Milano, Corso Europa, 11 – 17 giugno 2015
S.A.F.
SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE XXXXX XXXXXXX
Le principali modifiche al rapporto di lavoro nel Jobs Act
Xxxx. Xxxxx Xxxxxxx
Commissione Lavoro ODCEC Xxxxxx
Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, 00 – 17 giugno 2015
Le collaborazioni coordinate e continuative
Le nuove collaborazioni coordinate e continuative: un ritorno al passato
Le collaborazioni a progetto sono abrogate!
D.Lgs. 276/2003, Titolo VII TIPOLOGIE CONTRATTUALI A PROGETTO E OCCASIONALI
Capo I Lavoro a progetto e lavoro occasionale – gli artt. da 61 a 69bis sono abrogati
Le collaborazioni non subordinate o a partita iva possono esistere ma non devono svolgersi con le stesse modalità con cui si svolgono le prestazioni dei lavoratori dipendenti ossia devono essere
<<prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative di contenuto non ripetitivo e con modalità di esecuzione non eterodirette dal committente>>
Come disincentivo si evidenzia il costo contributivo, ormai sostanzialmente parificato a quello dei lavoratori subordinati.
Aliquote per il 2015:
– Soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie il 30,72% (30 IVS + 0,72 aliquota aggiuntiva)
– Soggetti titolari di pensione (diretta e indiretta) o assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie:
23,50%
– Aumenti progressivi già stabiliti
• 2016: 31,72% e 24,00%; 2017: 32,72% e 24,00%; 2018: 33,72% e 24,00%
Inoltre, in caso di non genuinità del contratto di collaborazione, è automatica la trasformazione in lavoro a tempo indeterminato
Conseguenze applicative
A partire dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). A partire dal 1° gennaio 2016 ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed eterodiretti dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato.
Possibilità di sanatoria per le posizioni attive sottoscrivendo un accordo “tombale” in sede protetta e vincolo di dodici mesi senza possibilità di recesso del datore di lavoro dalla data di assunzione.
Secondo il decreto permane la collaborazione coordinata e continuativa solo nei seguenti casi:
a) le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; (primo esempio l’Accordo quadro per le aziende operanti nel settore delle agenzie di marketing operativo).
b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
c) le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
In attesa del riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, quanto disposto dal comma 1 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni fino al 1° gennaio 2017.
Vengono superati ossia aboliti: i contratti di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro ed il job sharing.
Capire la collaborazione coordinata e continuativa: normativa di riferimento
Art. 2094 c.c. - Prestatore di lavoro subordinato
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.
Art. 2222.
Contratto d'opera.
Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV (obblighi di fare non fare permettere)
Art. 1655 c.c. è appaltatore chi si obbliga al compimento di un’opera o di un servizio «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio»
Art. 409 - Controversie individuali di lavoro
1. Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a:
1) rapporti di lavoro subordinato privato [ c.c. 2094, 2099 ss., 2126, 2135 ], anche se non inerenti all'esercizio di una impresa [ c.c. 2082, 2239 ];
2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria [ c.c. 2141, 2164 ], di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto [ c.c. 1647 ], nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie;
3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale [ c.c. 1742, 2209 ] ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato [ivi comprendendo: c.c. 230bis –COLLABORATORI DELL’IMPRESA FAMILIARE-
, 2203 –INSTITORE-];
4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica [ c.c. 2093, 2129, 2201, 2221 ];
5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice.
La definizione di “lavoratore” nelle norme sulla sicurezza e igiene sul lavoro
➢D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547: Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro:
➢ Art. 3 - Definizione di lavoratore subordinato - Agli effetti dell'art. 1, per lavoratore subordinato si intende colui che fuori del proprio domicilio presta il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione altrui, con o senza retribuzione, anche al solo scopo di apprendere un mestiere, un'arte o una professione.
➢ Sempre agli effetti dell'art. 1 sono equiparati ai lavoratori subordinati:
➢ a) i soci di società e di enti in genere cooperativi, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi;
➢ b) gli allievi degli istituti di istruzione e di laboratori-scuola nei quali si faccia uso di macchine, attrezzature, utensili ed apparecchi in genere.
➢ Decreto Legislativo n° 626 del 19/09/94
➢ Art. 2. - Definizioni.
