DIRETTORE
POSTE ITALIANE SPA
SPEDIZIONE IN A. P. 70% - ROMA
6/2004
AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA
NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI NOVEMBRE/DICEMBRE 2004
REDAZIONE XXX XXX XXXXX 000
00000 XXXX
COMMENTI
LEGGE FINANZIARIA E CONTRATTI
COLLETTIVI NAZIONALI
OSSERVATORIO UNIONE EUROPEA
STRATEGIA DI LISBONA: ACCETTARE LA SFIDA. SECONDO RAPPORTO
INSERTO
TITOLO V: PRINCIPI E LINEE DI TENDENZA NELL’INTERPRETAZIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
DIRETTORE
Xxxxx Xxxxxxx
DIRETTORE RESPONSABILE
Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx
COMITATO TECNICO-SCIENTIFICO
Xxxxxxxx Di Xxxxx Xxxxxxx Drag xxxxxx Xxxxxx Xxxxxx xxxx Xxxxxxx Xxxxx
Xxxxxxx Xxxxxxxx Ducci T eri Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Xxxxxx Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx Xxxxxx Xxx fini
SEGRETERIA DI REDAZIONE
Xxxxxxx Xx Xxxxxx
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Xxxxxx Xxxxxxxx
REDAZIONE
Telefono 0000000000
Fax 0000000000
e-mail: xxxxxxxx@xxxxxxxxxxx.xx
STAMPA
Aut. Tribunale di Roma n. 630 del 27.12.95
Sped. In Abb. post. L. 662/96 art. 2 C. 20/c
ANNO IX N. 6
NOVEMBRE-DICEMBRE 2004
COMMENTI
numero 6 • novembre/dicembre 2004
Legge Finanziaria
e Contratti Collettivi Nazionali
di Xxxxxx Xxxxxxxxxx 2
OSSERVATORIO UNIONE EUROPEA
Strategia di Lisbona: accettare la sfida.
Secondo rapporto
a cura di Xxxx Xxxxxx 4
FLASH NOTIZIE
a cura di Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx
Attività svolta dall’Aran 10
LEGISLAZIO NE
Provvedimenti pubblicati ed attività parlamentare
di Xxxxxxx Xx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxx 15
PROBLEMI APPLICATIVI
Osservatorio ARAN di giurisprudenza
a cura del Servizio Studi Aran 20
INSERTO
Titolo V: Principi e linee di tendenza nell’interpretazione
della Corte costituzionale
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LEGGE FINANZIARIA
numero 6 • novembre/dicembre 2004
E CONTRATTI COLLETTIVI NAZIONALI
Come accade ormai da qualche
tempo la legge finanziaria interviene appostando risorse per i contratti
nazionali con cadenza annuale e non più biennale.
Così anche quest’anno è stato
necessario modificare lo stanziamento
dello scorso anno poiché, come noto, le risorse iniziali sono state giudicate insufficienti dalle OO .SS.
Ciò rischia di apparire normale,
tuttavia non può passare inosservato che questa consuetudine di rivedere
annualmente lo stanziamento iniziale di risorse denota una patologia
del sistema attuale che merita
qualche approfondimento, al fine di individuare ev entuali soluzioni correttive.
Come causa principale del f enomeno descritto vi è il gap tra l’inflazione effettiva e quella programmata.
Le differenz e registrate negli ultimi anni, anche se non particolarmente significative in termini assoluti
(raramente superano il punto
percentuale annuo), in termini
relativi assumono una valenza molto diversa. In presenza di una inflazione effettiva del 2,3%, aver programmato un tasso dell’1,7% significa aver
“fallito” la previsione del 35%.
Se si considera poi che negli ultimi
anni si discute della cosiddetta “inflazione percepita”, anche
in conseguenza dell’introduzione della moneta unica, il terreno
di scontro con le Organizzazioni
Sindacali si inasprisce ulteriormente.
Ciò fa sì che la previsione per
il biennio contrattuale, per il quale la Legge finanziaria fissa le risorse, non soddisfa mai le controparti
sindacali, determinando
uno slittamento nel tempo
dell’apertura delle trattative, in attesa di soluzioni giudicate più congrue.
Q uesta empasse ha consolidato un ritardo dei contratti di circa
un anno, cui si ag giungono i tempi occorrenti per la definizione di tutti gli accordi nazionali che, tra l’altro,
si allungano anche a causa della loro sempre maggiore numerosità.
Così, anche nella Legge finanziaria per l’anno 2005 si è cercato di porre rimedio alla inadeguate zza
delle risorse previste nello scorso anno, prevedendo una integrazione
non molto cospicua (pari allo 0,71%), peraltro collocata in parte anche nell’anno 2006 (precisamente 0,53%
nel 2005 e 0,18% nel 2006).
In sintesi, tra le risorse già stanziate e le ulteriori messe a disposizione dalla Finanziaria 2005, il biennio 2004-2005 si dovreb be concludere
con un aumento complessivo a regime del 4,31% contro
una rivendicazione sindacale dell’8%. Resta il dubbio che anche questa
aggiunta possa non essere sufficiente per aprire i tavoli di contrattazione, con il rischio di dov er attendere
ancora la prossima Legge finanziaria che, come noto, è l’unico strumento che permette la quantificazione
e lo stanziamento di risorse dedicate ai contratti nazionali di lavoro.
Sotto l’aspetto più generale, va
segnalato che la legge finanziaria 2005 interviene in modo deciso sul tema
delle assunzioni.
Non è, evidentemente, una novità poiché già da qualche anno
la riduzione dell’occupazione
complessiva è stato un obiettivo perseguito, sia pure con modalità
e condizioni non sempre omogenee.
Ed è proprio nelle modalità che la Legge finanziaria di quest’anno mostra maggiore incisività.
Peraltro, non poteva avvenire
diversamente se si tiene conto che sulla riduzione delle spese
complessiv e di personale si basa una fetta impor tante del piano di copertura dell’intera manovra.
Merita in proposito, una segnalazione, la modifica dell’ultima ora del testo
con la quale si è cercato di ovviare
ad una probabile censura della Corte costituzionale che, pochi giorni
prima del voto finale, ha emesso
una sentenza in cui giudicava
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incostituzionali norme contenute nelle precedenti leg gi finanziarie, con le quali si ob bligavano
le Autonomie locali ad adottare misure contenitive delle spese di personale, secondo
un procedimento non rispettoso del grado di libertà decisionale
che la Costituzione assegna alle Autonomie.
Tuttavia, la modifica introdotta
non ha comportato un mutamento sostanziale della manovra, poiché con un’arguta tecnicalità è stato riproposto ed ottenuto lo stesso risultato, in termini di concorso
al risparmio da parte delle Autonomie, pur conservando integro, nel modo,
il loro spazio decisionale,
consentendo loro una maggiore flessibilità nella individuazione
degli strumenti con i quali concorrere alla riduzione del disav anzo.
Xxxxxx Xxxxxxxxxx
Dirigente Generale ARAN
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STRATEGIA DI LISBONA: ACCETTARELA SFIDA
numero 6 • novembre/dicembre 2004
SECONDO RAPPORTO
Merita di essere portato a conoscenza il secondo rapporto del Gruppo di alto livello preseduto da X. Xxxxxx e presentato alla Commissione e alle parti
sociali lo scorso mese di Novembre.
L’im pegno realizzato dal prof. Xxxxxx, autore della traduzione e della sintesi del copioso documento, merita una sia pur breve introduzione.
L’Europa in questo recente periodo ha dovuto affrontare le sfide pur in presenza di una crescita economica e demografica debole, situazione resa più dram matica dal complessivo rilevante invecchiamento della popolazione.
I cinque campi d’azione che dovranno essere seguiti e sviluppati sono:
la ricerca, il mercato interno, l’ambiente d’azione delle imprese (es. alleggerim ento dei pesi amministrativi, creazione di nuove aziende, ecc.) il mercato
del lavoro, la tenuta dell’ambiente.
In tale contesto anche la sfida dell’allargam ento deve essere colta per ridurre ineguaglianze e problemi di coesione.
(Xxxxxx Xxxxxx)
Il Consiglio di Bruxelles del marz o 2004 aveva invitato la Commissione ad
insediare un gruppo di alto livello
presieduto da X. Xxxxxx, incaricandolo di fare una valutazione di medio termine sull’attuazione della c.d. strategia
di Lisbona da presentarsi il 1° novembre 2004.
La task-force era composta, oltre al
Presidente (già primo ministro dei Paesi Bassi), di 12 personalità provenenti
dall’amministrazione, dagli af fari,
dall’accademia (per l’Italia il xxxx. Xxxxx Xxxxxxxxx, professore di economia
internazionale all’Università di Tor Vergata di Roma, dai partners sociali. Ha lavorato da mag gio ad ottobre,
assistita da un Segretariato espresso dalla Commissione UE, con presenze della direzione generale affari
economici e finanziari, dell’unità per il “Coordinamento delle politiche”
e di un consigliere politico distaccato dalla Presidenza olandese.
Si trattava di verificare il grado
di raggiungimento dei c.d. obiettivi di Lisbona tendenti a f ar divenire l’economia europea, entro il 2010, “quella della conoscenza più
competitiv a e dinamica del mondo, capace di assicurare una crescita
economica durevole, accompagnata da un miglioramento quantitativo
e qualitativ o dell’occupazione
e da una più grande coesione sociale, nel rispetto dell’ambiente”.
Il periodo fin qui trascorso non è cer to stato dei più propizi per l’Europa:
da un lato la formidabile crescita
delle economie asiatiche (soprattutto Cina ed India); dall’altro la persistente
crescita degli Stati Uniti, anche sotto l’impulso di fattori politici eccezionali (lotta al terrorismo); mentre nella “vecchia” Europa si faceva sempre più difficile affrontare sfide di grande portata,
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soprattutto in presenza di una crescita economica e demografica debole,
situazione resa più drammatica dal complessiv o invecchiamento della popolazione.
In questo quadro emerge l’indirizzo della Commissione UE per
un’accentuazione della cooperazione
con e fra gli Stati membri; coinvolgendo più strettamente tutti i soggetti capaci di influire (anche in termini di pubblica opinione) per il rag giungimento
degli obiettivi già fissati.
Cinque sono i campi di azione
ricompresi dalla necessità di agire d’urgenza:
1) la società della conosc enza
(ricerca scientifica, statuto dei ricercatori, utilizzazione delle nuove tecnologie, ecc.);
2) il mercato interno , con mag giore e più piena circolazione non solo
degli uomini e delle merci, ma anche
dei servizi;
3) l’ambiente d’azione delle imprese : alleggerimento dei pesi amministrativi, miglioramento della legislazione,
incremento della creazione di nuove imprese, ecc.;
4) il mercato del lavoro: rapida
applicazione degli indirizzi già indicati dalla task-force sull’occupazione; miglioramento delle strategie
dell’educazione e della formazione
professionale (quella c.d. di ingresso, quella continua e quella destinata
ad incrementare l’invecchiamento
attiv o, quanto dire, i lavoratori anziani in attività), sostenendo ogni possibile partenariato a sostegno della crescita e dell’educazione;
5) rafforzamento della tenuta
dell’ambiente : diffusione delle eco-
innovazioni, attribuendo una posizione dominante all’eco-industria europea, valorizzando tutte le prospettive
di incremento dell’“ eco-efficacia” di un miglioramento durev ole
della produttività.
Ci sono stati, talora, progressi in questa direzione ma mai completamente
soddisfacenti, con la necessità per il gruppo Winkok di esortare
con decisione i soggetti capaci
di incidere, assumendo responsabilità politiche generali: il Consiglio; gli Stati
membri; la Commissione; il Parlamento; i partners sociali.
Le argomentazioni del gruppo di alto livello sono sviluppate lungo tre
direttrici generali, articolate in una
serie di passaggi fra di loro coordinati.
Ricordato che gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 hanno
profondamente ed ovunque intaccato la fiducia dei produttori e dei
consumatori; che i risultati raggiunti sono, di conseguenza, in genere
deludenti; che talora si registra
mancanza di serietà quanto alle azioni proposte, si af ferma con decisione
che occorre portare esempi di azioni
concrete per evitare che si deb ba tirare un bilancio troppo negativ o.
È pur vero che progressi non di poco conto si sono registrati nel mercato
del lavoro fra la metà degli anni ’90 ed il 2003: il tasso di occupazione è passato dal 62,5% nel ’99 al 64,3
nel 2003; il tasso globale
di occupazione della manodopera femminile è cresciuto fino al 56% nel 2003; in certi paesi si è riusciti
ad incrementare il tasso di lav oratori anziani attivi fino al 41,7% - grandi
incrementi si sono registrati nella diffusione delle nuove tecnologie e di internet nelle scuole,
nelle università, le amministrazioni ed il commercio.
Nello stesso tempo l’obiettiv o
di un tasso di occupazione del 70% per il 2010 sembra sempre meno
realistico, senza dimenticare che l’obiettivo di crescita dei lavoratori
anziani era stato posto al 50%, misura
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oggi ben lontana dalla realizzazione.
Q uanto alla ricerca e sviluppo solo due paesi consacrano oggi più del 3%
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del PIL ed in questi stessi P aesi le imprese destinano a ciò solo il 2% dei propri investimenti.
Solo cinque Paesi hanno superato
l’obiettiv o posto a Lisbona in materia di formazione in campo informatico
dei docenti e lo stesso trend negativo si osserva quanto all’ambiente;
il volume del traffico in Europa cresce
percentualmente più del PIL con le ovvie conseguenze in termini di inquinamento generale, di inquinamento acustico,
di emissioni di gas con effetto serra (solo tre Paesi hanno registrare miglioramenti in questo campo).
Trend negativi aggravati, naturalmente, dall’ingresso di Paesi con economie
meno sviluppate quali quelli dell’Europa centro-orientale.
Occorre, quindi, essere ancora più ambiziosi, riaffermando la validità
della scadenza del 2010, coscienti che l’insieme degli obiettivi di Lisbona dà
corpo ad un modello europeo originale ed economicamente vitale.
L’impegno nell’economia della
conoscenza è una via obbligata se si vuole colmare il gap economico
con gli Stati Uniti: essi contano oggi
il 74% delle 300 più importanti società in ambito tecnologico e più del 46%
delle 300 società prime in materia di investimenti in ricerca e sviluppo.
La quota europea di produzione di prodotti tecnologici è inferiore
a quella USA, sia con riguardo al totale degli investimenti che al valore
aggiunto prodotto ed al totale degli occupati nel settore.
Nello stesso tempo talune sfide interne relative all’invecchiamento dell’Europa rendono il fenomeno particolarmente vistoso: secondo le stime attuali
la popolazione totale diminuirà di qui al 2020 con un decremento del 18%
della popolazione in età lavorativa
(15-64 anni) ed un incremento del 60% degli ultrasessantacinquenni.
Con la conseguenza che la popolazione dei pensionati raddoppierà in percentuale (dall’attuale 24% al 50% nel 2050,
con picchi che si porranno fra il 36% della Danimarca ed il 61% dell’Italia).
Il solo tasso di incremento
dell’invecchiamento della popolazione porterà il tasso di crescita medio
potenziale dell’Unione dall’attuale
2-2,25% a circa l’1,25% nel 2040 a parità degli altri fattori in gioco.
Con una crescita inversamente
consistente delle risorse pubbliche destinate a questa parte della popolazione.
L’allargamento ha accentuato le ineguaglianze ed i problemi di coesione nell’Unione.
La popolazione dell’UE è aumentata del 20%, ma il PIL solo del 5%,
con una caduta media della produzione per abitante del 12,5% nell’EU dei 25
(oggi la popolazione che vive in regioni con produzione inferiore al 75%
di quella UE è passata da 73 a 123 milioni di persone; il tasso medio di occupazione è sceso dell’1,25%; il tasso di disoccupazione di lunga durata è del 4% nell’Europa dei 25, contro il 3,3 nell’Europa dei 15).
Vanno, comunque, segnalati i progressi registrati in alcuni dei nuovi stati:
la crescita della produzione
e della produttività è stata superiore percentualmente in Estonia, Lituania,
Lettonia, Ungheria, Polonia, Slovenia,
Slovacchia ed in Repub blica Ceca
a quella registrata nello stesso periodo (5 anni) negli USA.
In un quadro che – a partire dagli anni ’70 – vede, comunque, l’Europa
evolversi con minore v elocità rispetto agli USA, con ritardo medio dello 0,4% all’anno a par tire dal 1996, sia che si
consideri il PIL per abitante sia che venga preso in considerazione
la produttività oraria della manodopera. Tale trend negativo, a partire degli anni ’90, è stato indotto da una flessione
del tasso di investimento per addetto e del ritmo degli inv estimenti
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tecnologici. In generale l’influenza
delle nuove tecnologie dell’informazione è stata della metà rispetto a quanto avveniva negli USA ed in Giappone,
con l’aggravante che l’Europa
continuava a mantenere ore di lavoro settimanale e giorni lavorativi ben
inferiori rispetto agli USA ed al Giappone.
Anche il tenue incremento
dell’occupazione verificatosi negli ultimi tre anni si è accompagnato ad un ridimensionamento
della produttività oraria che è, viceversa, contemporaneamente cresciuta oltre Atlantico.
