X. XXXXXX PENTINAT, Los advances en la regulación de un regimen internacional sobre acceso y participacion en los beneficios derivados de la utilización de los recursos genetico que componen la diversidad biologica (APB- ABS), in P. FOIS (a cura di), Il Principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale ed europeo dell’ambiente, XI Convegno SIDI, (Alghero, 1ł-17 giugno 200ł), Napoli, 2007, pp. 105 e ss.
27 Plan of Implementation of the World Summit on Sustainable Development, Chapter IV, Protecting and Managing the Natural Resource Base of ffconomic and Social Development, par. 44; xxxx://xxx.xx.xxx/xxx/xxxxxxx/xxxxxxxxx/XXXX _POI_PD/ Eng- lish/WSSD_PlanImpl.pdf . L’inserimento di tale indicazione nel Piano d’azione è stato do- vuto alla pressione esercitata dal Gruppo dei Paesi megadiversi e affini (Brasile, Cina, Co- lombia, Costa Rica, Ecuador, India, Indonesia, Kenia, Messico, Sud Africa e Venezuela).
zione è stata recepita, poi, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel- la risoluzione 57/26028.
Altro momento importante nel processo negoziale del regime interna- zionale è l’adozione della Decisione VII/19 su L’accesso alle risorse geneti- che e la condivisione dei benefici derivanti dal loro sfruttamento nel corso della settima COP, tenutasi a Kuala Lumpur, nel febbraio 2004, con cui si è dato mandato al WG-ABS «[…] to elaborate and negotiate an interna- tional regime on access to genetic resources and benefit-sharing with the aim of adopting an instrument\instruments to effectively implement the provisions in Article 15 and Article 8(j) of the Convention and the three objectives of the Convention»29.
Infine, rileva la Decisione VIII/4 su Access and Benefit Sharing, adotta- ta nel corso dell’ottava COP, tenutasi a Curitiba, nel marzo 2006, in cui si decise di adottare il regime internazionale nella decima COP prevista per il 2010 in Giappone30. La stessa Decisione delineò alcuni obiettivi che il re- gime avrebbe dovuto perseguire: facilitare e regolare l’accesso alle risorse genetiche, garantendone un uso razionale; prevenire l’appropriazione illeci- ta delle risorse genetiche, dei suoi derivati e delle conoscenze tradizionali ad esse associate; garantire il rispetto del previo consenso informato e dei termini reciprocamente convenuti; contribuire all’effettiva attuazione dell’art. 8 (j) della Convenzione, sul rispetto delle conoscenze e delle tradi- zioni delle comunità indigene e locali; ed assicurare una giusta ed equa di- stribuzione dei benefici.
7. Il Protocollo di Nagoya
Il Protocollo sull’accesso alle risorse genetiche e l’equa condivisione dei benefici è stato adottato nel corso della decima Conferenza delle parti della Convenzione sulla biodiversità tenutasi a Nagoya, dal 18 al 29 ottobre 2010, al termine di un processo negoziale durato sette anni31. L’entrata in
28 «Also recalls the commitment made at the World Summit on Sustainable Develop- ment to negotiate within the framework of the Convention on Biological Diversity, bearing in mind the Bonn Guidelines, an international regime to promote and safeguard the fair and equitable sharing of benefits arising out of the utilization of genetic resources. And in- vites the Conference of the Parties to take appropriate steps in this regard»; A/RES/57/260, Convention on Biological Diversity, 30 Gennaio 2003, par. 8, xxxx://xxx.xxx.xxxx.xxx/xxxx/x00000.xxx .
29 COP 7, Decision VII/19, Access and Benefit-Sharing as Related to Genetic Resources, 13 aprile 2004, xxx.xxx.xxx .
30 In tale occasioni furono nominati anche due copresidenti permanenti del WG-ABS per supervisionare il processo negoziale, il colombiano Xxxxxxxx Xxxxx e il canadese Xxxxxxx Xxxxxx, e istituiti tre gruppi di esperti tecnici e giuridici su: il completamento (1); i concetti, i termini, le definizioni e gli approcci settoriali (2); e le conoscenze tradizionali associate alle risorse genetiche (3).
31 Il Protocollo di Nagoya è composto da un Preambolo, 36 articoli e un allegato sui vantaggi monetari e non monetari derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche; J.
vigore è stabilita novanta giorni dopo il deposito del cinquantesimo stru- mento di ratifica (art. 33)32. Ad oggi ne sono parti ventinove Paesi.