➢ 1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intendono per:
➢ a) lavoratore: persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari, con rapporto di lavoro subordinato anche speciale. Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzione ed universitari, e i partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparecchi ed attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici. I soggetti di cui al precedente periodo non vengono computati ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il presente decreto fa discendere particolari obblighi;
➢ D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81
➢ Articolo 2 - Definizioni 1. Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si intende per: a) «lavoratore»: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549, e seguenti del Codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della Legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle Leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni;
Forma del contratto: non era necessaria la forma scritta per un contratto di collaborazione occasionale (o mini xx.xx.xx.), come non occorreva osservare le tutele minime contrattuali previste a proposito delle collaborazioni coordinate e continuative.
Comunicazioni obbligatorie L’obbligo di comunicazione sussisteva anche con riferimento alle collaborazioni occasionali di cui all’art. 61, c. 2, D.Lgs. n. 276/2003. Infatti per l’instaurazione delle cosiddette mini xx.xx.xx. andava fatta la comunicazione obbligatoria telematica anticipata e dovevano essere registrate sul Libro unico del lavoro.
La norma pare eliminare alla radice la collaborazione coordinata e continuativa come la conosciamo, riportando qualsiasi prestazione non di lavoro subordinato né di lavoro autonomo a quanto disciplinato dall’art. 2222 c.c. ossia al contratto d’opera (con alcune esclusioni ben determinate).
Vi è lavoro autonomo quando la persona esercita un’attività con abitualità e prevalenza che può manifestarsi come attività di genere intellettuale o d’impresa.
Vi è lavoro subordinato quando sussiste un elemento di base che più di altri ne evidenzia le caratteristiche:
L’ETERODIREZIONE
Essa viene rappresentata dal potere del datore di lavoro, non solo disciplinare, ma anche di intervenire in ogni momento sulle modalità di svolgimento della prestazione in quanto il lavoratore è inserito a pieno titolo nell’organizzazione aziendale e per questo il datore di lavoro determina il necessario coordinamento spaziale e temporale del suo lavoro con gli altri fattori produttivi da esso organizzati
Nel mezzo permane la cosiddetta “parasubordinazione”.
L’art.50 TUIR 917/86, comma 1, let. c-bis.
Il disposto normativo, dopo aver indicato le XX.XX.XX, tipiche ed atipiche, ed averle considerate “redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente”, espressamente stabilisce l’”assorbimento” delle XX.XX.XX. nel reddito di lavoro autonomo se gli uffici e le collaborazioni rientrano nell’oggetto dell’arte o della professione. Conseguentemente, per tali XX.XX.XX verrà meno la qualificazione di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
Con la C.M. 58/E 2001/64644 del 18/06/2001, l’Agenzia Entrate, ha affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno connessione tra l’attività di collaborazione e quelle di lavoro autonomo esercitata bisognerà valutare se per lo svolgimento dell’attività siano necessarie conoscenze di carattere tecnico/giuridico direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo esercitata.
e siccome l’Art. 53 - Redditi di lavoro autonomo stabilisce che
1. Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorche' non esclusiva, di attivita' di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l'esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell'articolo 5.
parrebbe potersi aspettare che se una persona esercita abitualmente un certo tipo di prestazione coordinate e continuativa, possa trovare applicazione automatica, non più l’art. 50 ma l’art. 53 del TUIR con conseguente possibile assoggettamento alle norme in materia di IVA, oppure essere considerato dipendente, salvo che la prestazione sia di carattere occasionale , estemporaneo.
Contratto di lavoro ai sensi dell’art. 2222 cod. civ.: approfondimento
Il contratto di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. si caratterizza per lo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo di tipo occasionale. Si può parlare di contratto di prestazione occasionale d’opera nelle ipotesi in cui un soggetto, verso un corrispettivo, si impegna a compiere un’opera o un servizio prevalentemente attraverso il proprio lavoro e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Il prestatore d’opera, pertanto, svolge la propria attività lavorativa in modo completamente autonomo, senza alcuna continuità nella esecuzione delle prestazioni, senza alcun coordinamento con l’attività del committente e senza alcun inserimento funzionale nell’organizzazione aziendale. La prestazione d’opera occasionale, infatti, si caratterizza per: • assenza di vincoli di orario; • libertà nella scelta delle modalità tecniche di esecuzione del lavoro da parte del lavoratore; • raggiungimento di un risultato; • compenso determinato in funzione dell’opera eseguita o del servizio reso e privo pertanto del carattere della periodicità; • assunzione del rischio economico da parte del lavoratore; • non necessariamente impiego di mezzi organizzati; • unicità e saltuarietà della prestazione: il lavoratore riceve un unico incarico, anche se l’assolvimento del medesimo richiede il compimento di una serie di atti in un certo arco temporale.