Una prima conclusione del rapporto Xxxxxx è, quindi, che occorre agire per obiettivi , agire insieme, attivarsi
subito, mettendo l’accento sulla crescita economica e l’occupazione.
Occorre accelerare la messa in opera delle indicazioni di Lisbona,
incrementando così su basi solide
la coesione sociale con risvolti verificabili sia nelle politiche comunitarie che
in quelle dei singoli Stati membri. Un passo ob bligato è la rimo zione dei blocchi allo sviluppo, secondo le cinque grandi linee di sviluppo ricordate in precedenza.
Nei migliori dei casi taluni Stati
membri possono v antare progressi
in due o tre di quelle direzioni, ma mai in relazione a tutti.
Uno sforzo eccezionale, con riguardo all’incremento dei beni materiali ed altri stanziamenti in ricerca e sviluppo, è richiesto da tre degli obiettivi
di Lisbona:
- società dell’informazione : occorre definire un quadro regolamentare fra le comunicazioni elettroniche,
incoraggiare la diffusione delle tecnologie innov ative; creare le condizioni per
un consolidamento del commercio
elettronico; sostenere gli sf orzi europei per conservare l’attuale vantaggio
nelle tecnologie della comunicazione mobile;
- ricerca: creare uno spazio europeo per la ricerca e l’innovazione; portare al 3% del PIL le spese consacrate alla
ricerca e allo sviluppo; rendere l’Europa
più attraente per i migliori cervelli; promuov ere le nuove tecnologie;
- educazione e capitale u mano : ridurre della metà il numero dei giov ani
drop-out rispetto alla scuola; adattare gli strumenti didattici all’incremento della società dell’informazione;
favorire la formazione continua
degli adulti; promuovere e facilitare la mobilità.
La società della conoscenza potrà, così, svilupparsi in relazione a tutti
i settori, da quelli tradizionali ai più recenti, aumentando la presenza
europea negli indicatori indiscutibili di tali processi: domande di brevetti, numero dei ricercatori scientifici,
buona classificazione delle Università a livello mondiale, incremento
dei premi Nobel e delle citazioni nelle migliori riviste scientifiche.
Occorre, non div ersamente dagli Stati Uniti, attirare e saper trattenere
ricercatori di rango mondiale,
stimolare il trasferimento di tecnologie e l’innovazione, attivando a tal fine
entro il 2005 un Consiglio Europeo della ricerca (CER), dedicato espressamente allo sviluppo dei
finanziamenti a lung o termine a livello europeo della ricerca f ondamentale.
Nello stesso tempo occor rerà dire
una parola definitiva circa l’introduzione del brevetto co m unitario ,
semplificando le procedure
e gli ostacoli, anche linguistici, che ne hanno fin qui impedito l’attuazione.
Con riguardo al consolidamento del mercato interno si dovrà:
- assicurare una trasposizione ef ficace del diritto comunitario che copra
almeno il 98,5 della legislazione europea;
- realizzare il m ercato interno delle reti , liberalizzando progressiv amente
i mercati nel campo di acqua, gas
ed elettricità (entro il 2007); dei ser vizi
postali (2006), del trasporto ferroviario (2008) e di quello aereo;
- realizzare il mercato interno dei servizi finanziari (entro il 2005);
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- assicurare un’applicazione giusta
ed uniforme delle regole relative alla concorrenza ed agli aiuti di Stato,
riducendo questi ultimi all’1% del PIL, definendo nuove regole per le fusioni e le OPA (offerte pubbliche per
l’acquisto) ed attualizzando le regole applicabili ai mercati pubblici.
All’inizio del 2005 la Commissione
dovrà essere in grado di stabilire la lista completa dei testi da attuare, indicando per ogni Paese i ritardi e le elusioni già dal Consiglio di primavera, fissando
un termine ultimo per la recezione. Entro la fine del 2005, il Parlamento ed il Consiglio dovranno accordarsi per una legislazione che sopprima gli ostacoli alla libera circolazione
dei servizi, rendendo, altresì, effettiva la libera circolazione delle merci.
Dovrà essere varato un PASF (piano d’azione per i ser vizi finanziari),
riducendo gli attuali ostacoli ai sistemi di compensazione e di reg olamento
transnazionali, rendendo più praticabili i finanziamenti ipotecari in tutti gli Stati membri. Tutto ciò badando a ridurre
per le imprese i costi connessi alla
recezione della legislazione europea.
Occorrerà, in definitiv a, creare
un ambiente economico favorevole all’impresa, mettendo in essere
un sistema regolamentare favorevole agli investimenti, all’innovazione
ed allo spirito d’impresa, legando gli obiettivi di crescita economica e sviluppo delle imprese con una legislazione a ciò finalizzata,
sia a livello nazionale che dell’Unione.
La crescita del capitale di rischio disponibile andrà sostenuta
con un mag giore orientamento
degli investimenti v erso obiettivi
possibili, incrementando la fiducia a lungo termine nella stabilità
del quadro complessivo.
Instaurare un mercato del lavoro
inclusivo per rinforzare la coesione sociale attraverso:
- un aumento del tasso d’occupazione : 67% entro il 2005; 70% entro il 2010; 57% entro la fine del 2005 e 60% entro
il 2010 per la manodopera femminile; 50% dei lavoratori anziani attivi,
aumentando in media di cinque anni il periodo lavorativo;
- la definizione di un programma pluriennale che consideri la capacità di adattamento delle imprese;
la negoziazione collettiva; la moderazione salariale; la crescita della produttività, l’educazione e la formazione continua;
- l’eliminazione degli ostacoli all’occupazione femminile ;
- l’adattamento del modello sociale europeo alla piena realizzazione
di una società della c onosc enza ;
- lo sradicamento della povertà, tramite un programma per la promozione
dell’inclusione sociale .
In proposito gli Stati membri, in stretta collaborazione con i partners sociali
dovranno render conto della messa in opera delle raccomandazioni
elaborate dalla task-force occupazione europea, approvato nel marzo 2004,
così che il Consiglio di primav era 2005 possa valutare i progressi acquisiti
in materia di occupazione ed agibilità dei sistemi sociali.
Investimenti più efficaci nel capitale umano dovranno promuoversi
nel quadro di un equilibrio fra flessibilità e sicurezza, adottando
strategie di incremento dell’educazione e della formazione, incrementando
i presupposti per un maggiore utilizzo degli anziani attivi.
Per garantire uno sviluppo durev ole con politiche ambientali adeguate si dovrà:
- far fronte al cambiam ento del clima, ratificando rapidamente il protocollo di Kyoto (2002), perseguendo reali
progressi nell’acquisizione degli
obiettivi di Kyoto (da qui al 2005); conseguire l’obiettivo del 12%
dei fabbisogni in energia primaria e del 21% del consumo lordo
numero 6 • novembre/dicembre 2004
di elettricità tramite ricorso alle energie rinnovabili;
- dissociare la crescita economica dall’utilizzo delle risorse , monitorando l’aumento del traffico, degli ingorghi, del rumore e dell’inquinamento,
internalizzando completamente i costi sociali ed ambientali, nell’ambito di un quadro comunitario per
la determinazione delle tariffe
e per l’uso delle strutture di trasporto, garantendo una gestione durevole
delle risorse e dei rifiuti;
- definire un nuovo quadro
regolamentare, adottando le direttive sulla tassazione dell’energia (2002),
la responsabilità ambientale (2004) ed il sesto programma di azione per l’ambiente.
L’ambiente dovrà div entare la base per un v antaggio competitiv o
dell’Europa, promuov endo le c.d.
innovazioni eco-efficaci nell’ambito di un quadro regolamentare appropriato.
Si dovrà consolidare l’attuale
superiorità europea nei mercati della eco-industria, segnalando
i progressi registrati con il PAET (piano d’azione comunitario in favore
delle eco-tecnologie): ogni Stato,
in particolare, dovrà segnalare un piano dettagliato per l’attribuzione del PAET,
segnalando misure e temi con riguardo ai propri programmi di ricerca
(piattaforme tecnologiche) e sostegno alle PMI (piccole-medie imprese).
Si dovranno usare tutti gli strumenti,
compresi quelli fiscali, perché si ar rivi ad un’ecologizzazione dei mercat i
pubblici , destinando a ciò rilev anti risorse pubbliche e così favorendo l’introduzione di economie di scala.
In definitiva, il gruppo di alto livello
chiede ai Governi ed alla Commissione di monitorare in modo sempre più
concreto, e su dati numerici,
l’applicazione dei criteri di Lisbona,
auspicando che il Consiglio di primav era del 2005 sia l’occasione per dare un
nuovo slancio alle politiche di sviluppo.
Si auspica che la nuova Commissione ne faccia il perno della propria azione, promuovendo la creazione
di partenariati privati-pubblici
finalizzati alla realizzazione dei singoli piani nazionali che andranno,
comunque, spediti a Bruxelles prima della fine del 2005.
I piani nazionali dovranno esplicitamente prendere in considerazione i principi
europei comuni di cui al c.d. XXXX (grandi orientamenti di politica
economica e linee direttrici
per l’occupazione), nel quadro
di indicazioni cifrate e, comunque, verificabili e quantificabili.
Il Parlamento europeo potrebbe costituire una Commissione
permanente sulla strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione,
con previsioni di sostegni finanziari ad hoc nel bilancio UE.
Il c.d. metodo aperto di coordinamento fin qui adottato si è riv elato inferiore alle aspettativ e, permeando ampie z one di inerzia delle amministrazioni
nazionali quanto alla raccolta dei dati ed ai confronti con altre esperienze.
Occorrerebbe, pertanto, introdurre qualche forma di pubblicità negativa, che registri anno per anno
le inadempienze degli Stati nella
realizzazione dei 14 indicatori chiave di Lisbona.
Il documento qui sintetizzato si chiude con taluni allegati che riassumono
le performances relative fin qui ottenute dagli Stati membri, con riguardo agli indicatori strutturali
figuranti nella lista ristretta (con primi dati riferiti anche agli Strati di nuov o ingresso).
Tradotto e riassunto a cura di Xxxx Xxxxxx- CEEP Italia
EVENTO | CONTENUTO/NOTE |
29 settembre 2004 Dirigenza Sanità Area IV (medica e veterinaria) CCNL di interpretazione autentica dell' art. 23 del CCNL 8 giugno 2000 - area dirigenza medica e veterinaria | Il CCNL sull'interpretazione autentica dell'art. 23 del CCNL 8 giugno 2000 è stato richiesto, ai sensi dell'art. 64 del D.Lgs. n. 165/2001, dalla Corte di Appello di Campobasso - Sezione lavoro. La questione concerne l'interpretazione di quali effetti conseguano alle richieste di parere sulle ipotesi di recesso proposte dalle aziende nei confronti dei dirigenti quando, venendo tali richieste di parere formulate in epoca successiva all'entrata in vigore delle disposizioni del CCNL 8 giugno 2000, il Comitato dei garanti non sia stato istituito presso la Regione nel termine - previsto dal 1° comma dello stesso art. 23 - di tre mesi da quella data e, in particolare, se debba intendersi che l'azienda, in analogia a quanto stabilito al comma 7 del medesimo art. 23, per le procedure di recesso attivate in epoca anteriore alla vigenza delle disposizioni del citato CCNL, possa, all'inutile trascorrere di tre mesi dall'entrata in vigore delle stesse disposizioni senza che il menzionato Comitato sia stato istituito, far luogo al recesso secondo le proc edure de gli artt. 36 e seguenti del CCNL del 5 dicembre 1996. Le parti concordano nel ritenere che tutte le procedure di rec esso promosse succ essivament e all'entrata in vigore del CCNL 8 giugno 2000 vanno definite previo conforme parere del Comitato dei garanti, che deve essere pertanto istituito; ritengono, inolt re, che solo le procedure di recesso attivate prima dell'entrata in vigore del CCNL indicato al comma 1 possono avere ulteriore corso, anche in mancanza dell'istituzione del Comitato dei garanti, trascorso il periodo di cui all'art. 23, comma 7, secondo le procedure dell'art. 36 e seguent i del CCNL 5 dicembre 1996. |
4 novembre 2004 | L'incontro si è reso necessario in quanto il Governo, |
Dirigenza Area I | nell'esprim ere in data 28 ottobre 2004 il proprio |
(Ministeri) | parere favorevole all'ulteriore corso della presente |
Verbale di riunione | ipotesi di contratto, ha ritenuto necessarie alcune |
sull'ipotesi di contratto | precisazioni ed integrazioni delle norme finali |
collettivo integrativo del | delle due parti dell'ipotesi di contratto nonché |
CCNL 5 aprile 2001 per i | delle tabelle alle gate. |
dirigenti delle | Le parti, preso atto del parere, hanno ritenuto |
professionalità sanitarie | di poter procedere nel senso indicato integrando, |
del Ministero della | rispet tivamente, l'art. 6 della parte prima e l'art. 15 |
Salute. | della parte seconda nonché le tabelle A e B. |
18 novembre 2004 | Il presente verbale riporta la relazione finale che |
Dirigenza Area I | rappresenta la sintesi conclusiva dei lavori della |
(Ministeri) | Commissione paritetica per il siste ma classificatorio. |
Verbale della Commissione | Infatti, nel quadro del processo di riforma del |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
paritetica per il sistema siste ma classificatorio, è stata istituita una classificatorio istituita Commissione di studio, il cui compito è quello ai sensi dell'art. 9 del di fornire elementi conoscitivi e di formulare CCNL del comparto proposte operative per il tavolo negoziale, al fine dei Ministeri stipulato di offrire un contributo tecnico alla definizione in data 12 giugno 2003. di un nuo vo ordinamento professionale. La Commissione ha elaborato una proposta organica di nuova classificazione che tenta di dare una risposta ad alcuni elementi di criticità del siste ma, individuando soluzioni coerenti con una organizzazione più flessibile del lavoro, anche in relazione alla predisposizione di ulteriori strumenti per l'apprezzamento del merito e delle capacità professionali dei dipendenti. Su alcuni aspetti del nuovo impianto, la Commissione, invece, si è limitata a segnalare i caratteri di problematicità, fornendo delle prospettive evolutive, ma rinviando alla contrattazione le specificazioni operative. |
18 novembre 2004 Il presente Accordo si applica a tutto il personale Dirigenza Area I dirigente di prima e seconda fascia dell'area I Accordo relativo alla della dirigenza, e deriva, per la quasi totalità sequenza contrattuale di degli argomenti trattati, dagli artt. 36 e 46 del CCNL cui agli artt. 36 e 46 del I biennio ec onomic o e dall'art. 3 del II biennio del 2001. CCNL 5/4/2001 I biennio Per quanto riguarda gli artt 36 e 46 si prevede che: e all'ar t. 3 del CCNL - le risorse non ut ilizzate nel xxxxx xxxx'xxxxxxxxx 0/0/0000 II biennio del finanziario per sottoscrivere una polizza assicurativa personale dell'Area I prevista dal contratto dell'aprile 2001, vengano della Xxxxx xxxx imputate, per il solo anno di competenza, sulla retribuzione di risultato - al dirigente inviato in missione sia corrisposta, oltre alla normale retribuzione, una indennità di trasferta, rivalutata con natura non retributiva. Nella sequenza sono stat i inoltre disciplinati: - il periodo di prova, rimasto sin qui regolamentato dai contratti dirigenziali del quadriennio '94/'97; - i diritti derivanti da invenzioni industriali; - il trattamento di fine rapporto e previdenza complementare. Le parti hanno identificato le norme da disapplicare ai sensi degli artt. 69 e 71 del D.Lgs. n. 165/2001 dandosi atto che con interpretazioni autentiche colmeranno eventuali lacune. Una sezione apposita è dedicata alle norme di raccordo del trattamento economico e giuridico del personale dirigente dell'amministrazione penitenziaria che entra a far parte della dirigenza dell'area I. Per quanto concerne l'art. 3, relativo al finanziamento della retribuzione di posizione |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
e di risultato dei dirigenti di seconda fascia, esso prevede ulteriori voci, oltre quelle già stabilite dal CCNL, per alimentare il relativo fondo, restando inteso che gli Enti e le Amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato possano destinare, al finanziamento del fondo, risorse secondo la capacità di bilancio dei singoli enti, in misura non superiore al 2% del monte salari 1999. Tale percentuale non può superare l'1,5% per gli enti di cui alla Legge n. 88/89. |
2 dicembre 2004 Il presente CCNL, stipulato ai sensi dell'art. 29, Comparto Enti pubblici comma 4 del CCNL del Comparto Enti pubblici non non economici economici sottoscritto in data 9/10/2003 e dell'art. CCNL ad integrazione 14, comma 4 del CCNQ per la definizione della disciplina di dei comparti di contrattazione del 18/12/2002, raccordo per il passaggio si applica al personale non dirigente dell'AGEA del personale non ed integra la disciplina speciale di raccordo per dirigente dell'AGEA al il passaggio del predetto personale al comparto Comparto degli Enti degli enti pubblici non economici. pub blici non economici Nell'ar ticolato vengono definite una serie di disposizioni, f inalizzat e a regolare il passaggio del personale tra i due comparti, che incidono essenzialm ent e su aspetti relativi al trattamento economic o, con particolare riferim ento al raccordo tra l'indennità aziendale, di cui all'art. 13 del CCNL aziende del 4/4/2001 e l'indennità di ent e, di cui all'art. 26 del CCNL Enti pubblici non economici sottoscritto il 9/10/2003. |