Il Protocollo intende assicurare la giusta ed equa partecipazione ai be- nefici derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche anche attraverso il trasferimento della tecnologia pertinente contribuendo, così, alla conser- vazione e all’utilizzo sostenibile della biodiversità e dei suoi componenti (art. 1)33.
In conformità con quanto previsto all’art. 15 della Convenzione sulla biodiversità, il Protocollo stabilisce che i benefici derivanti dall’utilizzo del- le risorse genetiche, così come le applicazioni e la commercializzazione dei prodotti derivati, saranno divisi in modo equo tra l’utente e la Parte che detiene tali risorse, sia essa lo Stato di origine o un ente che ha acquisito le stesse risorse in modo conforme a quanto disposto dalla Convenzione; e che tale suddivisione avverrà sulla base di quanto previsto dai termini reci- procamente convenuti (art. 5). Per tale ragione ogni Stato parte dovrà adottare tutte le misure opportune (legislative, amministrative o politiche) per garantire un’equa distribuzione dei benefici, monetari e non, derivanti dalle risorse genetiche o dalle conoscenze tradizionali ad esse associate.
Il Protocollo prevede, inoltre, che, nel pieno esercizio del principio di sovranità di ogni Stato parte sulle risorse naturali possedute, ribadito nel Preambolo, l’accesso sarà soggetto al previo consenso informato della Par- te che possiede le risorse, a meno che questa non stabilisca diversamente (art. 6).
Ogni Stato parte al Protocollo è tenuto, quindi, ad adottare tutte le mi- sure legislative ed amministrative necessarie al fine di prevedere delle con- dizioni di accesso chiare, certe e trasparenti; fornire informazioni sulle mo- dalità per richiedere il previo consenso informato; ricevere una risposta scritta dall’autorità nazionale competente in un arco di tempo ragionevole; rilasciare un permesso, nel momento dell’accesso, che provi il possesso del previo consenso informato e dell’accordo reciprocamente convenuto; e fis- sare delle procedure certe per richiedere ed ottenere, per iscritto, un ac- cordo di bioprospezione. Tali accordi possono contenere, tra l’altro, una clausola per le risoluzioni delle controversie, le condizioni per la partecipa-
BEQIRAJ, L’equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche secondo il Protocollo di Nagoya: fra obblighi degli Stati e diritti delle comunità indigene, in Dir. umani, dir. int., 2011, pp. 188-193; X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, X. SHRUMM, Community Protocols and Access and Benefit Sharing, in Asian Biot. Dev. Rev., 2010, pp. 49-76.
32 Si ricordi che nel corso della stessa COP sono stati adottati anche il Piano strategico 2011-2020, la Strategia sulla mobilitazione delle risorse finanziarie; e il documento sui cambiamenti climatici e la biodiversità; xxxx://xxx.xxx.xxx/xxx00/. In modo particolare, il Piano strategico prevede al sedicesimo obiettivo che il Protocollo su ABS entri in vigore al più tardi nel 2015; Decisione UNEP/CBD/COP/DEC/X/2, del 29 ottobre 2010, xxxx://xxx.xxx.xxx/xxx/xxxxxxxxx/xxx-00/xxx-00-xxx-00-xx.xxx, p. 9.
zione ai benefici o per l’utilizzo delle risorse da parte di terzi e le modalità per un cambio d’uso delle risorse rispetto a quanto previsto inizialmente (art. 6.2).
Il Protocollo obbliga gli Stati parte ad istituire un punto focale naziona- le e/o un’autorità su ABS al fine di fornire informazioni: sulle modalità previste per la richiesta del previo consenso informato e dei termini reci- procamente convenuti, sul coinvolgimento delle comunità indigene o locali nella richiesta di bioprospezione, sull’autorizzazione delle attività di bio- prospezione e sul rilascio di un certificato di conformità dell’accesso (art. 13).
La decisione di nominare una sola entità per adempiere alla funzione di punto focale nazione e di autorità nazionale competente è lasciata alla di- screzionalità delle Parti.