Conclusione
Di primo acchito sembra che l’unica forma di collaborazione possibile (a parte ovviamente quelle escluse dalle nuove norme) possa rimanere solo quella occasionale sottoposta alle regole stabilite dall’art. 2222 c.c. ossia il contratto d’opera; se così fosse ne conseguirebbe che i redditi ottenuti devono essere assoggettati alle norme dell’art. 67, comma 1, lettera l del TUIR (redditi derivanti da attivita' di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere;). Questo però porrebbe un problema importante per il mancato coordinamento con le norme sull’assicurabilità di questi prestatori all’Inail, privandoli di una importante tutela per loro non prevista (nota Inail n.8820/2009). Per questo tipo di prestazioni permane l’obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps, mantenendo la fascia di esenzione contributiva (e quindi di iscrizione) fino a 5mila euro annui complessivi; non sussiste obbligo di comunicazione preventiva al Centro per l’Impiego e obbligo di iscrizione nel libro unico del lavoro.
Attenzione però agli abusi in quanto permane la maxisanzione per lavoro nero qualora in sede di ispezioni il rapporto possa essere riconfigurato come lavoro dipendente.
Il lavoro accessorio e a chiamata
Viene di nuovo riscritto l’articolo 46-bis della Legge (Fornero) n. 134 del 7 agosto 2012 che a sua volta aveva sostituito integralmente l’art. 70 del D.Lgs. n. 276/2003 (Riforma Biagi), apportando le seguenti modifiche:
➢Innalzamento a 7.000 euro per anno civile (si tratta di un valore netto), del limite massimo dei compensi
➢Possibilità di Lavoro Accessorio anche per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, nel limite complessivo di 3000 euro di compenso per anno civile
➢Divieto del Lavoro Accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi
➢Acquisto dei buoni lavoro: • committenti imprenditori o professionisti - esclusivamente con modalità telematiche • per i privati - anche presso le rivendite autorizzate
➢Valore nominale dei buoni orari resta fissato in 10 euro
➢Per imprenditori e professionisti: obbligo di comunicare alla DTL, prima dell'inizio della prestazione, con modalità telematiche (anche attraverso sms o posta elettronica): • i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore • il luogo della prestazione ed il periodo che non può essere superiore a 30 giorni
➢Restano validi fino al 31/12/2015 i buoni già acquistati alla data di entrata in vigore del decreto
➢Per la Pubblica amministrazione resta vigente quanto disposto dal D.Lgs. N. 165/2001
➢Resta incluso il contributo Inps alla gestione separata pari al 13% e l’assicurazione Inail pari al 7%, nonché l’esenzione dall’Irpef
➢I vauchers sono utilizzabili in tutti i settori per qualsiasi attività purché, ovviamente, di carattere occasionale
INPS: messaggio 5000/2014 – Lavoro accessorio – nuova procedura telematica
Pubblicato il 29 mag 2014
L’Inps, con il messaggio n. 5000 del 29 maggio 2014, fornisce le indicazioni operative per la gestione della telematizzazione delle procedure di inoltro delle domande, di accesso e di gestione delle richieste provenienti dai committenti di un rapporto di lavoro accessorio.
La procedura telematica, denominata FastPOA, è strutturata in modo da rendere più facile e immediata la gestione delle operazioni fondamentali di utilizzo dei voucher virtuali, quali la registrazione dei prestatori, la dichiarazione di inizio prestazione e la consuntivazione di compensi, attraverso una modalità che guida l’operatore nelle diverse fasi di gestione.
La caratteristica principale della procedura è quella di consentire una gestione organizzata per liste di prestatori, con riferimento alle quali si può effettuare sia l’inserimento delle prestazioni di lavoro (con contestuale invio della comunicazione di inizio prestazione all’INAIL) che la consuntivazione di tutti i rapporti di lavoro relativi ai lavoratori inseriti nella lista, tramite un’unica operazione.
Inoltre, la procedura FastPOA consente, tramite alcune utility, di inserire in maniera autonoma e preventiva le tipologie di prestatori e i luoghi dove verranno svolte le prestazioni lavorative.
La nuova procedura si affianca alla procedura telematica ‘ordinaria’; in una prima fase di sperimentazione è resa accessibile a committenti e a loro delegati che ne facciano richiesta all’Istituto.