7 dicembre 2004 L'ipotesi di accordo sottoscritta, in data 7.12.2004, Comparto Regioni dall'ARAN e dalle Confederazioni ed Autonomie locali ed Organizzazioni Sindacali rappresentative, Ipotesi di accordo per regola l'istituzione di una forma pensionistica l'istituzione del F ondo complementare, a contribuzione def inita Nazionale di P ensione ed a capitalizzazione individuale, per il per sonale Complementare per inserito nel Comparto delle Regioni e Autonomie i lavoratori del Comparto Locali e in quello del Servizio Sanitario Nazionale. delle Regioni L'Accordo disciplina det tagliatamente tutti e Autonomie Locali gli aspetti fondamentali del Fondo che si va e del Servizio Sanitario ad istituire, sotto il profilo sia organizzativo Nazionale che operativo e gestionale. Tale Ipotesi si articola in una premessa, 16 articoli e tre dichiarazioni congiunte. Negli artt. 1, 2 e 3 vengono, rispettivamente, richiamate le fonti legislative di riferim ento, individuati i destinatari del Fondo e gli associati al Fondo. Negli artt. 4, 5, 6, 7 e 8 si tratta di un complesso di regole concernenti l'individuazione degli organi fondamentali per la vita ed il funzionamento del Fondo, la loro composizione anche numerica |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
nonché le modalità della loro costituzione. Nell'art. 9 vengono indicate alcune generali indicazioni in materia di utilizzo delle risorse. L'art. 10 contiene un rinvio allo Statuto del Fondo per la definizione della disciplina applicabile in materia di conflitto di interesse, avente ad oggetto tutte le fattispecie ritenute a tal fine rilevanti e già individuate nel Decreto del Ministero del Tesoro n. 703/1996. Nell'art. 11 si ribadisce che gli obblighi contributivi a carico del lavoratore e dell'amministrazione sorgono solo sulla base dell'adesione volontaria del primo al Fondo e che la contribuzione a carico delle amministrazioni è fissata nell'1% degli elementi retributivi utili ai fini del TFR, uguale misura di contribuzione è fissata anche a carico del lavoratore. Negli artt. 12 e 13 vengono stabilite delle regole relativam ente alla adesione e permanenza nel Fondo e alla fattispecie della cessazione dell'obblig o di contribuzione. L'art. 14 disciplina in modo ampio ed ar ticolato l'erogazione delle prestazioni pensionistiche complementari per vecchiaia o per anzianità. L'art. 15 è relativo alle spese di gestione del f ondo. Infine, l'art. 16, contiene alcune disposizioni transitorie e finali. |
21 dicembre 2004 La presente ipotesi di CCNL relativa al periodo Enti art. 70 D.Lgs. economico 2001-2002 e 2003, si applica al personale n. 165/2001 destinatario del CCNL Unioncamere stipulato Ipotesi di CCNL per il il 4 marzo 2003 ed è stipulato ai sensi dell'art. 70, personale non dirigente comma 4 del D.Lgs. n. 165/2001 e successive dell'UNIO NCAMERE modificazioni ed integrazioni. periodo economico Negli artt. 2 e 3 vengono rispettivamente individuati 2001-2002 e 2003 gli incrementi tabellari e definiti gli effetti dei nuovi stipendi nei confronti del personale cessato o che cesserà dal sevizio nel periodo di vigenza della parte economica del c ontratto. Infine nell'art. 4 si prevede l'incre mento da corrispondere sulle disponibilità precedentemente ricomprese tra le risorse per le polit iche del personale e per la produttività. |
23 dicembre 2004 Con il presente CCNL è stato necessario affrontare Dirigenza Area I il tema dei dirigenti appartenenti alle professionalità (Ministeri) sanitarie del Ministero della salute, oggetto di una CCNL integrativo del particolare disciplina normativa e contrattuale. CCNL dell'Area I La prima parte del CCNL si occupa principalmente del 5 aprile 2001 di ristrutturare la retribuzione dei dirigenti di II per i dirigenti livello delle professionalità sanitarie, reinquadrati delle professionalità quali dirigenti di II fascia del Ministero, dopo il loro |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
sanitarie del Ministero inserimento nel ruolo unico della dirigenza statale, della salute indicando quali voci del precedente trattamento economico mantenere e con quale formula. La seconda parte del contratto si compone di 9 articoli e riguarda quei dirigenti delle professionalità sanitarie che, per non essere stati a suo tempo iscritti nel ruolo unico della dirigenza statale di cui all'art. 23 del D.Lgs. n. 165/2001, pur mantenendo la loro qualifica di dirigenti, rimangono, nella tornata contrattuale 1998-2001, inquadrati come i corrispondenti dirigenti di ex I livello del SSN. Di particolare rilievo, ai fini della chiusura del contratto, è stato il comma 3 connesso con la dichiarazione congiunta n. 1. Con esso le parti - nel sottolineare l'appartenenza dei dirigenti in questione all'area I anche ai fini del CCNL del quadriennio 2002-2005 (onde evitare, di nuo vo, future code contrattuali), hanno preso in considerazione l'opportunità rappresentata dall'art. 23 del D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 145/2002 che, mediant e la costituzione dei ruoli della dirigenza presso ciascun ministero, consent irà, attraverso le apposite specifiche sezioni, di porre fine all'am biguità dell'inquadr amento dei dirigenti delle professionalità sanitarie del Minist ero della salut e. |
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PROVVEDIMENTI PUBBLICATI
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PERIODO ESAMINATO: 16 NOVEMBRE 2004 – 19 GENNAIO 2005
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Avviso di preselezione per l’ammissione al Master formativo per l’attribuzione delle posizioni organizzative, ai sensi dell’articolo 26 del XXXX 0000-0000,
compar to Presidenza del Consiglio dei Ministri, sottoscritto in data 17 maggio 2004, e dell’articolo 6 del CCNI della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
sottoscritto in data 15 settembre 2004
(G.U. 18 novembre 2004 n. 271)
Decreto-legg e 29 novembre 2004, n. 280
“Interventi urgenti per fronteggiare la crisi di settori economici e per assicurare la funzionalità di taluni settori della pub blica amministrazione” .
(G.U. 29 novembre 2004 n. 280)
Circolare 23 ottobre 2004, n. 41/04 (Ministero del lavoro e delle politiche sociali)
“Applicazione delle misure di incentiv azione del raccordo pubblico e privato di cui al’articolo 13 del decreto legislativo n. 276 del 2003”.
(G.U. 29 novembre 2004 n. 280)
Decreto Legislativo 19 novembre 2004, n. 286
“Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di f ormazione, nonché riordino dell’omonimo istituto,
a norma degli articoli 1 e 3 della legge 28 marzo 2003, n. 53”.
(G.U. 1 dicembre 2004 n. 282)
Decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 2004, n. 287
“Disposizioni per il reclutamento ed il trasferimento ad altri ruoli
del personale della Banda musicale del Corpo della Guardia di finanza”.
(G.U. 1 dicembre 2004 n. 282)
Comunicato relativo al decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280, recante:
“Interventi urgenti per fronteggiare la crisi di settori economici e per assicurare la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione”.
(G.U. 1 dicembre 2004 n. 282)
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 ottobre 2004
“Approvazione della delibera di rideterminazione della dotazione organica del personale, adottata dal Consiglio dell’Istituto nazionale di statistica
nella seduta del 17 luglio 2003”.
(G.U. 2 dicembre 2004 n. 283)
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 settembre 2004
“Rideterminazione delle dotazioni organiche delle qualifiche dirig enziali, dei commissari di xxx x, dei professori e dei ricercatori, delle aree funzionali,
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delle posizioni economiche e dei profili professionali del personale civile del Ministero della difesa”.
(G.U. 2 dicembre 2004 n. 283, S.O n. 174)
ARAN Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
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“Accordo relativo alla sequenza contrattuale di cui agli articoli 36 e 46 del CCNL 1998-2001 e I biennio economico (5 aprile 2001) e all’ar ticolo 3 biennio economico 2000-2001 (5 aprile 2001) del personale dirig ente dell’Area I”.
(G.U. 3 dicembre 2004 n. 284)
Legge 3 dicembre 2004, n. 291
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, recante interventi urgenti in materia di politiche del lavoro e sociali”.
(G.U. 4 dicembre 2004 n. 285)
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 settembre 2004, n. 295
“Regolamento recante modalità di riconoscimento dei titoli post-universitari considerati utili ai fini dell’accesso al corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale, ai sensi dell’articolo 28, comma 3, del decreto legislativo,
30 marzo 2001, n. 165”.
(G.U. 14 dicembre 2004 n. 292)
Decreto 29 ottobre 2004, n. 296 (Ministero dell’interno)
“Regolamento recante la disciplina del limite di età per l’accesso dall’esterno al profilo professionale di Direttore antincendi, area funzionale C, posizione economica C2, del settore operativo del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco”.
(G.U. 14 dicembre 2004 n. 292)
Circolare 17 novembre 2004, n. 8453 (ARAN Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni)
“Rilevazione delle deleghe per le ritenute del contributo sindacale ai fini
della misurazione della rappresentatività sindacale ai sensi dell’articolo 43 del
decreto legislativ o n. 165 del 30 marz o 2001. Richiesta dati al 31 dicembre 2004” .
(G.U. 16 dicembre 2004 n. 294, S.O. n. 181)
Decreto 29 novembre 2004 (Ministero dell’istruzione , dell’università e della ricerca)
“Modalità e termini per la presentazione di progetti nell’ambito del Programma O perativo Nazionale – Ricerca scientifica, sviluppo tecnologico,
alta formazione – 2000-2006”.
(G.U. 17 dicembre 2004 n. 295, S.O. n. 182)
ARAN Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
“Contratto collettivo nazionale di lavoro ad integrazione della disciplina di raccordo per il passaggio del personale non dirigente dell’AGEA
al comparto degli enti pubblici non economici”.
(G.U. 22 dicembre 2004 n. 299)
Circolare 5 novembre 2004, n. 5 (Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pub blica)
“Prosecuzione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici oltre i limiti di età previsti per il collocamento a riposo” .
(G.U. 23 dicembre 2004 n. 300)
Circolare 16 dicembre 2004, n. 67 (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica)
“Subentro nella g estione dei trattamenti pensionistici alle amministrazioni statali, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 3, comma 6, della legge 11 dicembre 1984, n. 839”.
(G.U. 27 dicembre 2004 n. 302)
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Legge 27 dicembre 2004, n. 306
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 novembre 2004
n. 266, recante proroga o differimento di termini previsti da disposizioni
legislative. Disposizioni di proroga di termini per l’ esercizio di deleghe legislative”
(G.U. 27 dicembre 2004 n. 302)
Decreto 30 settembre 2004 (Ministero dell’istruzione , dell’università e della ricerca scientifica)
“Determinazione degli organici del personale insegnante di religione cattolica, con rif erimento all’anno scolastico 2001-2002, per la scuola dell’infanzia
e per l’anno scolastico 2003-2004, per la scuola secondaria”.
(G.U. 28 dicembre 2004 n. 303)
ARAN Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
“Contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo del CCNL dell’area I del 5
aprile 2001 per i dirigenti delle professionalità sanitarie del Ministero della salute”.
(G.U. 31 dicembre 2004 n. 306)
Legge 30 dicembre 2004, n. 311
“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2005)”.
(G.U. 31 dicembre 2004 n. 306, S.O. n. 192/L)
Legge 30 dicembre 2004, n. 312
“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2005 e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007”.
(G.U. 31 dicembre 2004 n. 306, S.O. n. 193/L)
Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica
“Comunicato di rettifica della circolare 16 dicembre 2004, n. 67, riguardante il subentro della gestione dei trattamenti pensionistici
alle amministrazioni statali, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 3, comma 6, della legge 11 dicembre 1984, n. 839”.
(G.U. 3 gennaio 2005 n. 1)
Ordinanza 29 dicembre 2004 n. 3390 del Presidente del Consiglio dei Ministri
“Disposizioni urgenti di protezione civile”.
(G.U. 4 gennaio 2004 n. 2)
Ministero dell’istruzione , dell’università e della ricerca
Modalità e termini per la presentazione di domande di servizi formativi
per la pubblica amministrazione finalizzati all’avvio di un’azione pilota di alta formazione nell’ambito del programma operativo nazionale 2000-2006 –
Ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, alta formazione – asse III, misura III.3. Formazione di alte professionalità per adeguare le competenze della pubblica amministrazione in materia di R&S e relativ a valorizzazione”.
(G.U. 7 gennaio 2005 n. 4)
Xxxxxxx xxx Xxxxxxxxxx xxx Xxxxxxxxx xxx Xxxxxxxx 0 dicembre 2004 “Istituzione del Dipartimento per il programma di Governo”. (G.U. 12 gennaio 2004 n. 8)
Decreto 1° ottobre 2004 (Ministero dell’economia e delle finanze)
“Regolamento di individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale nell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, ai sensi del decreto
del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2003, n. 385”.
(G.U. 13 gennaio 2004 n. 9)
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ATTIVITÀ PARLAMENTARE
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SITUAZIONE AL 20 GENNAIO
Disposizioni per assicurare ai laureati in odontoiatria l’accesso ai concorsi per dirigente del Servizio sanitario nazionale
(A.C. 5413)
Assegnato alla Commissione Affari sociali (XII) in sede referente non ancora in esame
Modifiche alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, recante norme per l’ordinamento della professione di consulente del lavoro
(A.C. 5402)
Assegnato alla Commissione Lavoro pubblico e privato (XI) in sede ref erente non anc ora in esame
Riconoscimento dei corsi di studio post universitari quali periodi lavorativi ai fini previdenziali
(A.C. 5366)
Assegnato alla Commissione Lavoro pubblico e privato (XI) in sede referente non ancora in esame
Misure per l’internazionalizzazione delle imprese,
nonché delega al Governo per il riordino degli enti operanti
nel medesimo settore. Disposizioni in materia di camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura
(A.C. 4360-B)
All’esam e dell’Asse mblea
Disposizioni in materia di professioni sanitarie non mediche
e delega al Governo per l’istituzione dei relativi Ordini professionali
(A.S. 3236)
Assegnato alla Commissione Igiene e Sanità (XII) in sede ref erente non anc ora in esame
Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280,
recante interventi urgenti per fronteggiare la crisi di settori economici
e per assicurare la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione.
Proroga di termine per l’esercizio di delega legislativa
(A.S. 3232)
All’esame della Commissione Affari costituzionali (I) in sede referente
Norme sui titoli per l’ammissione a concorsi pubblici e privati
(A.S. 3203)
Assegnato alla Commissione Affari costituzionali (I) in sede ref erente non anc ora in esame
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Disposizioni in materia di assicurazione per la responsabilità civile delle aziende sanitarie
(A.S. 3189)
Assegnato alla Commissione Igiene e Sanità (XII) in sede ref erente non ancora in esame
Prosecuzione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici
(A.S. 3154)
Assegnato alla Commissione Affari costituzionali (I) in sede referente non ancora in esame
Interventi urgenti per il raggiungimento entro il 2010 degli obiettivi della Conferenza di Lisbona
in materia di partecipazione al lavoro delle donne,
nonché nuove norme per l’attuazione dell’articolo 51 della Costituzione
(A.S. 2778)
Assegnato alla Commissione Lavoro, Previdenza sociale (XI) in sede referente non ancora in esame
OSSERVATORIO ARAN DI GIURISPRUDENZA
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CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA:
Orario di lavoro
Come già anticipato dall’ar ticolo di Xxxxxxx Xxxxxxxx pubblicato
su Arannewsletter n.4/2004,
la Commissione Europea si sta
occupando della revisione di alcune disposizioni contenute nella direttiv a 93/104/CE, modificata dalla direttiva 2003/88/CE, relative entrambe all’orario di lavoro; in particolare per quanto
riguarda le deroghe al periodo
di riferimento (4 mesi) per il calcolo della durata massima settimanale
dell’orario stesso, nonché per quanto riguarda la possibilità di non applicare l’art. 6 della direttiva nel caso in cui
il lavoratore abbia dato il proprio
consenso al superamento delle 48 ore per lo svolgimento di un lavoro.
La revisione si rende necessaria
in relazione alla richiesta, sempre più pressante, che proviene dagli Stati
membri, per estendere il periodo
di riferimento, per il calcolo della durata massima dell’orario di lavoro
settimanale, a 12 mesi, ed anche in
risposta alla giurisprudenza della Corte che invece interpreta in modo molto
restrittiv o la normativ a in vigore.