Per quanto riguarda le popolazioni indigene, il Protocollo, tenendo conto della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni34, dispone che esse, oltre a prevedere un loro coinvolgimento, se direttamente interessate, nella richiesta del previo consenso informato, nelle attività di bioprospezione (artt. 5.2 e 5.5) e nell’equa condivisione dei benefici (art. 12), abbiano il di- ritto a mantenere, controllare, proteggere e sviluppare i diritti di proprietà intellettuale sul loro patrimonio culturale, sul loro sapere tradizionale, sulle loro espressioni culturali e sulle manifestazioni delle loro scienze, tecnolo- gie e culture (art. 31).
Il Protocollo prevede, anche, l’istituzione di un Global Multilateral Be- nefit Sharing Mechanism per l’utilizzo di quelle risorse genetiche e cono- scenze tradizionali associate che si trovano in una situazione transfrontalie- ra e per le quali è impossibile concedere o ottenere il previo consenso in- formato (art. 10), e di un ABS Clearing House Mechanism al fine di condi- videre le informazioni sulle misure adottate dagli Stati parti in materia di accesso ed equa condivisione dei benefici (art. 14).
7.1 I sistemi di monitoraggio ed i meccanismi di compliance
Una delle questioni maggiormente dibattute nel corso dei negoziati per l’adozione del Protocollo sull’ABS ha riguardato la necessità di prevedere sistemi o modalità attraverso cui monitorare il corretto utilizzo delle risorse genetiche, conformemente a quanto previsto nella richiesta di accesso avanzata dall’utente interessato e nel previo consenso informato.
Il Protocollo dispone che ogni Stato parte designi un organo di verifica al fine di raccogliere e ricevere le informazioni pertinenti dagli utenti coin- volti sul previo consenso informato, sulla fonte delle risorse genetiche, sul raggiungimento delle condizioni reciprocamente convenute e sull’utilizzo delle risorse per poi trasmetterle ai Providers e al Clering House Mechanism del Protocollo (art. 17).
34 La Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione n. 61/295; A/RES/61/295, del 13 settembre 2007, xxx.xx.xxx. X. XXXXXXXX, I diritti dei popoli indigeni, Roma, 2009.
È previsto, inoltre, un certificato internazionale, rilasciato dalle autorità nazionali su ABS, come prova che l’accesso alle risorse è avvenuto in modo conforme a quanto stabilito nel previo consenso informato e nelle condi- zioni reciprocamente convenute. Tale certificato dovrà indicare, tra l’altro, l’autorità e, la data di emissione, il fornitore delle risorse, il numero esclusi- vo di identificazione, l’ente presso cui si è ottenuto il previo consenso in- formato, la materia e le risorse genetiche per le quali si è concesso l’accesso, la conferma che sono stabilite delle condizioni reciprocamente convenute e l’uso che si intende fare delle risorse acquisite (art. 17.4).
Il Protocollo prevede anche procedure di compliance, ma lascia ampia discrezionalità alle Parti di adottare tutte le misure necessarie per assicura- re che l’acceso alle risorse genetiche sottoposte alla propria giurisdizione e il loro utilizzo, così come alle conoscenze tradizionali ad esse associate, av- venga secondo quanto previsto nel previo consenso informato e nei termini reciprocamente convenuti (artt. 15.1 e 16.1). Dispone inoltre che le Parti adottino le misure più appropriate per far fronte a situazioni di non con- formità (15.2 e 16.2) e che, qualora siano rilevate presunte violazioni della legislazione o requisiti previsti a livello nazionale per l’accesso e la parteci- pazione ai benefici, cooperino tra di loro per una loro risoluzione (art. 15.3 e 16.3)35.
Nel Protocollo è previsto, inoltre, che, nel corso della prima riunione della Conferenza delle parti della CBD, riunita come COP del Protocollo, siano adottate procedure e meccanismi per promuovere la sua attuazione (art. 30). Per tale ragione, il Comitato intergovernativo per il Protocollo di Nagoya, nel corso delle sue prime riunioni, tenutesi nel giugno 2011 e lu- glio 2012, si è occupato della questione della compliance senza però arriva- re a risultati concreti36.
Tra le questioni ancora controverse: la durata del mandato del Comita- to (2 o 4 anni); la possibilità di far partecipare anche i rappresentanti delle popolazioni indigene e il loro ruolo (osservatori o veri e propri rappresen- tanti); le funzioni da attribuire al Comitato e le misure previste ai fini della compliance; e la possibilità di istituire un Ombudsman su ABS per assistere i PVS e le comunità autoctone nell’identificazione delle istanze di non compliance da sottomettere al Comitato.
