UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI XXXXXX XXXXXXXX XX
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
IN
SCIENZA POLITICA ED ISTITUZIONI IN EUROPA XXVII CICLO
La tutela del consumatore e
il contratto di viaggio nell’Unione Europea
Coordinatore Candidato
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxx XXXXXXX Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx
Tutor
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx
ANNO ACCADEMICO 2014/2015
INDICE
CAPITOLO I
Obiettivi ed origini politiche, storiche ed economiche della politica
di tutela dei consumatori
1. Introduzione… pag. 4
2. Origini statunitensi del concetto di tutela dei consumatori..pag.20
3. L’evolversi del movimento nei paesi europei.……………pag. 26
4. Le associazioni dei consumatori in Italia………………...pag. 38
5. La tutela e l’ordinamento dei consumatori in Italia………......................................................................pag. 51
6. Verso un’unificazione legislativa in Italia………………..pag. 58
7. Il nuovo Codice del Consumo……….……………………pag. 60
8. Esame critico del Codice del Consumo.....……………….pag. 65
9. Programma di sviluppo del movimento consumatori…….pag. 72
CAPITOLO II
Il contratto di viaggio: disciplina e contenuto
1. La disciplina del contratto di viaggio…………………….pag. 75
2. La Convenzione di Bruxelles relativa al contratto di viaggio e la Direttiva Europea concernente i viaggi: differenze e analogie……………………………….………………….pag. 82
3. Il contratto di viaggio: attività intermediaria e autonoma, attività organizzativa……………………….……………………pag. 86
4. Il problema della qualificazione giuridica del contratto di viaggio……………………………………………………pag. 96
5. Il contenuto del contratto di viaggio: individuazione dei nuclei problematici e formazione del vincolo contrattuale……pag. 108
6. La rinuncia al viaggio del cliente viaggiatore… pag. 114
7. Annullamento del viaggio da parte dell’organizzatore………………………………………pag. 118
8. Impedimento al viaggio non imputabile al consumatore…………………………………………….pag. 124
9. Obblighi e responsabilità: considerazioni generali………………………………………………….pag. 126 10.Obblighi e responsabilità dell’organizzatore di viaggi…pag. 127 11.Xxxxxxxx e responsabilità dell’intermediario di viaggi…pag. 133 12.Obblighi e responsabilità del viaggiatore………………pag. 136
CAPITOLIO III
La tutela del turista
1. La salvaguardia del turista consumatore: profili storici europei e nazionali………………………………………………..pag. 137
2. Il codice del consumo rispetto ai servizi turistici……...pag. 153
3. Il danno da vacanza rovinata: l’inquadramento giuridico e la risarcibilità alla luce della giurisprudenza italiana ed europea…………………………………………………pag. 175
4. La quantificazione del danno da vacanza rovinata……pag. 187
5. Obblighi assicurativi e tutela del viaggiatore………….pag. 189
CAPITOLO I
1. Introduzione
I servizi turistici costituiscono un consumo di crescente importanza nella società attuale, soprattutto nei Paesi industrializzati, cui corrisponde un’attività economica e produttiva di grande rilievo: e rappresentano una cospicua fonte di redditi nell’economia di un Paese ( in particolare di un Pese come il nostro e come diversi altri appartenenti all’Unione Europea a spiccata “ vocazione turistica), creano nuovi posti di lavoro e consentono di valorizzare le risorse naturali e culturali di ciascuna nazione.
Soddisfano, inoltre, rilevanti esigenze di carattere ricreativo e culturale e per la possibilità che essa offre di consentire una maggiore conoscenza di altri paesi e comunità. E’ un’attività, inoltre, che se paragonata ad altre attività produttive, si caratterizza di massima anche per un maggiore rispetto dei valori ambientali.
Il turismo non è una realtà recente, ma ha assunto, soltanto, negli ultimi anni una particolare importanza.
In effetti, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi esso ha subito una profonda trasformazione: da attività di limitata rilevanza economica destinata principalmente ad una clientela di elitè che aveva il gusto e i mezzi per organizzarsi autonomamente un viaggio o una vacanza e per realizzarli individualmente in modo mai preconfezionato, il turismo ha assunto il rilievo di un vero e proprio fenomeno di massa.
In passato i rapporti tra il viaggiatore e gli operatori del settore erano limitati a poche operazioni, alcune dotate di una
propria rappresentazione giuridica (come l’acquisto di un biglietto aereo/ferroviario o la prenotazione di una camera d’albergo) altre lontane da qualsiasi qualificazione per il diritto (ad esempio: l’indicazione di un itinerario piuttosto che un altro).
Il mutato assetto delle condizioni economiche e sociali ha consentito, inizialmente con il diffondersi delle crociere turistiche, l’accostamento al fenomeno di nuovi strati sociali, realizzando così una “democratizzazione” e una massificazione del fenomeno, che perde in modo graduale la sua connotazione prevalentemente “élitaria”.
Lo sviluppo e l’evoluzione del fenomeno turistico hanno, inoltre, determinato, a loro volta, la creazione di un nuovo ruolo degli operatori turistici che non si limitano a svolgere, come avveniva in passato, funzioni accessorie e di intermediazione (procurando al viaggiatore tutto ciò che era necessario per lo svolgimento dei viaggi i cui programmi erano già stati predeterminati dai singoli clienti), bensì soccorrono il turista nell’organizzazione delle sue vacanze dedicandosi, in forma professionale, al soddisfacimento delle loro esigenze.
Nelle pagine che seguono, sarà data particolare attenzione soprattutto ai viaggi programmati nei minimi dettagli (tour package1), con la conclusione dei vari contratti, spesso senza possibilità di variazioni sul programma; tale tipologia di viaggio perde, così, i connotati di rischio, di imprevisto, di avventura e diviene, di conseguenza, un prodotto preconfezionato richiesto da strati sociali sempre più
1 SILIGARDI, in “La responsabilità dell’impresa turistica: esperienze giuridiche e raffronto”, 1989, 268, afferma che l’attività dell’organizzazione di viaggi non si esaurisce nel compimento dei singoli atti giuridici nell’interesse dell’utente, ma riguarda una serie più ampia di prestazioni.
ampi che nell’offerta di un pacchetto turistico “all-inclusive” trovano una risposta adeguata alle esigenze di utilizzazione del tempo libero.
I viaggi organizzati sollevano il viaggiatore dalle notevoli difficoltà che potrebbe trovare nell’organizzazione e, al contempo, gli consentono di fruire di condizioni economiche assai più vantaggiose di quelle che potrebbe ottenere come singolo.
Le ragioni che hanno contribuito a modificare, in maniera così significativa, la concezione e le stesse modalità di attenuazione del fenomeno sono molteplici, tra queste: l’innalzamento del reddito, l’universalità delle comunicazioni, il progressivo aumento del tempo libero, la maggiore mobilità interna ed esterna, l’emancipazione culturale, l’affermarsi di nuovi stili di vita, l’ampliamento della gamma dei servizi sociali offerti dagli operatori pubblici e privati, il diffondersi di nuove esigenze di svago e di divertimento2.
Dalla diffusione del fenomeno della massificazione del turismo e dall’espansione dell’industria turistica, è conseguita la necessità, soprattutto sotto un profilo tecnico-giuridico, di adeguare il quadro normativo ed istituzionale ai problemi posti dall’ampliamento delle sempre più articolate e ricercate prestazioni promesse dall’impresa turistica.
In questa prospettiva, il presente lavoro mira a sottolineare la primaria esigenza di assicurare un’adeguata tutela dell’utente-viaggiatore.
La complessità dei moderni traffici giuridici non consente, certamente, alle parti di soddisfare i loro interessi e
2 NOTARSTEFANO, “Lineamenti giuridici dei rapporti turistici”, in Riv. Dir. Comm.,
1993, 581.
di regolare in maniera adeguata i loro molteplici rapporti, utilizzando, esclusivamente, i contratti già previsti e disciplinati nel nostro ordinamento: « quanto più ricco è lo sviluppo della vita economica tanto maggiore è il numero delle nuove figure contrattuali »3.
L’inadeguatezza della disciplina legale4 è particolarmente avvertita proprio nel settore turistico e, soprattutto, in ordine allo strumento giuridico cardine della regolamentazione del complesso delle attività turistiche, costituite dal contratto di viaggio.
Prima di analizzare le problematiche che esso pone, gioverà soffermarsi in maniera particolare, sul significato che la dottrina prevalente dà al contratto di viaggio inteso come: « fattispecie contrattuale atipica mediante cui l’operatore turistico predispone a favore dell’altro contraente, dietro pagamento di un corrispettivo, il viaggio e tutta una serie di servizi e prestazioni tali da permettere l’effettiva godibilità del soggiorno in una destinazione prestabilita, per l’arco di tempo previsto »5.
Come si può ben rilevare, si tratta di una formulazione al quanto estesa poiché è finalizzata a racchiudere diverse tipologie di accordi che intercorrono tra chi opera
3 Massima si SILINGARDI, in “Tutela del turista”, con nota di XXXXXXXXX, 1993, 14; egli afferma che gli istituti giuridici hanno per lo più il loro “germe”, non nella fantasia dei giuristi, o nel legislatore, bensì nell’inventiva e nella capacità di elaborazione dell’autonomia privata.
4 La nostra legislazione interna sentiva forte l’esigenza di colmare un quadro normativo carente, caratterizzato da un unico riferimento legislativo in materia; quale il r.d.l. 23 novembre 1936, n. 2523 (convertito poi nella L. 30 dicembre 1937, n. 2650, modificata con d.p.r. del 28 giugno 1955, n. 630) che prevedeva l’impossibilità di pubblicare e distribuire programmi, annunci e manifesti concernenti l’organizzazione di viaggi collettivi a carattere turistico, se non successivamente all’approvazione della Regione o degli Enti provinciali a seconda che si tratti di viaggio o crociera all’estero o all’interno; anche se poi nella pratica è molto diffuso il fenomeno della circolazione di programmi turistici.
5 Fra gli altri SILINGARDI, “Turismo: legislazione e prassi contrattuale”, 1993,188.
professionalmente nel settore dei servizi turistici e chi agli stessi è a vario titolo interessato.
Come per tutte le negoziazioni atipiche, la necessità di individuare la disciplina da applicare al caso concreto ha dato origine ad un lungo e serrato dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo al problema della qualificazione giuridica del contratto di viaggio6.
L’attività qualificatoria che ha impegnato, dottrina e giurisprudenza, non è stata certamente un’attività facile a causa della varietà di ipotesi che di fatto possono presentarsi nei rapporti tra utente-turista ed operatori professionali. A tal proposito, è opportuno distinguere il caso in cui il cliente viaggiatore si rivolga direttamente ad un operatore turistico che possieda mezzi idonei a fornire al richiedente un complesso di prestazioni fra loro combinate e costituenti, appunto, nell’insieme il viaggio organizzato dall’ipotesi in cui l’utente contatti un imprenditore turistico che non possiede mezzi propri per l’organizzazione del viaggio. Per quanto concerne quest’ultimo caso, l’incaricato, il più delle volte, si rivolgerà al produttore del viaggio e titolare del medesimo, impegnandosi a svolgere una mera attività di intermediazione nel rapporto giuridico esistente con il suo cliente.
Da ciò scaturisce la possibilità per l’operatore turistico, a seconda dell’attività che fornirà al suo cliente, di assumere una duplice veste di organizzatore e intermediario di viaggio.
E’, pertanto, possibile estrarre dalla materia in esame la presenza di due diverse figure professionali di imprenditori turistici; anche perché nella pratica degli affari turistici è
6 Per una più ampia trattazione del problema si rinvia al IV paragrafo di questo Capitolo.
agevole riscontrare un settore c.d. produttivo ed uno distributivo, ovvero, secondo una diversa denominazione, industriale e commerciale7.
La distinzione tra le figure di organizzatore ed intermediario di viaggi ha costituito un discusso dato di fatto da cui ha preso le mosse la dottrina8. Tale distinzione rivela, infatti, tutta la sua importanza pratica proprio ai fini dell’individuazione della disciplina normativa applicabile alle fattispecie prese in considerazione.
A tal proposito, è possibile osservare che, mentre l’inquadramento del rapporto tra intermediario di viaggio ed utente non ha posto particolari problemi (essendo sostanzialmente concordi nella sua riconducibilità nell’ambito della disciplina del contratto di mandato), il rapporto intercorrente tra organizzatore e cliente-viaggiatore ha attirato l’attenzione della dottrina che, muovendo dalla constata atipicità della fattispecie in esame, ha fatto riferimento di volta in volta alle categorie dei contratti misti o dei contratti innominati “sui generis”, a seconda che essa attinga o non attinga i suoi elementi naturali da contratti tipizzati dal legislatore. E’ emerso dallo studio effettuato la natura di contratto misto che è stata attribuita al contratto di viaggio e che inevitabilmente, ha posto il problema (comune d’altro canto ad ogni contratto misto) di individuare la disciplina legale applicabile. Come meglio vedremo varie sono state le soluzioni proposte: da quella che qualifica il contratto di
7 Così XXXXXXXXX, “Il contratto turistico”, in Riv. Dir. Comm, 1974, 277.
8 Infatti in riferimento a quelle figure di operatori (appunto gli organizzatori e gli intermediari di viaggio), che hanno svolto un ruolo essenziale nella trasformazione del turismo da fenomeno élitario a vera e propria realtà economico-commerciale di vasta scala, ha intensificato l’evoluzione del quadro legislativo e il dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
viaggio come contratto di trasporto a quella che fa riferimento alla mediazione, per poi giungere alle teorie più recenti che lo qualificano come mandato o come appalto di servizi. Le soluzioni offerte, alquanto eterogenee, presentano in ogni caso interessanti occasioni di riflessione e numerosi elementi condivisibili, poiché scaturiscono, essenzialmente, dall’analisi di situazioni di fatto, ancorate al regolamento di interessi voluto dalle parti nel singolo caso concreto.
Nella difficile attività di qualificazione giuridica del contratto di viaggio, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno considerato come prioritaria l’esigenza di individuare uno strumento giuridico che meglio tutelasse il fruitore della prestazione turistica, non rendendo, al contempo, eccessivamente onerosa la posizione dell’imprenditore impegnato nell’erogazione del servizio, incentivando, in tal modo, numerosi Stati a ricercare un complesso di norme comuni che costituisse un puto di riferimento, indipendentemente dal luogo geografico di appartenenza e da quello di conclusione del contratto. Così nasce la Convenzione Internazionale di Bruxelles del 23 aprile 1970 relativa al contratto di viaggio (ratificata in Italia con legge del 27 dicembre 1977 n. 1084)9 che, tuttavia, recando con se il grave limite dell’applicabilità ai soli contratti di viaggio da eseguirsi in uno Stato diverso da quello in cui il contratto è stato stipulato, o da dove il viaggiatore è partito, ha portato alla tipizzazione legislativa del solo contratto internazionale di viaggio; riproponendosi, così, inevitabilmente per i contratti relativi ai viaggi nazionali i prospettati problemi qualificatori e
9 La CCV verrà maggiormente descritta e analizzata nel paragrafo successivo.
di individuazione delle fonti normative cui fare riferimento e ricondurre la fattispecie in esame.
Inoltre, il problema dell’inquadramento del contratto di viaggio emerge ulteriormente se si considera che la disciplina della Convenzione di Bruxelles non contiene una integrale ed esaustiva regolamentazione del fenomeno, da qui l’evidente necessità di individuare le norme con cui integrare tale disciplina.
Fonte concorrente alla CCV nella disciplina del contratto di viaggio si pone la Direttiva CEE del 13 giugno 1990 n. 31410 che, certamente tiene presente la Convenzione di Bruxelles, anzi ad essa fa richiamo (soprattutto, paradossalmente, su uno degli aspetti più criticati della stessa Convenzione e cioè sulla limitazione della responsabilità dell’organizzatore di viaggi), ma, contemporaneamente, si pone, al meno in parte, come parallela (se non alternativa) rispetto alla Convenzione del 1970.
Abbiamo perciò di fronte sia un testo normativo di diritto uniforme concernente i diritti, obblighi e responsabilità dell’organizzatore e dell’intermediario di viaggio, sia una Direttiva comunitaria che, ovviamente, richiama l’importanza che i temi comunitari hanno in relazione all’argomento in questione; di qui la necessità di verificare se, come e in quali limiti tali fonti siano tra loro compatibili.
Del resto, anche il principio ispiratore della Direttiva comunitaria 314/90 (così come quello della CCV) è , senza dubbio, quello della protezione del turista.
10 La direttiva comunitaria n. 314/90 concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti “tutto compreso” verrà approfondita in modo più ampio nel secondo paragrafo di questo capitolo.
In tale prospettiva, in cui vi è una crescente complessità dei servizi offerti e dell’organizzazione di forme sempre più sofisticate e articolate di prestazioni, è inevitabilmente, aumentata la necessità di assicurare un’adeguata tutela al fruitore dei servizi turistici (che si inquadra nell’ambito più ampio di un’avvertita esigenza di tutela del consumatore).
Può aggiungersi, inoltre, che il consumatore dei servizi turistici è un consumatore che richiede in modo particolare di essere tutelato; in quanto, se, in generale, il consumatore è, per definizione, un contraente debole (anche perché si trova isolato di fronte a categorie che operano professionalmente e sono spesso organizzate in apposite associazioni e consorzi), il turista ha più bisogno di altri consumatori di un’idonea tutela.
Infatti, esso, non solo, è spesso mosso da particolari curiosità, da elementi che hanno colpito la sua immaginazione, dal desiderio di “evasione”, ma si trova anche a dover trattare con un’impresa che sarà spesso a lui ignota, sotto l’influsso di una pubblicità abilmente manovrata e quindi in posizione di sostanziale debolezza contrattuale di fronte all’organizzazione della controparte.
Per tutti questi motivi il turista è considerato un consumatore particolarmente “a rischio”.
In effetti il servizio turistico è spesso tale, per i suoi caratteri, da non consentire al consumatore la possibilità di realizzare una valutazione esatta e precisa della prestazione che gli viene offerta e che ogni compra con il pagamento del prezzo “tutto compreso11”.
11 XXXXXXXXX, in “Tutela del turista” Xxxxxxxxxx 0000, o P. cit. 14.
Sulla base di tale considerazione, sarebbe opportuno chiedersi se sia sufficiente identificare il turista con il consumatore, oppure se, al fine di una precisa e più efficace salvaguardia della sua posizione giuridica, sia necessario andare alla ricerca di una definizione diversa di tale figura, creando, così, una nuova categoria, un nuovo status che verrebbe ad aggiungersi a quelli tradizionali. Al momento, non si è ancora in grado di attribuire al turista un vero e proprio status (inteso come complesso di situazioni giuridiche soggettive che qualifichino alla sua posizione di soggetto economico peculiare nell’ambito della società).12
L’esigenza di un’adeguata tutela del turista è, inoltre, una garanzia di sviluppo per l’industria turistica; infatti, essa potrà conservare ed ampliare la sua clientela, quanto più riuscirà a consentire al consumatore di poter debitamente valutare, di poter tranquillamente comprare e di poter poi sicuramente contare su una precisa e chiara prestazione.
La tutela del turista potrà essere soddisfatta sia attraverso l’intervento pubblico, che si esplica per mezzo di un controllo pubblico dell’offerta dei servizi (con particolare riguardo ai viaggi organizzati),13 sia mediante la disciplina dei rapporti del consumatore con gli altri soggetti interessati (in cui vengono presi in considerazione non solo i rapporti con i prestatori dei servizi, essenzialmente: vettori e albergatori, ma
12 Importante, in questa direzione, il lavoro di associazione, quali il Movimento Consumatori, attraverso, ad esempio, la divulgazione di una “Carta dei Diritti del Turista”.
13 Questo è il tipo di tutela che è delineato dalla nostra legge quadro sul turismo (legge
n. 217/83) che, seppur se rivelata insufficiente a colmare le lacune esistenti nel nostro ordinamento, è, comunque, una forma di tutela indispensabile al fine di evitare che operino sul mercato organizzatori ed intermediari che non abbiano adeguati requisiti o che non dispongano di idonee coperture assicurative.
anche e soprattutto, i rapporti con l’organizzatore e con l’intermediario di viaggio).14
Se si osserva il rapporto contrattuale tra i soggetti interessati, si evince che la debolezza del fruitore dei servizi turistici viene in rilievo, innanzitutto, nel momento di acquisto del “Package” di viaggio, infatti, il viaggio turistico comporta, per i suoi caratteri, un rapporto fiduciario tra i soggetti (l’utente paga in anticipo e il prezzo “tutto compreso” e poi otterrà il servizio) che necessità di determinate informazioni, le quali siano chiare e trasparenti per evitare, appunto, che si creino difficoltà nell’esatta valutazione del prodotto che il turista acquista.