L’abilitazione per la nuova procedura va richiesta, indicando il codice fiscale/ partita IVA del committente e l’eventuale codice fiscale del delegato, obbligatorio per i committenti persone giuridiche, inoltrando una mail alle caselle di posta dei referenti regionali del lavoro accessorio, reperibili sul sito istituzionale.
La procedura sul sito xxx.xxxx.xx è raggiungibile dal percorso Servizi OnLine -> Elenco di tutti i servizi -> Lavoro Accessorio - Committenti/Datori di lavoro (Accesso con PIN) oppure Lavoro Accessorio - Consulenti associazioni e delegati (Accesso con PIN). Il manuale della procedura è reperibile sul sito xxx.xxxx.xx nella sezione Utilizzare i Buoni Lavoro.
Per accedere alla procedura FastPOA è necessario:
per i committenti, persone fisiche: essere titolari di un proprio PIN. Nella prima fase sperimentale i committenti dovranno essere abilitati secondo quanto indicato nel paragrafo precedente;
per i delegati: essere muniti di un proprio PIN ed essere in possesso di una delega ad operare. Nella prima fase sperimentale i delegati dovranno essere abilitati secondo quanto indicato nel paragrafo precedente.
Dopo la verifica del PIN inserito, l’utente accederà al menù principale del lavoro accessorio dove troverà il link alla procedura FastPOA.
Ricordiamo che è un contratto con cui il lavoratore “si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa” i limiti dettati dall’articolo 12 dello stesso decreto:
ART. 12
(Casi di ricorso al lavoro intermittente)
1. Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, anche con riferimento alla possibilità di stipulare tale contratto in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo, all’individuazione dei casi di utilizzo del lavoro intermittente si provvede con decreto non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
2. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con più di 55 anni di età e con meno di 24 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età.
3. In ogni caso, con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
4. È vietato il ricorso al lavoro intermittente:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario, in regime di cassa integrazione guadagni, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
c) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 28 e seguenti del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni.
Il decreto riscrive la normativa apportando poche modifiche.
➢ Estensione a tutti i datori di lavoro (e non solo alle imprese) del divieto di ricorrere al lavoro intermittente nel caso in cui non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della normativa vigente.
➢ Previsione dell’obbligo per il datore di lavoro di informare le RSU/RSA sull’andamento del ricorso al lavoro intermittente.
➢ In caso di contratto con «indennità di disponibilità», non viene riportata la regola del del risarcimento del danno (nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro) da parte del lavoratore nel caso in cui rifiuti, senza giustificazione, di rispondere alla «chiamata».
Gli artt. da 11 a 16 dello schema di decreto prevedono la conferma integrale dell’istituto come era già disciplinato dal d.lgs. n. 276/2003 (come modificato dalla legge n. 92/2012 e dal d.l. n. 76/2013, convertito dalla legge n. 99/2013).
➢ vengono confermate le causali oggettive e soggettive con i limiti anagrafici attualmente previsti (24 e 50 anni)
➢ si rinvia ai contratti collettivi la regolamentazione delle ipotesi di lavoro intermittente per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno.
➢ viene confermato anche il limite delle 400 giornate lavorative in 3 anni (ad eccezione dei settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo, come specificati dal Ministero del Lavoro con risposta ad interpello n. 26 del 7 novembre 2014).
➢ viene confermato l’obbligo di comunicazione preventiva della chiamata alla DTL con relativa sanzione amministrativa non diffidabile (articolo 13, comma 3, dello schema).
ART. 13
1. Il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi:
a) durata e ipotesi, oggettive o soggettive, previste dall'articolo 12, che consentono la stipulazione del contratto;
b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore che non può essere inferiore a un giorno lavorativo;
c) trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
d) forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione;
e) tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;
f) misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
2. Fatte salve previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro è altresì tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali o le rappresentanze sindacali unitarie, ove esistenti, sull'andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.
3. Prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms o posta elettronica. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, possono essere individuate modalità applicative della disposizione di cui al precedente periodo, nonché ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.
ART. 14
1. Nel contratto di lavoro intermittente è stabilita la misura della indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta al lavoratore per i periodi nei quali ha garantito la disponibilità al datore di lavoro. La misura dell’indennità è prevista dai contratti collettivi e, comunque, non è inferiore a quanto previsto con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
2. L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
3. Sulla indennità di disponibilità di cui al comma 1 i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo.
4. In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore è tenuto a informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell'impedimento. Nel periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto alla indennità di disponibilità. Ove il lavoratore non provveda all'adempimento di cui al periodo precedente, perde il diritto alla indennità di disponibilità per un periodo di quindici giorni, salva diversa previsione del contratto individuale.
5. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano soltanto nei casi in cui il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro.
In tal caso, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire un motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all'ingiustificato rifiuto.
6. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è stabilita la misura della retribuzione convenzionale in riferimento alla quale il lavoratore intermittente può versare la differenza contributiva per i periodi in cui ha percepito una retribuzione inferiore a quella convenzionale ovvero ha usufruito della indennità di disponibilità fino a concorrenza del medesimo importo.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, per il tramite del sito xxxxxxxxxx.xxx.xx, informa che dal 1°giugno 2015 cambia l’indirizzo PEC al quale inviare la comunicazione delle “chiamate”, durante un rapporto di lavoro intermittente.
Il nuovo indirizzo PEC è xxxxxxxxxxxxx@xxx.xxxxxx.xxx.xx e sostituirà definitivamente
l’indirizzo xxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxx.xxxxxx.xxx.xx.
Si ricorda che per la mancata comunicazione obbligatoria, da effettuarsi preventivamente rispetto all’inizio della prestazione, si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore.
Conciliazione tempi di vita e di lavoro
Legge 26 agosto 1950, n. 860 Legge n.1204/1971
Legge n. 903/1977 Legge n. 53/2000
D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151
D.Lgs. 23 aprile 2003, n. 115 Direttiva 2010/18/CE
D.L. n.216/2012 e Legge n.228/2012 Legge n. 183/2014 e succ. decreti attuativi
La legge 30 dicembre 1971, n. 1204 "Tutela delle lavoratrici madri", approvata in sostituzione della precedente legge 26 agosto 1950, n. 860, fu il primo passo verso l’abolizione di ogni discriminazione contro la donna, l’estensione e la parificazione dei diritti con l’uomo, vietando qualsiasi discriminazione fondata su ragioni di sesso ed eliminando eventuali condizioni pregiudizievoli per la donna lavoratrice. L’aspetto fondamentale della legge del 1971, la cui disciplina è contenuta nel titolo I°, negli articoli dal 1 a 12, consiste nel divieto di licenziamento della lavoratrice dal momento di inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, pur escludendo due eventi particolari: in caso di giusta causa di licenziamento dovuta a colpa grave della lavoratrice o in caso di cessazione dell’attività da parte dell’azienda. La legge prevedeva inoltre il divieto di adibire al lavoro le donne durante i due mesi precedenti al parto e nei tre mesi successivi. In ogni caso venne fatto divieto di adibire la donna, nel periodo della maternità, ad attività che potessero essere pericolose per la salute della stessa o del nascituro. L’astensione dal lavoro per la lavoratrice madre fu consentita anche, in modo facoltativo, per garantire l’adeguata crescita del bambino e consentire il soddisfacimento delle sue esigenze, per un periodo di sei mesi, anche frazionabili, durante il primo anno di età e in occasione di malattie fino a compimento dei tre anni, con obbligo di presentare il certificato medico. Per ciò che riguarda la retribuzione il trattamento economico, nei diversi aspetti, fu disciplinato nei titoli II° e III°, negli articoli da 13 a 27, tra i quali venne prevista una indennità, posta a carico dell’INPS, pari all’80% della retribuzione, per il periodo di astensione obbligatoria e pari al 30% per il periodo di astensione semestrale facoltativa. La vigilanza, sull’applicazione delle norme contenute nella legge del 1971 venne affidata al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale attraverso l’Ispettorato del Lavoro, come risulta dal titolo IV°.
Il T.U. del 2001
(D.Lgs. 151/2001 e D.Lgs. 115/2003)
Il testo unico del 2001, poi completato nel 2003 e adattato nel 2012 alla Direttiva CEE 2010/18/CE, è ancora oggi la base principale delle norme sulla tutela della famiglia.
Il Jobs Act interviene solo per estendere alcune tutele integrando le norme c.d. «protettive» ed economiche.
Innanzitutto un limite: il decreto stabilisce che le nuove norme si applicano in via sperimentale per il solo anno 2015 limitatamente alle sole giornate di astensione riconosciute nello stesso anno, mentre l’eventuale estensione negli anni successivi rimane subordinata alla introduzione di norme che forniscano adeguate coperture finanziarie. Solo il contenuto dell’art. 24 non trova limite (corresponsione dell’indennità di maternità in caso di risoluzione del rapporto di lavoro).