In generale, comunque, il Protocollo dispone che in futuro gli accordi di bioprospezione dovranno contenere delle disposizioni con cui indicare la giurisdizione a cui sottoporle, la normativa rilevante ed i mezzi di risolu- zione alternativi, come la mediazione e l’arbitrato (art. 18).
35 E. C. XXXXX, X. XXXXXX, X. WINTER, The Nagoya Protocol to Genetic Resources and Benefit Sharing: What is New and What Are the Implications for Provider and User Countries and the Scientific Community?, in Law, ffnv. Dev. Journ., 2010, pp. 252 e ss.
36 Il Draft adottato nel corso della seconda riunione del Comitato, nel luglio 2012, si è limitato a rinviare l’adozione del meccanismo di compliance ad un secondo momento, stabilendo che sarà composto da quindici membri nominati dalle Parti. Il Draft è allegato alla Raccomandazione 2/7, Cooperative Procedures and Institutional Mechanisms to Promote Compliance with the Protocol and to Address Cases of Non-Compliance, xxx.xxx.xxx.
8. Valutazioni finali
Il Protocollo di Nagoya rappresenta uno sforzo molto ambizioso di re- golamentare a livello internazionale la tematica dell’accesso alle risorse ge- netiche e l’equa condivisione dei benefici. Lodevole è anche il tentativo di occuparsi contemporaneamente di tematiche difficilmente coordinabili: tu- tela dell’ambiente, protezione delle conoscenze e dei diritti delle popola- zioni indigene, tutela dei diritti di proprietà intellettuale e regolamentazio- ne del commercio internazionale delle risorse genetiche.
Tra gli aspetti positivi anche: la previsione di un sistema di controllo in grado di monitorare la conformità delle attività di bioprospezione con quanto autorizzato, il coinvolgimento delle popolazioni locali o autoctone nel procedimento decisionale e l’istituzione del Clearing House Mechanism on ABS.
Tuttavia, il testo finale presenta talune formulazioni (come «opportu- no», «per quanto possibile»), soprattutto in riferimento alla protezione dei diritti delle popolazioni autoctone, che mal si conciliano con il carattere vincolante dello strumento. È vero anche che, l’uso di verbi come «impe- gnarsi», «promuovere» e «prendere in considerazione», non creano stan- dard precisi né forniscono linee chiare a cui le Parti dovranno conformarsi. In generale, però, le norme del Protocollo sono dirette a favorire lo svilup- po di buone pratiche e rappresentano un primo passo verso l’adozione di precetti più definiti.
La presenza di indicazioni generali, frutto della mediazione tra gli inte- ressi confliggenti delle Parti, potrebbe determinare il successo o l’eventuale insuccesso del Protocollo, ad oggi ancora incerto. L’esiguo numero di rati- fiche raggiunte fino ad ora, è dovuto, probabilmente, alle questioni lasciate irrisolte a Nagoya. È il caso della condivisione dei benefici derivanti dalle risorse utilizzate prima dell’entrata in vigore del Protocollo, sul quale il te- sto finale tace. Una parte della dottrina ritiene, inoltre, che il Protocollo imponga degli obblighi troppo onerosi per i Paesi in via di sviluppo, in particolare, in merito all’identificazione e alla catalogazione delle risorse possedute.
Certamente, una volta in vigore, il Protocollo dovrà garantire una mag- giore certezza giuridica alle attività di bioprospezione, favorendo la fiducia tra i soggetti coinvolti.
Sarà interessante, in particolare, l’evoluzione dei rapporti tra le disposi- zioni del Protocollo e la normativa internazionale sui diritti di proprietà in- tellettuale. Essa potrebbe favorire quel processo negoziale, già in atto in seno all’Organizzazione mondiale del commercio e all’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, teso alla previsione di un certificato internazionale in grado di attestare, nel momento in cui si fa domanda di brevetto, la provenienza delle risorse e il loro utilizzo conforme al previo consenso informato e agli accordi reciprocamente convenuti.
Da ultimo, ma non certo meno impegnativo, il Protocollo dovrà inco- raggiare la definizione e l’attuazione, a livello nazionale, di misure per la protezione delle conoscenze tradizionali associate alle risorse genetiche.