La sentenza emessa dalla Corte
di giustizia della Comunità europea - Grande sezione, il 5 ottobre 2004,
relativa alla durata massima dell’orario di lavoro, ribadisce, infatti, una serie di principi di cui bisogna dare conto:
a) la direttiva 93/104, che stabilisce il limite delle 48 ore lavorativ e
settimanali, straordinari compresi, si applica a tutti i settori di attività privati e pubblici
b) il superamento di tale limite può essere effettuato solo per casi
tassativi e con il rispetto dei principi generali della protezione,
della sicure zza e della salute
dei lavoratori e in più devono essere sod disfatte varie altre condizioni
stabilite
c) Il periodo di riferimento per calcolare la media della durata massima
del lavoro settimanale è di 4 mesi, che possono div entare 6, ma si
ribadiscela necessità del consenso individuale del lav oratore
al superamento delle 48 ore settimanali.
d) per costante giurisprudenza
della Corte, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista
sostanziale, incondizionate
e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere davanti
ai giudici nazionali nei confronti
dello Stato, sia che questo non ab bia recepito tempestivamente
la direttiva, sia che l’abbia recepita in modo non cor retto
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arannewsletter
e) principio dell’interpretazione conforme al diritto nazionale: malgrado le disposizioni di una
direttiva CE non possano essere
azionate nel caso di controversie tra privati, i giudici nazionali sono
tenuti in ogni caso ad applicare il principio dell’interpretazione conforme.
La Corte comincia definendo quali sono le direttive che si applicano in caso di controversie in materia
di orario di lavoro iniziando dalla 89/391 che è la direttiva quadro che fissa
i principi generali in materia
di sicurezza e salute dei lavoratori
e che all’art.2 stabilisce: “ La presente direttiva concerne tutti i settori
di attività privati o pubblici”.
Il comma 2 specifica poi che la stessa non è però applicabile quando alcune
attività specifiche del pubblico impiego (es. forze armate, polizia o attività
specifiche nei ser vizi di protezione civile) vi si xxxxxx ono in modo
imperativo.
I principi contenuti nella direttiva
sulla sicurezza e salute dei lav oratori sono poi sviluppate in successive
direttive, tra cui la direttiva 93/104 la quale stabilisce le prescrizioni
minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, i periodi minimi di riposo giornaliero, settimanale, delle ferie annuali, nonché
la durata massima settimanale del lavoro.
L’art. 6 della direttiva stabilisce inoltre che “la durata media dell’or ario
di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario”.
E’ possibile naturalmente per gli Stati membri introdur re disposizioni più
favorevoli. Il successivo art. 16 stabilisce poi, per la durata massima dell’orario
di lavoro settimanale, un periodo
di riferimento non superiore a 4 mesi. L’art. 17 prevede alcune deroghe:
a) la possibilità di derogare, per la
durata dell’orario di lav oro, agli ar tt.6 e 16, ma solo per i casi ivi indicati
(dirigenti o persone con potere
decisionale autonomi, manodopera familiare o lavoratori nel settore
liturgico delle chiese e delle comunità religiose); b) la possibilità di derogare al solo art. 16, per via legislativa,
regolamentare o amministrativa o
mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, o anche c) mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali a livello
nazionale o regionale o a un livello inferiore, ma nelle ipotesi previste sub
b) e c) la deroga non può avere come
conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi.
Tuttavia gli Stati membri hanno
la facoltà, nel rispetto dei principi
generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori,
di consentire che, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, i contratti collettivi
o gli accordi conclusi tra le parti sociali fissino periodi di rif erimento che non superino in alcun caso i dodici mesi.
L’art. 18 lett.b) prevede la possibilità per gli Stati membri di non applicare l’ar t. 6 (relativo alla durata dell’orario di lavoro) a condizione che si assicuri
che …“nessun dat ore di lavoro chieda ad un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni,
calcolato come media del periodo
di riferim ento di cui all’art. 16 punto 2 (4 mesi), a meno che non abbia
ottenuto il consenso del lavoratore all’esecuzione di tale lavoro”.
La controversia di cui trattasi è stata
promossa da due lav oratori della Croce Rossa Tedesca che facevano parte
del personale dei ser vizi di soccorso e trasporto degli ammalati.
I due ricorrenti ritenevano che
la normativ a nazionale, ed il contratto collettivo di lavoro a loro applicabile, che prevedeva un orario di lavoro
settimanale di 49 ore, non fossero conformi a quanto disposto
dalla direttiva 93/04 sull’orario di lavoro e che, inoltre, la disciplina nazionale
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sull’orario di lavoro (Legge del 6 giugno 1994) emanata per recepire la direttiva CE, non trasponesse correttamente
quanto previsto dalla direttiv a in materia di deroga, i lavoratori
per tanto chiedev ano il pagamento
degli straordinari effettuati superando le 48 ore settimanali.
In primis la Corte stabilisce l’applicabilità della direttiva alla fattispecie, che non rientra in quelle per le quali è prevista
una deroga, ribadendo che le deroghe, tra l’altro, devono essere sempre
interpretate in senso restrittivo e la loro attuazione è “ subordinata a condizioni rigide che assicurano una ef ficace
protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.”
Inoltre la deroga richiede il consenso individuale del lav oratore e:
”il consenso espresso dalle parti
sindacali nell’am bit o di un contratto
o di un accordo collettivo non equivale a quello dato dal lavoratore medesimo”, ed il consenso non deve essere solo
individuale, ma anche “esplicitam ente
e liberam ente espresso... A tal fine non è sufficiente che il contratto di lavoro faccia riferim ento ad un contratto collettivo che consente tale superamento.” Tutto questo perché, dice la Corte,
il lavoratore dev e essere considerato come la par te più debole del contratto di lavoro ed è quindi necessario
garantire al massimo la sua tutela. La Corte si occupa ora del problema della eventuale non conformità
alle direttive delle normativ e nazionali di recepimento delle stesse.
“A questo proposito risulta da una costante giurisprudenza della Corte
che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto
di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli
possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato,
sia che questo non abbia recepito
tempestivamente la direttiva sia che l’abbia recepita in modo non corretto...
L’art.6 punto 2 della direttiva 93/104 risponde a tali criteri, giacché addossa agli Stati membri, in termini non
equivoci, un’obbligazione di risultato precisa e assolutamente incondizionata quanto all’applicazione della re gola
da essa enunciata, che c onsist e
nella previsione di un limite di 48 ore, compresi gli straordinari, per la durata
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media dell’orario settimanale di lavoro.
…Di conseguenza l’art. 6 punto 2 della direttiva 93/104 soddisfa tutte
le condizioni necessarie per produrre un effetto diretto”.
Così la Corte, ma cosa succede
se la controversia non è sollevata
nei confronti dello Stato ma nei confronti di un soggetto privato?
Se si ritenesse che in questo caso il lavoratore non possa far ricorso
alla normativa comunitaria, si creerebbe di fatto una disparità di trattamento
tra lavoratori e dipendenti dello Stato, che possono valersi di tali norme,
e gli altri lavoratori ai quali non
verrebbe riconosciuta la medesima tutela. Però, argomenta la Corte,
l’obbligo che fa capo agli Stati membri di conseguire i risultati contemplati
nelle direttive europee, come pure
il dovere loro imposto di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale
obbligo, vale per lo Stato come per tutti i suoi organi, e pertanto vale anche per gli organi giurisdizionali, infatti:
”Spetta in particolare ai giudici
nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto comunitario e garantirne
la piena ef ficacia”.
Q uindi: “ Nell’applicare il diritto interno, in particolare le disposizioni
di una normativa appositamente adottata al fine di attuare quanto
prescritto da una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il diritto nazionale per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva
onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima…”.
D’altro canto è ovvio che vi debba
essere una interpretazione conforme del diritto nazionale, altrimenti il
giudice, chiamato a risolvere una
controversia, non potrebbe assicurare, nel contesto delle sue competenze, l’efficacia delle norme comunitarie.
Q uesto principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, così imposto dal diritto comunitario, esige che il giudice nazionale, pur partendo in primo luogo dalle norme interne introdotte per recepire la direttiva,
prenda in considerazione anche tutto il diritto nazionale, per valutare
in quale misura possa essere applicato in modo tale da non risultare
in contrasto con quanto stabilito dalla direttiva.
“Conseguentemente si deve concludere che un giudice nazionale cui sia
sottoposta una controversia che
ha luogo esclusivamente tra singoli, nell’applicare le norme del diritto
interno adottate al fine dell’attuazione degli obblighi previsti da una direttiva, deve prendere in considerazione tutte le norme del diritto nazionale
ed interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva per giungere ad una soluzione conforme all’obiettivo da essa
perseguito…il giudice di rinvio quindi deve fare tutto ciò che rientra nella sua competenza per evitare il superamento dell’orario di lavoro settimanale fissato in 48 ore in virtù dell’ar t. 6, punt o 2,
della diret tiva 93/104” quindi, si ritiene, disapplicando la normativa interna
in contrasto.
Come accennato precedentemente, la Commissione sta lavorando
ad una revisione delle norme relative all’orario di lavoro, ed in particolare
della direttiv a 2003/88 che ha recepito la precedente direttiva 93/104.
Le principali modifiche riguardano le seguenti materie:
- periodi inattivi durante i servizi di guardia:
i periodi inattivi durante i servizi
di guardia non fanno parte dell’orario di lavoro, a meno che la legislazione nazionale, i contratti collettivi
o gli accordi tra le parti sociali non dispongano diversamente.
Viene pertanto proposta la modifica dell’art. 2 della direttiva 88 all’interno del quale vengono inserite due nuove definizioni: “servizio di guardia”
e “periodo inattivo durante il servizio di guardia”, con l’introduzione di due
punti . 1 bis: servizio di guardia: periodo durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione, sul proprio
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luogo di lavoro, al fine di intervenire, su richiesta del datore di lavoro,
per esercitare la propria attività o le proprie funzioni.
1 ter “periodo inattivo del servizio di guardia”: periodo durante il quale
il lavoratore è di guardia ai sensi dell’art. 1 bis, ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare la propria attività o le proprie funzioni.
Viene poi inserito un articolo 2 bis:
servizio di guardia. Il periodo inattivo del servizio di guardia non è
considerato come orario di lavoro, a meno che la legge nazionale o,
conformemente alla legislazione
e/o alle pratiche nazionali, un contratto collettivo o un accordo tra le parti
sociali non dispongano altrimenti.
Il periodo durante il quale il lavoratore esercita effettivamente le proprie
attività o funzioni durante il servizio di guardia è sempre considerato come orario di lavoro.
- periodo di riferimento per la durata massima dell’orario di lavoro
settimanale
Viene modificato il comma b) dell’art.16 (periodo di riferimento) nel seguente
modo: “ per l’applicazione dell’ar t.6
(durata massima settimanale del lavoro) un periodo di riferim ento non
superiore a 4 mesi. Tuttavia gli Stati membri possono, per via le gislativa
o regolam entare, per ragioni ogg ettive
o tecniche o per ragioni riguardanti l’organizzazione del lavoro, portare tale periodo di riferim ento a 12 mesi, con riserva del rispetto dei principi generali relativi alla protezione della sicurezza
e della salut e dei lavoratori,
e con riserva di una consultazione delle parti sociali interessate
e con la profusione di sforzi volti
a incoraggiare tutte le forme pertinenti di dialogo sociale, compresa
la concertazione, se le parti lo desiderano.
Se la durata del contratto di lavoro è inferiore ad un anno, il periodo
di riferim ento non può essere superiore alla durata del contratto di lavoro.
Il periodo di ferie annue ed i periodi di assenza per malattia non vengono presi in considerazione o sono neutri ai fini del computo della media.”
Il periodo di riferimento standard quindi resta di 4 mesi ma con la
possibilità di tali deroghe.
Sempre sullo stesso tema il testo
dell’ar t. 19 (limiti alla facoltà di derogare ai periodo di riferimento) dovrebbe
essere sostituito dal seguente: “Gli stati membri hanno la facoltà, nel rispetto dei principi generali
della protezione, della sicurezza e della salut e dei lavoratori,
di consentire che, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, i contratti collettivi
o gli accordi conclusi tra le parti sociali fissino periodi di riferim ento, relativi alla durata massima settimanale
del lavoro, che non superino in alcun caso i dodici mesi.”
- periodo di riposo compensativo Il paragrafo 2 dell’art. 17 (deroghe) viene così modificato:
“Le deroghe di cui…possono essere adottate…a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati
equivalent i periodi di riposo compensativo entro un limite
ragionevole, non superiore a 72 ore .
- deroghe all’applicazione dell’art. 6 e consenso del lavoratore .
Viene modificato l’art. 22 che stabilisce le condizioni da rispettare da par te
degli Stati membri per consentire la non applicazione dell’art. 6.
Rimane sempre ferma la necessità del consenso del lavoratore ma è prevista una ulteriore condizione in più, necessaria anche se non
sufficiente in caso di mancanza del consenso del lavoratore:
l’autorizzazione alla deroga tramite contratto collettiv o o accordo.
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Si stabiliscono poi modalità precise circa l’assenso del lavoratore.
Conseguentemente viene sostituito
il paragrafo 1 dell’art. 22 ed introdotto un nuov o paragrafo 1 bis.
Art. 22: 1. Gli Stati membri hanno facoltà di non applicare l’art. 6,
nel rispetto dei principi generali della protezione, della sicurezza e della salute dei lavoratori.
Il ricorso a tale facoltà deve tuttavia essere espressamente previsto
dal contratto collettivo o dall’accordo concluso tra parti sociali a livello nazionale o regionale o in conformità con la legislazione e/o le pratiche nazionali, tramite contratti collettivi o accordi conclusi tra parti sociali
a livello adeguato.
Il ricorso a tale facoltà è inoltre possibile, tramite un accordo
tra il datore di lavoro ed il lavoratore, qualora non sia in vig ore alcun
contratto collettivo e all’interno dell’impresa o dello stabilimento in questione non esista una
rappresentazione del personale
abilitata a concludere contratti collettivi o accordi tra parti sociali in questo
settore, in conformità con
la legislazione e/o le pratiche nazionali. 1 bis: In ogni caso gli Stati membri che ricorrono alla f acoltà prevista
nel paragrafo 1 devono prendere
le misure necessarie ad assicurare che:
a) nessun datore di lavoro chieda
ad un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di sette giorni, calcolato come media
del periodo di riferim ento di cui all’art. 16 punto 2 (4 mesi) a meno che non abbia ottenuto il consenso
del lavoratore all’esecuzione di tale lavoro. La validità di un simile
accordo non può essere superiore ad un anno, r inno vabile.
Un consenso dato all’atto della firma del contratto di lavoro individuale
o durante qualsiasi periodo di pro va è nullo e non avvenuto.
b) Xxxxxx lavoratore possa subire un danno per il f atto che non è
disposto ad accettare di effettuare tale lavoro.
c) Xxxxxx lavoratore possa prestare più di 65 ore di lavoro in una settimana qualunque, a meno che il contratto
collettivo o l’accordo concluso tra le parti sociali non disponga altrimenti.
Le successive lettere d) e) ed f) sono relative alla tenuta dei registri
ed alle informazioni da dare alle autorità competenti.
Q uesta bozza di proposta è stata
presentata dalla Commissione il 22 settembre ed è stata formulata dopo avere ascoltato le proposte
e gli orientamenti delle parti sociali a livello comunitario, le parti sociali sono state poi nuovamente sentite
in relazione al contenuto della bo zza di direttiva.
E’ probabile che la direttiva sia approvata in quanto tiene conto delle esigenze che sono state
rappresentate dalle par ti sociali,
soprattutto in rif erimento ai punti presi in considerazione, mediando tra esse e partendo dal presupposto che l’intento principale è quello di assicurare:
”un adeguato equilibrio tra la protezione della salute e della tutela dei lavoratori, da una parte, ed il bisogno di flessibilità delle imprese dall’altra”.
CORTE COSTITUZIONALE
Ricorsi alla Corte costituzionale sulla
costituzionalità della Legge n. 145/2002 (dirigenza pubblica)
A due anni dall’emanazione della Legge
n. 145/2002 che ha modificato, in alcune sostanziali par ti, quella che era
la precedente normativa sulla dirigenza pubblica, stanno arrivando alla Corte
costituzionale le prime ordinanze di rimessione emesse dai tribunali, relativamente all’asserita
incostituzionalità della legge, sotto diversi profili.
Sembra interessante esaminare tre
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delle più recenti ordinanze, emesse dal tribunale di Roma in data primo
aprile 2004 – 30 aprile 2004 – 11 maggio 2004, che rilevano l’incostituzionalità
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dell’ar t. 3, comma1, lettera b) e comma 7, della citata legge, in relazione agli
artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 70, 97 e 98 della Costituzione.
L’art. 3, comma 1, lett. b) della legge, relativamente alla durata massima
dell’incarico dirigenziale, riformula
l’art. 19, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001 nei seguenti termini: “Tutti gli incarichi di funzione dirigenziale nelle
amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, sono conferiti secondo le disposizioni del presente articolo. Con il provvedimento di
conferimento dell’incarico, ovvero con separato provvedimento del Presidente del consiglio dei Ministri o del Ministro competente per gli incarichi di cui al
comma 3, sono individuati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da
conseguire, con riferimento alla priorità, ai piani ed ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di
indirizz o e alle eventuali modifiche
degli stessi che intervengano nel corso del rappor to, nonché alla dur ata
dell’incarico, che de ve essere correlata agli obiettivi prefissati e che,
comunque, non può eccedere, per gli
incarichi di funzione dir igenziale di cui ai commi 3 e 4 (trattasi dei dirigenti di prima fascia n.d.r), il termine di tre anni e, per gli altri incarichi di funzione
dirigenziale, il termine di cinque anni.
Gli incarichi sono rinnovabili. Al provvedimento di conferimento dell’incarico accede un contratto individuale c on cui è def inito il
corrispondente trattamento economico, nel rispetto dei principi definiti dall’art.
24. E’ sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto.”
L’art.3, comma 7 della Legge n. 145/2002 dispone: “Fermo restando il numero
complessivo degli incarichi attribuibili, le disposizioni di cui al present e
articolo trovano immediata
applicazione relativamente agli
incarichi di funzione dirigenziale di livello generale e a quelli di direttore generale degli enti pubblici vigilati dallo Stato ove è prevista tale figura. I predetti incarichi cessano il
sessantesimo giorno dalla data di
entrata in vigore della presente legge, esercitando, i titolari degli stessi in tale periodo, esclusivamente le attività di ordinaria amministrazione. Fermo
restando il numero complessivo degli incarichi attribuibili, per gli incarichi di funzione dirigenziale di livello non
generale, può procedersi, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, all’attribuzione di incarichi ai sensi delle disposizioni di cui al presente articolo, secondo il
criterio della rotazione de gli stessi e le connesse procedure previste dagli articoli 13 e 35 del contratto collettivo nazionale di lavoro per il quadriennio 1998-2001 del personale dirigente
dell’Area 1. Decorso tale termine, gli incarichi si intendono c onfermati, ove nessun pro vvediment o sia stato
adottato. In sede di prima applicazione dell’ar t. 19 del D.Lgs. n.165/2001, come modificato dal comma 1 del presente articolo, ai dirigenti, ai quali non sia riattribuito l’incarico in precedenza
svolto, è conferito un incarico di livello retributivo equivalente al precedente. Ove ciò non sia possibile, per carenza di disponibilità di idonei posti di
funzione o per la mancanza di
specifiche qualità professionali, al dirigente è attribuito un incarico di studio, con il mantenimento del
precedente trattamento economico, di durata non super iore ad un anno. L a relativa maggiore spesa è compensata rendendo indisponibile, ai fini del
conferimento, un numero di incarichi di funzione dirigenziale equivalente sul piano f inanziario, tenendo conto prioritariam ente dei posti vacanti
presso l’amminist razione che conferisce l’incarico”.
I motivi di censura sono i seguenti:
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1) violazione dell’art. 3 della
Costituzione per ir ragionevolezza.
La norma transitoria sareb be
intimamente contraddittoria perché o i dirigenti generali hanno la stessa natura contigua al potere politico, al pari dei segretari generali
dei ministeri e dei capi dipartimento (e allora lo spoil system dovrebbe
essere garantito a tutti i governi),
oppure la dirigenza generale, come quella di secondo livello, partecipa alle funzioni di gestione e non
anche di indirizzo politico (ed allora non si comprenderebbe perché la
prima è sottoposta a spoil system una tantum e non la seconda).
2) Violazione degli artt. 3, 4, 35 e 97 Cost. per deroga ingiustificata
al principio di stabilità dei contratti individuali di lavoro. La norma
censurata disciplinereb be un illegittimo meccanismo
di destituzione automatica del dirigente a prescindere da ogni valutazione
delle attitudini e delle capacità professionali, nonché del
raggiungimento degli obiettivi prefissati, senza previsione
di motivazione circa la cessazione dell’incarico, talchè i dirigenti
generali non potrebbero riporre affidamento nel contratto stipulato con l’amministrazione e subirebbero un trattamento deteriore rispetto
a quello generalmente riservato
agli altri lavoratori pubblici e privati. In sostanza, posto che l’ordinamento non prevede in genere la recedibilità ad nutum dei contratti individuali
di lavoro, nel caso in esame la
rimozione del dirigente avverrebbe in carenza di motivazione, senza
garanzia procedimentale o di contrad dittorio.
3) Violazione del diritto alla personalità professionale (ar tt. 1, 2, 3, 4 Cost).
Tale diritto sarebbe riconosciuto ai dirigenti privati e negato,
dalla norma impugnata, ai dirig enti pubblici in relazione al percorso discendente che si attua con
il passaggio dalle funzioni
precedenti all’incarico di studio,
sostanzialmente privo di contenuti, fino alla messa a disposizione
del dirig ente. Inoltre, l’incarico
di studio non sarebbe rapportabile a quello previsto dall’art. 19
del D.Lgs. n. 165/2001, nuovo testo in via istituzionale e permanente, quale incarico inserito
nella programmazione annuale, fornito di supporto personale
e materiale, valido per
la progressione in carriera.
4 ) Violazione del diritto all’affidamento del cittadino (art. 3 Cost). La norma censurata inciderebbe indebitamente
su rapporti contrattuali liberamente stretti dalle par ti.
5) Violazione degli artt. 97 e 98 Cost. in relazione all’ef fetto c.d.
di fidelizzazione di f atto del dirigente al Governo in carica. Detto effetto
sarebbe indotto dal meccanismo di decadenza automatica
dagli incarichi e dalla loro durata
breve, con conseguente abbattimento di ogni garanzia di autonomia
del dirigente, al quale non sarebbe consentito un esercizio imparziale dei compiti, e quindi di assicurare l’imparzialità dell’azione
amministrativa. Inoltre, sarebbe
annullata ogni distinzione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e attività gestionale.
6) Eccesso di potere legislativ o (art. 70 e 97 Cost). Il Parlamento avreb be
adottato, nella specie, una legge con effetti propri di un atto
amministrativo, per giunta incidente su un ambito tipicamente riservato all’autonomia privata quale quello
contrattuale.
Le ordinanze insistono particolarmente sulla violazione degli artt. 97 e 98 Cost e cioè sulla violazione dei principi
di imparzialità e buon andamento
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della pubblica amministrazione.
L’art. 3, comma 1, lett.b) “consentendo all’amminist razione scelte per le quali
non è previsto l’obbligo di motivazione, alm eno quant o alla mancata
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riattribuzione dell’incarico dirigenziale, apre, di fatto, la possibilità per
l’amministrazione di revocare gli incarichi in modo affatto arbitrario, all’ipotizzabile fine di ridistribuirli a dirigenti ritenuti più affidabili dal punto di vista
della consonanza politica.
Le norme in questione sembrano dunque violare, alla luce della
giurisprudenza costituzionale, tanto l’art. 97 che l’art. 98 Cost. perché vi è il fondato pericolo che i dirigenti
generali, necessariamente sottoposti alla riconferma da parte dello stesso
vertice politico che li ha nominati e con scarse possibilità di una valutazione
obiettiva di risultati della gestione in relazione all’insussistenza
di un t ermine minimo dell’incarico – siano por tati alla ricerca di un improprio gradimento politico più che
all’im parziale gestione ai fini del buon andament o dell’at tività amministrativa.
In tal modo, in sostanza, i dirigenti cessano di essere al ser vizio
della Nazione e viene meno il pr incipio costituzionale di imparzialità e di buon andamento dell’attività amministrativa. E’ peraltro di tutta evidenza che,
in tal modo, il Ministro consegue, di fatto, un’impropria potestà
gestionale, non prevista dalla legge
e anzi non bilanciata dalle correlative responsabilità – amministrative
contabili e gestionali – che comunque permangono in capo al dirigente
quale t itolare formale della st essa”. (Ordinanza 30 aprile 2004)
“Tra l’altro, la legge ha introdotto
lo spoil system come regola generale per i segretari generali e per i capi dipartimento, come disposizione
una tantum invece per i dirigenti
generali, consentendo al solo governo in carica, senza consentirlo a quelli
successivi, di nominare alla testa di tutti gli uffici dirigenziali generali persone
di propria fiducia.
Il siste ma delineato è contraddittorio.
Se, infatti, si ritiene che i dirigenti generali hanno la medesima natura contigua al potere politico al pari
dei segretari generali e dei capi
dipartimento, non si comprende allora perché la cessazione automatica è stata prevista una tantum, restando così
precluso al governo successivo
di nominare i suoi dirigenti di fiducia. Se la fiducia politica è la nuova veste del dirigente generale allora essa deve
valere per ogni governo e non solo per quello in carica.
Se, viceversa, si ritiene che la dirigenza generale, al pari della dirigenza
di secondo livello, partecipa
delle funzioni di g estione, allor a non si comprende la diversità di disciplina
nel regime transitorio”.
(Ordinanza 11 maggio 2004)
Riguardo poi alla prevista possibilità di intervenire con legge su rapporti
contrattualizzati: “Pare allora sussistere una lesione del generale principio di
affidamento sulla stabilità dei contratti, in violazione degli artt. 2, 3, 4, 35, 36 e 97 Cost, ove il datore di lavoro pubblico
possa porre nel nulla i contratti di cui è parte mediante legge, così utilizzando lo strumento legislativo ovvero
contrattuale secondo convenienza, mentre il lavoratore rimane privo
di qualsiasi tutela. Si è testè osservato che il lavoratore alle dipendenze
della pubblica amminist razione sembra non godere più né delle tutele
assicurative contro gli atti amministrativi (attesa la più volte evidenziata
insussistenza di ogni obbligo
di motivazione), né interamente
di quelle propr ie della contrattazione, visto che i contratti possono essere
posti nel nulla dalla legge, senza misure di indennizz o o di reale compensazione. Infatti, al posto dell’incarico revocato è previsto un incarico equivalente
(e detta equivalenza pare riferibile soltanto al trattamento economico)
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ovvero un incarico di studio di durata non superiore ad un anno, alla fine
del quale al dirigente, di fatto non più valutabile in relazione al raggiungimento di obiettivi gestionali, sembrerebbero preclusi ulteriori incarichi operativi.
Tale assetto appare suscettibile
di configurare un demansionamento del dirigente ”.
(Ordinanza 23 aprile 2004).
“L’assenza di motivazione e di garanzie procedimentali incide altresì sul diritto fondamentale attribuito al dirigente
pubblico, come ad ogni altro
lavoratore, alla libera esplicazione
della personalità nel luogo di lavoro. Il danno alla professionalità, infatti, non ha solo una indubbia natura patrimoniale, ma interessa anche
la lesione del diritto fondamentale
alla libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro, garantito, dagli artt. 1 e 2 della Costituzione.
Al dirigente pubblico, cessato
dall’incarico ai sensi dell’art. 3, comma 7, Legge n. 154/2002, e quindi ante
tempus ed in assenza di ogni
giustificazione, può, infatti, essere attribuito un incarico di studio
in assenza di una g iustificazione doverosa e ragionevole in base alla quale valutare una e ventuale
compromissione della professionalità.
La circostanza non è da poco, ove si consideri che per il conferimento
di ciascun incarico dirigenziale l’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001, anche a seguito
delle modifiche introdotte con la Legge
n. 145/2202, prevede una valutazione della capacità professionale
del dirigente da attuarsi anche con
riferimento ai risultati raggiunti durante l’esecuzione del precedente incarico.
Risulta allora determinante, ai fini della salvaguardia del diritto
alla professionalità del dirigente
pubblico, proprio in considerazione dell’importanza che la capacità
professionale del singolo dirigente
assume nell’ambito della sua carriera, che ogni modifica delle funzioni sia accompagnata da una adeguata
motivazione o giustificazione, onde
consentire l’effettuazione del giudizio di idoneità alla copertura di incarichi
di funzioni dirigenziali ”.
(Ordinanza 11 maggio 2004).
Come risulta evidente da quanto
riportato i motivi di censura della legge, nella parte che riguarda gli incarichi dirigenziali e la loro durata, sarebbero, secondo i giudici, molteplici e tali
da comportare, ove accolti dalla Corte, una sostanziale riscrittura delle norme.
Sentenza n. 204/2004 - 6 luglio
Anche se la sentenza non riguarda
la materia del lavoro pubblico è tuttavia importante esaminarla in quanto
relativa ad alcuni articoli del D.Lgs.
n. 80/98 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti
di lavoro e di giurisdizione amministrativa).
In alcune ordinanze, riunite dalla Corte, il tribunale di Roma, rimettente,
lamenta l’incostituzionalità dell’art. 7
della Legge n. 205/2000 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa)
laddove modifica gli artt. 33, 34 e 35 del D.Lgs. n. 80/98, attribuendo
alla giurisdizione esclusiv a del giudice amministrativo le controversie
in materia di pubblici servizi
ed in par ticolare le controversie
riguardanti: “le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura
patrimoniale, rese nell’espletamento di pub blici servizi”, nonché
le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti ed i
comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse
equiparati, in materia di urbanistica ed edilizia.
L’ar t. 33 nuov o testo del D.Lgs. n. 80/98 stabilisce:
1) Sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativ o tutte le controv ersie in materia di
pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito,
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sulle assicurazioni e sul mercato
mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni
e ai servizi di cui alla Legge n. 481/95.
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2) Tali controversie sono, in particolare, quelle:
a) concernenti l’istituzione, modificazione o estinzione di
soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali,
le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana;
b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi;
c) in materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori dei pubblici servizi;
d) aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pub blici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti
all’applicazione delle norme
comunitarie o della normativa nazionale o regionale;
e) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura
patrimoniale, rese nell’espletamento di pub blici servizi, ivi comprese
quelle rese nell’ambito del Ser vizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei
rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che
riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie
in materia di invalidità
3) All’art. 5, primo comma, della Legge
n. 1034/71, sono soppresse le parole:
«o di servizi».
L’ar t. 34 nuov o testo del X.Xxx.
n. 80/98 stabilisce:
1) Sono dev olute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti
ed i comportamenti delle
amministrazioni pubbliche
e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia.
2) Agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio.
3) Nulla è innovato in ordine:
a) alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque;
b) alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione
e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.
L’art. 35 nuovo testo del D.Lgs n. 80/98 stabilisce:
1) Il giudice amministrativ o nelle controversie devolute alla sua
giurisdizione esclusiv a, dispone, anche attrav erso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.
2) Nei casi previsti dal comma 1 il giudice amministrativo può
stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pub blica
o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore
dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. O missis
3) O missis
4) O missis
5) Sono abrogati l’art.13 della legge 19 febbraio 1992 n.142 e ogni altra disposizione che prevede
la devoluzione al giudice ordinario delle controv ersie sul risarcimento del danno conseguente
all’annullamento di atti amministrativi.
I rilievi di incostituzionalità sono relativi a numerosi ar ticoli
della costituzione: artt. 3, 24, 25, 100,
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103, 111, 113.
In sostanza, il giudice rimettente afferma che il sistema di riferimento per la distinzione tra giudice
amministrativ o e giudice ordinario, disegnato in particolare dagli artt. 103, comma 1 e 113, comma 1
della Costituzione, stabilisce il criterio della residualità della giurisdizione
amministrativa, pertanto: “il siste ma di riferim ento risulta strutturato
sulla netta distinzione tra diritti
ed interessi legittimi, sulla particolarità delle materie nelle quali far operare
la giurisdizione esclusiva
e sulla individuabilità delle stesse attraverso l’inscindibile coesistenza di diritti ed interessi”.
Se così è, forte è il dubbio sulla legittimità costituzionale di una legge ordinaria
che si discosta da tale sistema.
La Corte parte dall’esame del primo comma dell’art.103 della Costituzione che recita: “Il Consiglio di Stato
e gli altri organi di giustizia
amministrativa hanno giurisdizione
per la tutela nei confront i della pubblica amministrazione degli interessi
legittimi e, in particolari materie
indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.”
Tale articolo quindi assegna giurisdizione generale di legittimità ai giudici
amministrativi laddove si verta
in materia di interessi legittimi in cause contro la pubblica amministrazione.
L’articolo poi attribuisce al giudice
amministrativ o anche una tutela sui diritti soggettivi, ma solo in par ticolari materie indicate dalla legge.
Quindi, dice la Corte, che la Costituzione non ha conferito al legislatore
una discrezionalità assoluta
nell’individuazione di tali materie ma : “quelle materie devono essere
particolari rispetto a quelle devolute
alla giurisdizione generale di legittimità: cioè devono partecipare della loro
medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica
amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice
amministrativo. Il legislatore ben può ampliare l’area della giurisdizione
esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso particolari)
che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica
amministrazione autorità,
la giurisdizione generale di legittimità”.
Dunque, perché vi sia competenza
del giudice amministrativo, non basta che una delle parti sia una
amministrazione né che vi sia nella controv ersia un generico
coinvolgimento del pubblico interesse.
Stabilito in questo modo il criterio
per l’esatta interpretazione dell’art. 103 della Costituzione, la Corte passa
all’esame delle norme contestate.
Non è incostituzionale l’art. 7, lettera c) della Legge n. 205/2000 che sostituisce l’art. 35 del D.Lgs. n. 80/98 perché
il potere che tale articolo riconosce al giudice amministrativ o, quando giudica con giurisdizione esclusiv a di disporre “anche xxxxxx xxxx
la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto ”, non rientra nelle “materie” nuove
dell’ar t. 103, ma configura uno
strumento di tutela “ulteriore, rispetto a quello classic o demolitorio
(e/o confermativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino
nei confronti della pubblica amministrazione ”.
Tutto ciò anche in conformità del dettato dell’ar t. 24 della Costituzione che
garantisce effettiva tutela sia ai diritti soggettivi che agli interessi legittimi e che implica quindi che il giudice sia
munito di adeguati poteri per svolgere la sua funzione giurisdizionale.
Diverso è invece il caso delle f attispecie previste nelle lettere a) e b) dell’art. 7,
L. n. 205/2000.
Per quanto riguarda l’ar t. 7, lettera a),
che modifica l’art. 33 del D.Lgs. n. 80/98, dice la Corte che configge con i criteri ai quali deve ispirarsi il legislatore
quando voglia riservare una
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“particolare materia” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Nell’articolo, infatti, si attribuisce al giudice amministrativo tutta
la materia dei ser vizi pubblici, mentre invece essa può essere oggetto di tale giurisdizione esclusiva solamente se “in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere
autoritativo ovvero, attesa la facoltà riconosciutale dalla legge di adottare strumenti negoziali in sostituzione
del potere autoritativo, se si avvale di tale facoltà (la quale tuttavia
presuppone l’esistenza del potere autoritativo)”.
Anche la nuova formulazione dell’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98, come modificato dall’art.7, lett. b) della L. n. 205/2000,
si pone in contrasto con la Costituzione in quanto, la Cor te dice:
”comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre agli atti e
provvedimenti attraverso i quali
le pubbliche amministrazioni svolgono le loro funzioni pubblicistiche in
materia urbanistica ed edilizia – anche i comportamenti, la estende
a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita –
nemmeno mediatamente, e cioè
avvalendosi della facoltà di adottare
strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblic o potere”.
Per questi motivi la Corte:
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1 del D.Lgs. n.
n.80/98 come sostituito dall’ar t 7, lettera
a) della L. n. 205/2000 “ nella parte in cui prevede che sono devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo <tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi
compresi quelli>, anziché <le controversie in materia di pubblici servizi relative
a concessioni di pubblici servizi,
escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione
o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla Legge 7 agosto 1990
n. 241, ovvero ancora relative
all’affidam ento di in pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché dichiara
l’illegittimità costituzionale del comma 2 dello stesso art. 33; dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1 del D.Lgs. n. 80/98 come
modificato dall’art. 7 lettera b) della L. n. 205/2000.
E’ importante sottolineare come
la Corte abbia emesso in questo caso una sentenza “additiva” cioè una
pronuncia che non si limita a dichiarare l’incostituzionalità di una norma, ma va oltre, sostituendo la norma
incostituzionale con un nuovo testo,
che entra così direttamente a f ar par te dell’ordinamento.
A questo punto, per ef fetto della
pronuncia della Cor te, il nuovo testo
dell’art. 33 comma 1 del D.Lgs. n. 80/98
è il seguente: “Sono devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativ o le controversie
in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pub blici servizi,
escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri cor rispettivi, ovv ero
relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione
o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla L. n. 241/90, ovv ero ancora relative all’affidamento
di un pub blico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore,
nonché afferenti alla vigilanza
sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni
e ai servizi di cui alla Legge n. 481/95”. Sono quindi esclusi dalla competenza
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del giudice amministrativo quelli che
sono i “comportamenti” della pubblica amministrazione e si ribadisce invece la sua competenza riguardo
al risarcimento del danno.
Bisogna comunque ribadire che per tutte le materie indicate nell’art. 33, decisivo ai fini della giurisdizione,
è il momento autoritativ o
della pubblica amministrazione.
A questo proposito sembra interessante riportare alcune
considerazioni critiche contenute nella nota alla sentenza 204 scritta dalla dottoressa Xxxxx Xxxxxxx.
Partendo proprio dalla centralità che la sentenza attribuisce al momento
autoritativo, la scrivente dice che la sentenza sembra dare vita
ad una ripartizione così configurata : “a) casi in cui l’amministrazione non
esercita poteri autoritativi, da attribuire al giudice ordinario; b) casi in cui
l’amministrazione esercita un potere autoritativo, da attribuire al giudice amministrativo; c) casi in cui
l’amministrazione adot ta strumenti consensuali, ma è comunque titolare
di un pot ere autoritativo, da attribuire anche essi alla giurisdizione
amministrativa”.
Continua la scriv ente: “ Sembrerebbe qui che basti la sola titolarità, anche
senza effettivo esercizio, di un potere autoritativo, perché la controversia sia affidata alla giurisdizione
amministrativa…La configurazione di un’amministrazione, o tutta
autoritaria – sottoposta alla g iurisdizione amministrativa – o tutta paritaria –
sottoposta alla giurisdizione ordinaria – non trova rispondenza, oltre che
nella stessa sentenza della Corte,
nella realtà e nel diritto amministrativo moderno che la studia.
La capacità euristica dello schema dicotomico autorità/libertà è stata
messa in dubbio proprio in relazione alla complessità dell’azione
amministrativa e delle regole che essa applica e che ad essa si applicano,
mostrando come il diritto
amministrativo sia andato via via
perdendo i caratteri originari
della separatezza, della supremazia
e della specialità a favore di una natura non più solo duale….Il quid proprium dell’azione amministrativa non è più da ricercare nella natura autoritativa
o unilaterale, quanto piuttosto nella necessaria ponderazione
di interessi, pubblici e privati, che
caratterizza ogni attività amministrativa e sono allora i principi generali
che regolano questa attività di
ponderazione a venire in primo piano”.
Rileva quindi la scrivente il rischio della “non corrispondenza tra le
dicotomie rievocate nella sentenza –
autorità/libertà, unilateralità/consenso – e la varietà e ricchezza di poteri,
situazioni soggettive, regole e principi che animano il diritto amministrativo moderno”.
Sempre in riferimento all’art.34 del D.Lgs. n. 80/98 la successiva
sentenza n. 281/2004 ne ha a sua volta dichiarato la parziale illegittimità
costituzionale “nella parte in cui,
eccedendo dai limiti della delega, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta
la materia dell’edilizia e dell’urbanist ica, e non si è limitat o ad estendere
la giurisdizione amministrativa – nei limit i in cui essa, in base alla disciplina vigente, già conosciuta di quella mat eria, sia a titolo di legittimità che in via esclusiva –
alle controversie concernenti i diritti patrimoniali consequenziali, ivi
comprese quelle relative al risarcimento del danno”.
L’esigenza sottostante era quella
di tutelare il cittadino nei confronti della pubblica amministrazione
e questo dov xxx avvenire, sulla base della Legge delega n. 59/97, anche
attribuendo al giudice il potere di risarcire il danno in modo che
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il cittadino non fosse costretto
a doversi poi riv olgere, instaurando una successiv a causa, al giudice
ordinario per avere risarcito il suo
danno. Ma tutto questo sareb be dovuto avvenire, sulla base appunto della legge di delega, senza ampliare, in materia
di edilizia, urbanistica e servizi
pub blici, l’ambito delle giurisdizioni esclusive esistenti.
Q uindi la Corte, nella sentenza
n. 000/00, xxxxxxxxx x’xxxxxxxxxxxxxxxxxx xxxx’xx t. 34, commi 1 e 2 del D .Lgs.
n. 80/98: “nella parte in cui istituisce
una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia
ed urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia
la giurisdizione del giudice
amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali
consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno ”.
Nella stessa sentenza la Corte stabilisce poi che, in conseguenza della
dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’ar t. 34 commi, 1 e 2,
l’art. 35 del succitato decreto legislativo
- il quale prevede il potere per
il giudice amministrativo, in caso di sua competenza esclusiva, di disporre
il risarcimento del danno - dev e essere interpretato nel senso che: “il potere di riconoscere i diritti patrimoniali
consequenziali, ivi incluso
il risarcimento del danno, è limitato alle sole ipotesi in cui il giudice
amministrativo era già munito
di giurisdizione, tanto di legittimità quanto esclusiva”.
Sentenza n. 345 – 15 novembre 2004
La sentenza è stata emessa decidendo sui ricorsi di alcune regioni avverso l’art. 24 della Legge n. 289/02 (legge
finanziaria 2003) che detta la disciplina in materia di acquisizione di beni
e servizi da parte delle Regioni
e degli Enti dipendenti e strumentali delle stesse.
Le Regioni denunciano la violazione dell’ar t. 117, comma quattro
della Costituzione in quanto la materia delle acquisizioni di beni e servizi
da parte delle Regioni rientrereb be
nella competenza legislativa residuale delle stesse, non potendo essere
ricompressa nella tutela
della concor renza, materia
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di competenza esclusiva dello Stato.
La Corte ritiene invece che l’art. 24
impugnato sia una norma posta a tutela della concorrenza tra i vari operatori
economici, interessati alle commesse pubbliche e quindi rientri
nella competenza esclusiva dello Stato legiferare su tale materia, così come
prevede il comma 2 dell’art. 117.
Detto questo, però, la Corte riconosce che trattasi “di una competenza
trasversale, che coinvolge più ambiti materiali, si caratterizza per la sua
natura funzionale e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale
anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale”.
Ma, proseguendo, la Corte ribadisce il limite, già specificato nella sentenza
n. 272/04, che incontra tale intervento statale: “L’intervento del legislatore
statale è legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguate zza e
proporzionalità. …
La norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all’obiettivo della tutela della concor renza
costituirebbe una illegittima
compressione dell’autonomia regionale” .
Nel decidere su questa questione
la Corte stabilisce anche un principio in materia di responsabilità
amministrativa dei dipendenti degli Enti pubblici locali.
L’art. 24 viene infatti impugnato anche per quella parte che prevede che
delle ob bligazioni deriv anti da contratti stipulati in violazione delle disposizioni contenute nell’articolo stesso, risponde il dipendente che li ha sottoscritti
e che la stipula degli stessi è causa di responsabilità amministrativa.
La norma stabilisce inoltre come deve essere calcolato il danno erariale.
Le Regioni, nell’impugnazione, hanno sostenuto anche che non rientra
nelle competenze dello Stato dettare la disciplina sostanziale
della responsabilità amministrativa e contabile dei dipendenti
delle Regioni e degli Enti pubblici regionali e locali in quanto questa, non essendo prevista tra le materie del comma 2, né nel comma 3,
rientrereb be nella sf era di competenza
residuale della Regione (art. 117, comma 4 della Costituzione).
La Corte ritiene invece che la materia non rientri nel comma 4 dell’art. 117, ma nella previsione del comma 2,
lettera l) in base al quale spettano alla competenza esclusiv a dello Stato le materie della giurisdizione
e dell’ordinamento civile.
La Corte dice: “Nella disciplina generale della responsabilità
amministrativa i profili sostanziali sono strettamente intrecciati con i poteri che la legge attribuisce al giudice chiamato ad accertarla…ovvero fanno riferim ento a situazioni soggettive riconducibili
alla materia dell’ordinamento civile. Ne disc ende che la potestà legislativa residuale delle Regioni a statuto ordinario in materia di ordinamento
dei propri uffici (art. 117, quarto comma della Costituzione), se può esplicarsi
nel senso di disciplinare il rapporto di impiego o di servizio dei propri
dipendent i, prevedendo obblighi la cui violazione c omporti responsabilità
amministrativa, non può tuttavia incidere sul regime della st essa”. La Corte, quindi, riconosce come materia rientrante nella potestà
legislativa residuale, quindi esclusiva, delle Regioni la determinazione
degli ob blighi che disciplinano
il rapporto di impiego o di servizio dei dipendenti della Regione,
ma per quanto riguarda il regime
della responsabilità amministrativ a che deriva dalla violazione di tali obblighi, questo rientra nella competenza
esclusiva dello Stato.
(Il lavoro tiene conto delle principali sentenze pubblicate dalla Corte
costituzionale in materia di lavoro dal giugno scorso, data
della precedente rassegna, fino al 29 novembre 2004)
Xxxxx Xxxxxx
Funzionario ARAN
NOVEMBRE DICEMBRE 2004
PRINCIPI E LINEE DI TENDENZA NELLA INTERPRETAZIONE
DELLA CORTE COSTITUZIONALE
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TITOLO V PRINCIPI E LINEE DI TENDENZA
NELL’INTERPRETAZIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Fin dall’approvazione definitiva della Legge costituzionale n. 3/2001, che ha profondamente modificato il titolo V
della nostra carta costituzionale introducendo in essa importanti elementi di federalismo, l’ARAN ha seguito
gli effetti che tali innovazioni introducevano nei nuovi rapporti tra Stato ed Enti territoriali, sia in via generale che con particolare riferimento a quanto attiene il lavoro, ed in modo specifico
il lavoro pubblico .
L’articolo che maggiormente conteneva le innovazioni sulle quali era necessario un approfondimento, che all’inizio non poteva essere che di carattere dottrinale, era sicuramente l’art. 117, con riferimento alla ripartizione delle competenze legislative e delle potestà regolamentari
tra Stato, Regioni ed Autonomie territoriali.
Frutto di tale approfondimento è stato un primo lavoro che ha dato conto delle diverse interpretazioni che
la dottrina ha elaborato relativamente alla competenza legislativa in materia di lavoro pubblico.
Pur nella diversità delle posizioni, l’elemento comune era quello di ritenere che nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato, indicata nell’art. 117, comma 2, lettera l), rientrassero a pieno titolo i rapporti di lavoro.
Più diversificate erano le posizioni riguardo alla materia contrattuale,
sia con riferimento al contratto collettivo nazionale per il personale non appartenente alle amministrazioni centrali, sia con riferimento ai soggetti legittimati alla
contrattazione nazionale, tuttavia la prevalenza della dottrina riconosceva un ruolo centrale al contratto nazionale, anche come strumento per l’attuazione dell’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali…), materia affidata alla legislazione esclusiva dello Stato.
Una larga parte della dottrina suggeriva l’opportunità di contratti nazionali leggeri, che rispondessero alla predetta esigenza costituzionale, lasciando nel contempo maggiore spazio alla contrattazione integrativa e rivisitando le modalità
di costituzione ed i poteri dei Comitati di settore, quali strumenti per rafforzare l’autonomia degli enti territoriali.
L’impatto della produzione normativa
e regolamentare, da parte sia dello Stato che delle Regioni, con la nuova disciplina costituzionale, ha comportato il passaggio dalle enunciazioni teoriche dottrinali,
alla verifica concreta della coerenza di detta produzione normativa con il nuovo dettato costituzionale.
La Costituzione ha in effetti previsto una serie di strumenti per semplificare l’attuazione delle nuove norme evitando conflitti tra i vari soggetti istituzionali, strumenti che, ad eccezione della c.d. legge La Loggia, dovevano essere attuati anche con leggi successive allo stato ancora non emanate.
L’ampio contenzioso che si è di conseguenza sviluppato, soprattutto per quanto riguarda la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, non ha quindi potuto che essere risolto dalle pronunce della Corte costituzionale che, con le numerose sentenze emanate, ha stabilito una serie di principi utili a delimitare le rispettive competenze, soprattutto in materia
di legislazione concorrente.
Poiché le sentenze della Corte sono,
II
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in questo momento, l’unica fonte da cui attingere i principi attraverso i quali è possibile dirimere i conflitti che riguardano il riparto dei poteri fra le varie istituzioni della Repubblica, e poiché
da esse è possibile dedurre quale sarà
il futuro assetto tra i vari poteri, l’ARAN ha ritenuto utile monitorare e dare conto
di quanto contenuto nelle decisioni della Corte con il lavoro di seguito pubblicato. Il presente lavoro si colloca quindi all’interno di un progetto complessivo dell’ARAN avente la finalità di fornire
una visione generale dello sviluppo attuativo del titolo V ed avrà quindi un seguito sia per quanto riguarda l’approvazione definitiva da parte delle Regioni dei rispettivi statuti regionali, sia per quanto riguarda
l’emanazione di eventuali leggi regionali aventi attinenza con il lavoro pubblico.
Il lavoro quindi è da considerare
in evoluzione, anche in considerazione del fatto che attualmente il Parlamento si sta occupando di ulteriori modifiche
da apportare alla Costituzione, alcune delle quali potrebbero reintervenire sul già modificato titolo V.
L’elemento più caratterizzante della modifica del titolo V della Costituzione è sicuramente l’aumento del potere normativo delle Regioni.
Il deciso ampliamento dell’autonomia legislativa, qualitativa e quantitativa, delle Regioni ha comportato l’inversione del criterio di elencazione delle materie legislative, l’eliminazione del controllo
preventivo del Governo sulla legislazione regionale e la grande estensione
del potere regolamentare delle Regioni
e delle Autonomie locali (art. 117 comma 6). Nella prima fase di applicazione e di assestamento di tali innovazioni, anche
in conseguenza della mancata adozione di strumenti di raccordo in grado di favorire l’attuazione di un federalismo improntato alla leale collaborazione, si è, pertanto, quasi fisiologicamente accentuata la divaricazione di opinioni tra Stato e Regioni, con il conseguente accrescimento dei ricorsi alla Corte costituzionale, chiamata sempre più spesso a dirimere i conflitti relativi
alle rispettive potestà normative, tanto che nell’anno 2003 e nei primi dieci mesi del 2004 le sentenze relative alla materia hanno superato la metà del numero complessivo delle sentenze della Corte dello stesso periodo.
Verificando per ambiti e per materie le sentenze della Corte costituzionale sembra possibile ricavare i seguenti principi e le seguenti tendenze interpretative.
RIPARTO DELLE POTESTÀ LEGISLATIVE STATALI E REGIONALI
L’art. 117 ha definito i rispettivi limiti delle potestà legislative statali e regionali determinando, come detto, sicuramente un aumento delle potestà legislative della Regione. Tuttavia la distinzione
operata dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 117 si è dimostrata non sufficiente soprattutto, per quello che riguarda la legislazione concorrente (comma 3), per la mancanza da parte dello Stato dell’emanazione delle leggi relative ai principi fondamentali ai quali la legislazione regionale dovrebbe attenersi.
Inoltre, vi sono numerose materie che, pur appartenendo apparentemente all’uno o all’altro soggetto istituzionale, contengono tuttavia elementi trasversali finendo per essere, a seconda dei casi, di competenza ora dell’uno ora dell’altro
soggetto (o perché contengono elementi che riguardano la tutela di valori riservati allo Stato o perché richiedono, per la loro attuazione, la legislazione regionale).
La loro presenza, pertanto, ha comportato, data la complessità di tali situazioni,
un ricorso massiccio alla Corte costituzionale perché intervenga stabilendo, attraverso l’interpretazione delle norme costituzionali, i limiti ed i confini entro
i quali lo Stato o le Regioni devono muoversi relativamente alle materie oggetto di controversie.
Tutto ciò, soprattutto, in relazione al fatto che le materie riconducibili al terzo
e al quarto comma dell’art. 117 sembrerebbero togliere allo Stato
il potere legislativo su settori assolutamente strategici e che esigono una visione unitaria a livello nazionale (grandi opere infrastrutturali, grandi reti di trasporto
e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, tutela e sicurezza del lavoro etc.), così
III
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come peraltro anche le materie riservate dal comma 2 alla legislazione esclusiva dello Stato possono talvolta erodere
i poteri regionali.
Gli interventi della Corte sembrano tendere perciò a stabilire un riequilibrio nella definizione dei rispettivi ambiti normativi di Stato e Regioni.
Relativamente ai tre commi dell’art. 117
di cui ci stiamo occupando si può operare la seguente suddivisione.
ART. 117 COMMA 2
Per quanto riguarda le eccessive pretese statali ad espandere alcuni ambiti
di legislazione esclusiva, con la sentenza
n. 88/2003, successivamente più volte confermata, la Corte ha chiarito che
il potere previsto dall’art. 117 comma 2 lettera m) attribuito allo Stato,
di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale,
è un vero e proprio potere normativo rientrante nella funzione legislativa esclusiva dello Stato, che deve quindi essere esercitato sulla base di apposite leggi dallo stesso emanate e non preso a generico riferimento per intervenire su qualunque materia.
Sempre al fine di contenere pretese statali di intervento, la Corte con le sentenze
nn. 222/03 e 259/04, affronta la materia “tutela dell’ambiente e dell’eco sistema” precisando che tale tutela è da intendersi come valore costituzionale per il quale
lo Stato ha la potestà legislativa esclusiva per determinare standard e regole
“che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale, senza che ne resti esclusa
la competenza regionale alla cura
di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali”.
Ulteriori elementi per definire i limiti della competenza legislativa statale sono forniti dalla sentenza n. 16/2004.
La sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 10 dell’art. 25 della Legge n. 448/2001 (legge finanziaria del 2002) che prevede l’istituzione presso
il Ministero dell’interno del fondo
per la riqualificazione urbana dei comuni. Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 comma 10 la Corte stabilisce due importanti principi:
- per quanto riguarda le funzioni amministrative la Corte afferma che: “La legge statale non è più competente a determinare le funzioni dei comuni e delle province, né ad attribuire loro le funzioni di interesse esclusivamente locale nelle materie di competenza regionale….ma solo a disciplinare le funzioni fondamentali degli enti locali territoriali (art. 117 secondo comma lett p). Per il resto il legislatore statale può dettare norme nelle sole materie di competenza esclusiva elencate nell’art. 117 secondo comma e principi fondamentali in quelle di competenza concorrente elencate nell’art. 117, terzo comma”;
- per quanto riguarda poi la parte finanziaria la sentenza ricorda che, in base al nuovo articolo 119, “gli enti locali e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa (primo comma) e godono di risorse autonome (secondo comma)” . Le risorse che devono consentire alle Regioni e agli Enti locali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite (art. 119 secondo, terzo e quarto comma) sono: “Tributi ed entrate proprie…compartecipazione al gettito di tributi statali riscossi sul loro territorio e accesso ad un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale, da utilizzarsi senza vincoli di destinazione”.
In questo contesto, afferma la Corte: “non possono trovare spazio interventi finanziari diretti dello Stato a favore
dei comuni, vincolati nella destinazione
…fuori dell’ambito dell’attuazione
di discipline dettate dalla legge statale nelle materie di propria competenza…
e soprattutto non sono ammissibili siffatte forme di intervento nell’ambito di materie e funzioni la cui disciplina spetta invece alla legge regionale”. Fermo restando comunque, dice la Corte, il rispetto
dei principi fondamentali della legge dello Stato relativamente alle competenze concorrenti.
Proseguendo la Corte osserva che ove non fossero osservati i limiti ed i criteri definiti nel riparto costituzionale
delle competenze legislative fra Stato
IV
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e Regioni (nel caso in cui i finanziamenti statali previsti dall’art. 119 comma 5 riguardino ambiti di competenza
delle Regioni, queste devono essere chiamate ad esercitare compiti
di programmazione e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio):
“il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli Enti locali e di sovrapposizione
di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza.”
ART. 117 COMMA 4
Gli interventi della Corte, tesi ad evitare una eccessiva espansione delle competenze esclusive dello Stato (art. 117 comma 2 Cost), si accompagnano ad altri nei quali invece è stata riconfermata l’esclusività della competenza statale, come a
d esempio nella recente sentenza n. 287/2004.
In questa sentenza la Corte ha respinto la tesi regionale - secondo la quale
un provvedimento legislativo dello Stato, relativo alla corresponsione di un assegno per la nascita del secondo figlio, comporterebbe una illecita ingerenza nell’ambito dei servizi sociali - in quanto, dice la Corte, la legge è espressione della tutela previdenziale della maternità e quindi rientrerebbe nella competenza esclusiva statale in tema di previdenza sociale.
La Corte è poi intervenuta anche per chiarire situazioni nelle quali le Regioni, ritenendo di muoversi nell’ambito
della piena potestà legislativa residuale loro attribuita dal quarto comma dell’art. 117, hanno presentato ricorsi alla Consulta contro leggi statali, senza tenere conto che la materia poteva rientrare nell’ambito più ampio
delle materie elencate nel secondo e terzo comma dell’art. 117.
Importante a tale proposito la sentenza
n. 370/2003: “In via generale, occorre inoltre affermare l’impossibilità
di ricondurre un determinato oggetto di disciplina normativa all’ambito
di applicazione affidato alla legislazione residuale delle regioni ai sensi del comma quarto del medesimo art. 117, per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle
materie elencate nei commi secondo
e terzo dell’art. 117 della Costituzione.” La sentenza 370/2003 contiene una serie di precisazioni e principi generali che è importante sottolineare.
La sentenza scaturisce dai ricorsi
di numerose Regioni avverso l’art. 70 della Legge n. 448/2001 (legge finanziaria 2002) che contiene disposizioni in materia di asili nido.
In particolare le Regioni censuravano:
a) l’istituzione di un fondo a destinazione vincolata per la costruzione di asili nido anche presso le strutture lavorative,
b) la parte in cui la legge “riconosce funzioni fondamentali in materia di asili nido allo Stato, oltre che alle Regioni e agli Enti locali”,
c) la parte “in cui la legge demanda
alla conferenza unificata la definizione degli standard minimi organizzativi dei micro-nidi nei luoghi di lavoro istituiti dalle Amministrazioni statali
e dagli Enti pubblici, in quanto tale materia sarebbe riservata alla potestà legislativa residuale delle Regioni”.
La Corte comincia innanzi tutto con il delimitare la competenza relativa alla materia escludendo che
la competenza in via esclusiva spetti
allo Stato sulla base del secondo comma dell’art. 117 cost. sia perché non vi rientra come individuazione espressa, sia perché non vi rientra attraverso il riferimento
ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (in quanto non si possono attribuire
all’art. 70 le caratteristiche sostanziali
e formali che potrebbero farlo rientrare tra gli atti che esprimono tale potere), sia perché non è più invocabile
un interesse nazionale di cui lo Stato debba farsi garante, in quanto tale disciplina è “estranea al disegno costituzionale vigente….e non costituisce più un limite di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa regionale”.
Peraltro, dice la Corte, neppure è accettabile la tesi delle Regioni ricorrenti secondo la quale la disciplina concernente gli xxxxx xxxx xxxxxxx
X
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riconducibile alle materie di legislazione residuale. “Tale ricostruzione, che porterebbe ad escludere radicalmente ogni possibilità di disciplina degli asili nido da parte del legislatore statale, non tiene conto dell’evoluzione legislativa in tema di asili nido, che ha progressivamente assegnato al servizio in esame anche una funzione educativa e formativa…”
In conclusione, secondo la Corte:
“E’ indubbio che, utilizzando un criterio di prevalenza, la relativa disciplina
non possa che ricadere nell’ambito della materia dell’istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare
del bambino), nonché per alcuni profili nella materia della tutela del lavoro, che l’art. 117 terzo comma della Costituzione affida alla potestà legislativa concorrente. L’art. 70 della Legge n. 448/2001 dunque...costituisce indubbiamente esercizio di potestà legislativa concorrente, nell’ambito della quale
il legislatore statale è abilitato
alla determinazione dei relativi principi fondamentali”.
In conseguenza di ciò, in relazione
agli standard minimi organizzativi, la cui definizione la legge attribuisce
alla conferenza unificata, la Corte considera impossibile “negare la competenza legislativa delle singole regioni,
in particolare per la individuazione
di criteri per la gestione e l’organizzazione degli asili, seppure nel rispetto
dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale”.
Per quanto riguarda poi l’istituzione da parte dello Stato di un fondo con destinazione vincolata da attribuire alle Regioni, la Corte accoglie i rilievi delle ricorrenti, in quanto considera la disposizione dell’art. 70, comma 1, in contrasto con il nuovo art. 119
della Costituzione, poiché quest’ultimo: “non ammette fondi statali o risorse aggiuntive a destinazione vincolata,
ad eccezione di quanto previsto dal comma quinto in relazione agli speciali interventi a favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni”.
In base a queste considerazioni la Corte
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale, nei limiti indicati
nella motivazione, dei commi 1, 2, 3, 4, 5 e 8 della Legge n. 448/2001.
Un’altra importante sentenza è la n. 345/2004.
La sentenza è stata emessa decidendo sui ricorsi presentati da alcune Regioni avverso l’art. 24 della Legge n. 289/2002 (legge finanziaria per l’anno 2003) che detta la disciplina in materia acquisizione di beni e servizi da parte delle Regioni
e degli Enti dipendenti strumentali delle stesse. Le Regioni denunciano
la violazione dell’art. 117, quarto comma della Costituzione, in quanto la materia delle acquisizioni di beni e servizi
da parte delle Regioni rientrerebbe nella competenza legislativa residuale
delle Regioni stesse, non potendo, a detta delle ricorrenti, essere ricompressa
nella materia tutela della concorrenza di competenza esclusiva dello Stato.
La Corte ritiene invece che l’art. 24 impugnato sia una norma posta a tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle commesse pubbliche e pertanto rientri
nella competenza esclusiva dello Stato legiferare su tale materia così come prevede il comma 2 dell’art. 117.
Detto questo, però, la Corte riconosce che trattasi “di una competenza trasversale, che coinvolge più ambiti materiali, si caratterizza per la sua natura funzionale e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale”.
Proseguendo però la Corte sottolinea che tale intervento ha un preciso limite,
già indicato nella precedente sentenza
n. 272/2004: “L’intervento del legislatore statale è legittimo se contenuto entro
i limiti dei canoni di adeguatezza
e proporzionalità….la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell’autonomia regionale”.
ART. 117 COMMA 3
Affrontando, infine, il tema della legislazione concorrente la Corte è intervenuta per affermare i seguenti principi:
1) Anche in mancanza di leggi statali sui principi fondamentali le Regioni, per
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legiferare su materie di legislazione concorrente, non devono necessariamente attendere l’emanazione della legge statale, potendo, sulla base del principio
di continuità legislativa, dedurre
i principi generali dalla legislazione vigente; vedi da ultimo la sentenza
n. 255/04 relativa ai beni culturali.
2) Impossibilità per lo Stato di emanare, in tema di legislazione concorrente, discipline di dettaglio e non
di principio; vedi da ultimo le sentenze 12/04 (Interventi in tema di ippoterapia), 13/04 (in tema di organizzazione scolastica) e 196/04
(in tema di condono edilizio).
3) Illegittimità di leggi regionali che violino le leggi statali che contengono i principi fondamentali in materie di legislazione concorrente; vedi tra le altre la sentenza n. 166/04 relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 2 della Legge regionale n. 20 della Regione Xxxxxx, in relazione alla utilizzazione degli animali ai fini sperimentali e scientifici.
4) Leale collaborazione tra enti.
La Corte ha affermato che in tema di legislazione concorrente
il problema maggiore è quello
di garantire una piena collaborazione tra i diversi legislatori operanti nell’ordinamento repubblicano e che pertanto l’esercizio del potere legislativo da parte dello Stato
e delle Regioni: “Dovrà improntarsi
al principio di leale collaborazione tra enti parimenti costitutivi della repubblica (art. 114 comma 1 Cost)”, come specifica la sentenza n. 228/04.
Sempre in tema di legislazione concorrente la sentenza n. 260/04 ribadisce quanto già stabilito nella precedente sentenza n. 4/04 della Corte. La Regione Xxxxxx Xxxxxxx aveva impugnato numerose disposizioni della Legge n. 289/02 (finanziaria 2003) tra
le quali, in particolare, l’art. 33, comma 4, nella parte in cui stabilisce che i Comitati di settore, in sede di deliberazione
degli atti di indirizzo previsti dall’art. 47 comma 1 del D.Lgs. n. 165/01,
“si attengono ai criteri previsti per
il personale delle amministrazioni di cui al comma 1 del presente articolo
e provvedono alla quantificazione
delle risorse necessarie per l’attribuzione
dei medesimi benefici economici individuando le quote da destinare all’incentivazione della produttività”.
La ricorrente premetteva che per
il comparto Regioni-Autonomie locali, il Comitato di settore cui spetta
di esercitare il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN, è costituito nell’ambito della Conferenza
dei Presidenti delle Regioni, per
le amministrazioni regionali, mentre
per gli Enti locali è costituito nell’ambito dell’Associazione nazionale dei comuni d’Italia - ANCI e dell’Unione
delle province d’Italia – UPI
e dell’Unioncamere, per gli enti locali rispettivamente rappresentati.
La stessa norma prevede poi che “gli atti di indirizzo delle amministrazioni diverse dallo Stato sono sottoposti al Governo che, non oltre 10 giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene
gli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale”. Sulla base di tale normativa
la Regione ricorrente riteneva che il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN, per quello che riguarda i contratti collettivi nazionali
del personale regionale e degli enti locali, spetta “alle Regioni e agli enti locali senza interferenze da parte dello Stato
e la materia rientra ora nella potestà regionale piena”.
Né, dice la ricorrente, è possibile invocare a sostegno della tesi contraria la competenza statale in materia
di “Coordinamento della finanza pubblica”. Inoltre argomentava:
“gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali relativi al personale regionale ricadono sulle stesse regioni…sicché destinare maggiori o minori risorse alla spesa
del personale o ad altri scopi è questione di politica regionale che non incide
sulle finanze statali.
D’altro canto, la competenza in materia di coordinamento della finanza non può legittimare lo Stato a dettare qualsiasi norma indirizzata a porre un freno
alla spesa pubblica, se non a costo di vanificare l’autonomia legislativa
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e finanziaria che la costituzione assicura alle regioni”.
Un altro motivo di incostituzionalità veniva poi ravvisato nel fatto che
la norma impugnata sarebbe una norma di dettaglio e in quanto tale illegittima, perché vincola i Comitati di settore non solo ad attenersi ai criteri previsti
per il personale statale, ma anche ad attribuire ai dipendenti regionali gli stessi benefici economici stabiliti per i dipendenti dello Stato.
La norma quindi violerebbe gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
La Corte, nella sua decisione, ribadisce quanto già detto nella precedente sentenza n. 4/2004 e osserva che:
“la previsione secondo la quale i Comitati di settore, in sede di deliberazione
degli atti di indirizzo, si attengono ai criteri indicati per il personale dipendente dallo Stato, costituisce legittimo esercizio del potere di
coordinamento della finanza pubblica, in quanto fissa – in linea con gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria – principi fondamentali volti
al contenimento della spesa corrente, che rientrano nella competenza
della legislazione statale”.
POTERI SOSTITUTIVI
I poteri sostitutivi statali sono quelli disciplinati dagli artt. 117 quinto comma e 120 secondo comma della Costituzione, oltre che quelli previsti dagli statuti speciali per le fattispecie da essi disciplinate.
A loro volta i poteri sostitutivi regionali possono essere previsti in via generale nei rispettivi statuti, oppure in via speciale da singole leggi regionali e si esercitano nei confronti degli enti
sub-regionali.