Tuttavia, spesso, il contratto di viaggio viene stipulato verbalmente e, al contempo, le agenzie turistiche predispongono condizioni generali di contratto, poco chiare.
Ciò crea, da un lato, notevoli difficoltà al cliente nel conoscere il regolamento predisposto dall’organizzazione, dall’altro, conduce all’inosservanza del disposto dell’art. 1341
c. c. II comma, per il quale si richiede la sottoscrizione specifica delle c.d. clausole abusive inserite nel testo contrattuale.15
14 Ed è su questa via che si collocano i due testi normativi che affrontano e rendono attuali il tema oggetto di questa trattazione: La Convenzione di Bruxelles del 1970 sul contratto di viaggio e la Direttiva CEE n. 314/90.
15 Il controllo sulle condizioni generali del contratto (previsto dall’art. 1341 c.c.) è molto spesso un controllo formale, che si traduce, il più delle volte in una duplice sottoscrizione delle clausole abusive. Del resto, nel settore turistico, un controllo sui requisiti formali era previsto dall’art. 16 del R.D.L. 23 novembre 1936, n. 2523, che proibiva la pubblicazione e la distribuzione di manifesti e opuscoli concernenti l’organizzazione di viaggi collettivi a carattere turistico se non dopo l’approvazione della Regione e degli Enti Provinciali per il turismo. E’ questo, tuttavia, un controllo amministrativo che non entra nel merito del contenuto delle clausole contrattuali, mentre un controllo di tipo sostanziale sulle condizioni generali del contratto viene introdotto dalla Direttiva CEE n. 93/13, concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, sancisce la non vincolatività delle clausole abusive e, quindi, introduce una sorta di controllo di equità nell’ambito della distribuzione del rischio contrattuale (nuovo al nostro ordinamento).
Di conseguenza, il turista aderisce a condizioni contrattuali molto spesso vessatorie ed uniformi per tutto il settore (clausole di recesso, di limitazione della responsabilità, di possibilità di modificare i prezzi, etc.) e la mancata sottoscrizione specifica delle clausole onerose, legittimerebbe il contraente in adesione al non adempimento delle obbligazioni in essa contenute. Varie possono essere le motivazioni che inducono il turista a rimanere inerte: in particolare l’ignoranza da parte sua dell’esistenza di siffatta normativa, cui si aggiunge l’errata convinzione che le condizioni generali abbiano natura regolamentare piuttosto che contrattuale, avvalorata dal fatto che i dépliants pubblicitari distribuite dalle agenzie usano spesso il termine “regolamento” per indicare le condizioni del viaggio. Ma anche quando l’utente si rende conto che il contenuto del contratto è unilateralmente predisposto dall’agenzia, è indotto comunque a sottoscrivere qualunque tipo di clausola, pressato dalla sua particolare condizione psicologica (desiderio di vacanza) ed è, generalmente, restio a rivolgersi al giudice ritenendo un’amichevole composizione privata del conflitto economicamente meno pregiudizievole del ricorso alla tutela giurisdizionale (spesso dall’esito incerto).
Qualora, invece, i servizi erogati sono inferiori a quanto offerto e previsto dal contratto16 allora la posizione di sostanziale debolezza contrattuale del turista di fronte
16 In tal caso, le situazioni in cui si possono trovare i turisti sono le più incredibili: da quelle in cui il cliente, dopo aver prenotato una camera in albergo a 4 stelle, si ritrova all’arrivo in un albergo di categoria inferiore; al caso limite in cui il turista si trova a navigare in una “barchetta” anzichè in una lussuosa nave da crociera, come gli era stato assicurato.
all’organizzazione della controparte emerge in maniera significativa nel momento in cui usufruisce del servizio.
In conseguenza dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, sarà, come è noto, affrontato il problema della responsabilità dell’operatore turistico, che rappresenta il punto fondamentale della materia in oggetto e che molto ha fatto discutere dottrina e giurisprudenza. La legge, a riguardo, consente di individuare con sufficiente precisione l’ambito di responsabilità dell’imprenditore turistico, pur riservando allo stesso un trattamento di eccessivo favore con particolare riferimento alle limitazioni del danno risarcibile al viaggiatore.
E’ da sottolineare, al riguardo, come il beneficio della limitazione di responsabilità, accordato all’organizzatore, determini inconvenienti al viaggiatore, danneggiato che voglia ottenere l’integrale riparazione del pregiudizio subito a causa dell’inadempimento dei terzi prestatori di servizi: egli, infatti, sarà costretto, purtroppo, ad esercitare due diverse azioni, l’una contrattuale (contro l’organizzatore di viaggi) per una parte del danno, e l’altra extracontrattuale (contro l’imprenditore erogatore del servizio) per la parte eventualmente residua17.
Quindi, particolarmente articolata nelle previsione della legislazione uniforme, si presenta l’area delle responsabilità gravanti sull’organizzatore di viaggi, giacché essa ha riguardo ai pregiudizi derivanti al viaggiatore dall’inadempimento dei c.d. obblighi di organizzazione di
17 La possibilità di apporre limitazioni alla responsabilità dei soggetti operanti nel settore dei servizi tutto compreso è contemplata anche nella Direttiva CEE n. 314/90 la quale, per i danni diversi da quelli corporali, consente agli stati membri di applicare limitazioni convenzionali all’indennizzo da pagare al viaggiatore, purchè siano limitazioni ragionevoli.
viaggio, nonché da inadempimenti che attengono all’esecuzione dei singoli servizi.
Se appare senz’altro giustificata la finalità di garantire un’adeguata tutela del consumatore – viaggiatore, non meno pressante ed impellente risulta, nel contempo, la preoccupazione di garantire all’impresa turistica la possibilità di operare in condizioni di obiettiva economicità e concorrenzialità, dando un’appropriata disciplina all’attività dell’organizzazione e dell’intermediario di viaggio in un settore così trainante per l’economia del Paese come il turismo. Quindi, l’organizzatore e l’intermediario di viaggio devono essere così liberi di poter operare e di ideare e realizzare la propria attività nella piena consapevolezza dei rischi d’impresa esistenti, ma al di fuori di logiche rigorosamente punitive e penalizzanti nei confronti dei servizi offerti.
E ciò anche al fine di evitare quelle illogiche conseguenze, che, per effetto di una rigida applicazione dei principi di responsabilità oggettiva e di canalizzazione dei rischi di impresa, potrebbero poi pesare sul mercato turistico complessivamente considerato.
Si tratta, in definitiva, di individuare un armonico punto di equilibrio fra le posizioni soggettive del produttore e del consumatore del servizio turistico.
Nella ricerca di strumenti giuridici la cui adozione rispondesse al fine di riequilibrare il sistema di ripartizione dei rischi connessi all’esercizio delle attività turistiche fra produttore e consumatore si è, così, venuta evolvendo e sviluppando l’opera del legislatore volta ad adeguare il quadro
normativo alle nuove esigenze poste dal fenomeno della massificazione del turismo.
A riguardo, le modifiche legislative sono state intense e profonde e non và , neanche, trascurata l’importanza delle formulazioni proposte dalla dottrina al fine di configurare giuridicamente i rapporti negoziali fra produttore e fruitore del servizio turistico, oltre che l’opera della giurisprudenza, chiamata spesso a colmare, con la propria interpretazione, il vuoto conseguente a carenze normative18.
Infine, merita attenzione la tematica, tutt’altro secondaria, relativa agli strumenti processuali messi a disposizione del turista che voglia far valere i suoi diritti.
Sul fronte della tutela giurisdizionale, è emerso un grave inconveniente a carico del viaggiatore, sul quale pesano gli oneri di una vertenza giudiziaria, oltre le difficoltà relative al conseguimento di un concreto risarcimento per il danno subito in conseguenza della mancata o inidonea prestazione dei servizi dovuti dall’organizzatore.
L’obiettivo a cui tende la presente trattazione, non è certo finalizzata a soddisfare esigenze di completezza della materia, ma è quello di delineare, nei loro rapporti peculiari tratti distintivi, gli aspetti del fenomeno turistico nell’ambito delle più generalizzate tematiche di maggiore attualità nel dibattito giuridico: dalla tutela del consumatore – viaggiatore, alla qualità dei servizi e all’evoluzione dell’ordinamento giuridico italiano e non in materia di turismo.
Il tentativo in questo lavoro è indirizzato ad offrire un pur parziali contributo all’analisi e alla comprensione delle
18 SILINGARDI, “Turismo: legislazione e prassi contrattuale”. 1993, 8.
relative problematiche giuridiche, ricordando che la materia de qua, in altri Paesi (in quello francese per esempio) ha assunto l’autonomia normativa di un vero e proprio ramo del diritto.
2. Origini statunitensi del concetto di tutela dei consumatori.
Una prima forma di movimento in difesa dei consumatori ha origine negli Stati Uniti d'America, dove, prima che in ogni altro paese al mondo, si crearono le condizioni per la nascita ed il veloce sviluppo di un capitalismo monopolistico ed oligopolistico19. Fino ai primi anni del 900 gravavano sul consumatore acquirente finale tutti gli oneri di controllo sulla qualità del bene acquistato, ed il peso dei costi, nel caso questo non corrispondesse per qualità o sicurezza a quello effettivamente atteso. Il criterio della responsabilità per colpa del venditore scattava solamente quando la negligenza era grave ed evidente20.
Un primo evento che segna l'inizio delle politiche in favore dei consumatori è la normativa "Antitrust" (Sherman Act) del 1890, che non era né pensata né voluta per servire a quello scopo, ma per proteggere il piccolo commercio e la produzione artigianale dallo strapotere dei monopolisti e delle grandi concentrazioni industriali. Lo Sherman Act21, infatti, escludeva tutte le azioni che tendevano a creare un profitto da una situazione di monopolio. Nella prima parte la legge proibiva tutte le pratiche che restringevano le chance della concorrenza, come ad esempio il controllo sui prezzi; nella seconda parte, invece, proibiva alle imprese che detenevano il
19 X. XXXX, Il Diritto dei consumatori, Bari, 1995, p. 12.
20 X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, I diritti del consumatore e l'efficienza economica, in "La tutela del consumatore tra mercato e regolamentazione", a cura di X. XXXXX, Roma, 1996, p. 12.
21 Applicato la prima volta nel 1911 nella causa contro l'impero Xxxxxxxxxxx.
monopolio su un settore di mercato di servirsene per estenderlo ad altri settori.
La concorrenza sleale divenne quindi un reato, e con il passare degli anni l'obiettivo di tutelare i consumatori dalle pratiche commerciali scorrette divenne la motivazione principale di questa legge. Fondamentale nel successivo sviluppo della politica di tutela dei consumatori fu l’apporto delle donne. Infatti, diventando le principali consumatrici sul mercato di massa, le donne delle classi medie, che acquistarono un ruolo determinante per lanciare questa nuova forma di azione collettiva, non si erano liberate dai lavori domestici e non avevano neppure conquistato la parità con gli uomini; svolsero la loro parte, tuttavia, nel colmare il divario fra l’arte sofisticata di fare soldi e l’arte arretrata di spenderli22. La massa delle donne non guardava al mondo come i lavoratori, poiché, in America, il loro interesse primario era come consumatrici. Erano loro ad andare al mercato e fare la spesa; erano loro a dover gestire il bilancio familiare, erano loro a soffrire maggiormente per la qualità scadente, le frodi e i prezzi alti. Avevano più tempo degli uomini per la politica, e non è mera ipotesi dire che la loro influenza farà del consumatore il vero padrone della situazione politica23. La coscienza dei consumatori inizialmente si manifestò come una spinta riformista per alleviare la sorte della classe operaia, dal momento che, quando fu fondata la National Consumer League nel 1898, il suo obiettivo principale era di proteggere
22 X. XXXXXXXX, The backward art of spending money, in “American economic review”, 2 giugno 1912, pp. 269-281.
23 X. XXXXXXXX, Xxxxx and mastery an attempt to diagnose the current unrest, 1914, revisione, introduzione e note di W. E. LEUCHTENBURG, Madison, University of Wisconsin press, 1985, p. 54.
non i consumatori ma gli operai. Xxxxxxxx Xxxxxx, che nel maggio di quell’anno rappresentò la Consumers League di Chicago alla riunione costitutiva dell’organizzazione nazionale, poteva vantare il grande lavoro svolto dalla sua lega insieme ai lavoratori dell’industria dei sigari per combattere le fabbriche che sfruttavano gli operai. La Xxxxxx si fece promotrice di un “marchio del consumatore” destinato a premiare gli industriali che si comportavano correttamente con i loro dipendenti e a punire quelli che abusavano dei lavoratori, soprattutto se si trattava di donne e bambini. Ben presto però le donne delle classi medie si appropriarono della bandiera dei consumatori per adattarla alle loro esigenze di clienti: “Good Housekeeping” pubblicò un elenco di prodotti alimentari di qualità nel 1905, un anno prima che il Congresso approvasse la legge sulla sicurezza degli alimenti e dei farmaci e la legge sul controllo della carne24.
Da quel momento in poi, le donne e gli uomini di tutto il paese organizzarono una serie di club dei consumatori e di organizzazioni volontarie per vigilare sulla qualità dei prodotti e sulla tutela dei lavoratori. Furono efficacemente sostenuti in questa loro attività dal programma di test del National Bureau of Standards e dalla diffusione nelle case americane di un opuscolo informativo “Care and Repair of the House”. Nel 1927 questi consumatori leggevano il bestsellers Your Money’s Worth, di Xxxxxx Xxxxx e F.J. Xxxxxxx, edito dal Book-of-the-Month-Club. Incoraggiati dal loro successo, i due autori trasformarono il club dei consumatori di White Plains,
24 X. XXXX, Why the american century?, Chicago-London, The University of Chicago Press, 1998.
nello stato di New York, nella Consumers’ Research Incorporated di New York City, e lanciarono la pubblicazione del “Consumers’ Research Bulletin”, arrivando in cinque anni a 42.000 abbonamenti. Quando uscì il primo numero di una pubblicazione concorrente, “Consumers Union Reports”, nel 1936, la coscienza dei consumatori era ormai una realtà diffusa. Il movimento non abbandonò mai le sue preoccupazioni per le condizioni delle fabbriche, ma si concentrò soprattutto sulla qualità dei prodotti. È quindi ben evidente che furono la lotta al capitalismo aggressivo ed alle frodi alimentari a provocare questa prima ondata di "Consumerism". Anche la seconda ondata di protesta, verso la metà degli anni trenta, nasce da problemi simili: aumenti immotivati dei prezzi al consumo e commercializzazione di medicinali nocivi; ma i consumatori americani, già immersi nell'era della produzione di massa, reagiscono in maniera più consapevole e decisa ed, anche grazie agli scioperi in massa delle casalinghe, ottengono un rafforzamento delle leggi sulla genuinità degli alimenti ed un ampliamento dei poteri della Federal Trade Commission, per combattere l'uso di pratiche commerciali illecite e fraudolente25. Proprio a questo periodo risale l’inizio anche del primo fenomeno organizzativo che diede vita alla già citata rivista "Consumers Research Bulletin", nonché la successiva nascita di "Consumer's Union", una associazione ancora molto attiva, che si caratterizza per un'ampia gamma di pubblicazioni e trasmissioni Radio-TV in tutto il nord America riguardanti test ed analisi su prodotti e servizi. In questa fase emerse dunque un duplice ordine di
25 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, op. cit., p. 4.
problemi26; primo tra tutti la assoluta necessità di informazioni da parte del consumatore, che privo com'era di notizie sulla qualità e sicurezza dei prodotti non era certo in grado di poter fare scelte oculate; secondo problema che venne alla ribalta fu la necessità per i consumatori di avere una rappresentanza politica che potesse dare forza alle tante voci sparse ed ancora disunite. La terza fase del movimento consumerista, quella che dura ancora oggi e che ha segnato un consolidamento delle posizioni ed una consapevolezza nei consumatori, è iniziata intorno agli anni '50, ed ha finalmente visto l'ingresso in campo dei paesi europei.
La prima organizzazione di consumatori nel vecchio continente nasce in Danimarca nel 0000, x xxxxxxxxxxxxxxx, xxx 0000, xx Xxxx Xxxxxxxx fu il governo stesso che istituì il "Consumer Council", per assicurare anche ai consumatori la possibilità di esprimersi su materie che tradizionalmente erano riservate a produttori e commercianti27. Questa nuova fase prese avvio, almeno negli Stati Uniti d'America, da una diversa interpretazione del concetto di responsabilità28, che consentì la transizione da un regime di responsabilità per colpa del produttore (da doversi provare volta per volta), al criterio di responsabilità oggettiva. Secondo questo ultimo principio è il produttore ad avere l'onere di dimostrare che i danni provocati dall'uso del suo prodotto non dipendono dal suo operato,
00 X. XXXXX, X. XXXXXXXXX,"X diritti del consumatore e l'efficienza economica", in La tutela del consumatore tra..., a cura di X. XXXXX, op. cit., p.15.
27 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, op. cit., x. 00.
00 X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, "X diritti del consumatore e l'efficienza economica", in La tutela del consumatore tra..., a cura di X. XXXXX, op. cit., p.16.
offrendo finalmente un buon margine di sicurezza al consumatore29.
I motivi che spinsero verso questa inversione dell'onere della prova, e che sono validi ancora oggi, consistevano nella complessità di fabbricazione di molti beni, tale da rendere difficoltoso individuare con precisione la causa del pregiudizio e a quale soggetto attribuirla fra i molti della catena produttiva e distributiva. Inoltre si riteneva che il produttore fosse nella migliore posizione per un'opera di prevenzione30.
Altra caratteristica positiva di questa fase fu la diversa e positiva opinione ed attenzione che i governi prestarono al fenomeno. Nel 1962 il presidente Xxxxxxx formulò una direttiva sui diritti dei consumatori che vennero per la prima volta definiti in modo sistematico31: "Sicurezza, informazione, opportunità di scelta, attenzione governativa alle istanze della categoria". Questa iniziativa, apparentemente priva di incisività, diede lo spunto per innumerevoli battaglie del movimento dei consumatori statunitensi, ed il governo federale approvò non poche leggi per regolamentare al meglio quei diritti. Anche se in questi ultimi anni il Congresso degli Stati Uniti ha diminuito gli interventi a favore del movimento dei consumatori, questo non ha comportato assolutamente un suo indebolimento, tanto è ampio e profondo il consenso che il consumerismo registra in quel paese32.
00 X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, "X diritti del consumatore e l'efficienza economica", in La tutela del consumatore tra..., a cura di X. XXXXX, op. cit., p. 16.
30 V. Z. XXXXXXXXX, "Consumatore (tutela del)", Enciclopedia Giuridica Italiana, p. 8.
00 X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, "X diritti del consumatore e l'efficienza economica", in La tutela del consumatore tra..., a cura di X. XXXXX, op. cit., p. 16.
32 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, op. cit., p. 9.
3. L’evolversi del movimento nei paesi europei.
Ben diversa fu la situazione che si verificò in Europa. Dopo l'esordio di Danimarca e Regno Unito l'esempio fu seguito dai paesi scandinavi e dall'area del Benelux, dalla Francia e dalla Germania, dove si istituirono dapprima organismi amministrativi cui seguirono in molti casi apposite legislazioni. Per parte sua, la CEE, dopo una seria dichiarazione di intenti per perseguire una protezione attiva del consumatore, inserita nel testo del Trattato di Roma, lasciò poi passare quindici anni prima di prendere una posizione precisa sul consumerismo. Negli anni settanta si creò infatti la consapevolezza, nell'ambito della CEE, che fossero necessarie ed urgenti tutta una serie di iniziative che, oltre a difendere la salute e gli interessi economici dei cittadini della Comunità, si prefiggessero anche di armonizzare le legislazioni degli stati membri, per prevenire possibili contrasti e favorire le imprese che necessitavano di una legislazione uniforme che favorisse il traffico commerciale33.
Tra il 1972 e il 1975 ebbe luogo un intenso dibattito sull'argomento, che sottolineò come la disciplina della concorrenza si potesse estendere alla protezione del consumatore nel momento in cui tale previsione (art. 85 - 86 Trattato di Roma) conferisse alla Comunità il potere di legiferare, per fissare "la limitazione della produzione o dello sviluppo tecnico che operano a danno dei consumatori"34.
La risoluzione del Consiglio della CE del 14 aprile 1975 riordinò in modo organico tutte le iniziative e le priorità
33 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, op. cit., p. 23.
