FATTO
COLLEGIO DI MILANO – DEC. N. 9341/2017 - PRES. LAPERTOSA- REL.- XXXXXXXXX
Garanzie reali – pegno su titoli – patto commissorio – fattispecie - infondatezza (cod. civ., artt. 1362 e ss. e 2744)
FATTO
La parte ricorrente, per il tramite di un’associazione di categoria, deduce la violazione del divieto di patto commissorio con riferimento ad un contratto di pegno su titoli stipulato con un intermediario appartenente al medesimo gruppo dell’intermediario convenuto con il quale uno dei soggetti ricorrenti, diverso da quello che ha concesso il pegno, ha stipulato un contratto di leasing. Dai documenti versati in atti e, segnatamente, dal contenuto del reclamo emerge, in particolare, che il cointestatario del presente ricorso stipulava con il convenuto un contratto di leasing per l’acquisto di alcuni beni aziendali a favore di una società unipersonale, assistito da pegno costituito dalla ricorrente garante presso un intermediario del medesimo gruppo. L’attività commerciale veniva chiusa nel settembre 2014 a seguito dei pessimi risultati economici e - in data 5 febbraio 2015 - il cointestatario per il tramite di un avvocato inviava una missiva con la quale dichiarava di non poter dare esecuzione al contratto di leasing con il pagamento dei canoni residui e invitava l’intermediario resistente a rientrare nel possesso dei beni.
In data 18 gennaio 2016 la parte ricorrente ha formulato reclamo all’indirizzo dell’intermediario presso il quale era stato costituito il pegno su titoli, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del pegno perché contrario all’art. 2744 c.c. (divieto di patto commissorio). Tale reclamo è stato riscontrato, negativamente, non dal soggetto destinatario dello stesso, bensì dall’intermediario oggi convenuto.
La parte ricorrente chiede, quindi, che il Collegio “[…] giudichi nullo il patto commissorio e svincoli i beni ad esso connessi, con vittoria di spese […]”.
L’intermediario, preliminarmente, eccepisce la carenza di legittimazione passiva deducendo che il ricorso è volto a far valere la nullità di un contratto stipulato tra la cliente e un altro intermediario, il quale si vedrebbe eventualmente coinvolto senza poter svolgere le proprie difese. Con le controrepliche sottolinea che l’alterità soggettiva non viene meno anche se entrambi gli intermediari fanno parte dello stesso gruppo bancario.
Nel merito, l’intermediario osserva che nel caso di specie il pegno è stato costituito unicamente a scopo di garanzia per un valore di € 10.000,00 a fronte di un debito garantito di € 12.000,00 e, quindi, in “totale assenza di sproporzione”; inoltre, al 17 marzo 2016 il debito ammontava a € 8.282,02.
Si rileva, poi, che il debitore principale è esposto finanziariamente nei confronti della convenuta sin dal 3 dicembre 2014 e, ad oggi, la garanzia non è ancora stata escussa per permettere a parte debitrice di riuscire a rientrare del debito mediante canali alternativi; ciò a dimostrazione della buona fede delle parti nella sottoscrizione del contratto di pegno che viene ritenuto ultimo canale percorribile prima dell’attivazione di iniziative giudiziali.
L’intermediario nega la violazione dell’art. 2744 c.c. in quanto il creditore garantito prima di realizzare la garanzia deve provvedere, secondo quanto previsto dal contratto, a vendere i titoli sul mercato realizzando una somma la cui eventuale eccedenza, rispetto a quanto di spettanza, verrà messa a disposizione della ricorrente. In questa prospettiva, non è configurabile un patto commissorio, quanto, piuttosto, un patto marciano la cui validità è affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Infine, l’intermediario contesta la domanda di rifusione delle spese legali adducendo che nel presente procedimento la difesa tecnica costituisce una mera facoltà.
In conclusione, l’intermediario chiede “[…] in via preliminare di respingere il ricorso per carenza di legittimazione passiva di parte resistente. In via principale e subordinata di respingere integralmente il ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto […]”.
Con le repliche e le controrepliche le parti hanno sviluppato gli argomenti difensivi contenuti nel ricorso e nelle controdeduzioni.
DIRITTO
Il Collegio è chiamato preliminarmente ad esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto. Sul punto occorre rilevare, in primo luogo, che il reclamo della parte ricorrente è stato indirizzato all’intermediario non convenuto con il quale è stato stipulato il contratto di pegno oggetto della controversia. Tale reclamo, tuttavia, è stato riscontrato, come emerge dagli atti versati nel procedimento, dall’intermediario convenuto che, peraltro, sul punto nulla ha rilevato.