Nell’ambito dei poteri sostitutivi, con riferimento alla specificità delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome, la sentenza n. 236/2004
della Corte costituzionale ha chiarito che i poteri sostitutivi previsti dall’art. 120 secondo comma della Costituzione si applicano ad esse per le funzioni ulteriori
attribuite dal nuovo titolo V, ma che, poiché il concreto trasferimento di tali funzioni ulteriori deve essere ancora effettuato dalle norme di attuazione degli statuti speciali, tale disciplina
in concreto non è operante e pertanto continuano ad applicarsi gli specifici poteri sostitutivi (statali) previsti
dai rispettivi statuti, con riferimento alle competenze che ad oggi sono in essi disciplinate.
Con l’importantissima sentenza
n. 240/2004 la Corte stabilisce una serie di indicazioni in materia di potere sostitutivo.
In particolare stabilisce che tale potere deve essere:
1) disciplinato con legge;
2) tale legge deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali,
3) la legge deve limitare la sostituzione agli atti privi di discrezionalità nell’an,
4) l’esercizio del potere sostitutivo spetta ad un organo di governo o deve essere esercitato sulla base di una sua decisione,
5) la legge infine deve contenere garanzie procedimentali che siano coerenti con il principio di leale collaborazione.
Da tale sentenza della Corte sembra derivare un concetto di potere sostitutivo inteso come categoria giuridica ricomprendente una varietà di poteri sostitutivi coordinati, tali da costituire
un vero e proprio sistema finalizzato alla garanzia dell’”unità repubblicana”.
Il potere sostitutivo, inoltre, rappresenta - esercitandosi in base all’art. 120 cost. secondo comma primo periodo, nei casi di “mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica
e di unità giuridica, di unità economica e di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” - una deroga alla ripartizione ordinaria
delle competenze fra Stato ed Autonomie locali, al fine di assicurare effettività
alla garanzia delle esigenze unitarie della Repubblica, così come stabilito dalla sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale.
La Costituzione prevede l’esercizio
dei poteri sostitutivi esclusivamente da parte del Governo (art. 120 cost comma 2).
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Dice la Corte che tra i poteri sostitutivi del Governo non rientra quello
di legiferare negli ambiti rimessi alla potestà legislativa concorrente
delle Regioni se le Regioni non hanno emanato una loro disciplina della materia. Il legislatore statale ha solo la competenza esclusiva a definire, così come la Corte
ha ribadito più volte, da ultimo anche con la stessa sentenza 240/04, i presupposti sostanziali e procedurali per l’esercizio del potere sostitutivo, quindi lo Stato
non può intervenire direttamente
con legge in sostituzione di singoli atti di competenza degli Enti locali.
Diverso dal potere sostitutivo di cui si parla è il caso previsto dall’art. 118 primo comma della Costituzione che prevede che lo Stato, in via sussidiaria, può attrarre a livello statale funzioni amministrative
di spettanza di Enti regionali o locali; questo avviene, spiega la Corte,
in considerazione del fatto che allo Stato spetta la funzione di garanzia delle istanze unitarie della Repubblica e costituisce
una deroga al riparto previsto dall’art. 117 terzo comma (sentenza n. 274/03).
Per tale motivo questo potere può essere esercitato solo con legge e sulla base
di una previa intesa con le Regioni
e le Province interessate. In questo caso l’esercizio della funzione amministrativa locale diventa statale, invece nel caso
di intervento sostitutivo la competenza all’adozione dell’atto rimane dell’ente sostituito.
Il potere sostitutivo del Governo previsto dall’art. 120 secondo comma è esclusivamente successivo e può essere attivato laddove il Governo abbia verificato l’inefficacia dell’azione di organi di Enti locali in rapporto ai valori unitari indicati nello stesso articolo.
Per le Regioni e Province autonome invece l’intervento sostitutivo si applica in base all’art. 117 comma quinto (sentenza 303/2003).
Quindi, in base all’art. 120 secondo comma della Costituzione, il potere sostitutivo deve ritenersi applicabile solo nel caso in cui singoli organi degli enti non abbiano correttamente applicato
il diritto comunitario o internazionale, ma sempre in presenza di una normativa regionale o provinciale di esecuzione
o attuazione, o in ipotesi di mancata attuazione in via amministrativa del diritto comunitario.
Il Governo può però adottare solo leggi di procedura che disciplinino le modalità di esercizio di tale potere, quali
ad esempio la nomina di un commissario ad acta, ma non può mai emanare leggi di merito sulla materia di competenza regionale.
Un ulteriore limite è stato poi evidenziato dalla Corte laddove, ancora nella sentenza 240/04, stabilisce che la sostituzione deve riguardare il compimento di atti o attività prive di discrezionalità nell’an.
In questo senso e con questi limiti va letto anche l’art. 8 comma 1 della Legge
n. 131/2003 di attuazione del nuovo titolo V, laddove parla di “provvedimenti necessari, anche normativi”.
Stabilisce poi l’art. 120 che tale potere sostitutivo deve essere esercitato
nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione, pertanto
la competenza resta sempre in capo all’organo che è titolare della funzione. Concludendo, il Governo non può esercitare direttamente, attraverso una legge, il potere sostitutivo, ma potrà solo, attraverso una legge, determinare
le modalità con cui può esercitare tale potere.
Per quanto riguarda poi i poteri sostitutivi delle Regioni, la loro legittimità è stata riconosciuta dalla Corte in varie sentenze, prima fra tutte la n. 43/2004.
La Corte parte dalla constatazione che il potere sostitutivo previsto dall’art. 120 non smentisce la consolidata tradizione legislativa che ammetteva la possibilità
di interventi sostitutivi ad opera di organi regionali nei confronti degli enti locali,
il suddetto articolo infatti non esclude la legittimità di tali interventi se fatti
da organi di governo della Regione verso organi di governo locali; la natura
dei poteri sostitutivi è pertanto amministrativa.
I poteri sostitutivi di cui all’art. 120 comma 2 non sono, perciò, solo quelli
del Governo, ma anche quelli dei governi regionali, qualificati da leggi regionali, secondo
il modello previsto nell’articolo stesso. Nella sentenza n. 43/04 la Corte stabilisce anche i criteri in base ai quali tali poteri
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possono essere esercitati, si tratta dei medesimi criteri ripresi poi nella sentenza 240/04 per l’esercizio del potere sostitutivo da parte
del Governo, in tal modo la Corte assimila in una categoria unitaria tanto
i poteri sostitutivi statali che quelli regionali. Infatti, il potere sostitutivo:
1) deve essere esercitato da un organo di governo (statale o regionale);
2) deve essere definito con una legge che ne stabilisca i presupposti sostanziali e procedurali e che al contempo preveda congrue garanzie procedimentali per il suo esercizio in conformità al principio di leale collaborazione;
3) la sostituzione deve riguardare atti o attività privi di discrezionalità nell’an.
Le norme costituzionali in materia
di poteri sostitutivi devono quindi essere considerate eccezionali e messe in atto con procedure contenenti gli opportuni contrappesi che garantiscano il rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione (art. 120 secondo comma cost.) e con la partecipazione
dell’ente sostituito.
A conclusione bisogna sottolineare che l’esercizio dei poteri sostitutivi non può mai derogare il riparto di competenze stabilito dall’art. 117 della Costituzione.
ARTICOLO 117 COMMA 5 DELLA COSTITUZIONE
L’art. 117 comma 5 prevede per lo Stato (e non per il Governo o i suoi organi) un potere sostitutivo con natura diversa dai precedenti, qui infatti lo Stato interviene in via sostitutiva mediante
lo strumento normativo.
Laddove la Regione o le Province autonome non abbiano provveduto con loro norme a dare attuazione
o esecuzione ad accordi internazionali
o comunitari, lo Stato, che è il garante dell’attuazione ed esecuzione di tali accordi, supplisce a tale inerzia con proprie norme, che resteranno in vigore
solo fino a che la Regione o la Provincia non abbiano emanato una loro disciplina in materia. Successivamente, in base
al principio di cedevolezza, la normativa statale perderà la sua efficacia.
Quanto previsto dall’art. 117 quinto comma è per la Corte l’unico caso in cui si possa derogare, ma solo temporaneamente, al riparto di competenze stabilito dal 117 stesso, l’unico caso in cui lo Stato si possa appropriare, con “competenza legislativa”, delle “competenze regionali”.
GLI STATUTI
Per quanto riguarda gli statuti, l’art. 123 cost. ne determina il contenuto, ma solamente per quanto riguarda quelli regionali, tuttavia è da ritenere che anche per gli enti locali la materia statutaria corrisponda a quella delineata dall’art.
123.
Sugli statuti degli enti locali è intervenuta la Legge n. 131/03 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, c.d. legge La Loggia) che ne stabilisce i contenuti, che sono appunto quelli indicati dall’art.123 cost., e stabilisce (art. 4, comma 2) che tali statuti debbono rispettare quanto previsto dalla legge di attuazione dell’art. 117, comma 2, lett. p), per la quale l’art. 2 della Legge 131/03 ha dettato i principi
e di criteri direttivi per la delega al governo. Gli statuti devono determinare la forma di governo e i principi fondamentali
di organizzazione e funzionamento dell’ente, nel fare questo devono rispettare la Costituzione ed i principi generali in materia di organizzazione pubblica (art. 97 della Costituzione).
I regolamenti poi disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento degli enti, ma sempre nel rispetto
degli statuti che sono fonte sovraordinata.
In particolare, la Corte costituzionale
si è occupata degli statuti con le sentenze 313/2003, 196/2003 e 2/2004, con cui ha stabilito che gli statuti non hanno come limite solamente il rispetto delle norme costituzionali, ma anche l’armonia
con la Costituzione, da intendere come necessaria, piena coerenza del testo statutario con i principi ed i valori costituzionali.
Questo non significa non riconoscere l’ampiezza delle possibilità di intervento della fonte statutaria, tanto che la già citata sentenza 2/2004 stabilisce:
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“la legittimità dell’esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali, di altri possibili contenuti,
sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti delle regioni, sia che indichino aree di priorità di intervento politico o legislativo”, sempre che, comunque, tali determinazioni statutarie consistano in principi direttivi e non
in puntuali disposizioni.
Con la suddetta sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli dello statuto
della Regione Calabria.
E’ interessante sottolineare che, essendo stati dichiarati illegittimi articoli relativi
a parti essenziali dello statuto stesso,
la Regione ha ritenuto di dover ricominciare il procedimento di formazione
dello statuto, fin dalla prima approvazione, da parte del Consiglio regionale.
La strada seguita dalla Regione sembra, in questo caso, l’unica che non si presta a possibili censure.
Resta invece da vedere quale strada potrà essere percorribile nel caso in cui
la censura di illegittimità costituzionale sia relativa a parti non essenziali dello statuto.
IL NUOVO ASSETTO DELL’AMMINISTRAZIONE
Con il nuovo titolo V il legislatore ha pienamente attuato (art. 114, comma 2) il principio dell’autonomia per quanto
riguarda il versante dell’amministrazione, affermando inequivocabilmente
il concetto della pluralità organizzativa e il principio della parità istituzionale di tutte le organizzazioni di governo presenti sul territorio (Stato ed enti
di governo territoriale come regioni, province, comuni, città metropolitane). Lo Stato, quindi, è solo una delle organizzazioni di governo anche se, essendo deputato a governare interessi di dimensione nazionale, mantiene connotazioni peculiari identificabili in:
- estensione delle materie attribuitegli come legislazione esclusiva;
- carattere di generalità e di possibile trasversalità delle materie di cui sopra;
- titolarità del potere di scioglimento degli organi di governo delle regioni (art. 126);
- titolarità del potere sostitutivo
sull’attività amministrativa;
tutti quei poteri, insomma, che, come dice la sentenza n. 274/03 della Corte costituzionale “sono necessari a tutelare l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento”.
Anche tra gli enti del governo territoriale, peraltro, pur essendo scomparsa la forte differenziazione preesistente, può essere rintracciata una distinzione, in quanto soltanto alle regioni è stata attribuita
la potestà legislativa.
Mentre la Costituzione stabilisce quali sono gli aspetti organizzativi di Stato e Regioni, nulla dice riguardo agli altri
enti territoriali, demandando alla legge attuativa dell’art. 117, comma secondo, lettera p), tale disciplina e quindi, in sua mancanza, l’unico riferimento a tali aspetti organizzativi è costituito dal D.Lgs.
n. 267/00 (Testo Unico degli enti locali).
Giova ancora una volta ricordare che il nuovo testo del titolo V limita fortemente la potestà regolamentare dello Stato, in particolare, attribuendo
alle Regioni la potestà regolamentare per tutte le materie di legislazione concorrente e per quelle di legislazione residuale. Lo Stato mantiene perciò
le materie di legislazione esclusiva salvo delega alle Regioni.
Questa situazione va ad impattare
in particolare con l’emanazione, da parte dello Stato, delle leggi annuali di semplificazione procedimentale e di delegificazione, stante il fatto che molte delle materie oggetto di tali leggi non rientrano in quelle previste dall’art. 117, comma 2, come competenza esclusiva dello Stato. Ne consegue che, materie non elencate nell’art. 117, comma 2, devono essere escluse dalla potestà legislativa del Governo, in quanto deve essere garantita alle Regioni la capacità di avviare proprie politiche di semplificazione e delegificazione.
Sulla materia è prevedibile, pertanto, un ampio contenzioso.
L’esame delle molte sentenze citate ha consentito di individuare alcune tendenze, ma anche una serie di principi che la Corte ha enunciato al fine
di chiarire una materia complessa
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e spesso confusa, in particolare per quanto riguarda la delimitazione delle competenze (legislative e regolamentari) fra le varie istituzioni che compongono la Repubblica.
Ripetutamente, in molte sentenze,
la Corte ha rimarcato la necessità di dare seguito a quanto previsto dal nuovo Titolo V della Costituzione circa l’introduzione di norme attuative, di norme che stabiliscano principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente e di strumenti di raccordo, anche istituzionali, la cui mancanza ha reso finora difficoltosa l’attuazione
di un federalismo cooperativo e improntato al principio di leale collaborazione.
Tutto ciò ha reso la Corte unico strumento per la risoluzione di numerosi conflitti che sarebbero potuti non insorgere, nel caso in cui si fosse provveduto ad attuare quanto appunto già previsto nel titolo V riformulato: esecuzione delle lettera p) dell’art. 117, secondo comma; norme sui principi fondamentali, art. 117 comma 3; definizione delle norme di procedura relativamente all’esercizio del potere sostitutivo, in via normativa, dello Stato nei confronti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, art. 117 comma 5; disciplina delle forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h), secondo comma, art. 117; disciplina
di forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali,
art. 118, comma 3; istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, art. 119, comma 3; emanazione della legge
sui principi generali per l’attribuzione agli enti territoriali di un proprio patrimonio (federalismo fiscale), art. 119, comma 6; la modifica dei regolamenti parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica per prevedere la partecipazione
dei rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli Enti
locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali (prevista dall’art. 11, comma 1, della Legge cost. n. 3/2001
“Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”).
A conferma della complessità
della questione basti ricordare il grande numero di sentenze, sulla materia, emanate dalla Corte negli ultimi due anni, così come già ricordato in premessa.
Né la situazione sarà resa più semplice dagli ulteriori cambiamenti che sono attualmente in corso di approvazione presso il Parlamento che, in alcune norme, reintroducono nuovamente principi cancellati come ad esempio l’interesse nazionale (che nel precedente ordinamento era stato uno dei principali motivi del contenzioso Stato/Regioni, stante anche la genericità della locuzione); inoltre, per quanto riguarda il riparto delle competenze
e l’introduzione di strumenti istituzionali di raccordo, le innovazioni che si stanno discutendo non paiono essere tali
da sciogliere dubbi interpretativi, né da eliminare i motivi del contendere.
Xxxxx Xxxxxx
Funzionario ARAN
Xxxxxxx Xxxxxx
Dipendente ARAN
Bibliografia:
Sentenze della Corte costituzionale:
anno 2003: 88 – 196 – 222 – 274 – 303 – 313 – 370
anno 2004: 2 – 4 – 12 – 13 – 16 – 43 – 166 - 196 –
228 – 236 – 240 – 255 – 259 – 260 – 272 –287 - 345
- Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx: “Normazione e amministrazione nel nuovo assetto costituzionale dei pubblici poteri” in paper di Asdrid: “La riforma del titolo V della costituzione e i problemi della sua attuazione”
- Xxx Xx Xxxxxx: “Il sistema delle fonti: il riparto della potestà normativa tra Stato e Regioni” Relazione svolta al 50° convegno di studi amministrativi dedicato all’attuazione del titolo V della Costituzione. Varenna settembre 2004.
- Xxxxx Xxxxxxxx: “Note sul potere sostitutivo nella giurisprudenza della Corte Costituzionale” Relazione svolta al 50° convegno di studi amministrativi dedicato all’attuazione del titolo V della Costituzione. Varenna settembre 2004.
- Xxxxxxx Xxx: “E se la Corte costituzionale dichiarasse illegittimi gli Statuti regionali? Problemi del dopo” in forum costituzionale 7 novembre 2004
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