Il limite dei cinque mesi di congedo obbligatorio viene esteso nel caso di parto prematuro e qualora il neonato venga ricoverato subito dopo il parto; in quest'ultimo caso il congedo obbligatorio può essere sospeso sino alla data di dimissione del figlio previa attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della madre con la ripresa dell'attività lavorativa, la quale potrà usufruire del periodo di congedo obbligatorio non goduto durante il periodo di ricovero del figlio
Il diritto al congedo di paternità viene esteso anche alle ipotesi nelle quali la madre sia una lavoratrice autonoma (artigiana commerciante, coltivatrice diretta o imprenditrice agricola, pescatrice autonoma) .
In caso di adozione internazionale viene esteso anche al padre l'articolo 26 del D.Lgs. 151/2001 che prevede il diritto ad un congedo non retribuito e privo di indennità per il periodo di permanenza all'estero.
Importante novità è che il congedo in caso di adozione o affidamento spetta al lavoratore anche qualora la madre non sia lavoratrice.
Passa da 8 a 12 anni il limite d'età per cui ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per il
congedo parentale previsto dall'articolo 32 del decreto 151/2001.
Conseguentemente viene aumentato ai primi sei anni di vita del bambino, anziché ai primi tre anni, il limite entro il quale il congedo parentale dà diritto a una indennità pari al 30% della retribuzione.
Viene confermata la possibilità per ciascun genitore, di fruire del congedo parentale su base oraria in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga (generalmente mensile) immediatamente precedente quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale; il decreto rinvia alla contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, un’eventuale diversa regolamentazione.
Riduce da 15 a soli cinque giorni il periodo minimo di preavviso per la comunicazione al datore di lavoro di utilizzo del congedo parentale, mentre per la fruizione su base oraria il termine è di soli due giorni.
Nel caso in cui il minore presenti una situazione di handicap grave il prolungamento di tre anni del congedo parentale, fruibile frazionatamente o continuativamente, può essere fruito sino al compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, sempre salvo che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, dato che in tal caso la richiesta di necessaria presenza del genitore deve essere fatta dal medico competente.
Vengono parificate tutte le norme previste per i figli naturali ai genitori adottivi o affidatari, tra cui si cita in particolare il divieto ad obbligare la madre, o il padre, a prestare lavoro notturno (ossia dalle ore 24 alle ore 6, come per le gestanti) nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia e, in ogni caso non oltre il dodicesimo anno di età nel caso di unico genitore.
Il testo originario dell’art. 55 D.Lgs. 151/2001 non subisce sostanziali modifiche se non il riporto al comma 1 della precisazione che durante il periodo di divieto di licenziamento (primo anno del bambino) “La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso”.
➢ Iscritti alla gestione separata
➢ La norma amplia, per il caso di adozione da tre a cinque mesi la durata dell'indennità di maternità, per gli iscritti alla gestione separata Inps privi di altra forma obbligatoria di previdenza.
➢ Per i collaboratori l'indennità è riconosciuta anche in caso di mancato versamento dei contributi previdenziali da parte del committente.
➢ Lavoratori autonomi in genere e Liberi professionisti iscritti a enti di previdenza diversi dall’Inps
➢ L’indennità di maternità ora spetta anche al padre lavoratore autonomo per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua in caso di morte o grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
Altre novità
➢ Telelavoro
➢Per conciliare lavoro e famiglia il decreto punta sul telelavoro offrendo come agevolazione l'esclusione dal computo dei limiti numerici dei lavoratori ammessi al telelavoro per motivi legati ad esigenze di cure parentali ed in forza di accordi collettivi. Ricordiamo che il telelavoro è disciplinato dal recepimento dell'accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 e dall'accordo interconfederale del 9 giugno 2004; per questo al lavoratore sono garantiti tutti i diritti previsti dalla legislazione e dai contratti collettivi per i lavoratori che svolgono attività presso l'impresa
Congedo per le donne vittime di violenza di genere
La norma introduce il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati e, quindi, si prevede la possibilità per queste lavoratrici di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi. Alle lavoratrici dipendenti sono garantite l'intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi.
Viene anche introdotto il diritto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a richiesta della lavoratrice.
Modifica delle mansioni
In presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri casi individuati dai contratti collettivi l’impresa potrà modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo trattamento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimento del lavoro).
Si possono stipulare accordi individuali, “in sede protetta”, tra datore di lavoro e lavoratore che prevedano la modifica anche del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.
