UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA "TOR VERGATA"
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA "TOR VERGATA"
FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO
XX CICLO
GLI “EDIFICI” E I “LUOGHI” DEL CULTO TRA STATO, CHIESA CATTOLICA E CONFESSIONI DI MINORANZA
Tesista: Dott.ssa Xxxx Xxxxxxxxx
Tutor: Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxxx Coordinatore: Xxxxx.xx Prof. Xxxxxxx X'Xxxxx
A.A. 2008/2009
A Xxxxxxx Xxxxx
e a Carlo. A nonna.
"L'amore vince la paura".
(Xxxxx Xxxxx)
“Signor Sindaco, Roma è sempre stata una città accogliente.
Questa nostra città, come del resto l’Italia e l’intera umanità, si trova ad affrontare oggi inedite sfide culturali, sociali ed economiche, a causa delle profonde trasformazioni e dei numerosi cambiamenti
sopravvenuti in questi ultimi decenni. Roma si è andata popolando di gente che proviene da altre nazioni e che appartiene a culture e tradizioni religiose diverse, ed in conseguenza di ciò, ha ormai il volto di una Metropoli multietnica e multireligiosa, nella quale talvolta l’integrazione è faticosa e complessa.
Da parte della comunità cattolica non verrà mai meno un convinto apporto per trovare modalità sempre più adatte alla tutela dei diritti fondamentali della persona nel rispetto della legalità”.
Discorso del Santo Padre Xxxx Xxxxxxxxx XXX in occasione della visita in Campidoglio,
9 marzo 2009.
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE 7
CAPITOLO PRIMO. La nozione di “edificio di culto”, tra significati normativi e ragioni di disciplina… 10
1. Il termine “edificio di culto” come risultato di una tradizione non comune a tutte le confessioni religiose… 10
2.Una ricognizione storica della normativa sull’edilizia di culto. Varietà dei termini utilizzati… 17
3. L’edilizia di culto e le competenze Stato-Regioni… 24
3.1. Nella pianificazione urbanistica… 24
3.2. Nel sistema di finanziamento… 29
3.3. Le leggi regionali e le riforme… 38
4. Il caso della Regione Lazio… 41
4.1. Contributi sugli oneri di urbanizzazione a favore degli enti religiosi per gli edifici destinati al culto, e interventi per il recupero degli edifici aventi importanza storica, artistica, archeologica… 41
4.2. L’assegnazione delle aree alle confessioni religiose: le delibere della Giunta comunale… 43
5. Innovazioni legislative ed attuale disciplina giuridica… 46
6. Il regime tributario… 48
7. In particolare: le disposizioni canoniche sul finanziamento dell’edilizia di culto… 51
8. Il Fondo Edifici di Culto… 54
CAPITOLO SECONDO. Gli edifici di culto delle confessioni di minoranza e la giurisprudenza… 59
1. Nozione e nomenclatura utilizzata… 59
2. Le nuove confessioni e la costruzione di luoghi per il culto… 61
3. Costruzione e proprietà… 63
4. La destinazione degli edifici al culto pubblico… 64
5. L’apertura di templi ed oratori e l’esercizio in forma associata del culto… 66
6. Attività negli edifici di culto… 67
7. Le moschee… 69
8. L’edilizia di culto e la giurisprudenza… 73
8.1. La sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 1993 e la diversità di trattamento tra confessioni religiose nel finanziamento dell’edilizia di culto… 73
8.2. La sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 2001 e la giurisprudenza amministrativa regionale sul finanziamento dell’edilizia di culto… 75
8.3. La realizzazione di edifici delle confessioni di minoranza nella giurisprudenza amministrativa. Le pronunzie della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Due note decisioni delle Corti Americane… 79
9. Proposte di legge sulla libertà religiosa: scissione tra diritto all’esercizio del culto, e disponibilità oggettiva di strutture edilizie adeguate. Critiche… 84
CAPITOLO TERZO. Il concetto di edificio di culto nel diritto della Chiesa… 88
1. Il concetto di edificio di culto: terminologia e funzione… 88
2.Tipologie di chiese… 93
3. Erezione di una chiesa. Consenso del Vescovo e posa della prima pietra… 97
4. Dedicazione e benedizione di un edificio di culto. Effetti giuridici. Titolo di una chiesa… 100
5. Profanazione e riduzione ad uso profano di un luogo sacro… 103
6. Uso di una chiesa. Esercizio del culto. Cura dei luoghi. Beni sacri e preziosi. Ingresso libero e gratuito… 105
CAPITOLO QUARTO. Il vincolo di destinazione al culto… 108
1. L’art. 831, comma 2° del codice civile: interpretazioni… 108
2. La deputatio ad cultum publicum operata dall’autorità ecclesiastica: i rapporti tra l’ordinamento canonico e l’ordinamento statale… 113
3. La proprietà degli edifici di culto… 118
4. La natura giuridica del vincolo di destinazione ad uso pubblico di culto… 122
5. Gli edifici di culto dismessi… 126
5.1. Gli orientamenti della Cei su “I beni culturali della Chiesa in Italia” (1992)… 127
5.2. La situazione italiana. I beni del demanio e del F.E.C… 128
5.3. Le chiese come beni culturali. L’Intesa del 26 gennaio 2005 tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Cei… 130
5.4. Profili finanziari e fiscali per gli edifici dismessi… 133
5.5. L’Istruzione in materia amministrativa della Cei del 2005… 135
CAPITOLO QUINTO. La delimitazione dell’edificio di culto e le sue pertinenze………138
1. Le pertinenze degli edifici di culto. Definizione di pertinenza e distinzione da altre figure giuridiche. Parte di cosa. Cosa composta. Universitas. Immobile per destinazione. Accessori… 138
2. Elementi del rapporto pertinenziale… 142
3. Regime giudico delle pertinenze… 145
4. La sagrestia come pertinenza dell’edificio di culto secondo le recenti sentenze della Corte di Cassazione penale… 148
5. Le cappelle all’interno delle chiese. I sepolcri e le cappelle funerarie… 152
6. Il diritto di banco in chiesa. Il muro comune… 154
7. Le cose mobili destinate al culto… 155
8. I cimiteri… 156
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 159
1. L’eguaglianza nella libertà… 159
2. Le nuove confessioni ed i “luoghi di culto”. “Paura” delle moschee… 160
3. I criteri per una possibile riforma della disciplina normativa… 162
4. La situazione proprietaria attuale… 164
BIBLIOGRAFIA 165
ALLEGATI 194
1. “Contributi sugli oneri di urbanizzazione a favore degli enti religiosi per gli edifici destinati al culto”. Riepilogo 2004-2005-2006-2007-2008… 195
2. “Estratto del Verbale del Consiglio comunale di Roma, anno 2006, Deliberazione n. 93”… 196
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE
L’indagine testimoniata da questo lavoro – in una sola proposizione – riguarda il trattamento giuridico degli spazi dedicati al culto, non catalogabili in nomenclature predefinite ed in tradizioni comuni, e tuttavia degni di essere “egualmente” favoriti come luoghi di libertà, nonostante il diritto civile si occupi solo degli edifici del culto cattolico e delle relative pertinenze.
Il termine “edifici di culto”, risulta come il “frutto di una tradizione che non trova riscontro in tutte le confessioni religiose”1. Se per i fedeli cattolici vi sono, da sempre, immobili ben identificati - nonostante la questione della classificazione di “altri” spazi di preghiera - ciò non è per altri gruppi religiosi, per i quali, vista la variegata pratica religiosa espletata, risulta più appropriato riferirsi ad onnicomprensivi “luoghi per il culto”.
Dall’analisi della legislazione predente all’entrata in vigore della Costituzione, emerge il costante favore pubblico, per gli edifici della Chiesa cattolica, storicamente confessione di Stato nonché religione maggiormente diffusa tra il popolo italiano: ma altresì la precoce necessità di affidare le scelte dell’edilizia religiosa ai soggetti che successivamente saranno considerati i reali “arbitri della selezione delle esigenze e della individuazione delle priorità”, nonché “giudici del caso concreto”: gli Enti locali.
Così, la legge del 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), che ha considerato l’edilizia di culto un’“opera pubblica”, da inserire all’interno dei Piani Regolatori Comunali; l’art. 12 della l. del 28 gennaio 1977, n. 10, che ha stabilito la destinazione di una parte dei proventi dei contributi di concessioni edilizie, anche alla realizzazione di nuovi “edifici di culto”; l’art. 74 della l. del 20 maggio 1985, n. 222, che ha incluso la realizzazione di nuove chiese “entro le funzioni urbanistiche di competenza locale”. Così è anche nelle riforme legislative successive. Il d.lgs. del 31 marzo 1998, n. 112, ha delegato agli enti locali varie funzioni in materia di “opere
1 X. Xxxxxx, La condizione giuridica dei luoghi di culto, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx., 2008.
pubbliche”, tra cui, lett. d., l’”Edilizia di culto”, facendo venir meno le competenze che lo Stato si era riservato col D.P.R. n. 616/1977.
Da ultimo, la riforma costituzionale, avvenuta con l. del 18 ottobre 2001, n. 3, che
- anche riservando la materia dei “rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose” allo Stato - non ha fatto venir meno la competenza di fatto degli interventi locali su materie religiose, ipotizzando una loro partecipazione di tipo “trasversale”, anche in ragione del principio di “sussidiarietà”.
Ed in effetti, l’esigenza “sociale” di disporre di spazi di preghiera, risulta essere stata ampiamente soddisfatta dalle molteplici leggi regionali emanate negli ultimi anni. Ma ciò non senza discriminazioni a danno delle confessioni acattoliche.
Grazie ai plurimi interventi della Consulta - che ha giudicato incostituzionali le leggi regionali sul finanziamento dell’edilizia di culto, richiedenti un’”intesa” ex art. 8 della Cost. alle confessioni destinatarie del contributo - gli altri luoghi di culto sono stati ritenuti egualmente meritevoli di tutela. Il principio è stato confermato anche da pronunzie della giurisprudenza amministrativa regionale circa i criteri da utilizzare per il rilascio del c.d. “permesso di costruire”; da decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo; e da alcune sentenze emesse dalle Corti internazionali.
Sorge tuttavia la questione di qualificare spazi - come le “Moschee” - che non sempre sono finalizzati al culto, così come “comunemente” inteso - o non solo ad esso - anche al fine di concedere i contributi economici e i privilegi fiscali, già previsti per gli edifici cattolici e per i luoghi di “confessioni religiose” che abbiano dimostrato stabilità ed organizzazione appropriate.
Per la Chiesa cattolica, il criterio per l’identificazione degli “edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico” è offerto dall’art. 831 c.c., che rinvia indirettamente al diritto canonico: pur prevedendo per essi la disciplina di diritto comune e pur non nominando le modalità attraverso cui avviene la “deputatio ad cultum pubblicum” effettuata dall’autorità ecclesiastica.
Tali edifici appartengono per la maggior parte, al Fondo Edifici di Culto - amministrato dal Ministero dell’Interno - che “ha in cura” molti di essi qualificati anche
come “beni culturali”. Ma ve ne sono anche di appartenenti a privati proprietari. Ne consegue la dibattuta natura giuridica dell’istituto, oggetto di argomenti dottrinali e casi di diritto civile.
Infine, vi è da sottolineare che il trattamento giuridico riservato a tali immobili va esteso anche alle “pertinenze” di culto, assieme a tutte le questioni connesse a tale operazione, come ad esempio, il problema relativo alla individuazione tecnica di alcune di esse. Risolutore il principio secondo cui: “Il concetto di edificio destinato all’esercizio pubblico del culto cattolico è estensibile anche alle pertinenze, per la cui configurazione non è decisiva la materiale unicità della costruzione dei locali, bensì il legame funzionale derivante dalla loro destinazione al servizio dell’edificio principale al fine di permettere l’esercizio dell’attività di culto”2.
2 TAR Campania, sez. I Salerno, sent. del 10 marzo 0000, x. 000, Xx dir. eccl., 2004, II, 317, e in Rep. Foro it., 2006, Chiesa ed edifici di culto, 1260, n. 3, 1965, 25. In questo ambito, non è possibile operare attraverso la “presupposizione”, in quanto il diritto della Chiesa cattolica ignora il concetto di “pertinenza”: X. Xxxxxxxxxxx, “Edifici di culto cattolico”, Enc. Dir., XIV, Milano.
CAPITOLO PRIMO. La nozione di “edificio di culto” tra significati normativi e ragioni di disciplina.
1. Il termine “edificio di culto” come risultato di una tradizione non comune a tutte le confessioni religiose. 2. Una ricognizione storica della normativa sull’edilizia di culto. Varietà dei termini utilizzati.
3. L’edilizia di culto e le competenze Stato-Regioni. - 3.1. Nella pianificazione urbanistica. - 3.2. Nel sistema di finanziamento. – 3.3. Le leggi regionali e le riforme. 4. Il caso della Regione Lazio. - 4.1. Contributi sugli oneri di urbanizzazione a favore degli enti religiosi per gli edifici destinati al culto, e interventi per il recupero degli edifici aventi importanza storica, artistica, archeologica. - 4.2. L’assegnazione delle aree alle confessioni religiose: le delibere della Giunta comunale. 5. Innovazioni legislative ed attuale disciplina giuridica. 6. Il regime tributario. 7. In particolare: le disposizioni canoniche sul finanziamento dell’edilizia di culto. 8. Il Fondo Edifici di Culto.
1. Il termine “edificio di culto” come risultato di una tradizione non comune a tutte le confessioni religiose.
Per l’espletamento delle pratiche di culto, vi sono, solitamente, “edifici” o “luoghi” a tale scopo destinati3.
3 X. Xxxxxxx, La condizione giuridica delle cose sacre, Milano, 1903; X. Xxxxxxx E., Il problema delle cose sacre, in Riv. Dir. priv., 1934, II, 178 e ss; X. Xxxxxxx, Ancora sul problema delle cose sacre, ibidem, 1935, II, 231 e ss; A. De Xxxxxxx, La dicatio ad patriam di res sacrae. Sulla tutela civile delle cose destinate al culto dei fedeli nelle chiese pubbliche, Diritto dei beni pubblici, 1936, 52 e ss.; X. Xxxxxxxxxx, Il vincolo di diritto canonico di indisponibilità delle cose sacre destinate al culto nell’ordinamento giuridico italiano, Ferrara, 1937; X. Xxxxxxxxxxx., La “deputatio ad cultum publicum”, Milano, 1937; Id., La condizione giuridica degli edifici di culto e il nuovo codice civile, in Arch. dir. eccl., 1941, 31 e ss. e 185 e ss.; X. Xxxxxxx, La condizione giuridica degli edifici di culto nel diritto italiano, Xxxx Xxxxxxxxx, 0000, 21 e ss.; X. Xxxxxxx, Note sul regime civile degli edifici di culto ed in particolare sull’acquisto di essi per usucapione, Arch. Dir. eccl., 1943, 240 e ss.; Id., Sulla condizione giuridica degli edifici di culto acattolico, Annali del Sem. giur. Dell’Università di Catania, vol. I, 1949- 1950, 147 e ss.; X. Xxxxx, Appunti sul regime giuridico delle chiese parrocchiali nel diritto italiano, in Il Diritto ecclesiastico, 1950, 459 e ss.; A. De Xxxxxxx, Il ripristino degli edifici di culto danneggiati o distrutti da eventi bellici, Il dir. eccl. 1950, 996; Id., In tema di pertinenze immobiliari dell’edificio destinato al culto, ivi, 1951, 863; Id., Xxxx’assoggettabilità della casa canonica all’imposta sui fabbricati, ivi, 1952, 141; X. Xxxxxx, Chiese ed edifici destinati all’esercizio del culto, in Giur. compl. Cass. civ., 1954, 75 e ss.; Xxxxxxxx L., Osservazioni sul regime giuridico degli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, Foro it., 1954, IV, 153 e ss.; X. Xxxxxxx, La situazione giuridica delle chiese nel diritto
“Edificio” deriva dal latino aedificium, aedificare, “edificare”. Si tratta di una costruzione generalmente in muratura, per abitazione o altro uso pubblico o privato. E ancora, di un complesso organico o di una struttura organizzata.
“Culto” deriva dal latino cultum, colere, “coltivare”. E’ il complesso delle usanze e degli atti per mezzo dei quali si esprime il sentimento religioso: nella sfera interna, attraverso l’intelligenza e la volontà; in quella esterna, mediante manifestazioni sensibili quali riti, gesti, parole4.
Il termine “edificio di culto” è tuttavia, il risultato di una tradizione storica non omogenea e non uguale per tutte le confessioni religiose.
Nella prospettiva di una religione monoteistica, il “tempio” non poteva che essere uno solo.
Nel Cristianesimo si adottò il termine nuovo di “domus ecclesiae”, intesa come la “casa” e, al tempo stesso la comunità di fedeli. Si superò l’idea della esclusività del luogo di preghiera, in quanto la fede cristiana non risultava più come privilegio di un
italiano, nota a sentenza della Cass, S. III civ., 16 giugno 1951, n. 1572, e in Il Dir. Eccl., 1955, II, 35 e ss.; X. Xxx Xxxxxxx, Xxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 223 e ss.; G.R. Giacomazzo, Sul pubblico uso degli edifici di culto di proprietà privata: premesse ed effetti, Il dir. eccl., 1957, II, 225 e ss.; Id., Art. 831, comma 2, c.c., xxx, 1958, I, 338 e ss.; X. Xxxxxxxxx, Nozione giuridica di edificio destinato al culto, Modena, 1959; X. Xxxxxx, L’interesse protetto dall’art. 831, comma 2 c.c., Dir. giur., 1969, 86; Id., L’art. 831. comma 2, c.c., Xxxxx. civ., 1974, 602; Id., Chiesa (come edificio di culto), Noviss. Dig. It., Xxxxxxxxx, I, Torino, 1980, 1142; G.B. Varnier, Osservazioni in tema di alienazione di edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, con speciale riferimento alla successione “mortis causa” nella proprietà della basilica di S.M. Assunta di Carignano in Genova, Il dir. eccl., 1975, II, 237 e ss.; X. Xxxxxxxxx, Brevi note in tema di “deputatio ad cultum publicum” e art. 42 della Costituzione, Il dir. eccl., 1975, II, 133 e ss.; X. Xxxxx, Atti di concessione di chiesa aperta al pubblico di proprietà dello Stato, Il dir. eccl., 1977; I, 600 e ss.; X. Xxxxx, Edifici di culto e disciplina urbanistica: interrogativi, Il dir. eccl., 1978; I, 645 e ss.; X. Xxxxxxxxxx G., Edifici ed edilizia di culto. Problemi generali, Milano, 1979; X. Xxxxxxxx, In tema di edifici di culto (osservazioni preliminari), in AA.VV., Nuove prospettive per la legislazione ecclesiastica, Milano, 1981, 381 e ss.; X. Xxxxxxx, Profili giuridici dell’edilizia di culto, Roma, 1983; X. Xxxxxxxx, Stato sociale, edilizia di culto e pluralismo religioso: contributo allo studio della problematica del dissenso religioso, Milano, 1990; X. Xxxxx, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Salerno, 1990; X. Xxxxxx, Ordinamento giuridico e interessi religiosi, 6° ed., Milano, 1992, 319; X. Xxxxxxxx, Edifici di culto cattolico, Il dir. eccl., 1994, I, 859; X. Xxxxx, Le fonti di finanziamento dell’edilizia di culto, Il dir. eccl., 1994, I, 768; AA.VV., L’edilizia di culto.Profili giuridici, Atti del Convegno di Xxxxxx xxx 0000, Xxxxxx, 1995; X. Xxxxxxxxxx, La condizione giuridica degli edifici di culto, in AA.VV., L’edificio di culto. Profili giuridici, ivi; X. Xxxxxxxx, Tradizione, innovazione e fraintendimenti in tema di edifici di culto, Quad. dir. e pol. Eccl., 1995, 707.
4 “Edificio”, “Culto”, Dizionario della lingua italiana, Zingarelli, 2009.
popolo e di un territorio, ma dotata di una dimensione universale, che si esprimeva attraverso l’incontro del credente con Dio in interiore homine. L’incontro con Xxxx rendeva superfluo il tempio, e i segni visibili, gli oggetti destinati al culto, l’azione liturgica, erano ormai considerati come il frutto di una esigenza umana, più che derivante dalla natura di Dio.
Anche nella legislazione statale, passata ed attuale, non è possibile riscontrare, in ogni circostanza, la medesima denominazione per l’individuazione delle “chiese5”. Vi sono state: “chiese aperte al culto6”, “chiese pubbliche aperte al culto7”, “chiesa conservata al pubblico culto8”, “chiese aperte al culto pubblico cattolico con le loro pertinenze9”, “chiese ed altri luoghi sacri, e “chiese povere10”, “chiese con annesse case parrocchiali11”, “chiese parrocchiali12”, “chiese parrocchiali e relative case canoniche13”, “chiese parrocchiali, succursali ed assimilate e relative case canoniche14”.
5 Art. 2, 5° comma del Concordato del 1929; art. 41 regolamento per l’esecuzione della l. 27 maggio 1929, n. 848; art. 7 della l. 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica); art. 1 decr. Min. Fin., 6 agosto 1955; circ. Min. Lav. Pubbl., 14 agosto 1945, n. 590; e in altre circolari ministeriali, anni 1945-1955.
6 Art. 3, 3° comma del Concordato del 1929; circ. Min. Interno, 28 marzo 1939, n. 21100/73 sulle tumulazioni privilegiate.
7 Art. 29, lett. a del Conc. ’29, n. 848, artt. 10 e 11 e regolamento per l’esecuzione della legge.
8 Art. 8, della l. 27 maggio 1929, n. 848 e art. 15 regolamento del 2 dicembre 1929, n. 2262; circ. Min. Fin. del 2 agosto 1932, n. 231.
9 Circ. Min. Fin. del 9 giugno 1933, n. 5522 (istruzioni per l’esenzione dall’imposta di consumo sui materiali di costruzione per le chiese, i seminari e le case di abitazione dei parroci).
10 Artt. 20 e 285 del regolamento per l’esecuzione del t.u. delle leggi di p.s. approvato con r.d. 6 maggio 1940, n. 635.
11 Circ. Min. Lav. Pubbl. del 9 aprile 1945, n. 48 recante istruzioni per l’applicazione del d .l lt. del 1° marzo 1945, n. 154.
12 Art. 1della l. 18 dicembre 1952, n. 2522 e circ. Min. Lav. Pubbl. del 14 settembre 1953, n. 144 (concorso dello Stato della costruzione di nuove chiese e nuove case canoniche).
13 Art. 1 lett. d, del d. l. 10 gennaio 1952, n. 9 (provvidenze straordinarie per le zone alluvionate per le zone della Calabria).
14 Art. 1, lett. d, del d. l. 9 aprile 1955, n. 279 (provvidenze straordinarie per le zone alluvionate nei comuni della provincia di Salerno).
Ed inoltre, successivamente alla firma del Concordato con la Chiesa cattolica del 1929: “edifici aperti al culto” o “edifici adibiti al culto”15, e ancora “edifici necessari al culto o degni di essere conservati16”.
In alcune norme non è nemmeno dato distinguere tra culto cattolico ed altre pratiche religiose: “edifici destinati all’esercizio di un culto17”, “edifici destinati ad uso di culto18”,” edifici destinati al culto19”, “luoghi sacri, luoghi destinati al culto, templi20”, “ edifici serventi al culto pubblico21”, “fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto22”.
Pure la dottrina ha utilizzato nomenclature assai diversificate23.
Il termine “ecclesia” è stato sostituito definitivamente da quello di “edificio di culto”, dal legislatore civile del 1942 per rendere ragione di un’esigenza di individuazione generale, valevole per la maggioranza delle confessioni24. Nel codice civile del 1865 la disciplina delle chiese era interamente mutuata dal diritto canonico25:
15 Artt. 2, 9, 10 del Concordato del 1929; art. 3 del t.u. delle norme per la disciplina delle requisizioni, r.d. del 18 agosto 1940, n. 1741; Circ. Min. Lav. Pubbl., del 1° ottobre 1949, n. 4345, relativa alla dichiarazione di pubblica utilità degli edifici di culto ai fini dell’espropriazione.
16 Art. 635 del cod. pen..
17 Art. 91, 5° comma, della l. sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, del 17 luglio 1890, n. 6972.
18 Art. 1, lett. c., del l. lg. C.P.S. 7 ottobre 1947, n. 1303.
19 Art. 192 del t.u. delle leggi di p.s., approvato con r.d. del 18 giugno 1931, n. 773.
20 Art. 20, 29, lett. c., e 285 del regol. per l’esecuzione del t.u. di p.s., approvato con r.d. del 6 maggio 1940, n. 635.
21 Art. 5, lett. i, del t.u. per la finanza locale, approvato con r.d. del 14 settembre 1931, n. 1175; art. 91, lett. i, del t.u. della legge comunale e provinciale approvata con r.d. del 3 marzo 1934, n. 383.
22 Art. 8 regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, approvato con d.p.r. del 1° dicembre 1949, n. 1142.
23 Alcuni autori si riferiscono genericamente alle “cose sacre”, destinate tramite la consacrazione o la benedizione, direttamente al culto divino. X. Xxx Xxxxxxx, Xxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 224.
24 X. Xxxxx Xxxxx, Dalle “chiese” agli “edifici di culto”, in AA.VV. Gli edifici di culto tra Stato e confessioni religiose, Convegno di Roma del giugno 2007, Lumsa, Milano, 2008, 3 e ss..
25 Mediante rinvio formale o per presupposizione. Si veda in proposito, X. Xxxxxxxxx, Considerazioni preliminari sulle confessioni religiose diverse dalla cattolica, Milano, 1963: “Lo Stato non riconosce la qualificazione che il diritto canonico dà di un edificio di culto come atto giuridico, ma lo assume solo come fatto giuridico in senso stretto per farne derivare, nell’ordinamento proprio, conseguenze diverse o, comunque, non in rapporto con quelle che da esso promanano per l’ordinamento della Chiesa. In effetti, nell’atto canonico della deputatio si deve scorgere semplicemente un presupposto di fatto, poiché non si versa nell’ipotesi in cui lo Stato riconosce l’atto ecclesiastico come atto giuridico per farne discendere effetti corrispondenti a quelli propri dell’ordinamento canonico, bensì in quanto si ha una materia che, in
col nuovo codice si decise di regolarne il trattamento giuridico, direttamente riferendosi agli “edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico” (art. 831 del codice civile del 1942)26.
L’art. 831 non dà rilievo giuridico al carattere sacro imposto mediante la consacrazione - o la benedizione - canonica, ma considera il fatto che l’edificio sia effettivamente destinato all’”esercizio pubblico del culto cattolico”27, in quanto bene strumentale al soddisfacimento di interessi religiosi diffusi nella “generalità indistinta
sé per sé, è del tutto estranea ad esso, il quale anche volendo non potrebbe regolarla, solamente lo considera, attraverso un rinvio per presupposizione, come semplice valutazione dell’ordinamento altrui, cioè come un fatto necessariamente antecedente al proprio riconoscimento di quella qualificazione del locale come edificio di culto”; X. Xxxxxx, Costituzione e rinvio mobile a diritto straniero, diritto canonico, diritto comunitario, diritto internazionale : alcune considerazioni in tema, Padova, 1987; X. Xxxxxxxxxx, Produzione di norme giuridiche mediante rinvio, Milano, 1964. Per la differenza tra rinvio formale, rinvio materiale, presupposto in senso tecnico: X. Xxxxxxxxxxx, Manuale, op. cit., 83 e ss.; X. Xx Xxxx, Rilevanza dell’ordinamento canonico nell’ordinamento italiano, Xxxxxx, 0000. X. Xxxxxxxxxxx, La “deputatio ad cultum publicum”, Milano, 1937; La condizione giuridica degli edifici di culto e il nuovo codice civile, Arch. dir. eccl., 1941, 31 e ss. e 185 e ss.; X. Xxxxx Xxxxxxxx, op. cit., pag. 262: “secondo i principi comunemente insegnati in tema di attività dello Stato in materia confessionale, il primo dato generico della esperienza giuridica è legato all’affermazione secondo la quale nel diritto obiettivo si scorge fra i criteri dominanti quello di un particolare interessamento statuale al normale funzionamento della Chiesa cattolica in Italia, allo scopo di assicurare il soddisfacimento dei bisogni di culto degli appartenenti ad essa Chiesa, per quanto allo Stato possibile ed in conseguenza della coscienza generale, scaturente dall’essere la religione cattolica quella della quasi totalità del popolo italiano”.
26offrendo una nozione anche più ampia di quella derivante dal diritto canonico, in cui si fa riferimento alla “ecclesia, il codex juris canonici del 1983, (così come il codice precedente), ha disciplinato i “luoghi sacri”: edifici destinati al culto divino o alla sepoltura dei fedeli mediante la dedicazione o la benedizione effettuata dal Vescovo diocesano. In questi spazi vi è consentito solo quanto necessario all’esercizio e alla promozione del culto, della pietà, della religione, e vietato ciò che sia estraneo alla santità del luogo. Il canone 1214 definisce la “chiesa” un edificio sacro destinato al culto divino ove entrano i fedeli per esercitare il culto: è costruita col consenso scritto del Vescovo diocesano, se utile al bene delle anime e se non manchino i mezzi necessari alla costruzione e al culto divino; deve essere dedicata o benedetta con rito solenne; e l’ingresso è libero e gratuito. Tra i luoghi sacri anche: gli “oratori”, destinati al culto divino su licenza del Vescovo in favore di una comunità di fedeli; le “cappelle private” in favore di una o più persone fisiche; i “santuari” ove i fedeli si recano in pellegrinaggio per pietà: gli “altari”, ovvero le mense ove si celebra l’Eucarestia; e i “cimiteri” riservati alla sepoltura dei fedeli defunti. Anche se non tutte le ecclesiae rientrano necessariamente tra gli edifici nominati dal primo. Si dà avvio in questo modo a quella che alcuni autori hanno definito una “laicizzazione” del problema, ponendo in risalto anche il suo aspetto sociale, ai fini di un “generale affrancamento dalle impronte del diritto canonico”, per ispirarsi sempre più spesso ai principi della Carta costituzionale e dell’ordinamento giuridico: X. Xxxxxxxx, In tema di edifici di culto, in Nuove prospettive per la legislazione ecclesiastica, Atti del II Convegno nazionale di Diritto ecclesiastico, Siena, 27-29 novembre 1980, in Il dir. eccl., Milano, 1981, 389.
27 A.C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, II ed., Milano, 1957, 273.
dei fedeli”28. Gli edifici della Chiesa cattolica, sono considerati dal punto di vista della “funzione sociale” assolta, ed in ragione di questa; inoltre sono “beni di uso sociale” 29 e “beni a destinazione pubblica” 30, e ancora “beni appartenenti alla nazione”, e “beni pubblici”31, strumentali all’esercizio in pubblico e in forma associata del culto (art. 19 Cost.), ai fini del concorso al progresso spirituale dei cives-fideles32.
Essi risultano essere diversamente “finalizzati” e diversamente “utilizzati”: dal privato proprietario che mantiene, seppur contratto, il suo dominio; dalla Chiesa in quanto strumentali alla sua missione pastorale; dallo Stato, per il loro valore culturale, storico, artistico; dai cives fideles ai fini dell’esercizio in pubblico e in forma associata del culto e per il loro progresso spirituale.
La progressiva attenzione dello Stato, per la tutela dei beni culturali, è stata interpretata del resto, come segno di passaggio progressivo allo Stato sociale: le istituzioni pubbliche si impegnano a perseguire il “benessere spirituale” del corpo sociale, anche mediante la fruizione degli strumenti – beni - della cultura33.
Al di là della terminologia adottata vi è però da rilevare che se per la tradizione cattolica “il culto è il complesso degli atti, dei riti e degli usi mediante i quali si rende onore a Dio ed alle creature a Lui unite, nella Chiesa istituita da Xxxx Xxxxxx”34, per altre religioni, esso può non manifestarsi attraverso atti o comportamenti da compiersi in
28 “e quando alla deputatio ad cultum operata dall’autorità ecclesiastica si accompagni “l’effettivo esercizio pubblico del culto cattolico”. X. Xxxxxxxxx, Edifici di culto e art. 700 c.p.c., in Il dir. eccl., Milano, 1965, 181-184.
29 “il prevalente interesse della collettività alla persistenza della deputatio ad cultum negli edifici a ciò destinati (…), da solo realizzi e giustifichi la peculiare tutela possessoria, nonché la concorrente limitazione del diritto di dominio del privato proprietario, prescindendo da ogni equivoco rinvio statuale alle norme canoniche”, X. Xxxxxxxxx A., Xxxxx note in tema di “deputatio ad cultum publicum” e art. 42 della Costituzione, Il dir. eccl., 1975, II, 133 e ss..
30 Si veda: M.S. Xxxxxxxx, I beni pubblici. Dispense, Roma, 1963, 134; X. Xxxxxxx, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969; A.M. Xxxxxxxx, voce “Beni pubblici”, Enc. del Dir., 278 e 284.
00 X. Xxxxxxxx, Xx tema di edifici di culto, op. cit., 402 e ss..
32G. Xxxxxxxxxx, Calamità naturali, opere pubbliche ed edifici di culto, Il dir. eccl.,1978, 378 e ss.; X. Xxxxxx, L’art. 831. comma 2, c.c., Xxxxx. civ., 1974, 602.
33 X. Xxxxx Xxxxx X. Xxxxx Xxxxx, Dalle “chiese” agli “edifici di culto”, in AA.VV. Gli edifici di culto tra Stato e confessioni religiose, Convegno di Roma del giugno 2007, Lumsa, Milano, 2008, 3 e ss..
34 “Edificio”, in Vocabolario della lingua italiana, Zingarelli, 2008, 487; “Culto”, in Vocabolario della lingua italiana, Zingarelli, 2008, 606.
strutture all’uopo adibite, di guisa che il termine, come detto, risulta come il “frutto di una tradizione che non trova riscontro in tutte le confessioni religiose”35. Se per la Chiesa, vi sono immobili ben identificati, per altri gruppi religiosi, considerato il numero dei fedeli, la pratica cultuale espletata, l’uso di eterogenei locali in cui si svolgono anche solo riunioni, incontri, preghiere, non è appropriato parlare di edifici, quanto piuttosto di “luoghi di culto”36.
Soprattutto le confessioni orientali, tendono ad avere dei locali nei quali si svolgono una serie di attività cultuali e culturali, di incontro, di programmazione di iniziative nei quali solo saltuariamente si dà luogo a celebrazioni religiose o a veri e propri atti di culto37.
Il termine “luogo di culto” risulta comunque da preferire rispetto a quello di ”edificio”, anche per quegli spazi del culto cattolico, in cui si svolgono pratiche religiose importanti: come ad esempio, per le processioni lungo le vie delle città o dei paesi.
Allo Stato, in definitiva, interessa non tanto il luogo in sé per sé, quanto la possibilità di concreto esercizio della libertà religiosa in senso collettivo. Essa, intesa in senso negativo, è la libertà dai limiti di espressione eventualmente imposti, ed in senso positivo, la facoltà di esprimere la propria personalità: e deve essere tutelata per ogni
35 Cardia C., La condizione giuridica, in AA.VV., Gli edifici di culto tra Stato e confessioni religiose, Convegno di Roma del giugno 2007, Lumsa, Milano, 2008, 8 e ss..
Anche se, alcune confessioni religiose, in realtà non chiedono - perché non desiderano - un edificio o un immobile a ciò finalizzato.
37 Per queste confessioni è più adatta la locuzione “luoghi di culto” con conseguenze diverse dal punto di vista pratico e giuridico. Possiamo non trovare edifici aperti al culto pubblico buddista o induista. Possiamo trovare delle ville o degli immobili, oppure un locale, una stanza, usati per le ritualità dei fedeli o degli aderenti. Nella nostra tradizione sappiamo che non si ha culto pubblico se l’edificio è destinato sono agli appartenenti di una comunità religiosa, ad una confraternita, ad un seminario, ad una scuola, senza che vi sia ammesso il pubblico. Se applicassimo questo ad agli immobili o ai locali di alcune confessioni non arriveremmo mai a definire quei locali “edifici di culto”. In questi luoghi di culto infatti il pubblico non può entrare, i riti vi si svolgono saltuariamente, in spazi molto ridotti e senza che la popolazione possa accedervi, anche se si tratta di spazi effettivamente dedicati al culto anche se in modo diversi da quello per noi consueto. In una bozza di intesa proposta dall’istituto buddista italiano Soka Gakkai è scritto che: “le competenti autorità dell’IBISG informano la prefettura-ufficio territoriale del governo competente dell’esistenza di edifici di culto dell’Istituto medesimo nella circoscrizione indicando gli spazi specificamente dedicati al culto ed eventuali variazioni che si determinino. X. Xxxxxx, op. cit., 8 e ss..
confessionein religiosa, mediante interventi pubblici sulla destinazione delle aree; con contributi economici per la costruzione di nuovi edifici; ed infine, tramite specifici privilegi contributivi.
2. Una ricognizione storica della normativa sull’edilizia di culto. Varietà dei termini utilizzati.
E’ noto come fin dai tempi antichi tutte le c.d. “cose sacre”, cioè destinate all’esercizio del culto, fossero considerate non passibili di dominio, e quindi extra commercium.
La presenza della Divinità era evidente nei segni e nei beni che ad essa venivano riservati: esse si consideravano quindi di proprietà esclusiva di Dio, e non potevano entrare nel patrimonio degli uomini.
Anche nel diritto romano, i templi e gli altri spazi sacri non avevano proprietari e costituivano la categoria delle “res nullius in bonis”38 laddove la destinazione sacra di una cosa ne comportava sempre l’inappropriabilità e l’incommerciabilità. Al popolo romano incombeva il solo dovere di salvaguardia della funzione di culto, anche se le legittime osservanze religiose rientravano nelle attribuzioni dello Stato.
Solo successivamente, principalmente con l’avvento del Cristianesimo, i giuristi si concentrarono sulla “deputatio ad cultum” delle cose sacre, e quindi sulla tutela dell’”uso pubblico” degli edifici di culto.
Per quanto riguarda la situazione italiana, nel periodo compreso tra il 1848 e il 1922 circa, lo Stato si interessò della religiosità dei privati, ma evitò di condizionarla
38 X. Xxxxx, La differenza sostanziale fra res nullius e res nullius in bonis e la distinzione delle res pseudo-marcianea, Milano, 1979, 29 e 36.
con norme proprie39 e la materia degli edifici di culto venne fatta confluire nella c.d. “questione della proprietà ecclesiastica”40.
Il codice civile del 1865 non previde una normativa ad hoc per le chiese41, incluse nella disciplina generale “dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni” di cui al Libro II (art. 406 e ss.). In particolare, gli articoli 433 e 434 assoggettarono i beni degli istituti ecclesiastici alle leggi civili.
Sorse quindi il quesito circa la loro commerciabilità o incommerciabilità che tanto impegnò la dottrina42.
39 La Chiesa cattolica non era ancora identificata come istituzione sovrana, e nessun valore formale era riconosciuto agli atti del suo governo.
40 A.C. Xxxxxx, La questione della proprietà ecclesiastica (1848-1888), Bologna, 1974, 44 e ss.; Calisse C., Diritto ecclesiastico, Firenze; X. Xxxxx, Il concetto giuridico di separazione della Chiesa dallo Stato, Torino, 1913; X. Xxx Xxxxxxx, La separazione tra Stato e Chiesa come concetto giuridico, Roma, 1913; Tedeschi M., “Separatismo”, Noviss. Dig. It. – Appendice, Torino, 1983; Xxxxx de Xxxxx, Il neo- giurisdizionalismo liberale, in AA.VV., La legislazione ecclesiastica, Milano, 1982; X. Xxxxxx, Il separatismo cavouriano, in AA. VV., La legislazione ecclesiastica, op. cit.; X. Xxxx, La legge delle guarentigie pontificie, in AA.VV., La legislazione eccelsiastica, op. cit.; Xxxxxxxx A., Introduzione dogmatica al diritto ecclesiastico italiano, Padova, 1937, 21 e ss.; ID., Stato e Chiesa dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana, Padova, 1949; ID., Qualificazione giuridica ed evoluzione storica dei rapporti fra Stato e Chiesa, Il dir. eccl., 1961, I, 189 e ss..
41 Xxxxxxxxxx, Il diritto patrimoniale della Chiesa, Padova 1935, 171 e ss..; X. Xxx Xxxxxxx, Manuale, op. cit., 327-329.
42 Malgrado questa mancanza di disciplina ad hoc, non si poteva negare una situazione giuridica speciale per le cose sacre, in riferimento alla presenza del diritto canonico, al quale sicuramente si rinviava per la totale disciplina della materia, ridendosi che “se il codice e la legge civile in genere non hanno regolato questa situazione giuridica, non resta che ricorrere al diritto canonico”. X. Xxxxx, Corso di diritto ecclesiastico, II, Padova, 1933, 247. Per C.F. Xxxxx, Questioni di diritto civile, Torino, 1897, 129 e ss., poi le cose serventi al culto, tra cui le chiese, erano da ritenersi fuori commercio e insuscettibili di dominio per tutto il tempo della destinazione al culto, ritenendosi applicabile il diritto canonico territorialmente vigente, alla stregua dell’art. 48 disp. attu. c.c.. Successivamente, rispondendo a chi aveva ritenuto non più in vigore l’incommerciabilità di diritto canonico, lo stesso Xxxxx ritenne le cose sacre fuori commercio non perché res nullius ma perché beni demaniali., in quanto l’allora art. 427 c.c. non indicava in modo tassativo i beni demaniali. Parzialmente aderente a questa teoria, Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, I, Roma, 1921, 755, il quale sosteneva l’esistenza di un “demanio ecclesiastico di natura storica consuetudinaria, ammesso in forza degli usi di diritto pubblico”. X. Xxxxxxx, sulla alienabilità delle cose nel diritto italiano, Foro it., 1888, I, 1189; G.P. Chironi, Del carattere degli edifici destinati al culto, Foro it., 1889, I, 580; X. Xxxxxxx, Diritto ecclesiastico vigente in Xxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 000 x xx., xxxxxxxxxx, all’opposto, che in mancanza di norme civilistiche ad hoc, il legislatore italiano avesse disconosciuto la legislazione canonica in materia per assoggettare tali beni interamente al diritto comune, in favore della libera “commerciabilità”. Un’altra importante teoria fu quella esposta da
X. Xxxxxxxx, Manuale di diritto ecclesiastico, I, Roma, 1922, 219 e ss., il quale ritenne che le cose di proprietà privata, tra cui gli edifici sacri, potessero essere oggetto anche di uso pubblico, qualora il titolare lo avesse concesso, con conseguente creazione di una “servitù di uso pubblico” a favore dei cittadini, senza possibilità che l’edificio potesse essere sottratto a tale destinazione. Da qui anche la loro
Successivamente, nella legislazione eversiva dell’asse ecclesiastico (l. 7 luglio 1866 e l. 15 agosto 1867) si decise di tutelare l’attività di culto in quanto “servizio di interesse collettivo”: ed infatti, la l. del 29 maggio 1855, n. 878 stabilì che all’ufficiatura delle chiese dei conventi e delle collegiate od altre, e all’adempimento delle pie fondazioni a carico dei religiosi, canonici e beneficiari, avrebbe provveduto la Cassa ecclesiastica.
Furono emanate diverse leggi a sostegno dell’edilizia di culto, disciplinanti sovvenzioni economiche di varia natura e favori fiscali. Il legislatore italiano, in questo particolare periodo storico, volle preservare, altresì, la necessità di conservare al culto gli edifici a ciò destinati, inclusi quelli appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi.
E così, la l. del 7 luglio 1866, n. 3036 con l’estensione a livello nazionale della soppressione delle corporazioni religiose e degli altri enti ecclesiastici e la conseguente devoluzione dei loro beni al demanio, vi considerò esclusi “gli edifizi ad uso di culto che si conserveranno a questa destinazione, coi quadri, statue, mobili ed arredi sacri che vi si trovano, … gli episcopii, i fabbricati dei seminari…”. La l. del 15 agosto 1867,
n. 3848 previde il concorso dei Comuni per le spese di conservazione degli “edifizi sacri che si conserveranno al culto”. L’art. 10 della l. del 14 luglio 1864, n. 1831 disciplinò l’esenzione dall’imposta fondiaria per “i fabbricati destinati all’esercizio dei culti ammessi nello Stato”.
Non vi era ancora però, una legislazione organica sugli edifici di culto in genere, e gli altri immobili non considerati dalla legislazione eversiva non furono oggetto di discipline particolari43.
Speciali privilegi fiscali e nuovi sostegni finanziari furono successivamente previsti anche per altre religioni, come nella l. del 26 gennaio 1865 che all’art. 2, 1°
alienabilità. Ma per Petroncelli, se si ammetteva, assieme alla servitù di uso pubblico anche un potere di disposizione da parte dell’autorità ecclesiastica sulle chiese, allora non poteva parlarsi di una commerciabilità del tutto analoga a quella dei musei, delle collezioni private,e delle altre proprietà in genere. X. Xxxxxxxxxxx, Manuale di diritto ecclesiastico, Napoli, 1961, 394.
43 La destinazione ad uso pubblico degli edifici era sufficiente a ritenerli, ai fini fiscali, equiparati ai beni del demanio, e la religiosità si considerava tutelata indirettamente dalle norme di diritto comune. X. Xxxxx, Forme di stato e forme di governo, in AA.VV., Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1986.
xxxxx, che dichiarò esenti dall’imposta sui fabbricati “quelli destinati all’esercizio del culto”, e la l. comunale e provinciale del 20 marzo 1865, n. 2248, che considerò obbligatorie per i Comuni quelle per la conservazione degli “edifici serventi al culto pubblico” nel caso di insufficienza di altri mezzi per provvedervi, fin quando non fosse stata approvata una legge che regolasse le spese di culto.
Solo successivamente alla dichiarazione di Roma capitale, si cercò di tracciare una normativa che fosse quantomeno omogenea nei territori già pontifici: con la creazione del “Fondo speciale per usi di beneficenza per la città di Roma” 44; con il diniego dell’alienabilità degli “edifici che saranno conservati ad uso di culto”45, e con l’emanazione della prima legislazione organica sui beni artistici46 che decretò l’inalienabilità, fra gli altri, dei beni degli enti morali ecclesiastici, con obbligo per i rispettivi amministratori di formare dei cataloghi fruibili dal pubblico a ore determinate.
In materia tributaria, la tendenza fu quella di concedere esenzioni a “chiese e ogni altro edificio destinato al culto”: dall’imposta fondiaria47 e da quella sui redditi48, così anche dalla tassazione sulla ricchezza mobile49, nonché dall’imposta straordinaria sul patrimonio50.
La disciplina giuridica completa dell’edilizia di culto per la Chiesa cattolica si ebbe col Concordato Lateranense del 1929. Gli articoli 9 e 10 disposero l’esenzione, per quelli aperti al culto, da requisizioni e occupazioni, e da demolizioni, a meno di un
44 L. del 19 giugno 1873, n. 1402.
45 Reg. di cui al X.x. xxx 00 giugno 1909, n. 454 attuativo della l. del 24 dicembre 1908, n. 783.
46 La l. del 20 giugno 1909, n. 364 (Disposizioni relative alle antichità e belle arti) e il regolamento attuativo di cui al r.d. del 30 gennaio 1913, n. 363. In proposito si veda, X. Xxxxxxxx, Beni artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1860, Bologna, 1978.
47 Leggi del 15 luglio 1864, n. 1831, del 26 gennaio 1865, n. 2136, e del 18 luglio 1867, n. 3718.
48 X.x. xxx 00 settembre 1874, n. 2078.
49 L. del 28 agosto 1877, n. 4021.
50 Il r.d. del 24 novembre 1919, n. 2169 (artt. 8-9) dichiarava esentate dall’imposta progressiva straordinaria sul patrimonio “le chiese e ogni altro edificio destinato al culto”, “con mobilio, gli arredi sacri, i reliquiari, e qualunque altro oggetto di spettanza della chiesa”, e anche le biblioteche e le collezioni di quadri che non sono oggetto di commercio”; il r.d. del 4 febbraio 1915, n. 148 poneva a carico dei Comuni le spese per la conservazione degli “edifici destinati al culto pubblico”, in mancanza di altri mezzi per provvedervi; l’art. 38, n. 1 del regolamento approvato con r.d. del 21 marzo 1926, n. 490 che attribuiva al patrimonio indisponibile dello Stato “le chiese” appartenenti allo Stato, già di proprietà degli enti soppressi, e comunque conservate “ad uso pubblico”.
previo accordo con la competente autorità ecclesiastica. La forza pubblica non poteva accedere nei locali se non con preliminare avviso all’autorità ecclesiastica.
Sia la S. Sede sia i Xxxxxxx avrebbero potuto pubblicare liberamente ed anche affiggere all’interno e alle porte esterne degli “edifici destinati al culto” – senza oneri fiscali - tutti gli atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli51.
Degli edifici di culto, poiché derivanti da una disciplina originariamente canonica, e poiché essenzialmente “beni pubblici52”, ne era limitata la disponibilità, anche se appartenenti a privati proprietari53.
Mediante il Concordato, lo Stato realizzò una serie di iniziative importanti a favore della Chiesa: dispose la restituzione di importanti basiliche e santuari54 e sancì la consegna delle chiese già appartenute ad enti soppressi alle “chiese pubbliche aperte al culto”55; incluse nelle amministrazioni civili dei patrimoni ecclesiastici provenienti dalle leggi eversive, una metà di membri di nomina ecclesiastica56; aggiornò la condizione giuridica delle fabbricerie vietando alle loro amministrazioni di interferire negli affari di culto57; confermò gli oneri di manutenzione e ufficiatura degli edifici di culto ancora di proprietà pubblica58; attribuì personalità giuridica alle “chiese pubbliche aperte al culto” incluse quelle appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi59; si impegnò a rivedere la sua legislazione al fine di riformarla ed integrarla, per metterla in armonia con le direttive alle quali si ispirava il Trattato stipulato con la S.S.60. Inoltre, esso attribuì alle “chiese pubbliche aperte al culto” che già non l’avessero, la personalità giuridica, così
51 Art. 2, 3° comma,
52 A.M. Xxxxxxxx, voce Beni pubblici, op. cit..
53 C.F. Xxxxx, Della commerciabilità delle cose sacre, in Foro it.. 1890, I, 748 e ss.; X. Xxxxxxxx,
Manuale, op. cit., 207 e ss.; F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, Roma, 1921, 752 e ss..
54 Art. 27.
55 Art. 29, lett. a..
56 Art. 29 lett. e..
57 Art. 29 lett. d..
58 Art. 30, 3° comma.
59 Art. 29 lett. a..
60 Art. 29, 1° comma.
anche a quelle già appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi, con assegnazione nei loro riguardi della rendita che il Fondo per il culto destinava allora a ciascuna di esse61.
Nessuna distinzione venne operata tra edifici pubblici e privati, né tra uso pubblico o privato degli immobili62. Tra i luoghi di culto vennero inclusi gli “oratori” e le “cappelle private”.
Un controllo su alcuni beni ecclesiastici lo Stato lo conservò per mezzo della l. del 1° giugno 1939, n. 1089 (c.d. legge sui beni artistici), che sottopose i beni artistici di proprietà ecclesiastica al vincolo monumentale63: i legali rappresentanti dei beni avrebbero dovuto denunciarne il possesso ai fini della registrazione negli elenchi ministeriali. Per i beni artistici appartenenti ad enti ecclesiastici64, per le “esigenze di culto”, il Ministero dell’Educazione avrebbe dovuto accordarsi con l’autorità ecclesiastica.
Nessuna considerazione per i beni dei privati, né chiarimenti vennero disposti sul genere di “culto” tutelato dalla legge.
Per i culti acattolici, fatta eccezione per la possibilità per i ministri di un culto ammesso, di poter pubblicare ed affiggere nell’interno e alle porte esterne degli “edifici destinati al proprio culto” gli atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli, senza particolare licenza dell’autorità di pubblica sicurezza e con esenzione da tasse65, la legislazione non fu particolarmente favorevole.
Infatti si dispose che l’apertura di un tempio o di un oratorio al culto avrebbe dovuto essere chiesta dal ministro del rispettivo culto con domanda corredata dei documenti atti a provare che il tempio era necessario a soddisfare effettivi bisogni
61 L’art. 29 lett. a.. La locuzione “aperti al culto” venne interpretata come destinazione attuale al culto, l’aggettivo “pubbliche” venne riferito, ora alla proprietà demaniale degli edifici ottenuti tramite le leggi eversive e poi riconsegnati all’autorità ecclesiastica; ora, al tipo di culto svolto, come “godimento collettivo del servizio di culto: X. Xxxxxxxxxxx, La personalità giuridica delle chiese nell’ordinamento concordatario, Rivista di diritto ecclesiastico, 1937, estratto.
62 X. Xxxxxxxxx, Nozione giuridica di edificio di culto, Modena, 1959, 55 e ss..
63 A.M. Xxxxxxxx, voce “Beni pubblici”, Enc. del Dir., 278 e 284; X. Xxxxx, X. Xxxxxxxx di San Luca, L’intervento dello Stato nel settore artistico, Torino, 1986; X. Xxxxx, Beni di interesse pubblico e regime della proprietà, Napoli, 1971, 353 e ss..
64 AA.VV., Beni culturali e interessi religiosi, Napoli, 1983.
65 Art. 3 di cui al r.d. del 28 febbraio 1930, n. 289.
religiosi di importanti nuclei di fedeli ed era fornito di mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione: essa sarebbe stata autorizzata con decreto del Capo dello Stato, su proposta del Ministro competente66. Inoltre, i fedeli di un culto ammesso avrebbero potuto tenere, senza preventiva autorizzazione dell’autorità governativa, riunioni pubbliche per il compimento di cerimonie religiose o di altri atti di culto, solamente negli edifici aperti al culto mediante autorizzazione del Governo67.
Questa situazione particolarmente restrittiva, fu ripresa successivamente dal Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. del 18 giugno 1931, n. 773, successivamente integrato dal Regolamento approvato con r.d. del 6 maggio 1940, n. 635, in cui venne stabilito l’obbligo per chi promuove o dirige funzioni, cerimonie e pratiche religiose “fuori dai luoghi destinati al culto” di darne avviso almeno tre giorni prima dal Questore (art. 25).
Qualche cenno, merita infine la legislazione catastale dell’epoca, che previde ulteriori esenzioni fiscali per i fabbricati destinati al culto. Il r.d. del 13 aprile 1939 n. 652, convertito nella l. dell’11 agosto 1939, n. 1245 dispose, al fine di costituire il nuovo catasto generale dei fabbricati e per la disciplina fiscale da applicare, l’accertamento delle proprietà immobiliari urbane con le loro rendite. Per l’art. 6 non erano soggetti a dichiarazione, tra gli altri, i “fabbricati destinati all’esercizio dei culti”. Il Ministero delle Finanze, con istruzione amministrativa, chiarì che dovevano considerarsi esenti dalla dichiarazione i “fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto”, ma non le “cappelle ed oratori non destinati all’esercizio pubblico dei culti”. Se i locali fossero risultati di proprietà di privati, l’esenzione doveva riconoscersi solo se la destinazione risultasse da caratteristiche intrinseche del bene; se oggetto di locazione o se utilizzati non per scopi di culto, gli edifici erano soggetti a censuazione.
66 Art. 1.
67 Art. 2.
3. L’edilizia di culto e le competenze Stato-Regioni.
3.1. Nella pianificazione urbanistica.
Nel 1981 la Dichiarazione sulla eliminazione di tutte le forme di intolleranza e la discriminazione fondate sulla religione o la convinzione, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha riconosciuto “il diritto di erigere e mantenere chiese e templi”, tra le libertà qualificanti della più ampia libertà di religione, sottolineando che “non potrebbe aversi autentico rispetto della libertà religiosa individuale e collettiva se non avendo la concreta possibilità di disporre di luoghi ove esercitare liberamente il proprio culto”.
Per il nostro Paese, il punto di partenza di tutta la legislazione ordinaria o speciale sulla costruzione di nuovi servizi o attrezzature religiose è costituito dalla l. del 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica) che ha disciplinato l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati, lo sviluppo urbanistico in genere, e la necessità dell’indicazione delle aree occorrenti alla costruzione di chiese – considerate ormai come “opere pubbliche di interesse locale” - all’interno del piano regolatore generale (P.R.G.) dei Comuni.
L’art. 7, in particolare, ha stabilito l’obbligo di indicazione, in ciascun P.R.G., delle “aree da riservare a sede della casa comunale, della casa del fascio, alla costruzione di scuole e ad opere ed impianti di interesse pubblico generale”68.
La previsione di spazi specifici da riservare a costruzioni di interesse “pubblico” e “generale” dimostra l’esigenza, avvertita già dalle istituzioni dell’epoca, di tutelare, o meglio, di permettere lo sviluppo, dei diritti di personalità propri dei cittadini, ancora non assunti a rilievo costituzionale.
68F. Grisenti, X. Xxxxxxxx, Il quadro normativo degli edifici di culto; dalla legge urbanistica (n. 1150/1942) alle norme sugli enti ed i beni ecclesiastici (n. 222/85), L’Amico del clero, 1987, 461 e ss.. Il
T.U. è stato successivamente sostituito dalla l. dell’ 8 giugno 1990, n. 142, sull’ordinamento delle autonomie locali, che ha reputato essere ancora il Comune, il responsabile, dal punto di vista della potestà amministrativa, dell’”assetto e dell’utilizzazione del territorio”.
Gli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana del ‘48 sono stati, di conseguenza, specificamente caratterizzati da rilevanti interventi di programmazione urbanistica, miranti a riservare aree e condizioni di privilegio a vari siti religiosi, nonché dall’emanazione di provvedimenti di esenzione fiscale per i medesimi69.
Infatti, ai fini della organizzazione di un sistema pubblico di amministrazione del territorio, la l. del 18 aprile 1962, n. 167, art. 1 (Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare), ha stabilito che i Comuni con popolazione superiore a cinquantamila abitanti debbano dotarsi di un piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico e popolare, nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali; la legge ha precisato che il piano di zona debba indicare anche le infrastrutture, tra le quali, “le opere e gli impianti di interesse pubblico”, nonché gli “edifici pubblici e di culto”70, con possibilità, per il Comune, di espropriare le aree necessarie alla realizzazione del piano del governo locale71.
Il crescente interesse per le esigenze religiose della popolazione è stato dimostrato successivamente con la previsione, da parte dello Stato, di limiti urbanistici generali, e da parte delle regioni, con l’impegno di garantire, attraverso proprie leggi, una riserva di spazi ad attrezzature di interesse comune, anche “religiose”72. In questo senso: la c.d. “legge ponte”, del 7 agosto 1967, n. 765, che ha determinato gli standard urbanistici per
69 Ed infatti, nella l. del 3 agosto 1949, n. 589 (Provvedimenti per agevolare l’esecuzione di opere pubbliche di interesse di enti locali), sono state incluse tra le “opere pubbliche” anche “le chiese parrocchiali” e “le case canoniche del culto cattolico”69. Il D.P.R. del 1° dicembre 1949 n. 1142 (Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano) ha stabilito di non determinare le tariffe per unità immobiliari non raggruppabili in classi, tra cui i “fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto”, considerati come “luoghi sacri pubblici”. Ed infine, la l. n. 2522 del 1951 il Ministero dei Lavori Pubblici è stato autorizzato a concedere contributi in conto capitale per l’acquisto dell’area in cui edificare “un nuovo complesso religioso”.
70 Art. 4, lett. a..
71 Art. 10. Con la l. del 29 settembre 1964, n. 847, i Comuni sono stati conseguentemente agevolati nel contrarre mutui per l’acquisizione delle aree ai sensi della legge citata, per la realizzazione di “opere di urbanizzazione primaria”.
72 X. Xxxxxxxxx, Pianificazione urbanistica e standards. Lo standard urbanistico religioso, in AA.VV., Gli enti istituzionalmente competenti del servizio religioso di fronte al diritto urbanistico italiano, Milano, 1982, 54 e ss..
le attività edilizie da compiersi, e il decr. min. di attuazione del 2 aprile 1968, n. 1444, che ha sancito l’obbligatorietà di una quota minima inderogabile di spazi pubblici riservata ad aree per attrezzature di interesse comune, “religiose”, culturali, sanitarie, sociali, assistenziali.
Da qui in poi, si è registrata una crescita esponenziale della legislazione regionale, intervenuta a modificare addirittura la ripartizione interna stabilita dal xxxxxxx00; a riservare una quota specificamente alle “attrezzature religiose di interesse comune”74; a stabilire che la superficie minima da riservare nelle aree di nuova espansione a ciascun insediamento per “attrezzature religiose”75.
In alcune normative regionali, fra le attrezzature religiose, sono stati specificatamente inseriti: gli “edifici per lo svolgimento di attività senza scopo di lucro funzionalmente connesse”76 ; gli “immobili per l’esercizio del ministero pastorale”77; le “pertinenze funzionali al culto”78. In particolare la Liguria ha incluso fra di esse, specificando che si tratta di “opere di urbanizzazione secondaria”: gli “immobili destinati al culto anche se articolati in più edifici”; “immobili destinati all’abitazione dei ministri di culto e del personale di servizio”; “immobili adibiti, nell’esercizio del
73 che aveva incluso fra le “attrezzature di interesse collettivo”, anche quelle “religiose”, e la l. n. 847 del 1964, nel testo riformato (ad opera della l. n. 867 del 1971), ha istituito la categoria delle “opere di urbanizzazione secondaria”, includendovi le “chiese ed altri edifici per servizi religiosi”. Esso ha fissato in 18 mq. per abitante la dotazione minima inderogabile di spazi pubblici o riservati alle attività collettive: istruzione, attrezzature di interesse comune, spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, parcheggi pubblici. Alle attrezzature di interesse comune era stato assegnata una dotazione di 2 mq. per abitante, precisando che dovevano considerarsi in esse ricompresse anche quelle “religiose”, insieme a quelle culturali, sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi.
74 La Liguria e la Calabria una quota pari al 30% rispetto alle aree per attrezzature di interesse comune,
l.r. Liguria del 24 gennaio 1985, n. 4, art. 3, l.r. Calabria del 12 aprile 1990, n. 21, art. 5. la l.r. Basilicata del 17 aprile 1987, n. 9, art. 3, ha elevato la quota al 40%. Altre regioni hanno fissato una misura assoluta:
d.p.g.r. Friuli Venezia Giulia del 5 maggio 1978, n. 481, in 0,70 mq. per abitante; l.r. Xxxxxx Xxxxxxx del 7 dicembre 1978, n. 47, art. 46, in 1,20 mq. per abitante; l.r. Veneto dell’11 marzo 1986, n. 9, art. 10, ha infine elevato a 1,5 mq. per abitante.
75 In misura di 2000 mq. nelle leggi: l.r. Liguria, cit., art. 3; l.r. Abruzzo del 16 marzo 1988, n. 29, art. 3;
l.r. Sardegna del 13 giugno 1989, n. 38, art. 4; l.r. Lazio del 9 marzo 1990, n. 27, art. 4; l.r. Calabria, cit., art. 5. E, addirittura in 5000 mq. per abitante: l.r. Campania del 5 marzo 1990, n. 9, art. 2; l.r. Veneto, cit., art. 10.
76 L.r. Veneto del 20 agosto del 1987, n. 44; l.r. Valle D’Aosta del 16 giugno 1988, n. 41.
77 D. Cons. reg. Toscana n. 225 del 1987.
78 L.r. Piemonte del 7 marzo 1989, n. 15.
ministero pastorale ad attività educative, culturali, sociali, ricreative e di ristoro, che non abbiano fine di lucro”79.
L’attenzione statale per l’edilizia di culto, è sembrata scemare poi, con l’inclusione di essa nella formula generale delle “aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale”, e con l’esclusione delle chiese tra i contenuti del Piano Regolatore Generale80. Questa tendenza è stata però disattesa prima dalla l. del 29 settembre 1864, n. 847 sulle “Opere pubbliche di interesse locale”, e dalla sua novella, avvenuta con l. del 23 ottobre 1971,
n. 865 sui “Programmi pubblici di edilizia residenziale”, che, oltre a sistemare l’intera disciplina urbanistica, stabilendo la precedenza fra tutti, dei Comuni, nel contrarre mutui anche per la realizzazione di opere denominate di “urbanizzazione secondaria”, vi ha comprese le “le chiese ed altri edifici per servizi religiosi”81 (art. 44).
Essa ha previsto inoltre: una riserva minima inderogabile di superfici da garantire a tali opere, al fine di un equilibrato sviluppo del territorio; ha autorizzato i Comuni ad espropriare aree per la realizzazione di edilizia pubblica (art. 26), con la possibilità di concedere a tempo indeterminato il diritto di superficie “per la costruzione di impianti e servizi pubblici” (art. 34, comma 5°)82. In particolare, l’art. 57 ha disposto che “le opere destinate ad attività religiose” debbano essere attribuite all’ente religioso istituzionalmente competente83, individuando altresì, la categoria degli “enti
79 L.r. Liguria del 24 gennaio 1985, n. 4; l.r. Lombardia del 9 maggio 1992, n. 20, art. 2; d.p.g.r. Umbria
n. 719 del 1986; l.r. Abruzzo del 16 marzo 1988, n. 29, art. 2; l.r. Basilicata del 17 aprile 1987, n. 9, art. 2. La misura degli spazi da riservare all’edilizia abitativa e alle attrezzature religiose è determinata oggi dalle leggi regionali, avendo conservato lo Stato solo la funzione di indirizzo e coordinamento.