È evidente, pertanto, che tale circostanza abbia ingenerato una situazione di apparenza con
conseguente affidamento della parte ricorrente sulla circostanza che il soggetto legittimato passivo del ricorso fosse l’intermediario che, pur non essendo il destinatario del reclamo, aveva dato a questo riscontro. A ciò si aggiunga, per un verso, l’appartenenza di entrambi i soggetti al medesimo gruppo bancario; per altro verso, il collegamento funzionale corrente tra il contratto di leasing garantito e quello di concessione del pegno; per altro verso ancora, la natura del procedimento dinanzi all’ABF. L’eccezione di difetto di legittimazione passiva, quindi, non merita accoglimento.
Venendo al merito della controversia, il Collegio reputa opportuno muovere dal dato testuale del contratto costitutivo di pegno su titoli e, segnatamente, dall’art. 6 che sotto la rubrica “Realizzazione del pegno” dispone che “[…] In caso di inadempimento delle obbligazioni garantite [l’intermediario garantito], senza pregiudizi per qualsiasi altro suo diritto od azione, può far vendere, con preavviso, dato in forma scritta, di 3 giorni – anche ove il costituente sia un soggetto diverso dal debitore – in tutto o in parte ed anche in più riprese, con o senza incanto, i titoli costituiti in pegno a mezzo intermediari autorizzati o di altra persona autorizzata a tali atti, ovvero, in mancanza, di ufficiale giudiziario. […] sul prezzo netto ricavato [l’intermediario garantito] si rimborsa di ogni suo credito per capitale, interessi, spese, imposte, tasse e ogni altro accessorio, sempre fermo quanto disposto dall’art. 6 […]”.
Ebbene, facendo corretto uso dei canoni ermeneutici in materia contrattuale codificati dagli artt. 1362 ss. cod. civ. e valorizzando non solo il testo, ma anche il contesto del dato negoziale non pare corretto attingere alla conclusione che nel caso di specie sia configurabile un patto commissorio e, conseguentemente, se ne debba affermare la sua invalidità.
È ormai consolidato l’orientamento della giustizia ordinaria e dell’ABF secondo il quale il divieto di patto commissorio trova principale fondamento nell’esigenza di tutelare il debitore da eccessive pressioni del creditore, come avviene ogni volta in cui il trasferimento del bene sia rimesso alla discrezionalità di questi, in particolare per quanto concerne l’entità del corrispettivo, senza assicurare la necessaria proporzionalità tra il valore del bene così costituito in garanzia e l’ammontare del credito garantito. La giurisprudenza è, inoltre, ferma nel ritenere nullo qualsiasi negozio, quale che ne sia la forma, che venga impiegato per conseguire il risultato dell’illecita coercizione del debitore da parte del creditore, come accade ogni volta in cui sia ravvisabile un nesso funzionale diretto tra l’obbligazione garantita e il negozio stesso, mentre, come ugualmente noto, non integra il divieto di cui all’art. 2744 cod. civ. l’analogo accordo in cui sia però incluso il
c.d. “patto marciano”, in forza del quale la vendita del bene, al fine di soddisfare il creditore, deve effettuarsi al valore stimato da un terzo scelto di comune accordo tra le parti e con obbligo di versamento dell’eventuale eccedenza al soggetto (già) debitore (cfr., tra le tante, Xxxx. 9 maggio 2013 n. 10986 e, per la giurisprudenza dell’ABF, Collegio di Roma, decisione n. 3724/2013).
Nel caso di specie, in primo luogo, si deve rilevare che il contenuto di significato del dato negoziale deve essere ricostruito nel senso che in caso di escussione del pegno la vendita dei titoli debba essere eseguita con modalità che precludono di configurare la diretta acquisizione della loro titolarità in capo al creditore garantito e, soprattutto, permettono al debitore di ottenere l’eventuale residuo del ricavato dopo la soddisfazione delle ragioni creditorie.
A ciò si aggiunga che non vi è alcuna sproporzione tra il valore dei titoli concessi in pegno e il credito garantito che, anzi, si presenta, originariamente, di importo inferiore a quello della garanzia. Neppure condivisibile è l’argomento della parte ricorrente che, focalizzando l’attenzione solo sulla frase “può far vendere”, inferisce da ciò la conclusione che le modalità di vendita dei titoli descritte dal contratto siano alternative all’acquisizione diretta degli stessi da parte del creditore e che la scelta sia rimessa alla discrezionalità di quest’ultimo. Piuttosto, coglie nel segno la ricostruzione semantica dell’intermediario resistente che vi individua, semplicemente, la possibilità o meno di escutere la garanzia; come, peraltro, avvenuto nel caso di specie in cui, nonostante l’esistenza della posizione debitoria, l’intermediario garantito non ha provveduto ad avvalersi della garanzia reale, auspicando un ripianamento del debito.
Quanto sopra esposto, e richiamato l’orientamento giurisprudenziale sopra citato, nel caso di specie è configurabile non un patto commissorio, bensì un patto marciano la cui validità non può essere messa in discussione con conseguente rigetto del ricorso.