L’art. 55 del “testo organico” riscrive il contenuto dell’art. 2103 cod. civ., disciplinando in modo nuovo lo ius variandi e le fattispecie di legittimo demansionamento, in attuazione della lett. e) dell’articolo unico del comma 7 della legge delega n. 183/2014, intervenendo anche in relazione all’assegnazione a mansioni superiori. In merito la legge delega in materia di variazione delle mansioni faceva espresso riferimento ai processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale che avrebbero dovuto essere individuati sulla scorta di parametri oggettivi, nonché alle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva.
Lo schema di decreto legislativo pare ampliare la visione prevedendo in linea più generale che in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, questi può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore (art. 55, comma 1, secondo capoverso). Il demansionamento è accompagnato, se necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo ma il mancato adempimento della formazione non determina la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni (art. 55, comma 1, terzo capoverso). Altre ipotesi di assegnazione a mansioni proprie del livello di inquadramento inferiore possono essere previste dai contratti collettivi, ma anche a livello aziendale, purché tali accordi siano sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 55, comma 1, quarto capoverso). In caso di demansionamento, il lavoratore ha diritto a conservare il livello di inquadramento e il trattamento retributivo di cui godeva al momento dell’assegnazione a mansioni inferiori, ad eccezione dei soli elementi retributivi connessi a particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (art. 55, comma 1, quinto capoverso). Se però è in gioco l’interesse del lavoratore a conservare l’occupazione, ad acquisire una diversa professionalità o a migliorare le proprie condizioni di vita, la stessa disposizione stabilisce che nelle sedi di conciliazione o di certificazione possono essere stipulati accordi individuali di assegnazione a mansioni del livello di inquadramento inferiore, anche con corrispondente riduzione della retribuzione (art. 55, comma 1, sesto capoverso).
Il settimo capoverso dello stesso primo comma dell’art. 55 dello schema di decreto interviene sull’assegnazione temporanea a mansioni superiori; stabilisce che in caso di assegnazione a mansioni di livello superiore, il periodo di svolgimento, oltrepassato il quale l'assegnazione diventa definitiva, sale dagli attuali 3 mesi a 6 mesi, salvo che tale termine possa trovare una diversa quantificazione stabilita dalla contrattazione collettiva. La norma stabilisce anche che i sei mesi di assegnazione a mansioni superiori devono essere “continuativi” e che deve farsi riferimento soltanto ai contratti collettivi (anche aziendali) stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
L’assegnazione non ha natura definitiva se è avvenuta per ragioni sostitutive di un altro lavoratore in servizio (nella disposizione vigente l’ipotesi è limitata alla “sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto”). In ogni caso il decreto delegato fa salva la diversa volontà del lavoratore rispetto alla definitiva assegnazione a mansioni superiori oltre il termine dei sei mesi continuativi. Il nono capoverso del primo comma dell’art. 55, da ultimo, conferma il principio di nullità dei patti contrari. Nel secondo comma dello stesso art. 55 vengono abrogati i termini specifici stabiliti dalla legislazione vigente per quadri e dirigenti, rispetto alla natura definitiva dell’assegnazione a mansioni superiori.
(Tutto ciò nonostante la legge n. 183/2014 non contenesse alcuna delega in merito alla novellazione della disciplina dell’assegnazione a mansioni superiori.)
Ricordiamo infine che la possibilità di modificare le mansioni del lavoratore in realtà era già prevista dall’articolo 8 del decreto legislativo n. 138/2011, il quale stabilisce che i contratti collettivi di lavoro aziendali o territoriali possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario di rappresentanza sindacale, finalizzate alla maggior occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.
Modifiche alle regole sul Part-Time
L’orario “normale di lavoro” è rinviato alla legge dall’art. 36 c.2 della costituzione e la legge all’art. 2107 c.c. lo rinvia ai Contratti Collettivi.
Con il D.Lgs n.66/2003 vennero meglio definiti i confini dell’orario di lavoro in applicazione delle Direttive 93/104/Ce; 2000/34/Ce sostituite dalla n.88/2003 e con il decreto correttivo n. 213/2014 si aggiunse la disciplina del regime sanzionatorio.
La norma ha determinato i confini entro i quali i CCNL si sono sino ad oggi mossi, pur lasciando margini alla contrattazione di secondo livello e aziendale con l’art. 8, D.L. n. 138/2011.