Alcune norme regionali hanno fissato la misura minima da riservare all’edilizia religiosa (Abruzzo, Liguria, Sardegna, Calabria: 2000 mq. in ciascun insediamento); altre, hanno riservato una quota di mq. per abitante alle attrezzature religiose (Friuli mq. 0,70; Xxxxxx-Romagna mq. 1,20; Veneto mq. 1,50).
80 L. del 19 novembre 1968, n. 1187 (c.d. “legge tampone”), in sostituzione dell’art. 7 della legge
urbanistica del 1942.
81 A. Colombo Lineo, Le attrezzature di culto e di religione e la loro collocazione nel diritto urbanistico, in AA.VV., Gli enti istituzionalmente competenti, op. cit., 107 e ss..
82 La concessione poteva essere prevista nelle convenzioni con gli enti che intervengono nella realizzazione di programmi di edilizia abitativa (Ina-casa, I.A.C.P.).
83 X. Xxxxx, Il regime degli interessi ecclesiastici nell’applicazione della legislazione urbanistica nel Comune di Napoli, in AA.VV., Gli enti istituzionalmente competenti, op. cit., 542 e ss.; X. Xxxxxxxxxxxxx, Gli enti titolari del servizio religioso. Il fine di religione e di culto (profili canonistici), e
istituzionalmente competenti del servizio religioso” con la riserva ad essi della competenza sulle attrezzature religiose realizzate nell’ambito dei programmi di edilizia residenziale pubblica.
Questa qualificazione ha anche permesso l’apertura di un canale di finanziamento, proprio dei Comuni, realizzato mediante la destinazione dei proventi delle concessioni edilizie (a norma dell’art. 12 della l. del 28 gennaio 1977, n. 10) alla costruzione di edifici religiosi84.
X. Xxxxx, Gli enti titolari del servizio religioso. Il fine di religione e di culto (profili ecclesiasticistici), in
Gli enti istituzionalmente competenti, op. cit., 3 e ss., e 25 e ss..
84 L’art. 9 del D.P.R. del 15 gennaio 1972, n. 8, riservando allo Stato la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali aveva precisato che mediante detta funzione sarebbero stati precisati “gli standard urbanistici ed edilizi, quali minimi o massimi inderogabili da osservare ai fini della formazione dei piani urbanistici”, riconoscendo alle regioni la possibilità di aumentare o diminuire i limiti massimi. La Lombardia ha fissato uno standard di 26,5 mq. xxx xxxxxxxx, con l.r. del 15 aprile 1975, 51, art. 22, comma 2°; il Piemonte in 25 mq. di cui 3 mq. per attrezzature di interesse comune, l.r. del 5 dicembre 1977, n. 56; l’Xxxxxx Xxxxxxx in 25 mq. nei Comuni con colazione inferiore a 10.000 abitanti e in 30 mq. negli altri Comuni, l.r. del 7 dicembre 1978, n. 47, art. 46. Occorre infine ricordare l’importante l. del 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per l’edificabilità dei suoli) (e sue modifiche avvenute con il D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380, approvazione del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia84) che ha sostituito alla licenza, la “concessione edilizia” e ha provveduto alla imposizione del pagamento dei contributi per oneri di urbanizzazione, a carico di coloro che la ottengono: nel calcolo delle incidenze vi si includono gli edifici di culto che costituivano “opere di urbanizzazione secondaria”Tuttavia, in base all’interpretazione giurisprudenziale dell’articolo 9 della legge (che indicava le opere per le quali non era dovuto il contributo), la costruzione di edifici di culto, pur necessitando di concessione edificativa, non poteva essere soggetta al pagamento degli oneri di concessione, perché rientrante nelle di opere di urbanizzazione: TAR Lazio, sent. del 23 giugno 1982, n. 671, I TAR, 1982, 1825.
Come si dirà più avanti, in materia urbanistica, la riforma costituzionale del 2001 di cui alla l. del 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” – di cui si dirà più avanti -, ha previsto l’inquadramento dell’edilizia di culto nella nuova materia di “Governo del territorio”, oggetto di potestà legislativa concorrente. La competenza sulla legislazione urbanistica aveva già subito un completo trasferimento dall’amministrazione statale a quella regionale con il D.P.R. del 14 gennaio 1972, n. 8 e con il D.P.R. del 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione delle previsioni dell’art. 117 della Costituzione (nel testo precedente alla riforma del Titolo V, operata con l. del 18 ottobre del 2001,
n. 3): ogni regione a statuto ordinario aveva potestà di emanare norme legislative in tema di “lavori pubblici di interesse regionale” , fra cui le opere di realizzazione di “attrezzature religiose”84. Fra i poteri residui dello Stato: l’enunciazione dei principi fondamentali sulla materia, e la decisione sulla opportunità di costruire nuove chiese parrocchiali del culto cattolico, in quanto opere di “preminente interesse nazionale”. L’edilizia di culto rimase affidata alla Direzione generale dell’edilizia statale e convenzionata del Ministero dei LL.PP.. Sulla base della c.d. Xxxxx Xxxxxxxxx 1 (l. del 15 marzo 1997, n. 59) venne ulteriormente modificato il riparto di funzioni tra Stato e Regioni ordinarie: le funzioni sull’edilizia di culto sono state incluse tra quelle delle Regioni e degli enti locali. Ma in realtà, l’edilizia di culto risultava già pienamente inserita negli standard locali dell’urbanistica, come opere di urbanizzazione secondaria. D.lgs. del 31 marzo 1998, n. 112, art. 94, comma 2, lett. d). Sui riflessi di questo decreto sul diritto
3.2. Nel sistema di finanziamento.
L’art. 91 del T.U. della legge comunale provinciale del 1934 ha impegnato i Comuni alla conservazione degli “edifici serventi al culto pubblico”, imponendo ad essi di provvedere, in base alle proprie “disponibilità finanziarie”, alla ricostruzione degli edifici pericolanti o distrutti, e all’ampliamento nel caso di accresciuta popolazione, sostenendone le spese e permettendo a tutti i cittadini di fruire della possibilità di esercizio del culto.
In coincidenza della fine del secondo conflitto mondiale, l’interesse del legislatore è stato indirizzato alla programmazione di interventi straordinari di ricostruzione degli edifici distrutti o danneggiati85.
Una serie di atti normativi86 hanno disciplinato, mediante la creazione di un capitolo di spesa a totale carico dello Stato e gestito dal Ministero dei Lavori Pubblici, la riparazione e la ricostruzione di chiese cattedrali, parrocchiali, vicariali e succursali, coadiutorie, santuari e chiese di centri abitati nei quali mancasse per dichiarazione dell’Ordinario diocesano, altra chiesa officiabile capace di assicurare alle popolazioni l’esercizio del culto pubblico87.
Tali provvedimenti sono stati previsti sia gli edifici appartenenti a privati che ad enti ecclesiastici.
Solo successivamente, con il d. lgt. del 17 aprile 1948, n. 736, grazie anche all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, gli effetti di tale legislazione
ecclesiastico: X. Xxxxx (a cura di), Le competenze nelle materie di interesse ecclesiastico dopo il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Atti del convegno di studi, Firenze 28-29 ottobre 1998, Torino, 2001.
85 A. De Xxxxxxx, Il ripristino degli edifici di culto danneggiati o distrutti dagli eventi bellici, Il dir. eccl., 1950, 996 e ss..
86 L. del 26 ottobre 1940, n. 1543, il d. lgs. del 27 giugno 1946, n. 35, il d. lgs. C.P.S. del 29 maggio 1947,
n. 649, la l. del 10 agosto 1950, n. 784, la l. del 21 marzo 1953, n. 230.
87 X. Xxxxx, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, op. cit., 134: stessi interventi erano estesi ai fabbricati destinati ad uso di seminario e di istituzioni analoghe di religiosi, campanili, abitazioni di ecclesiastici al servizio delle chiese e al mobilio delle stesse, limitatamente ai bisogni indispensabili. L’estensione della disciplina riguardava anche le I.P.A.B.: X. Xxxxx, Riforma amministrativa ed interventi religiosi, Napoli, 1983; M.C. Xxxxxxxx, L’assistenza e la beneficenza fra legislazione e diritto costituzionale vigente, Salerno, 1990.
speciale sono stati estesi agli edifici dei culti diversi dal cattolico non di proprietà di stranieri, e direttamente utili all’esercizio del culto, ma con delle condizioni: che l’edificio da riparare o da ricostruire fosse l’unico esistente nel Comune; che si trattasse di un tempio o di un oratorio legalmente riconosciuti; e che l’intervento fosse ritenuto necessario dal Ministro dei Lavori Pubblici, di intesa con i Ministri per l’interno e per il Tesoro, con riguardo al numero dei fedeli del Comune. Tali presupposti giuridici, hanno reso assai poco agevole per le confessioni acattoliche, l’effettivo conseguimento dei vantaggi promessi.
Il governo ha ritenuto di colmare “una grave lacuna della legislazione statale”, vista l’importanza della costruzione di nuovi edifici di culto “di cui non può non riconoscersi la pubblica utilità e l’alta funzione sociale e morale”88, attraverso il c.d. “finanziamento ordinario dell’edilizia di culto”, organicamente previsto con la l. del 18 dicembre 1952, n. 2252 (Concorso dello Stato nella costruzione di nuove chiese). Essa ha considerato in maniera più organica il problema dei luoghi del culto cattolici, facendo gravare sul bilancio del Ministero dei Lavori Pubblici, l’onere di contributi finanziari da concedere agli Ordinari diocesani per l’acquisto delle aree e per la costruzione ex novo delle chiese parrocchiali, delle chiese vere proprie e degli ambienti destinati ad uso del ministero pastorale, di ufficio e di abitazione. Le “opere” in oggetto sono state considerate come “opere pubbliche” anche se appartenenti ad enti diocesani89.
Ancora sul “finanziamento ordinario dell’edilizia di culto”, per aumentare gli impegni finanziari dello Stato e, al contempo, per mitigare le procedure amministrative previste dalla legge precedente, la l. del 18 aprile 1962, n. 168 (Nuove norme relative alla costruzione e ricostruzione degli edifici di culto), ha stabilito la concessione di contributi trentacinquennali per la costruzione di “edifici di culto e di opere annesse”, e
88 X. Xxxxxxxxxx, Edifici ed edilizia di culto. Problemi generali, Milano, 1979, 45 e ss..
89 M.A. Carnevale Venchi, “Opere pubbliche (ordinamento amministrativo)”, in Enc. Dir., v. XXX, Milano, 1980, 332 e ss.. Ancora per i culti acattolici, nel T.U. di cui al D.P.R. del 29 gennaio 1958, n. 645, all’art. 77, si è sancita l’esclusione dall’imposta sul reddito delle “costruzioni destinate all’esercizio dei culti ammessi dallo Stato”, senza distinzione tra confessioni religiose e tra culto pubblico e privato.
la ricostruzione di quelli distrutti dai terremoti del 28 dicembre 1908 e del 13 gennaio 1915, nella convinzione che la concessione delle agevolazioni potesse assicurare alla popolazione l’esercizio pubblico del culto90.
Importante anche per quanto riguarda il finanziamento dell’edilizia di culto è la l. del 28 gennaio del 1977, n. 10 recante “Norme per la edificabilità dei suoli”, in quanto ha imposto un vincolo di destinazione per i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni edilizie: per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria – quindi anche per edifici di culto - per il risanamento di interi complessi edilizi siti nei centri storici, per l’acquisizione di aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali di attuazione, nonché, dal 198691, nel limite massimo del 30%, per spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale.
Altre successive leggi92 hanno confermato il “compito pubblico” dello Stato, elevando ulteriormente i costi da sostenere, e prevedendo interventi straordinari nel caso si trattasse di edifici siti nelle aree di competenza della Cassa del Mezzogiorno93.
Successivamente, la riforma legislativa, avvenuta con D.P.R. del 24 luglio 1977 n. 616, ha previsto il trasferimento della materia dell’Urbanistica, dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, nell’ambito dell’”Assetto ed utilizzazione del territorio”, ma l’edilizia di culto è risultata essere ancora inclusa tra le attribuzioni del governo centrale - e finanziata in quanto “opera pubblica di interesse statale” (art. 88, 8°comma).
90 X. Xxxxxx, Preliminari per uno studio degli interessi religiosi, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxx, Modena, 1989, 1243 e ss.. La legge, prevedeva l’assunzione a totale carico dello Stato dell’acquisto delle aree, se non concesse gratuitamente da altri, e dei lavori, per la costruzione al rustico delle chiese parrocchiali, e dei locali da adibire ad uso di ministero pastorale, di ufficio o di abitazione dei parroci.
91 Art. 16 bis d.l. del 1° luglio 1986, n. 318, convertito in l. del 9 agosto 1986, n. 488.
92 L. del 17 giugno 1973, n. 444; l. del 23 dicembre 1975, n. 721; l. del 21 dicembre 1978, n. 843, art. 38;
l. del 28 marzo 1979, n. 88, art. 102.
93 X. Xxxxxxxxxx, Fonti di produzione e competenze legislative in tema di edilizia di culto: notazioni problematiche, in AA.VV., Nuove prospettive di studio del diritto ecclesiastico italiano, Milano, 1982, 1187 e ss.. X. Xxxxx, Il finanziamento dell’edilizia di culto, L’edilizia di culto. Profili giuridici, Milano, 1994, 73 e ss..
Questa riforma non ha eliminato tuttavia le competenze comunali sulla realizzazione di nuovi edifici di culto, con perdurante applicazione della legge sul finanziamento dell’edilizia locale (l. n. 10/1977).
Anche la successiva legge statale del 20 maggio 1985, n. 22294 (che ha abrogato la
l. n. 2252 del 1952 e la l. n. 168 del 1962) ha confermato – anche se solo sostanzialmente - l’inquadramento dell’edilizia di culto entro le funzioni urbanistiche di competenza locale stabilendo che: “Gli impegni finanziari per la costruzione di edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali sono determinati dalle autorità civili competenti secondo le disposizioni delle leggi del 22 ottobre 1971, n. 865 e del 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni”95.
L’art. 53 ha previsto che le autorità civili competenti per la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali determinino i relativi impegni finanziari secondo la legislazione urbanistica in vigore ed ha imposto un vincolo ventennale alla destinazione d’uso al culto pubblico per gli edifici costruiti con contributi regionali e comunali, da trascriversi nei registri immobiliari, con sanzione di nullità per gli atti e negozi stipulati in violazione del vincolo stesso96.
94 In definitiva, nel nostro Paese, è stato pressoché presente, un quadro legislativo che ha mostrato l’attenzione dello Stato per il significato religioso e sociale degli edifici di culto. Il finanziamento ordinario per la costruzione di nuove chiese, è stato riprova di una sentita doverosità di rispondere alle esigenze di esercitare il culto da parte dei cittadini, mentre il finanziamento straordinario, della ricostruzione di edifici distrutti o danneggiati, dell’esigenza di assicurare la continuità della comunità locale ferita dall’evento dannoso, garantendo la possibilità che il villaggio sia ricostruito proprio con la sua chiesa, conservando intatto l’ambiente della comunità presente sul territorio. L’intervento finanziario dello Stato è quindi funzionale all’esigenza cultuale della protezione della libertà religiosa dei cives- fidelis; e dell’esigenza culturale connessa al rapporto intrinseco tra villaggio e chiesa, nel quale si esprime la comunità locale.
95 Sono state abrogate: la l. del 27 maggio 1929, n. 848 e successive modificazioni; l. del 18 dicembre 1952, n. 2522; l. del 18 aprile 1962, n. 168 e successive modificazioni e integrazioni, e le altre disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con le norme di cui alla l. del 20 maggio 1985 n. 222.
96 Ciò sembra aver voluto privilegiare l’intervento in materia degli enti territoriali, Regioni e Comuni, quasi a voler sottolineare che la più stretta vicinanza di tali istituzioni alla comunità locale, rende più facilmente percepibili i bisogni della stessa comunità e più correttamente valutabili i bisogni delle confessioni religiose, e della chiesa cattolica in particolare. Si è così esaltato “il punto di riferimento locale” che vede strettamente interdipendenti la “chiesa” e il “villaggio”. Secondo X. Xxxxx, Xxxxx pubblica e confessioni religiose, Padova, 1990, 231 e ss.: mentre l’art. 5 dell’Accordo di Villa Madama non prevede l’erogazione di risorse finanziarie pubbliche per la costruzione di edifici di culto, l’art. 53
Essa ha introdotto, inoltre, una nuova forma di intervento finanziario, realizzato tramite la destinazione di una quota pari all’8 per mille dell’Irpef, liquidata dagli uffici sulla base di dichiarazioni annuali, a ”scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica” (art. 47, 2° comma), tra cui le “esigenze di culto della popolazione” (art. 48) 97. Con questo nuovo sistema, è stato del resto dato seguito al disposto di cui all’art. 5, comma 3, dell’Accordo del 1984 di modificazione del Concordato Lateranense circa l’”obbligo per le autorità civili di tener conto delle
della l. n. 222 del 1985, “da una parte, conferisce una nuova fonte di legittimazione per le spese di regioni ed enti pubblici destinate alla costruzione di chiese, e quindi costituisce norma di autorizzazione di spesa, e, dall’altra, mantiene le precedenti disposizioni, in materia urbanistica, riferite alla costruzione di nuovi edifici di culto nelle aree comprese in piani urbanistici”. Secondo l’A. quindi, la norma, pur non prevedendo alcun obbligo di erogazione, legittima ogni sorta di erogazione eventualmente disposta. Si veda anche X. Xxxxxxxxxx, Riforma della legislazione ecclesiastica e costruzione di nuove chiese, L’Amico del clero, 1985, 115.
97 La Delibera n. 57 approvata dalla XXXII Assemblea Generale della CEI il 18 maggio 1990 relativa alla “Definizione dei criteri e delle procedure per la ripartizione e l’assegnazione della somma destinata alla Chiesa cattolica ex art. 47 delle norme sugli enti e i beni ecclesiastici (c.d. 8 per mille)” al n. 2 ha disposto che “alle esigenze di culto della popolazione si provvede erogando contributi nel quadro di tre capitoli di spesa”, tra i quali vi è quello rappresentato dalla “promozione dell’edilizia di culto”.
Nel corso della medesima assemblea sono state approvate le “Determinazioni concernenti la gestione dei flussi finanziari agevolati per il sostegno della Chiesa cattolica in Italia in esecuzione della Delibera CEI,
n. 57” nelle quali, al n. 1 si stabiliva che “i contributi per la costruzione di chiese, case canoniche e centri parrocchiali sono assegnati alle diocesi, su presentazione di domanda corredata da progetto e previsione di spesa, da parte dell’Ordinario del luogo”. Alle citate determinazioni sono state allegate le “Norme per i finanziamenti della Cei per la nuova edilizia di culto” , ed il nuovo “regolamento attuativo”. Le Norme hanno stabilito che l’impegno finanziario della CEI è finalizzato esclusivamente alla “realizzazione di nuove strutture di servizio religioso (chiese parrocchiali e sussidiarie, case canoniche, locali di ministero pastorale)”; eccezionalmente possono essere ammessi al contributo CEI “i completamenti di complessi o di opere già iniziate prima dell’entrata in vigore delle presenti norme, con fondi delle diocesi o con finanziamenti di leggi statali o regionali, purché il relativo progetto abbia ottenuto l’approvazione dell’Autorità ecclesiastica competente”; i contributi per l’edilizia “hanno natura forfettaria” e si configurano come concorso nella spesa che le diocesi italiano debbono affrontare per la dotazione di nuovi edifici per servizi religiosi; essi possono essere richiesti o “come concorso erogato durante la costruzione, fino ad un massimo del 70 % del costo preventivo dell’opera” o “come contributo annuale costante, per la durata di dieci anni, nella misura del 10% della spesa ammessa a contributo in sede di approvazione del progetto”. L’esame delle domande di contributo e la valutazione dei progetti sono affidati ad una Commissione per l’edilizia di cultoA norma dell’art. 1, 2° comma del Regolamento applicativo, la Commissione è composta da un Vescovo presidente, nominato dal Consiglio episcopale Permanente, e da altri sei membri, nominati dalla Presidenza della CEI per tre anni. La Commissione provvede all’istruzione e all’esame delle pratiche per l’assegnazione dei contributi in favore dell’edilizia di culto, attenendosi alle disposizioni contenute nell’allegato n. 1 alle determinazioni approvate dalla XXXII Assemblea Generale della CEI. Si veda, per una esemplificazione, X. Xxxxxx, Edilizia di culto con finanziamenti CEI, L’Amico del clero, 1993, 172 e ss.; X. Xxxxxxxx, “Nuova” edilizia di culto: gli strumenti operativi, L’Amico del clero, 1990, 473 e ss..
esigenze delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica…- e riguardanti - …la costruzione di nuovi edifici di culto e delle pertinenti opere parrocchiali”98.
Dal 1990 inizia così a delinearsi il vero progetto per la “realizzazione di nuove chiese”, con contributi che, grazie all’8 per mille dell’Irpef sono grandemente evoluti di anno in anno99.
La nuova gestione dei flussi finanziari ha però creato delle difficoltà interpretative, soprattutto con riguardo al presunto esaurimento degli altri finanziamenti statali all’edilizia di culto100.
98 Questo parere risulta essere ancorato alla valutazione del bisogno di costruzione di nuovi edifici e alle modalità urbanistiche di soddisfacimento del bisogno. Gli edifici di culto pongono infatti problemi di compatibilità con l’ambiente cui sorgono. La norma, in realtà, così come è espressa, sembra voler ridurre l’area di discrezionalità amministrativa sugli interventi della competente autorità civile per la costruzione di nuovi edifici di culto: quasi a voler attribuire alle richiamate esigenze delle comunità locali, attestate dall’autorità ecclesiastica, una capacità di vincolare le amministrazioni territoriali ad una risposta positiva circa le decisioni relative all’edilizia dei servizi religiosi. X. Xxxxx, op. cit., 78. I commi 1° e 2° dell’art. 5 hanno ripetuto le prescrizioni precedenti, così come previste dal Concordato Lateranense del 1929, artt. 9 e 10.
99 Il nuovo sistema di finanziamento è partito dal 1990: fino a tale data, alla luce dell’art. 50 della l. 222/1985, all’edilizia di culto è stata destinata – per gli anni 1985 e 1986 - dallo Stato la stessa somma iscritta nel cap. n. 7871 dello stato di previsione del Ministero dei Lavori Pubblici per l’anno 1984 da corrispondersi allo stesso Ministero; mentre per gli anni finanziari 1987, 1988, e 1989 - la stessa somma incrementata del 5% annuo, da corrispondersi direttamente alla CEI, essendo stato soppresso, il cap. N. 7871 dello stato di previsione del Ministero dei LL.PP. con decorrenza dal 1° gennaio 1987. Ciò ha significato un arresto del finanziamento statale concesso in forza della l. n. 168 del 1962, congelato al 1984, e corrisposto anche nel quinquennio 1985-1989, per una somma pari a circa 6 miliardi di lire, e data l’insufficienza della stessa, utilizzata dalla CEI solo per le opere di completamento degli edifici per il servizio religioso la cui costruzione fosse iniziata prima dell’entrata in vigore delle nuove norme.
100 Ad avviso della Corte dei Conti, infatti, le norme del nuovo Accordo tra stato Chiesa cattolica avrebbero eliminato del tutto la competenza statale e regionale sull’edilizia di culto. Corte dei Conti, sez. controllo, sent. del 16 luglio 1990, n. 41, Quad. dir. e pol. eccl., 1990, 123 e ss.. La Corte dei conti con la sentenza del 16 luglio del 1990, n. 41 ha reputato illegittimo un provvedimento statale di concessione di un finanziamento per il completamento di una chiesa, la cui costruzione era iniziata prima dell’entrata in vigore della legge n. 222 del 1985. L’art. 74 della legge tra l’altro, abrogato la l. n. 168 del 1962 determinando, per la Corte, la cessazione di qualsiasi competenza del Ministero dei LL.PP. nel settore dell’edilizia di culto. La CEI, a norma dell’art. 51, 4° comma, succederebbe in “tutti gli impegni e oneri precedentemente a carico dello Stato italiano” per il periodo di transizione 1987, 1988, 1989 in quanto le somme sarebbero direttamente corrisposte ad essa e non più e non più al Ministero. Dal 1990 in poi, è la CEI nella sua discrezionalità ad individuare quanto della quota dell’8 per mille sarà destinata alla costruzione di edifici di culto. Dalla lettura sistematica degli artt. 47, 48, 49, 50, 51, 74 della l. n. 222/1985, ad avviso della Corte non sarebbe dato “rinvenire, nella manifesta volontà delle Parti, il permanere di un impegno a carattere residuale dello Stato”. Nell’ultimo comma dell’art. 50 ci sarebbe una
eccezione: “è a carico del bilancio dello Stato il pagamento delle residue annualità dei limiti di impegno iscritti, sino a tutto l’anno finanziario 1984, sul cap. n. 7872 dello stato di previsione del Ministero dei LL. PP”. Quest’ultima è una disposizione espressamente richiamata, perciò, secondo la Corte, esclusa dall’abrogazione avvenuta ad opera dell’art. 74 della l. n. 222/1985. Pertanto, per l’anno 1988 non ricorrerebbe la “condizione essenziale” – la competenza statale - che ha autorizzato lo Stato a finanziare il completamento delle opere suddette, iniziate prima dell’entrata in vigore della nuova legge.
La questione si è poi estesa anche agli interventi statali per la ricostruzione di edifici di culto distrutti o danneggiati da eventi bellici o da calamità naturali. Il 14 gennaio 1992, l’Ufficio di controllo della Corte dei Conti ha negato la registrazione di sei decreti del Ministero dei LL. PP. di assegnazione di fondi sul cap. 9301.
La Corte ha ribadito che in forza del Nuovo Accordo tra Stato e Chiesa cattolica e delle relative Norme di attuazione (tra le quali la l. 222/1985) “il settore dell’edilizia di culto, già di competenza del Ministero dei LL. PP. è stato trasferito alla CEI”, ritenuta soggetto titolare delle competenze già del Ministero dei LL. PP. Con la conseguente cessazione di qualsiasi concorso dello Stato per la riparazione o ricostruzione di edifici di culto danneggiati o distrutti da eventi bellici. E nemmeno sarebbe possibile una delega alle Regioni che a norma dell’art. 92 DPR n. 616 del 1977 avevano ottenuto la delega completa circa la ricostruzione dei beni distrutti da eventi bellici: il Nuovo Concordato, infatti, “ha determinato la cessazione della competenza statale in materia di edilizia di culto, con conseguente abrogazione tacita, ex art. 74 l. 222/1985, dell’art. 88, n. 8, DPR n. 616/1977”. Sulla base degli stessi ragionamenti, la Corte dei conti, in data 8 gennaio 1993, ha espresso perplessità su interventi ad opera del ministero dei LL. PP. Che assegnavano fondi a favore dei Provveditorati alle opere pubbliche di Ancona e di Roma per interventi su edifici statali e di culto danneggiati dai sismi del 1987.
L’Ufficio di controllo della Corte dei conti di Palermo, si trovò anche a rifiutare nel 1992 diversi decreti assessorili in esecuzione della l.r. Sicilia del 26 gennaio 1953, n. 2 che autorizzava finanziamenti all’edilizia di culto: ai sensi dell’art. 7 della Costituzione, le leggi attuative del Nuovo Concordato, sarebbero state elevate norme di rango costituzionale, limitatrici della potestà legislativa esclusiva della Regione Sicilia nella materia di cui all’art. 14 dello Statuto; inoltre la predetta normativa regionale doveva considerarsi incompatibile col diverso sistema di partecipazione del pubblico erario alla costruzione, manutenzione, degli edifici di culto, introdotto dalla l. 222/1985.
Per parte della dottrina, la l. 222/1985 non avrebbe affatto abrogato la competenza dello Stato in materia di edilizia di culto, sia per ciò che concerne l’organizzazione urbanistica dell’assetto del territorio, tanto per quel che riguarda l’intervento finanziario. X. Xxxxx, op. cit., 87 e ss.: l’art. 5 della l. n. 121/1985, e l’art. 53 della l. n. 222/1985 confermano i poteri in materia di urbanistica e di finanziamento di Regioni e Comuni, secondo le linee già indicate dalla l. n. 865/1971 e l. n. 10/1977. Tant’è che la legislazione regionale è risultata addirittura incrementata successivamente all’entrata in vigore della normativa neoconcordataria. Inoltre le norme relative alla ricostruzione di edifici distrutti o danneggiati da eventi bellici o da calamità naturali, che prevedono l’intervento straordinario dello Stato, non possono essere considerate abrogate dalla l. 222/1985, in quanto leggi speciali non soggette a modificazione o ad eliminazione ad opera di una norma ordinaria. L’A., infatti, nega la rilevanza costituzionale della l. 222/1985. Ciò è anche dimostrato dagli interventi, regionali e statali, su questa materia, successivi alla legislazione neoconcordataria (l.r. Lazio del 9 settembre 1988, n. 60, che ha disciplinato interventi a favore di comuni colpiti dal sisma dell’11 aprile 1987; l.r. Lombardia del 10 maggio 1990, n. 42 che ha disciplinato le modalità di erogazione di contributi a favore di popolazione colpita da calamità naturali; l. del 24 luglio 1984, n. 363 recante misure urgenti in favore di popolazione colpita da eventi sismici in Umbria, Abruzzo, Lazio, Campania, Molise; l’ord. min., 16 novembre 1988, n. 1600 in ordine ai criteri per il ripristino del patrimonio edilizio danneggiato da eventi sismici nei Castelli Romani nel 1987, e nelle Province di Modena, Arezzo, e Reggio Xxxxxx, nella Regione Marche; il d.lgs. del 30 marzo 1990, n. 76, recante il T.U. delle leggi per gli interventi in Campania, Puglia, Calabria colpiti dai sismi del 1980, 1981, 1982). Qualche dubbio, invece, rimane circa la possibilità dell’intervento statale sulla costruzione di
Ad individuare negli enti locali gli “arbitri della selezione delle esigenze e della individuazione delle priorità”101, anche le due riforme costituzionali che più di recente hanno interessato il nostro paese.
La c.d. Xxxxx Xxxxxxxxx 1 (l. del 15 marzo 1997, n. 59), ha invitato il Governo a delegare numerose funzioni a regioni e a enti locali, tra cui - art. 2 - “tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità”. La legge ha fissato il principio di “sussidiarietà”, stabilendo l’attribuzione dei compiti agli enti territoriali, attraverso il criterio del massimo decentramento, e riservando allo Stato solo quelli incompatibili con le altre dimensioni territoriali – tra cui ancora “i rapporti con le confessioni religiose” (art. 3, lett. c) - al fine di far assumere alle autorità funzionalmente più vicine agli interessati, la totale responsabilità nei confronti dei cittadini – art. 4, comma 3°.
In attuazione della delega ricevuta, il Governo ha emanato il d.lgs. del 31 marzo 1998, n. 112, che ha modificato il riparto di funzioni tra Stato e Regioni ordinarie. Le funzioni sull’”edilizia di culto” sono state incluse tra quelle delle Regioni e degli enti locali (in materia di “opere pubbliche”, lett. d., l’”Edilizia di culto”, considerata ormai “compito di benessere della popolazione”, facendo venir meno le competenze che lo Stato si era riservato col D.P.R. n. 616/1977)102.
edifici iniziata precedentemente alla riforma neoconcordataria. Con la nuova legislazione, non viene, ad avviso dell’A., mutata la competenza statale sulla materia, ma il soggetto competente a ricevere il contributo non è più il Ministero dei LL. PP., ma la CEI – l’obbligo di rendiconto della stessa, conferma che si tratta di gestione del finanziamento. Quello delineato dalla l. 222/1985, non è il processo di “estraneazione” dello Stato dal finanziamento, ma di “ottimizzazione” della gestione delle risorse disponibili. Il nuovo sistema, poi, non elimina del tutto l’interesse per lo Stato al completamento della costruzione di edifici iniziata prima della riforma. L’A., pur non negando il periodo transitorio voluto dalla legge, non nega che lo Stato possa intervenire ad altro titolo e su diversi fondi, sul completamento degli edifici. Ne è riprova l’ord. min. della Protezione civile del 16 novembre 1988, n. 1600, la quale, in ordine alle modalità e ai criteri di utilizzo del finanziamento disposto dalla l. finanziaria del 1988, all’art. 17, all’8° comma, per il patrimonio edilizio danneggiato o distrutto dagli eventi sismici del 1987 citati, classifica gli edifici di culto tra le “opere di interesse statale” ed attribuisce un minimo del 50% delle somme stanziate “agli interventi di ripristino del patrimonio pubblico e dell’edilizia di culto”.
101 X. Xxxxxx, Stato e confessioni religiose dopo la riforma del titolo V, quad. dir. e pol. eccl., 2, 2002, 343 e ss..
102 Ma in realtà, l’edilizia di culto risultava già pienamente inserita negli standard locali dell’urbanistica, come opere di urbanizzazione secondaria. D.lgs. del 31 marzo 1998, n. 112, art. 94, 2° comma, lett. d. Sui riflessi di questo decreto sul diritto ecclesiastico: X. Xxxxx (a cura di), Le competenze nelle materie di
Ed infine, la riforma costituzionale, avvenuta con l. del 18 ottobre 2001, n. 3, che ha riservato la materia dei “rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose” allo Stato, senza far venir meno gli interventi regionali su materie religiose, ipotizzando una loro competenza di tipo “trasversale”. Essa ha previsto l’inquadramento dell’edilizia di culto nella nuova materia di “Governo del territorio”, oggetto di potestà legislativa concorrente103: la conferma inoltre dell’applicazione della “sussidiarietài” in ordine alle competenze amministrative, ha sostanzialmente legittimato gli enti locali ad intervenire nelle materie di loro competenza, ogniqualvolta sorga la necessità di soddisfare particolari profili di interesse religioso, connessi con le esigenze della comunità territoriale rappresentata. Ed in effetti, è accaduto che per altre materie (Assistenza spirituale, beni culturali), le regioni siano intervenute tramite intese stipulate con le autorità religiose competenti.
interesse ecclesiastico dopo il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Atti del convegno di studi, Firenze 28-29 ottobre 1998, Torino, 2001.
103 Secondo la sentenza della Xxxxx xxxxxxxxxxxxxx xxx 0x xxxxxxx 0000, x. 000, xxxxx xxxxxxx di “governo del territorio” deve comprendersi tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti ed attività, quindi anche l’urbanistica e l’edilizia. La riforma ha in realtà esaltato il ruolo delle Regioni in tema di finanziamento e la modifica, se non la scomparsa, degli interventi dello Stato. La Corte costituzionale ha espresso un orientamento circa l’esclusione, almeno in via ordinaria, della legittimità di leggi statali di spesa che interferiscano con le materie attribuite alla potestà legislativa regionale concorrente ed esclusiva residuale. Sentenza pubblicata in giurispr. Cost. 2004, e in Le Regioni, 2004, 535 e ss.. Si veda anche, X. Xxxxxxxx, Rapporti tra fonti normative statali e regionali dopo la revisione del 2001, Amministrare, 2005, 55 e ss.. La normativa pattizia precedente alla riforma, (art. 74 del Protocollo del 15 novembre 1984) aveva previsto l’abrogazione di leggi statali concernenti il finanziamento dell’edilizia di culto. Alla luce della riforma costituzionale predetta, si è voluta interpretare quella disposizione, sostenendo che gli impegni finanziari per la costruzione degli edifici di culto fossero ora assunti dai Comuni nell’ambito delle loro competenze in materia di urbanistica e di opere di urbanizzazione, senza tuttavia porre limiti a interventi finanziari pubblici di altro tipo X. Xxxxxx, Edilizia di culto e l. 222/1985, Foro it., 1995, 3114 e ss.; X. Xxxxxxxx, Enti e beni della Chiesa cattolica. Problemi di interpretazione della normativa pattizia, Jus, 1997, 407 e ss.; Id, Problemi di interpretazione della normativa pattizia in materia di enti e beni della chiesa cattolica. Il finanziamento dell’edilizia di culto, Il dir. eccl., 1998, 573 e ss..
3.3. Le leggi regionali e le riforme.
Dall’analisi della normativa regionale, è emerso che gli interventi finanziari non sono stati limitati alla sola costruzione di nuove chiese, ma anche all’acquisto delle relative aree104; alla manutenzione degli edifici di culto105; alla ricostruzione e riparazione di quelli distrutti o danneggiati da calamità naturali106; alla tutela del patrimonio storico-artistico di interesse locale107.
Per quanto riguarda il finanziamento di opere di restauro, risanamento conservativo, ampliamento, consolidamento, ristrutturazione e straordinaria manutenzione degli edifici di culto, vi è da segnalare che l’art. 91 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934 è stato abrogato dalla l. dell’8 giugno 1990, n. 142: questa abrogazione non ha tuttavia vietato ai comuni di intervenire finanziariamente per
104 L.r. Campania del 5 marzo 1990, n. 9, art. 2, 2° comma; del. Cons. reg. Xxxxxx-Romagna del 26 luglio
1978, n. 1706, modificata con l. del 6 dicembre 1978, n. 1871, art. 2, 3° comma; l.r. Lombardia del 9
maggio 1992, n. 20, art. 4, 1° comma; l.r. Sardegna del 13 giugno 1989, n. 38, art. 2, ult. comma; decr. Pres. Giunta Umbria del 24 dicembre 1986, n. 719, lett. c; l.r. Valle d’Aosta del 16 giugno 1988, n. 41, art.1, 2° comma, come modificato dalla l.r. del 2 dicembre 1992, n. 69.
105 L.r. Abruzzo citata, art. 7; l.r. Basilicata del 17 aprile 1987, n. 9, art. 5, 5° comma; l.r. Calabria del 12 aprile 1990, n. 21, art. 1, 1° comma; l.r. Campania, citata, art. 2, 2° comma; del. del. Cons. Reg. Xxxxxx- Romagna, citato, art. 2, 3° comma.; l.r. Friuli-Venezia Giulia, citata, art.7 ter; l.r. Liguria del 24 gennaio 1985, n. 4, art. 5, 4° comma, e art. 3, 1° comma; l.r. Lombardia del 9 maggio 1992, n. 20, art. 4, 1°
comma; l.r. Marche del 24 gennaio 1992, n. 12, art. 1, 4° comma; l.r. Molise del 21 gennaio 1975, n. 10,
art. 2, 1° comma, lett. n.; l.r. Piemonte del 7 marzo 1989, n. 15, art. 4, ult. comma; l.r. Puglia del 16
maggio 1985, n. 27, art. 2, 1° comma; del. del Cons. Reg. Toscana del 9 giugno 1987, n. 225, art. 3; l.r. Trentino Alto Adige, citata, art. 3, 8° comma; l.r. Valle d’Aosta, citata, art. 1, 1° comma; l.r. Veneto del 20 agosto 1987, n. 44, art. 1, ult. comma, e art. 3, 1° comma.
106 L.r. Abruzzo, citata, art. 7, 4° comma; l.r. Calabria, citata, art. 1, 1° comma; l.r. Puglia, del 4 febbraio 1994, n. 4; l.r. Lazio, citata, art. 7, 4° comma.
107 L.r. Abruzzo, citata, art. 7, 1° comma; del. Cons. Reg. Xxxxxx-Romagna, citato, art. 2, 3° comma ; l.r. Lazio, citata, art. 8; l.r. Lombardia, citata, art. 4, 3° comma; l.r. Marche, citata, art. 4, 2° comma; l.r. Puglia del 4 febbraio 1994, art. 2, 3° comma, e art. 3, 8° comma; Decr. Pres. Giunta Umbria, citato, lett. c; l.r. Veneto, citata, art. 3, 1° comma. Un altro importante intervento statale e regionale è infatti stato previsto in favore del restauro e della manutenzione delle chiese di rilevante valore storico e artistico, in omaggio all’art. 12 dell’Accordo di Villa Madama. Da ricordare tuttavia che la Commissione paritetica, costituita nel 1996 ex art. 14 dell’Accordo di revisione del Concordato su richiesta della Santa Sede, ha ritenuto, tuttavia, che sia perfettamente legittimo il sostegno finanziario accordato da Regioni e Comuni all’edilizia di culto, quando sia finalizzato alla “realizzazione di interessi pubblici, quali la tutela e promozione del patrimonio storico-artistico, gli interventi conseguenti a calamità naturali, gli interventi connessi alle esigenze religiose della popolazione ecc.”. Comm. Paritetica, Relazione 30.04.1997, in G.U. Suppl. ordinario, Serie generale n. 241 del 15.10.1997.
la manutenzione sopracitata. Essi, senza essere più obbligati come avveniva precedentemente, hanno potuto scegliere liberamente di eseguire tali interventi, in virtù delle proprie disponibilità finanziarie. La legislazione regionale ha “impegnato “ i comuni e le regioni a “sostenere” gli oneri manutentivi degli edifici di culto – cui provvedono anche i vescovi tramite le somme loro elargite dalla CEI sulla quota dell’8 per mille.
Dai Comuni è stata così devoluta alle autorità religiose competenti una quota - che gli stessi Comuni hanno incassano ai sensi della l. 10/1977, art. 10, (oggi sostituito dal
D.P.R. n. 380 del 2001) tramite le concessioni edilizie - per le opere di urbanizzazione secondaria.
Le regioni hanno anche deciso di finanziare direttamente tali opere, con quote percentuali variabili, da calcolare sull’intera spesa da effettuare come nel caso della Valle d’Aosta, che ha finanziato con quote di 80 e 70% su spese fino a 800.000.000, oppure, concedendo mutui agevolati assistiti da contributo regionale, di durata massima di anni venti, per spese di importo superiore108.
Il Friuli-Venezia Giulia ha concesso contributi pluriennali nella misura costante del 10% della spesa riconosciuta ammissibile, per una durata non superiore a vent’anni, o con contributo una tantum sino alla copertura massima del 50% della spesa ammissibile, elevabile fino al 90% per lavori attinenti alle “chiese”109. Il Trentino-Alto Adige ha delegato le Giunte provinciali a concedere contributi annui fino al 7,50% della spesa ammissibile per un periodo non superiore ai quindici anni110. La Sicilia ha riconosciuto invece genericamente ammissibili i finanziamenti per le “opere necessarie per i servizi sociali e quelle per i servizi religiosi, compresi quelli parrocchiali che hanno relazione con lo stato delle persone”111.
108 L.r. Valle D’Aosta del 16 giugno 1988, n. 41, art. 1, e l.r. Valle D’Aosta del 2 dicembre 1992, n. 69,
art. 1.
109 L.r. Friuli-Venezia Giulia del 7 marzo 1983, n. 20, art. 7 ter, e l.r. Friuli-Venezia Giulia del 23 dicembre 1985, n. 53, art. 1.
000 X.x. Xxxxxxxx Xxxx Xxxxx del 5 novembre 1968, n. 40, art. 1 e art. 3; l. prov. Trento del 5 settembre 1991, n. 22; Decr. Pres. Giunta Prov. Bolzano del 26 ottobre 1993, n. 38.
111 L.r. Sicilia del 5 febbraio 1956, n. 9, art. 2, 2° comma, e l.r. Sicilia del 29 aprile 1985, n. 21.
E’ anche accaduto che l’intervento finanziario delle Regioni si sia affiancato a quello dei Comuni, mediante la devoluzione di una quota dei proventi delle concessioni edilizie. Così il Piemonte che ha previsto di concedere, ad integrazione dell’intervento dei comuni, contributi sino ad un massimo del 60% della spesa prevista, quando gli edifici di culto siano di interesse artistico o monumentale vincolati, e fino al 20% per quelli che non siano considerati “bene culturale”112; le Regioni Marche e Veneto fino al 50% per edifici del primo tipo, e fino al 30% per tutte le altre113.
La Regione Lazio ha adottato una posizione più limitata, prevedendo la possibilità di finanziamenti a favore di comuni che assumano l’onere di restaurare edifici e chiese di particolare valore artistico, storico, archeologico di loro proprietà, ovvero da acquisire al loro patrimonio, al fine di recuperare e valorizzare detti beni per finalità di promozione culturale e turistica; nonché fino al 70% della spesa prevista direttamente alle parrocchie e ad altri enti religiosi che restaurano chiese ed edifici pertinenti di loro proprietà aventi valore artistico, storico ed archeologico114.
La Regione Abruzzo ha adottato diversi tipi di intervento finanziario: per la ristrutturazione degli edifici di culto, ma anche per gli arredi, per lavori da compiersi presso le abitazioni dei ministri di culto, per la riparazione degli eventuali eventi tellurici115, delegando ad apposito regolamento la determinazione della misura del contributo e delle modalità di erogazione.
112 L.r. Piemonte del 7 marzo 1989, n. 15, art. 6, 1° comma.
113 L.r. Marche del 24 gennaio 1992, n. 12, art. 3; l.r. Veneto del 20 agosto 1987, n. 44, art. 3.
114 L.r. Lazio del 9 marzo, 1990, n. 27, art. 8.
115 L.r. Abruzzo del 16 marzo 1988, n. 29, art. 7.
4. Il caso della Regione Lazio.
4.1. Contributi sugli oneri di urbanizzazione a favore degli enti religiosi per gli edifici destinati al culto, e interventi per il recupero degli edifici di culto aventi importanza storica, artistica e archeologica.
Con la legge del 9 marzo 1990, n. 27116, la Regione Lazio ha disciplinato il finanziamento degli edifici di culto degli “enti religiosi”, con l’obiettivo di armonizzare gli insediamenti residenziali con i servizi religiosi pertinenti.
La Regione Lazio considera come possibili interlocutori del finanziamento, oltre alla Chiesa cattolica, le confessioni religiose munite di intesa, ma anche quelle solo organizzate compiutamente nel comune o riconosciute dallo Stato117.
Sono i comuni del Lazio a definire – in applicazione della l. n. 10/1977 - con proprie deliberazioni, quali siano “gli edifici ed attrezzature di comune interesse religioso” debbano essere considerate “opere di urbanizzazione secondaria” destinate alle provvidenze della legge regionale118.
I comuni provvedono ad assicurare una dotazione di aree per abitante, nell’ambito di quelle che sono obbligatoriamente da destinare alle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi: le localizzazioni delle aree - in vista di una loro proporzionata ripartizione - sono effettuate acquisiti i pareri dell’ordinario diocesano, per la Chiesa cattolica, e dei rappresentanti delle confessioni di minoranza organizzate119, adeguando
116 BUR Lazio, n. 8 del 20 marzo 1990.
117 In base all’articolo 1 della legge: nel quadro delle competenze spettanti al Comune, per parte pubblica, e alla Chiesa cattolica e alle confessioni religiose munite di “intesa”, o che siano “riconosciute” dallo Stato , o che abbiano una “presenza organizzata” nel territorio.
118 Esse possono essere individuate negli immobili destinati al culto, anche se articolati in più edifici; e
negli edifici e nelle attrezzature adibiti a catechesi, all’educazione cristiana o religiosa di altri culti, alle diverse attività pastorali connesse all’esercizio del ministero di cura delle anime, nonché ad abitazione dei ministri di culto: art. 2.
119 Art. 3. Il dimensionamento delle aree ad esse riservate nei piani urbanistici e loro varianti, dovrà essere conforme al dettato della circolare del Ministero dei lavori pubblici del 20 gennaio 1967, n. 425. Le previsioni di nuovi servizi religiosi devono riservare una superficie di minimo 2000 mq. per ogni insediamento. Il computo delle cubature relative agli edifici di culto, sono escluse quelle al di sopra dei cinque metri dal piano del terreno o della pavimentazione esterna a sistemazione avvenuta: art. 4.
anche gli strumenti urbanistici se non conformi alle prescrizioni di legge, di propria iniziativa, ovvero entro sei mesi dalle richieste delle competenti autorità religiose120.
I contributi sono stati aumentati del 10% rispetto alle tabelle allegate alla legge regionale del 12 settembre 1977, n. 35121.
La parte più interessante della legge è quella relativa alla destinazione del contributo: ciascun Comune, accantona in apposito fondo destinato ad opere per nuove chiese e ad interventi di manutenzione, ampliamento, ristrutturazione, restauro di edifici religiosi esistenti, nella misura dell’8% delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria. L’ordinario diocesano per la Chiesa cattolica, o il rappresentante di altra confessione che abbia i requisiti prescritti dalla legge, dovranno presentare, ai fini del finanziamento, vari documenti: sul riconoscimento ai sensi di legge per le confessioni acattoliche; sul piano dei lavori da effettuare; sul godimento di altri benefici pubblici; sul piano finanziario degli interventi; sull’autorizzazione della soprintendenza; sull’assenso circa il sopralluogo di funzionari o incaricati del controllo sui lavori.
Queste contribuzioni hanno carattere “integrativo” nel senso che possono essere concesse anche per opere che usufruiscono di altri contributi statali.
In presenza di più richieste, i contributi sono ripartiti in base alla “consistenza” delle confessioni richiedenti122.
Dall’esame della legge regionale emerge la discrezionalità con cui si effettua l’attribuzione dei contributi alle confessioni per l’edilizia religiosa. Il sistema di finanziamento locale dovrebbe infatti essere egualitario123.
Da segnalare la possibilità che il Comune stesso, o i competenti soggetti attuativi dei piani urbanistici, provvedano direttamente alla esecuzione delle opere: in questi casi,
120 Art. 5.
121 Art. 6.
122 Art. 7, 5° comma. L’utilizzazione del fondo è deliberata dal consiglio comunale entro il 30 giugno di ogni anno, tenendo conto delle richieste ricevute: art. 7, 3° comma. Le competenti autorità religiose, trasmettono al comune, entro il 31 dicembre di ogni anno, una analitica relazione circa l’utilizzazione delle somme percepite l’anno precedente: art. 7, 5° comma.
123 Si rinvia all’Allegato al presente lavoro, “Contributi sugli oneri di urbanizzazione a favore degli enti religiosi per gli edifici destinati al culto”, Riepilogo anni 2004-2005-2006-2007-2008.
è in facoltà delle competenti autorità religiose regolare i rapporti tramite un’apposita “convenzione”124.
I Comuni possono anche decidere di intervenire per il restauro di chiese ed edifici religiosi di loro proprietà o da acquisire al loro patrimonio, per finalità di promozione culturale e turistica: in questo caso, è la Regione ad intervenire con contributi in conto capitale da destinare ai soggetti richiedenti, fino alla copertura dell’intera spesa, così come previsto dalla l.r. del 22 novembre 1982, n. 51. In tal caso i Xxxxxx devono presentare una relazione tecnica sui lavori da eseguire. Le parrocchie e gli altri enti della Chiesa o delle altre confessioni che provvedano al restauro, possono chiedere l’intervento regionale fino ad un massimo del 70% della spesa complessiva da effettuare125, presentando alla Giunta regionale una relazione tecnica da cui risultino: le proprietà da restaurare, la stima dei lavori, le dichiarazione delle competenti autorità confessionali circa la non fruizione di altre provvidenze di legge126.
4.2. L’assegnazione delle aree alle confessioni religiose: le deliberazioni della Giunta comunale.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, con Deliberazione-quadro del Consiglio comunale n. 93 del 2006, sono stati regolati gli interventi di localizzazione di nuovi centri parrocchiali e le assegnazioni delle aree alla Diocesi di Roma, di Porto Santa- Rufina, Frascati e Tivoli per il territorio compreso nel comune di Roma, mediante; concessione del diritto di superficie, ai sensi dell’art. 35, comma 5, L. n. 865 del 1971 con relativa stipula delle convenzioni; cessione gratuita di aree comunali ubicate in comprensori convenzionati e/o in zone “O”.
Per la localizzazione di nuovi centri parrocchiali sono intervenute diverse intese tra Comune e di Roma e vicariato.
124 Art. 7, 7° comma.
125 Art. 8.
126 Art. 9.
A tal fine sono stati costituiti: una Commissione paritetica e un gruppo di lavoro misto Comune-Vicariato per definire criteri localizzativi e regolamentari di nuovi insediamenti parrocchiali; un gruppo di progettazione interno all’Amministrazione comunale per la redazione del programma di localizzazione dei nuovi centri parrocchiali per definire il quadro delle compatibilità urbanistiche e ambientali dei nuovi insediamenti; una commissione paritetica tra comune e Regione Lazio per valutare le proposte ricevute.
Attraverso questo grande progetto-quadro, sono state realizzate infatti ben 32 nuove parrocchie. Per il 2009 si vorrebbe costituire nuovamente una commissione paritetica per un nuovo studio, soprattutto per l’area Roma-Ovest, e la progettazione di nuove parrocchie.
Se per la Chiesa cattolica, questa pratica sembra essere ormai acquisista ed il diritto di costruire garantito organicamente, ciò non avviene per le altre confessioni religiose. E’ accaduto infatti che le attribuzioni del diritto di superficie e le assegnazioni delle aree sia avvenuto tramite deliberazioni della Giunta comunale, che discrezionalmente, ha scelto i culti da privilegiare sul totale delle richieste ricevute127.
Stabilire definitivamente con una Legge generale sulla Libertà religiosa, il criterio da seguire nelle assegnazioni delle aree, con “uniformità” e “legittimità” – con riferimento alle due note sentenze della Corte costituzionale sul divieto di discriminazione – significherebbe garantire l’eguaglianza nella libertà (ex art. 8 della Cost.).
Tra le assegnazioni fino ad oggi realizzate:
1) la deliberazione della Giunta comunale del 18 luglio 2001, tramite la quale si è stabilito di assegnare alla Pontificia Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese in Roma128, in diritto di superficie, a titolo gratuito e a tempo
127 Si rinvia all’Allegato al presente lavoro, “Verbale del Consiglio comunale di Roma, anno 2006, Deliberazione n. 93”.
128 Istituita il 5 agosto del 1930 per volontà di Xxxx Xxx XX, con lo specifico compito di provvedere: “con la maggiore sollecitudine possibile all’erezione, istituzione e dotazione di nuove parrocchie, anche mediante la dismembrazione delle antiche, agli acquisti di nuove aree, alla costruzione di chiese e annessi
indeterminato, e senza alcun corrispettivo, la porzione di area del Piano di Zona P.Z. B32 Torresina, pari a mq. 6.600, con relativa autorizzazione alla stipula della convenzione, per la realizzazione di un complesso parrocchiale, a cura e spese dell’ente stesso;
2) la deliberazione della Giunta comunale del 25 marzo 2003 tramite la quale si è deciso di assegnare alla Pontificia Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese in Roma, in diritto di superficie, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, e senza alcun corrispettivo, la porzione di area del Piano di Zona P.Z. D6 Osteria del Curato 2, pari a mq. 6318, con relativa autorizzazione alla stipula della convenzione, per la realizzazione di un complesso parrocchiale;
3) la deliberazione della Giunta comunale del 18 febbraio 2004 tramite la quale è stata assegnata alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, in diritto di superficie, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, e senza alcun corrispettivo, la porzione di area del Piano di Zona P.Z. C22 Casale Nei, pari a mq. 2.500, con relativa autorizzazione alla stipula della convenzione, per la realizzazione di un edificio di culto, a cura e spese della Congregazione medesima;
4) la deliberazione della Giunta comunale del 10 novembre 2004 con la quale è stata concessa alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, in diritto di superficie, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, e senza alcun corrispettivo, la porzione di area del Piano di Zona 11V Dragoncello, pari a mq. 2000 (che si riporta in appendice), con relativa autorizzazione alla stipula della convenzione, per la realizzazione di un edificio destinato al culto, istruzione e cultura biblica;
5) la deliberazione della Giunta comunale del 26 maggio 2004 con la quale tramite la quale si è deciso di assegnare alla Chiesa Cristiana Evangelica, in diritto di superficie, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, e senza alcun corrispettivo, la porzione di area del Piano di Zona P.Z. Borraccia, 3.660 pari, con relativa
edifici, nonché alle pratiche occorrenti presso le autorità civili”. Le parrocchie della diocesi sono oggi ben 333.
autorizzazione alla stipula della convenzione, per la realizzazione di un edificio destinato al culto;
6) la deliberazione della Giunta comunale del 23 febbraio 2005, tramite la quale si è stabilito di assegnare alla Comunità Ortodossa “SS. Martiri di Roma – Ostia”, in diritto di superficie, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, la porzione di area del Piano di Zona 11V Dragoncello, pari a mq. 5000, con relativa autorizzazione alla stipula della convenzione, per la realizzazione di un edificio destinato ad attività di culto a cura e spese della comunità medesima, perché l’area in questione è stata già acquisita al patrimonio indisponibile del Comune di Roma.
5. Innovazioni legislative ed attuale disciplina giuridica.
Occorre considerare importante novità introdotta dal Testo Unico delle disposizione legislative e regolamentari in materia edilizia, con D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni e integrazioni, che ha sostituito alla concessione edilizia il “permesso di costruire” – sempre oneroso – ma ha eliminato il vincolo di destinazione per i proventi dei contributi di concessione, di cui all’art. 12 della l. del 28 gennaio 1977, n. 10.
Questo sistema non è esente da critiche.
I Comuni, infatti, possono ora, in autonomia, decidere di impiegare i proventi per spese anche non di urbanizzazione (che è invece una delle voci di contributo per il permesso di costruire), contraddicendo al principio secondo cui gli impegni finanziari per la costruzione di edifici di culto cattolico sono determinati dalle autorità civili secondo la disciplina urbanistica, ai sensi dell’art. 53 l. n. 222/1985.
L’innovazione, è stata poi in parte corretta dalle leggi finanziarie specie del 2007 e 2008, che hanno riservato quote percentuali, obbligatoriamente a spese per
“manutenzione ordinaria del patrimonio comunale”129; “manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio culturale”130.
Per mezzo degli interventi correttivi statali, il vincolo di destinazione previsto dalle leggi regionali per la sola quota dei proventi dei contributi per il permesso di costruire, finalizzata all’edilizia di culto, è rimasto sostanzialmente invariato, e può considerarsi “libera espressione dell’autonomia regionale, senza più uno specifico aggancio ai principi della legislazione statale”131.
La devoluzione alle confessioni religiose di una quota dei contributi riscossi dai Comuni per il permesso di costruire, costituisce soltanto una parte del sistema. Non mancano, infatti, finanziamenti posti direttamente a carico delle Regioni. Questo secondo canale di sostegno pubblico è distinto e si cumula al primo, disciplinato da leggi regionali ma posto a carico dei Comuni.
Vi è inoltre un altro canale di finanziamento che riguarda la manutenzione e il restauro degli edifici esistenti. Le chiese che rientrano nella speciale categoria dei “beni culturali di interesse religioso”132 sono ammesse a fruire di interventi finanziari statali e regionali. La riforma del titolo V della Costituzione, del 18 ottobre 2001, n. 3 ha
129 Nella misura del 25%, l. del 27 dicembre 2006, n. 296.
130 Nella misura del 25%, l. del 24 dicembre 2007, n. 244.
131A. Roccella, op. cit. , 105. Le leggi regionali, si sono adeguate a loro modo ai mutamenti della legislazione statale La Regione Abruzzo, con l.r. del 19 dicembre 2001, n. 74 ha istituito un controllo della Regione sull’effettivo adempimento da parte dei Comuni degli obblighi loro imposti. Precedentemente, con l.r. del 25 novembre 1998, n. 139 ha altresì disposto il finanziamento a carico del proprio bilancio per interventi di consolidamento e manutenzione straordinaria di edifici di culto. Con l.r. 14 marzo 2000, n. 29 ha poi previsto uno snellimento delle procedure urbanistiche e amministrative e la possibilità di deroga agli strumenti urbanistici per la realizzazione di edifici di culto in occasione del Giubileo del 2000: cosi anche la l.r. Molise del 4 agosto 1988, n. 14. La Regione Basilicata, con l.r. del 7 agosto 2002, n. 34 ha disposto il finanziamento a carico del proprio bilancio per interventi su edifici di culto aventi valore storico e artistico. La l.r. Puglia dell’11 maggio 2001, n. 12, art. 10, 2° comma bis, aggiunto dalla l.r. del 4 agosto 2004, n. 14, art. 34, e la l.r. Basilicata del 30 dicembre 1995, n. 69 hanno previsto il finanziamento anche per nuove opere. La l. prov. Bolzano del 12 maggio 1999, art. 1 ha disposto il finanzi manto a carico del bilancio della Provincia sia per la costruzione di edifici di culto sia per l’arredamento degli stessi.
132 D.lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42, art. 9.
mantenuto infatti la competenza dello Stato per la tutela dei beni culturali, e ha attribuito la competenza concorrente alle Regioni per la loro valorizzazione133.
Si ricordi che una quota dell’8 per mille dell’Irpef attribuita alla CEI sono utilizzate, tra l’altro, per le esigenze di culto della popolazione. Questa quota, di solito considerevole, è utile alla Cei per finanziare l’edilizia di culto134.
Ma si è visto che anche la quota di 8 per mille a diretta gestione statale, viene utilizzata per interventi di conservazione di beni culturali della Chiesa cattolica, e costituisce essa un ulteriore canale di finanziamento135.
6. Il regime tributario.
La legge n. 2136 del 1865 disponeva che i fabbricati destinati all’esercizio dei culti ammessi dallo Stato fossero “esenti” dall’imposta fondiaria.
Il T.U.I.I.D.D. di cui al D.P.R. del 29 gennaio 1958, n. 645, e il X.X.X. xxx 00 xxxxxxxxx 0000, x. 000, xxxx xx X.X. di cui al D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 hanno invece scelto il regime dell’”esclusione”136.
133 Già precedentemente vi erano stati interventi finanziari delle regioni in proposito. Si veda: X. Xxxxxxxx, Beni culturali di interesse religioso e interventi finanziari pubblici, Il diritto dell’economia, 2003; X. Xxxxxxxx, Le intese delle Regioni con le autorità ecclesiastiche sui beni culturali di interesse religioso, Le Regioni, 2006.
134 Per il 2005 la Cei ha potuto usufruire della somma di 984.115.165,49 euro, di cui 471.250.000,00 sono stati destinati ad esigenze pastorali, come stabilito dalla Determinazione Cei, 31 maggio 2005, Ripartizione delle somme derivanti dall’8 per mille per l’anno 2005, xxx.Xxxx.xx.
135 I. Pistolesi, La quota dell’8 per mille di competenza statale: un’ulteriore forma di finanziamento (diretto) per la chiesa cattolica?, Quad. dir. e pol. eccl., 2006, 163 e ss..
136 Per una sintetica e chiara differenziazione tra i regimi di “esenzione” ed “esclusione” dalle imposte, si
rinvia a X. Xx Xxxx, Il regime tributario”, AA.VV., Gli edifici di culto tra stato e confessioni religiose, op. cit., 245 e ss.. Inoltre: A. Xxxxx de Xxxxx, Aspetti tributari dell’Accordo tra lo Stato italiano e la santa Sede, Dir. prat. Trib., 1984, 464; X. Xxxxxxxxx, L’esenzione dall’Invim decennale: un segno di contraddizione nel trattamento tributario degli enti ecclesiastici, Foro it., 1985, 1819; R. D’Angiolella, Il nuovo concordato Stato-Chiesa cattolica: la disciplina civile e fiscale degli enti ecclesiastici, Il Fisco, 1986, 592; X. Xxxxx, Riflessioni sui principi del regime tributario degli enti ecclesiastici, Dir. eccl., 1987, 803; X. Xxxxxx, Xxxxx x xxxxxxxxxxx xxxxxxxxx, Xx Xxxxxx, Xxxxxxx, 0000; X. Xxxxxxxxxxx, Diritto ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 1988; Z. Di Castiglionchio, Edifici di culto, Enc. Giur. Treccani, XII, Roma, 1989; X. Xxxxx, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1990; X. Xx Xxxx, Profili tributaristici del nuovo concordato, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1991,
Per l’art. 53 del T.U. citato, infatti, “non si considerano produttive di reddito, se non sono oggetto di locazione, le unità immobiliari destinate esclusivamente all’esercizio del culto, compresi i monasteri di clausura, purché ciò sia compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della costituzione e loro pertinenze”.
La ragione dell’esclusione, è data dal fatto che l’oggetto sia in maniera assoluta, fuori del campo di applicazione del tributo, perché mancante di capacità contributiva. Lo Stato è pienamente consapevole della rilevanza del fattore religiosi, anche per la crescita spirituale della società (art. 4 Cost.) e dei suoi singoli individui. Gli edifici religioso assolvono ad una funzione speciale, cioè quella di consentire lo svolgimento del culto, anche perché sarebbe impossibile prospettare un vantaggio economico a favore del possessore.
L’immobile quindi, indipendentemente dalla categoria di iscrizione sul catasto, è improduttivo di reddito, se destinato esclusivamente alla pratica religiosa, sempre che ciò non contrasti con l’ordinamento giuridico italiano (art. 8, comma 2 Cost.) e non si realizzino, al suo interno, riti contrari al buon costume (art. 19Cost.).
La lettera i. dell’art. 7 del d.lgs. del 30 dicembre 1992, n. 504 sull’Ici prevede l’”esenzione” dall’imposta per gli immobili degli enti non commerciali “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16 lett. a. della l. n. 222 del 1985” ovvero le attività di religione e di culto, quelle dirette all’esercizio e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana).
Quindi, l’ente ecclesiastico può essere esente o quando svolge attività di religione e di culto, oppure, in quanto ente non commerciale, quando svolga attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, ricettive, culturali, sportive e ricreative, come voluto dalla norma.
337; X. Xxxxxxx, Il regime tributario degli edifici di culto. Spunti per una ricostruzione, Quad. Scuola di spec. Dir. eccl. e can., Xxxxxx, Napoli, 1993, 197; X. Xxxxxxx, La disciplina tributaria degli enti non profit, Xxxxxxx, Milano, 2008; I. Xxxxxxxx, Enti di culto e finanziamento delle confessioni religiose. Esperienza di un ventennio (1985-2005), Il Mulino, Bologna, 2007.
Secondo una decisione della Corte di Cassazione, dell’8 marzo 2004, n. 4645, l’esercizio di una di queste attività non di culto, ma “oggettivamente commerciali” farebbe venir meno il presupposto per l’esenzione dall’Ici.
Per sanare le polemiche successive alla sentenza della Cassazione, prima con l’art. 6 del d.l. del 22 luglio 2005, n. 169 non convertito (che prevedeva l’esenzione Ici anche per quelle attività, purché “connesse” a finalità di religione e di culto), poi con il comma 2 bis dell’art. 7 del d.l. del 30 settembre del 2005, n. 203, convertito nella l. del 2 dicembre 2005, n. 248, è stata prevista l’esenzione dall’Ici a tutti gli immobili degli enti non commerciali che svolgono le attività suddette “a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”.
Il c.d. decreto Bersani-Visco, d.l. del 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. del 24 aprile del 2006, n. 248, all’art. 39 prevede però l’obbligo per i Comuni di accertare la natura “non esclusivamente commerciale” dell’attività svolta nell’immobile.
L’art. 59, comma 1, lett. c. del d.lgs. del 15 dicembre 1997, n. 446, ha stabilito che, a partire dal 1998, i Comuni possono stabilire che l’esenzione Ici, concernente gli immobili di enti non commerciali si applichi solo se gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore.
La Corte costituzionale, investita dalla Cassazione della questione di legittimità costituzionale del citato art. 59, (in quanto doveva ritenersi applicabile l’esenzione anche a chi pur non essendo ente non commerciale avesse dato in locazione l’immobile ad un soggetto con i requisiti e l’utilizzazione diretta), con ordinanza n. 429 del 2006, ha dichiarato la questione manifestamente infondata, ritenendo che la facoltà dei comuni non toccherebbe i requisiti oggettivi stabiliti per l’esenzione, vale a dire il possesso dell’immobile e l’utilizzo dello stesso da parte dell’ente non commerciale.
Infine, c’è da segnalare che il 31 dicembre 1992 è stata soppressa l’Invim, avente ad oggetto la tassazione degli incrementi di valore degli immobili.
7. In particolare: le disposizioni canoniche sul finanziamento dell’edilizia di culto e la competente struttura organizzativa.
L’art. 41 della legge n. 222/1985137 attribuisce alla C.E.I. il compito di determinare annualmente le destinazioni delle somme provenienti dall’8 per mille.
Essa ha quindi disciplinato tutta quanta la materia nella XXXII Assemblea Generale del 14-18 maggio 1990.
Il sistema di finanziamento dell’edilizia di culto è regolato dalle Norme (ora dette “Disposizioni” in conformità con lo statuto della C.E.I.), determinate dall’Assemblea Generale: esse sono seguite dal “Regolamento applicativo” approvato dalla Presidenza della C.E.I., dai “Regolamenti speciali” del Fondo Case Canoniche del Mezzogiorno d’Italia, e dai cosiddetti “Progetti-pilota” per la qualificazione dell’edilizia di culto. La
C.E.I. ha previsto di tener conto di alcuni principi indefettibili: la continuità con il sistema previgente statale per quanto riguarda la gestione centralizzata dei fondi e la tipologia delle opere ammissibili al contributo; la responsabilità del Vescovo diocesano, come rappresentante legale della diocesi, unico interlocutore nei rapporti con la C.E.I., con le imprese, con i progettisti con gli istituti di credito e gli altri aventi causa.
Il nuovo sistema è curato da una rete organizzativa appositamente istituita dalla C.E.I..
L’istruttoria delle pratiche di finanziamento, vista la derivazione concordataria della materia, è stata sottoposta, in un primo tempo, alla competenza dell’ “Ufficio Nazionale per i problemi giuridici”.
137 Si veda: Nota pastorale su La progettazione di nuove chiese, L’Amico del clero, 1993, 413 e ss.; X. Xxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, L’edilizia di culto nel nuovo Concordato, Aggiornamenti sociali, 1987, 453 e ss.; X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, L’edilizia di culto. Profili giuridici, L’Amico del clero, 1987, 416 e ss.;
M.F. Maternini Xxxxx, Il patrimonio ecclesiastico, Torino, 1992; X. Xxxxx, Spesa pubblica e confessioni religiose, Padova, 1990; X. Xxxxxxxxxxx, Riforma della legislazione ecclesiastica e costruzione di nuove chiese, L’Amico del clero, 1985; X. Xxxxx, Futuro dell’edilizia di culto in Italia dopo il Concordato, L’Amico del clero, 1985, 185 e ss.; X. Xxxxx, Edilizia di culto con finanziamento CEI, L’Amico del clero, 1993, 172; X. Xxxxxxxx, Nuova edilizia di culto: gli strumenti operativi, L’Amico del clero, 1990, 473 e ss.; X. Xxxxxxxx, La costruzione di nuove chiese nel nuovo concordato, L’Amico del clero, 1985, 85 e ss..
Più tardi, in considerazione dell’elevatissimo numero delle istanze e della complessità assunta dall’evoluzione della legislazione urbanistica e della normativa regolamentare canonica, è stato istituito uno speciale ufficio tecnico centrale denominato “Servizio Nazionale per l’edilizia di culto”.
Sotto la direzione di un Sottosegretario della C.E.I., il Servizio tratta i profili tecnici e amministrativi, giuridici, liturgici, artistici, a livello di studio, di ricerca, proposta e consulenza, avvalendosi anche dell’opera di esperti; predispone il piano annuale degli interventi secondo le disponibilità finanziarie e seleziona le pratiche da inserirvi, rispettando l’ordine di priorità indicato dai Vescovi, per ciascuna diocesi; raccoglie la documentazione occorrente e ne verifica la regolarità; prepara le adunanze del Comitato per l’edilizia di culto e le relazioni di base per la discussione.
La valutazione dei progetti e la determinazione dell’importo del contributo sono demandate al “Comitato per l’edilizia di culto”, presieduto da un Vescovo eletto dal Consiglio Episcopale Permanente.
Visti gli ingenti capitali interessati, nell’intento di favorire la programmazione di interventi commisurati alle esigenze locali, il Comitato esamina in prima istanza i progetti di massima, e successivamente, approva, rinvia con osservazioni, o respinge le richieste di contributo.
Concluso positivamente l’esame di prima istanza, il Comitato concede il nulla- osta all’elaborazione del progetto esecutivo e solo sulla base di esso, completato con il relativo computo metrico-estimativo, in seconda istanza, si pronuncia sull’ammontare del contributo, tenendo calcolo dei limiti parametrali.
Il “Delegato Regionale per l’edilizia di culto” nominato dalla Conferenza Episcopale Regionale, ha il compito di promuovere e certificare la corretta applicazione della disciplina vigente.
Tra le sue competenze, vi è quella di curare l’iter formativo dei disegni di legge regionale sulla edilizia di culto e di informarne la Conferenza Episcopale Regionale e il Servizio Nazionale per l’edilizia di culto, ai quali trasmetterà, pubblicato, il testo della legge.
A livello diocesano è nominato un “Incaricato diocesano”, il quale intrattiene i rapporti con il Servizio Nazionale per l’edilizia di culto.
Le risorse provenienti dall’8 per mille e destinate all’ edilizia di culto dovrebbero essere utilizzate in conformità con il previdente sistema statale. Gli interventi in materia di edilizia di culto riuardano la costruzione di nuove strutture di natura parrocchiale o interparrocchiale: la chiesa parrocchiale o sussidiaria, le case canoniche, le opere di ministero pastorale, e così anche le aule di catechismo ed eventualmente un locale polivalente. La C.E.I., ha ritenuto sempre necessario, tener conto del processo evolutivo verificatosi in questo primo decennio di attuazione del nuovo sistema.
Con successivi provvedimenti sono stati quindi, aggiunti nuovi capitoli di spesa: il completamento di opere incompiute iniziate con fondi propri o con finanziamenti previsti da leggi statali o regionali; poi revocati in tutto o in parte o decaduti per insufficienza di fondi; gli ampliamenti; l’acquisto e l’adattamento di fabbricati già esistenti ove non sia possibile reperire idonee aree edificabili; gli appartamenti destinati al clero in servizio attivo a favore della diocesi; l’acquisto dell’area edificanda, quando sia provata la natura speculativa del prezzo di compravendita; i lavori di trasformazione sistematica degli edifici, di consolidamento statico e/o antisismico, di adeguamento a norma degli impianti e/o delle strutture,e/o di rifacimento strutturale delle coperture; le opere artistiche, se destinate alle chiese costruite e finanziate nell’ambito del vigente sistema.
La scarsità delle risorse a disposizione della C.E.I., costringe in realtà a limitare gli interventi alla essenzialità sia per quanto riguarda le superfici sia per quanto riguarda la dignità delle linee architettoniche.
In via cautelativa, i contributi sono concessi su progetti complessivi o di massima, nei limiti di parametri indicativi rapportati al numero degli abitanti residenti, nel rispetto di criteri di equità e di omogeneità, per non incoraggiare iniziative locali non equilibrate a danno di tutti.
La C.E.I. è favorevole alla realizzazione di complessi con superfici più vaste di quelle parametrali e con alto grado di monumentalità.
La C.E.I. non finanzia interamente l’opera da costruire, ma richiede il concorso delle energie locali come espressione di partecipazione e di corresponsabilità: essa offre il 50% per le modifiche strutturali; il 75% per le nuove costruzioni; l’85% per le case canoniche del Sud di nuova costruzione o inagibili, in considerazione delle particolari condizioni del Mezzogiorno.
Per i “progetti-pilota” la C.E.I. ne assume a proprio carico l’intero costo, compresi i premi per i vincitori e la pubblicità delle opere partecipanti, con un ulteriore contributo fino ad un massimo del 30% del costo parametrico di costruzione dell’edificio di culto.
L’ammontare del contributo è comunicato dalla Segreteria Generale della C.E.I. agli Ordinari diocesani interessati, che sono tenuti a rispondere entro il termine di tre mesi su: l’accettazione del contributo; la garanzia di copertura della somma eccedente il contributo; il piano finanziario definitivo; l’impegno di eseguire l’opera nei termini prescritti138.
La parrocchia è assegnataria finale dell’opera, partecipa al suo finanziamento e lo promuove, ma non ha responsabilità nella fase della realizzazione.
Il soggetto responsabile il Vescovo nella sua qualità di legale rappresentante della diocesi: a norma della vigente disciplina stabilita dalla C.E.I., i contratti relativi ai lavori in questione dovranno quindi essere sottoscritti dall’Ordinario diocesano139.
8. Il Fondo Edifici di Culto.
Alla fine del secolo diciannovesimo le nuove teorie liberali portarono alla emanazione, prima nel Regno di Sardegna e Piemonte, e poi nel Regno d'Italia, di una serie di norme conosciute come "legislazione eversiva dell'asse ecclesiastico". Esse
138 Il quadro normativo nato dall’Assemblea Generale del 14-18 maggio 1990 fu concepito come un rapporto giuridico fra tre soggetti: la C.E.I. che finanzia l’opera fino al 75%-85% dei costi parametrali, la diocesi destinataria del contributo, i terzi che progettano ed eseguono l’opera.
139 X. Xxxxx, Le fonti di finanziamento dell’edilizia di culto, in AA.VV., (a cura di X. Xxxxxxx), L’edilizia di culto. Profili giuridici, Università cattolica del Sacro Cuore. Atti del Convegno di Studi (Milano, 22-23 giugno 1994), Milano, 1995, 1995, 73 e ss..
soppressero gli ordini religiosi e altri enti ecclesiastici, incamerandone i beni, al fine di restituire alla libera circolazione nel mercato l'ingente patrimonio (c.d. “manomorta”) accumulato nel corso del tempo dagli ordine religiosi.
L'enorme patrimonio acquisito fu affidato ad un ente distinto dallo Stato e dotato di autonomia patrimoniale e gestionale, denominato dal 1866, Fondo per il Culto140.
Il Fondo conservò presso di sé la proprietà degli edifici sacri aperti al culto ritenuti necessari alle esigenze spirituali della popolazione, e parte dei complessi conventuali annessi a tali edifici. Le rimanenti parti di convento vennero o restituite alla pubblica fruizione, mediante la loro cessione in proprietà ai comuni e/o province, che si impegnavano ad utilizzarli per fini di pubblica utilità (uffici pubblici, ospedali, scuole, ospizi), ovvero devoluti al demanio dello Stato che li alienò come opere pubbliche.
Il Fondo per il Culto, incardinato fino al 1932 nel Ministero della Giustizia e dei culti e poi, da tale anno, nel Ministero dell'Interno, ebbe principalmente il compito di provvedere all'erogazione delle pensioni ai membri delle corporazioni religiose disciolte, e della congrua ai parroci. Per quanto riguarda la gestione degli edifici di culto rimasti nella sua proprietà, ne affidò l'uso e la gestione ordinaria e straordinaria alle stesse amministrazioni comunali e/o provinciali cui aveva già ceduto, come detto, la proprietà dei conventi.
L’art. 6 della legge del 27 maggio 1929, n. 848, applicativo dell’art. 29 lett. a. del Concordato Lateranense, prevedeva che dovessero essere “consegnate” all’autorità ecclesiastica gli edifici di culto “già appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi” ai quali fosse riconosciuta la personalità giuridica di un ente-chiesa, che ne avrebbe curato la manutenzione e l’officiatura. A tali enti sarebbe stata assegnata la “rendita che attualmente il Fondo per il culto destina a ciascuna” delle chiese. L’art. 6 della l. n. 848 del 1929, stabiliva che esse sarebbero state “consegnate all’autorità ecclesiastica, restando revocate le concessioni attuali delle medesime, in qualunque tempo e a qualunque titolo disposte”.
140 X. Xxxxxxxxx, Fondo per il culto, Dig. It., XI-0, Xxxxxx, 1892-98, 482 e ss..
Con parere del 18 ottobre 1989, n. 1263141, il Consiglio di Stato dichiarò che la restituzione di tali edifici dovesse essere effettuata anche in favore dei nuovi enti parrocchiali ai quali spettavano gli edifici di culto di proprietà pubblica, da essi detenuti a qualunque titolo.
Tale situazione, rimase immutata fino a quando nel 1985 furono stipulati i nuovi Accordi concordatari tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica a seguito dei quali fu emanata la legge del 1985, n. 222 recante nuove disposizioni sugli enti ed i beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico, per effetto della quale sono venute meno quelle finalità fino ad allora affidate al Fondo per il Culto.
Venne così creato un nuovo ente denominato Fondo Edifici di Culto che subentrò in tutti i rapporti attivi e passivi nel patrimonio dell'estinto ente e delle altre aziende con analoghe finalità, e a cui fu affidato l'esclusivo compito di provvedere, mediante la gestione di un patrimonio, alla conservazione, tutela e valorizzazione degli edifici di culto di proprietà della Chiesa142.
Il F.E.C., entrato in funzione il 1° gennaio 1987, ha sostituito le Amministrazioni preesistenti. Tra queste, oltre al il Fondo per il culto: il Fondo di beneficenza e religione per la città di Roma; gli ex Economati dei benefici vacanti e dei Fondi di religione delle province austro-ungariche confluiti nei Patrimoni riuniti ex economati; le Aziende speciali per il culto, tra cui il Fondo del clero veneto, l’Azienda speciale di culto della Toscana, il Patrimonio ecclesiastico di Grosseto, e tutte le altre aziende speciali, destinate a scopi di culto, di religione, di beneficenza, gestite dalle Prefetture competenti.
141 In Il dir. eccl., 1989, Milano, 535 e ss..
142 X. Xxxxx, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Salerno, 251 e ss.; X. Xxxxxxxxxx, Edifici ed edilizia di culto, Problemi generali, Milano, 1979; X. Xxxxx, Xx xxxxxxx xxx xxxxxxxxxx xxxxxxxxx xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx xei recenti interventi di finanziamento pubblico, in AA.VV., I beni culturali nello sviluppo e nelle attese della società italiana, Milano, 1981, 137 e ss.; id., I luoghi dell’arte dove convivono Stato e Chiesa, Il Manifesto, (Quotidiano – 27 marzo 1986).
La rappresentanza giuridica spetta al Ministro dell’Interno (coadiuvato da un consiglio di amministrazione composto anche da rappresentanti della C.E.I.143) che ne cura anche l’amministrazione, per mezzo della Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto, diretta da un prefetto, inserita nel Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, e dagli uffici territoriali di Governo- prefetture in sede periferica. Per l’amministrazione si seguono le norme che regolano le gestioni patrimoniali dello Stato con i privilegi, le esenzioni e le agevolazioni fiscali ad esse riconosciuti.
Il Fondo ha un proprio bilancio, con voci di entrate e di uscite. Il bilancio preventivo e quello consuntivo sono sottoposti all’approvazione del Parlamento, e sono inseriti in allegato, rispettivamente, del preventivo e del consuntivo del Ministero dell’Interno.
Il patrimonio è composto da beni provenienti principalmente dall’eversione dell’asse ecclesiastico con oltre settecento chiese di grande interesse storico-artistico; da tutte le opere d’arte custodite nelle chiese; dai mobili antichi e i rari libri della Biblioteca della Direzione Generale degli Affari dei Culti; dai beni produttivi derivanti dalle rendite di caserme, appartamenti, cascine; dal complesso forestale del Tarvisio (UD), di Quarto Santa Chiara (CH), di Monreale e di Giardinello (PA)144.
Al F.E.C. spetta di assicurare una rigorosa gestione del patrimonio, la conservazione, la manutenzione, la tutela e la valorizzazione di beni di incommensurabile valore artistico. La progettazione e l’esecuzione delle relative opere
143 la partecipazione dei rappresentanti della C.E.I. nel Consiglio di Amministrazione del F.E.C. è criticata da X. Xxxxxx, Corso di diritto ecclesiastico, Milano, 1986, 456.
144 Con la circolare n. 59 del 1987 del Ministero dell’Interno, Quad. dir. e pol. eccl., 1987, 435 e ss., è stata regolata l’amministrazione di detto patrimonio dando ulteriori disposizioni alle Prefetture. Con la circolare del 18 ottobre 1985, n. 107 e con la circolare del 18 dicembre dello stesso anno, n. 50, Quad. dir. e pol. eccl., 1985, 436 e ss., il Ministero dell’Interno ha impostato il censimento del patrimonio del F.E.C. e si è appreso che esso risulta proprietario di oltre 3000 edifici di culto, comprese la Basilica di S Xxxxxxxxx xx Xxxxx a Napoli, la Cappella di S. Xxxxxx nel palazzo ex reale di Palermo, la Chiesa di X. Xxxxxxxx a Milano, di molte Chiese palatine (cioè annesse alle dimore reali), di edifici di culto già appartenenti agli enti religiosi soppressi dalle leggi n. 3036 del 1866, n. 3848 del 1867 e n. 1402 del 1873 (in quanto non restituite in base all’art. 29 del Concordato Lateranense e della sua legge applicativa n. 848 del 1929).
edilizie sono affidate, salve le competenze del Ministero per i beni culturali, al Ministero dei Lavori Pubblici145.
I beni del F.E.C. non appartengono al patrimonio dello Stato, o dei Comuni, delle Province e delle Regioni e quindi la tutela non può evincersi dagli articoli 826 e 828 del c.c., relativi al patrimonio dello Stato e degli altri enti territoriali. Ad esso potrebbe applicarsi invece l’art. 830 sui beni degli enti pubblici non territoriali146.
145 Le finalità del Fondo sono enunciate dall’art. 58 della citata le n. 222 del 1985: “la conservazione, il restauro, la tutela e la valorizzazione degli edifici di culto appartenenti al fondo medesimo…” e altri oneri a suo carico. Nell’art. 30 del regolamento di cui al D.P.R. del 13 febbraio 1987, n. 33 si afferma: “I beni culturali di proprietà del Fondo edifici di culto non possono essere utilizzati per fini diversi da quelli cui sono destinati senza l’autorizzazione del Ministero dell’Interno”. Questa particolare protezione sembra giustificata dall’interesse dello Stato al mantenimento degli scopi cultuali delle chiese-edifici. La normativa statale non ha dettato nessuna disposizione cui il Ministero debba attenersi nell’amministrare il patrimonio del F.E.C.. Va affermandosi una interpretazione, quindi, che vorrebbe detto patrimonio vincolato alla destinazione di culto, derivante dalla stessa natura storica dell’ente. In realtà l’unico vincolo imposto dalla normativa è quello di cui all’art. 30 del regolamento della legge n. 222 del 1985 che vincola la destinazione di questi beni del F.E.C. solo in presenza di “beni culturali”. Il cambiamento di destinazione può essere effettuato solo su autorizzazione del Ministero dell’Interno.
146 Per un quadro generale sulle norme invocate, X. Xxxxxxx Xxxxxx, voce “Beni pubblici”, Beni pubblici, Dig. disc. pubbl., Torino, 1987.
CAPITOLO SECONDO. Gli edifici di culto delle confessioni di minoranza e la giurisprudenza.
1. Nozione e nomenclatura utilizzata. 2. Le nuove confessioni e la costruzione di luoghi per il culto. 3. Costruzione e proprietà. 4. La destinazione degli edifici al culto pubblico. 5. L’apertura di templi ed oratori e l’esercizio in forma associata del culto. 6. Attività negli edifici di culto. 7. Le moschee. 8. L’edilizia di culto e la giurisprudenza. - 8.1. La sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 1993 e la diversità di trattamento tra confessioni religiose nel finanziamento dell’edilizia di culto. - 8.2. La sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 2001 e la giurisprudenza amministrativa regionale sul finanziamento dell’edilizia di culto. - 8.3. La realizzazione di edifici delle confessioni di minoranza nella giurisprudenza amministrativa. Le pronunzie della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Due note decisioni delle Corti Americane. 9. Proposte di legge sulla libertà religiosa: scissione tra diritto all’esercizio del culto, e disponibilità oggettiva di strutture edilizie adeguate. Critiche.
1. Nozione e nomenclatura utilizzata.
I luoghi del culto delle confessioni acattoliche sono diversi gli uni dagli altri in dipendenza della pratica religiosa di riferimento147.
Secondo le tradizioni evangeliche, ortodosse, israelitiche, ove sia costruita una chiesa, essa è sempre destinata al culto pubblico, senza particolari condizioni per l’accesso. Carattere privato possono presentare invece oratori e cappelle, riservati ad una ristretta cerchia di persone coabitanti, che si trovano, ad esempio in ospedalini, ricoveri, case di riposo, o ad uso di singole famiglie.
147 X. Xxxxxx, Osservazione sui luoghi e sulle riunioni private di culto, Il dir. eccl., 1953, 232; X. Xxxxxx, L’autorizzazione all’apertura dei templi e le norme comuni per le pubbliche riunioni, Il dir. eccl., 1953, 267; X. Xxxxxxxxxxx, Note intorno ai ministri dei culti acattolici ed ai poteri dell’autorità in relazione al diritto di libertà religiosa, Il dir. ecc., 1959, 25 e ss.; X. Xxxxxxxxx, Spese cultuali dei comuni e templi acattolici, Il dir. eccl., 1963, 372; X. Xxxxx, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Salerno, 1990; X. Xxxxxxx, Sulla condizione giuridica degli edifici di culto acattolico, Ann. Catania, 1950-1951, 147 e ss..
Per le chiese evangeliche l’esercizio del culto non è vincolato ad un tipo di edificio in particolare, e può essere praticato anche in private abitazioni e all’aperto. Non interessa, per esse, l’eventuale riconoscimento in persona giuridica dei loro templi.
Per identificare i luoghi di culto delle chiese evangeliche148, normalmente si ricorre ai seguenti termini : “tempio”, ovvero edificio di ampia mole a disposizione di chiese più numerose; “oratorio” o “cappella”, di più modeste dimensioni al servizio di piccole comunità di fede; “sale di adunanza o di culto”, ossia locali siti in edifici più grandi, e riservati allo svolgimento delle funzioni religiose. L’interno del tempio, austero e semplice, presenta il pulpito, la Tavola della Santa Cena ed il fonte battesimale, diversi in dipendenza dei riti praticati. Non ci sono vincoli circa l’alienabilità di questi spazi di preghiera.
Il luogo di orazione della comunità ebraica organizzata149 è denominato “sinagoga”. Si tratta di un immobile a sé stante, o incorporato in altro edificio con o senza segni distintivi; può essere anche situato in una apposita sala o in altro locale adattato allo scopo.
Vi sono poi gli “oratori”, luoghi di culto di comunità minori, o della diaspora, o di gruppi praticanti un rito particolare.
Per il diritto ebraico una sinagoga non dovrebbe mai occupare la parte inferiore di un edificio preposto ad abitazione: l’arca contenente i rotoli della legge, ne costituisce l’elemento essenziale, e deve essere disposta in modo che l’officiante sia rivolto ad est in direzione di Gerusalemme; essa non dovrebbe mai essere demolita prima che ne venga costruita altra in sua vece, tranne nei casi di pericolo imminente.
Un edificio-sinagoga può essere trasformato in scuola per lo studio della legge, ma non può accadere il contrario.
Non potrebbe essere alienata una sinagoga occorrente all’orazione di tutti gli israeliti del luogo, se non per compiere atti di maggiore santità, come, ad esempio, per
148 Sui templi evangelici, Jalla, Les temples des Vallèe Vaudoises, Torrepelice, 1931. Sulle sinagoghe in Italia, Piucherfeld, Bate Keneseth Be-Italia, Gerusalemme, 1954.
149 Colorni V., Legge ebraica e leggi locali, Milano, 1945; Synagogue, The Jewish Enciclopedia, New
York, 1916.
l’acquisto delle tavole della legge. Sono considerate alienabili invece, le sinagoghe dei villaggi costruite solo per gli abitanti del luogo. Tuttavia, in caso di vendita, esse – tramite condizione apposta al contratto - non possono essere trasformate in case di bagni, o concerie, tranne per parere favorevole di un consiglio di sette anziani del luogo dichiaranti la rinuncia a tale condizione.
Presso le chiese ortodosse, collegate al Patriarcato di Costantinopoli, o a quello di Mosca o a quello serbo, o che dipendano dal Metropolita della Chiesa russa all’estero, si usano i termini di: “chiesa” o di “tempio” per identificare edifici stabilmente consacrati al culto pubblico delle comunità religiose nei vari centri; “cappella” per individuare i locali di culto privato.
Non esistono particolari esigenze stilistiche o architettoniche per la loro costruzione. Gli elementi essenziali sono l’altare per l’amministrazione dei sacramenti e le icone.
2. Le nuove confessioni e la costruzione di luoghi per il culto.
Tutti questi luoghi, non possono essere inquadrati in una categoria unitaria, nemmeno utilizzando il termine “edifici dei culti acattolici”: per essi sarebbe meglio riferirsi a “luoghi per il culto”150.
Nella legislazione italiana la dizione “edificio di culto” nei riguardi delle confessioni religiose diverse dalla cattolica può avere un’interpretazione più estesa di quella strettamente legata alla definizione letterale151. La realtà infatti, si presenta in maniera assai stratificata rispetto al modello classico.
150 Si rinvia al capitolo primo, nota n. 33.
151 Nelle disposizioni sui “culti ammessi” (art. 1 r.d. del 28 febbraio 1930, n. 289) ricorrono i termini di “tempio” e “oratorio”; nelle norme sulle comunità israelitiche (art. 20, 65 r.d. del 30 ottobre 1930, n. 1731) si rinvengono i termini “sinagoghe” e “oratori”. Tali termini si ritiene possano essere equivalenti agli “edifici dei culto diversi dal cattolico” usata nella legislazione sui danni di guerra (d.lgs. del 17 aprile 1948, n, 734) che riguarda qualsiasi edificio servente al culto di una delle religioni on cattoliche.
Vi sono edifici aperti al culto pubblico buddista o induista. E ancora delle ville, o degli immobili in cui la confessione religiosa svolga varie iniziative, e in cui, una stanza o un locale, sia riservato per la ritualità dei fedeli152.
Se infatti, nella nostra esperienza non si possono avere edifici di culto se essi non siano accessibili al pubblico, senza essere riservati solo ad una comunità, per altre tradizioni religiose, ciò non si verifica. In taluni di questi locali, infatti, le riunioni si svolgono saltuariamente e l’entrata è riservata ad un gruppo ristretto di aderenti153.
La normativa dovrebbe perciò essere aggiornata alle nuove esigenze religiose. Tra cui quella di rispondere alle richieste delle popolazioni - e delle religioni - provenienti da tutte le parti del mondo, che hanno ormai “cambiato il panorama confessionale italiano”154.
Il fenomeno dell’immigrazione ha dato luogo ad una presenza considerevole di musulmani (stimati a circa un milione), di ortodossi (circa seicentomila, fra romeni, i più numerosi, russi, moldavi, ucraini, ecc.), di buddisti e di induisti (oltre centomila ciascuno)155.
Nei luoghi di culto, gli immigrati trovano occasione di preghiera, ma anche e soprattutto di incontro, di organizzazione, di legami con i paesi di provenienza.
Questo può in realtà dar luogo anche a qualche preoccupazione, soprattutto per l’ordine pubblico, vista la pericolosità delle riunioni di talune cerchie di estremisti islamici.
Si aggiunga che alle richieste delle confessioni religiose circa l’assegnazione delle aree per la costruzione di nuovi edifici di culto, spesso i Comuni – nella persona del
152 A.C. Jemolo, Lezioni, op. cit., “Il termine edifici diremmo si riferisca all’id quod plerumque accidit ; ma la norma si può applicare anche ad una parte di edificio, cioè alla chiesa incorporata nel fabbricato di un convento, di un’opera pia, di un palazzo, ecc.”, 389.
153 In una bozza di Intesa proposta dall’Istituto Soka Gakkai si legge: “le competenti autorità dell’IBISG informano la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo competente dell’esistenza di edifici di culto dell’Istituto medesimo nella circoscrizione, indicando gli spazi specificatamente dedicati al culto ed eventuali variazioni che si determinino”. Art. 7 della Bozza di Intesa predisposta dall’IBISG.
154 X.Xxxxxx, La condizione giuridica, op. cit., 25.
155 La chiesa ortodossa romena si appoggia per il 90% a immobili della chiesa cattolica, mediante affitto o comodato, o tramite rapporti di fatto con uso gratuito dei locali. La chiesa ortodossa russa, tramite le stesse modalità, per il 70%. Le moschee fino ad oggi esistenti, sono per lo più spazi ridotti, seminterrati, garage; l’unica eccezione è la grande Moschea di Roma, quanto a costruzione, spazio, garanzie statali.
Sindaco – rispondono negativamente, facendo leva sulla mancanza di personalità giuridica o dell’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione.
Si è cercato di aggirare l’ostacolo, da parte di certi gruppi confessionali, creando delle vere e proprie “Associazioni”, aventi capacità di acquistare e di alienare, o delle Onlus156.
3. Costruzione e proprietà degli edifici di culto.
La costruzione di nuovi edifici di culto ad opera delle confessioni acattoliche non può subire limitazioni legislative speciali (art. 20 Cost.).
E’ necessaria la licenza di costruzione, previa approvazione del progetto da parte dell’apposita commissione comunale: essa non esprime una valutazione circa l’opportunità dell’opera da realizzare, ma sul profilo tecnico-artistico della medesima, a presidio della pubblica incolumità e delle esigenze del piano regolatore locale.
Nelle zone terremotate è inoltre necessaria l’autorizzazione dell’ufficio provinciale del Genio civile, perché l’edificio risponda alle condizioni previste per le costruzioni antisismiche.
Questi edifici di culto, nella maggioranza dei casi, sono di proprietà delle chiese o delle comunità locali o di enti esponenziali con personalità giuridica riconosciuta in Italia o all’estero157. Se non c’è personalità giuridica da parte delle chiese locali, l’edificio è concesso in dotazione da parte dell’ente confessionale centrale proprietario.
Raramente si verifica l’ipotesi del privato proprietario, che di solito è anche un fedele della confessione interessata: in questo caso, egli, se abbia personalmente
156 Ma ciò crea delle evidenti difficoltà perché non sempre le confessioni-associazioni vogliono ottenere il riconoscimento, per non sottostare al controllo di conformità amministrativo, e allora non si saprebbe come gestire il tempio eventualmente acquistato: o in proprio, ma senza poteri dell’autorità confessionale, o prevedendo di donarlo alla confessione quando questa otterrà il riconoscimento (D.P.R. del 10 febbraio 2000, n. 361; l. del 7 dicembre 2000, n. 383). Inoltre, le Onlus, per poter beneficiare dei favori di legge, devono necessariamente avere un fine sociale, umanitario, o culturale (d.lgs. del 4 dicembre 1997, n. 460). X. Xxxxxx, La condizione giuridica, op. cit., 31-32.
157 Dovrebbe esservi un accordo internazionale che preveda il trattamento di reciprocità, ma ciò non accade nella maggior parte dei casi.
promosso la costruzione, devolve il suo bene - tramite atto di disposizione - alla chiesa o alla comunità cui appartiene.
Le confessioni religiose che esistono solo come associazioni di mero fatto usano invece sempre edifici di privati.
Non vi sono edifici acattolici di proprietà dello Stato e dei comuni.
4. La destinazione degli edifici al culto pubblico.
L’art. 831 del c.c. dispone solo per gli edifici dedicati al culto cattolico, frequentati da una massa indeterminata di persone. Ma, come si è detto in precedenza, per le confessioni di minoranza, non si ha sempre un culto, identificabile come “pubblico” 158.
Oltretutto, il riconoscimento costituzionale (art. 8, comma 2) del diritto di organizzarsi secondo propri statuti non comporta necessariamente che lo Stato attribuisca rilevanza giuridica agli atti interni delle confessioni acattoliche – quindi esso non interferisce nella “deputatio ad cultum” effettuata eventualmente dai rispettivi organi interni159 - tale da poter applicare ai loro edifici e alle pertinenze una normativa speciale rispetto a quella del codice xxxxxx000.
In genere, la “deputatio ad cultum publicum” avviene tramite delibera dell’organo confessionale competente, nelle forme previste dalle diverse liturgie. Compete sempre agli organi confessionali la decisione circa la cessazione del vincolo di culto,
158 Nel concetto di destinazione è insita la stabilità nel tempo dello scopo di culto pubblico: esso è da intendersi come esercizio di funzioni religiose alla cui celebrazione può assistere chiunque, senza che il carattere della pubblicità assuma un valore quantitativo con riferimento alla maggioranza, o ad una parte indeterminata o indeterminabile della popolazione del luogo ove è situato l’edificio. A. C. Jemolo, Lezioni, op. cit., 309, 409. Il codice civile, ha optato per un criterio di preferenza per la Chiesa cattolica, per l’inferiore richiesta numerica da parte di fedeli di altre confessioni, e anche perché al momento dell’emanazione del codice civile (1942) il legislatore considerava sfavorevolmente, le minoranze religiose israelitiche e protestanti. A. C. Jemolo, Lezioni, 309; X. Xxxxxxx, Sulla condizione giuridica degli edifici di culto acattolico, Xxx. Catania, 1950-1951, 148.
159 X. Xxxxxxx, op. cit., 147 e ss..
160 A.C. Jemolo, Lezioni, op. cit., 388.
indipendentemente dall’assenso dell’eventuale diverso proprietario161. Questi rapporti si esauriscono nell’ambito degli ordinamenti interni di ciascuna confessione religiosa. La dichiarazione di “santità” eventualmente impressa all’edificio non produce alcun effetto nell’ordinamento statale, e il regime giuridico applicabile è quello comune dei beni immobiliari dei singoli privati o di persone giuridiche.
La maggior parte degli edifici acattolici risulta di proprietà degli enti confessionali, perciò non si sono avuti casi di contrasto circa la volontà di conservazione della destinazione al culto pubblico da parte dei fedeli: di solito, essi partecipano alle decisioni sul mantenimento o sulla cessazione della stessa.
Tuttavia, quando si tratti di edifici non di proprietà delle confessioni religiose, essi sono da considerare come “adibiti al culto” da parte degli organi competenti. In tale ipotesi la deputatio è condizionata dall’assenso del proprietario, anche espressa in modo implicito.
Se il semplice non uso dell’edificio non ne fa cessare la destinazione, l’edificio rimane comunque nella libera disponibilità del proprietario; non è considerato un bene extra commercium, può quindi essere: alienato, soggetto ad esecuzione coattiva, capace di ipoteca legale, giudiziale o volontaria, soggetto ad usucapione. Può infine essere soggetto ad espropriazione per pubblica utilità salvo indennizzo del proprietario. Al medesimo regime sono sottoposti: il campanile, il sagrato, la sacrestia, la sala d’archivio, l’abitazione del ministro di culto, le aule per le attività religiose.
161 X. Xxxxxxx, op. cit., 168: l’Autore ha ritenuto che l’attività cultuale praticata dai fedeli negli edifici destinati al culto pubblico della propria confessione, integra un “diritto di uso pubblico” che prevarrebbe nei riguardi di qualsiasi diverso atto di destinazione venisse posto in essere in campo privatistico nei confronti dell’edificio. L’edificio dedicato al culto pubblico o privato è destinato al suo fine, da chi regola il culto per il servizio di persone considerabili come utenti, in ragione delle funzioni che vi si celebrano.
5. L’apertura di templi ed oratori e l’esercizio in forma associata del culto.
Per l’apertura di un tempio od oratorio al culto - al fine di celebrarvi pubbliche funzioni senza dover dare di volta in volta il preavviso all’autorità di pubblica sicurezza
- il ministro di culto - la cui nomina fosse stata debitamente approvata con decreto del Ministro dell’Interno – doveva richiedere apposita autorizzazione (art. 1 del r.d. del 28 febbraio 1930. Per ottenerla, egli doveva dimostrare che il tempio si rendeva necessario “per soddisfare effettivi bisogni religiosi di importanti nuclei di fedeli” ed era fornito di “mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione”. I i templi e gli oratori già aperti al culto pubblico all’entrata in vigore della legge sull’esercizio dei culti stessi (l. del 24 giugno 1929, n. 1159), erano invece dispensati dal rilascio di una nuova autorizzazione.
Come si vede, le confessioni acattoliche non avevano il diritto di esercitare concretamente la libertà religiosa: qualora fossero prive di un edificio autorizzato per riunirsi, esse dovevano dare avviso all’autorità di p.s., la quale poteva impedire la riunione “nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica”. La tutela non vi era nemmeno per le riunioni in forma privata, in quanto l’art. 18, secondo comma del T.U. delle leggi di p.s. del 1931, considerava “pubblica anche una riunione, che, sebbene indetta in forma privata, tuttavia per il luogo in cui” si sarebbe stata tenuta, “o per il numero delle persone” intervenute “o per lo scopo o l’oggetto di essa”, avesse “carattere di riunione non privata”.
La situazione non mutò nemmeno con l’entrata in vigore della Costituzione: l’autorità di polizia continuò ad esercitare il suo potere discrezionale a difesa dell’ordine pubblico162.
162 Trib. Ascoli Xxxxxx, sent. del 13 dicembre 1954, Il dir. eccl., 1955, 76, in cui venne assolto un pastore evangelico che allontanato dal comune con foglio di via obbligatorio, vi aveva fatto ritorno in contrasto con la diffida. Xxxx. xxx., sent. del 27 novembre 0000, x. 000, Xx dir. eccl, 1955, II, 29; Cass. pen, sent. del 30 novembre 1953, il dir. eccl. 1955, 31, le quali esclusero la legittimità della diffida a non tenere riunioni di culto, motivata solo dalla mancata autorizzazione del locale ai sensi dell’art. 1 del r.d. del 28 febbraio del 1930, n. 289. Cass. pen. 7 maggio 0000, x. 0000, Xx dir. eccl., 1955, II, 421, con nota di X. Xxxxx, Apertura non autorizzata di templi acattolici e riunioni a scopo di culto, ivi tenute, senza preavviso, dichiarò: il valore precettivo dell’art. 19 della Costituzione, anche se di applicazione non immediata; il
Si susseguirono tutta una serie di casi e di giudicati163, che portarono infine alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 del r.d. n. 289164.
L’apertura degli edifici al culto pubblico segue ora alla destinazione loro impressa dagli organi confessionali, senza alcuna autorizzazione preventiva, nè differenze formali e sostanziali possono essere giustificate, rispetto al trattamento giuridico riservato agli edifici cattolici165.
6. Attività negli edifici di culto.
Per le riunioni in “luoghi aperti al pubblico” è comunque necessario il preavviso (art. 17 Cost.). Inoltre, “è vietato l’uso delle chiese e degli altri luoghi sacri per manifestazioni estranee al sentimento religioso o per scopi non attinenti al culto” 166, nemmeno tramite preavviso alla autorità di pubblica sicurezza.
Non è più necessaria la licenza dell’autorità di polizia al ministro di culto munito di approvazione governativa, per l’affissione di manifesti, avvisi, e altre pubblicazioni eseguite sulle porte e all’esterno degli edifici destinati al culto, che riguardino il governo
valore mmediatamente precettivo dell’art. 17 Cost. e di tacita abrogazionedell’art. 18 del ùT.U. delle leggi di p.s. sulle riunioni in luogo aperto al pubblico, tra cui quelle di culto.
163 Pret. Avola, sent. dell’11 marzo 1952, Il dir. eccl., 1953, II, 281; Trib. Ragusa, sent. del 13 marzo 1953, ivi, 232; Cass., sez. III, sent. del 7 maggio 1953, Giust. Pen., 1953, II, 966; Cass., sez. III, sent. del 30 novembre 1953, Il dir. eccl., 1955, II, 31; Cass., sez. III, sent. del 27 marzo 1954, ivi, 29; Pret. Locri, sent. del 1° febbraio 1955, ivi, 1957, 245; Trib. Crotone, sent. del 20 luglio 1957, Giust. Civ., 1957, III, 253.
164 Corte cost., sent del 24 novembre 1958, n. 59, Il dir. eccl., 1959, II, 25, con nota di X. Xxxxxxxxxxx, Note intorno ai ministri dei culti acattolici ed ai poteri dell’autorità in relazione al diritto di libertà religiosa. La Corte cost., con la sent. del 18 marzo 1957, n. 45, Il dir. eccl., 1958, II, 197 e ss., con nota di
X. Xxxxxxxxxx, Riunioni a scopo di culto e Costituzione, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del T.U. delle leggi di p.s. sulle cerimonie religiose fuori dei luoghi destinati al culto, per contrasto con l’art. 17; con sent. dell’8 aprile 1958, n. 27, la Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 del T.U. sulle riunioni private e le riunioni tenute in luogo aperto al pubblico.
165 X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto ecclesiastico, op. cit., 202.
166 Sembra avere carattere limitativo perché in contrasto con la Costituzione la prassi di condizionare lo svolgimento delle cerimonie religiose al “consenso scritto dell’autorità competente per percorrere vie o piazze pubbliche ovvero aree pubbliche o aperte al pubblico” (artt. 20 e 30 del reg. di attuazione del T.U. delle leggi di p.s., approvato con r.d. del 6 maggio 1940, n. 635).
spirituale dei fedeli. Questi atti sono tra l’altro esenti dai diritti di affissione (art. 28 lett.
h. della l. del 5 luglio 1961, n. 641).
Anche le collette all’interno delle chiese possono eseguirsi liberamente da parte di qualsiasi ministro di culto o di suoi incaricati.
Per quanto riguarda le altre confessioni religiose, il 2° marzo del 2000 sono state stipulate due intese, rispettivamente con l’unione Buddhista Italiana (U.B.I.) (ddl. n. 7023, 25 maggio 2000) e con la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova (ddl.
N. 7043, 1° giugno 2000) che però non hanno avuto un seguito legislativo167.
Il 4 aprile 2007 sono state stipulate otto nuove intese: due modificative di intese precedenti (con la Tavola Valdese, e con le Chiese cristiane avventiste del 7° giorno); due in rinnovazione di intese del 2000 (con U.B.I. e con i Testimoni di Geova; e quattro con confessioni che non avevano intese (Chiesa apostolica in Italia, Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, Unione Induista Italiana)168.
In tre di questi accordi si trovano alcune disposizioni sull’edilizia di culto: la garanzia degli edifici di culto da requisizioni ed occupazioni, espropriazioni e demolizioni, nonché limitazioni all’ingresso della forza pubblica169.
167 Intese ubblicate dalla Presidenza del Consiglio, Ufficio del Segretario Generale, Dall’Accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa. Un quindicennio di politica e legislazione ecclesiastica, Roma, Dip. Per l’informazione e l’editoria, 2001, 445 e ss. e 429 e ss.. X. Xxxxxxxxx, Brevi note di commento all’Intesa con l’unione Beddhista Italiana, Il dir. eccl., 112, 2001, II, 967 e ss.; X. Xxxxxxxx, Leggi sulla base di intese e garanzie di libertà religiosa, Il Foro it., 123, 2000, V, 273; X. Xxxxxxxx, Altre due intese fra Stato e confessioni religiose in attesa dell’approvazione del Parlamento, Il Foro it., 123, 2000, V, 27 e ss.; X. Xxxxxxxxx, Le intese con i Buddhisti e con i Testimoni di Geova, Quad. dir. e pol. eccl., 8, 2000, 475 e ss..
168 I testi sono pubblicati su xxx.xxxx.xx. Per i commenti: X. Xxxxxxxx, Andando oltre la “standarizzazione” delle intese: la Chiesa Apostolica in Italia e l’art. 8, comma3 della Costituzione, Quad. dir. e pol. eccl., 2007, 353 e ss.; X. Xxxxxxx, L’Intesa con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, Quad. dir. e pol. eccl., 2007, 371 e ss.; G. Mori, Ortodossia e intesa con lo Stato italiano: il caso della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l‘Europa meridionale, Quad. dir. e pol. eccl., 2007, 399 e ss.; X. Xxxxxxx, L’intesa con l’Unione Induista Italiana Sanatana Dharma Samgha, Quad. dir. e pol. eccl., 2007, 413 e ss..
169 Intesa con la sacra Arcidiocesi Ortodossa, art. 10, comma; intesa con la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova, art. 8, comma 4; intesa con La chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, art. 14, comma 4.
7. Le moschee.
Occorre preliminarmente risolvere il quesito se la moschea, propria della cultura islamica, possa equipararsi agli “edifici di culto” degli ordinamenti occidentali.
Masgid (moschea) viene dalla radice araba Sa-gia-da, che vuole dire prostrarsi: in senso etimologico la moschea è il luogo della prostrazione.
La storia narra che appena il Profeta Xxxxxxxx (s.A.'a.s.) arrivò a Xxxxxx, perché cacciato dai suoi concittadini Meccani che lo volevano uccidere, fece iniziare la costruzione della moschea che divenne poi il centro dell'attività sociale, politica e religiosa. Questa prima moschea era di mattoni d'argilla con un tetto in foglie di palma della quale ovviamente non si ha più alcun resto.
Il modello della prima moschea nasce quindi in Arabia: un edificio semplice, privo di oggetti di culto, con una sala di preghiera e una corte aperta. All'interno si trova il minbar, il podio per le predicazioni e il mihrab, la nicchia per prostrarsi verso La Mecca. Per insegnare e interpretare il Corano, oltre che per lo studio delle scienze, vengono fondate accanto alle moschee numerose madrasa, scuole, conventi e università.
Tuttavia, la moschea non possiede i caratteri propri delle chiese e dei luoghi in cui si assiste alla presenza divina, e deputati alla “soddisfazione dei bisogni religiosi della popolazione”170, quanto piuttosto quelli di incontro e di raccolta di comunità, anche eterogenee. Oltre alla preghiera, nella moschea si svolgono altre attività, pur mancando
– e questo è il carattere di maggior differenza con altri luoghi di culto – una portante ed unitaria struttura organizzativa.
Ciò da adito a preoccupazioni non indifferenti per l’ordine pubblico in quanto spesso accade che anziché luogo di incontro e di preghiera, essa diventi coagulo di cellule terroristiche171.
000 X. Xxxxx, Xx moschee ed i ministri di culto, Stato, chiese e pluralismo confessionale, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, settembre 2007, 6.
171 Il ministro dell'Interno Xxxxxxx Xxxxxx è intervenuto sull'argomento, puntando l'attenzione sul fatto che spesso le moschee non sono luoghi di culto e ha avvertito: "Gli arresti effettuati ieri a Milano
Come precisato dalla Relazione sull’Islam in Italia172: i luoghi di culto islamici nascono per opera di singole associazioni senza programmazione o supervisione di autorità centrali, che sono del tutto inesistenti. Ciascuna associazione gestisce tali locali senza controlli o regole verificabili da parte degli stessi fedeli, nemmeno sull’amministrazione finanziaria (necessaria per le attività che ivi si svolgono, come la macellazione rituale, le attività cultuali e assistenziali). Anche il controllo dei flussi economici provenienti dall’estero è estremamente difficoltosa.
Non è dunque possibile con precisione stabilire quali e quanti luoghi di culto islamici ci siano in Italia.
La presenza di musulmani nel nostro paese è infatti fortemente diversificata, e mentre in alcune località vi è forte l’esigenza di edificare nuove moschee, in altri luoghi
dimostrano che ci sono delle realtà maghrebine, di matrice islamica, ben radicate nel territorio italiano e da cui possono scaturire concrete minacce". "Il ministero dell'Interno, ha fatto una ricognizione completa sulle moschee esistenti in Italia. Purtroppo non è mai agevole distinguere tra luoghi culto e luoghi in cui si svolgono altre attività, come anche reclutamento e la raccolta di fondi per finanziare il terrorismo e la preparazione di attentati". Xxxxxx è poi intervenuto direttamente per difendere la moratoria: "Il Parlamento farà le sue valutazioni, ma dire no pregiudizialmente solo perché la proposta arriva dalla Lega è il solito balletto dettato dal pregiudizio ideologico".
172 Lavoro condotto dal 2006 al 2007 dal Consiglio Scientifico per la diffusione e l’attuazione della “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione” (aprile 2007), nominato dal Ministro dell’Interno X. Xxxxx (decr. Min. Int., 23 aprile 2007) e presieduto dal Xxxx. Xxxxx Xxxxxx. E’ intenzione del Consiglio predisporre un documento appositamente dedicato alle moschee nel quale siano indicate le caratteristiche identificative delle medesime, perché rispondano realmente a funzioni cultuali proprie e siano gestite in armonia con la normativa italiana. Un’altra decisiva proposta è quella della creazione di una Federazione dell’Islam Italiano con statuto, regolamenti su imam, moschee, che possa essere armonizzata con la Costituzione ed anche sostenuta economicamente dallo Stato: tutto ciò, insieme ad un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica nazionale. A tal fine deve essere data maggior diffusione possibile della Carta dei valori, ed aggiornata la Consulta per l’Islam in Italia, operante presso il Ministero dell’Interno.
ciò può non essere altrettanto urgente o necessario. In Colle Val D’Elsa, a Bologna, a Genova, è accaduto che associazioni del tutto prive di rappresentatività abbiano insistito per essere considerate nei piani urbanistici locali, sentendosi trascurate a favore di altri interlocutori.
Emerge un ulteriore problema relativo alle moschee: nelle maggior parte di esse non si sa chi sia il responsabile, chi siano gli imam, e le attività realmente svolte.
A Bologna ad esempio, le autorità comunali, in vista della concessione dell’area per la costruzione di una moschea, hanno chiesto determinate garanzie ai soggetti individuati come responsabili della richiesta: il rispetto delle leggi italiane, la firma della carta dei valori, di non svolgere propaganda contraria ai diritti fondamentali.
Anche in passato - con riguardo alla concessione delle aree per la edificazione di circa 300 moschee - si è assistito al proliferare di moschee costituite da locali assai piccoli, seminterrati, garage, adibiti a luoghi di preghiera per i musulmani del luogo.
Un’eccezione a tutto questo è rappresentata dalla grande Moschea di Roma, la più grande d’Europa, inaugurata il 21 giugno 1955, su un’area donata dal Comune, alle pendici del Monte Antenne173.
173 L’idea di costruire una grande Moschea nella capitale della cristianità nacque nel 1966, quando re Xxxxxx dell’Arabia Saudita venne in visita a Roma con una delegazione di dignitari reali. Quando chiese di andare a pregare col suo seguito gli fu detto che non c’era una Moschea e fu accompagnato in una casa privata allestita a questo scopo. Egli espresse il desiderio, poi proposto alle autorità italiane, di erigere una moschea a Roma. All’origine del progetto, non vi furono dunque le esigenze di culto della comunità musulmana, a quei tempi esigua, ma la volontà del Governo italiano di migliorare le relazioni diplomatiche e commerciali con i paesi arabi, e in primo luogo con l’Arabia Saudita, disposta a finanziare la costruzione. Nel 1969 il Governo Xxxxx diedel via libera al progetto. Nacque così il Centro islamico culturale d’Italia, con la partecipazione di vari principi e dignitari in esilio (Iran, Afghanistan) allora residenti in Italia. Nel 1971 l’Ente morale si aprì agli Ambasciatori i cui Paesi accettarono di finanziare la moschea: Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxx, Xxxxxxxx, Senegal e Turchia. Il Comune di Roma mise a disposizione gratis nel 1976 il terreno, e, una volta pervenuto, nel corso del 1975, il consenso del xxxx Xxxxx XX al progetto, fu emesso il bando di concorso per la realizzazione dell’opera con un budget iniziale di 15 miliardi di lire. Furono selezionati due progetti: quello di Xxxxx Xxxxxxxxxx e quello dell’ iraniano Xxxx Xxxxxx, ai quali venne proposto di lavorare insieme. I lavori di costruzione partirono con due pre-condizioni: la cupola doveva essere meno alta di quella di San Xxxxxx e il minareto senza gli altoparlanti per la preghiera (E’ l’unica moschea al mondo a non averli ancora oggi). I due progettisti, formarono un’accoppiata insolita: Xxxxx Xxxxxxxxxx doveva essere il garante di un ambientamento della moschea nella cultura architettonica occidentale, mentre l’architetto iraniano doveva essere il portatore di istanze culturali della tradizione musulmana. Tra i due il dialogo non fu facile e la loro unione terminò. Nel 1980, dopo la caduta dello Scià di Persia,
Gli edifici di culto, per la normativa statale, hanno rilevanza pubblica, e sono “opere di urbanizzazione secondaria”174: tuttavia, come si è visto in precedenza, alcune leggi regionali, hanno concesso benefici economici solo alle confessioni munite di intesa175, o comunque “organizzate” nel territorio176.
Il regime giuridico dei luoghi di culto è interamente regolato dallo Stato, che con norme unilateralmente prodotte, ha inteso tutelare la promozione della persona umana (artt. 2 e 3 della Costituzione). Si è visto che oggetto della tutela offerta dal potere pubblico è la persona umana, e solo indirettamente le organizzazioni religiose in cui essa esprime la sua personalità (art. 2 Cost.): tuttavia, i soggetti collettivi devono godere di pari tutela in quanto mezzi per la piena soddisfazione dei bisogni dei singoli177.
Il limite per un pacifico riconoscimento delle moschee quali luoghi di culto, deriva quindi dalla mancanza, come detto, di un ente esponenziale della comunità
Xxxxxx fu allontanato. Entrambi, successivamente, si attribuirono l’ispirazione e il merito del progetto, ma il vero artefice sembra essere stato Portoghesi, che diresse la costruzione, avvalendosi della collaborazione di valenti strutturalisti. Mentre la moschea nei paesi musulmani sorge nel cuore del centro abitato, come d’altra parte la chiesa cristiana, (si pensi alla cattedrale gotica che sorge nel nucleo del borgo medievale), per la localizzazione della moschea di Roma fu scelta invece una zona verde, isolata dalla città, per evitare il pericolo di interferenza con il tessuto urbano della capitale del Cristianesimo. Fu scelta una zona separata dal centro abitato, utilizzando un’area periferica e non urbanizzata, adibita a parco pubblico. Così la Moschea di Roma divenne col tempo una Moschea-Santuario, per pellegrini e visitatori dall’agglomerazione urbana e di fuori. Per quanto concerne l’altezza del minareto, si pensò dapprima che esso potesse superare la Cupola di San Xxxxxx, perché posto su un terreno in quota più elevata rispetto alla Basilica. Questo problema fu sottoposto più volte alla Commissione Edilizia del Comune di Roma, che respinse ogni volta il progetto finché il minareto fu ridotto all’altezza attuale, leggermente sproporzionata rispetto al corpo della costruzione. Il costo complessivo era salito nel 1991 a oltre 60 miliardi, ma i lavori erano ancora lontani dalla fine. Dopo la guerra del Golfo, l’Arabia Saudita, interruppe il finanziamento e subentrò il re del Xxxxxxx Xxxxxx XX con un’offerta di altri 30 miliardi circa. Egli non fece più lavorare le imprese italiane, e portò le sue maestranze dal Marocco, circa 300 operai. Gli interni, infine, vennero decorati sullo stile della moschea di Casablanca.
174 Per la normativa urbanistica, che così considera i luoghi di culto, si rinvia interamente al cap. 2.
175 Ma si vedano le decisioni della Corte costituzionale n. 195 del 1993: “Il rispetto dei principi di libertà e di uguaglianza va garantito non tanto in raffronto alle situazioni delle diverse confessioni religiose, quanto in riferimento al medesimo diritto di tutti gli appartenenti alle diverse fedi o confessioni religiose di fruire delle eventuali agevolazioni disposte in via generale dalla disciplina comune dettata dallo Stato, perché ciascuno possa in concreto più agevolmente esercitare il culto della propria fede religiosa”; e n. 346 del 2002.
176 LR Lazio n.27 del 1990.
177 X. Xxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxx, Diritto ecclesiastico europeo, Laterza, Bari-Roma, 2006, 13 e ss..
religiosa, in grado di esprimere chiaramente i principi del gruppo e di relazionarsi con lo Stato.
Ad avviso di parte della dottrina178, sarebbe sufficiente che i gruppi islamici si dotassero di un’”organizzazione minima rappresentativa”, e tale possibilità si rinverrebbe: nell’art. 2 l. n. 1159 del 1929 sui “culti ammessi” in cui si stabilisce che gli istituti dei culti acattolici possono essere eretti in ente morale con D.P.R., su proposta del Ministro dell’Interno; nell’art. 20 della Costituzione; nel R.D. n. 289 del 1930, art. 1 in cui si prevede il diritto per i fedeli di ciascun culto di avere un proprio tempio od oratorio, e art. 10 in cui si prevede il diritto di richiedere la personalità giuridica a qualsiasi interessato.
8. L’edilizia di culto e la giurisprudenza.
8.1. La sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 1993 e la diversità di trattamento tra confessioni religiose nel finanziamento dell’edilizia di culto.
La legislazione regionale, come detto in precedenza, non è risultata affatto uniforme riguardo ai soggetti destinatari del finanziamento dell’edilizia religiosa179
000 X. Xxxxx, Xx moschee ed i ministri di culto, op. cit., 11,12.
179 L’art. 13 della legge della Regione Sicilia del 25 aprile 1985, n. 21, ha previsto la concessione di un contributo senza distinguere fra confessioni religiose, disciplinando le “opere di interesse di enti di culto e di formazioni religiose”, nonché “di enti preposti a servizi pubblici sociali, religiosi e parrocchiali. La legge della Xxxxxxx Xxxxxxxx x. 00 del 13 giugno 1989, ha fatto riferimento alle “autorità competenti, secondo l’ordinamento della confessione religiosa”. L’art. 2, secondo comma, lett. a) della legge della Regione Campania n. 9 del 5 marzo 1990, ha genericamente menzionato l’”ente religioso competente”. Altre leggi regionali hanno privilegiato le confessioni “riconosciute”: L.R. Basilicata n. 9 del 1987, art. 5;
L.R. Val D’Aosta del 2 dicembre 1992, n. 69; L.R. Veneto n. 44 del 20 agosto 1987; L.R. Marche n. 12 del 24 gennaio 1992. Altre regioni hanno previsto il contributo pubblico solo a favore di confessioni che avessero stipulato “un’Intesa ex art. 8, terzo comma della Cost.”: L.R. Piemonte n. 15 del 7 marzo 1989;
L.R. n. 27 del 9 marzo del 1990; L.R. Lombardia n. 20 del 9 maggio 1992; L.R. Calabria n. 21 del 12 aprile 1990; L.R. Abruzzo n. 29 del 16 marzo 1988. Quest’ultima, in particolare, all’art. 3, prevede anche, a proposito di aree destinate ad attrezzature religiose di interesse comune di carattere religioso, che
richiedendosi o la presenza di un’ “intesa” con lo Stato o, almeno una “presenza organizzata” sul territorio.
Con la sentenza del 27 aprile 1993, n. 195 la Corte costituzionale è intervenuta a chiarire la questione180.
In relazione alla legge regionale abruzzese181, che aveva previsto finanziamenti per la costruzione di nuovi edifici di culto, solo per la Chiesa cattolica e per le confessioni religiose che avessero stipulato un’”intesa” con lo Stato, ex art. 8 della Cost., la Corte è intervenuta affermando che: “l’aver stipulato l’intesa, non può costituire un elemento di discriminazione nell’esercizio di una libertà dei cittadini, che consiste nella concreta possibilità di esercitare il culto”, come esplicitato dall’art. 19 Cost.182. La Corte ha anche sottolineato la non afferenza della materia dell’edilizia di culto, con la legislazione contrattata tra Stato e confessioni religiose, individuando i soggetti destinatari dei finanziamenti nelle “confessioni religiose”, ovvero ogni forma di
queste siano ripartite tra le varie confessioni religiose con intesa, proporzionalmente alla loro consistenza, mediante concessione a titolo gratuito del diritto di superficie. Mentre la L.R. Liguria ha modificato la precedente l. n. 4 del 1985 con la l. n. 59 del 1993 perché conteneva la discriminazione per le confessioni senza intesa. La L. R. Friuli Venezia Giulia n. 53 del 23 dicembre 1985, e la L.R. Molise n. 4 del 27 gennaio 1986 prevedevano il privilegio economico solo per la Chiesa cattolica.
180 Sentenza pubblicata in Giurisprudenza costituzionale, 38, 1993, 1324 e ss., con nota di X. Xxxxxx, La sentenza n. 195 del 1993 della Corte costituzionale in materia di finanziamenti all’edilizia di culto, 2151 e ss., e di X. Xx Xxxxxx, Xxxxxxxx pubblici alle confessioni religiose, tra libertà di coscienza ed eguaglianza, 2165 e ss.. Per commenti alla sentenza si vedano anche: X. Xxxxxxx, Un passo avanti a garanzia dell’uguale libertà delle confessioni religiose, “Giurisprudenza italiana”, 100 e ss.; X. Xxxx, Confessioni religiose, eguaglianza e limiti alla legislazione urbanistica regionale, Quaderni di diritto e pol eccl., 1, 1993, 691 e ss., con osservazione di X. Xxxxx; X. Xxxxxxxxx, Corte costituzionale e problematica ecclesaisticistica negli anni novanta, AA.VV., Studi in onore di X. Xxxxxxxxxxx, I, Xxxxx, Padova, 2000, 9-10; X. Xxxxx, Edilizia di culto (libertà delle confessioni), X. Xxxxx (a cura di), Diritto ecclesaistico e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 337 e ss..
181 L.R. Abruzzo, 16 marzo 1988, n. 29, art. 1.
182 Contrari al principio secondo cui di tale libertà non possano godere quei cittadini che aderiscono a confessioni che non abbiano potuto avere o non abbiano voluto un’intesa con lo Stato: X. Xxxxxxxx, Nuove tecniche di pubblici poteri per ostacolare l’esercizio dei diritti di libertà delle minoranze religiose in Italia, AA.VV., La questione della tolleranza e le confessioni religiose, Atti del convegno di studi, Roma
3 aprile 1990, 1991, 97 e ss.; X. Xxxxxx, Confessioni religiose senza intesa e discriminazioni legislative,Dir. e società, 1991, 183 e ss.. Il principio istituzionale da seguire per non realizzare discriminazioni è contenuto nell’art. 8 comma 1: X. Xxxxx, Profili costituzionali delle intese, X. Xxxxxxxxx (a cura di), Le intese tra Stato e confessioni religiose. Problemi e prospettive, Milano, 1978, 38-39; X. Xxxxxxxx, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, Milano, 2008; X. Xxxxxxxxx, Appartenenza confessionale, Padova, 1975, 123 e ss.; X. Xxxxxx, Il problema delle minoranze religiose, AA.VV., La libertà religiosa in Italia, Firenze, 1956, 58 e ss..
organizzazione religiosa interessata all’edilizia di culto, “purché la natura di confessione risulti da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune denominazione”183.
La medesima situazione si era presentata anni addietro in ordine alla necessità di autorizzazione amministrativa per l’apertura di tempi ed oratori delle confessioni di minoranza184: la Corte costituzionale dichiarò illegittima la norma di cui al X.X. 00 febbraio 1930, n. 289, art. 1, in quanto incompatibile con l’esercizio della libertà religiosa prevista dalla Costituzione.
8.2. La sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 2002 e la giurisprudenza amministrativa regionale sul finanziamento dell’edilizia di culto.
La Corte costituzionale non ha esteso gli effetti della sua pronuncia alle altre leggi regionali che regolavano ugualmente la materia185.
183 Contro l’uso generico della denominazione “confessioni religiose”, X. Xxxxx, Edilizia di culto (libertà delle confessioni), X. Xxxxx (a cura di), Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 342, il quale nota anche che “la sentenza, pur richiamando un aspetto della discriminazione formale della legge, ha tuttavia operato una identificazione fra soggetti e realtà diverse che forse il Costituente non aveva voluto”. Gli art.. 19 e 20 della Cost. riguardano, soggetti distinti.
184 Sentenza della Corte costituzionale, 24 novembre 1958, n. 59, Giurisprudenza costituzionale, 3, 1958, 885 e ss. si veda: X. Xxxxxxxxxxx, Note intorno ai ministri dei culti acattolici ed ai poteri dell’autorità in relazione al diritto di libertà religiosa, Il dir. eccl., 70, 1959, II, 27 e ss.; X. Xxxxxxxx, Libertà e potestà delle confessioni religiose, Giurisprudenza costituzionale, 3, 1958, 897 e ss..
185 La Regione Abruzzo si è adeguata aggiungendo alla L.R. 16 marzo 1988, n. 29, art. 1, secondo comma, l’art. 11 L.R. 25 novembre 1998, n. 139. Così anche la Liguria, L.R. 15 dicembre 1993, n. 59, art. 1; il Piemonte, L.R., 17 luglio 1997, n. 39, art. 1. Queste ultime due regioni, hanno dimostrato correttezza costituzionale, pur non essendo tenute alla modifica: G. Zagrebelsky, Correttezza costituzionale, Enc. giuridica, IX Xxxx, 0000. La Regione Molise, ha dapprima – L.R. del 27 gennaio 1986, n. 4 - stabilito finanziamenti per agevolare l’esecuzione di opere pubbliche degli enti locali individuando fra i possibili destinatari dei finanziamenti anche gli enti ecclesiastici cattolici civilmente riconosciuti per la realizzazione di edifici di culto e delle pertinenti opere parrocchiali, escludendo gli enti delle altre confessioni; e poi – L.R. del 21 ottobre 1997, n. 22 – anche successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 195/1993 – ha posto per le confessioni acattoliche, il requisito dell’”intesa” per poter beneficiare del “finanziamento delle attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi, mediante una quota degli oneri di urbanizzazione riscosse dai comuni”.
Essa è infatti di nuovo intervenuta sulla legge regionale della Lombardia del 9 maggio 1992 n. 20, art. 1 concernente “Norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi” dichiarandone costituzionalmente illegittimo l'articolo 1, limitatamente alle parole «i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell'art. 8, terzo comma, della Costituzione, e»186.
Per la sentenza n. 346 dell’8 luglio 2002 - con cui la Corte ha censurato la legge lombarda - le intese “non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8 né per usufruire di benefici loro riservati”, tra i quali, nella specie, l'erogazione di contributi; ne risulterebbero altrimenti violati il divieto di discriminazione (art. 3, primo comma, e art. 8, primo comma della Costituzione), nonché l'eguaglianza dei singoli nel godimento “effettivo” della libertà di culto. La conclusione delle intese è rimessa alla libertà delle confessioni
- le quali possono anche decidere di non realizzarle - nonché alle discrezionalità del Governo – che provvede alla negoziazione e alla stipulazione – e del Parlamento – che provvede alla deliberazione della legge che le recepisce.
I singoli hanno il diritto di essere messi nelle condizioni di esercitare “effettivamente” i diritti di libertà, poiché “l’essenza di un diritto consiste proprio nell’effettivo esercizio da parte del titolare”187: e la libertà religiosa intesa in senso
186Ma anche altre leggi regionali non hanno provveduto all’adeguamento con i principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 195/1993: Lazio, Toscana, Calabria, Valle d’Aosta. Per i commenti sulla sentenza della Corte cost. n. 346 del 2002, pubblicata su Giurisprudenza costituzionale, 47, 2002: X. Xxxxxxxx, Non è l’eguale libertà a legittimare l’accesso a contributi regionali delle confessioni senza intesa, Xxxxxxxx. cost., 47, 2002, 2624 e ss.; X. Xxxxxxxxx, Considerazioni in tema di legislazione regionale sul finanziamento dell’edilizia di culto, Il dir. eccl., 114, 2003, I, 1139 ess.; L. D’Xxxxxx, Eguale libertà ed interesse alle intese delle confessioni religiose: brevi note a margine della sentenza cost. 346/2002, Il dir. eccl., 2004, I, 480 e ss.; G.P. Parolin, Edilizia di culto e legislazione regionale nella giurisprudenza costituzionale: dalla sentenza 195/1993 alla sentenza 346/2002, Giurispr. ital., 2003, cc. 351 e ss..
187 X. Xxxxxxx, Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale, Roma, 1993, 149.
positivo esige che la garanzia del diritto alla parità di chances (Chancengleichkeit) di tutte le confessioni, costituisca la regola e il limite dell’interventismo statale188.
Il problema presente in Costituzione circa la mancanza di un criterio per individuare le confessioni religiose non deve essere, ad avviso della Corte, confuso con la decisione di addivenire o meno ad un’intesa. Ciò nel rispetto dell’art. 3 della Cost. sul divieto di discriminazione dei singoli e dell’art. 8, primo comma, sui quali “esercita una evidente, ancorché indiretta, influenza la possibilità delle diverse confessioni di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge in esame”.
La sentenza si riferisce successivamente a diversi criteri di individuazione delle “confessioni religiose”, “non vincolati alla semplice autoqualificazione”, ma che vengono utilizzati nell’esperienza giuridica: la Corte richiama la sentenza n. 195 del 1993, secondo cui, in assenza di un’intesa, la natura di confessione religiosa potrà risultare da “precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione”.
La Regione Lombardia ha emanato successivamente una nuova legge189 che ha completamente sostituito la precedente: tuttavia, la pronuncia della Consulta è risultata egualmente elusa in quanto, si richiede che la confessione religiosa possa essere considerata tale in base a dati desumibili dall’ordinamento, che abbia una presenza diffusa e stabile nel territorio del Comune, e soprattutto, che via sia una Convenzione tra Comune e confessione interessata190.
188 X. Xxxxxxxxxx, Libertà religiosa e confessioni di minoranza. Tre indicazioni oprative, Quad. dir. e pol. eccl., 1997, 83-84.
189 L.R. Lombardia dell’ 11 marzo 2005, n. 12.
190 L.R. Lombardia dell’11 marzo 2005, n. 12, art. 70, commi 1° e 2°. La posizione della legislazione lombarda è ancor di più aggravata dalla modifica avvenuta con l. del 14 luglio 2006, n. 12, art. 1, in cui si è aggravata la posizione di tutte le confessioni diverse dalla cattolica: i mutamenti di destinazione d’uso di immobili finalizzati alla creazione di luoghi di culto, sono assoggettati al permesso di costruire anche se non comportano la realizzazione di opere edilizie, e non è più utilizzabile la semplice denuncia di inizio attività. Si veda in proposito anche la proposta di legge avanzata da alcuni deputati della Lega Nord, presentata il 26 marzo, 2004, Disposizione per la realizzazione di nuovi edifici dedicati ai culti ammessi, xxx.xxxx.xx. X. Xxxxxxxxx, Come la xenofobia si traduce in legge: in tema di edifici di culto, xxx.xxxx.xx. Ma per X. Xxxxxxxx, op. cit., Il richiamo effettuato dalla Corte alle confessioni religiose genera tuttavia delle problematiche riguardanti le competenze: con la riforma accennata, la contrattazione con le confessioni religiose spetta esclusivamente allo Stato (art. 117, lett. c.). Utilizzando quella
Anche i tribunali amministrativi regionali si sono occupati del divieto di discriminazione tra confessioni in ordine al finanziamento dell’edilizia di culto.
Da segnalare la sentenza del Tar Veneto, I, 17 maggio 2007, n. 1498191, che ha annullato il rifiuto di finanziamento della regione per la costruzione di un edificio di culto della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, “in quanto confessione religiosa non organizzata ai sensi degli articoli 7 e 8 della Costituzione”. Per il Tribunale amministrativo regionale, non è necessaria l’intesa ai fini del rilascio del contributo, ma è sufficiente la presenza di un’organizzazione ai sensi dell’art. 8, secondo comma della Cost.. La congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova ha ottenuto il riconoscimento giuridico alla stregua della l. 1159 del 1929 sui culti ammessi, e tale requisito può essere ritenuto sufficiente ai fini del finanziamento.
In senso conforme: la sentenza del TAR Liguria dell’ 11 maggio 1999, n. 229192 che ha ritenuto manifestamente infondata, con riferimento all’art. 8 Cost., la questione di costituzionalità dell’art. 5 della l.r. Liguria 24 gennaio 1985, n. 4, come modificato dalla legge regionale 15 dicembre 1993, n. 59, nella parte in cui, in sede di ripartizione dei contributi di urbanizzazione secondaria dovuti annualmente dai Comuni, non pone sullo stesso piano le confessioni religiose, ma tiene conto della loro consistenza. La sentenza del TAR Veneto del 9 maggio 2001, n. 1151193, che ha considerato gli interventi pubblici a sostegno dell’edilizia, come mezzi che incidono positivamente sull’esercizio in concreto del diritto - fondamentale e inviolabile - di libertà religiosa e, in particolare, sul diritto di professare la propria fede religiosa e di esercitarne in privato o in pubblico
denominazione si rischia di estromettere gli enti locali da competenze ormai definite (l’urbanistica è attribuzione regionale). La Corte inoltre, non ha previsto l’estensione della pronuncia alle altre leggi che disciplinano la stessa materia nel medesimo modo: L.R. Calabria n. 21 del 1990. L.R. Lazio n. 27 del 1990; L.R. Liguria n. 4 del 1985; L.R. Piemonte n. 15 del 1989.
191 In xxx.xxxx.xx. Contro questa impostazione del Tar, si veda: X. Xxxxxxxx, La legislazione regionale, AA.VV. (a cura di X. Xxxxxxx), Gli edifici di culto tra Stato e confessioni religiose, AA.VV., Milano, 2008, 101 e ss.. L’A. nega che il secondo comma dell’art. 8 possa costituire un requisito di riconoscimento e di distinzione per le confessioni religiose. La sola distinzione fra di esse può essere realizzata in virtù del terzo comma dell’art. 8 Cost.. Il Tar si è sostanzialmente uniformato ad una precedente decisione – Tar Veneto, I, 12 maggio 2001, n. 1155, Quad. dir. e pol. eccl., 2002, 704 e ss., mentre avrebbe dovuto scegliere la via, anche se più lunga, del giudizio costituzionale.
192 Pubblicata in xxx.xxxx.xx.
193 Pubblicata in xxx.xxxx.xx.
il culto. Qualsiasi discriminazione in danno di una confessione “senza intesa” è inammissibile.
La sentenza del TAR Veneto del 12 maggio 2001, n. 1155194, ha ritenuto illegittimo il provvedimento con cui si è denegato alla Congregazione e alla Associazione dei Testimoni di Geova il rilascio dei contributi regionali “in quanto l’agevolazione non può essere subordinata alla condizione che il culto si riferisca ad una confessione religiosa la quale abbia chiesto e ottenuto la regolamentazione dei propri rapporti con lo Stato; ed, ancora, gli interventi pubblici in questione vengono ad incidere positivamente proprio sull’esercizio in concreto del diritto fondamentale e inviolabile della libertà religiosa ed in particolare sul diritto di professare la propria fede religiosa in forma individuale e collettiva e di esercitare in privato o in pubblico il culto.
8.3. La realizzazione di edifici delle confessioni di minoranza nella giurisprudenza amministrativa. Le pronunzie della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Due note decisioni delle Corti Americane.
La giurisprudenza ha avuto varie occasioni di esaminare il rapporto tra diritto di edificare, gestione urbanistica delle aree da parte dei pubblici poteri e diritto di libertà dei singoli di godere di spazi adeguati per la pratica di culto195.
Il Consiglio di Stato, con sentenza del 29 settembre 1965, n. 978, ha interpretato il rifiuto opposto alle Assemblee di Dio in Italia, del rilascio dell’autorizzazione all’acquisto a titolo gratuito di un’area per la costruzione di un oratorio196 - per la
194 Pubblicata in xxx.xxxx.xx.
195 Già prima delle due sentenza sopra citate, la Corte costituzionale, con decisione n. 59 del 1958, si è espressa favorevolmente circa l’apertura di luoghi di culto delle confessioni di minoranza dichiarando la illegittimità dell’autorizzazione amministrativa per l’apertura di templi e oratori.
Corte costituzionale, sent. del 24 novembre 1958, n. 59, Giurispr. Cost., 1958, 885 e ss..
196 X. Xxxxxxx, L’autorizzazione agli acquisti degli enti ecclesiastici, Contratto e Impresa, 1996, 139 e ss..
X. Xxxxxxxx, L’evoluzione della disciplina delle persone giuridiche e l’autorizzazione agli acquisti (1850- 1991), 53 e ss., e X. Xxxxxxx, Il contesto normativo attuale e le prospettive di evoluzione della disciplina
mancanza, nella zona considerata, di un gruppo di fedeli aderenti alla confessione – come un “eccesso di potere” dell’Amministrazione pubblica197.
Il Tar Veneto, con sentenza dell’11 maggio 1987, n. 401198 - confermata in appello dal Consiglio di Stato, V, 1° giugno 1992, n. 489199 - ha stabilito che la costruzione di un centro religioso dell’Associazione cristiana dei Testimoni di Geova costituisce “opera di urbanizzazione secondaria” indipendentemente dalla sua attinenza, sotto il profilo delle dimensioni, al quartiere nel quale sorge, con conseguente esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione , in base all’art. 9, lett. f., l. 28 gennaio 1977, n. 10, all’epoca applicabile200.
dell’autorizzazione agli acquisti, 135 e ss., in X. Xxxxxxxxx (a cura di), L’autorizzazione agli acquisti degli enti ecclesaistici e degli altri enti senza fini di lucro, Milano, 1993.
197 In Il Foro it., 1965, III, 511 ess..
198 In Quad. di dir. e pol. eccl., 1990, 114 e ss., con nota di X. Xxxxx, Edilizia di culto, 101 e ss..
199 Il Foro amm., 1992, 1359 e ss.. Per un commento alla sentenza, X. Xxxxx, Edilizia di culto tra discrezionalità “politica” e “amministrativa”, Il dir. eccl., 1995, II, 363 e ss..
200 Ancora relativamente alla non-onerosità della concessione edilizia: TAR Veneto 12 giugno 1999, n. 929, in xxx.xxxx.xx, ha stabilito che l’esenzione del contributo prevista dall’art. 9 lett. f), l. n. 10 del 1977, è ammessa soltanto per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche dai privati, in attuazione di strumenti urbanistici. Pur essendo incluse le chiese e gli altri edifici religiosi, tra le opere di urbanizzazione secondaria, la qualità di edifici religiosi, ovvero funzionalmente connessi alle pratiche di religione, presuppone che questa sia la destinazione principale dell’edificio. La predetta disposizione non è pertanto applicabile nel caso della realizzazione di un fabbricato ad uso case per ferie, ad opera di una parrocchia, in quanto opera non di interesse generale ma destinata alla fruizione di un numero delimitato di soggetti, realizzata da un soggetto privo di potestà pubblicistica derivata e non costituente opera di urbanizzazione eseguita in attuazione di strumento urbanistico. Consiglio Stato, I, 27 giugno 2001 , n. 62751, in xxx.xxxx.xx: È illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione con il quale viene denegata la restituzione del contributo di opere di urbanizzazione versato per il rilascio di una concessione edilizia richiesta per la realizzazione di un edificio da destinare al culto . In tal caso infatti deve essere applicata l'esenzione prevista dall'art. 9, comma 1, lett. f), della l. 28 gennaio 1977 n. 10, per la realizzazione di opere di interesse generale, tali dovendosi considerare tutti gli edifici direttamente destinati alla fruizione della collettività dei fedeli, indipendentemente da ogni denominazione. TAR Puglia 17 luglio 2002, n. 3391, in xxx.xxxx.xx: ai fini dell’esenzione contributiva, ex art. 9, l. n. 10 del 1977, occorre che l’opera da costruire sia pubblica o di interesse pubblico e venga realizzata o da un ente pubblico o da altro soggetto per conto dell’ente proprietario dell’immobile sia soggetto a personalità giuridica privata di alcun collegamento con la P.A.. Sulla natura onerosa della concessione edilizia: TAR Marche 8 luglio 2003, n. 899, xxx.xxxx.xx: la concessione edilizia per la realizzazione di un edificio di culto, che sia compatibile con gli strumenti urbanistici in vigore, è da rilasciarsi a titolo oneroso, non essendo applicabile l’art. 9 della l.. 28 gennaio 1977, n. 10, secondo cui il contributo concessorio non è dovuto per le opere di urbanizzazione eseguite in attuazione di strumenti urbanistici. La compatibilità della nuova struttura edilizia con la disciplina urbanistica dettata per la zona è, infatti, cosa diversa dalla
Il TAR Sicilia, con la sentenza del 25 giugno 2002, n. 1122, ha respinto la tesi circa la possibilità di far sorgere una chiesa solo in un’area omogenea specifica del piano regolatore201; le parrocchie sono state considerate compatibili con la destinazione residenziale delle aree202.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 14 dicembre 2004, n. 8026203 ha affermato l’ammissibilità della costruzione di edifici di culto in zone destinate dallo strumento urbanistico comunale a residenza e attività terziarie e ricettive ma anche ad attrezzature pubbliche o collettive; il Tar Friuli-Venezia Giulia, con sentenza del 22 dicembre 2001, n. 896204 ha dichiarato la illegittimità di norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale, gravemente limitative della possibilità di realizzare in generale opere di urbanizzazione.
circostanza che tale struttura costituisca attuazione dello strumento urbanistico, il che presuppone che lo strumento stesso abbia previsto l’opera come infrastruttura necessaria alla qualificazione della zona.
201 In Il foro amm., 2002, 2705 e ss., con nota di X. Xxxxxxx, Libera Chiesa in libera zona?.
202 In riferimento alla compatibilità tra opera da realizzare e implicazioni urbanistiche, Consiglio di Stato, 28 giugno 2004, n. 4790: ai fini dell’impugnazione di una concessione edilizia, la condizione dell’azione rappresentata dalla “vicinitas”, ossia da uno stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dall’intervento assentito, va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell’opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla “qualità della vita” di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera. Così anche in Consiglio di Stato, 31 maggio 2007, n. 2849, in xxx.xxxx.xx., a favore della Chiesa Cristiana Evangelica.
203 In, Consiglio di Stato, 2004, I, 2611 e ss.. L’edificio di culto rientra tra le attrezzature “pubbliche" o “collettive”, cui sono destinate “adeguate aree”, individuate in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali. Pertanto il diniego di concessione edilizia di un edificio di culto dei Testimoni di Geova è legittimo, in quanto l'inserimento di un'area in zona urbanistica B2 di p.r.g., per la quale lo strumento urbanistico prevede la destinazione a "residenza", "attività terziarie e ricettive" ed altre minori, ma non anche ad attrezzature “pubbliche" o “collettive”, non consente che nella zona possa essere realizzato un edificio di culto. L'utilizzazione ad “attrezzature collettive” degli immobili da costruire è rilevante sia ai fini della suddivisione del territorio comunale in zone omogenee, sia, e necessariamente, ai fini del rilascio della concessione edilizia, giacché, altrimenti, verrebbero vanificate le scelte emerse in sede di pianificazione. Anche per quanto riguarda la realizzazione materiale di opere di interesse collettivo, dunque, l’esercizio delle tradizionali facoltà proprietarie risulta costretto nel vigente sistema della pianificazione, nel quale, come è noto, spetta al pubblico potere (in specie al Comune) governare ed ordinare il territorio, con l’obiettivo di razionalmente programmare ed indicare (anche) quelle zone, in cui si collocano le attività di interesse collettivo, con conseguente conformazione del tanto discusso “ius aedificandi”. Né potrebbe validamente affermarsi che su un’area di sua proprietà, il soggetto privato possa realizzare, senza alcun costo né diretto né indiretto a carico di terzi, una scuola, un impianto sportivo, un centro sociale, una chiesa od un edificio per servizi religiosi.
204 In, Tribunali amministrativi regionali, 2002, I, 614.
Un importante sentenza a difesa della congregazione dei Testimoni di Geova è ancora quella del Consiglio di Stato, V, 13 dicembre 2005, n. 7078205. Il supremo giudice amministrativo, riunendo ben tre ricorsi - tra i quali quello per l’annullamento del provvedimento del sindaco di Ortisei di demolizione di un edificio di culto sito in zona agricola – ha affermato che la modifica della destinazione dell’edificio non è in alcun modo offensiva degli interessi pubblici tutelati dalle norme. In punto di stretto diritto, gi edifici di culto integrano “opere di urbanizzazione secondaria” che possono essere realizzate in ogni area del territorio comunale, cosicché la destinazione agricola non costituisce ostacolo alla loro costruzione206. Inoltre non può negarsi di riservare anche alla congregazione locale dei Testimoni di Geova, così come previsto dal piano urbanistico locale, un’area per la realizzazione di un proprio edificio di culto.
Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha avuto occasione di pronunciarsi circa l’utilizzazione di luoghi di culto da parte di confessioni acattoliche.
205 In xxx.xxxx.xx, e, in stralcio, in Quad. dir e pol. eccl., 2006, 722 e ss.. Già in precedenza, il TAR Veneto, con sentenza del 23 marzo 2001, n. 857, in xxx.xxxx.xx, si era espresso in favore dell’accoglimento del ricorso proposto dall’Associazione dei Testimoni di Geova di Noale avverso il diniego di concessione edilizia da parte del Comune di Noale, e nei confronti della Commissione edilizia la quale, nell’adozione della variante generale del Piano Regolatore Generale, non ha previsto che nelle zone “F” – aree per attrezzature di interesse comune – fosse prevista l’ubicazione di nuovi edifici di culto, compatibili con la destinazione di “attrezzature sociali”, giacché una diversa interpretazione porterebbe a conseguenze inammissibili per contrasto con l’art. 19.
206 In senso conforme, Tar Sicilia, 27 marzo 2008, n. 411, xxx.xxxx.xx: alla chiesa evangelica Eben Ezer, era stato negato il permesso di costruire un edificio di culto in un’area destinata a verde agricolo dal piano urbanistico locale. Ad avviso del tribunale amministrativo, la realizzazione di edifici e strutture destinate al culto, rientra tra le attività sociali e di promozione umana, a cui la nostra Carta Costituzionale offre particolare rilievo e tutela, sia in quanto esplicazione del diritto di professare la propria fede religiosa anche in forma associata (art. 19), sia più in generale quale oggetto di una formazione sociale nella quale svolgere la personalità umana (art. 2). Nella fattispecie, non esisteva, una ragione impeditiva per prevedere una “motivata eccezione”, “comunque legislativamente prevista”, derivante dalla specialità del diritto da proteggere (anche se nel caso di specie non si poteva ravvisare un vincolo di assoluta immodificabilità del terreno). Si veda anche il Tar Bolzano, 15 maggio 2008, n. 172, in xxx.xxxx.xx: è legittimo il diniego dell'Amministrazione comunale alla realizzazione di una "cappelletta votiva" su di un'area destinata a verde agricolo. Nel caso di specie, il giudice adito ha ritenuto infondata la doglianza della ricorrente secondo cui la destinazione a verde agricolo di un’area non costituirebbe valido motivo per impedire la realizzazione di un edificio di culto che, quale opera di “infrastrutturazione secondaria” risponderebbe ad un interesse pubblico primario dell’Amministrazione comunale, pertanto non assoggettato, né subordinato alle destinazioni urbanistiche impresse dal piano regolatore generale.
Nella causa Xxxxxxxxxxx e altri contro Grecia207, la Corte ha riscontrato una violazione della Convenzione208 nella condanna inflitta – pena detentiva e pena pecuniaria – per l’utilizzazione come luogo di preghiera dei Testimoni di Geova, di un locale già esistente e preso in locazione, senza l’autorizzazione del Ministro dei culti. Alla condanna aveva fatto seguito la chiusura della sala e l’apposizione dei sigilli da parte della polizia209.
Un altro ormai famoso caso riguardante l’apertura di luoghi di culto, è l’affare Vergos contro Grecia, riguardante l’apertura di luoghi di preghiera da parte degli ortodossi veri, adepti del calendario guliano (paleoimerologites), su un terreno di loro proprietà. La Corte europea, confrontando il diritto di libertà religiosa con l’esigenza di una razionale utilizzazione del territorio, ha negato la violazione del diritto, affermando che in quel Comune, l’interessato era l’unico fedele della confessione ortodossa vera, peraltro risultante già in possesso di un luogo di culto in altro Comune limitrofo210.
Il problema dell’apertura dei luoghi di culto è stato affrontato anche oltre i confini europei. Nel Caso Islamic Center of Mississippi v. City of Starkville, Mississippi (23 marzo 1988), (per informazioni su questi casi: xxx.xxxx.xxx) , si è ritenuto che il divieto di realizzare entro i limiti della città, per ragioni urbanistiche, un luogo di preghiera islamico, tanto da costringere gli interessati ad estenuanti viaggi per
207 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, I, 26 settembre 0000, Xxxxxxxxxxx e altri c. Grecia, Revue Trimestrielle des droits de l’homme, 1997, 521 e ss., con nota di X. Xxxxxxxx, Les entraves à l’ouverture de “maison de priore” en Grèce, ivi, 536 e ss.. X. Xxxxxxxx, La Corte europea e lo status delle minoranze religiose in grecia, Il dir. eccl, 1997, II, 123 e ss.; X. Xxxxxxxx, Una seconda sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla libertà di religione in Grecia, Quad. dir. e pol. Eccl., 1997, 753 e ss..
208 Roma, 4 novembre 1950 e autorizzata dalla l. 4 agosto 1955, n. 848.
209 Si veda anche il caso Pentidis c. Grecia, affare n. 59 del 1996, 678/868, riguardo all’utilizzo, senza autorizzazione, di locali assunti in locazione dai Testimoni di Geova, come luoghi di preghiera (in seguito sigillati dalla polizia di Alexandroupolis). In Cassazione, i soggetti erano stati condannati ad una ingente pena pecuniaria (sent. n. 1204 del 1993). Gli interessati si rivolgevano alla Commissione europea per violazione dell’art. 9 della Convenzione, ma essendo, nel frattempo, stato deciso il caso Xxxxxxxxxxx c. Grecia, il Ministero dell’educazione nazionale, rilasciava loro l’autorizzazione all’apertura del luogo di culto. I richiedenti chiedevano poi alla Corte Europea la cancellazione della causa dal ruolo, ma la stessa, pur accogliendo il ricorso, non si pronunciava sul merito, tuttavia ricordando che nell’affare Xxxxxxxxxxx, essa si era espressa favorevolmente per l’applicazione della legislazione ellenica si Testimoni di Geova, precisando gli obblighi assunti dalla Grecia (Corte europea, 9 giugno 1997, in xxx.xxxx.xx)..
210 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, I, 24 giugno 2004, Vergos c. Grecia, xxx.xxxx.xx.
raggiungere un luogo di culto limitrofo, costituisce un onere eccessivo per la libertà di religione. Infatti, il Religious Freedom and Restoration Act del novembre 1993, ha regolato finalmente i casi di limitazioni incidentali dell’esercizio religioso derivanti da leggi. Più recentemente, il Religious Land and Institutionlized Person Act, del 22 settembre 2000, ha considerato la disponibilità di luoghi di culto come il nucleo centrale del libero esercizio della libertà religiosa e come un indispensabile complemento della libertà di riunione per scopi religiosi. Inoltre, tale legge, ha vietato che i poteri di governo del territorio possano discriminare le confessioni religiose imponendo loro delle restrizioni sostanziali non corrispondenti a reali interesse pubblico, in altro modo non perseguibili. Nel caso giudiziario Freedom Baptist Church
x. Xxxxxxxx of Xxxxxxxxxx, il dirigente comunale preposto all’urbanistica, aveva contestato ad una piccola comunità di fedeli l’uso di un locale a scopo di culto, sito al primo piano di un edificio, ha invocato la violazione della regolamentazione urbanistica locale che non ammetteva luoghi di culto in quella zona. Il processo si è concluso il 15 novembre 2002 con una sentenza di accordo delle parti, in cui il comune si è impegnato a rivedere la propria pianificazione territoriale211.
9. Proposte di legge sulla libertà religiosa: scissione tra diritto all’esercizio del culto, e disponibilità oggettiva di strutture edilizie adeguate. Critiche.
La disponibilità di edifici di culto e la possibilità di costruirne di nuovi, costituisce, come si è visto, un aspetto della libertà individuale di religione, nella sua dimensione collettiva di esercizio associato del culto. Essa, dunque, anziché essere disciplinata dalle singole intese, dovrebbe essere oggetto di una legge generale applicabile a tutte le confessioni religiose.
211 Si veda xxx.xxxxxxxxxx.xxx: l’organizzazione non profit Xxxxxx Fund for Religious Liberty, si propone di difendere, giudizialmente, presso l’opinione pubblica e in sede accademica, la libertà di religione di tutte le confessioni religiose).
I progetti di leggi finora presentati212, indicano, come destinatari del diritto di disporre o di costruire luoghi di culto, le “confessioni religiose”, e non i singoli fedeli.
La I Commissione della Camera dei Deputati, nella seduta del 4 luglio 2007, ha adottato come testo base per una nuova proposta di legge “Norme sulla libertà religiosa”, del relatore, xx. Xxxxxxxx, con incluse delle novità rispetto ai testi presentati in precedenza.
Il Capo I (artt. 1-14) è dedicato alla “Libertà di religione”, che include il diritto di esercitare il culto. L’art. 5, -“Libertà delle confessioni religiose” - stabilisce che esse hanno il diritto di “costruire o di destinare edifici all’esercizio del culto, nel rispetto delle norme urbanistiche”. Il Capo II (artt. 16-21) riguarda le “Procedure per l’iscrizione nel registro delle confessioni religiose”. Il Capo III (artt. 22-29) stabilisce i “Diritti delle confessioni iscritte nel registro: in particolare, l’art. 23 rubricato “Edifici di culto”, al comma 1 recita: “Le confessioni iscritte nel registro delle confessioni religiose che abbiano una presenza organizzata nell’ambito del Comune, possono adibire al culto edifici esistenti, di cui sia cessata la specifica destinazione precedente, o costruire nuovi edifici da destinare al medesimo uso, anche in deroga alle norme urbanistiche, ove irragionevolmente limitative, e comunque nel rispetto della normativa
212 Il 4 novembre 1990 il Consiglio dei ministri ha deliberato il disegno di legge recante Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui “culti ammessi”, Quad. dir. e pol. eccl., II, 1990, 530 e ss.. successivamente, sempre con lo stesso titolo fu deliberato il ddl. N. 3947, 3 luglio 1997, dal Governo Xxxxx, Dall’Accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa. Un quindicennio di politica e legislazione ecclesiastica; ddl. N. 2531, 18 marzo 2002, dal Governo Xxxxxxxxxx, Quad. dir. e pol. eccl., 2002, 593 e ss.: esso fu esaminato dalla I Commissione permanente Affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni, insieme alla proposta di legge n. 1576 del 14 settembre 2001 dei deputati Spini e altri, e alla proposta di legge n. 1902 del 6 novembre 2001 d’iniziativa del deputato Xxxxxxxx. Per commenti al ddl. 2531, X. Xxxxxxxx (a cura di), Dalla legge sui culti ammessi al progetto di legge sulla libertà religiosa (1° marzo 2002), Atti del convegno di Ferrara del 26-26 ottobre 2002, Jovene, Napoli, 2004. Il 28 aprile 2006 l’on. Spini e altri presentarono il pdl. n. 134 e l’on. Boato e altri il pdl. n. 36: essi stabilivano che la libertà delle confessioni religiose comprende anche la libertà di celebrare i riti purché non in contrasto con il buon costume, nonché di aprire edifici per l’esercizio del culto (art. 15). Entrambi i progetti di legge, decaduti con la fine anticipata della legislatura, pongono quest’ultimo articolo nel Capo II, dedicato alle Confessioni e associazioni religiose; mentre il Capo I, è dedicato alla Libertà di coscienza e di religione, che riguarda la libertà, tra le altre cose, di esercitarne il culto, in privato e in pubblico. I progetti di legge operano una scissione tra diritto all’esercizio del culto, considerato come contenuto della libertà individuale di religione dei singoli soggetti, e la disponibilità delle strutture edilizie strumentali all’esercizio del culto, riconosciuta solo alle confessioni religiose.
in materia di parametri urbanistici, di sicurezza e di accessibilità degli edifici aperti al pubblico”.
La nuova disposizione si concentra sulla necessità di iscrizione della confessione religiosa e del relativo ente esponenziale in un apposito nuovo registro, cui consegue il riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili. Oltre alla sede in Italia e alla rappresentanza da parte di un cittadino italiano avente residenza italiana, la nuova norma richiede uno statuto e una documentazione che presentino: le norme di organizzazione, di amministrazione e di funzionamento, gli elementi essenziali, i documenti comprovanti la stabilità, le caratteristiche concrete dell’organizzazione, la presenza organizzata a livello comunale, la consistenza patrimoniale in relazione alle finalità da perseguire, oltre ai requisisti di cui all’art. 16 del cod. civ., delle confessioni religiose.
La proposta di legge mira a far riconoscere il diritto in oggetto solo alle confessioni religiose che abbiano “una presenza certa e organizzata” sul territorio, e non a semplici comunità di fedeli213.
La proposta di legge introduce dunque ben quattro regimi giuridici differenziati: quello riservato alla Chiesa cattolica; quello delle confessioni che abbiano stipulato un’intesa con lo Stato alla quale sia seguita una legge; quello delle confessioni iscritte nel registro delle persone giuridiche ma senza intesa con lo Stato; quello delle confessioni non iscritte nel registro delle persone giuridiche.
In realtà, il provvedimento statale di iscrizione, ancorato al controllo sulla opportunità della medesima, dovrebbe considerarsi privo di fondamento costituzionale214. Infatti, nel testo di legge, il parere del Consiglio di Stato ha carattere
213 La discriminazione tra confessioni munite o meno di intesa con lo Stato, viene sostanzialmente riproposta in una nuova veste: quella della discriminazione tra confessioni iscritte o meno nel registro delle persone giuridiche. X. Xxxxxxxx, La legislazione regionale, op. cit., 144.
214 Sul medesimo argomento, si veda la sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo, del 15 febbraio
2001, n. 46, secondo cui lo Stato, non è abilitato al controllo della legittimità delle credenze religiose o sulle modalità di espressione di esse, ma solo a “constatare” che l’entità non è tra quelle escluse dall’iscrizione nel registro. Così anche, X. Xxxxxx Xxxxx, La inscripciòn en el Registro de entidades religiosas. Comentario a la sentencia de la audiencia Nacional de 11 octubre 2007, Stato Chiese e pluralismo confessionale, http:/xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxxx/0000.0/xxxxxx_xxxxxxxxxxxxx.xxx, 5.
facoltativo, ed è richiesto dal Ministro dell’Interno215 solo in caso di dubbi motivati sull’esistenza dei requisiti; inoltre il silenzio prolungato per oltre centoventi giorni dalla domanda, equivale ad accoglimento della domanda stessa.
Un aspetto innovativo della legge, si può cogliere nella disposizione che legittima le confessioni religiose, iscritte nel registro, a derogare le norme urbanistiche ove irragionevolmente limitative216.
La libertà religiosa viene in questo modo, ad essere garantita anche nel suo aspetto di diritto ad edificare luoghi per il culto oltre le eventuali previsioni discriminatorie del potere pubblico.
In questo, si può altresì notare un aspetto migliorativo e positivo rispetto alle disposizioni attuali di legge, che legittimano le autorità locali a valutare l’opportunità di concedere spazi per l’edilizia alle confessione richiedenti, senza subire alcun limite sul potere discrezionale esercitato.
215 Art. 16, secondo comma.
216 Art. 23, primo comma. In senso critico, X. Xxxxxxxx, La legislazione regionale, op. cit., 145-146, secondo cui la formulazione testuale della norma dovrebbe essere migliorata. Occorre infatti, intendere per norme urbanistiche, non le leggi statali o regionali, come si sarebbe pronti a pensare, ma soltanto le prescrizione della pianificazione urbanistica locale.
CAPITOLO TERZO. Il concetto di edificio di culto nel diritto della Chiesa.
1. Il concetto di edificio di culto: terminologia e funzione. 2. Tipologie di chiese. 3. Erezione di una chiesa. Consenso del Vescovo e posa della prima pietra. 4. Dedicazione e benedizione di un edificio di culto. Effetti giuridici. Titolo di una chiesa. 5. La profanazione e la riduzione ad uso profano di un luogo sacro. 6. Uso di una chiesa. Esercizio del culto. Cura dei luoghi. Beni sacri e preziosi. Ingresso libero e gratuito.
1. Il concetto di edificio di culto: terminologia e funzione.
Il codice civile, nella normativa relativa agli edifici di culto, rinvia indirettamente al diritto della Chiesa. Con ciò non si intende dire che vi sia analogia nella disciplina di tali locali, e non ogni edificio che sia destinato al culto per il diritto canonico, lo è anche per il diritto statale ai fini di una regolamentazione civile217.
Nessuna norma statale invero, opera esplicitamente o implicitamente tale rinvio: le norme canoniche sono dal diritto italiano “riconosciute in xxx xxxxxxxxx”, xxxx supposte come esistenti nel momento in cui “il processo di loro attuazione si compie e si iniziano le situazioni che il diritto italiano intende regolare”218. Non vi è trasposizione di disciplina giuridica da uno all’altro ordinamento, ma “la deputatio ad cultum operato dall’autorità ecclesiastica costituisce solo il presupposto di fatto necessario allo Stato per farne derivare conseguenze di diritto civile”219.
E’ tuttavia innegabile che per determinare quando un edificio sia sacro, si debba guardare necessariamente all’ordinamento della Chiesa.
217 X. Xxxxxxxxx, Nozione giuridica di edificio destinato al culto, Milano, 1959, 20 e ss..
218 X. Xxx Xxxxxxx, Manuale di diritto ecclesiastico, Milano, 1939, 107.
219 Sul rinvio per presupposizione, P.A. D’Avack, La posizione giuridica del diritto canonico nell’ordinamento italiano, Arch. dir. eccl., 1939, 205 e ss..
Il termine “edifici di culto” deriva dal linguaggio civile e concordatario ed è del tutto sconosciuto al codice di diritto canonico, che usa i termini di “chiesa” e di “luogo” sacro.
Il Codice del 1917 definiva la chiesa come “un edificio sacro dedicato al culto divino, con il fine principale di servire alla celebrazione del culto pubblico da parte di tutti i fedeli”220, mentre l’oratorio era il “luogo destinato al culto, ma non allo scopo principale di servire a tutti i fedeli per la pubblica pratica della religione221. Gli oratori erano di tre specie: pubblici, semi-pubblici e privati.
Difficilmente poteva distinguersi, giuridicamente, tra chiesa e oratorio pubblico, eretto per sé a vantaggio di una particolare comunità o anche di privati, con il diritto, riconosciuto a tutti i fedeli, di accedervi liberamente, almeno durante la celebrazione degli uffici divini.
Il Gruppo di studio De locis et temporibus sacri deque cultu divino, incaricato della revisione dei canoni sugli edifici di culto, per la promulgazione del nuovo codice di diritto canonico222, ebbe il compito di chiarire la suddetta distinzione. Alla prima sessione di lavori vennero raggruppati le chiese e gli oratori pubblici, denominati col nome di “chiese”; gli oratori semi-pubblici divennero gli “oratori”, mentre gli oratori privati, i “sacelli privati”.
Venne così approvata la seguente definizione: “Col nome di chiesa si intende un edificio sacro, dedicato al culto divino, ove i fedeli abbiano il diritto di entrare per esercitare soprattutto pubblicamente tale culto”223.
Nella stessa discussione venne chiarita la nozione di oratorio, inteso come “luogo destinato, su licenza dell’Ordinario, al culto divino in favore di una comunità o di un gruppo di fedeli, al quale luogo possono accedere anche altri fedeli con il consenso del
220 “Ecclesiae nomine intelligitur aedes sacra divino culti dedicata eum potissimum in finem ut omnibus Christifidelibus usui sit ad divinum cultum publice exercendum” (can. 1161, c.j.c. 1917).
221 “Oratorium est locus divino culti destinatus, non tamen eo potissimum fine ut universo fidelium populo usui sit ad religionem publice exercendum” (can. 1188, c.j.c. 1917).
222 X. Xxxxxxx, Edifici di culto nella legislazione canonica e concordataria in Polonia, TGDirCan 46, Roma, 2000, 11-53: sulla revisione dei canoni del c.j.c. del 1917 sugli edifici di culto.
223 Can. 1214, c.j.c. 1983.
superiore” e venne resa la distinzione dal sacello privato, cioè “il luogo destinato al culto divino in favore di una o più persone fisiche” 224.
Nel Nuovo Testamento, il mistero della salvezza di Cristo è la costituzione di un nuovo popolo di Dio, una riunione, nell’unità dei figli di Dio dispersi (Giov 11,52), un’assemblea: la Chiesa (Matt 16,18-20). Essa è un corpo, un nuovo tempio, è la sposa di Cristo, in cui i cristiani sono incorporati mediante il battesimo. L’Assemblea liturgica è la più esplicita manifestazione della devozione a Dio: non vi è più il tempio materiale costruito da mano umana, perché Dio abita negli uomini, fatti templi di Lui.
l’assemblea cristiana è la ragion d’essere della chiesa-edificio, che “incarna” la “casa del popolo di Dio”. Non si tratta di edificio creato per degli spettatori, ma di luogo per la partecipazione all’azione liturgica225.
Il termine ekklesia significa assemblea in atto, e riconduce alla assemblea di Yahvè. La chiesa è l’assemblea del popolo di Dio, in cui il Signore è presente, perché i fedeli sono radunati in nome Suo. Il luogo di culto diventa dunque “casa di Dio”226, e anche “casa del popolo di Dio”227. Il luogo della riunione diventa santo per Xxxx Xxxxxx perché qui vi si compie l’opera del Padre (Giov 2,13-25): Egli rimprovera gravemente gli uomini che hanno fatto della casa del Padre Xxx una xxxxxx xx xxxxxxx, xxxxxxxxxx xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxx xxxxx: infatti, lo zelo per la casa di Dio lo divora (Giov 2,17):
224 Communicationes 4, 1972, 161-162.
225 Per una teologia sugli edifici di culto: X. Xxxxxxx, Per una teologia biblica del tempio, RivLi 66, 1979, 568-577; X. Xxxxxx, Perché le chiese?, RivLi 66, 1979,, 553-567; X. Xxxxxx, I luoghi della celebrazione, in AA.VV., Arte e liturgia. L’Arte sacra a trent’anni dal Concilio, Cinisello Balsamo, 1993, 286-317; X. Xxxxxxxx, La chiesa come luogo della comunità celebrante, RivLi 66, 1979, 616-629; X. Xxxxxxxxx, El templo, una realidad umana, religiosa y cristiana, Phase 111, 1979, 223-236; X. Xxxxxxx, Il luogo dell’Assemblea cristiana, RivLi 51, 1964, 193-198; X. Xxxxxxxxx, Teologia dello spazio liturgico, A.J. Xxxxxxxxx, Scientia liturgica. Manuale di liturgia. X. Xxxxxx x xxxxxx xxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxxx, 0000, 437-454; X. Xxxxxxx, Luoghi e tempi sacri, GIDDC, Il diritto nel mistero della Chiesa. III. Magistero, sacramenti, luoghi e tempi sacri, Qapoll 3, Roma, 1980, 369-422.
226 X. Xxxxxxxx, Manuale di storia liturgica. I. Introduzione generale. IV. I sacramenti – i sacramentali. Milano, 1964, 1959.
227 X. Xxxxxxxxxxx, Analisi rituale e contenuti teologici dell’”Ordo dedicationis ecclesiae et altaris”, RivLi 66, 1979, 602-615.
“Con le parole della sua santa ira Cristo ha iscritto profondamente nella tradizione della Chiesa la legge della ribadita santità della casa di Dio” 228.
Esiste una ricca teologia sulle chiese-edifici dalla quale scaturisce una vasta gamma di definizioni. Secondo l’Ordo dedicationis ecclesiae et altaris, l’edificio di culto raffigura “il mistero della Chiesa, la vigna del Signore, la vergine sposa e madre, il tabernacolo e il tempio dove Dio abita con il suo popolo, la città santa costruita sulla cima del monte Sion. La chiesa è interpretata come un’anticipazione, un’icona spaziale della Gerusalemme celeste”229. Attraverso il Decreto Dedicationis ecclesiae, promulgato dalla Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino, il 29 maggio 1977, la chiesa-edificio è casa di preghiera230, casa di salvezza e di pace231, casa di grazia232, segno della Chiesa pellegrina sulla terra ed immagine della Chiesa già beata in cielo233. Inoltre, il nome chiesa si estende, fin dall’antichità, all’edificio in cui i cristiani si riuniscono per ascoltare la parola di Dio, pregare insieme, ricevere i sacramenti e celebrare l’Eucarestia234.
I nomi con i quali storicamente si designava la chiesa erano diversi: “domus Dei”, “domus orazioni”, “domus ecclesiae”, “ecclesiae”, “dominicum”, “martyrion”, “memoria”235. Nei secoli IV-V gli scrittori usavano invece il termine “basilica”.
Il comune denominatore di tutti questi termini è che l’edificio di culto è la casa del popolo di Dio. Lo è per la basilica, da xxxxxxxx, il sovrano, in quanto il popolo di Dio è un popolo di re e sacerdoti. La basilica è la casa di un popolo regale, di una comunità, chiamata a esercitarvi la propria regalità, il proprio regale sacerdozio236. Così anche per martyrion, in quanto è casa del popolo di Dio per onorare i martiri.
228 Xxxxxxx Xxxxxx XX, Omelia tenuta nella parrocchia romana di San Xxxxxxxx al Forte Boccea, La casa del Padre mio, 677.
229 ODEA II/62.
230 ODEA II/62.
231 ODEA II/77.
232 ODEA III/20.
233 ODEA II/2, 62, 75.
234 ODEA II/1.
235 L.H. Xxxxxxx, Chiesa, luogo sacro, NDDC, 173-175; “Culto”, NDDC, 319; “Luogo sacro”, NDDC, 654-655..
236 X. Xxxxxxxxx, Teologia dello spazio liturgico, op. cit., 448-451.
Dai canoni 1214, 1223 e 1224 del nuovo Codice di diritto canonico del 1983 si evince che la chiesa, l’oratorio, e la cappella privata hanno in comune la “destinazione al culto divino”.
Solo col nome di chiesa si intende un edificio sacro (aedes sacra); gli oratori e le cappelle private sono luoghi (locus) che possono anche essere diversi dagli edifici.
Il termine “edificio” (aedes) indica una costruzione architettonica, di carattere stabile, destinata ad abitazione o ad altro uso pubblico o privato237. Il termine sacro, dal latino sacer indica “ciò che appartiene agli dèi in virtù di un patto dedicatorio, e ciò che è maledetto, condannato, impuro”238.
Il termine “culto” deriva dal latino colo, colere, che significa coltivare, venerare, adorare, onorare239. Il culto divino è l’adorazione di Dio. Riguardo all’oggetto, si hanno tre specie di culto: il culto di latrìa che viene tributato a Dio, nella venerazione alla Santissima Trinità; il culto di dulìa che si rende ai santi e ai beati per rispetto di Dio; il culto di iperdulìa, reso alla Xxxxxxx Xxxxx.
Il culto pubblico, specificato nel canone 834 del c.j.c. del 1982, è offerto in nome della Chiesa da persone legittimamente incaricate, mediante atti approvati dall’autorità della Chiesa.
Per aversi chiesa è necessario infine che l’edificio sacro, destinato al culto divino, consenta ai fedeli di accedervi per esercitare, soprattutto pubblicamente, il culto divino. Ciò induce a ritenere che i fedeli possano entrare sia durante le funzioni pubbliche di culto, sia in maniera privata per compiervi i riti propri.
237 X. Xxxxxxxxx, Comentario al canon 1214, ComEx, III, 1813-1814; Dizionario Garzanti, Edificio, 614 e in Zingarelli, 627.
238 A.M. Di Nola, Sacro e profano, ER, III, V, coll. 678-710.
239 X. Xxxxxxxx, Colo, in DLIt, col. 526; Cum, in DLIt, coll. 713-715; Profanus, in DLIt, coll. 2192-2193,
Sacer, in DLIt, coll. 2433-2434.
2. Tipologie di chiese.
Le chiese si distinguono per la dignità loro assegnata, per il costume, per la competente autorità ecclesiastica, per la funzione pastorale assolta.
Nella “chiesa cattedrale” il Vescovo ha la sua “cattedra”, cioè il seggio a lui riservato (salvo i casi previsti dal diritto240 e nei casi in cui permetta ad altro Vescovo di occuparla). La cattedra episcopale è segno di unità nella fede, di potestà pastorale, di ordine e di magistero in unione con Xxxxxx. E’ una sola, fissa, interna alla chiesa, in modo che i fedeli possano agevolmente identificare il capo della diocesi.
Essa è detta anche “duomo” o “casa di Dio per eccellenza”241, in quanto è la più importante dell’intera diocesi, costituendo il suo centro liturgico e spirituale. Il Vescovo vi insegna, vi governa, vi celebra l’Eucarestia, e vi conferisce il Sacramento della Confermazione e dell’Ordinazione. Deve essere dedicata con rito solenne242, vi si conserva la santissima Eucarestia243, e nel caso di nuova erezione della diocesi, il Vescovo è obbligato a prendere il possesso canonico nella stessa chiesa cattedrale244. Non vi si seppelliscono cadaveri, eccetto che si tratti di seppellire il Romano Pontefice oppure, nella propria chiesa, i Cardinali o i Vescovi diocesani anche emeriti245. Le esequie del Vescovo diocesano sono celebrate nella sua chiesa cattedrale, eccetto che ne abbia scelta lui stesso un’altra246. Essa ha un capitolo di canonici che assolvono le funzioni liturgiche più solenni247 e i fedeli devono offrirle il dovuto onore248.
240 Can 436, c.j.c. 1983; CE (Cerimoniale Episcoporum, 14 settembre 1984) 1171, 1176.
241 X. Xxxx, Cattedrale, Enciclopedia del Diritto, 1958-1993, VI, 517-520.
242 Can. 1217, c.j.c. 1983.
243 Can. 934, c.j.c. 1983.
244 Can. 382, c.j.c. 1983.
245 Can. 1242, c.j.c. 1983.
246 Can. 1178, c.j.c. 1983.
247 Can. 503, c.j.c. 1983.
248 IGMR (Sacra Congregatio Pro Cultu Divino) 26 marzo 1970, 255.
La Chiesa cattedrale può avere o meno la personalità giuridica249, e a sua volta può essere “patriarcale”, “primaziale”, “metropolitana”, a seconda che il Vescovo sia Patriarca, Primate o Metropolita.
Alla chiesa cattedrale è equiparata la chiesa principale di una prelatura territoriale, di un’abbazia territoriale, di un vicariato apostolico, di una prefettura apostolica e di una amministrazione apostolica eretta stabilmente250.
La Santa Sede a volte erige la “chiesa con cattedrale”, cioè eleva alcune chiese alla dignità delle cattedrali, dotandole di medesima dignità e stessi privilegi, sempre accanto e dietro di esse251. Può essere dichiarata concattedrale perché gode della stima del Vescovo e dei fedeli, incarnando la vita liturgica e spirituale per una parte della diocesi.
Può sorgere anche perché sul territorio diocesano si è sviluppato un importante centro economico e industriale che richiede un’intensificazione dell’azione pastorale; oppure perché la cattedrale è difficilmente raggiungibile; oppure ancora perché in un determinato luogo della diocesi sorge un importante centro politico ove il Vescovo deve presiedere; oppure per lo spostamento della popolazione locale che ha l’esigenza di una nuova sede vescovile; od infine per l’unificazione di più diocesi.
Vi sono poi le “chiese parrocchiali”, che sunt sedes diversarum dioecesis communitatum252, centri della vita liturgica e spirituale di una determinata comunità di fedeli, con personalità giuridica253. Il parroco compie le funzioni di insegnare, santificare e governare254, e i fedeli le porgono il dovuto onore255. In ogni chiesa
249 La questione del possesso o meno della personalità giuridica è illustrata dalla CEI, Istruzione amministrativa, n. 97.
250 Cann. 368, 381, 934, c.j.c. 1983.
000 X. Xxx Xxx, Xxxxxxxxxxx xxx Konkathedrale, OAKR 37, 1987/1988, 39-51.
252 Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, decr. Domus ecclesiae, AAS (Acta Apostolicae Sedis. Commentarium Officiale, 82, 1992, 436 e EV (Enchiridion Vaticanum. Documenti ufficiali della S.S., Bologna, 1981, 11/2812.
253 Can. 515, c.j.c. 1983.
254 Can. 519, c.j.c.1983.
255 IGMR, 255.
parrocchiale deve esserci il fonte battesimale256 e vi si conserva la santissima Eucarestia257.
I “santuari” sono chiese o altri luoghi sacri ove i fedeli si recano per motivi di pietà, in pellegrinaggio, con l’approvazione del Vescovo del luogo. Vi si offrono i mezzi della salvezza, vi si annunzia con diligenza la parola di Dio, vi si celebrano l’Eucarestia e la Penitenza, conservando le sane forme della pietà popolare.
Nei santuari o nei luoghi adiacenti sono custodite con sicurezza e in modo visibile, le testimonianze votive dell’arte e della pietà popolari.
Il santuario si definisce “nazionale” se ha l’approvazione della Conferenza Episcopale, oppure “internazionale” se ha l’approvazione della Santa Sede. Gli statuti dei santuari diocesani sono approvati dal Vescovo; quelli nazionali dalla Conferenza Episcopale; quelli internazionali dalla Santa Sede.
Qualora la frequenza dei pellegrini, il bene dei fedeli, le circostanze dei luoghi lo suggeriscano, possono essere concessi ai santuari dei privilegi258.
Le “basiliche” sono le chiese insignite di tale titolo dalla S.S. o che lo hanno da consuetudine immemorabile: esse godono di prerogative speciali. Le basiliche maggiori o patriarcali che sono sette, cinque a Roma (San Xxxxxxxx in Laterano sede del Papa, San Xxxxxx in Vaticano, San Paolo fuori le mura, Santa Xxxxx Xxxxxxxx, San Xxxxxxx fuori le mura) e due ad Assisi (San Xxxxxxxxx e Santa Xxxxx degli Angeli). Le basiliche minori che sono tutte le altre basiliche259.
Il 9 novembre del 1989, il decreto Domus ecclesiae, ha aggiornato la normativa sulle basiliche minori260. La facoltà di concessione del titolo di basilica minore spetta alla Congregazione per il culto divino e la Disciplina dei Sacramenti.
256 Can. 858, c.j.c. 1983.
257 Can. 934, c.j.c. 1983.
258 Cann. 1230, 1231, 1232, 1233, 1234, c.j.c. 1983.
259 X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxx, I luoghi e i tempi sacri (cann. 1205-1253), in GIDDC (Gruppo Italiano Docenti Di Diritto Canonico), ed. , Il diritto nel mistero della Chiesa. III. La funzione di santificare della Chiesa, i beni temporali della Chiesa, le sanzioni nella Chiesa, i Processi, Chiesa e comunità politica, QApoll 10, Roma, 1992, 325; X. Xxxxxxxx, Manuale di storia liturgica, I, Introduzione generale. IV. I sacramenti – i sacramentali, Milano, 1964, 1959, 435 .
260 AAS 82, 1990, 436-440 e EV 11/2812-2830.
Col nome di “collegiata” si intende una chiesa in cui vi si celebrano importanti funzioni religiose, in quanto luogo importante e noto, spesso per ragioni storiche o artistiche. Il canone 503 del c.j.c. del 1983 stabilisce che per erigere, modificare e sopprimere il capitolo cattedrale è esclusivamente competente la S.S.. Nessuna informazione è data circa la soppressione, modifica, soppressione di un capitolo collegiale. Dal lungo iter dei lavori della Pontificia Commissio Codici Iuris Canonici recognoscendo, si evince che l’erezione della collegiata sarebbe di competenza del Vescovo diocesano.
Secondo il can. 510 del c.j.c. del 1983, le parrocchie non possono essere più unite al capitolo dei canonici. Nella chiesa parrocchiale e capitolare il parroco viene nominato secondo le norme sulla nomina dei parroci e a lui spettano tutte le facoltà di diritto. La presenza, nella stessa chiesa, di un capitolo e di un parroco, esige la regolamentazione dei loro rapporti. Il Vescovo deve stabilire le norme per armonizzare i doveri pastorali del parroco e i compiti propri del capitolo. Le offerte fatte alla chiesa si presumono elargite alla parrocchia, se non risulta diversamente261.
La “chiesa rettoriale” è una chiesa che non è né parrocchiale, né capitolare, né annessa alla casa di una comunità religiosa o di una società di vita apostolica che vi celebrino le proprie funzioni. Non è destinata alla celebrazione di riti liturgici, da parte di una comunità determinata di fedeli, ma al culto pubblico, la cui finalità è determinata dall’Ordinario, a vantaggio di tutti i fedeli. La cura pastorale è affidata dal Vescovo al rettore; la responsabilità economica è del rettore se la chiesa ha una propria personalità giuridica, o all’amministratore dell’ente ecclesiastico, a cui la chiesa è annessa262.
261 Can. 510. c.j.c. 1983.
262 X. Xxxxxxxx, I rettori delle chiese, Quaderni di diritto ecclesiale, 2000, 268-280.
3. Erezione di una chiesa. Consenso del Vescovo e posa della prima pietra.
L’erezione consiste nella destinazione a chiesa di un edificio già esistente263 o la costruzione ex novo di essa.
Il canone 1215 del c.j.c. del 1983 indica i requisiti per la costruzione di una chiesa. Innanzitutto è necessario il consenso espresso e scritto del Vescovo diocesano. Il consenso verbale o implicito è da considerarsi nullo.
La competenza è esclusiva, nel senso che per il consenso del Vicario generale e di quello Episcopale si ritiene necessario il mandato speciale del Vescovo diocesano264. Anche l’Amministratore diocesano, non può dare il consenso se non riceve speciale facoltà da parte della Santa Sede265.
Il promotore dell’erezione può essere chiunque: una persona fisica, un gruppo di fedeli, una comunità.
Il Vescovo deve vagliare i motivi per i quali risulti necessaria la costruzione di una nuova chiesa. A tal fine egli ascolta il parere dei parroci e dei rettori delle vicine chiese (e anche dei parroci delle chiese interessate alla costruzione di un nuovo luogo di culto) e, in base al nuovo codice di diritto canonico, il consiglio presbiteriale. Il suddetto parere, che dovrebbe aiutare a vagliare la necessità e i mezzi necessari a disposizione per la erezione, si intende come obbligatorio, tuttavia il Vescovo può non seguirlo.
Per un maggiore convincimento, egli può costituire una commissione, rappresentativa di tutta la diocesi, o un apposito ufficio con l’incarico di trattare, insieme alle altre parti convocate, tutte le questioni riguardanti l’erezione di nuove parrocchie, o l’erezione di una nuova xxxxxx000.
263 X. Xxxxxxxxxx, Chiesa edificio sacro, in Prontuario di diritto canonico e concordatario, Roma, 1994, 209.
264 Can. 134, c.j.c. 1983.
265 X. Xxxxxxxxx, Commentario al canon 1215, Coentario Esegetico al Xxxxxx xx Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, 0000, 1817; X. Xxxxxx, Prawo Kanonicne wedlug Kodeksu Xxxx Xxxxx XX. II. Xxx Xxxx jego nauczanie i iuwiecanie, Olsztyn, 1986, 461.
266 Sacra Congregatio Pro Episcopis, Dir. Ecclesiae imago, 22 febbraio 1973, 178.
Nell’ambito della costruzione di nuovi edifici di culto, l’autorità religiosa dovrà entrare necessariamente in contatto con quella civile: la chiesa dovrà sorgere infatti sul territorio dello Stato, che dovrà operare valutazioni di impatto urbanistico e sociale sulla nuova opera.
E’ fondamentale per il Vescovo conoscere i piani regolatori della costruzione e della industrializzazione, progettati dall’autorità civile, per verificare se esistano delle aree riservate a tali scopi: egli deve premurarsi di individuare tempestivamente le aree e gli strumenti giuridici, affinché non si arrivi troppo tardi, perchè manchino le zone per costruire od erigere, o perché i fedeli si siano già allontanati dalla pratica della vita cristiana267.
Il rilascio della concessione edilizia (come esposto nei capitoli precedenti) è effettuato dal Comune, che effettua una valutazione ponderata su vari elementi: un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell’opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla “qualità della vita” di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera.
La costruzione di nuovi edifici di culto rientra tra le opere di “urbanizzazione secondaria”, le quali, se in armonia con gli interessi pubblici che il Comune è tenuto a soddisfare e congiuntamente con quelli sottesi alle singole previsioni di destinazione urbanistica, possono essere realizzate in ogni area del suo territorio.
Nel caso in cui non siano disponibili degli spazi, il Vescovo può prendere in affitto locali privati, adattabili alle esigenze pastorali: a tal fine può sollecitare i fedeli a contribuire economicamente, istituendo, ad esempio, giornate speciale per la raccolta dei fondi, o costituendo una speciale associazione che esprima i sentimenti e i desideri dei fedeli. Tuttavia l’aspetto finanziario non può mai prevalere su quello pastorale e
267 Sacra Congregatio Pro Episcopis, Dir. Ecclesiae imago, 22 febbraio 1973, 177; Enchiridion Vaticanum. Documenti ufficiali della Santa Sede, I-XVI, Bologna, 1981, 4/2232.
anche nel restauro di chiese o nel loro abbellimento non deve mai eccedere nelle spese268.
L’Ordo dedicationis Ecclesiae et altaris dispone che per dedicare a Dio l’inizio dei lavori per la costruzione di una nuova chiesa, conviene celebrare un rito che, secondo la tradizione liturgica, include la benedizione dell’area interessata e la benedizione della prima pietra. Se, per motivi edilizi la benedizione della prima pietra non sia possibile, si benedice l’area. Il rito è recitato dal Vescovo, che, se impossibilitato, può farsi sostituire da un Vescovo-vicario o da un presbitero. Durante la cerimonia l’area è ben delimitata; si pone un altare e una croce di legno sul terreno, e la pietra che dovrebbe essere di forma quadrata e angolare269.
La nuova chiesa deve essere adatta alle sacre celebrazioni. Deve essere un edificio dignitoso, che si caratterizza per nobiltà di stile, e presentarsi come segno della realtà soprannaturale270.
La chiesa “è debitrice della sua conformazione alla relazione che la lega all’assemblea del popolo di Dio che vi si raduna. E’ l’assemblea celebrante che “genera” e “plasma” l’architettura della chiesa”271, quindi occorre, prima di costruirla, rendersi conto dei soggetti per i quali è edificata e del soggetto divino cui è riferita272, e deve distinguersi sia esternamente che internamente dagli altri edifici: essa cioè, deve essere messa in armonia ed entrare in dialogo con il resto del territorio, per arricchirlo.
Per la costruzione e riparazione degli edifici di culto, il canone 1216 del c.j.c. del 1983 prescrive l’osservanza dei principi e delle norme della liturgia e dell’arte sacra, e del consiglio di esperti.
Quando occorre dare giudizio sulle opere di arte sacra, si creano delle commissioni diocesane di arte sacra e di liturgia che il Vescovo deve poter consultare.
268 Sacra Congregatio Pro Episcopis, dir. Ecclesiae imago, 22 febbraio 1973, 180, 181, 182.
269 Ordo dedicationis Ecclesiae et altaris , I/1-8.
270 Ordo dedicationis Ecclesiae et altaris, XX/0.
000 XXX, nota pastorale, L’adeguamento liturgico delle chiese, 452.
272 CEE, nota pastorale, La progettazione di nuove chiese, 261.