34 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, op. cit., p. 24.
in materia di tutela del consumatore e precisò con molta chiarezza che gli obiettivi di tale intervento sono:
1. La protezione contro i rischi e per la salute del consumatore;
2. La protezione degli interessi economici del consumatore;
3. La predisposizione di consulenza e assistenza per il risarcimento dei danni;
4. L'informazione e l'educazione del consumatore;
5. La consultazione e la rappresentanza dei consumatori nella predisposizione delle decisioni che li riguardano.
All'interno della Comunità Europea i contrasti tra gli interessi della Commissione per la protezione del consumatore e la Commissione per l'industria hanno creato una situazione di incertezza, per cui i primi anni ottanta sono stati caratterizzati da interventi settoriali che riguardavano l'informazione del consumatore, la pubblicità e le garanzie post-vendita.
Il primo luglio 1987 è entrato in vigore l'Atto Unico Europeo35, con cui è stato integrato e modificato il trattato di Roma, ed è stato rafforzato il ruolo del comitato economico e sociale, che ha competenza in materia di protezione del consumatore.
Inoltre è stato anche previsto all'articolo 100 A che la Commissione CE, nelle sue proposte in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e dei consumatori "si basa su un livello di protezione elevato"36.
Altre modifiche apportate al Trattato di Roma dall'Atto Unico europeo, e più specificatamente dall'articolo 100 A,
35 Firmato il 28/2/1986 e ratificato in Italia con legge 23/12/1986 n. 909.
36 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, op. cit., p. 30.
sembrarono aprire la strada ad una politica comunitaria del consumo più dinamica, in particolare grazie all'abbandono della regola dell'unanimità. Si registrarono infatti con maggiore frequenza iniziative riguardanti i consumatori in vista del 199237. Inoltre diverse iniziative comunitarie avevano costretto gli Stati membri, spesso anche quelli che avevano realizzato il maggior numero di progressi promulgando una legislazione nel campo della tutela dei consumatori, ad adottare, in questo settore, disposizioni che non avrebbero altrimenti previsto38. Infatti, nell'ambito della costruzione dell'Europa, la libera circolazione di beni e servizi non può rappresentare un fine in sé ma deve essere considerato solo uno strumento per promuovere il miglioramento del tenore di vita, obiettivo citato all'articolo 2 del Trattato. Un esame più approfondito della portata dell'articolo 100 A mostra tuttavia che la tutela dei consumatori è prevista solo nell'ambito del completamento del Mercato interno: esso deve essere basato su un livello elevato di protezione dei consumatori. Ciò significa che le istituzioni comunitarie possono intervenire a favore di questi ultimi solo qualora sussista un legame con l'esigenza del completamento del mercato interno: la politica del consumo permane una politica sussidiaria, secondaria ed indiretta. I limiti intrinseci dell'approccio previsto sulla base dell'articolo 100 A, sono molteplici e taluni addirittura di importanza fondamentale. La condizione di "livello elevato di
37 Cfr. ad esempio le direttive e proposte di direttive presentate dal 1990: la Direttiva 90/314 sui viaggi tutto compreso, le proposte di direttiva sulle clausole inique nei contratti stipulati con i consumatori, la proposta di direttiva sulla responsabilità del prestatore di servizi, i lavori della Commissione sulla protezione dei consumatori nel campo delle vendite per corrispondenza.
38 Ad es. nel campo della responsabilità per la fabbricazione dei prodotti, alcuni Stati membri, non avrebbero previsto l'adozione di una regolamentazione specifica in materia se non ci fosse stata l'iniziativa europea.
protezione dei consumatori" si applica testualmente solo alle proposte presentate dalla Commissione e non vincola esplicitamente né il Consiglio39, né la Corte di Giustizia, né gli Stati membri. Il criterio così definito implicherebbe che taluni Stati membri, in cui il livello di protezione è superiore a quello definito dall'iniziativa comunitaria, vedrebbero indebolita la loro tutela dei consumatori40.
Talune iniziative assunte a favore dei consumatori e che non sono collegate al completamento del mercato interno, non possono trovare una base giuridica nell'articolo 100 A: rientrano tra queste in particolare le iniziative collegate alla problematica dell'accesso ai beni e servizi, il ricorso alla giustizia, taluni aspetti concernenti i servizi pubblici, alcuni aspetti della politica nutrizionale ed alimentare, l'alloggio, talune questioni riguardanti la salute. Più in generale la politica del mercato interno è una politica economica e non consente di prendere in sufficiente considerazione gli aspetti sociali della politica del consumo.
Al di là dell'armonizzazione promossa dal processo d'integrazione europea, non bisogna perdere di vista che il Trattato di Roma prevede, tra i suoi meccanismi, anche quello del riconoscimento reciproco: in mancanza di un'armonizzazione a livello comunitario, un prodotto od un servizio legalmente commercializzato in uno Stato membro
39 Cfr. la direttiva più recente, quella sui viaggi tutto compreso, nella quale il Consiglio ha diminuito in alcune disposizioni la protezione concessa ai consumatori dalla proposta riesaminata dalla Commissione (revisione dei prezzi, mezzi di ricorso e conciliazione delle liti, fondi di garanzia); cfr. anche i lavori relativi alla sicurezza generale dei prodotti, in base ai quali il Consiglio intende ridurre il campo d'applicazione della direttiva ai soli prodotti di consumo, aprendo in tal modo la strada a numerose ipotesi limite.
40 In effetti, il criterio più favorevole al consumatore sarebbe quello del grado di protezione più elevato, che permette alla Commissione di prendere come punto di partenza la normativa dello Stato membro che ha realizzato il maggior numero di progressi adottando una normativa a favore dei consumatori in un settore specifico.
deve, in linea di principio, e tranne in casi eccezionali previsti dal diritto comunitario, poter esser venduto negli altri Stati membri. Se giuridicamente nulla impedisce ad uno Stato membro di praticare la discriminazione alla rovescia41, economicamente una politica di questo tipo non può essere giustificata a lungo termine per le pressioni che eserciterebbero le imprese colpite da queste misure. Da quanto affermato sinora emerge che non esiste a livello comunitario, una base giuridica adeguata per costruire una vera e propria politica del consumo.
L'esperienza ha dimostrato che tale carenza costituisce il pretesto ideale, usato da taluni Stati membri e gruppi di pressione, per criticare sistematicamente le iniziative comunitarie relative alla tutela dei consumatori. Numerose iniziative sono state eliminate, indebolite o rimandate, non in virtù del loro contenuto, ma sulla base della mancanza di competenza nelle istituzioni comunitarie42.
Il problema dell'esplicito riconoscimento delle competenze comunitarie nel campo della protezione e della promozione degli interessi dei consumatori è di attualità nelle discussioni e nei negoziati concernenti l'Unione politica europea intesi ad avvicinare ulteriormente le politiche nazionali degli Stati membri. A causa dei limiti attuali, spesso criticati, dell'intervento comunitario a favore dei consumatori, si sono alzate diverse voci a favore di una esplicita
41 La discriminazione alla rovescia consiste nell'applicare ai beni e ai servizi nazionali regole più severe rispetto ai prodotti importati.
42 Cfr. ad es. la direttiva riguardante i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, la cui proposta è stata presentata nel 1977 ma che è stata adottata solo nel 1985; la proposta di direttiva sulle clausole inique, annunciata dal 1977 e non ancora adottata; la proposta sulla sicurezza generale dei prodotti; i lavori concernenti l'armonizzazione nel campo dei contratti assicurativi, chiesta all'unanimità dal movimento dei consumatori e sostituita nelle direttive comunitarie da misure complesse riguardanti il diritto applicabile al contratto assicurativo.
competenza delle Comunità nel settore della tutela e della promozione degli interessi dei consumatori43.
Analogamente, in occasione della revisione dei trattati avviata dalla conferenza intergovernativa sull'Unione politica, alcune delegazioni nazionali hanno presentato una proposta, sostenuta dalla maggioranza degli Stati membri, per l'esplicito riconoscimento della tutela dei consumatori tra gli obiettivi dell'Unione44. Occorre dotare le istituzioni dei mezzi necessari per avviare una politica di protezione e di promozione degli interessi dei consumatori specifica ed attiva, ma anche per tener conto degli interessi di questi ultimi in sede d'attuazione di altre politiche che li riguardano. Il Comitato si rammarica che la Commissione non abbia preso iniziative specifiche in materia45, ma prende atto con soddisfazione del fatto che essa si sta attualmente orientando verso l'accettazione del principio di una disposizione specificamente consacrata alla protezione dei consumatori. Nell'ambito dell'Unione politica, è importante promuovere una politica del consumo dinamica e progressista. Di conseguenza è indispensabile che la disposizione del Trattato relativa a questo argomento preveda una procedura di adozione delle iniziative a maggioranza qualificata e permetta agli Stati membri di andare oltre le misure comunitarie onde meglio proteggere i consumatori (principio dell'armonizzazione minima). Riconoscendo inoltre la
43 Si considerino i comunicati stampa di alcune organizzazioni che rappresentano i consumatori e la risoluzione del Consiglio consultivo dei consumatori adottata nel corso della riunione del 12 marzo 1991.
44 Si consideri anche il parere adottato dal Consiglio consultivo dei consumatori nella riunione del 12 marzo 1991, nel quale si chiede con insistenza che il nuovo trattato sull'unione politica contenga anche una disposizione specifica riguardante le competenze comunitarie in materia di protezione e di promozione degli interessi dei consumatori.
45 Cfr. le lacune del documento di discussione che contiene i suoi primi contributi alla conferenza intergovernativa sull'unione politica (SEC(91)500).
necessità di dare una dimensione comunitaria alla politica di tutela e promozione degli interessi dei consumatori si potrebbe utilmente completare la portata degli articoli 30 e 36 del Trattato in base ai quali gli Stati possono mantenere, per motivi legati in particolare alla protezione dei consumatori, ostacoli alla libera circolazione delle merci, cosa che è in contrasto con la costruzione europea.
Successivamente, il Trattato di Maastricht, firmato il 07/02/1992, ratificato con legge n. 454 del 03/11/1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, che ha trasformato la Comunità Economica in Unione Europea, ha previsto un apposito titolo dedicato alla protezione del consumatore, e ha attribuito all'Unione competenze specifiche in materia. L'Unione contribuisce ad un livello elevato di protezione dei consumatori, e promuove azioni di sostegno ed integrazione della politica svolta dagli stati membri al fine di tutelare la salute, gli interessi economici dei consumatori e di garantire loro un'adeguata informazione46.
Il nostro Governo ed il nostro Parlamento non si sono mai premurati di attuare tempestivamente le direttive comunitarie e tanto meno hanno mai introdotto legislazioni più avanzate delle direttive comunitarie in materia. Dopo innumerevoli richiami, da parte delle autorità comunitarie e numerose procedure per infrazione davanti alla Corte di Giustizia, a partire dal 1989 il Parlamento italiano ha perciò adottato il sistema della "legge comunitaria", cioè una legge annuale con la quale si provvede al recepimento delle direttive
46 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, op. cit., p. 30.
o si delega il governo a predisporre testi normativi sulla base delle direttive emanate dal legislatore comunitario.
A partire dal 1990 la Commissione CE ha iniziato l'elaborazione di piani strategici ad ampio respiro, i cosiddetti "piani triennali", aventi lo scopo di incidere realmente sulle politiche degli stati membri nei settori riguardanti la tutela dei consumatori, per giungere ad una effettiva armonizzazione delle legislazioni47.
Il primo piano, 1990/1992, è stato caratterizzato da una intensa attività legislativa. Tra le Direttive approvate si possono ricordare: la Direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti (92/59/CEE); sulla etichettatura e la presentazione dei generi alimentari destinati al consumatore finale (90/496/CEE
- 91/72/CEE - 91/238/CEE - 92/11/CEE); sul ravvicinamento delle legislazioni in materia di credito al consumo (90/88/CEE); sui viaggi, le vacanze ed i circuiti "tutto compreso" (90/314/CEE) e sulle clausole stipulate nei contratti con i consumatori (93/13/CEE, approvata dal Consiglio il 5 aprile 1993 a conclusione di lavori preparatori iniziati nel 1990).
La seconda importante iniziativa del piano triennale 90/92 consisteva in una serrata azione di informazione ed istruzione, quale indispensabile complemento delle misure legislative. Questo obiettivo si è poi tradotto in una più ampia attività di collaborazione e finanziamento delle organizzazioni dei consumatori ed in un forte incremento nell'uso dei mezzi di comunicazione di massa per avvicinare il maggior numero
47 II piano d'azione della Commissione CE, Rivista critica di Diritto privato, II/94, p. 153.
possibile di consumatori ed utenti di servizi. Se il bilancio di questo primo "Piano" è stato positivo per quanto riguarda la quantità degli argomenti su cui si è legiferato, appare invece quasi fallimentare per quanto riguarda la trasposizione e la successiva applicazione delle stesse norme nel diritto interno degli stati membri48. Il secondo “Piano triennale”, che abbraccia il periodo 1993/1995 è stato formulato con l'intento di consolidare il lavoro svolto dalla Commissione nei precedenti interventi. Una delle priorità è quindi stata quella di migliorare l'informazione del consumatore, puntando al coordinamento ed al consolidamento delle politiche di comunicazione. Poiché "il singolo, nella veste di consumatore, può operare una scelta razionale ed in piena cognizione di causa solo a condizione che le informazioni relative al prodotto che gli vengono fornite indichino tutti gli aspetti rilevanti (rendimento, affidabilità, efficienza energetica, resistenza, costi di esercizio ecc.) ed a patto che dette informazioni siano formulate in modo neutro e corroborate da garanzie reali ed attendibili"49 viene dato il massimo impulso ad iniziative editoriali, sia a livello di grande mercato che, in collaborazione con le associazioni di consumatori, a livello settoriale e nazionale. Anche la ricerca ed il consolidamento delle azioni di concertazione sono stati tra gli obiettivi del "Piano triennale", che ha puntato con forza ad una valorizzazione della funzione consultiva delle organizzazioni di consumatori presso la Commissione CE.
48 X. XXXXX, Il consumatore, in Diritto privato europeo, a cura di X. XXXXXX, Padova, 1996, p. 171.
49 Programma comunitario di politica ed azione per l'ambiente - Com. 92/23 def. Vol. II, p. 72.
Altri punti qualificanti del piano 1993/1995 sono stati la ricerca di una maggiore efficacia nella protezione dei diritti dei consumatori agevolandone l'accesso alla giustizia o la composizione extragiudiziale delle vertenze, ed il tentativo di un migliore adeguamento dei servizi finanziari alle esigenze di certezza e sicurezza degli utenti. Molto forte è apparsa la volontà della Commissione di eliminare la frattura creatasi tra il diritto scritto, frutto dei tanti provvedimenti normativi emanati soprattutto nel triennio 1990/1992 e l'effettivo riconoscimento di questi diritti ai consumatori sul piano nazionale50. Il terzo "Piano triennale" ha preso l'avvio durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione, e con l'Xx. Xxxx Xxxxxx quale Commissario Europeo alle politiche dei consumatori. Il piano 1996/1998 è stato elaborato con l'obiettivo di completare il lavoro avviato con i piani precedenti, considerando l'esigenza di misure correttive e prendendo atto degli enormi cambiamenti già avvenuti ed indi venire all'interno dell'Unione. Sempre in primo piano è la necessità di informare ed educare i consumatori, per metterli in grado di sfruttare appieno i cambiamenti tecnologici della società multimediale. Desta seria attenzione nella Commissione l'esigenza, da parte dei consumatori, di un’informazione veramente indipendente nei confronti dei servizi finanziari e del mercato del credito al consumo. Un elevato livello di priorità ha il sostegno finanziario verso le associazioni di consumatori, tale da garantire uno sviluppo a breve e medio termine del movimento in tutta l'Europa del sud, dove tradizionalmente è esigua la presenza di tali strutture.
50 X. XXXXX, Il consumatore, in Diritto privato europeo, a cura di X. XXXXXX, Padova, 1996, p. 171.
I punti nove e dieci del documento programmatico51 sono poi estremamente innovativi e qualificanti, e riguardano rispettivamente: a) l'assistenza giuridica e tecnica ai paesi dell'Europa centro orientale, al fine di promuovere gli interessi dei consumatori e l'attuazione di una politica efficace in loro favore (anche in vista di una auspicabile futura adesione all'Unione);
b) l'elaborazione di strategie adeguate per una politica dei consumatori all'interno delle politiche di supporto ai paesi in via di sviluppo. L'impressione che si ricava, leggendo questi programmi e l'elenco delle Direttive approvate è che spesso i fatti non seguono con rapidità alle lodevoli intenzioni. In effetti lo Stato Italiano è tra i più lenti a recepire gli atti dell'Unione, e spesso, come già osservato, si attiva dopo la condanna della Corte di Giustizia, ma a questa situazione ci sono, fortunatamente, due correttivi che mitigano il danno che dovrebbero subire i consumatori. Il primo rimedio deriva dalla creazione del mercato unico; la concorrenza a livello continentale ha fatto sì che qualsiasi produttore o fornitore di servizi, per rimanere sul mercato, debba adeguarsi velocemente alle direttive europee, indipendentemente dal fatto che il suo stato di appartenenza abbia proceduto o no alle ratifiche, pena la perdita di quote di mercato per il ritiro forzato del prodotto. Ne è un esempio la direttiva 92/59 sulla sicurezza generale dei prodotti che prevede addirittura un intervento diretto della Commissione CE presso gli stati
51 "Le politiche regionali dei consumatori nel semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea". Documenti dell'incontro dibattito con Xxxx Xxxxxx, Torino, Palazzo Xxxxxxxx, 20 gennaio 1999.
membri "in caso di rischio grave ed immediato per la salute e la sicurezza dei consumatori".
Il secondo rimedio, intrinseco alle stesse direttive, è la possibilità che queste siano self-executing, cioè in grado di operare nel diritto interno nonostante la mancata recezione: "Per consolidata regola giurisprudenziale tale capacità si lega al grado di determinatezza e precisione delle proposizioni normative: la direttiva è suscettibile di applicazione immediata se risulta formulata in termini abbastanza puntuali, analitici ed univoci da poter offrire regole di giudizio per la soluzione di casi concreti anche senza il medium di un atto di recezione"52. È il caso, ad esempio, della Direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori, che nonostante sia stata recepita nel nostro paese con la legge n°52 del 6 febbraio 1996, in base all'art. 10.1 della stessa Direttiva (dovrà essere attuata dagli stati membri entro il 31 dicembre 1994), è entrata effettivamente in vigore il primo gennaio 1995, cioè più di un anno prima che il nostro parlamento ne introducesse ufficialmente il testo nel nostro ordinamento.
52 X. XXXXX, La nuova disciplina delle clausole abusive, Rivista di diritto civile, I - 1994, p. 301.
4. Le associazioni dei consumatori in Italia.
Le prime forme di mobilitazione consumeristica si sviluppano in Italia contemporaneamente agli altri paesi europei. Nel 1955 nasce l’Unione Nazionale Consumatori come evoluzione di un’associazione romana di utenti dei pubblici esercizi che operava da alcuni anni. L’associazione è promossa da un gruppo di giornalisti e di studiosi con una prima specializzazione sul terreno dell’alimentazione che si concretizza ad esempio nelle battaglie per la Legge 283 del 1962 che regolamenta il settore agroalimentare. L’UNC ha dei legami con la Democrazia Cristiana e, in una logica di alleanza tra produttori e consumatori, vede il consumatore come un soggetto da proteggere, è chiaramente interna all’area di governo e risulta, per questo, abbastanza protetta politicamente, ma nel corso degli anni, grazie anche a queste sue caratteristiche, svolge un importante lavoro di informazione e sviluppo culturale. L’UNC impersona il tradizionale modello di associazione europea dei consumatori molto interna alle istituzioni che in Europa, in quegli anni, sono prevalentemente socialdemocratiche, mentre in Italia sono democristiane. Agli inizi degli anni Settanta Xxxxxxx Xxxxxxx assieme ad un gruppo di giovani intellettuali tra cui Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx, dà vita al Comitato Difesa Consumatori dopo l’esperienza di una battaglia civile per la revisione dei foglietti informativi dei medicinali italiani. Verificando che i medicinali italiani riportavano avvertenze più generiche rispetto a quelle degli stessi prodotti distribuiti in altri paesi, il piccolo gruppo riesce ad indurre il Ministero della Sanità a rivedere la
regolamentazione attraverso un mix di inchieste giornalistiche, denunce penali e ricerche particolareggiate. Il Comitato Difesa Consumatori, con la sua rivista animata da Xxxx Xxxxxxxxx, assume come riferimento esplicito il modello americano di Xxxxx Xxxxx di un piccolo gruppo molto determinato con poca presenza territoriale e una limitata vocazione a seguire i problemi dei singoli consumatori. Lo scopo è piuttosto quello di combattere per i diritti civili del mercato in una battaglia “evidentemente progressista, popolare, ma non ideologizzabile, non riconducibile ad un conflitto di classe. Una battaglia che si vince solo con un fitto intreccio di diverse esperienze giuridiche, economiche, tecnico scientifiche e di comunicazione … anche essendo pochi purché preparati, decisi e insistenti”53.
Nel 1974, l’Unione Nazionale Consumatori ed il suo segretario Xxxxxxxx Xxxx, sono accusati da un pretore di Piacenza di aver fatto alzare il prezzo dell’olio: la vicenda suscita gran clamore e una consistente copertura da parte della stampa, sia per la notorietà che aveva allora l’associazione, sia per l’inserimento della vicenda in battaglie ideologiche. In secondo grado dopo 18 mesi Xxxx viene prosciolto in istruttoria da tutte le accuse, ma l’associazione impiegherà 7-8 anni per riprendersi e il colpo influisce sull’immagine di tutto il movimento consumatori. Prescindendo da valutazioni storiche sulla vicenda specifica, occorre notare come l’azione giudiziaria abbia interrotto un processo di crescita che era in sintonia con quanto accadeva negli altri paesi europei. L’anno precedente, nel 1973 l’UNC aveva 50 mila soci paganti, un
53 X. XXXXXXX, Come batterci da consumatori, Milano, 1991.
numero che per molti anni nessuna associazione italiana avrebbe raggiunto, e non è improbabile che il trend di crescita l’avrebbe portata a livelli assai più elevati negli anni successivi. Inoltre Xxxxxxxx Xxxx collaborava stabilmente alla prima rubrica televisiva rivolta ai consumatori “Io compro tu compri” presentando i risultati dei primi test comparativi condotti dall’UNC.
Tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta il movimento dei consumatori attraversa la sua fase più difficile in cui molti punti di debolezza incombono, nonostante i molti tentativi di costruire organizzazioni e di promuovere fronti più o meno ampi che assumano la rappresentanza dei consumatori. È anche una stagione di lavoro sotterraneo in cui alcuni interventi istituzionali cominciano a consolidarsi, diverse Regioni cominciano ad agire sul terreno dei consumatori, istituendo figure simili al difensore civico, riconoscendo le associazioni e promuovendo progetti comuni. L’attenzione dei mass media si mantiene alta, almeno fino all’inizio degli anni Ottanta, supplendo in parte alla debolezza delle associazioni. Accompagna tutta questa fase “Di tasca nostra” una trasmissione simbolo condotta da Xxxx Xxxxxxx la cui prima serie va in onda nel 1978, fino al 1981, per poi riprendere dopo un’interruzione dal 1984, fino al 1987, quando, in seguito alle pressioni degli utenti pubblicitari e alle lotte interne alla Rai, viene chiusa definitivamente. Il successo della trasmissione è legato alla realizzazione di test comparativi che vengono introdotti nella seconda edizione del 1979 e che provocano un enorme successo di audience. I test rappresentano allora un modo comune di fare informazione
negli altri paesi occidentali, dove sono comunemente accettati, ma costituiscono un piccolo scandalo in Italia, dove le imprese ritengono di dover avere una sorta di monopolio e supervisione sull’informazione riguardo ai loro prodotti. Di conseguenza si moltiplicano gli attacchi anche in virtù dei passi falsi che in un clima di contrapposizione la trasmissione compie inevitabilmente. “Di tasca nostra” si permette inoltre alcune irriverenze, come la prova in studio delle promesse degli spot pubblicitari e delle prestazioni raffigurate nei filmati. Solo alcuni anni più tardi, richiami del genere saranno comuni sia nelle trasmissioni di satira che nella legislazione di diversi paesi europei, dove le imprese devono essere sempre in grado di provare praticamente quanto mostrato e promesso dagli spot.
In questa fase le imprese considerano le tensioni consumeriste un puro disturbo anti-industriale ed i diversi governi considerano il problema del consumo fuori dalle loro priorità, come dimostra l’incredibile rallentamento della legislazione di tutela dei consumatori, sia nei confronti degli altri paesi occidentali, sia rispetto alle azioni e alle raccomandazioni della Comunità Europea. Nel 1977 nasce la Lega Consumatori ACLI che si appoggia anche a gruppi di acquisto raccolti in cooperative di consumatori a base autogestita; si interessa particolarmente di educazione alla gestione del bilancio familiare all’autotutela della salute e alle scelte di alimentazione. Nel 1981 le tre centrali cooperative e le tre centrali sindacali danno vita alla Federazione Nazionale Consumatori, che sulla carta si presenta come un’organizzazione fortissima con milioni di soci potenziali.
Nella realtà queste forze non riescono a formulare un’idea definita ed unitaria della tutela del consumatore, tema che rimane tutto sommato secondario rispetto agli obiettivi specifici delle singole organizzazioni aderenti. In particolare per le forze di sinistra, la tutela e l’organizzazione del consumatore vengono comunque subordinate all’organizzazione dei lavoratori, che rimangono il soggetto prioritario di riferimento. Di fatto la Federazione Nazionale non decolla mai, sia per quelle incertezze strategiche che per i contrasti interni, la crisi precipita nella metà degli anni Ottanta, anche in seguito alla rottura dell’unità sindacale, e l’esperienza viene chiusa nel 1987. Negli anni successivi nascono tre associazioni vicine ai tre sindacati che le sostengono e finanziano in forme diverse, mettendo a disposizione uomini e sedi. Dal punto di vista dei sindacati si tratta di un allargamento della gamma di servizi offerti agli iscritti e del presidio di un’area di rappresentanza nuova con buone possibilità di espansione. L’idea è quella di combattere per la realizzazione di diritti non ancora sviluppati e di fornire ai cittadini un servizio aggiuntivo rispetto alla tutela sindacale. Grazie agli investimenti iniziali ed alla disponibilità di risorse umane sperimentate le tre associazioni crescono rapidamente e hanno un punto di forza particolare nella diffusione capillare sul territorio. Nei primi anni Novanta lo sviluppo delle associazioni sindacali, forti di capacità organizzative e di mobilitazione, rafforza e tonifica l’intero movimento dei consumatori.
La CISL crea l’ADICONSUM che, grazie all’investimento di risorse rilevanti, conquista rapidamente una
posizione di rilievo nel panorama consumerista. ADICONSUM dispone di circa 50 persone a tempo pieno e si impegna particolarmente sul terreno della sofisticazione alimentare e delle frodi commerciali. Per poter realizzare test comparativi da pubblicare sulla propria rivista “Test–noi consumatori” ha realizzato un accordo con l’organizzazione tedesca Stiftunwarentest e con gli istituti Nazionali dei Consumo francese, spagnolo e portoghese. Negli anni recenti ha avviato una decisa campagna contro l’usura con una proposta di legge e l’istituzione di un numero telefonico a favore dei cittadini. La UIL dà vita all’ADOC che punta particolarmente alle attività di formazione e informazione dei consumatori. Ad esempio per i prodotti di largo consumo sono stati organizzati interventi nelle scuole per prevenire gli incidenti che coinvolgono i bambini. Le campagne di informazione sono consideraste grandi veicoli della formazione di massa e ADOC punta molto al loro sviluppo. Negli ultimi anni durante l’estate offre servizi di assistenza e di informazione per i turisti come il “Telefono blu” dell’Adriatico e del Tirreno.
La CGIL sostiene con una convenzione la Federconsumatori, fondata da alcuni quadri sindacali assieme ad un gruppo di esperti e di intellettuali. Forte soprattutto nelle regioni centrali, ma con una buona diffusione territoriale, Federconsumatori punta molto al coinvolgimento degli associati nella vita dell’organizzazione che deve funzionare con il massimo di democrazia interna.
Negli ultimi anni cerca di accelerare lo sviluppo nelle regioni del sud dove il diritto dei consumatori è più calpestato
che altrove e dove mancano spesso le leggi regionali di tutela presenti nelle altre aree del paese. A metà degli anni Ottanta attraversa una crisi anche il Comitato Difesa Consumatori. All’interno si discute della possibilità di allargare l’associazione attraverso un’alleanza con le ACLI e l’ARCI, puntando ad un aumento del numero di soci e ad un maggior radicamento territoriale. La maggioranza teme che questo passo snaturi la formula originaria . Il dibattito porta inoltre alla luce alcuni malesseri interni, per una gestione troppo personalistica dell’associazione, e si arriva alla spaccatura. Dopo la fuoriuscita Xxxxxxx Xxxxxxx dà vita, assieme all’ARCI, al Movimento Consumatori che costruisce delle iniziative nell’area del turismo delle assicurazioni e della sanità. Fin dall’inizio è orientato ad aprire un dialogo con le imprese per ottenere una migliore tutela dei consumatori, anche attraverso accordi specifici. Secondo una scelta precisa del Movimento Consumatori, gli accordi si comunicano ai mass media una sola volta. Per evitare che le imprese considerino questo rapporto meramente come uno strumento di marketing da utilizzare nella propria pubblicità. Alla fine degli anni ottanta molti fattori contribuiscono a modificare lo scenario del movimento consumerista. In seguito soprattutto alle pressioni comunitarie ed all’obbligo di recepimento delle direttive, vengono varati diversi provvedimenti di tutela. In secondo luogo, con la fine del decennio aumenta la sensibilità dei consumatori ai temi della protezione e della difesa dei propri interessi, sensibilità che cresce ulteriormente con la recessione del 1992, con le crisi della marca e con lo sviluppo dei negozi discount. Infine nascono nuove associazioni che
raccolgono spesso esigenze specifiche e quindi riescono a trovare con più facilità una loro collocazione definita e a rendersi riconoscibili in uno spazio indifferenziato. Nel 1984 nasce a Milano Agrisalus in seguito all’esperienza dei “Quaderni di informazioni agroalimantari” editi dal 1976. La specializzazione iniziale riguarda l’alimentazione e la salute. Da qui i controlli sulla qualità e la sicurezza dei prodotti, le battaglie contro l’uso degli ormoni. Contro la produzione e il commercio dei pesticidi più pericolosi e l’irraggiamento dei cibi, fino alla costituzione come parte civile nel processo “vino al metanolo” nel 1991. Agrisalus mantiene fin dall’inizio forti collegamenti con tutta la filiera degli alimenti biologici, di cui vorrebbe promuovere la diffusione. A partire dal 1988 il raggio d’azione si allarga, vengono molto sviluppati i collegamenti internazionali e si crea un presidio specifico sulla pubblicità con un Osservatorio patrocinato dalla CEE e un’intensa attività di denuncia presso l’Istituto di Autodisciplina ed in seguito presso l’Autorità Antitrust. Viene considerata una delle associazioni più “internazionali” e punta molto sulla partecipazione a organismi comunitari e, negli ultimi anni, allo sviluppo di relazioni con associazioni di altri paesi europei. Nel 1993 avvia un progetto confederativo e, aggregando altre associazioni locali o specializzate, si trasforma in ACU (Associazione Consumatori Utenti). Successivamente lo sviluppo di una segmentazione nel tesseramento consente di raggiungere con la tessera contatto (le vecchie 3.000 lire), che implica un semplice sostegno all’associazione, 115 mila cittadini. A Roma da un gruppo di intellettuali riuniti attorno a Xxxxxxx Xxxxxxx e alla rivista
“Micromega”, prende vita il Movimento Difesa del Cittadino che registra una vicinanza iniziale con Legambiente. L’obiettivo è quello di svolgere un’azione di lobby a difesa dei cittadini soprattutto sul terreno dei servizi pubblici. Una delle prime campagne è quella nel 1988 per rivalorizzare la legge sull’autocertificazione, che era stata emanata nel 1968, ma era sempre rimasta lettera morta. Sempre a Roma nel 1986 nasce il CODACONS che riunisce una ventina di associazioni locali specializzate, con una presenza diffusa soprattutto nel centro- sud. Il CODACONS adotta una strategia di crescita basata sull’attività giudiziaria che conduce con aggressività e spregiudicatezza nei campi più diversi della tutela degli interessi dei cittadini. Proprio questa sua strategia aumenta il grado di riconoscibilità e di identificazione, consentendogli una presenza particolare sui mass media. Tra le associazioni più specializzate è possibile citare l’ADUSBEF e l’ASSOUTENTI. La prima si occupa prevalentemente dei settori bancari e assicurativi, in cui ha maturato una competenza specifica che è continuamente consolidata. La seconda, che si ispira ai modelli organizzativi naderiani del piccolo gruppo di denuncia, è specializzata nella difesa degli utenti dei servizi pubblici. Questa specializzazione l’ha portata ad intervenire spesso sul livello qualitativo dei servizi in monopolio e sugli scioperi, evidenziando un contrasto di orientamento in particolare con le associazioni sindacali. Nonostante la proliferazione, le singole associazioni restano deboli e tutto sommato poco visibili all’esterno. Per migliorare la visibilità del movimento consumerista e per coordinare le attività viene creata nel 1986 e formalizzata nel 1989 la
Consulta Nazionale Consumatori e Utenti, cui partecipano nove associazioni. Si tratta di un modello evolutivo tipico di molti altri paesi, dove una, o poche organizzazioni ombrello, gestiscono le iniziative comuni e coordinano il lavoro di numerose associazioni (talvolta centinaia) specializzate per area geografica, per destinatari o per tematiche trattate. La debolezza delle singole associazioni impedisce di trasferire risorse alla Consulta che, quindi, non riesce ad avere alcuna autonomia rispetto ai promotori. Inoltre, esplode il contrasto tra associazioni consumeristiche in senso stretto e associazioni di matrice sindacale. Da un lato sul terreno dei servizi pubblici, le associazioni sindacali possono tendere a frenare le rivendicazione degli utenti o a trasferirle su una generale e impersonale organizzazione del lavoro, invece che sulle performance degli addetti. Dall’altra parte, le organizzazioni consumeristiche in senso stretto, xxxxxxx il contrasto, perché temono la conquista di spazi eccessivi da parte delle associazioni sindacali, che mettendo in campo risorse e capacità, diventano organizzazioni molto radicate nel territorio e si appropriano rapidamente dei temi consumeristi, diventando molto competitive soprattutto sul terreno dei servizi offerti ai consumatori. Si tratta di un contrasto che riproduce quanto accade a livello europeo, dove due organizzazioni distinte raggruppano le tradizionali associazioni consumeriste e quelle di ispirazione sindacale nel portare avanti l’attività di lobbying presso la Commissione. A queste si aggiungono EUROCOOP per le cooperative, e COFACE per le organizzazioni delle famiglie, attive sul terreno consumerista soprattutto nel nord Europa. Sono anche le
rispettive organizzazioni europee che spingono allo scontro nelle diverse realtà nazionali ed in Italia si arriva all’uscita delle tre associazioni sindacali dalla Consulta e quindi allo scioglimento di quest’ultima nel 1992. Le associazioni non sindacali danno in seguito vita alla Confederazione Consumatori e Utenti che dovrebbe svolgere un ruolo analogo di coordinamento. Le associazioni hanno ormai diversi tavoli di confronto sia in ambito istituzionale, sia nella contrattazione con grandi imprese. L’idea di costruire un’associazione ombrello non funziona per diversi motivi. Ormai esistono asimmetrie dimensionali tra le associazioni e quelle maggiori non vorrebbero legittimare eccessivamente sigle che giudicano esistenti solo sulla carta. Per migliorare il coordinamento nazionale tra le associazioni e per consolidare un certo grado di strutturazione nel movimento dei consumatori, sono stati importanti alcuni tavoli di trattative aperti con grandi aziende di servizi come TELECOM Italia o le Ferrovie dello Stato, oppure con associazioni come la CONFCOMMERCIO. La trattativa con TELECOM Italia su temi come le bollette o la telefonia sociale costituisce una delle prime occasioni di incontro ufficiale di tutte le principali associazioni allo stesso tavolo. Questi incontri sfociano alcuni anni dopo nell’esperienza di conciliazione ed arbitrato che offre agli utenti telefonici una via non giudiziaria per la risoluzione di controversie con l’azienda. Le proposte di legge per il riconoscimento delle associazioni di consumatori hanno invece effetti contraddittori. Da un lato infatti accelerano un processo di consolidamento delle associazioni e di strutturazione organizzativa, ma dall’altra parte, con la promessa ed il
miraggio di qualche finanziamento stabile, accentuano un fenomeno di presenzialismo per cui ogni associazione deve essere presente in ogni occasione, si tratti di un dibattito o di una commissione, pena la perdita di visibilità.
Il maggiore esempio di crescita in questa fase di sviluppo è quello del Comitato Difesa Consumatori, guidato da Xxxx Xxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxxx, e realizzato tramite l’alleanza con un’associazione consumatori belga e la sua rivista (Test Achat). Dei due modelli principali di consumerismo esistenti in Europa uno vede il punto di forza nella istituzionalizzazione, e nel conseguente consolidamento, mentre l’altro considera fondamentale la disponibilità di risorse economiche proprie e vede come una minaccia l’interventismo dei governi. La pubblicazione di riviste specializzate che realizzano test comparativi rappresenta la principale attività economica di questo gruppo. Avendo raggiunto una posizione non ulteriormente espandibile sul mercato belga, la rivista/associazione si è posta il problema della crescita internazionale, avendo peraltro dei vincoli alla redistribuzione dei profitti. In alcuni paesi, tra cui l’Italia, dove acquista nel 1989 il 51% della s.r.l. Editrice del mensile “Altroconsumo” del Comitato Difesa Consumatori, che però mantiene un’opzione per tornare in maggioranza. Grazie ad investimenti consistenti sia nella parte relazionale che, soprattutto, in campagne di direct marketing per gli abbonamenti, la rivista cresce rapidamente dalle 15 mila copie a 100 mila dopo un anno, 250 mila copie nel 1992, 350 mila copie nel 1994. Dopo alcuni anni il rinnovo degli abbonamenti si è stabilizzato attorno al 75%, considerato una soglia critica.
Ogni abbonato è anche socio e fruisce di tutti i servizi che il Comitato riesce a fornire, grazie anche alle royalty che riceve dalla società editrice sugli abbonamenti (1 miliardo nel 1994). I detrattori di questo modello di sviluppo sottolineano il rischio che i test della rivista possano essere influenzati dagli interessi nazionali dei soci belgi e sostengono che abbonati non si sentono soci, ma piuttosto lettori o clienti. Di conseguenza non si dovrebbe considerarli nel valutare la consistenza dell’associazione, che presuppone legami più solidi con i propri associati. Il successo della rivista consente di costruire una struttura organizzativa solida con 75 persone in totale, di cui 6 legali remunerati a tempo pieno per offrire consulenza legale ai consumatori associati.
5. La tutela e l’ordinamento dei consumatori in Italia.
Le prime leggi italiane a tutela dei consumatori vedono la luce alla fine degli anni '80 ma è negli ultimi anni che hanno raggiunto una produzione ragguardevole. La regolamentazione di tale materia è il frutto dell'adeguamento del nostro ordinamento alla normativa comunitaria. Del resto, la protezione dei consumatori è sempre stato uno degli obiettivi primari della politica della Comunità Europea, fin dalla sua istituzione. L'art. 153 del Trattato stabilisce, infatti, che "Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, la Comunità contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori, nonché a promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”. Nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori. In altre parole, tutti gli atti della UE devono essere compatibili con i diritti dei consumatori. Che la tutela dei consumatori sia al centro delle politiche comunitarie è confermato, ancora una volta, dalla Comunicazione n°531 del 02/10/2001 della Commissione Europea, un libro Verde che ha avuto come scopo quello di avviare una consultazione pubblica sulla forma migliore di regolamentazione in materia di pratiche commerciali leali. Tale consultazione ha evidenziato la necessità di una riforma del diritto europeo dei consumatori sulla base di una direttiva "quadro" che armonizzi le norme sulla correttezza delle pratiche commerciali tra imprese e consumatori. La direttiva quadro rappresenterebbe
dunque una "rete di sicurezza" per regolamentare le pratiche connesse al commercio transfrontaliero senza incidere sulle materie oggetto di direttive settoriali specifiche. Come abbiamo accennato all'inizio, in Italia la tutela del consumatore nasce alla fine degli anni '80 come tutela della salute fisica del medesimo. Il D.P.R. 24 maggio 1988 n. 224, attuazione della Direttiva CEE 85/374, stabilisce, per la prima volta, la responsabilità del produttore per i danni cagionati dai difetti dei suoi prodotti. Successivamente, con il D. Lgs. 15 gennaio 1992 n. 50, attuazione della Direttiva 85/577/CEE, vengono introdotte le garanzie per il consumatore che stipula un contratto fuori dai locali commerciali, con esclusione di quelli aventi ad oggetto beni immobili, la fornitura di prodotti alimentari e quelli assicurativi e finanziari. Al consumatore è concesso, tra gli altri, il c.d. "diritto di ripensamento", cioè il diritto di recesso senza specificare alcun motivo e senza incorrere in alcuna sanzione e/o spesa, da esercitare entro sette giorni. Con il D.Lgs n°174/95, anch'esso di adeguamento alla normativa comunitaria, viene accordato tale diritto di recesso, da esercitare entro trenta giorni dalla stipula, anche a coloro che contraggono una polizza sulla vita. In Italia, le norme sui diritti dei consumatori e degli utenti hanno trovato collocazione o in leggi speciali, come abbiamo visto finora, o sono state inserite nel codice civile, come vedremo tra poco, in materia di clausole contrattuali abusive o di garanzie post- vendita dei beni di consumo54. Negli altri Paesi europei le soluzioni sono state differenti. Per esempio, in Germania sono state inserite nel nuovo codice civile; mentre, in Catalogna
54 Vedi, infra, cap. IV.
(Spagna) o in Scozia si è preferito riunirle in un apposito codice o testo unico che dovrà poi essere coordinato con il codice civile.
La Legge 6 febbraio 1996 n°52, attuazione della Legge comunitaria 1994, ha introdotto nel nostro codice civile gli articoli 1469-bis e seguenti in tema di clausole abusive nei contratti col consumatore. Per la prima volta il consumatore o l'utente riceve dal Legislatore una tutela effettiva. Infatti, le clausole ritenute abusive, cioè che determinano a carico del consumatore o dell'utente un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e che non sono oggetto di trattativa individuale, sono inefficaci e quindi inapplicabili, mentre, ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del cod. civ., una semplice doppia sottoscrizione, peraltro non rifiutabile per ottenere il bene o il servizio, bastava ad aggirare l'ostacolo. Inoltre, la sopracitata normativa riconosce alle associazioni dei consumatori e alle Camere di Commercio l'azione inibitoria per evitare che il professionista continui ad usare nelle condizioni generali di contratto le clausole accertate abusive. Xxxxxxxx, però, di una tutela negativa del consumatore, cioè di una normativa dettata soltanto per evitare che la persona subisca un danno derivante dal potere contrattuale dell'imprenditore. Per arrivare ad una tutela positiva, ai "diritti essenziali" del consumatore, come li definisce il Xxxx. Xxxxx Xxxx, occorrerà attendere prima la Legge 30 luglio 1998 n. 281 (la c.d. legge quadro sui diritti dei consumatori) e poi il D. Lgs. 2 febbraio 2002 n°24 sulle c.d. garanzie post-xxxxxxx00. Prima di parlare specificamente dei predetti provvedimenti
55 Vedi, infra, cap. IV, par. 1.
normativi, vale la pena di menzionare, per evidenziare come il Legislatore comunitario prima, e quello italiano poi, abbiano creato, in relazione al continuo sviluppo della tecnologia, una "rete di protezione" per il consumatore, il D. Lgs 22 maggio 1999, n. 185 - attuazione della Direttiva 97/7/CE - in materia di contratti a distanza.
I contratti stipulati con qualunque mezzo, senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore, con esclusione della vendita di prodotti finanziari, danno al consumatore medesimo il diritto di recedere, senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo, entro dieci giorni decorrenti dalla conclusione del contratto.
La sopra citata Legge quadro n°281/98 recante "la disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti", all'art. 1, 2° comma, enuclea i diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti: a) tutela della salute; b) sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi; c) adeguata informazione e corretta pubblicità; d) educazione al consumo; e) correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; f) promozione e sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti e, infine, g) erogazione dei servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. L'elencazione è puramente esemplificativa ma non esaustiva. Anche se la tutela effettiva si realizza nel contratto che si andrà a stipulare, per la prima volta si individuano i diritti dei consumatori. Tra i diritti sopra elencati occorre evidenziare il diritto all'informazione56. Tale diritto garantisce la qualità del prodotto o del servizio che deve essere
56 Vedi, infra, cap. III, par. 15.
rispondente alle informazioni comunicate previamente dal produttore o dal fornitore. Questo diritto è stato specificato nel
D. Lgs. 17 marzo 1995 n°111, attuazione della Direttiva 90/314, sui c.d. "pacchetti turistici"57 e dal D. Lgs. 9 novembre 1998 n° 427, attuazione della Direttiva 94/47, sulla c.d. "multiproprietà". In ambedue i provvedimenti normativi il fornitore o il venditore devono consegnare prima della sottoscrizione del contratto un documento informativo contenente tutta una serie di comunicazioni e/o notizie sul servizio o sul bene venduto. La mancanza delle informazioni dà al consumatore il diritto di recesso senza alcuna penalità e/o spesa, e la mancata rispondenza del servizio alle informazioni comunicate, il diritto al risarcimento dei danni. L'art. 3 della Legge quadro, inoltre, introduce la legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori e degli utenti a tutela degli interessi collettivi. Tale azione, che non preclude quella individuale del singolo consumatore, ha carattere inibitorio e può, nei casi in cui ricorrano giusti motivi, svolgersi con la procedura d'urgenza. Per rafforzare la protezione degli interessi dei consumatori, la L. n°39/2002 ha inserito, nel predetto articolo 3, il comma 5-bis, con il quale è stato disposto il pagamento di una somma da 516 Euro a 1.032 Euro per ogni giorno di ritardo nell'adempimento dell'ordine del Giudice di inibizione e di eliminazione degli effetti dannosi delle violazioni accertate, rapportato alla gravità del fatto. Le associazioni dei consumatori e degli utenti, individuate a norma della L. n° 281/98, successivamente si sono viste riconoscere vari poteri. Per esempio, il Decreto del Ministro
57 Vedi, infra, cap. III, par. 4.
dell'Economia e delle Finanze 13 dicembre 2001 n° 456, che ha determinato i criteri per la composizione degli organi decidenti e per lo svolgimento delle procedure di reclamo in materia di bonifici transfrontalieri, all'art. 3, ha affidato ad almeno tre delle predette associazioni la designazione dei componenti rappresentativi dei consumatori nell'organo decidente, che può considerarsi dunque una sorta di organismo di autodisciplina. Inoltre, la L. 11 aprile 2000 n° 83, che ha modificato la L. n° 146/90 sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali, ha introdotto, tra l'altro, l'art. 7-bis, con il quale è stato riconosciuto alle associazioni di categoria di cui alla L. n°281/98 la legittimazione processuale per l'inibizione dei comportamenti lesivi dei diritti degli utenti e per la pubblicazione della relativa sentenza.
Il D. Lgs. 2 febbraio 2002 n°24, attuazione della Direttiva 1999/44, sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo, ha introdotto, utilizzando la tecnica legislativa della novella del codice civile, gli articoli 1519-bis e seguenti, apprestando una disciplina a tutela dei consumatori che affianca quella già esistente in materia di vendita di beni mobili prevista dagli articoli 1510 e seguenti. Il Legislatore, ancora una volta recependo una direttiva comunitaria, ha realizzato una tutela positiva per il consumatore che ha ora il diritto, a cui corrisponde l'obbligo del venditore, di ottenere un bene conforme alle disposizioni contrattuali. Le novità introdotte dalla recente normativa sono costituite dai rimedi in caso di non conformità del bene al contratto e dai termini per la denuncia del difetto e per la prescrizione dell'azione. Accanto ai tradizionali rimedi della riduzione del prezzo o della
risoluzione del contratto, sono stati previsti i rimedi, da esperire in xxx xxxxxxxx, xxxxx xxxxxxxxxxx x xxxxx xxxxxxxxxxxx xxx xxxx, xxxxx spese per il consumatore. La scelta nell'ambito dei due gruppi di rimedi è rimessa al consumatore in quanto la scelta, in base al principio della buona fede, non deve essere troppo gravosa per il produttore. Il termine per la denuncia, a pena di decadenza, del difetto di conformità, che deve manifestarsi entro due anni dalla consegna del
bene, è di due mesi decorrenti dalla scoperta del difetto. A norma, invece, dell'art. 1512 c.c., se è stato espressamente garantito il buon funzionamento della cosa venduta, il vizio va denunciato entro trenta giorni dalla scoperta. L'azione diretta a far valere i difetti della cosa si prescrive comunque in ventisei mesi dalla consegna del bene – praticamente viene concessa una garanzia post-vendita di due anni dalla consegna, in considerazione del fatto che, se il vizio viene scoperto l'ultimo giorno di questo periodo, il consumatore ha a disposizione ulteriori due mesi per l'azione; con la vecchia normativa codicistica il termine è di sei mesi dalla scoperta del vizio. Anche se la strada da percorrere appare ancora lunga - basti pensare soltanto agli ulteriori sviluppi della normativa su l'"ecommerce", ai codici di autodisciplina, alle ADR ("Alternative Dispute Resolution") che sono state anche inserite nel progetto di riforma del codice di procedura civile - si può ragionevolmente affermare che in Italia grossi passi sono stati fatti in direzione di una più compiuta ed effettiva tutela dei consumatori e degli utenti, in una visione più equa dei rapporti con le imprese e in un'ottica più moderna ed europeistica del diritto.
6. Verso un’unificazione legislativa in Italia.
L’esigenza di raccogliere nell’ordinamento italiano in un unico testo legislativo le disposizioni vigenti in materia di tutela del consumatore, pur segnalata da una dottrina ormai cospicua, per dovizia di contributi e per vastità di aree indagate, non era stata soddisfatta in via ufficiale. Anche i tentativi sostenuti per scopi scientifici non potevano modificare il contesto normativo, limitandosi a promuovere una interpretazione coordinata delle disposizioni vigenti. Confrontando il nostro ordinamento con quello dei Paesi membri dell’Unione Europea più evoluti in questo settore, il modello normativo italiano evidenziava una grave lacuna, per molteplici ragioni. Da un lato, era registrata la difficoltà di accorpare in un unico contenitore disposizioni approvate in diversi momenti della recente storia legislativa italiana. Dall’altro, si sottolineava la complessità del coordinamento delle disposizioni vigenti, in particolare di quelle di derivazione comunitaria. Non si può trascurare poi il dubbio, di natura scientifica, piuttosto che pratica, secondo cui la riunione in un unico testo di disposizioni afferenti ai diversi ambiti coinvolgenti il consumatore avrebbe potuto accentuare la differenza di regime a cui sono sottoposti i rapporti tra imprenditori ed i rapporti tra questi ultimi ed i consumatori. La carenza dell’ordinamento nazionale è divenuta con il tempo ancora più evidente, attesa la politica di protezione dei consumatori affermata in sede comunitaria e ribadita dalla Commissione Europea nella Comunicazione relativa agli anni 2002-2006. Nella stessa direzione si pongono i suggerimenti emersi dalla discussione nell’ambito della cultura giuridica,
economica e politica dei Paesi membri. I dubbi che ancora sussistevano sull’opportunità di redigere un quadro di princìpi inerenti esclusivamente l’area del diritto contrattuale riguardante i rapporti posti in essere con i consumatori, oggi non hanno più alcun fondamento, dal momento che si tratta di un orientamento ormai irreversibile. In ambito comunitario si è da tempo affermato -normativamente e politicamente - l’indirizzo volto ad armonizzare e coordinare in modo sistematico le regole concernenti i rapporti con i consumatori. È appena agli albori, invece, l’iniziativa di armonizzare le regole generali sul contratto, senza distinzione dei ruoli assunti dalle parti. Nonostante alcune risoluzioni del Parlamento Europeo e del Consiglio dei Ministri della CE, al momento la Commissione Europea sembra molto cauta ad avviare questo più vasto e ulteriore processo di normazione unitaria. D’altra parte, al di là dei problemi di natura giuridica, le finalità di tutela dei consumatori, degli utenti e, per alcuni aspetti, dei risparmiatori, sono ormai divenute prioritarie negli interventi dell’Unione Europea. Il Codice del Consumo, peraltro, non comprende solo le regole di disciplina del contratto, ma racchiude anche le norme riguardanti ogni fase in cui il consumatore è coinvolto in relazioni giuridiche con i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi.
7. Il nuovo Codice del Consumo.
Il 22 luglio 2005, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro Xxxxxxx Xxxxxxx, ha varato il Codice del Consumo, dopo un lungo ma serrato iter, costellato da proroghe dei termini per la sua adozione. Il decreto legislativo approvato in ottemperanza all’art. 7 della legge delega 229/2003, costituisce un enorme passo avanti per la tutela dei consumatori e per la certezza e la trasparenza del mercato interno, in quanto in un unico testo sono state accorpate diverse normative, tra le quali le numerose direttive in materia di tutela dei consumatori, recepite e vigenti nel nostro ordinamento in maniera frammentata. Tra queste: la famosa direttiva 85/374/CEE sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi, le direttive 84/450/CEE e 97/55/CEE in materia di pubblicità ingannevole, quella 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze, i circuiti tutto compreso, la 93/13/CEE in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori, e l’elenco potrebbe continuare fino a ricomprendere la direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti e altri numerosi provvedimenti di diritto interno.
Il Codice entra in vigore il 23 ottobre 2005 e rappresenta il testo fondamentale di riferimento in materia di tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti. Per la prima volta, il Codice fa assumere un autonomo rilievo al diritto dei consumatori nell'ambito dell'ordinamento civile e la sua articolazione si ispira alle teorie sul processo di acquisto. Il Codice riunisce, coordina e semplifica le disposizioni normative incentrate intorno alla figura del consumatore, come cittadino conscio dei propri diritti e doveri. Il Codice è
orientato a favorire l'informazione del consumatore, a tutelarlo nella fase di raccolta delle informazioni, ad assicurare la correttezza dei processi negoziali e delle forme contrattuali da cui discendono le decisioni di acquisto. Vengono definiti inoltre in modo chiaro i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, promuovendone la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva. Si migliora, altresì, la concorrenza, la trasparenza e l'informazione nel mercato, favorendo la qualità dei prodotti e dei servizi, nonché la crescita della fiducia dei cittadini e degli operatori economici. Il testo si compone di 146 articoli ed è finalizzato al riordino e alla semplificazione della normativa a tutela del consumatore. In questo modo il diritto dei consumatori assume sempre più autonomo rilievo nell’ambito dell’ordinamento civile e si coordina con i principi e gli indirizzi comunitari. Il Codice del Consumo appronta regole di tutela riferibili non solo alla disciplina del contratto, ma anche alla fase precontrattuale e più in generale a tutte le relazioni giuridiche con i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi, tutto ciò al fine di assicurare un elevato livello di tutela del consumatore. In particolare dedica attenzione all’educazione del consumatore per favorirne la consapevolezza dei propri diritti, regola la corretta informazione all’utente e il suo diritto di recesso e rafforza le tutele anche nella materia delle televendite. Riprende la normativa sul credito al consumo, quella riguardante i contratti negoziati fuori dai locali commerciali e a distanza, quella riferita all’acquisto di pacchetti turistici; ribadisce la disciplina
delle clausole vessatorie e si sofferma su qualità e sicurezza dei prodotti.
Il Codice del Consumo rappresenta insomma un passo importante per la tutela dei consumatori che ora possono fare riferimento ad una normativa organica e rispondente alle problematiche quotidiane che li coinvolgono. Il testo ha riorganizzato le disposizioni normative secondo una sequenza logica e temporale lineare, che ordina la disciplina, come si afferma nella relazione illustrativa, “intorno al procedimento economico e giuridico compiuto, nella sua interezza, dall’atto di consumo”. Si sono riprodotte le norme vigenti nella loro originaria formulazione, procedendo a modifiche solo in caso di effettive esigenze di coordinamento o di adeguamento a mutate problematiche. Seguendo il discorso del Ministro Xxxxxxx che “con il codice il consumatore è messo nella condizione di tutelarsi e di essere tutelato, sia sul piano individuale che collettivo. Anche le imprese troveranno nel codice articoli di riferimento adeguati alla corretta informazione sul mercato, alla trasparenza e al miglioramento della concorrenza”, si può ben dire che, quindi, il codice sia foriero di vantaggi non solo a beneficio dei consumatori, ma, come affermato dal Governo, agisca su tre livelli. Innanzitutto, come è ovvio, a difesa della posizione giuridica del consumatore sia sul piano individuale che collettivo (a questo proposito ricordiamo che si attende l’emanazione della legge che istituisce la class action – introdotta dopo anni di attesa anche in Italia dal Senato della Repubblica nella Legge Finanziaria 2008 ancora in corso di approvazione - l’azione legale collettiva di risarcimento, che, sul modello americano,
viene promossa dai consumatori danneggiati e che garantisce una tutela effettiva di questi ultimi), il codice migliora le regole sulla correttezza delle pratiche commerciali, sull’informazione e sull’accesso alla giustizia. Inoltre, per quanto riguarda le imprese, il codice dovrebbe migliorare la concorrenza, la trasparenza e l’informazione sul mercato, favorendo una migliore qualità dei prodotti e dei servizi. Infine il codice avrà i suoi importanti riflessi sul mercato in generale, poiché dovrebbe conseguirne un incremento del grado di fiducia dei consumatori e delle imprese nel funzionamento del mercato e quindi una crescita degli scambi a beneficio di tutta la collettività nazionale. Molto si è discusso, fin dalle sue prime apparizioni, sulla portata e sul valore sistematico del neonato testo a tutela dei consumatori; in particolare, ci si è chiesti se l'opera di riassetto e coordinamento delle varie disposizioni legislative in materia dei consumatori sia effettivamente avvenuta con l'emanazione di un "codice" propriamente inteso quale complesso sistematico ed organico di norme, o ci si trovi piuttosto in presenza di un "testo unico" volto a riassumere le molteplici leggi vigenti in Italia a tutela del consumatore, senza pretesa di organicità. Sorprende che a definire se stesso come codice sia lo stesso testo legislativo in esame: infatti l'art. 3, rubricato definizioni, al co. 1 lett. f, definisce appunto "Codice: il presente decreto legislativo di riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori". Ma a prescindere dalla qualificazione che il testo dà di se stesso, la dottrina si interroga già sul raggiungimento effettivo di quell'atteso quanto necessario coordinamento delle molteplici norme esistenti in materia di
tutela del consumatore, sia sul piano formale sia su quello sostanziale. E, se da una parte può condividersi l'opinione di quanti ritengono che nell'epoca attuale il concetto di codice non evochi più le grandi opere di codificazione del passato, individuando piuttosto una raccolta di leggi volte ad operare una riduzione della complessità, dall'altra, resta ancora lecito chiedersi, rispetto al testo in esame, se tale opera di riduzione si sia con esso effettivamente attuata o meno.
Una risposta a tale quesito imporrebbe il confronto puntuale e minuzioso di tutti gli istituti a tutela dei consumatori nella disciplina previgente e in quella recentemente emanata; limiteremo invece il campo di indagine, per il momento, ad un’analisi critica generale del testo codificato, rimandando ad una trattazione successiva uno studio analitico degli istituti dello stesso.
8. Esame critico del Codice del Consumo.
Facendo ora una breve panoramica, più approfondita, su alcune delle risultanze che da detta operazione legislativa si possono trarre, va detto che dopo tanto tempo di legislazione speciale, sull’onda di una evidente esigenza di semplificazione della normativa, stanno tornando in auge le operazioni di codificazione attraverso le quali «risistemare» la materia oggetto del «codice», con uno sforzo che va riconosciuto.
Inutile ribadire il valore anche simbolico (e politico) di una siffatta operazione per i consociati che possono trovare in un unico corpus tutta (o quasi) la disciplina che riguarda un certo ambito, contribuendo a quella conoscibilità della legislazione, in grado, secondo i precetti costituzionali, di rimuovere gli ostacoli alla uguaglianza sostanziale tra i consociati. Con l’occasione, con il codice del consumo sono state eliminate alcune evidenti discrasie derivanti dalla successione delle diverse discipline (per lo più conseguenza di adempimenti agli obblighi di derivazione comunitaria) che hanno affastellato, in ogni dove, definizioni e regole, precedute dalla frase standard «ai fini del presente decreto ...» che complica la vita degli interpreti (e dei destinatari) del dettato normativo, soprattutto quando si susseguono, sullo stesso oggetto, indicazioni non perfettamente compatibili. Si pensi, per esempio, al rapporto – per nulla così cristallino – tra il D.Lgs. n. 50/1992, sulla vendita fuori dei locali commerciali, il D.Lgs. n. 185/1999 sulla vendita a distanza e il D.Lgs. n. 70/2003 sul commercio elettronico. Qualche antinomia è rimasta ma, almeno, qualche evidente difetto è stato corretto: come è accaduto – come si è già riferito – per l’unificazione
del termine del diritto «di ripensamento»58. Infine è stata data, finalmente, la giusta attenzione alle istanze tutelari dei consumatori e delle loro associazioni, con particolare riferimento alle azioni inibitorie ed all’accesso alla giustizia, ovvero alla composizione delle controversie tramite meccanismi di conciliazione extragiudiziale. D’altro canto, però, quello che appare da una rapida scorsa al testo del Codice del consumo è che si sia persa l’occasione per concepire anche una operazione «culturale»59. Insomma, la facilità del «taglia e incolla» ha messo in secondo piano il cedere alla tentazione di realizzare un «vero» codice, ossia una struttura sistematica in cui le varie parti non si riducano ad un mero assemblaggio di «pezzi» di leggi e decreti. Se, infatti, secondo una lezione ben nota, la legislazione speciale può dare vita a dei «microsistemi» disciplinari60, nella ricomposizione del tutto andava ricostruito un «sistema». Va però detto che il testo definitivo probabilmente è il meglio che si sia potuto ottenere dati i tempi e data l’attuale incapacità culturale di progettare e realizzare operazioni culturali di ampio respiro quali devono essere le codificazioni. Cominciando l’analisi dalla definizione, di cui all’art. 3, in cui è presente la frasetta di
58 Ma è rimasto il famigerato «malgrado la buona fede» di cui all’originario art. 1469- bis, comma 1, ora art. 33, comma 1, del codice del consumo. Né è persuasiva la giustificazione c contenuta nella Relazione al Codice: «Non si ritiene di aderire, invece, al ricordato parere espresso dal Consiglio di Stato, nella parte in cui suggerisce la sostituzione, nel testo dell'articolo 33 (il quale riproduce l’articolo 1469-bis, primo comma, del codice civile), dell'espressione "malgrado la buona fede" con le parole: "in contrasto con la buona fede". Infatti, il testo attuale offre un maggiore livello di tutela al consumatore, permettendo di qualificare come abusive le clausole contrattuali che determinano un significativo squilibrio tra le prestazioni, in danno del consumatore, nonostante la buona fede soggettiva dell’altro contraente, senza richiedere l’accertamento ulteriore della violazione delle regole della buona fede». Peccato che dottrina unanime – ed è un caso raro – sottolinea come si tratti di un errore marchiano. Che ora non lo sia perché c’è il Codice del consumo appare risibile
59 Posti i numerosi errori concettuali, non è ben chiaro il ruolo che hanno giocato gli illustri cattedratici ed esperti chiamati a far parte della Commissione ministeriale che ha redatto il Codice.
60 N. IRTI, L’età della decodificazione, IV ed., Milano, 1992.
rito «ai fini del presente codice si intende ...» che limita al Codice del consumo la definizione, mentre il codice stesso avrebbe rappresentato la fonte ideale per una definizione generale di “consumatore”. Ovviamente da ciò deriva che in qualsiasi successiva disciplina che riguardi il consumatore si eviterà di ridefinirlo, rinviando al Codice61.
Sempre in tema di definizione, appare un vero e proprio errore concettuale definire «produttore» e «prodotto» non in senso esaustivo ma «fatto salvo quanto stabilito nell’art. 103, comma 1, lett. d) e nell’art. 115, comma 1 ...». Nuovamente non si è avuto il coraggio di fare «sistema», lasciando in piedi delle successive «specifiche» che, poi, finiscono per diventare «specifiche delle specifiche». Con tutto ciò che ne consegue. Restando in tema di definizioni, non si può non fare menzione delle definizioni di «prodotto» e di
«produttore» ai fini dell’applicazione della disciplina della responsabilità per danno da prodotto difettoso. Al contrario dell’art. 3 del DPR n. 224/1988, che definiva quale
«produttore» il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, il produttore della materia prima, nonché per i prodotti agricoli del suolo e quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, rispettivamente l’agricoltore, l’allevatore, il pescatore ed il cacciatore62, le definizioni che troviamo nel Codice del consumo (rispettivamente agli artt. 3, comma 1, lett. d); 103, comma 1, lett. d); 128, comma 2, lett. d)), non
61 Ma anche nel Codice, a proposito di multiproprietà, si parla di «acquirente» indicato come «la persona fisica che non agisce nell’ambito della sua attività professionale», figura del tutto sovrapponibile con quella di «consumatore», quale ex art. 2 – la “La persona fisica (…) che agisce prevalentemente per scopo estranei all’attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta”.
62Assimilato al produttore era considerato chi apponeva il proprio marchio od altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione, nonché l’importatore e/o il distributore nell’ambito dell’Unione Europea.
menzionano il produttore di un componente del prodotto finito ed il produttore della materia prima (come, invece era previsto nell’art. 3 comma 2, D.P.R. n. 224/1988). Ma questo, per così dire, è il meno. Manca, infatti, l’estensione dell’agricoltore, dell’allevatore, del pescatore, del cacciatore al produttore, in aperto contrasto con quanto richiesto dalla direttiva comunitaria 99/34/CEE. La stessa osservazione va riferita al
«prodotto», laddove non risultano espressamente indicati, ai fini della responsabilità, i prodotti agricoli, di allevamento, della caccia e della pesca. L’esclusione costituisce una grave svista, posti i danni che, oggigiorno, anche i prodotti agricoli (per es. quelli OGM) e dell’allevamento (si pensi alla c.d. febbre aviaria) sono fonti di rilevanti rischi per i consumatori. Un altro errore imperdonabile è stato quello di mantenere separati i diversi ambiti anche quando sarebbe stato opportuna una scelta diversa. Un primo ambito è quello sanzionatorio. Non si comprende perché non si sia pensato che fosse opportuno concepire un Titolo (o un capo) destinato alle sanzioni ed alla procedura sanzionatoria, laddove, con rinvio alle diverse fattispecie da sanzionare si sarebbe potuto
«graduare» l’entità delle sanzioni medesime. Ci troviamo invece di fronte ad una serie di articoli scombinati che, nel loro incrocio, non rendono un buon servizio. Una riprova di questa confusione – in questo caso solo «visiva» – è testimoniata dalle disposizioni in tema di vendita fuori dei locali commerciali ed a distanza, laddove le «disposizioni comuni», di cui all’art. 62, dedicato alle sanzioni, precede la sezione dedicata al «Diritto di recesso». Nessuna sanzione è prevista per i «viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”»,
nonostante siano ben noti i problemi che sorgono in questo settore. Il X.Xxx. n. 111/1995 non prevede (va) alcun articolo rubricato «Sanzioni» e tale lacuna – immotivata – è rimasta negli artt. 82 e ss. del codice del consumo dedicati ai «Servizi turistici». Più sopra si diceva che è mancato un afflato sistematico. Un esempio in tal senso è offerto dalla parte IV del codice dedicato a qualità e sicurezza. Il Titolo I riprende il D.Lgs. n. 172/2004 mentre, il successivo Titolo II, è la trasposizione «codicistica» del D.P.R. n. 224/1988. Xxxxxx, a nostro avviso, era l’occasione giusta per integrare i due testi, o fondendoli, ovvero delineando espressamente la relazione
«gerarchica» o meno delle rispettive disposizioni63. Alla meno peggio si poteva operare con lo stesso «stile» impiegato per la vendita fuori dei locali commerciali ed a distanza, laddove si tratta – nonostante quanto già sottolineato – di sezioni di uno stesso Capo. Per il Titolo «Sicurezza e qualità» (oscuro – per inciso – il motivo del riferimento alla «qualità», posta l’eliminazione delle indicazioni in tema di Ecolabel ed Ecoaudit), invece si è optato nella divisione in Xxxxxx determinandosi una «separazione» nella materia che, al contrario, dovrebbe essere intesa in senso unitario, facendo parte del medesimo «microsistema» disciplinare. A proposito di «collegamenti» tra le diverse parti, uno dei problemi evidenti sono le ipotesi in cui rinviare al codice civile. Anche in questo caso a problema analogo sono state date soluzioni diverse, senza motivo. Il riferimento è al differente approccio
63 Cfr., le osservazioni a suo tempo svolte da X. XXXXXX, D.Lgs. n. 115/1995: i nuovi obblighi di sicurezza a carico del produttore, in Danno e resp., 1997, p. 428; X. XXXXXXX, Produzione e rischio di danni: regolamentazione pubblica versus regole di responsabilità in Econ. dir. terziario, 1996, p. 491 ss.
che si è seguito per le clausole vessatorie e per le garanzie nella vendita dei beni di consumo, tematiche che, come detto, all’ultimo momento sono state inserite nel codice del consumo togliendole dal codice civile. Nel primo caso si è ritenuto di mantenere nel codice civile un art. 1469-bis che recita: «Le disposizioni del presente Titolo si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli al consumatore». Fa da pendant a questo articolo, l’art. 38 del codice del consumo che si premura di ricordare che «Per quanto non previsto dal codice, ai contratti conclusi tra il consumatore ed il professionista si applicano le disposizioni del codice civile». L’argomento era evidentemente a cuore di qualcuno dei redattori, data l’attenzione ad esso riservato. Nel secondo caso, invece, non si è ritenuto di mantenere alcun art. 1519-bis per effettuare il rinvio. Questa differenza non pare per nulla meditata, probabilmente per mancanza del tempo per una opportuna riflessione. Che le regole dei «contratti in generale» si applichino anche quando sono presenti i consumatori è talmente ovvio che non serve ricordarlo, a meno che non si immagini che il codice del consumo sia un codice di
«categoria», provocando una scissione con l’unificazione (e l’unità) della codificazione civile. Nel caso delle garanzie, al contrario, un rinvio era necessario non fosse altro per un dato evidente: xx xxxxxxxxxx xxxxx xx 0000-xxx xx. xxxxxx radicalmente il sistema codicistico delle garanzie, per cui era doveroso indicare quali siano le conseguenze nell’avere ora deciso di inserire il tema delle garanzie nell’alveo del codice
del consumo64. Infine, qualche osservazione potrebbe essere svolta rispetto al tema dell’accesso alla giustizia dei consumatori, con riferimento all’introduzione della class action, nonché alla moltiplicazione dei «modelli» di conciliazione che imperversano in ogni dove. Sulla prima questione sarebbe una critica davvero ingenerosa, poiché – senza un intervento del legislatore – la delega conferita al Governo non avrebbe consentito di ampliare il codice su un tema così complesso e controverso. Si è però persa una buona occasione per fare un salto di qualità.
64 Esemplare, per chiarire le problematiche, quanto sostiene F. ADDIS, Tradizione e innovazione nella vendita di beni di consumo: unità e frammentazione nel sistema delle garanzie, in Giust. civ., 2004, II, p. 323 ss.
9. Programma di sviluppo del movimento consumatori.
Molte delle attività tipiche delle associazioni dei consumatori sono caratterizzate da economie di scala, ossia queste attività sono realizzabili a costi unitari più bassi, maggiore è il numero degli associati cui sono rivolte. Anche per le attività più istituzionali, sebbene non sia possibile parlare in senso stretto di economie di scala, esiste però un problema dimensionale, nel senso che la forza contrattuale delle associazioni è legata al loro grado di rappresentanza e ambedue sono funzione, più o meno diretta, del numero di associati. Nel panorama italiano, dove il movimento dei consumatori risulta molto polverizzato e caratterizzato dalla presenza di piccole organizzazioni, appare dunque rilevante che le associazioni si pongano il problema della crescita, se non vogliono essere condannate a un ruolo subalterno. Questo significa porsi in modo esplicito il problema dell’aumento del numero degli iscritti, con una strategia organizzata e finalizzata a quest’obiettivo.
All’interno del set di azioni possibili per raggiungere gli obiettivi di un’associazione, occorre selezionare con più decisione le mosse che hanno come risultato, principale o secondario, un aumento delle iscrizioni. Dall’analisi svolta nei paragrafi precedenti sulle attività delle associazioni risulta chiaro che una strategia di crescita va organizzata partendo dalle aree della fornitura di informazioni ai consumatori e della tutela nelle controversie. Si tratta, infatti, delle aree in cui più chiaramente gli output delle associazioni si costituiscono in servizi specifici, cui il consumatore può dare un valore individuale e cui può seguire una decisione di associarsi. Altre
aree, come la tutela istituzionale, se pure molto importanti, non consentono di ottenere risultati che il singolo consumatore può identificare come vantaggi definiti e specifici. Poiché le risorse di cui le associazioni dispongono sono limitate, occorre selezionare uno specifico mix di servizi, che può variare da associazione ad associazione, secondo la vocazione e le specializzazioni distintive, ma che deve rispondere all’obiettivo generale della crescita. Una strategia più orientata alla fornitura di informazioni, in particolare di test comparativi, richiede maggiori risorse finanziarie e competenze specifiche nel mercato editoriale. Invece una strategia maggiormente orientata alla tutela nelle controversie richiede una presenza capillare sul territorio e molte risorse umane, che però possono essere mobilitate attraverso il volontariato. In ambedue i casi le associazioni dovrebbero utilizzare strumenti di marketing specifici, tesi a valorizzare i propri servizi, a definire un prezzo (la quota d’iscrizione) che il consumatore possa ritenere vantaggioso, a creare le occasioni di comunicazione con i soci potenziali. Molti fattori sembrano far ritenere che la mancata crescita del movimento dei consumatori sia dovuta anche ad una carenza dell’offerta. Infatti, come riportato da recenti ricerche, risulta come quasi cinque milioni di italiani siano disposti a iscriversi a un’associazione di consumatori, in cambio di servizi di informazioni e di tutela nelle controversie realmente esistenti, di qualità riconoscibile e facilmente accessibili. Sembra però possibile che la domanda e l’offerta di servizi associativi possano non incontrarsi. Questo avviene se i costi necessari per mettere a punto dei servizi adeguati sono troppo elevati e
la curva dei costi medi risulta sempre superiore alla curva di domanda. In questi casi non esiste un equilibrio possibile e l’associazione che si propone di offrire dei servizi informativi e di tutela, opera sempre in perdita, indipendentemente dalla scala produttiva. Una situazione del genere potrebbe giustificare qualche forma di intervento pubblico di sostegno alle associazioni, visto che un livello adeguato di tutela dei consumatori, cui le associazioni danno un contributo rilevante, costituisce un elemento istituzionale importante di un mercato funzionante e ha le caratteristiche economiche del bene pubblico.
In molti paesi europei le associazioni fruiscono sotto varie forme di finanziamenti pubblici che ne sostengono l’attività, soprattutto nella fase iniziale di espansione e consolidamento. Almeno sul terreno dei test comparativi si è visto in molti paesi come, dopo un periodo iniziale, le capacità di autofinanziamento delle associazioni crescano fino a coprire la quasi totalità dei costi. Naturalmente occorre mettere a punto forme di finanziamento pubblico che favoriscano la crescita delle associazioni e non si trasformino in una rendita politica, ad esempio evitando distribuzioni a pioggia di fondi, ma concentrandoli invece su specifiche attività legate agli output che, essendo facilmente riconoscibili dai consumatori, possano innescare un circolo virtuoso di crescita.
CAPITOLO II
1. La disciplina del contratto di viaggio
La massificazione del turismo ha assunto una rilevanza così ampia da richiedere un più articolato intervento legislativo, sia di diritto interno che di diritto uniforme, tanto più urgente e puntuale quanto più raffinati e insidiosi si sono rivelati i raggiri ai danni di inconsapevoli turisti-viaggiatori.
Con l’espansione turistica è cresciuta anche l’esigenza del legislatore interno di colmare un quadro normativo, caratterizzato, per lungo tempo, da un unico riferimento normativo offerto dal r.d.l. 23 novembre 1936, n. 2523 che prevedeva: “l’impossibilità di pubblicare e distribuire programmi, annunci e manifesti concernenti l’organizzazione di viaggi collettivi a carattere turistico , se non successivamente all’approvazione della Regione o degli Enti provinciali a seconda che si tratti di viaggio o crociera all’estero o all’interno”65
Probabilmente proprio i profondi cambiamenti che il fenomeno del turismo ha subito nel corso degli ultimi decenni e la mancanza di un appropriato sistema legislativo in materia ha spinto numerosi stati66 a ricercare un complesso di norme comuni che costituisse un punto di riferimento indipendentemente dal luogo geografico di appartenenza e da quello di conclusione del contratto.
65 Anche se nella pratica è molto diffuso il fenomeno della circolazione di programmi turistici, con le relative condizioni generali del contratto, privi della prescritta autorizzazione, sostituita dalla dicitura “autorizzazione su richiesta”. Prassi questa, molto spesso, imposta dalle lungaggini burocratiche e dalla lentezza con cui vengono rilasciate le prescritte autorizzazioni.
66 Quarantasette stati hanno partecipato alla relazione della Convenzione Internazionale di Bruxelles, ma soltanto sette (Argentina, Belgio, Camerun, Taiwan, Togo e Italia) hanno adottato la disciplina.
Nasce la Convenzione Internazionale relativa al contratto di viaggio (CCV), stipulata a Bruxelles il 23 aprile 1970, predisposta dall’UNIDROIT (Istituto Internazionale per l’unificazione del diritto privato) e ratificata in Italia con legge del 27 dicembre 1977, n. 1084 (entrata in vigore il 4 ottobre
1979).
La convenzione non ha incontrato il favore di tutti gli Stati firmatari (infatti, su 47 paesi che hanno partecipato alla Convenzione, solo 7 hanno adottato la disciplina uniforme) molti dei quali hanno sottovalutato l’importanza di predisporre adeguate forme di tutela per i turisti danneggiati, altri (come Francia e Germania), al contrario, hanno inteso formulare discipline più avanzate rispetto a quelle offerte nella Convenzione67. Ad essa, tuttavia, va il merito di aver dato una precisa configurazione al contratto di viaggio, individuando, anche un sistema di responsabilità degli operatori turistici che contribuisce alla ricostruzione della fattispecie contrattuale.
Permette, inoltre, di superare (anche se solo in parte) il problema dell’individuazione della disciplina da applicarsi al contratto di viaggio, in quanto la sua sfera da applicazione è circoscritta ai soli contratti di viaggio da eseguirsi totalmente o parzialmente in uno Stato diverso da quello “dove il contratto è stato concluso o da dove il viaggiatore è partito”.68
Al proposito, molte critiche hanno investito quella che è stata definita «la schizofrenia qualificatoria e disciplinare del contratto di viaggio, secondo che si svolga, o non, all’interno
67 Infatti, il governo tedesco ha rifiutato la CCV, considerata oscura e lacunosa, ed ha emanato una legge, REISERVERTRAGSGESETZ, più sensibile agli interessi dei fruitori dei viaggi organizzati.
68 V., comunicato del Ministero degli Affari Esteri relativo all’entrata in vigore del CCV, in G.U. 17 settembre 1979, n. 225
del territorio dello stato»,69anche se una parte della dottrina70 tende a ridimensionare, se non annullare,71 la portata della riserva che esclude l’applicazione della CCV ai viaggi all’interno del territorio nazionale, sottolineando che “la norma offre una precisa traccia di analisi, poiché da un lato, consente di individuare, in maniera meno approssimativa, le vicende negoziali riconducibili alla nozione di contratto in esame, dall’altro fornisce indicazioni circa la disciplina concreta del rapporto”.72
Non mancano, inoltre, perplessità sulla validità della stessa riserva per le modalità con cui essa è stata formulata, posta, solo, all’atto del deposito dello strumento di ratifica e non, come previsto dall’art. 40 della CCV, <al momento della firma, della ratifica o dell’adesione>.
Per questi motivi, nella legge n. 1084/77 non figurano riferimenti della riserva ma al contrario, essa indica, all’art. 2,73i criteri di collegamento che consentono la sua applicazione
69 PARDOLESI, commento a Trib. Lecce, 21 settembre 1990 in Foro it., 1991, 3060.
70 In tal senso CUFFARO, voce “Contratto Turistico” in discipline privatistiche, sez. civile IV, 1989, 195; TASSONI, “Organizzatore di Viaggi nazionali ed Internazionali e doveri di protezione”in Giur. It., 1991,265, il quale sottolinea la corrispondenza, sia sul piano causale che su quello strutturale, del contratto di viaggio nazionale con quello internazionale, riscontrandosi delle differenze solo circa il luogo di esecuzione delle prestazioni: modalità, quindi, che non possono escludere l’applicazione, quanto meno analogica, delle norme della Convenzione.
71 In tal senso, XXXXXXXXXXXX, “Viaggio (contratto di)”, in Noviss. Dig. It., Appendice VII, 1987, 1127 ss, secondo il quale “la disciplina uniforme si applica senza alcuna differenza sia ai contratti di viaggio nazionali che internazionali”.
72 In dottrina, v., fra gli altri, XXXXXXX, Commercio e servizi, 1988, 508, nota 76; in giurisprudenza, v., Trib. Taranto, 30 marzo 1988, in Resp. Civ. Prev., 1989, 699 che sostiene che “l’agente di viaggio che abbia organizzato un viaggio nazionale è responsabile per l’inadempimento dei propri obblighi di organizzazione, qualora i servizi forniti siano di qualità inferiore rispetto a quelli dedotti in contratto, nonché per l’inadempimento, anche parziale, delle obbligazioni dei terzi prestatori”, Trib. Roma, 23 marzo 1988, in Giur. It., 1991, I, 2, 66.
73 L’art. 2 della CCV afferma che “essa si applica a qualunque contratto di viaggio concluso da un organizzatore o da un intermediario di viaggio, qualora la sua sede di lavoro principale, o il suo domicilio abituale, si trovi in uno stato contraente”. Quindi la Convenzione troverà applicazione non solo tutte le volte che il contratto di viaggio sarà stipulato in Italia da un agente di viaggio italiano, ma anche nel caso in cui l’organizzatore e/o intermediario sia un agente di viaggio straniero che abbia, però, una sede secondaria in Italia tramite la quale il contratto di viaggio è stato stipulato.
ogni volta che la sede dell’agente di viaggio si trovi in Italia, senza distinzioni tra viaggi nazionali ed internazionali.
Tale norma è in sintonia con l’art.25 disp. Prel. Cod. civ., secondo il quale “le obbligazioni nascenti dal contratto, in mancanza di una nazionalità in comune dei contraenti, sono regolate alla legge del luogo dove il contratto è stato concluso”.
Il governo italiano ha manifestato la volontà di escludere l’applicazione della CCV ai c.d. viaggi nazionali, interni o casalinghi, che si svolgono entro i confini della Repubblica74 e, quindi, il punto resta aperto al contributo che la dottrina (soprattutto internazionale) intende dare al problema.
Da tutto quanto detto, sia a causa della scarsa adesione di molti Paesi, sia a causa della limitazione posta dal Governo Italiano, la Convenzione non può essere considerata come un valido strumento idoneo a colmare il vuoto normativo.
Neanche la legge sul turismo, L. n. 217/83, si è rilevata idonea a colmare tale lacuna; infatti, essa, emanata in attuazione dell’art. 117 della Costituzione, detta disposizioni generali sull’esercizio dell’attività turistica, sui controlli amministrativi, sulla delega delle funzioni alle Ragioni, sul potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica, ma non affronta il contratto di viaggio, né le sue modalità di esecuzione e né le responsabilità che esso solleva 75.
74 In posizione opposta CIURNELLI, “il contratto di organizzazione e intermediazione di viaggio” in Riv. Circ. trasp., 1989, 678, il quale ritiene che la convenzione possa essere applicata anche ai viaggi che si svolgono all’interno del territorio italiano, soltanto nel caso in cui i documenti dei “viaggi interni” facciano espressamente riferimento al testo della CCV, realizzando così un rinvio ricettizio.
75 L’inadeguatezza dei mezzi giuridici che determina un vuoto nella disciplina dei viaggi “interni” spiega, anche, la presentazione alla Camera di due proposte di legge denominate: “Disciplina del contratto di viaggio” del 3 ottobre 1988 n. 3209 e “Norme
Quale fonte concorrente alla CCV nella disciplina del contratto di viaggio si pone la Direttiva CEE del 13 giugno 1990 n. 314, la quale rappresenta un ulteriore tentativo di regolamentazione comune relativa agli stati aderenti alla Comunità Europea «in materia di viaggi, vacanze e circuiti tutto compreso», comprendente trasporto, alloggio ed altri servizi complementari (quali ad esempio: il vitto, spettacoli di intrattenimento, escursioni organizzate ecc.)76.
La ratio che ha ispirato la nuova normativa è, fondamentalmente, orientata verso la tutela del turista, consapevole che, in un mercato caratterizzato da standard qualitativi sempre più elevati, non può esservi alcuno sviluppo se non per le imprese che riconoscono un ruolo principale alla tutela del consumatore – viaggiatore.
La Direttiva CEE 314/1990 è caratterizzata da un contenuto “particolareggiato” (essa presuppone, per il viaggio tutto compreso, il pagamento anticipato di ingenti somme di denaro che, inevitabilmente, scoraggiano il consumatore in maniera maggiore rispetto a quanto avviene per l’acquisto di altri servizi), e anche dall’indicazione di un termine di attuazione77, fissato all’art. 9, per il 31 dicembre 1992.
Con l’attuazione della Direttiva, l’intervento della Comunità Europea nel settore del turismo si arricchisce in
in materia di tutela dei diritti del turista” del 15 marzo 1989, n. 3728 (in Rass. Dir. Civ. di PERLINGIERI, 1990, 992) che, però, non hanno avuto molto successo. La ratio di queste proposte consiste in una maggiore tutela del consumatore – turista (contraente debole) utilizzando due tecniche innovative: il recesso del cliente e la nullità del contratto non scritto.
76 CIURNELLI, “Il contratto di organizzazione e intermediazione di viaggio” in Riv. Circ. trasp., 1989, 702
77 Benchè il Parlamento Italiano, con la legge 146/94, la c.d. Legge Comunitaria, avesse delegato il Governo per l’attuazione della Direttiva, ancora dopo un anno il relativo decreto non era stato emanato.
modo significativo. Infatti, dal piano pubblicistico78 si estende al contenuto dei rapporti contrattuali.
Il più grande merito che va riconosciuto alla Direttiva in parola è quello di aver introdotto nell’ordinamento giuridico una regolamentazione uniforme di attività economiche (come quelle turistiche) che riguardano il complesso dei rapporti internazionali.
Alla luce di questa breve carrellata79, è possibile osservare come il legislatore abbia fatto confluire fonti interne, fonti comunitarie e fonti del diritto uniforme determinando un quadro normativo particolarmente articolato e complesso, tale da indurre la dottrina prevalente a collocare il contratto di viaggio tra le negoziazioni tipiche; e abbandonando, così, la tradizionale impostazione che voleva dedurre dalla collocazione dogmatica del contratto, i principi informatori di disciplina dei singoli rapporti80.
Da qui, si evince la molteplicità dei parametri normativi rilevanti, concernenti il contratto di viaggio.
78 Tale intervento si limitava alla disciplina relativa all’accesso alle diverse forme di attività di trasporto. Importante a riguardo fu la risoluzione del Consiglio sul “nuovo impulso alla politica di tutela dei consumatori” anche nel settore dei viaggi e vacanze tutto compreso, del 6 maggio 1986, che istituì una procedura di consultazione e di cooperazione nel settore del turismo, con la creazione di un apposito comitato consultivo.
79 Per completezza, appare opportuno ricordare anche la proposta di legge del 13 giugno 1991, n. 5749 intitolata “Istituzione del difensore civico del turista” (che verrà affrontato in modo più dettagliato nel V paragrafo del terzo Capitolo) che prevede la collocazione del difensore civico del turista presso le Aziende di promozione turistica, oppure, in loro mancanza presso la Camera di Commercio. Tale proposta, di iniziativa dell’Xx. Xxxxxxxxx, mirava, attraverso l’istituzione di un difensore civico, quale supervisore della Pubblica Amministrazione con poteri di controllo su di essa, ad offrire ai fruitori dei servizi turistici, nell’ambito regionale, una valida alternativa per la tutela delle loro regioni.
80 In tal senso: EULA “Attività normativa internazionale in materia turistica”, in Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx x Xxxxxxx, 0000, 252; MOSCATI “La disciplina uniforme dei contratti di viaggio e il diritto privato italiano”, in Legislazione economica, a cura di VASSALLI e VICENTINI, 1979, 353; CUFFARO “Contratto turistico” , in Digesto civile, vol. IV, 1989, 294; ROPPO “Commento alla CCV” ,in Nuove Leggi civili., 1978, 1757.
A riguardo, si possono individuare varie fonti che costituiscono un valido referente per valutare la legittimità o l’illegittimità delle clausole che compongono il contratto di viaggio81, esse sono:
a) il diritto comune dei contratti;
b) il diritto comune dei contratti, alla luce delle particolari regole che concernono le condizioni generali del contratto;
c) la Convenzione Internazionale di Bruxelles relativa al contratto di viaggio;
d) la Direttiva comunitaria (approvata il 2 marzo 1993) concernente “le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori;
Emerge, così, un complesso quadro normativo che dà vita a posizioni giuridiche tra loro molto diverse. Infatti, vi è chi sostiene l’inapplicabilità, sia pure solo per via analogica, delle CCV anche ai viaggi svolti sul territorio nazionale82, chi nega l’immediata attenuazione ex se della Direttiva CEE 314/90, in mancanza del decreto legislativo di attuazione83 e chi, su posizioni ancora più radicali, ritiene che il contratto di viaggio abbia solo una sua “tipicità sociale” evidenziando, così, il limitato ambito di applicazione della CCV e la carenza, per i casi da essa regolati, di una normativa soddisfacente, prevedendo molto spesso il rinvio alla normativa statale84.
81 ROPPO, “Contratti turistici e clausole vessatorie”, in Foro it., 1993, 1572. L’autore definisce le discipline che riguardano le condizioni generali del contratto come “orizzontali”e quelle, invece, proiettate verso un tipo particolare di contratto come discipline “verticali” o di settore.
82 XXXXXXX, “Il contratto di viaggio”, in Tratt. Dir. Priv., diretto da XXXXXXXX, 1984, 800; SILINGARDI – XXXXXXXXX, “Contratti di viaggio organizzati” , in Encic. Giur. Treccani, 1993, 86.
83 SILINGARDI, “Politica comunitaria in materia di turismo e la figura dell’agente di viaggio”, in Riv. Trasp., 1993, 34.
84 PIERFELICI, “La qualificazione giuridica del contratto turistico e la responsabilità del tour operator”, in Rass. Dir. Civ., 1986, 640.
2. La Convenzione di Bruxelles relativa al contratto di viaggio e la Direttiva Europea concernente i viaggi: differenze e analogie.
L’esigenza di dettare una disciplina uniforme ad una materia che, intrinsecamente internazionale, la esige, non è stata soddisfatta, come cennato, dalla Convenzione internazionale che ha realizzato, piuttosto, una diversificazione delle discipline normative relative al contratto stesso; maggiore soddisfazione si è avuta dal legislatore comunitario il quale ha arricchito l’ordinamento giuridico di una regolamentazione uniforme di attività economiche (turistiche) che coinvolgono rapporti internazionali85.
La Direttiva comunitaria, il cui intento principale era quello di realizzare un innalzamento del livello di tutela del turista sul piano dei diritti e degli obblighi contrattuali (in passato garantito all’utente dei servizi di viaggio), ha elaborato una disciplina più completa (per quanto riguarda il contenuto) e più precisa (per quanto concerne la terminologia) rispetto alla Convenzione internazionale.
Tra gli aspetti che consentono di differenziare le due più importanti fonti di disciplina del contratto di viaggio vi è, senza dubbio, il fatto che la Direttiva non distingue tra viaggi compiuti all’interno o all’esterno del territorio dello stato, utilizzando, in questo modo, un campo di applicazione più ampio di quello della Convenzione di Bruxelles86.
85 Cfr Diritto & Diritti – Rivista Giuridica on line, febbraio 2001, 8.
86 CIURNELLI – MONTICELLI - ZUDDAS, “Contratti di albergo, viaggio e tempo libero”, 1994, 146.
Quest’ultima, come è noto, nell’indicare il campo di applicazione della propria disciplina87 , individua le due principali tipologie di accordi, tramite i quali si istituisce l’operazione economica che trae origine dalla conclusione di un contratto di viaggio88: il contratto di organizzazione del viaggio e il contratto di intermediazione di viaggio.
Tuttavia, La Direttiva CEE non si differenzia molto, dal testo della Convenzione internazionale.
Infatti facendo un confronto tra gli art. 2.1 e 2.2 della Direttiva e gli art. 1.2 e 1.5 della CCV, si nota che il termine di “organizzazione di servizi tutto compreso”, presente nel testo comunitario, coincide con quella di “organizzatore di viaggi” presente nella Convenzione.
Tale differenza, però, non è valida per altri operatori del settore delineati nelle discipline esaminate; infatti, nelle figura del “venditore” che è descritta nella Direttiva e quella dell’”intermediario di viaggi” che emerge dalla Convenzione, vi sono profonde differenze89.
Nella Direttiva CEE, per l’assunzione della veste di venditore, non richiede quell’elemento della cosiddetta “non occasionalità” dell’esercizio dell’attività turistica che, invece, è previsto come requisito ed aspetto fondamentale, nella CCV. Può accadere che un soggetto assuma il ruolo di venditore, ai sensi della Direttiva, senza contemporaneamente avere i requisiti che lo rappresentino come intermediario di viaggio, ai sensi della CCV,ciò si verifica solo quando il
87 Ai sensi del Capitolo I, art. 1, della CCV si distingue il contratto di organizzazione di viaggio (COV) e Contratto di intermediazione di viaggio (CIV)
88 CARRASSI, “Il contratto di viaggio”, in Nuova Giur Civ. Comm., 1988, 253..
89 Cfr SILINGARDI, “Turismo: legislazione e prassi contrattuale”, 1993, 84.
soggetto che opera nel campo dell’intermediazione turistica interviene nella fornitura di un servizio “tutto compreso”.
L’altro soggetto fortemente interessato, anzi quello che in maniera maggiore è fondamentale nell’analisi del fenomeno del contratto di viaggio, definito in modo differente dalle due fonti legislative è sicuramente il “consumatore”90.
La Direttiva CEE 90/314, all’art. 2.4, definisce consumatore: «la persona che acquista, o si impegna ad acquistare, servizi tutto compreso o qualsiasi persona per conto del quale il contraente principale o uno degli altri beneficiari cede i servizi tutto compreso».
Dunque, la disposizione della Direttiva (ricomprendendo nella nozione il contraente principale, il cessionario ed altri beneficiari), a differenza di quanto prevede la Convenzione di Bruxelles, valuta l’ipotesi in cui non vi sia coincidenza tra il contraente e il beneficiario – consumatore del “tour package91”oggetto del contratto, fornendo, in questo modo, un’anticipazione circa la disciplina sulle vicende modificative del contratto.
Tutto ciò premesso, è possibile evincere che la Direttiva CEE 90/314, pur differenziandosi per quel che concerne i campi di applicazione e la forma utilizzata nella disciplina di un settore dai contorni non sempre facilmente
90 Il D.Lgs 111/95 di recepimento della Direttiva comunitaria 90/314, detta uan disciplina di particolare protezione del consumatore e definisce (all’art. 5) il consumatore stesso come: “l’acquirente, il cessionario di un pacchetto turistico, o qualunque persona anche da nominare, purchè soddisfi a tutte le condizioni per la fruizione del servizio”.
91 Il tour package si verifica ogni volta che l’utente turista si rivolge all’operatore turistico per richiedere un intero viaggio organizzato, con la conclusione dei vari contratti. A riguardo SILINGARDI, “La responsabilità dell’impresa turistica; esperienze giuridiche e raffronto”, in “La tutela del consumatore turista”, 1989, 180; afferma che “l’attività dell’organizzatore di viaggi non si esaurisce nel compimento dei singoli atti giuridici nell’interesse dell’utente, ma riguarda una serie più ampia di prestazioni”.
definiti o definibili, mantiene molti punti in comune, per quanto concerne i contenuti, con la Convenzione internazionale, sottolineando, maggiormente, l’importanza di un’effettiva tutela del consumatore – viaggiatore di un pacchetto turistico92.
92 A riguardo la figura del pacchetto turistico è riconducibile alla nozione di contratto di organizzazione di viaggio elaborata dalla Convenzione internazionale (CCV).
3. Il contratto di viaggio: attività intermediaria e autonoma ed attività organizzativa
Per un’analisi più corretta del fenomeno dei viaggi turistici organizzati è necessario distinguere, preliminarmente, le diverse figure professionali di imprenditori turistici che, rapportandosi al cliente – turista creano situazioni giuridiche soggettive che necessitano di un intervento sia dal punto di vista normativo che giurisprudenziale.
Quindi, è opportuno distinguere, nell’ambito delle diverse figure di assistenza nel panorama turistico, tra organizzatori di viaggi (tour operator) e intermediari di viaggio (travel agents)93.
La presenza di sue diverse figure professionali di imprenditori turistici (organizzatore ed intermediario) ha costituito un indiscusso dato di fatto da cui fa preso le mosse la dottrina.
Tale distinzione rivela, infatti, tutta la sua importanza pratica proprio ai fini dell’individuazione della disciplina normativa applicabile alle fattispecie prese in considerazione; pertanto, il rapporto contrattuale fra l’operatore turistico e il turista – passeggero assuma una diversa configurazione giuridica a seconda che la prestazione richiesta da quest’ultimo sia riconducibile all’una o all’altra delle due diverse forme di assistenza turistica.
93 CARRASSI, op. cit., 1988, 123; secondo il quale il turismo di massa attuale comprende un settore produttivo, propriamente industriale, contraddistinto dalla presenza dei tour operator, e uno distributivo, commerciale composto dagli intermediari di viaggi.
Con la Convenzione internazionale di Bruxelles94 si definiscono i confini e le differenze tra il contratto di organizzazione di viaggio (COV) e il contratto di intermediazione di viaggio (CIV).
La CCV, all’art. 1, definisco come COV quell’accordo tramite il quale “una persona si impegna, a suo nome, a procurare ad un’altra, per mezzo di un prezzo globale, un insieme di prestazioni turistiche comprendenti il trasporto, il soggiorno separato dal trasporto o qualunque altro servizio che ad essi si riferisca”; e come CIV il contratto mediante il quale “una persona si impegna a procurare ad un’altra, per mezzo di un presso, sia un contratto di organizzazione di viaggio, sia uno o dei servizi separati che permettano di effettuare un viaggio o un soggiorno qualsiasi. Non sono considerati come contratti di intermediario di viaggio le operazioni c.d. “interline”o altre operazioni simili fra vettori”95.
La distinzione fra i due tipi di contratti si fonda (oltre che sulla differenza fra gli oggetti delle due fattispecie)96 soprattutto sul piano della diversa veste giuridica in cui organizzatore ed intermediario di viaggio agiscono quando, successivamente alla conclusione del contratto, assumono impegni nei confronti del viaggiatore.
Infatti, mentre l’organizzatore assume in proprio, a suo nome e rischio, l’obbligo di procurare al viaggiatore le
94 La Convenzione relativa al contratto di viaggio, stipulata a Bruxelles il 23 aprile 1970, è stata ratificata in Italia con legge del 27 dicembre 1977, n. 1084, ed entrata in vigore il 4 ottobre 1979.
95 Cfr “I contratti di viaggio e turismo. La disciplina, la giurisprudenza, la strategia”.
Introduzione di DE NOVA, a cura di XXXXX’, 1995, 23.
96 ROPPO, “Convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio”, in Nuove Leggi civ. comm., 1978, 1783; sostiene che “nel COV vi è il carattere globale dei servizi offerti, mentre, nel CIV vi è la mancanza di organicità tra le prestazioni offerte”.
prestazioni oggetto del contratto97, l’intermediario invece, non assume a nome proprio (né con mezzi propri né con mezzi altrui) l’impegno di fornire i servizi previsti dal contratto, ma utilizza, nei confronti del viaggiatore, il nome degli imprenditori che forniscono le prestazioni richieste98.
Tuttavia, la differenza fra le due classificazioni contrattuali in concreto può, in alcune situazioni, non essere facilmente percepibile, come nel caso in cui l’intermediario di viaggio si impegni a procurare più “servizi separati” che poi finiscono per confondersi, fino ad identificarsi materialmente, con “l’insieme di prestazioni” oggetto del contratto di organizzazione99.
Proprio per le diverse finalità che caratterizzano, differenziandoli, i contratti di organizzazione e intermediazione di viaggio, recentemente si è criticata la prassi che utilizzava per entrambe le fattispecie contrattuali la nozione di “contratto turistico”, in quanto la finalità turistica è una prerogativa solo del contratto di organizzazione, mentre l’intermediario, dal punto di vista dell’interesse del “consumatore”, realizza un fine che può essere di volta in volta turistico, lavorativo, di studio, di cura, ecc., ed infatti, per questo motivo, è stata considerata più appropriata (per entrambi i contratti) la nozione di “contratto di viaggio”100.
97 In questo caso gli imprenditori che erogano i servizi, ricoprono, esclusivamente, il ruolo di semplici ausuliari dell’organizzazione.
98 Cfr XXXXX, op. cit., 1761. Per la giurisprudenza cfr: Trib. Roma 17 gennaio1989, in GI, 1991, I, 485 (nota) che desume la qualità di organizzatore di viaggi dal riscontro di una molteplicità di fattori: l’offerta del viaggiatore di un insieme di servizi combinati e non di una semplice somma di prestazioni distinte; l’impegno dell’agente di fornire i servizi in proprio nome; l’esistenza di un prezzo globale; l’offerta di un accompagnatore per il tour.
99 CIURNELLI – MONTICELLI – ZUDDAS, op. cit., 152.
100 GIACCHERO, “Contratto di viaggio: obblighi e responsabilità!, 1995, 113.
Nell’analisi degli aspetti definitori contenuti nella Convenzione, all’art. 1, n.5 e 6, si qualificano organizzatore e intermediario di viaggio coloro che “abitualmente” assumono gli impegni ed esercitano le attività oggetto dei relativi contratti si a titolo principale o secondario, sia titolo professionale e non.
Sembrerebbe che la norma della Convenzione, utilizzi una formula a prima lettura contraddittoria, per l’abituale coincidenza nel nostro ordinamento giuridico, fra il requisito della professionalità e quello dell’abitualità ai fini dell’attribuzione della qualifica di imprenditore commerciale, ma essa risponde, in realtà, nell’economia della CCV ad una sua logica.
Infatti la Convenzione internazionale distingue tra organizzazione e intermediazione in quanto mira ad un duplice scopo: da un lato sottrarre alla disciplina del COV e del CIV (e di conseguenza della CCV) chi solo occasionalmente opera nel settore del turismo101, dall’altro evitare che gli operatori “irregolari”(cioè non abilitati) operino nel settore del turismo, sia pure non come attività principale (ma non occasionalmente), eludendo la disciplina disposta dalla Convenzione.
Pertanto, al di là dell’apparente contraddizione, dalla nozione dei soggetti del contratto emergono tutti gli elementi sufficienti per poter individuare l’organizzatore di viaggio e l’intermediario di viaggio quali imprenditori commerciali.
L’intermediario di viaggio si limita a svolgere un’attività di cooperazione esterna avente per contenuto il
101 Ad esempio un insegnante che porta in gita i suoi studenti.
compimento di atti giuridici e, specificamente, la conclusione per conto e (generalmente) in nome del viaggiatore di una serie di contratti con i fornitori dei servizi separati dal trasporto, soggiorno, ecc., oppure un contratto con un organizzatore di viaggi avente ad oggetto, appunto, un viaggio organizzato102.
Sulla natura del contratto di intermediazione di viaggio vi è in dottrina e in giurisprudenza un sostanziale accordo nell’individuare nel mandato il tipo negoziale a cui ricondurre il rapporto intercorrente tra l’intermediario di viaggio ed il viaggiatore103. A conferma di questo ricorrono anche le modalità con cui l’intermediario realizza l’utile per l’attività della svolta differenziando tra il prezzo pattuito con il cliente e quello corrisposto al fornitore o all’organizzatore di viaggio e che rappresenta una normale forma di provvigione spettante al mandatario quale suo compenso per l’attività svolta104.
Nel caso in cui, invece, l’agenzia di viaggio non si limiti ad una mera attività di intermediazione fra il viaggiatore ed il fornitore dei vari servizi separati, ma miri alla realizzazione di un prodotto articolato, quale è appunto il viaggio organizzato, in tale ipotesi è direttamente l’organizzatore (tour operator) a fornire l’ideazione e la “costruzione” stessa del viaggio105.
Nella ricostruzione delle volontà delle parti (viaggiatore ed organizzatore), l’ideazione e la realizzazione
102 ARATO, “Condizioni generali del contratto e viaggi turistici organizzati”in Xxx. Xxxx. Xxxxxx. Xxxxx. ,0000, 384.
103 Per maggiori approfondimenti sul problema della qualificazione giuridica dei soggetti del contratto di viaggio rinvio al paragrafo successivo di questo capitolo.
104 CARRASSI, “Il contratto di viaggio tra disciplina uniforme e ruoli interpretativi”in Econ. Dir. Terziario, 1999, 539.
105 Anche se a riguardo è prassi diffusa che l’organizzatore di viaggi utilizzi altri imprenditori, albergatori, vettori, per assicurarsi, attraverso la conclusione dei vari contratti, i servizi previsti dal programma.
del viaggio formano, a pari titolo, oggetto del rapporto fondato su un unico contratto, infatti:”l’organizzazione vende e il cliente – viaggiatore compra il “viaggio” e non le singole prestazioni che lo compongono”106.
Molto più complessa è la questione relativa all’individuazione della qualificazione giuridica del contratto di organizzazione di viaggio (anche per l’assenza, soprattutto in passato, di una disciplina della materia) tale da determinare un forte dibattito tra gli interpreti.
Muovendo dalla constatata atipicità del contratto in esame, si è fatto riferimento di volta in volta alla categoria dei contratti misti107 e dei contratti innominati (in quanto non espressamente previsti e disciplinati dal nostro ordinamento, tuttavia, riconosciuti e garantiti dallo stesso in via mediata attraverso l’applicazione dell’art. 1322 c.c., poiché diretti alla realizzazione di interessi meritevoli di xxxxxx000) a seconda che essa attinga o non i suoi elementi da contratti tipizzati dal legislatore.
La natura, infatti, di contratto misto attribuita al contratto di viaggio ha posto il problema di individuare la disciplina da applicare.
A riguardo sono state ideate varie ipotesi: da quella che qualifica il contratto di viaggio come una mediazione a quella che fa riferimento al contratto di viaggio come un mero
106 XXXXXXXXX, “Ilcontratto turistico”,in Riv. Dir. Comm.,1974, 279.
107 La cui trattazione verrà esaminata in seguito.
108 In tal senso CLARIZIA, “Contratti innominati”, in Enc. Giur. Treccani, 1988, afferma che a mancanza di una disciplina specifica non esime le parti dal rispettare quelle norme imperative di carattere generalesche vigono sia per i contratti tipici che per quelli atipici.
trasporto, fino poi a giungere ad altre teorie che lo qualificano come mandato109 e come appalto di servizi110.
Nell’attuale quadro normativo ha assunto una valenza ridotta la questione relativa alla natura del contratto di viaggio nelle due fattispecie di organizzazione ed intermediazione di viaggio.
Ciò nasce dalla questione di individuare una disciplina riferibile nel caso concreto e per una maggiore tutela del turista, può ancora proporsi soltanto per i contratti relativi ai viaggi da svolgersi all’interno del territorio nazionale (escludendo per questi l’applicazione analogica della Convenzione internazionale di Bruxelles).
Il ridimensionamento del dibattito sulla natura del contratto è stato immediatamente percepito dalla dottrina111, mentre nella giurisprudenza vi è una tendenza a non tralasciare il momento qualificatorio, premettendolo, molto spesso, anche nei confronti di un contratto disciplinato dalla CCV.
Altro aspetto fondamentale è l’analisi del contratto di viaggio (che ha provocato dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza è quello riguardante le responsabilità che sorgono a carico delle parti nel momento in cui vi è la conclusione e poi l’esecuzione del contratto112.
Il contenzioso in materia si è sviluppato proprio in ordine all’individuazione delle ipotesi di responsabilità
109 Cfr Pret. Roma 17 dicembre 1984, in GM 1986, 569, che afferma che l’agenzia organizzatrice risponderà “solo della corrispondenza di quanto promesso di procurare e di quanto usufruito dal cliente, ma non per le deficienze verificatesi nel corso della prestazione dei servizi promessi”.
110 XXXXXXX, Il contratto di viaggio”, 1984, 815; ARATO, “Le condizioni generali del contratto ed i viaggi turistici organizzati”, in Riv. Dir. Comm., 1982, 361; VERDE “Crociera turistica e mutamento di itinerario” in Trasporti, 1979, 153. Per la giurisprudenza: Pret. Taranto, 3 febbraio 1984, in Giur. It. 1985, I, 234.
111 CUFFARO, “Contratto turistico”in Digesto civile, IV, UTET, 1989, 295.
112 Sull’argomento delle responsabilità dei soggetti del contratto di viaggio ritorneremo più avanti per una più ampia trattazione.
dell’organizzatore dell’intermediario per le obbligazioni gravanti su di essi, ma anche per la responsabilità dell’ organizzatore per le prestazioni inerenti al viaggio da affidare a terzi.
La responsabilità gravante sull’organizzatore di viaggio, secondo la legislazione uniforme, riguarda i pregiudizi derivanti al viaggiatore dall’inadempimento degli “obblighi di organizzazione di viaggio”e dall’inadempimento che riguarda l’esecuzione dei singoli servizi,siano essi prestati, direttamente dall’organizzatore, con propri mezzi, ovvero erogati da terzi imprenditori113.
Per quanto riguarda la responsabilità dell’intermediario di viaggio, considerando la sua estraneità dal contratto conclusosi, per suo tramite, tra il cliente – viaggiatore ed un altro imprenditore (sia esso fornitore di un solo servizio o di un “pacchetto tutto compreso”), essa è esclusa nel caso di inadempimento del fornitore dei servizi, che l’intermediario non sceglie e con cui non ha alcun tipo di contatto114, ma sussistono specifiche responsabilità per inosservanza dei propri obblighi sanciti dal documento di viaggio o dalle norme di legge.
Infine, la Direttiva CEE ha introdotto un elemento innovativo in materia di responsabilità dell’intermediario, in quanto ha previsto l’accostamento della figura del venditore (intermediario della CCV) a quella dell’organizzatore nell’individuazione del soggetto responsabile per “la buona esecuzione degli obblighi scaturiti dal contratto” con l’adozione della locuzione “organizzatore e/o venditore”.
113 Cfr art. 13 Convenzione relativa al contratto di viaggio (CCV).
114 Cfr art. 22 , n. 3, CCV.
Tale formula è stata oggetto di vari commenti, che ipotizzavano due possibili soluzioni interpretative115.
La prima poneva a carico dell’intermediario una responsabilità sussidiaria e solidale rispetto a quella dell’organizzatore, nel caso in cui il nominativo di quest’ultimo non era stato reso noto all’xxxxxx000; la seconda, invece, potrebbe considerarsi come una vera e propria responsabilità diretta dell’intermediario (a vantaggio dell’utente che avrebbe quindi la possibilità di rivolgersi indifferentemente all’organizzatore o al venditore salvo rivalsa nei rapporti interni) giustificata dall’esigenza di una maggiore tutela del turista che induce, appunto, il legislatore comunitario ad offrire al creditore la titolarità di una duplice azione sia nei confronti del soggetto inadempiente all’obbligazione contrattuale personalmente assunta (organizzatore) sia nei confronti di una persona non direttamente coinvolta nel rapporto negoziale (intermediario), ottenendo in questo modo un nuovo strumento soggettivo di tutela della posizione giuridica del turista e, contemporaneamente, una responsabilità del venditore di servizi turistici basata sul “rischio di impresa” e non sul criterio della colpa nell’esecuzione del mandato.
Questa soluzione appare troppo onerosa per il mercato turistico, poiché determinerebbe un eccessivo aggravio dei costi finali del servizio, che provocherebbe una moltiplicazione degli oneri assicurativi per la copertura dei rischi stessi.
115 Tra cui SILINGARDI, “la politica comunitaria in materia di turismo e la figura dell’agente di viaggio”, in Trasporti, 1993, 25.
116 Si tratta di una responsabilità per certi versi analoga a quella prevista dall’art. 19, n. 2, CCV in base al quale “l’intermediario è considerato come un organizzatore di viaggi in caso di violazione degli obblighi di indicazione del nome e dell’indirizzo dell’organizzatore e della specificazione che il soggetto stesso sta agendo in qualità di intermediario dell’organizzatore”.
Fondamentalmente non vi è nessuna tutela normativa finalizzata al riequilibrio delle posizioni tra i soggetti contraenti, se non assistita dall’effettività degli strumenti processuali a disposizione di chi intende far valere il diritto117.
117 Per un maggiore approfondimento sulla tutela giurisdizionale dei soggetti del rapporto contrattuale, ne parleremo nei capitoli successivi.
4. Il problema della qualificazione giuridica del contratto di viaggio
I contratti di viaggio si iscrivono nella famiglia dei c.d. “nuovi contratti”, cioè quei contratti che tendono a dare una veste giuridica a operazioni dell’economia evoluta, che hanno per oggetto (generalmente) non cose, ma piuttosto attività, prestazioni, servizi.
E’ questo il settore del terziario dell’economia, ed è proprio con i contratti del terziario che si identifica la categoria dei nuovi contratti118. Nel terziario occupa un posto di primaria importanza il turismo.
I contratti turistici si caratterizzano per una notevolissima semplicità di struttura119, caratteristica che sembrerebbe rendere piuttosto agevole il compito di analizzare il contenuto dei contratti di viaggio; tuttavia, esiste un elemento di complessità che rende tale analisi un compito articolato. Il contratto di viaggio, infatti, si colloca tra i contratti atipici misti o complessi (quale ad esempio il contratto di trasporto) poiché gli elementi che lo compongono sono funzionalmente collegati e inscindibili.
Quindi, il contratto in esame risulta dalla fusione della cause di più contratti tipici, tra cui si applica la disciplina del contratto la cui funzione è prevalente120.
Inoltre, si è discusso molto sull’eventualità di considerare il contratto di viaggio come un contratto di
118 Ad esempio quelli che hanno il loro campo di elezione nell’ambito delle attività bancarie (contratti di credito e di finanziamento); nell’ambito del para – bancario (leasing, factoring); nel settore della distribuzione con il franchising.
119 ROPPO, “Contratti turistici e clausole vessatorie”, in Xxxx.xx., 1982, 96.
120 Cass., 22 luglio 1960, n. 2090, in Giust. Civ. mass., 1960.
adesione, il cui fine è quello di assicurare l’uniformità del contenuto a tutti i rapporti giuridici con la stessa natura, per una più precisa determinazione del suo contenuto121.
Inoltre, l’esigenza di garantire sempre una maggiore tutela al singolo fruitore del servizio turistico, da un lato, e la necessità di non rendere eccessivamente onerosa la posizione dell’imprenditore – erogatore del servizio turistico stesso, dall’altro, è stata al centro di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo alla qualificazione giuridica del contratto di viaggio.
Sul punto, dottrina e giurisprudenza hanno assunto posizioni profondamente diverse fra loro con conseguenze pratiche di grande rilevanza.
La validità o l’invalidità di una clausola contenuta nel contratto di viaggio dipende proprio dalla qualificazione giuridica attribuita a tale contratto, a seconda che certe limitazioni vengano connaturali o derogatorie della sua disciplina.
E’ necessario, preliminarmente, distinguere il caso in cui il singolo consumatore – viaggiatore si rivolge direttamente ad un operatore turistico che possieda i mezzi idonei a fornire al richiedente le prestazioni che, fra loro combinate, costituiscono un viaggio organizzato (contratto di organizzazione di viaggi); dal caso in cui il turista contatti un’agenzia turistica che non possieda mezzi propri per l’organizzazione del viaggio, potendo però avvalersi di altri
121 XXXXXX, “Tutela dei consumatori. Disciplina comunitaria e normativa interna”, 2002, 84, sostiene che: «tali contratti per adesione hanno dato spesso luogo ad abusi in quanto molto spesso le clausole predisposte mettono il cliente alla mercè di colui che ha predisposto il contratto, poiché tali clausole vengono riportate a caratteri minuscoli tali da non poter essere facilmente recepiti dal contraente»
imprenditori commerciali nel settore (albergatori, ristoratori, vettori) per l’organizzazione del viaggio, assumendo in questo modo, oltre alla figura di intermediario, anche quella di organizzatore122 (contratto di intermediario di viaggio.
Quanto alla natura del contratto di intermediazione di viaggio vi è, sia in dottrina123 che in giurisprudenza124, come già ricordato, un sostanziale accordo nell’individuare tale contratto, intercorrente fra l’intermediario e il viaggiatore, come un contratto di mandato125.
Solo si discute se rientri nel mandato con o senza rappresentanza.
Secondo l’opinione prevalente, confermata anche dalla disposizione di cui all’art. 17 CCV126, il contratto di intermediazione si caratterizza come un contratto di mandato o di rappresentanza127. Da ciò ne consegue , ovviamente, che gli obblighi e le responsabilità delle parti verranno disciplinati dalle regole sul mandato (ai sensi dell’art. 1710 c.c.)per cui l’intermediario di viaggi che agisce come mandatario del
122 Tali ipotesi sono state poi recepite dalla Convenzione internazionale di Bruxelles relativa al contratto di viaggio, che all’art. 1, distingue il contratto di viaggio in contratto di organizzazione e contratto di intermediazione di viaggio, a seconda che, l’imprenditore turistico, rispettivamente, provveda in proprio, a suo nome e rischio, all’organizzazione del viaggio, oppure si limiti a stipulare, in nome e per conto del cliente, un contratto di organizzazione di viaggio.
123 Per la dottrina: CIURNELLI, “Il contratto di organizzazione e intermediazione di viaggio”, in Politica del Turismo, 1987, 2, 160.
124 Per la giurisprudenza: Xxxx. Civ. sez. III, 28 novembre2002, n. 16868, in Giust. Civ. mass. 2002, 2071.
125 Cfr XXXXXXX, “Il contratto di viaggio”in Trattato di Diritto Privato diretto da Xxxxxxxx, 1984, 807; XXXXXXXXX “Le contrat touristique” in Rapports Nationaux Italiens au IX Congés International de droit comparé, Tehéran, 1974, a cura dell’associazione italiana di diritto comparato, 1974, 351 ss, che, addirittura, sostiene la piena coincidenza tra l’attività di intermediazione di viaggio e quella del mandatario, escludendo così che la fattispecie in esame rientri fra le negoziazioni atipiche.
126 Ai sensi dell’art. 17 CCV, <<qualunque contratto stipulato dall’intermediario di viaggi con un organizzatore di viaggi, o con persone che gli forniscono servizi separati, è considerato come se fosse stato concluso direttamente dal viaggiatore>>
127 Tra gli altri ROPPO, “Convenzione internazionale relativa ai contratti di viaggio” in Nuove leggi Civ. Comm., 1978, 1787; mentre in senso opposto , FOSSATI., “Clausola di intermediazione e responsabilità dell’agente di viaggi”, in Giur. It., 1988, 185.
proprio cliente, è tenuto all’esecuzione del mandato utilizzando la diligenza richiesta dalla natura del contratto.
Pertanto, il cliente che vorrà portare in giudizio il mandatario inadempiente dovrà poter dimostare la negligenza dello stesso nell’esecuzione dei suo obblighi e l’intermediario risponderà dell’esatta esecuzione dell’incarico affidatogli (che si verifica quando i contratti conclusi dall’intermediario siano idonea ad assicurare al turista l’appropriata utilizzazione dei servizi previsti nel programma turistico)128.
La configurazione dell’intermediario di viaggio come mandatario professionale consente un’equilibrata ripartizione dei rischi inerenti alla realizzazione del viaggio, poiché, da un lato tutela l’intermediario per le inadempienze contrattuali del fornitore dei servizi turistici129; e dall’altro protegge l’utente turista garantendogli la possibilità di rivolgersi direttamente all’agenzia di viaggio in caso di inadempienza degli obblighi attinenti al mandato conferitole e al fornitore dei singoli servizi per il risarcimento dei danni dovuti, appunto, all’inadempimento delle prestazioni oggetto del contratto130.
Invece, per quanto riguarda il rapporto instauratosi tra l’intermediario di viaggio e l’organizzatore di viaggio o il
128 In particolare l’intermediario sarà chaiamto a rispondere per non aver avvisato il viaggiatore del cambiamento di albergo o di itinerario; per non aver comunicato al cliente l’impossibilità di un soggioro in un albergo già prenotato. In questo caso per la giurisprudenza, Trib. Roma 6 ottobre 1989, in Resp. Civ. prev. , 1991, 1016, afferma che le circostanze che il mandatario è tenuto a rendfere note al mandante, in quanto possono determinare la revoca o la modificazione del mandato stesso, non sono solo le sopravvenute ma anche quelle circostanze conosciute dal mandatario prima del mandato e assunte contestualmente alla conclusione del contratto.
129 L’intermediario dovrà rispondere delle inadempienze del fornitore del servizio solo nei limiti le cui tali inadempienze possano essere imputate ad una negligenza professionale dell’agenzia per “culpa elingendo”, ad esempio per la cattiva scelta della guida accompagnatrice.
130 Cassazione civile sez. III, 28 novembre 2002, n. 16868, in Giust. Civ. mass., 2002, 2071.