Il contratto part-time può essere a tempo indeterminato o a termine e deve essere stipulato in forma scritta, con puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
Non modifica il fatto che può essere di tipo orizzontale (riduzione orario giornaliero), verticale (riduzione orario settimanale o mensile), o misto.
NOVITA’: Pur rinviando alla contrattazione collettiva la puntuale regolamentazione a seconda delle necessità del settore, nel caso in cui non ci siano regole specifiche previste dal contratto nazionale di riferimento, il decreto prevede, al comma 5 dell’articolo 4, che il datore di lavoro possa «richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 15% delle ore di lavoro settimanali concordate» (la norma precedente dava come limite il normale orario di 8 ore previsto per il full time). In tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Art. 4 comma 2. I contratti collettivi stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, nonché le conseguenze del suo superamento.
Art. 4 comma 3. L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo.
Il lavoro straordinario rimane consentito, come prima, solo per le forme di part time verticale e misto.
NOVITA’: le variazioni di orario in ragione di clausole flessibili ed elastiche, attraverso le quali il datore di lavoro può variare l’orario concordato (comunicandolo con un anticipo di due giorni), nel caso in cui non siano regolamentate dal contratto collettivo, non possono superare il 25% dell’orario precedentemente pattuito. Le clausole flessibili ed elastiche possono riguardare, per tutti i tipi di part-time, la variazione della collocazione temporale della prestazione, mentre solo per quelli di tipo verticale o misto, l’aumento della prestazione lavorativa.
Le clausole flessibili consentono al datore di lavoro il potere di modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa, ossia di spostare la prestazione di lavoro del proprio dipendente in giorni e orari diversi da quelli originariamente pattuiti.
Le clausole elastiche consentono al datore di lavoro il potere di aumentare il numero delle ore di lavoro originariamente pattuiti nel contratto di lavoro.
I contratti collettivi fissano:
Le condizioni e le modalità per modificare, da parte del datore di lavoro, la collocazione temporale della prestazione lavorativa;
Le condizioni e modalità per variare in aumento la durata della prestazione lavorativa; I limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa;
Le condizioni e le modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazione o la modifica delle clausole flessibili ed clausole elastiche.
Se il contratto nazionale di riferimento non contiene questi elementi, le regole sulle clausole flessibili vanno concordate fra le parti davanti alle Commissioni di certificazione previste dall’articolo 76 del decreto legislativo 276/2003, comprendendo le modalità e le condizioni con cui il datore di lavoro può effettuare le variazioni (pena la nullità dell’accordo). Il tutto entro i limite del 25% di quanto contrattualmente previsto dalle parti nell’accordo iniziale sul part-time.
L'esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di due giorni lavorativi, nonché il diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi.
Art. 5
(Trattamento del lavoratore a tempo parziale)
1. Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi per il solo fatto di lavorare a tempo parziale.
2. Il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio qualora l'assunzione avvenga con contratto a tempo parziale di tipo verticale.
Art. 6
Tutele genitoriali
7. Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale spettante ai sensi del Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151,(congedo parentale fino ai 12 anni del bambino) la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo corrispondente, con una riduzione d’orario non superiore al 50 per cento.
Gravi patologie del lavoratore
3. I lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico- degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.
Gravi patologie di familiari
4. In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
Figlio convivente
5. In caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
Art. 6
(Trasformazione del rapporto)
1. Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
2. Su accordo delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale.
6. Il lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.
8. In caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell'impresa ed a prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno. I contratti collettivi possono individuare criteri applicativi con riguardo a tale disposizione.
9. Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Art. 8
1. In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alle retribuzioni ed al versamento dei contributi dovuti per le prestazioni effettivamente rese.
2. Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data della sentenza. Qualora l'omissione riguardi la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno.
3. Lo svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporta a favore del prestatore di lavoro il diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno.
Se il contratto prevede un orario settimanale non inferiore alle 24 ore, gli assegni familiari spettano per intero. Si possono cumulare le ore di diversi rapporti di lavoro. Se l’orario di lavoro è inferiore, spettano tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata.
La retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero di cui all'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno.
La retribuzione dei lavoratori a tempo parziale a valere ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è uguale alla retribuzione tabellare prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno. La retribuzione tabellare è determinata su base oraria in relazione alla durata normale annua della prestazione di lavoro espressa in ore. La retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo dei premi per l'assicurazione di cui al presente comma è stabilita con le modalità di cui al comma 1.
Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l'anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all'orario effettivamente svolto l'anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale.