DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI
Università degli Studi di Cagliari
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI
Ciclo XXVIII
TITOLO TESI:
Principio consensualistico e atto di adempimento traslativo
Settore scientifico disciplinare IUS/01
Presentata da: Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
Coordinatore Dottorato: Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx
Relatore: Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxx
Esame finale anno accademico 2014/2015
La presente tesi è stata prodotta durante la frequenza del corso di dottorato in Diritto dei contratti dell’Università degli Studi di Cagliari, a.a. 2014/2015
– XXVIII ciclo, con il supporto di una borsa finanziata con le risorse del
P.O.R. SARDEGNA F. S. E. 2007/2013 – obiettivo competitività regionale e occupazione, Asse IV Capitale umano – Linea di Attività I. 3. 1 “Finanziamento di corsi di dottorato finalizzati alla formazione di capitale umano altamente specializzato, in particolare per i settori dell’ICT, delle nanotecnologie e delle biotecnologie, dell’energia e dello sviluppo sostenibile, dell’agroalimentare e dei materiali tradizionali”.
Principio consensualistico e atto di adempimento traslativo
INDICE:
Introduzione: Principio del consenso traslativo e autonomia privata. Valore attuale dell’accordo e finalità dell’indagine 4
Capitolo I
Principio consensualistico e principio della separazione
1. Affermazione storica del principio del consenso traslativo 8
2. Contratto con effetti reali. La formula dell’art. 1376 c.c. e la presunta equivalenza fra contratto e consenso 24
3. La necessaria causalità del trasferimento: dalla “causa lecita per obbligarsi” alla causa del contratto 39
4. Raffronto con il principio della separazione fra titulus e modus adquirendi. Diverse conseguenze in ordine alle disfunzioni originarie del titulus 45
Capitolo II
Derogabilità del principio del consenso traslativo e obbligazione di dare
1. L’effettiva portata del principio del consenso traslativo. Limitazioni e scelte di politica legislativa 55
2. L’obbligazione di dare 62
3. Deroga apparente al principio del consenso traslativo: le vendite c.d. obbligatorie 70
4. Profili di emersione dell’obbligazione di dare in senso tecnico. Atti di adempimento traslativi di matrice codicistica… 77
Capitolo III
Atto traslativo e autonomia privata
Premessa: Critiche tradizionali alla figura del c.d. pagamento traslativo 90
Sez. I. La natura giuridica dell’atto di adempimento traslativo
1. La tesi dell’atto dovuto 101
2. La negozialità del cd. pagamento traslativo: contratto o atto unilaterale? 108
3. Segue. Applicabilità della fattispecie negoziale di cui all’art. 1333 c.c. 119
Sez. II. Il problema del requisito causale dell’atto di puro trasferimento
1. La causa dell’atto di adempimento traslativo come expressio causae e il rimedio della ripetizione dell’indebito 129
2. La causa del pagamento traslativo come causa esterna e il rimedio della nullità 138
2.1 La tesi del referente causale esterno e l’evoluzione del concetto di causa 145
3. Note conclusive sulla causa del pagamento traslativo. Attuale rilevanza dell’expressio causae 151
Conclusioni 158
BIBLIOGRAFIA… 162
ABSTRACT
Once admitted, in light of the freedom of contract, the purely defaulting nature of the art. 1376 c.c., this work aims at understanding the extent to which the principio consensualistico can actually be waived in favor of transfer rules characterized by the separation of titulus and modus adquirendi. The obligation to transfer in a technical sense, in fact, may be considered admissible only if it does not lead to an infringement of the principio causalistico and the privity of contract. Because of this dual systematic requirement, an interpretative - reconstructive inspection of the transfer will only lead to recognize in the pagamento traslativo a unilateral juridical act that can be refused - i.e. negozio giuridico unilaterale rifiutabile -, according to the provision of the art. 1333 c.c. Juridical act to which, in light of the art. 1324 c.c., extends the provisions of art. 1325, n. 2, c.c. The causa of the pagamento traslativo, therefore, is into the act and consist of the causa solvendi, that can find an objective external condition in the obligation to transfer.
Introduzione
Principio del consenso traslativo e autonomia negoziale.
Valore attuale dell’accordo e finalità dell’indagine
Una riflessione attuale sull’efficacia traslativa del consenso non può prescindere dalla ricostruzione del significato effettivamente attribuibile all’inciso “consenso delle parti legittimamente manifestato”, affrontando un duplice ordine di considerazioni, volte a determinare cosa concretamente l’art. 1376 c.c. intenda con il termine consenso e se, ad ogni modo, sia proprio vero, come dalla norma parrebbe, che il consenso sia da sé solo sufficiente a determinare l’effetto reale.
Figlio di un contesto storico – culturale nel quale imperava il dogma giusnaturalistico della volontà (espressione di un modello economico liberale teso ad assicurare, anche nell’ambito degli effetti giuridici, la massima espansione della libertà individuale), il principio consensualistico dev’essere oggi calato nel moderno sistema dei traffici e bilanciato con l’esigenza, parimenti fondamentale, di garantire la certezza e sicurezza degli acquisti.
Dopo aver ricostruito l’evoluzione storica che ha condotto alla sua affermazione, l’indagine prenderà, dunque, le mosse da un inquadramento sistematico dell’art. 1376 c.c., di modo che ne venga adeguatamente soppesata la portata, nonché l’effettivo raggio applicativo. A tal fine, si cercherà, in primo luogo, di determinare se vi sia una corrispondenza biunivoca fra consenso ed accordo, nonché se, per aversi contratto, sia sempre necessario il perfezionamento dell’accordo medesimo, rigidamente inteso come incontro delle reciproche volontà delle parti contraenti. Non di rado, infatti, si delineano in dottrina tendenze volte a ridurre la centralità dell’accordo e prima ancora del consenso nelle dinamiche contrattuali1; tendenze che hanno portato a mettere in
1 Si fa, in particolare, riferimento alle posizioni anticonsensualistiche sostenute da: X. XXXXX, La logica illogica del consensualismo e dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Riv. Dir. civ., 1966; X. XXXXX, Il contratto, Torino, 1975, p. 15 ss.; Contratto e negozio a formazione bilaterale, in
luce l’effettiva natura dell’accordo come concetto giuridico, espressione di scelte legislative, piuttosto che fenomeno naturalisticamente apprezzabile2.
D’altra parte, una volta appurato in che termini debba essere inteso il consenso di cui all’art. 1376 c.c., l’indagine sistematica dovrà procedere ad un’adeguata ponderazione circa l’effettiva declamata sufficienza del solo consenso ai fini del perfezionamento di un contratto valido, idoneo ab origine a determinare ogni effetto giuridico, obbligatorio e reale. Sotto tale profilo, si cercherà di evidenziare il rapporto fra gli artt. 1321 e 1325 c.c., al fine di rileggere l’art. 1376 c.c. alla luce di quanto sancito dall’art. 922 c.c. e così comprendere, al di là delle enunciazioni di principio, quale ruolo rivestano gli ulteriori elementi essenziali del contratto nel perfezionamento delle vicende traslative.
Si cercherà, in particolare, di porre in luce l’intima compenetrazione fra principio consensualistico e causa del contratto, che nel loro affermarsi di pari passo hanno segnato l’estensione alla fattispecie acquisitiva del diritto del rimedio della nullità per mancanza di causa. Ciò consentirà, in particolare, di valutare quali implicazioni l’affermazione del consenso traslativo abbia comportato sul piano della circolazione giuridica e della tutela dei terzi subacquirenti, anche mediante un raffronto comparatistico con gli altri ordinamenti europei, che accolgono il diverso principio della separazione.
Solo la comprensione della profonda interrelazione fra principio consensualistico e causa del contratto consentirà di poter procedere nell’indagine dell’ambito applicativo dell’art. 1376 c.c., per chiarire se ed entro quali limiti il principio in esame possa eventualmente essere derogato dai privati. Pare cioè legittimo domandarsi se il principio consensualistico sia espressione di una norma imperativa ovvero dispositiva, anche valutando se, già a livello codicistico, il modello imperniato sulla traslatività del solo consenso conviva o meno con il diverso modello della separazione. Si renderà, in
Studi in onore di X. Xxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 953 ss.; N. IRTI, Scambi senza accordo, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1998, p. 347 ss.
2 Per tale conclusione si veda, in particolare, la posizione di X. XXXXX, La logica illogica del consensualismo e dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Riv. dir. civ., 1966, p. 255 ss.
altri termini, opportuno vagliare se, in un ordinamento improntato al più ampio riconoscimento dell’autonomia privata, il principio consensualistico, com’è stato efficacemente prospettato, costituisca un dogma, ovvero una semplice tendenza3.
Del resto, se il principio della traslatività del consenso è espressione dell’esaltazione della dimensione volontaristica (di una volontà capace di spiegare i propri effetti senza necessità di attendere l’esecuzione di rigidi adempimenti formali) allora dovrebbe ritenersi contrario alla sua stessa ratio pretendere che l’effetto reale scaturisca sempre direttamente e immediatamente dall’accordo dalle parti raggiunto, anche quando emerga una loro diversa volontà in tal senso. Se così fosse, parrebbe, infatti, delinearsi l’imposizione di un congegno traslativo non più teso alla piena affermazione della volontà delle parti, ma addirittura contrario alla manifestazione di volontà unanime delle stesse.
Se, dunque, come pare auspicabile, si ammetta la derogabilità del principio consensualistico, il vero problema, al quale si cercherà di dare soluzione, diverrà quello di stabilire entro quali limiti possa dirsi configurabile nel nostro ordinamento una riemersione dell’obbligazione di dare in senso tecnico; quali siano, dunque, le condizioni al cui ricorrere possa dirsi legittima la previsione negoziale, con la quale le parti si limitino ad obbligarsi a trasferire, differendo l’effetto reale ad un successivo atto di attribuzione traslativa, posto in essere in adempimento del contratto teso a determinare meri effetti obbligatori.
La seconda parte dell’indagine, che ci si propone di sviluppare, sarà così incentrata sull’analisi dei requisiti strutturali e causali di un eventuale atto di adempimento traslativo che si sottragga al perimetro di diretta applicazione dell’art. 1376 c.c.; problema che si confonde e si intreccia con quello della idoneità dell’atto unilaterale alla produzione di effetti reali, nonché con quello dell’accertamento causale delle c.d. prestazioni isolate. Problematiche che dovranno essere affrontate anche alla luce di un
3 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Milano, 1993, cap. III, sez. III, p. 878. Sul punto vedi par. 1, cap. II.
ripensamento della centralità dell’accordo – rectius del contratto – nelle vicende circolatorie.
Capitolo I
Principio consensualistico e principio della separazione
1. Affermazione storica del principio del consenso traslativo.
L’affermazione del principio dell’efficacia traslativa del consenso, in ragione del quale il trasferimento o la costituzione del diritto è effetto immediato del contratto, è stata il risultato di una lenta evoluzione storica che, nella prospettiva dell’esaltazione della volontà umana, ha condotto al tendenziale superamento del differente modello traslativo, imperniato sulla regola dell’investitura formale quale requisito imprescindibile per la trasmissione del diritto4.
Difatti, nell’esperienza del diritto romano classico5, che ha influenzato le elaborazioni della pandettistica tedesca, il contratto era diretto esclusivamente alla costituzione di rapporti obbligatori. L’acquisto della proprietà a titolo derivativo, lungi dall’essere conseguenza immediata dell’accordo raggiunto dalle parti sulla funzione socio – economica pattiziamente programmata, avveniva per il tramite di atti traslativi tipici (la mancipatio, l’in iure cessio e la traditio)6. Così, la conventio, l’accordo sullo scopo pratico perseguito con il negozio, assumeva rilevanza ai fini del trasferimento nella sola ipotesi della traditio, fattispecie acquisitiva avente natura causale, integrata dalla consegna della cosa7. La compravendita romana non era dunque preordinata al
4 C.M. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di dir. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p.82 ss.
5 Sul tema del trasferimento della proprietà nel diritto romano, fra i tanti, si vedano: X. XXXXXXXX, Compravendita e trasferimento della proprietà in diritto romano, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di X. XXXXX, tomo I, Milano, 1991, p. 25 ss.; C.A. XXXXXXX, La compravendita consensuale romana: significato di una struttura, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di X. XXXXX, tomo II, Milano, 1991, p. 413 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 429 ss.
6 X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 429 ss.
7 Mancipatio ed in iure cessio si configurano come atti di attribuzione formali ed astratti, che non costituiscono adempimento dell’obbligazione scaturente dal contratto obbligatorio, ma,
trasferimento del diritto, ma da essa scaturiva la mera obbligazione in capo all’alienante di possessionem tradere8, ossia di immettere il compratore nella materiale
prescindono, astraggono per l’appunto dal titulus, mantenendo rispetto ad esso piena autonomia. In quanto tali sono idonei a determinare l’effetto reale anche indipendentemente dall’esistenza e dalla validità del negozio a monte. In buona sostanza, ben poteva darsi che, nonostante l’empio – venditio fosse stata conclusa, la successiva fattispecie acquisitiva non venisse posta in essere, senza che ciò desse luogo ad un’ipotesi di inadempimento negoziale, proprio perché non si ravvisava alcuna connessione logica fra il contratto ed il successivo modo acquisitivo. Se la successione fra titulus e modus adquirendi fosse venuta a mancare, l’acquisto del diritto si sarebbe prodotto a titolo originario, per effetto del decorso del termine richiesto per l’usucapione, e l’ emptor, che avesse conseguito il possesso ma non la correlata situazione di diritto, avrebbe potuto tutelarsi esperendo, o l’actio Publiciana, nell’ipotesi in cui fosse convenuto in giudizio con azione recuperatoria da parte del terzo, reale dominus (caso in cui difetti la legittimazione a disporre dell’alienante), ovvero l’exceptio doli o l’exceptio rei venditae e traditae, qualora l’azione volta alla restituzione della res fosse stata intentata da parte dello stesso venditore.
Così non era invece nell’ipotesi della traditio, ossia la materiale consegna della res mancipi o nec mancipi, fattispecie acquisitiva causale, fondata pertanto sulla validità del rapporto obbligatorio a monte. Intanto la consegna era validamente posta in essere in quanto ricorresse una iusta causa traditionis (ad es. emptio – venditio, donatio, solutio).
In tal senso si vedano X. XXXXXXX, Editto publiciano e funzioni della compravendita romana, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di X. XXXXX, tomo I, Milano, 1991, p. 119 ss.; X. XXXXXXXX, Consensualismo e trascrizione, in Monografie di Contratto e impresa, serie diretta da Xxxxxxxxx Xxxxxxx, 2008, p. 11, in particolare nota (19).
8 La questione è in verità controversa nella dottrina romanistica. Da un lato, infatti, la dottrina maggioritaria ritiene che si debba escludere che effetto naturale dell’emptio – venditio sia il sorgere di un’obbligazione di dare, cfr. X. XXXXXXX – XXXX, La compravendita in diritto romano, I, Napoli, 1952; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 429 ss.; dall’altra, invece, si registrano taluni orientamenti inclini ad ammettere che dall’emptio – venditio sorga in capo all’alienante una vera e propria obbligazione di trasferire la proprietà al compratore, cfr.
X. XXXXXXXX, Compravendita e trasferimento della proprietà in diritto romano, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di X. XXXXX, tomo I, Milano, 1991, p. 25 ss.; C.A. XXXXXXX, La compravendita consensuale romana: significato di una struttura, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di
X. XXXXX, tomo II, Milano, 1991, p. 413 ss.; X. XXXXXXX, La disciplina generale delle obbligazioni, Torino, 2015, p. 55, il quale, in una comparazione con l’attuale diritto positivo, qualifica l’obbligazione assunta dal venditore con l’emptio – venditio come vera e propria obbligazione di dare, intesa nell’accezione di trasferire la proprietà all’emptor. Di contrario avviso risulta, invece,
X. XXXXX, Nozione e tipi di prestazione, in Trattato delle obbligazioni, diretto da X. XXXXXXXX, I, La
disponibilità del bene, mentre l’effetto reale si realizzava, al ricorrere di determinati requisiti9, quale conseguenza ulteriore della traditio, cioè dell’atto di esecuzione del contratto con cui l’acquirente veniva immesso nel possesso10.
Se ne deduce che il trasferimento del diritto era congegnato tramite un meccanismo bifasico imperniato sulla scissione fra titulus adquirendi, la cd. iusta causa traditionis, il negozio bilaterale fonte di meri effetti obbligatori, ed in particolare dell’obbligazione di consegna, che costituiva la ragione giustificativa del trasferimento, ed il successivo modus adquirendi, l’effettiva fattispecie acquisitiva del diritto per il solo tramite dell’atto di investitura materiale.
La necessità della consegna quale generale mezzo di trasmissione della proprietà, nel rispetto della tradizione romano – classica, si diffonde anche nei primitivi sistemi
struttura e l’adempimento, II, 2014, p. 317, nota (61), che, rilevando l’equivoco nel quale sarebbe incorso il MOSCATI, sottolinea come l’emptio – venditio consensuale non ponesse in alcun modo in capo al venditore un obbligo di dare, giacché la prestazione richiesta al venditore era piuttosto quella di possessionem tradere.
9 X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, precisa che la traditio è essenzialmente un modo di trasferimento del possesso, per cui devono concorrere ulteriori presupposti e requisiti affinchè si addivenga al trasferimento della proprietà: l’intenzione del tradens di trasferire e dell’acquirente di acquistare il possesso e, in particolare, la iusta causa traditionis, l’accordo sullo scopo per cui avviene la consegna. Si tratta di un negozio giuridico bilaterale, la cui funzione economico – sociale trova attuazione nella traditio. È interessente precisare che la iusta causa traditionis non presuppone che lo scopo sul quale le parti raggiungono l’accordo sia concretamente realizzabile. L’effetto reale si produce, dunque, a prescindere dalla realizzabilità della causa, residuando eventualmente in favore dell’alienante un’actio in personam nei confronti dell’accipiens per rimuovere gli effetti già prodottisi.
10 X. XXXXXXXXX, voce Vendita in generale (diritto romano), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993,
p. 378 ss., xxxxxx che, in D. 19.4.1. pr., Xxxxx enuncia con molta chiarezza gli obblighi del venditore. Mentre il compratore assume un’effettiva obbligazione di trasferire la proprietà dei nummi al venditore, quest’ultimo assume, invece, l’obbligazione di tenere indenne il compratore dal danno derivante dall’evizione della cosa (ob evictionem se obligare), in genere mediante stipulatio, e, inoltre, l’obbligazione di possessionem tradere, ossia di trasferire il possesso al compratore.
germanici11 e si afferma nel diritto comune, sebbene si assista ad un lento fenomeno di erosione del principio12.
Al fine di favorire la rapidità dei traffici, nelle regioni di droit coutumier, di diretta tradizione romanistica, si assiste infatti alla preponderante diffusione di forme di traditio spiritualizzate13 o meramente simboliche, che conducono ad un progressivo superamento del principio che subordinava il trasferimento alla materialità della consegna. Sempre più di frequente la prassi notarile del periodo medievale si caratterizza per l’inserimento nei contratti traslativi delle clausole del constitutum
11 C.A. FUNAIOLI, La tradizione, Padova, 1942, p. 82; P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicative, Torino, 1999, il quale rileva come, negli ordinamenti germanici, la consegna, quale atto di immissione nel possesso, fosse indispensabile per il trasferimento del diritto. Si sottolinea la necessità, tanto per i beni mobili, quanto per gli immobili, di un atto di materiale investitura ai fini del trasferimento. L’acquisto del diritto e la titolarità delle prerogative riconosciute al proprietario erano subordinate al conseguimento della Gewere, ossia l’atto di immissione nel possesso, con il quale veniva attribuito il potere di fatto sulla cosa.
12 Benché sempre formalmente affermato, in verità il modello bifasico imperniato sulla traditio traslativa iniziò ad essere messo in crisi già nel diritto romano del tardo – antico. Nelle province ellenizzate dell’Impero il sistema traslativo era infatti ispirato alla tradizione giuridica greca, nella quale non era contemplata la scissione fra contratto obbligatorio e successivo atto di adempimento traslativo. Il trasferimento del diritto si realizzava per effetto dell’accordo fra le parti sulla funzione socio – economica del contratto, accompagnato da altri requisiti, quali il pagamento del prezzo ovvero la redazione di apposito documento, mentre la consegna, l’atto materiale di investitura, non aveva alcuna rilevanza ai fini del trasferimento. Quando, a seguito dell’emanazione della constitutio Antoniniana, la cittadinanza romana venne estesa a tutte le province dell’Impero, i novi cives si opposero all’affermazione del sistema romano, che venne tenacemente difeso per tutto il III sec. d. C. (Xxxxxxxxxxx riaffermava infatti in C. 2.3.20 del 293
d. C. che traditionibus et usucapionibus dominia rerum, non nudis pactis trasferuntur), e le tendenze delle province ellenizzate iniziarono a diffondersi e ad influenzare il sistema romano. Così con Xxxxxxxxxx tali concezioni vennero accolte nel diritto imperiale, per cui la distinzione fra accordo e successivo atto traslativo risulta tendenzialmente abbandonata. Inizia, pertanto, proprio in questa fase il fenomeno di spiritualizzazione della traditio, con la diffusione nella prassi del meccanismo del constitutum possessorium. Nel diritto bizantino tendono così ad affermarsi forme di trasferimento nelle quali si fa esplicitamente a meno della consegna materiale della cosa e ci si accontenta della menzione della traditio nel documento (παράδοςις). Si veda in tal senso X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 438 ss.
13 X. XXXXX, Commentario del Codice Civile a cura di Xxxxxxxx – Branca, libro VI, Tutela dei diritti,
art. 2643 – 2696, Bologna – Roma, 1977, p. 2 ss.
possessorium e della traditio brevi manu, per effetto delle quali la consegna risulta priva di ogni esteriorità e di fatto il trasferimento si realizza in virtù del solo consenso14. Così, nella pratica negoziale francese la consegna materiale viene lentamente sostituita dalla previsione di clausole di spossessamento – impossessamento15, clausole di stile, che si ritengono tacitamente convenute anche quando il contratto non ne faccia menzione16.
Se formalmente il meccanismo bifasico tradizionale pare ineccepibile, nella sostanza, invece, il trasferimento inizia a prescindere dalla consegna, quale atto di materiale investitura, scaturendo direttamente dall’accordo raggiunto dalle parti con il contratto. Per effetto della prassi consuetudinaria, mediante i meccanismi della traditio ficta, il modus adquirendi inizia così ad essere inglobato nel titulus e, nonostante le enunciazioni tengano ferma la necessità della consegna, di fatto, il trasferimento si realizza in virtù del solo consenso.
E tale tendenza trova certamente terreno fertile nell’epoca dei lumi, dove la prassi consuetudinaria francese si intreccia con le correnti di pensiero giusnaturalistiche17.
14 Con il costituto possessorio, infatti, il venditore aliena il diritto sul bene, al contempo però riservandosi sullo stesso l’usufrutto o contestualmente concludendo un contratto di locazione, con il quale ne diviene conduttore. È del tutto evidente come, in simili ipotesi, non vi sia alcuna necessità di procedere alla materiale consegna, perché il venditore già prima della conclusione del contratto, si trova nella materiale disponibilità del bene. Allo stesso modo la consegna non sarà necessaria nella traditio brevi manu, con la quale il trasferimento del diritto avviene in favore di un soggetto che già si trova nella materiale disponibilità del bene (ad es. vendita in favore del conduttore dell’immobile). In queste ipotesi la consegna è solo consensuale ed è il mutamento del titolo a determinare l’interversio possessionis.
15 Si fa in particolare riferimento alla clausola di dessaisine – saisine, che almeno per i beni immobili si era ridotta a clausola di stile ed il cui inserimento negoziale comportava, secondo taluni autori (si veda in particolare MARCADÉ, Spiegazione teorico – pratica del codice Xxxxxxxxx, libro III, titolo III, nn. 487 ss. e libro III, titolo VI, cap. I, ed. Palermo, 1856), ammettere sostanzialmente che il trasferimento derivasse dalla volontà delle parti, nonostante venisse conservato il principio che la proprietà si trasmette con la sola tradizione.
16 C.M. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di dr. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p.83 s.
17 In merito all’influenza delle correnti di pensiero giusnaturalistiche nell’elaborazione del Codice xxxxxxxxx si veda, in particolare, X. XXXXXXXX, Vendita, trasferimento della proprietà e vendita di cosa altrui nella formazione del Code civil e dell’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch, in
Occorre infatti precisare che, nonostante la varietà delle posizioni dottrinali18 e benché l’incidenza del giusnaturalismo sull’affermazione del principio consensualistico sia stata probabilmente meno determinante di quanto a lungo la dottrina abbia ritenuto, l’esaltazione della ragione, della volontà dell’uomo, posta al centro dell’universo giuridico, ha certamente facilitato il superamento del modello tradizionale e favorito il riconoscimento di un congegno traslativo snello, per il quale il solo consenso (o meglio,
Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di X. XXXXX, tomo I, Milano, 1991, p. 169 ss.
18 Le correnti di pensiero giusnaturalistiche non erano unanimi nel riconoscere la sufficienza del consenso fra le parti al fine del trasferimento del diritto ed anzi in taluni casi avevano nettamente rifiutato tale impostazione, dimostrandosi, invece, fedeli alla tradizione romano – classica. In questi termini, DOMAT, Les loix civiles dans leur ordre naturel, nouv. ed., Xxxxx, 0000, configura la vendita come “une convention par laquelle l’un donne una chose pour un prix d’argent en monnoie publique, et l’autre donne le prix pour avoir la chose”, limitando le obbligazioni del venditore esclusivamente a quelle di consegnare la cosa e di assicurarne il pacifico godimento. Così X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Milano, 1983, p. 14, richiamata da A. CHIANALE, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 70, e da P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicative, Milano, 1999, p. 25, nota 74, rileva come “Domat giunse a configurare la vendita, contratto consensuale, come fonte per il venditore del solo obbligo di consegnare e garantire”. L’A. pare dunque ribadire l’impostazione propria del diritto comune, secondo la quale il contratto resta produttivo di meri effetti obbligatori, mentre l’effetto reale consegue alla sola traditio, seppur, al ricorrere di determinate circostanze, possa ridursi alla forma simbolica. Nel pensiero di Xxxxx, pur sensibile alle dottrine giusnaturalistiche, rimane così salda la tradizione romano – classica della separazione fra titulus e modus adquirendi.
Allo stesso modo, secondo XXXXXXX, Traité des obligations, in Traités, 2° ed., Paris, 1781, p. 64, il venditore è obbligato a rem tradere, ossia a porre in essere la traditio traslativa, che “ripeterebbe quell’impossessamento della cosa libera in natura in cui molti vedevano il primo manifestarsi del diritto di proprietà” secondo P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicative, Milano, 1999, p. 25.
Il Code Civil veicola dunque il pensiero di Xxxxx e Xxxxxxx, per cui, pur recependo all’art. 1138 la necessità dell’obbligazione di consegna, la totale spiritualizzazione dell’atto di adempimento ha condotto i primi interpreti a recepire il netto distacco dalla tradizione, enfatizzando gli spunti innovativi emersi dalla prassi del diritto consuetudinario.
l’accordo causale) è sufficiente a produrre l’effetto reale, senza necessità di ulteriori formalità esecutive19.
È dunque in un simile clima culturale, nel quale la tradizione del diritto romano classico si affianca alle tendenze del diritto consuetudinario ed alle declamazioni illuministiche, che viene elaborato e promulgato il Code Civil del 1804, che, al fine di accentuare il carattere nazionale francese del nuovo codice20 e di segnare una netta rottura con l’ordinamento prerivoluzionario, per primo consacra un modello traslativo di tipo consensualistico, optando per il superamento della tradizione e recependo la prassi che già si era diffusa nelle regioni di droit coutumier.
In verità, però, le norme codicistiche in cui gli intenti del legislatore francese hanno trovato espressione sono di incerta formulazione, ponendosi, per così dire, a metà strada fra l’affermazione, ancora una volta, di un contratto ad effetti meramente obbligatori ed il riconoscimento invece della sua capacità di spiegare anche effetti reali.
Infatti, l’art. 1138 Code Civil prevede che “l’obligation de livrer la chose est perfaite par le seul consentment des parts contrancts. Elle rend le créancier propriétaire” e, inoltre, con particolare riferimento al contratto di compravendita, l’art. 1583 Code Civil precisa come “elle est parfaite entre les parties, et la propriéte est aquise de droit à la acheteur à l’égard du vendeur, dès qu’on est convenu de la chose e du prix, quoique la chose n’ait pas encore été livrée ni le prix payé”.
19 Sulla sufficienza della volontà a trasferire la proprietà secondo il diritto naturale si era in particolare pronunciato X. XXXXXX, De jure belli ac pacis, III, 6, 1; III, 12, 15. Tuttavia, occorre rilevare che, secondo l’A., sebbene per il diritto naturale il consenso possa essere sufficiente al trasferimento della proprietà, risultano del tutto giustificate le scelte di diritto positivo, che richiedano ai fini del perfezionarsi del trasferimento una traditio ex iusta causa, giacché solo l’effettivo spossessamento è in grado di assicurare la serietà dell’impegno traslativo, evitando alienazioni avventate (temerariae) e ripensamenti in ordine all’intento traslativo (poenitentia).
20 P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicative, Torino, 1999, p. 28 ss., secondo il quale le ragioni dell’accoglimento del principio del consenso traslativo nel Code Civil sono state pressoché ideologiche, improntate al superamento delle regole romanistiche, studiate in contesti accademici strettamente legati alla monarchia, e volte a recepire pratiche giuridiche diffusesi nei territori francesi già anteriormente all’epoca della codificazione.
Entrambe le disposizioni citate paiono porre in discussone prima facie una piena affermazione del principio della traslatività del solo consenso nel Code Civil.
Alla stregua della prima, il trasferimento pare pur sempre intermediato dall’obbligazione di consegna, alla quale si dà tuttavia adempimento mediante una traditio ficta; l’obbligazione si ritiene già adempiuta al momento stesso della conclusione del contratto, per effetto del mero accordo fra le parti. Vi è dunque un sostanziale recepimento da parte del legislatore francese del meccanismo del costituto possessorio affermatosi nel diritto consuetudinario, per cui a livello formale non pare del tutto superata la necessità della consegna, anche se, di fatto, è privata di ogni materialità e del tutto spiritualizzata, perché considerata ex lege già tacitamente adempiuta al momento della conclusione del contratto21. Pertanto, seppur dal combinato disposto degli artt. 1138 e 711 Code Civil22 emerga come il legislatore francese distingua ancora formalmente fra atto di alienazione ed esecuzione23 ai fini del trasferimento, risulta tuttavia evidente che il modus non sia più concepibile come indipendente dal titulus: è lo stesso contratto causale a costituire, al contempo, ragione giustificativa e fattispecie acquisitiva del diritto, in forza dell’adempimento implicito dell’obbligazione di dare, che si considera già eseguita in virtù dell’accordo nel momento stesso in cui è sorta24.
Ma le incertezze sull’efficacia traslativa del consenso emergono anche dal citato art. 1583 Code Civil, il quale aveva indotto parte della dottrina francese a ritenere che in
21 X. XXXXXXX, Riflessioni di un civilista francese sulla clausola di riserva della proprietà, in Riv. dir. civ., 1981, I, p. 440, il quale rileva che “il trasferimento della proprietà, nel sistema risultante dal Codice Civile, costituisce un effetto meramente legale del contratto di vendita”.
22 L’art. 711 Code Civil prevede che “la propriété des biens s’acquiert et se transmet par succession, par donation entre vifs ou testamentaire, et par l’effett des obligations”. Fra i modi di acquisto della proprietà non è dunque contemplato il contratto, ma l’obbligazione, il cui adempimento determina l’effetto reale.
23 P.G. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, Milano, 2008, p.
155 ss.
24 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, 1, in Trattato di diritto civile diretto da Xxxxx, Torino, 1993, p. 720 s.; A. CHIANALE, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 28 ss.; MARCADÉ, Spiegazione teorico –pratica del codice Xxxxxxxxx, libro III, titolo III, nn. 487 ss. e libro III, titolo VI, cap. I, ed. Palermo, 1856.
verità l’accordo fosse sufficiente a trasferire una proprietà per così dire “relativa”25, nei soli riguardi del venditore, mentre l’acquisto del diritto assoluto, come tale opponibile erga omnes, sarebbe invece conseguenza delle necessarie formalità ulteriori: la consegna per i beni mobili e la pubblicità per gli immobili. Se, dunque, risultava chiaro che il contratto causale fosse sufficiente a trasferire la proprietà o il diverso diritto fra le parti, residuava il dubbio se tale efficacia avesse anche rispetto ai terzi. Ed infatti, oltre all’incerto tenore letterale dell’art. 1583, il Code Civil non si era pronunciato in ordine al mantenimento della disciplina di cui alla Legge dell’11 brumaio anno VII (1 novembre 1798), che all’art. 26 stabiliva che, in difetto di trascrizione, gli atti traslativi di diritti reali immobiliari non potessero “etre opposé aux tiers, qui auraient contracté avec la vendeur”26. E, peraltro, la legge 23 marzo 1855, successiva all’emanazione del Code Civil, in merito alla pubblicità immobiliare, all’art. 3 disponeva che “fino alla trascrizione, i diritti risultanti dagli atti e sentenze enunciati negli articoli precedenti, non possono essere opposti ai terzi, che hanno diritti sull’immobile e che li hanno conservati conformandosi alla legge”27. Benché l’equivocità di tali previsioni avesse indotto una linea di pensiero a ritenere sempre necessarie consegna e pubblicità immobiliare affinché il trasferimento potesse dirsi perfezionato rispetto ai terzi28, tale ultima ricostruzione ben presto fu
25 C.M. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di dr. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p.84 s.
26 X. XXXXXXX, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995, p.
18 ss.
27 Cfr. X. XXXXXXXXX, Corso del Codice Civile, prima versione italiana, a cura di X. XX XXXXXXX e X. XXXXX, XII, Trattato dei contratti e delle obbligazioni convenzionali in generale, Napoli, 1871, libro III, tit. III, cap. II, p. 445 ss., in merito alle modifiche al Code Civil introdotte dalla L. 23 marzo 1855, relativa alle formalità della trascrizione per gli atti tra vivi traslativi della proprietà immobiliare a titolo oneroso.
28 Sul punto si veda, in particolare, X. XXXXXXXXX, Corso del Codice Civile, prima versione italiana, a cura di X. XX XXXXXXX e X. XXXXX, XII, Trattato dei contratti e delle obbligazioni convenzionali in generale, Napoli, 1871, libro III, tit. III, cap. II, p. 413 ss., secondo cui “la traslazione della proprietà tra le parti, e la traslazione della proprietà rispetto ai terzi non si confondono assolutamente, la verità è che si avvicinano assai l’uno all’altro. Forse, in fatti, la proprietà non è un diritto assoluto, erga omnes!”. Si vedano in particolare ID, p. 434- 487, con specifico riferimento all’efficacia del trasferimento rispetto ai terzi, per la quale, nel pensiero dell’A. si rende necessaria la trascrizione per i beni immobili e la tradizione per i mobili.
abbondonata per cedere il passo all’affermazione del principio della piena traslatività del consenso, tanto fra le parti, quanto rispetto ai terzi29.
Del resto è evidente che non abbia senso alcuno parlare di trasferimento della sola “proprietà relativa”, poiché, o il diritto di proprietà è assoluto, o non è il diritto di proprietà. Il rapporto fra contratto traslativo e formalità ulteriori richieste dal legislatore deve, dunque, essere spiegato facendo riferimento ad un piano diverso ed ulteriore, che non è quello della successione nel diritto, il quale si trasferisce inalterato nella sua assolutezza dal xxxxx causa all’avente causa, ma, come meglio si vedrà in seguito, è quello dell’efficacia che il titolo d’acquisto riveste rispetto ai terzi, nell’ottica della circolazione giuridica e della sua insita esigenza di assicurare la certezza dei traffici30.
Dottrina31 e giurisprudenza32 sono state così determinanti nel cogliere la portata innovativa intrinseca delle citate previsioni codicistiche, eliminando, mediante una fondamentale attività interpretativa, ogni residuale intralcio formalistico che si frapponeva alla piena affermazione del principio del consenso traslativo, portando così alla massima espressione ed esaltazione quelle tendenze che già serpeggiavano nel diritto consuetudinario.
Nonostante le rilevate imprecisioni ed incertezze redazionali, l’inquadramento sistematico delle norme cardine del sistema nel complessivo impianto codicistico ha così consentito agli interpreti di affermare esplicitamente che l’effetto reale sia
29 X. XXXXXXX, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Xxxxxxx, 1995, p.
22.
30 X. XXXXXXX, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Xxxxxxx, 1995, p.
18 ss.; X. XXXXXXX, Contratto di alienazione e titolo dell’acquisto, Milano, 1974, p.19 ss.
31 X. XXXXXXX, Propriété et contrat, in Theorie des modes d’adquisitions de droits réels et des sources des obligations, ed.1900, p.53; R. TROPLONG, De la vente, 5° ed., titolo I, in Le droit civil expliqué, Paris, 1856, p. 8 e 13; X. XXXXXXX, Spiegazione teorico – pratica del codice Xxxxxxxxx, libro III, titolo V, sub. Art. 1583, n. 11, ed. Palermo, 1856, il quale, in particolare, rileva che “la propriété des choses mobilières se transmet ainsi à l’egard des tiers par le seul consentment”; XXXXX e XXX, Cours, 5° ed., tit. IV, p. 340, secondo cui “la propriété de la chose vendue est en general transmise à l’acquereur même à l’egard des tiers, par le seul effet du contrat”.
32 Cfr., fra le tante, Xxxx. 1 maggio 1860, in D., 1860, I, p. 236 ss; App. Bordeaux, 15 luglio 1857, in D., II, 1857, p. 185 ss.
immediatamente e tecnicamente imputabile al solo contratto causale. È perciò l’accordo a costituire in definitiva la fattispecie acquisitiva del diritto, mentre l’adempimento dell’obbligazione di consegna ovvero l’esecuzione delle formalità pubblicitarie attengono non già al piano del trasferimento del diritto, quanto piuttosto a quello della sua opponibilità ai terzi, al fine di dirimere eventuali conflitti fra aventi causa di diritti incompatibili da un comune autore.
Del resto, tali conclusioni paiono senz’altro desumibili dalla previsione di cui all’art. 1589 Code Civil, secondo la quale “la promesse de vente vaut vente”33, ossia l’accordo produce sempre l’effetto reale anche quando le parti si siano limitate ad obbligarsi a trasferire. E se l’accordo con cui le parti si obbligano a dare è di per sé immediatamente traslativo, non può che cogliersi in tale previsione il radicale superamento della scissione fra titulus e modus adquirendi. L’effetto reale diviene così conseguenza irrinunciabile e necessaria del contratto causale, giungendo ad un’esasperazione del consensualismo, teso quasi a negare l’ammissibilità di una convenzione privata che contempli un’obbligazione di dare34.
Pertanto il Codice Xxxxxxxxx, tramite l’opera dei primi interpreti francesi, afferma l’inutilità di un modus adquirendi distinto dal titulus e dell’elemento meramente di stile della traditio ficta, proclamando sostanzialmente l’efficacia traslativa del contratto causale ed estendendola a tutte le fattispecie traslative35.
33 In merito all’equiparazione fra la promessa di vendita e vendita definitiva, si vedano: X. XXXXXX, Promesse de vente vaut vente, in Riv. dir. st. dir. it., 1953/54, p. 247 ss.; X. XXXXX, Relazione di sintesi, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di
X. XXXXX, tomo II, Milano, 1991, p. 868 ss.
34 X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 28 s e 78 ss., il quale rileva come “il collegamento codicistico tra l’effetto reale e la conclusione del contratto obbligatorio portò gli interpreti a negare in radice l’ammissibilità di un’obbligazione di trasferire negozialmente la proprietà”.
35 Il Code Civil estende l’efficacia reale anche alla donazione. L’art. 938, infatti, dispone che “la donation dûment acceptée sera parfaite par le seul consentement des parties; et la propriété des objets donnés sera transférée au donataire, sans qu’il soit besoin d’autre tradition”. Proprio da tale disposizione e dal menzionato art. 1589 Code Civil risulta sistematicamente desumibile una piena affermazione dell’efficacia traslativa del consenso.
Com’è noto, il sistema fatto proprio dalla codificazione francese è stato recepito, dapprima, nelle legislazioni degli ordinamenti preunitari36, per poi confluire nel codice civile italiano del 1865, che all’art. 1125 c.c.37 si affranca dalla formula del costituto possessorio, alla quale, come si è visto, risultava ancora formalmente ancorato l’art. 1138 Code Civil. Infatti, tale disposizione non fa più riferimento all’intermediazione, seppur meramente formale, dell’obbligazione di consegna, ma afferma esplicitamente che il diritto si trasferisce per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato, divenendo così l’art. 1125 del codice civile previgente il chiaro antecedente storico dell’attuale art. 1376 c.c.
Ma l’opzione legislativa per l’imputazione dell’effetto reale al solo contratto causale pare altresì desumibile dall’art. 1448 c.c. abrogato, ai sensi del quale, la vendita è perfetta fra le parti e la proprietà si acquista di diritto dal compratore nei riguardi del venditore, nel momento in cui si è raggiunto l’accordo sul prezzo e sul bene oggetto del trasferimento, con una formulazione analoga a quella dell’art. 1583 Code Civil, che parrebbe circoscrivere l’efficacia reale ai soli rapporti fra le parti. Tuttavia, l’art. 1447 c.c., nella definizione del contratto, fa primariamente riferimento all’obbligo in capo al venditore di trasferire la proprietà al compratore, profilandosi, dunque, il tramite logico dell’obbligazione di dare, la quale, così come nel sistema francese, si considera tacitamente adempiuta fin dal momento del suo sorgere.
In verità, pertanto, nel codice civile del 1865, la formula del costituto possessorio esce dalla porta per rientrare dalla finestra, in quanto, seppur superata dall’enunciazione generale di cui all’art. 1125 c.c., viene poi riaffermata dal combinato disposto degli artt. 1447 e 1448 c.c. Possiamo così rilevare come nel codice civile abrogato convivessero sostanzialmente due distinte tendenze, l’una protesa verso la chiara enunciazione del principio consensualistico, l’altra legata al modello incerto,
36 In particolare, lo Statuto Albertino del 1838, all’art. 1229, enunciava il meccanismo della
traditio ficta, pur sempre necessario al trasferimento della proprietà.
37 L’art. 1125 c.c. abr. disponeva infatti che “nei contratti che hanno per oggetto la traslazione della proprietà o di altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato, e la cosa rimane a rischio e pericolo dell’acquirente, quantunque non ne sia seguita la tradizione”.
non ancora esplicito, di derivazione francese, in cui il contratto pare, almeno dal punto di vista testuale, produttivo di soli effetti obbligatori. Ne derivava, dunque, una manifesta disomogeneità del tessuto normativo codicistico, che aveva indotto parte della dottrina italiana a sollevare non poche remore rispetto alla proclamata recezione del modello traslativo consensualistico38.
A ben guardare, però, l’efficacia meramente obbligatoria del contratto causale, ancora enunciata da talune norme, pare solo il frutto di una fictio iuris, per cui, esattamente come per il Code Civil, l’obbligazione di dare in capo al venditore costituisce un’intermediazione di carattere puramente fittizio. La formulazione, pur ancora in parte imperfetta39 delle disposizioni del codice previgente, non consente dunque di porre in dubbio il recepimento del modello traslativo francese, nel quale in definitiva non è più dato distinguere fra contratto causale e atto di adempimento traslativo, poiché, come si è visto, è lo stesso accordo a costituire in sé esecuzione intrinseca dell’obbligo di dare.
Peraltro, ulteriore conferma della sola traslatività dell’accordo causale pare desumersi dal tenore dell’art. 1459 c.c. abrogato, che dichiara nulla la vendita civile di cosa altrui40, analogamente a quanto disposto dall’art. 1599 Code Civil. Difatti, se
38 Forti critiche rispetto all’enunciazione del principio del consenso traslativo nel codice civile del 1865 furono sollevate da X. XXXXXXXXXX, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933,
p. 88, il quale affermò chiaramente che le formule utilizzate dal legislatore del 1865 fossero univoche nell’escludere la riproposizione del consensualismo di derivazione francese; ma, fra i tanti, si vedano anche X. XXXXXX, Della vendita, della cessione e della permuta, Napoli, 1891, p. 1 ss.;
E. PACIFICINI – XXXXXXX, Istituzioni di diritto civile italiano, ed. 4°, tit. V, Firenze, 1913, p. 4 ss.; E. GIANTURCO, Contratti speciali, vol. II, Napoli, 1905, p. 20 e 32; X. XXXXXXX, Commentario del codice civile italiano, x. XX, xxx. X, Xxxxxx, 0000, p. 262 ss.; X. XXXXXXX, La vendita nel diritto moderno, vol. I, Milano, 1920, p. 106 ss.; X. XXXXXXXXX, Della vendita e del riporto, ed. 6°, Torino, 1936, p. 225 ss.; X. XXXXX, L’atto di disposizione dei diritti, in Annali Univ. Xxxxxxx, 1936, p.1 ss.; ID, La «logica illogica» del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 000 xx.
00 Così è definita la formulazione dell’art. 1447 c.c. abr. da X. XXXXXXX, Commentario del codice civile italiano, v. IV, tit. I, Torino, 1878, p. 262.
40 È necessario, peraltro, precisare che, mentre la vendita civile di cosa altrui era dichiarata nulla dall’art. 1459 c.c. abrogato, l’art. 59 del cod. comm. 1882 dichiarava invece la validità della vendita commerciale di cosa altrui e recitava per l’appunto che, con essa si “obbliga il venditore a farne l’acquisto e la consegna al compratore”. Taluni, v. A. CHIANALE, Obbligazione di dare e
l’alienante non ha il potere di disporre del diritto al momento della conclusione del contratto, il suo difetto di legittimazione non può che impedire radicalmente il verificarsi di un trasferimento contestuale, alla stregua del principio per cui nemo plus iuris ad aliud tranferre potest quam ipse haberet, precludendo così l’immediata traslatività del contratto. Ne deriva, dunque, che la nullità della vendita di cosa altrui sia anch’essa un evidente indice sintomatico di un sistema traslativo, in cui il superamento della separazione fra titulus e modus adquirendi si è ormai spinto fino al punto da negare la validità di un accordo con il quale le parti differiscano anche solo sul piano cronologico l’effetto reale, il quale deve discendere immediatamente dall’accordo raggiunto dalle parti sulla funzione socio – economica programmata con la conclusione del contratto.
A tal riguardo è però necessario precisare che, se i primi commentatori francesi all’art. 1599 Code Civil catalogarono tale invalidità in termini di nullità assoluta, così avallando un’interpretazione rigida, tesa ad escludere un trasferimento non temporalmente contestuale rispetto alla conclusione del contratto, in seguito iniziarono invece a profilarsi ricostruzioni più flessibili, che condussero a degradare l’invalidità negoziale della vendita di cosa altrui a mera nullità relativa o comunque a ricondurla agli schemi dell’impugnativa a favore della sola parte acquirente41. In questo modo la dottrina francese iniziò ad ammettere il differimento cronologico dell’effetto reale, pur sempre imputabile al solo contratto causale, senza mai “rilegittimare un atto traslativo distinto dal contratto”42.
trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 92, ravvedono in tale obbligazione del venditore un’obbligazione di dare, per cui il trasferimento del diritto sarebbe effetto del separato atto di trasferimento della proprietà, di esecuzione del preesistente obbligo di consegna. Altri, si veda
X. XX XXXXXXX, Profili della vendita commerciale e del contratto estimatorio, Milano, 1950, p. 13, ritengono invece che non vi sarebbe obbligazione di dare, ma obbligazione di acquistare la proprietà dal titolare di essa. Il diritto si trasferisce non appena si sana il difetto di legittimazione dell’alienante, per effetto del contratto.
41 X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 78; P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicative, Torino, 1999, p. 37 s.; X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Milano, 1983, p. 28 ss.
42 X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 78.
E tali tendenze sono state recepite dall’attuale codice civile italiano del 1942, il quale supera testualmente la sanzione della nullità radicale, di cui all’art. 1459 c.c. previgente, disciplinando la vendita di cosa altrui come perfettamente valida, agli artt. 1478 – 1479 c.c., distinguendo fra le ipotesi di buona e mala fede dell’acquirente. Difatti, se quest’ultimo è consapevole dell’altruità del diritto al momento della conclusione del contratto, si ammette il differimento meramente cronologico dell’effetto reale e si riconosce la validità di una vendita che non sia preordinata all’immediata traslazione del diritto, ma dalla quale sorga l’obbligazione di cui all’art. 1476, n. 2, c.c. Ed anche nell’ipotesi di buona fede dell’acquirente, il difetto di legittimazione dell’alienante non dà luogo a nullità del contratto, ma alla mera inattuazione dell’impegno traslativo al momento della vendita, con contestuale facoltà per l’acquirente di pretenderne l’immediata risoluzione, se il venditore nel frattempo non gli abbia fatto acquistare la titolarità del diritto.
È per le linee evolutive finora delineate che si è così giunti all’emanazione dell’attuale codice civile, nel quale il consensualismo raggiunge la sua piena enunciazione. E, infatti, l’art. 1376 c.c., rubricato “contratto con effetti reali”, recepisce il contenuto del precedente art. 1138 c.c. abrogato, superando qualsiasi intermediazione dell’obbligazione di consegna, ed imputando il trasferimento direttamente ed immediatamente al consenso delle parti legittimamente manifestato. Il riferimento all’obbligazione di dare, al meccanismo della traditio ficta, scompare anche dalla definizione legislativa della compravendita, che, ai sensi dell’art. 1470 c.c., è “il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”. La vendita viene, dunque, pacificamente delineata come contratto consensuale e traslativo, in cui tanto gli effetti obbligatori, quanto l’effetto reale, conseguono tutti immediatamente all’accordo raggiunto dalle parti al momento della conclusione del contratto, senza la mediazione di alcuna obbligazione di dare, il cui adempimento si renda necessario ai fini del trasferimento43.
43 Si ripudia così la concezione francese, ancora accolta dal codice civile del 1865, che riteneva pur sempre necessario il tramite logico dell’obbligazione di dare, tacitamente adempiuta con il raggiungimento dell’accordo. Per questa via si supera il passaggio logico che
Il sinallagma negoziale - vincolo di reciproca interdipendenza - viene direttamente a sussistere fra la prestazione pecuniaria, oggetto dell’obbligazione di prezzo del compratore, e la controprestazione, rappresentata dall’immediata attribuzione patrimoniale traslativa44 gravante sul venditore.
E così, superando le incertezze testuali ed applicative che ancora destava il codice civile francese45, recepite in prima istanza dal legislatore italiano del 1865, l’art.1376 c.c. vigente afferma pienamente, come si è detto, il principio del consenso traslativo, espressione della volontà sovrana dell’individuo, come tale idonea non solo alla costituzione di rapporti obbligatori, ma altresì a determinare vicende circolatorie dei diritti.
portava a ritenere che la vendita attribuisse il solo diritto personale ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di trasferire e si afferma il principio per cui è la vendita stessa a trasferire il diritto, divenendo la vicenda reale effetto necessario dell’accordo negoziale. Emblematica è a tal riguardo l’affermazione di X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 94, secondo il quale per l’appunto “la volontà di obbligarsi a trasferire è convertita in volontà di trasferire”. Sulla necessaria ed immediata efficacia traslativa del contratto di compravendita, cfr. X. XXXXXXXXX, Dei singoli contratti, in Comm. cod. civ., Torino, 1968, p. 12; X. XXXXXX, La compravendita, Milano, 1962, p. 297 ss.; X. XXXXXXX, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, p. 38 ss.; C.M. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di dr. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p. 95 ss.; G. B. FERRI, La vendita in genere, in Tratt. dir. priv., diretto da X. Xxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 228 ss.
44 Sul punto si veda X. XXXXXXXX, La compravendita, sesta edizione, Torino, 2009, p. 1 ss.
45 In particolare, X. XXXXX, Relazione di sintesi, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di X. XXXXX, tomo II, Milano, 1991, p. 863 ss., rileva come in Francia la traditio traslativa di diritto romano sia viva quanto negli ordinamenti che espressamente ammettono la separazione fra titulus e modus. Benché nelle enunciazioni generali il sistema paia improntato alla traslatività del solo contratto causale, in verità, le regole operazionali dimostrano come il sistema sia alternativo, riconoscendo la traslatività, ora del solo titulus, ora del titulus unitamente al modus. Il Code Napoléon stabilisce, infatti, che ogni pagamento indebito, eseguito per errore circa l’esistenza di una preesistente obbligazione, dà luogo a ripetizione. Ma da ciò si deduce che, al contrario, quando non vi sia stato un tale vizio della volontà, il pagamento sia invece irripetibile. Ne deriva, dunque, secondo l’A. che “la consegna priva di causa trasferisce la proprietà se non c’è errore sulla causa, quindi la consegna fatta senza vizio della volontà trasferisce la proprietà”.
2. Il contratto con effetti reali. La formula dell’art. 1376 c.c. e la presunta equivalenza fra contratto e consenso.
Com’è noto, l’art. 1376 c.c., rubricato “contratto con effetti reali”, dispone espressamente che “nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”.
Il tenore letterale di tale enunciazione generale solleva un duplice ordine di criticità. In primo luogo, individua quale fonte del trasferimento il consenso delle parti, per cui pare legittimo domandarsi se effettivamente vi sia corrispondenza fra consenso ed accordo, elemento al quale il codice fa espresso riferimento in merito al perfezionamento del contratto, ai sensi degli artt. 1326 ss. c.c. In altri termini, occorre interrogarsi per stabilire quale sia il significato da attribuire al termine consenso, per comprendere se si tratti di un mero retaggio di concezioni contrattualistiche improntate al dogma della volontà ovvero se abbia un’autonoma valenza in campo contrattuale e risulti sempre e ed immancabilmente necessario al raggiungimento dell’accordo e conseguentemente alla conclusione del contratto. Inoltre, dalla previsione testuale della norma parrebbe, in prima istanza, desumersi la piena traslatività del solo consenso unanime delle parti contraenti, del pactum nudum, il quale, se manifestato nel rispetto dei modi di legge, sarebbe necessario ed al contempo sufficiente a determinare l’effetto reale. Così, parrebbe che, nei contratti preordinati al trasferimento della proprietà o di altro diritto, il mero consenso raggiunto dalle parti circa l’assetto di interessi dalle stesse pattiziamente programmato sia da sé solo idoneo a determinare il trasferimento, non soltanto senza alcuna necessità di attendere un successivo e distinto atto di alienazione, ma anche e soprattutto, per ciò che ora interessa, senza necessità di essere accompagnato da alcun vestimentum46.
46 Cfr. X. XXXX (a cura di), Il contratto. Trattato teorico – pratico, Milano, 2012, p. 65 ss. Vestes o Vestimenta pactorum sono gli elementi che conferiscono efficacia giuridica al pactum. Nelle elaborazioni del diritto comune (sec. XII- XVIII), i glossatori distinguono fra nuda pacta, mere
L’enunciazione generale del principio consensualistico impone, dunque, una prima serie di considerazioni, da un lato, volte a determinare se il consenso sia sempre necessario per il raggiungimento dell’accordo contrattuale e, in quanto tale, rivesta un ruolo determinante in merito alla sua efficacia; dall’altro, orientate a comprendere se il solo pactum nudum sia realmente sufficiente all’efficacia del contratto concluso, posto che così parrebbe desumersi dal mero dato testuale dell’art. 1376 c.c.
Per quanto attiene al primo dei profili problematici sopra delineati, la concezione del contratto come incontro delle volontà, fusione dei consensi delle parti contraenti47, è figlia delle elaborazioni dottrinali del diritto naturale, dell’affermazione del noto “dogma della volontà”, che nei secoli XXVII e XXVIII ricerca ed individua la fonte di ogni effetto giuridico nella mera volontà del soggetto nella cui sfera l’effetto sia destinato a prodursi. In un simile orizzonte, l’accordo implicava necessariamente il consenso, inteso come fusione dell’interno sentire delle parti, che muovendo da posizioni diverse, convergono verso una volontà comune, generatrice degli effetti contrattuali. Ma la teoria della fusione dei consensi, dell’incontro delle volontà, è frutto dell’illusione giusnaturalistica della rilevanza per il giuridico del solo interno volere. In verità, la volontà, quale fatto psicologico ed intimistico, attiene al foro interno del singolo, non è afferrabile e tangibile e, in quanto tale, non può essere fonte generatrice
convenzioni, accordi dai quali sorge la sola obligatio naturalis, e pacta vestita, i contratti veri e propri, fonti invece dell’obbligazione civile, coercibile mediante l’esercizio di un’azione.
47 L’origine della teoria del contratto come incontro dei consensi è individuata da X. XXXXX, La «logica illogica» del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Riv. dir. civ., 1966, p. 257, nota (7), nel famoso passo romano D., 2, 14, De pactis, 1, 3, che dopo aver definito il pactum, l’accordo, come duorum pluriumve in idem placitum et consensus, così prosegue: nam sicuti convenire dicuntur qui ex diversis loci in unum locum colliguntur et veniunt, ita et qui ex diversis animi motibus in unum consentiunt, id est in unam sententiam decurrunt”. L’A. rileva come il consenso, nel suo intimo significato di “venire in unum locum”, “cum – sentire”, “in unum consentire”, sia stato in più occasioni applicato dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. 5 maggio 1951,
n. 1082, commentata dallo stesso XXXXX in Offerta ad incertam personam, in Foro it., 1965, I, p. 433 ss.), che, secondo l’A., quasi utilizzando le parole del citato passo romano, ha ritenuto elemento essenziale per la conclusione del contratto il consenso, inteso per l’appunto come l’incontro delle volontà dirette ad un fine comune, volontà che, partendo da posizioni diverse, convergono in una volontà sola, nella volontà contrattuale.
di effetti giuridicamente vincolanti. In altri termini, non è fatto sociale, che possa essere riconosciuto e valutato, e così confondersi con l’altrui volere.
Ben presto la dottrina avverte che a rilevare è la volontà manifestata, esteriorizzata; più che di incontro dei consensi, dovrebbe parlarsi di incontro delle dichiarazioni di volontà dei contraenti, perché solo per il tramite dell’esternazione del pensiero, sì da renderne ad altri riconoscibile il significato in essa oggettivato, gli uomini possono creare fra loro vincoli e rapporti reciproci48. Si deve, quindi, convenire con quella parte della dottrina che distingue fra l’accordo contrattuale, fatto oggettivo che allude alle scelte legislative circa l’incontro delle dichiarazioni di volontà dei paciscenti, ed il consenso, ossia il soggettivo concordare delle volontà, che non sarebbe invece sempre necessario per la conclusione del contratto, nonché per la sua efficacia49. E, invero,
48 È in particolare X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, ristampa II ed., a cura di X. XXXXX, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, p. 54 ss. a rilevare la natura del negozio come atto sociale, che consiste in una dichiarazione o in un comportamento. L’A. rileva che “solo per il tramite di forme rappresentative idonee a serbare l’impronta dell’autore e a rendere riconoscibile il senso in esse oggettivato, possono gli uomini pervenire a intendersi fra loro […]. Ora, questo elementare dato di esperienza viene perduto di vista da chi per inconsapevole xxxxxxx, ravvisa nella “volontà” tanto l’oggetto dell’interpretazione quanto l’essenza del negozio giuridico”. Il fatto che nell’interpretazione del contratto, ai sensi dell’art. 1362 c.c., si debba indagare in primo luogo quale sia stata la “comune intenzione” delle parti, ossia “ricercare la mens animatrice o il senso in esso oggettivato, non significa che mens e senso si possano divinare prescindendo dalla forma in cui si sono resi riconoscibili”. Viene così richiamata la distinzione hegeliana fra essere a sé immanente (An-sich-sein) ed essere ad altri riconoscibile (Sein-für-anderes).
49 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, ristampa II ed., a cura di X. XXXXX, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, p. 54 ss.; X. XXXXX, La «logica illogica» del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto”, in Riv. dir. civ., 1966, p. 272 ss. Di contrario avviso risulta, invece, X. XXXXXXXX, Il contratto in genere, tomo I, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da X. XXXX e X. XXXXXXXX, vol. XXI, Milano, 1968, p. 381 ss., secondo il quale per la conclusione del contratto non sarebbe sufficiente l’incontro delle dichiarazioni di volontà nei modi di legge, ma sarebbe, altresì, necessario l’incontro delle reali volontà dei dichiaranti; l’incontro delle sole dichiarazioni sarebbe sufficiente nel solo caso che, dietro l’accordo, non vi sia dissenso. In particolare può rilevarsi la nota polemica del MESSINEO, ID., p. 388, (54), nei confronti della distinzione fra accordo e consenso, prospettata da BETTI, perché la stessa allusione polemica mossa al termine consenso, per il suo significato di cum – sentire, sarebbe altrettanto implicita nel termine accordo, “quanto meno se si tenga il dovuto conto dell’origine lessicale: ad e cor (cordis). Il cuore sta ad indicare il fatto interiore e non un fatto esterno, qual è la dichiarazione delle parti”.
l’effettiva coincidenza fra interno sentire e volontà esteriorizzata è solo eventuale e, in ogni caso, difficilmente valutabile, posto che ciò su cui l’interprete può indagare è la sola dichiarazione negoziale. Così, a riprova di quanto detto, non poche sono le ipotesi contemplate dal nostro ordinamento nelle quali il contratto risulta concluso, ossia l’accordo si considera raggiunto, benché l’interno volere di una delle parti contraenti difetti o risulti viziato.
È ben vero, infatti, che il codice civile prende in considerazione i vizi del consenso, e dunque si premura che la volontà negoziale del contraente si formi correttamente e sia concreta espressione di libertà ed autonomia, ma, al contempo, tale disciplina è improntata all’esigenza di dar tutela all’affidamento di chi l’altrui dichiarazione di volontà riceva e che, in buona fede, sul contenuto di essa confidi50. In questi termini, ad
50 Il tema dei vizi della volontà si inserisce nell’alveo delle problematiche concernenti la dicotomia fra interno volere e dichiarazione. Varie sono state le tesi storicamente sostenute al riguardo. Nei primi decenni del 1800 si afferma il modello economico liberale, espressione della società borghese e della sua reazione alle rigidità ed all’immobilismo dell’ancien regime. In un simile contesto, in cui la libertà individuale si sostituisce alle limitazioni derivanti dagli status, la volontà dell’individuo raggiunge la sua massima esaltazione e pare idonea alla produzione di qualsivoglia effetto giuridico, senza necessità di essere imbrigliata in rigidi formalismi. La volontà del contraente assume un ruolo totalizzante nella disciplina del contratto e, pertanto, ogni alterazione che ne turbi la corretta formazione assume un’efficacia necessariamente invalidante. Nell’ipotesi di una divergenza fra volontà esteriorizzata e ed interno volere è quest’ultimo ad avere la meglio ed a mettere così in discussione l’efficacia del contratto. Sul tema si veda X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Xxxxxx e Xxxxx, II ed., 2011, p. 37 ss.
Verso la fine dell’800 tale concezione inizia ad entrare in crisi per effetto dell’affermazione di teorie oggettive del contratto, tese ad assicurare, in primis, la certezza della circolazione giuridica (espressione di un capitalismo più maturo), minata inevitabilmente da una disciplina dei vizi del consenso che cagioni la caducazione del contratto in ragione di elementi perturbatori dell’interno volere non esternamente apprezzabili. Si afferma così la teoria della dichiarazione, che risale ad X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, ristampa II ed., a cura di
X. XXXXX, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, p. 201, per cui ciò che conta non è il volere interiore del soggetto, ma la manifestazione esteriore della volontà. Tale teoria incorre però nell’inconveniente opposto al dogma della volontà, quello di dar esclusivo rilievo alla dichiarazione, senza tenere in debita considerazione la reale volontà del dichiarante, la quale è comunque elemento essenziale per la formazione del contratto.
esempio, l’art. 1428 c.c. ritiene l’errore causa di annullamento del contratto solo quando, oltreché essenziale sia anche riconoscibile, ossia quando “in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alle qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo”. Allo stesso modo, prevale l’affidamento del destinatario nel caso della riserva mentale di uno dei contraenti, ossia la dichiarazione negoziale consapevolmente in contrasto con quanto realmente voluto dal dichiarante. In tale ipotesi, poiché chi riceve l’altrui dichiarazione non può coglierne la divergenza rispetto al reale sentire, né gli si può imporre di indagare su quanto in verità abbia voluto il dichiarante, quest’ultimo rimane vincolato, risultando giuridicamente irrilevante la sua riserva mentale. Ma anche la disciplina della violenza
Le teorie più attuali, affermatesi negli ordinamenti moderni, sono quelle che cercano un contemperamento fra le esigenze sottese alle due teorie estreme sopra rilevate. Da taluni (in particolare, si veda X. XXXXXXXXX, voce Autoresponsabilità, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 452; nonché X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 2002, p. 147) è stata così avanzata la teoria cosiddetta dell’autoresponsabilità, secondo la quale il dichiarante viene considerato vincolato dal contenuto della propria dichiarazione, anche quando questa non fosse corrispondente alla volontà interiore, tutte le volte che tale divergenza derivi da sua colpa: è la responsabilità dell’agente che giustifica la conservazione degli effetti della dichiarazione. Anche tale teoria non pare però del tutto adeguata a soddisfare l’esigenza di certezza dei traffici, perché, se è vero che chi immette una dichiarazione nel traffico giuridico assume la responsabilità delle conseguenze pregiudizievoli che tale dichiarazione, per sua colpa, produce, tuttavia, non tutela il destinatario tutte le volte in cui la divergenza risulti derivare da errore scusabile. Dunque, la teoria che nel nostro codice civile pare essersi affermata in materia contrattuale è da ultimo quella dell’affidamento (al riguardo, X. XXXXX, Il consenso, in I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, I, Torino, 2006). Secondo tale teoria, ogni volta che sia riscontrabile una divergenza fra dichiarazione contrattuale ed interno volere del dichiarante occorre aver riguardo all’affidamento che detta dichiarazione abbia ingenerato nel destinatario. A differenza della teoria dell’autoresponsabilità, pertanto, che poneva il perno del proprio ragionamento sulla diligenza del dichiarante, la teoria dell’affidamento sposta il proprio baricentro sulla posizione del destinatario, che abbia regolato la propria attività negoziale in ragione di quanto dalla controparte esteriormente manifestato. Se il destinatario, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto accorgersi del vizio, allora il contratto potrà essere caducato; al contrario, se neppure con l’uso della diligenza ragionevolmente attendibile, il destinatario avrebbe potuto rilevare la sussistenza di un elemento perturbatore dell’altrui volere, il dichiarante resterà vincolato agli effetti che dalla propria dichiarazione discendono.
e del dolo determinante induce a ritenere che non vi sia coincidenza fra accordo contrattuale e incontro dei consensi, giacché il rimedio previsto per tali vizi del volere è quello dell’annullabilità del contratto. Nonostante la patologia negoziale il contratto è concluso e, dunque, l’accordo non difetta, anzi risulta produttivo di effetti fino all’eventuale sentenza costitutiva di annullamento.
In verità, in tutte queste ipotesi l’ordinamento astrae dalla volontà vera e ciononostante ritiene il dichiarante vincolato e, dunque, il contratto concluso, per assicurare la certezza e la sicurezza dei traffici e dare prevalente tutela alla legittima aspettativa che la manifestazione, l’esteriorizzazione della volontà, abbia ingenerato nel destinatario.
Il fatto poi che l’accordo non si identifichi necessariamente con l’incontro dei consensi emerge dalla stessa disciplina relativa al perfezionamento del contratto. La sezione I, capo II, titolo II, libro IV del codice civile è, infatti, rubricata “dell’accordo delle parti” e contempla i modi di conclusione del contratto, fra i quali lo schema generale è quello rappresentato dalla sequenza fra proposta ed accettazione, atti unilaterali recettizi. L’art. 1326, comma 1, c.c., in particolare, enuncia il principio della cognizione, per cui il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui chi ha fatto la promessa ha conoscenza dell’accettazione dell’oblato, tenendo conto della presunzione di cui all’art. 1335 c.c. Ma, se in queste circostanze può affermarsi che un vero e proprio incontro delle volontà si sia raggiunto, non lo stesso può dirsi quando alla proposta segua l’inizio dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 1327 c.c., ovvero il mero silenzio dell’oblato. In particolare, in tale ultima ipotesi, nella quale, a norma dell’art. 1333 c.c., il contratto si considera concluso per effetto del mancato rifiuto nel termine richiesto dalla natura dell’affare, è evidente come la conclusione del contratto (sempre che di contratto si tratti) sia del tutto svincolata dall’incontro dei consensi, posto che manca qualsivoglia manifestazione di volontà dell’oblato51.
51 Sulla natura giuridica della fattispecie negoziale di cui all’art. 1333 x.x. xx xxxx xx xxx. 0, xxx. X, xxx. XXX.
Ma, come la dottrina più accorta ha da tempo rilevato52, è in particolare dalla disciplina della revoca dell’accettazione53 che può desumersi il possibile scollamento fra incontro delle volontà ed accordo. L’art. 1328, comma 2, c.c. dispone, infatti, che “l’accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell’accettazione”. Poniamo che l’oblato accetti la proposta contrattuale indirizzatagli dal proponente, ma che, poco dopo, rivalutatane la convenienza, muti il proprio convincimento e decida di revocare l’accettazione. Xxxx accade se, nel frattempo, il proponente sia già giunto a conoscenza dell’accettazione? Come emerge dalla norma summenzionata, il contratto è concluso ed è concluso benché la manifestazione di volontà dell’oblato, esternatasi nell’accettazione, non corrisponda più al suo attuale volere. Ciò costituisce ulteriore dimostrazione della rilevanza che nel nostro ordinamento ha la manifestazione di volontà, in quanto conoscibile, e non la volontà in sé stessa. È così l’incontro delle volontà manifestate a determinare il raggiungimento dell’accordo e, in particolare, l’incontro delle dichiarazioni o dei comportamenti giuridicamente rilevanti nei modi prescritti dalla legge agli artt. 1326 e ss. c.c.
In altri termini, il perfezionamento dell’accordo non è un evento apprezzabile in rerum naturae, non coincide con l’individuazione di un momento che sia il frutto di conseguenze logiche necessitate, ma è espressione di scelte di politica legislativa, che appalesano come in verità non esista un momento di automatico incontro dei consensi54.
Già in questi termini si individua una prima limitazione del valore del consenso traslativo. L’art. 1376 c.c. non fa riferimento ad un effetto reale che consegua ad una
52 X. XXXXX, La «logica illogica» del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto”,
in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 000 xx.
00 X. XXXXX, La «logica illogica» del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto”,
in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 000 xx.
00 X. XXXXX, La «logica illogica» del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto”, in Riv. dir. civ., 1966, p. 272 ss., che rileva come “l’istituto del contratto, più che sulla logica del consensualismo o dell’incontro dei consensi, o della fusione delle volontà che dir si voglia, si rivela fondato sulla tutela delle aspettative della buona fede e sulla composizione degli interessi che ne nascono, in una bilancia che il diritto cerca di attuare nel modo più conveniente e meno imperfetto in un dato ambiente storicamente determinato”.
presunta fusione fra le volontà interiori delle parti contraenti, ma al “consenso legittimamente manifestato”, ovvero al raggiungimento dell’accordo contrattuale in uno dei modi previsti dalla legge agli artt. 1326 ss. c.c. Alla luce di quanto detto, pare pertanto ben possibile che anche nelle ipotesi in cui non sia dato riscontrare un consenso unanime fra le parti contraenti, ciononostante l’accordo sia raggiunto in uno dei modi tipizzati dal legislatore ed il contratto così concluso produca tutti gli effetti a cui è preordinato, tra i quali, se del caso, anche l’effetto reale.
Chiarito che per consenso delle parti legittimamente manifestato deve intendersi l’accordo raggiunto nei modi di legge, occorre ora dar soluzione al secondo quesito, quello relativo alla presunta sufficienza del solo accordo a determinare il trasferimento della proprietà o di altro diritto. A ben guardare, il dato testuale pare il frutto della ricorrente identificazione definitoria fra contratto ed accordo, per cui il primo si ridurrebbe ad una dichiarazione bilaterale di volontà55, al consenso unanime dei contraenti56: i termini accordo e contratto sarebbero, dunque, sinonimi e come tali interscambiabili. Se il contratto è l’accordo negoziale fra due o più parti e se, ai sensi del 1376 c.c., l’effetto reale consegue al “consenso legittimamente manifestato” dalle parti nei modi di legge, ciò significherebbe, in altri termini, che il trasferimento si produce contestualmente alla conclusione del contratto, per effetto del solo accordo dalle stesse parti raggiunto. Ma è proprio vero che il contratto esaurisce la sua essenza nell’accordo
55 X. XXXX, Istituzioni di diritto civile, 5° ed., a cura di X. XXXXXX, Torino, 1951, p. 6.
56 Anche in dottrina, come ha rilevato P.M. MONATERI, La sineddoche, Milano, 1985, p. 192 ss.; P.M. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, Milano, 2008, p. 54 ss., è diffusa la tendenza ad identificare, sul piano definitorio, il contratto con il mero accordo fra le parti e ad analizzare solo in seguito e separatamente gli altri elementi comunque necessari per la sua valida conclusione, fra i quali in particolare la causa. L’A. distingue, dunque, fra la sineddoche a livello codicistico, della quale si è fatta menzione, e analoga sineddoche diffusa nel formante dottrinale. A titolo esemplificativo della diffusa identificazione fra contratto ed accordo possono citarsi X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Variazioni sul contratto, in Riv. trim. dir. civ., 1970, p. 3; X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 23 ss.; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Ventunesima edizione, a cura di X. XXXXXX e X. XXXXXXXX, Milano, 2013, p. 481 ss;
e che il nudo patto sia sufficiente per l’efficacia, tanto obbligatoria, quanto reale del contratto?
Come la dottrina ha ampiamente rilevato, la menzionata identificazione fra contratto e accordo pare il frutto di quella che è stata definita come una sineddoche57, per effetto della quale talvolta le formule codicistiche fanno espresso riferimento ad una parte58, volendosi però con essa intendere una porzione di un ben più complesso intero, di un tutto sottinteso. Emblematico di tale scollamento concettuale pare il raffronto fra la definizione codicistica del contratto, la cui essenza viene ridotta al mero accordo, e la successiva elencazione degli elementi essenziali per la sua valida conclusione.
L’art. 1321 c.c. dispone, infatti, che “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Secondo tale enunciazione generale pare indubbio che, dal punto di vista strutturale, il contratto sia essenzialmente accordo, atto bilaterale o plurilaterale consensuale, nonché atto negoziale. L’accordo, dunque, deriva dalla volontà unanime delle parti contraenti; volontà che però non si limita all’atto, ma si estende agli effetti che da esso derivano. È volontà diretta ad uno scopo59: quello di regolare il rapporto giuridico patrimoniale nel modo che meglio corrisponda all’interesse delle parti contraenti. Alla stregua di tale
57 P.M. MONATERI, La sineddoche, Milano, 1985; P.M. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, Milano, 2008, p.52, che rileva la contraddittorietà e poliedricità delle definizioni codicistiche, tanto nel sistema francese, quanto in quello italiano, per cui, ad un tempo, l’accordo è il contratto tutto e parte della sua struttura. Ma si vedano anche X. XXXXX, Il contratto, in Trattato Vassalli, Torino, 1975, p. 596 ss.; X. XXXXXXXX, Teoria generale del contratto, Milano, 2° ed., 1946, p. 52; X. XXXXXXXX, Il contratto in genere, tomo I, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da X. XXXX e X. XXXXXXXX, vol. XXI, Milano, 1968, p. 387 s., il quale rileva acutamente come l’accordo non possa essere “al tempo stesso, e il contratto nella sua interezza e un requisito di esso, senza determinare un’anfibologia”; X. XXXXXX, La teoria generale del contratto, Torino, 2° ed., 1955.
58 X. XXXXXXXX, Teoria generale del contratto, Milano, 2° ed., 1946, p. 52, secondo il quale l’accordo “secondo la definizione dell’art. 1321 c.c. è, in certo modo, il contratto tutto intero, sì che l’accordo sarebbe, al tempo stesso, la parte e il tutto”.
59 X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 2002, p. 107 ss.; X. XXXX, Il contratto. Trattato teorico – pratico, 2012, p. 553 ss.
previsione parrebbe potersi sostenere che, per la conclusione di un contratto perfetto ed efficace, sia sufficiente che le parti raggiungano un accordo finalizzato60 al raggiungimento del risultato pratico – economico da esse perseguito, con la generica consapevolezza della giuridicità del vincolo assunto vertente su un rapporto suscettibile di valutazione economica. Se l’analisi si esaurisse al solo dato testuale dell’art. 1321 c.c., la mera volontà concorde di regolare un rapporto giuridico patrimoniale parrebbe certamente sufficiente a far sorgere un valido vincolo negoziale avente forza di legge fra le parti e come tale idoneo a produrre tutti gli effetti ai quali il contratto risulti preordinato. Del resto, una simile soluzione risulterebbe di per sé rispettosa del principio dell’autonomia privata, giacché le reciproche situazioni giuridiche soggettive sarebbero incise in ragione di una espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso.
Sennonché, tale ricostruzione risulta insostenibile nell’ottica di un inquadramento sistematico dell’art. 1321 c.c., indispensabile per qualificare in maniera esaustiva l’istituto contrattuale. Benché l’articolo da ultimo menzionato identifichi il contratto con il solo accordo, l’art. 1325 c.c. dispone, infatti, che “requisiti del contratto sono 1) l’accordo; 2) la causa; 3) l’oggetto; 4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”. È vero che l’accordo viene nuovamente menzionato, ma il contratto non si esaurisce più in esso. Accanto all’accordo si individuano ulteriori elementi strutturali essenziali, la cui portata si coglie tramite il riferimento all’art. 1418, comma 2, c.c., che contempla le cause di nullità strutturale, disponendo che sia proprio “la mancanza (o il vizio) di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325 c.c.” a determinare la nullità radicale del contratto.
È così immediatamente percepibile la rilevata sineddoche che connota la definizione codicistica del contratto, in quanto l’accordo, in via di prima approssimazione, si identifica da sé solo con l’intero contratto, ma, dalla lettura della successiva disposizione, si evince invece come esso costituisca solo parte di una struttura ben più complessa. In altri termini, l’art. 1321 c.c., a livello definitorio, induce
60 X. XXXXX, Il contratto, Milano, 2011, p. 37 ss.
prima facie a ritenere che il contratto si esaurisca nel solo accordo, mentre da una visione complessiva, incentrata sul combinato disposto degli artt. 1321 e 1325 – 1418, comma 2, c.c. si deduce chiaramente che esso rappresenti solo uno dei requisiti strutturali del contratto, parimenti necessari per la sua valida conclusione61.
Com’è stato rilevato62, la parziarietà definitoria potrebbe forse trovare una spiegazione nella distinzione fra l’accordo, quale requisito di esistenza del contratto, e gli altri elementi strutturali individuati dall’art. 1325 c.c., la cui mancanza determinerebbe la sola nullità del contratto. Sarebbe, dunque, ravvisabile sotto il profilo patologico la ratio della riduzione della definizione di contratto al solo accordo, con successiva e distinta elencazione dei suoi requisiti essenziali. Sennonché, la categoria della inesistenza è controversa ed in ogni caso non codificata dal legislatore. Se ne desume che non vi è alcun appiglio normativo per sostenere che l’inesistenza consegua alla sola mancanza dell’accordo. Anzi una simile insinuazione pare in contrasto con la stessa enunciazione del menzionato art. 1418, comma 2, c.c., che, in merito alle cause di nullità del contratto, richiama genericamente l’art. 1325 c.c. senza
61 Si tratta di una sineddoche ancora più accentuata rispetto a quella rilevata nel sistema francese da P.M. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, Milano, 2008, p. 53. Infatti, il Code Civil, all’art. 1101, definisce il contratto come “une convention par laquelle une ou plusieurs personnes s’obligen, envers une o plusieurs autres, à donner, à faire ou à ne pas faire quelque chose” ed il successivo art. 1108 dispone poi che “quatre conditions sont essentieles pour la validité d’une convention: - le consentement de la partie qui s’oblige; - sa capacité de contracter; - un objet certain qui forme le matière de l’engagement; - une cause licite dans l’obligation”. È evidente che una sineddoche vi è pur sempre, perché il contratto viene definito come convenzione fra le parti. Ma il successivo art. 1108 enuncia i requisiti essenziali affinché la convenzione possa dirsi valida ed efficace e così, sostanzialmente, l’art. 1101 fa riferimento alla convenzione, con essa volendo certamente intendere una convenzione che sia rispettosa di tutti i requisiti essenziali per la sua validità di cui all’art. 1108 c.c. Nel codice civile del 1942, che si richiama al tenore letterale del codice del 1865, la lacunosità della definizione di cui all’art. 1321 c.c. risulta invece rafforzata, perché il contratto è identificato con il solo accordo, ma poi il successivo art. 1325 c.c. non individua i requisiti essenziali dell’accordo, piuttosto del contratto, con ciò palesando la parziarietà della nozione strutturale di contratto di cui all’art. 1321 c.c.
62 P.M. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, Milano, 2008, p.
60 ss.
in alcun modo distinguere fra difetto dell’accordo e degli altri elementi essenziali dallo stesso ricompresi.
Occorre tuttavia rilevare che, se l’inesistenza è categoria dottrinale elaborata per spiegare quelle ipotesi in cui vi è una divergenza tale rispetto al modello legale di contratto da non potersi neppure sussumere la fattispecie concreta nella categoria astrattamente considerata, certamente il difetto radicale dell’accordo, la mancanza di serie e consapevoli manifestazioni di volontà, comporta che non sia neppure ravvisabile un nucleo minimo in presenza del quale possa parlarsi di contratto. In altri termini, pare innegabile che l’accordo sia requisito minimo per l’esistenza stessa sul piano concettuale di un contratto, se non altro perché ne costituisce altresì elemento perfezionativo.
Tuttavia, le ipotesi in cui il difetto dell’accordo è così radicale da far revocare in dubbio la stessa esistenza di una fattispecie concreta qualificabile in termini contrattuali si riducono ai casi di scuola delle manifestazioni di volontà emesse docendi causa ovvero per mera rappresentazione scenica, nelle quali a difettare è la stessa giuridicità del rapporto. In buona sostanza si tratta di ipotesi in cui è palese la mancanza della volontà stessa di assumere un impegno giuridicamente vincolante, ancor prima dell’accordo63. Le circostanze concrete in cui la dichiarazione è emessa sono tali da escludere in nuce che le parti intendano giungere alla conclusione di un contratto: le dichiarazioni non sono qualificabili in termini negoziali, perché non è
63 Parte della dottrina ha rilevato come nelle ipotesi delle dichiarazioni di volontà emesse xxxxxxx o docendi causa non sarebbe riscontrabile né l’esistenza di una volontà, né di una correlata dichiarazione o divergenza fra le stesse. Si tratterebbe di casi in cui manca in radice un comportamento dichiarativo ascrivibile al promittente. Non sarebbero, dunque, dichiarazioni in senso tecnico, non essendo in alcun modo volte alla produzione di effetti giuridici. Si veda, in tal senso, P.M. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, Milano, 2008,
p. 122 ss. e, in particolare, p. 133 e ss. Nei casi delle dichiarazioni emesse ai fini didattici, per scherzo o rappresentazione scenica non si giunge alla conclusione del contratto proprio perché a monte difetta una qualsivoglia dichiarazione di volontà in senso tecnico. Il promittente non vuole il realizzarsi di alcun effetto giuridico conforme alla dichiarazione emessa, giacché, per lo stesso contesto significante in cui è stata pronunciata, non può in alcun modo ritenersi vincolante per il dichiarante. Si veda anche X. XXXXXXX, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, 1950, I, p. 388 ss.
invero ravvisabile alcuna volontà diretta al raggiungimento di uno scopo. Nei casi in cui invece vi è perlomeno l’esteriorità di manifestazioni di volontà negoziali, protese, sulla base delle circostanze fattuali, alla produzione di effetti giuridicamente vincolanti, la mancanza dell’accordo ricade nella disciplina della nullità, di cui all’art. 1418, comma 2, c.c.
Così ad esempio, per quanto concerne il fenomeno simulatorio, con cui le parti pongono in essere l’esteriorità di una dichiarazione di volontà negoziale, in modo tale da renderla ostensibile ai terzi, essendo però fra loro d’accordo che l’atto fittiziamente concluso non produrrà gli effetti ai quali soltanto appare preordinato. Il contratto simulato è nullo e come tale radicalmente improduttivo di effetti, proprio perché, nonostante le dichiarazioni di volontà ufficiali, in esso difetta del tutto l’accordo, essendovi una totale divergenza fra quanto esteriormente dichiarato e quanto dalle parti realmente voluto. Divergenza che non crea la necessità di tutelare l’affidamento di alcuna delle parti, giacché il fenomeno simulatorio si caratterizza per il concorso fra due soggetti cospiranti64. Per questo, se la simulazione è assoluta, il contratto simulato non produrrà alcun effetto, mentre, se la simulazione è relativa, potranno al più prodursi gli effetti del diverso contratto dissimulato, quando ricorrano le condizioni poste dall’art. 1414, comma 2, c.c. Diverse sono invece quelle circostanze nelle quali viene in gioco la riserva mentale, ovvero uno dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427
– 1440 c.c. La necessità di bilanciare la tutela della volontà effettiva del dichiarante con quella di proteggere l’affidamento del destinatario conduce infatti al rimedio dell’annullabilità.
La rilevata sineddoche non pare così spiegabile facendo riferimento ad una presunta diversa sorte del contratto per il caso della mancanza dell’accordo piuttosto che degli altri elementi di cui all’art. 1325 c.c.
La mancanza dell’accordo, al pari degli altri elementi elencati dall’art. 1325 c.c., determina la nullità strutturale del contratto; nullità per mancanza dell’accordo che deve essere opportunamente intesa, collocandosi nell’ambito dei casi in cui si è
64 X. XXXXXXX, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, 1950, I, p. 392 ss.
esteriormente in presenza di una manifestazione di volontà negoziale, ma, è solo apparente o solo apparentemente riferibile al dichiarante65.
Appurato che l’accordo è non solo elemento perfezionativo, ma altresì essenziale ai fini della validità del contratto, per effetto del combinato disposto degli artt. 1321 e 1325 – 1418, comma 2, c.c., superando le schermo definitorio racchiuso nella sineddoche, emerge l’esistenza di ulteriori elementi strutturali necessari, a pena di nullità, per la valida conclusione del contratto.
Poniamo pure che il contratto sia stato concluso in uno dei modi di legge e che, pertanto, sussista l’accordo; ciò sarebbe da sé solo sufficiente alla validità del contratto? La risposta a tale quesito è del tutto retorica, perché, com’è evidente, il contratto potrà dirsi perfetto solo se, oltre all’accordo, siano presenti una giusta causa, un oggetto possibile, lecito, determinato o, perlomeno, determinabile ed infine la forma solenne, quando questa sia dalla legge richiesta a pena di nullità. Se ne desume come il solo nudo patto non sia di per sé idoneo alla realizzazione di alcun effetto giuridico, né reale, né obbligatorio.
Svelare la sineddoche significa così dimostrare che, al di là delle conclamate enunciazioni codicistiche in forza delle quali il consenso pare in sé sufficiente a determinare l’effetto giuridico, solo in presenza di una giusta causa e di un accordo vertente su prestazioni determinate, raggiunto nelle forme talvolta richieste dalla legge ad substantiam, il contratto sia idoneo a produrre gli effetti programmati dalle parti.
65 Come rilevato da X. XXXXX, Il contratto, seconda ed., 2011, p. 697 e ss., “la nullità per mancanza dell’accordo occupa uno spazio idealmente compreso fra il territorio dell’annullabilità per incapacità di agire o vizio del consenso e quello dell’inesistenza per mancata conclusione del contratto. Essa non riguarda i casi in cui manca qualsiasi manifestazione di volontà, che appaia diretta a formare l’accordo contrattuale: questi sono casi di inesistenza del contratto. Né riguarda i casi in cui una siffatta manifestazione di volontà esiste, è riferibile alla parte ed è semplicemente viziata da un fattore soggettivo che tocca la parte stessa”. L’Autore riconduce anche le dichiarazioni emesse per gioco, finzione scenica o per scopi didattici alla disciplina della nullità per mancanza dell’accordo, ma, a mio avviso, parrebbe più lineare ricondurre le suddette ipotesi all’inesistenza stessa del contratto, difettando, come si è visto, una manifestazione di volontà in senso tecnico, che possa far legittimamente credere che si sia giunti alla conclusione di un contratto.
Degli esempi possono così essere utili per chiarire l’insufficienza del solo accordo a determinare l’effetto traslativo.
Poniamo che Xxxxx, a fronte del pagamento di un corrispettivo in denaro, si accordi con Xxxx per la conclusione di una compravendita avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un bene di cui Xxxx è tuttavia già proprietario. O, ancora, ipotizziamo un accordo con il quale Xxxxx, a garanzia di un credito che Xxxx vanta nei suoi confronti, convenga il trasferimento della proprietà della cosa data in pegno per l’ipotesi di mancata restituzione della somma data a mutuo. In entrambi i casi, pur essendosi raggiunto l’accordo, il contratto resterà ab origine improduttivo di effetti, perché radicalmente nullo, nella prima ipotesi, per mancanza della causa in concreto; nella seconda, per illiceità della stessa, giacché il contratto integra un accordo abusivo, che, in frode alla legge, realizza il medesimo risultato vietato dall’art. 2744 c.c. Ma analogamente nullo ed in quanto tale improduttivo di effetti sarà il contratto con il quale le parti si accordino per trasferire la proprietà di un generico bene immobile, sito nel Comune di Cagliari, viziato per indeterminatezza dell’oggetto; ovvero il contratto di compravendita immobiliare concluso oralmente in contrasto con il requisito formale prescritto, a pena di nullità, dall’art. 1350 c.c.
L’inquadramento sistematico dell’art. 1376 c.c. consente così di meglio comprenderne il significato e di verificare come non sia il mero il consenso ad essere traslativo, ma in verità la complessa fattispecie contrattuale, della quale l’accordo, l’incontro delle volontà delle parti, costituisce solo uno dei molteplici elementi costitutivi. Di ciò è data conferma allorché, espandendo l’angolo visuale della ricerca, si proceda ad analizzare, con più ampio spettro, le disposizioni concernenti i modi attraverso i quali si realizza l’acquisto della proprietà. Da tale esame emerge infatti come, fra le vicende acquisitive a titolo derivativo66, che determinano la successione
66 X. XXXXXXXXX, voce Acquisto del diritto, in Enc. diritto, 1, Milano, 1957. L’acquisto a titolo derivativo si presenta al contempo come un fenomeno di acquisto del diritto per un soggetto e di perdita per un altro. Secondo X. XXXXXXXX e XXXXXX, nell’acquisto a titolo derivativo, la perdita del diritto nella sfera giuridica di un determinato soggetto è diretta a produrre l’acquisto in favore di un’altra, dimodoché l’acquisto possa considerarsi come un effetto di tale perdita o diminuzione. Secondo X. XXXXXXXXX tale concezione non sarebbe accettabile perché la
dell’avente causa nello stesso diritto facente capo al dante causa, si faccia riferimento più in generale al contratto e non già al nudo consenso. Ed infatti, l’art. 922 c.c. dispone che “la proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per unione o commistione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge”.
Sulla base delle stesse disposizioni generali in tema di modi di acquisto della proprietà e, più latamente, di ogni altro diritto, è il contratto e non il solo nudo patto a costituire fattispecie acquisitiva. Benché l’art. 1376 c.c. qualifichi come traslativo il consenso delle parti legittimamente manifestato, al di fuori della rilevata sineddoche, l’effetto reale deve logicamente essere imputato al contratto concluso dalle parti nei modi di legge. Contratto che, come si è visto, richiede la presenza dei requisiti essenziali di cui all’art. 1325 c.c. per la sua perfezione e conseguente efficacia, tanto obbligatoria, quanto reale.
3. La necessaria causalità del trasferimento: dalla “causa lecita per obbligarsi” alla causa del contratto.
Il problema della causalità del trasferimento si intreccia con la ricostruzione dei differenti modelli traslativi, andando così a ripercuotersi sulla stessa nozione di trasferimento, che si delinea, talvolta, come il contenuto di una prestazione, l’oggetto di una mera obbligazione scaturente dal contratto, talaltra, come effetto immediato e diretto dello stesso67. In particolare, si tratta valutare il ruolo che, all’interno del nostro
perdita da parte del precedente titolare e l’acquisto da parte del susseguente sono effetti interdipendenti, contemporanei e basati sulla medesima causa giuridica.
67 U. LA PORTA, Il problema della causa del contratto, I. La causa ed il trasferimento dei diritti, Torino, 2000, p. 78 s., sottolinea efficacemente come, finché permane l’obbligazione di dare, il trasferimento costituisca l’oggetto dell’adempimento, che, in un orizzonte nel quale si ricerca la causa dell’obligatio, trova la propria ragione giustificativa nella controprestazione concretamente promessa ed eseguita. Al contrario, il superamento dell’intermediazione logica dell’obbligazione di dare, e della conseguente scissione tra contratto ed atto traslativo, consente
ordinamento, l’evoluzione del concetto di causa ha rivestito nell’affermazione del principio consensualistico.
Solo una lettura combinata delle disposizioni citate nel paragrafo che precede consente, infatti, di cogliere l’effettiva portata innovativa del meccanismo circolatorio in esame, che, con il codice del 1942, consacra l’affermarsi della necessaria causalità del trasferimento. Come si è avuto modo di rilevare, benché dall’art. 1376 c.c. l’effetto reale paia prima facie riferibile al solo consenso unanime delle parti contraenti, rectius al loro accordo, l’inquadramento sistematico della disposizione suddetta ha consentito di appurare che nessun effetto giuridico possa conseguire al contratto, quando la fattispecie negoziale difetti di taluno dei requisiti di cui all’art. 1325 c.c.
In particolare, è l’inestricabile legame fra fattispecie acquisitiva e causa del contratto, che si viene ad affermare nel codice del 1942, ad assumere un rilievo dirimente, perché è proprio per il suo tramite che si coglie la peculiare sorte del trasferimento, allorché l’effetto reale sia direttamente imputabile al contratto causale, segnando così la radicale distinzione del nostro modello traslativo dai sistemi d’Oltralpe di matrice germanica, incentrati sulla separazione fra titulus e modus adquirendi.
In altri termini, la portata rivoluzionaria del principio del consenso traslativo si coglie solo nel momento in cui lo si apprezza nel suo progredire di pari passo con l’affermazione del principio causalistico in materia contrattuale. Se il contratto è causale, infatti, ogni vizio o disfunzione che colpisca tale requisito a monte, cagionando la nullità del negozio per un difetto che lo intacchi nella sua fase genetica, non potrà che riverberarsi a valle, impedendo la produzione di qualsivoglia effetto giuridico, anche reale, quando quest’ultimo venga ad essere logicamente ed immediatamente imputato al contratto.
Ma la necessaria causalità del trasferimento è il frutto di una lenta evoluzione del concetto di causa, tutta incentrata sulla determinazione del suo referente obiettivo68. È
di considerare il trasferimento come effetto immediato e diretto del contratto, che trova la sua causa nel contratto stesso, dalle cui vicende non può pertanto prescindere.
68 X. XXXXXXXXXX, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000.
infatti proprio il mutamento dell’impostazione normativa e dottrinale circa l’elemento oggettivo a cui riferire la giustificazione causale ad incidere pesantemente sulla causalità o meno dell’effetto reale; problema che costituisce l’antecedente di qualsivoglia statuizione in merito al ruolo rivestito dalla causa all’interno del fenomeno negoziale.
Il problema della determinazione del referente obiettivo della causa risponde sostanzialmente al quesito: causa di che cosa? a cosa si riferisce il requisito causale? al contratto, all’obbligazione, o, ancora, all’attribuzione patrimoniale? La varietà delle soluzioni storicamente affermatesi al riguardo si riverbera sulla valenza del requisito causale rispetto all’effetto reale, in concomitanza con l’affermazione della portata traslativa del consenso.
La genesi delle riflessioni dottrinali sul tema risale ai canonisti del XIII – XIV secolo, che, riferendo la causa all’obbligazione, distinguono fra pacta vestita e nuda pacta. Solo i primi sarebbero dotati di efficacia giuridica vincolante, poiché l’obligatio accompagnata dal vestimentum causale consente di ricollegare la promessa ad uno degli schemi negoziali tipici. Individuando la ragione giustificativa dell’obbligarsi nel contratto, in questa prima fase, la causa viene sostanzialmente identificata con la fonte dell’obbligazione, la quale, a sua volta, è considerata idonea a produrre l’effetto obbligatorio a condizione che rientri in uno degli schemi negoziali tipici69.
Sempre nell’orizzonte delle elaborazioni che riconducono il referente oggettivo della causa all’obbligazione, lentamente le tematiche di maggior rilievo iniziano a concentrarsi sul ruolo, sulla funzione del patto atipico70. L’approccio al problema
69 Come è stato acutamente rilevato da X. XXXXXXXXXX, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 136, è proprio in tale risalente prospettiva della causa obligationis che causa e tipo trovano un primo connubio. Se la causa della promessa poteva rinvenirsi esclusivamente in uno dei contratti nominati, ne consegue che questa funge da strumento di determinazione e riordino dei tipi negoziali. È una fase nella quale si assiste al dissolversi della causa nel tipo o nella forma.
70 Si tratta della fase in cui si sviluppa una serrata critica alla teoria dei vestimenta. Nel 500 la dottrina inizia infatti ad interrogarsi circa l’efficacia obbligatoria del nudo patto, patto non riconducibile ad uno degli schemi tipici. Le investigazioni circa l’idoneità di un patto atipico a
causale rimane ancora atomistico, ma la nozione di causa dell’obbligazione inizia a progredire e a confondersi con la causa del contratto. La causa intesa come mero titolo, fonte contrattuale dell’obbligazione, diviene lentamente ragione del vincolarsi all’interno del contratto71. In altri termini, se interrogarsi sulla causa dell’obbligazione significa stabilire a quale titolo si sia obbligati (fonte contrattuale), diverso è invece chiedersi quale sia la ratio insita nella vincolatività della fonte stessa. Così, il quesito al quale le elaborazioni dottrinali sulla causa cercano di dare risposta non è più a che titolo si è obbligati, ma perché ci si obbliga con il contratto.
Tale tendenza emerge dal tenore del Code Napoleon del 1804, nonché dal codice civile del 1865, che all’art. 1104 includeva la “causa lecita per obbligarsi” fra i requisiti essenziali per la validità del contratto, precisando, al successivo art. 1119, che “l’obbligazione senza causa, o fondata su una causa falsa o illecita, non può produrre alcun effetto” 72.
Tale linguaggio sottende una concezione ancora analitica della causa, orientata a riferire la giustificazione causale non all’intero contratto ma alle singole prestazioni contrattuali da esso scaturenti73. Tuttavia, recependo l’impostazione del codice francese, l’art. 1099 del codice previgente definiva il contratto bilaterale come il vincolo giuridico con il quale i contraenti “si obbligano reciprocamente gli uni verso gli altri”. È del tutto evidente, dunque, che, in un orizzonte nel quale il contratto è meramente obbligatorio, quando la causa lecita per obbligarsi diviene elemento essenziale per la validità del contratto, il problema causale tende alla determinazione della ratio del contratto medesimo.
determinare effetti giuridici spostano l’indagine sulla funzione del patto stesso, sulla causalità della fonte.
71 X. XXXXXXXXXX, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 187, che, rifacendosi alle elaborazioni di Domat e Xxxxxxx, evidenzia la diramazione fra le due tradizionali ragioni dell’obbligarsi: da un lato, la corrispettività fra vantaggi e sacrifici (controprestazione appreciable a prix d’argent) e, dall’altra, il modello della donazione, sorretta dal c.d. motif juste e raisonnable qui tien lieu de la cause.
72 X. XXXXXXXXXX, voce Causa, in Enc. diritto, VI, Milano, 1960, p. 548 s.
73 X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di dir. priv. a cura di Xxxxxx – Zatti, II ed., Milano, 2011
In un simile contesto, anche il trasferimento del diritto rimane formalmente intermediato dall’obbligazione di dare (pur tacitamente adempiuta per effetto della stessa conclusione del contratto)74, che rinviene nell’esistenza del negozio obbligatorio a monte la ratio dello spostamento patrimoniale. Così l’eventuale difetto del requisito causale, inteso come mancanza della fonte giustificativa dell’obligatio, non poteva che comportare l’operatività del solo rimedio obbligatorio della ripetizione dell’indebito. Difatti, ripercorrendo i passaggi dell’autorevole autore75, in tal modo, l’esistenza della causa obligandi venne elevata a requisito indispensabile per la produzione dell’effetto traslativo […] di conseguenza la mancanza o il vizio della causa attribuiva al tradens esclusivamente un’azione personale per la restituzione, e cioè la condictio indebiti o sine causa. Un sistema quindi improntato alla maggior certezza dei traffici, alla tutela dei terzi subacquirenti a scapito della proprietà, stante la natura meramente personale della condictio.
Con il codice civile del 1942 si assiste, invece, ad una netta evoluzione concettuale che corre su un doppio binario. Da un lato, emerge il superamento della tradizionale concezione del contratto come meramente obbligatorio, eliminandosi ogni sia pur formale riferimento alle prestazioni contrattuali come costitutive di meri vincoli giuridici. È vero che il contratto, ai sensi dell’art. 1173 c.c., è fonte dell’obbligazione, ma è altresì vero che l’art. 922 c.c. ricomprende il contratto fra i modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo. Non pare più ravvisabile alcuna scissione fra l’atto traslativo ed il contratto meramente obbligatorio, perché è il contratto stesso a divenire, ad un tempo, fonte costitutiva dell’obbligazione e dell’effetto reale. Dall’altro lato, eliminata l’intermediazione formalistica dell’obbligazione, si giunge alla piena affermazione del referente obiettivo della causa nel contratto. In questi termini si esprime, infatti, l’art. 1325 c.c., che ricomprende la causa fra i requisiti essenziali del contratto come atto.
74 U. LA PORTA, Il problema della causa del contratto, I. La causa ed il trasferimento dei diritti, Torino, 1999, p. 79 ss., che correttamente, sulla base di una disamina dell’art. 1219 del codice previgente, rileva che la portata innovativa dello stesso è stata quella di far coincidere l’esecuzione dell’obbligazione di consegna con l’assunzione dell’obbligazione di dare.
75 X. XXXXXXXXXX, ID., p. 550.
Risulta così evidente il netto cambio di prospettiva: se il contratto non è più produttivo di soli effetti obbligatori, ma è altresì fonte dell’effetto reale (trasferimento della proprietà, costituzione o trasferimento di altro diritto reale o di altro diritto) e se, al contempo, la causa non individua più il suo referente nell’obbligazione, ma nel contratto, ricercando la funzione della fonte dalla quale gli effetti scaturiscono, la causa diviene la ratio giustificativa tanto dell’obbligazione, quanto dell’attribuzione patrimoniale traslativa.
La reductio ad unum che, per effetto dell’art. 1376 c.c., si viene a realizzare fra titulus e modus adquirendi ha così comportato l’estensione del rimedio della nullità per mancanza o illiceità della causa anche alla fattispecie acquisitiva del diritto, nell’antecedente formulazione soggetta invece alla tutela prevista per il pagamento indebito, rilevante nei soli rapporti fra tradens ed accipiens. Difatti, per effetto del ridursi dell’atto traslativo nel contratto causale, la mancanza o illiceità della causa che colpisce il contratto nella sua fase genetica provocandone la nullità impedisce il perfezionarsi della vicenda acquisitiva del diritto.
Se per effetto della netta separazione fra titulus e modus adquirendi, i vizi che inficiavano il contratto meramente obbligatorio non rilevavano ex ante, non riverberandosi sulla fattispecie traslativa da essa distinta ed attribuendo al tradens una mera azione personale di ripetizione dell’indebito76, nel momento in cui, con l’affermazione del principio consensualistico, il modus viene ad essere inglobato nel titulus, ciò comporta inevitabilmente l’estensione dei vizi dell’ultimo al primo.
Così, con l’imputazione del trasferimento direttamente al contratto e l’affermazione di una teoria unitaria della causa, il difetto di quest’ultima comporta l’inefficacia ab origine del contratto e conseguentemente la sua inidoneità a determinare il trasferimento. Se, nonostante la nullità del contratto, il bene oggetto dell’atto di
76 In merito si veda X. XXXXXXXXXX, voce Causa, in Enc. diritto, VI, Milano, 1960, p. 550, il quale rileva puntualmente come “per lo innanzi - se è vero che la nuda traditio non era sufficiente a trasferire la proprietà – si riteneva di solito sufficiente che la volontà di transferre dominium si appoggiasse ad un preesistente titulus adquirendi anche putativo o invalido. […] Di conseguenza la mancanza o il vizio della causa attribuiva al tradens esclusivamente un’azione personale per la restituzione, e cioè la condictio indebiti o sine causa”.
disposizione venisse consegnato all’acquirente, non per questo risulterebbe trasferito il diritto, con conseguente legittimazione del tradens, oltre che alla condictio indebiti, all’esperimento dell’azione di rivendica nei confronti dell’accipiens77.
4. Raffronto con il principio della separazione fra titulus e modus adquirendi. Diverse conseguenze in ordine alle disfunzioni originarie del titulus.
È evidente, dalla disamina dell’interrelazione fra trasferimento e causa, come gli interessi sottesi alle vicende traslative risultino diversamente bilanciati a seconda che si accolga il principio consensualistico, ovvero quello della separazione fra titulus e modus adquirendi. Nella circolazione dei diritti vengono, infatti, in gioco due distinte esigenze: da un lato, la finalità di garantire la rapidità dei traffici e con essa la proprietà, la posizione del reale dominus; dall’altra, però, quella opposta, di assicurare che non venga frustrato l’affidamento dei terzi aventi causa dall’acquirente. In altri termini, ogni sistema traslativo è orientato a dar preminente tutela all’una o all’altra di tali contrapposte esigenze.
Per meglio comprendere le conseguenze circolatorie che, sotto il profilo in esame, ha comportato l’accoglimento del principio consensualistico risulta così opportuno un raffronto con i diversi ordinamenti europei che hanno invece accolto il menzionato principio della separazione; principio le cui ripercussioni si apprezzano soprattutto dal punto di vista delle conseguenze relative alle disfunzioni originarie del titolo.
Come già si è avuto modo di rilevare nell’apertura del presente capitolo, è al modello traslativo del diritto romano classico che la scienza giuridica europea, in particolare la dottrina scolastica del diritto comune, fa risalire il fondamento della
77 Del resto, non potrebbero neppure in tale ipotesi ravvisarsi i presupposti per l’operatività dell’art. 1153 c.c., nel caso in cui venga trasferito un bene mobile non registrato. Infatti, perché si realizzi l’acquisto a titolo originario fondato sulla regola possesso vale titolo, è necessario che il possesso venga dall’accipiens conseguito in buona fede, ma soprattutto, ai fini che qui rilevano, sulla base di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto, ossia che, se non fosse per il difetto di legittimazione dell’alienante, trasferirebbe senz’altro il diritto. Così non è nell’ipotesi di contratto nullo.
scissione fra titulus e modus adquirendi. In particolare, le elaborazioni del diritto comune si appuntano sul congegno traslativo connotato dalla successione fra conventio, l’accordo sullo scopo perseguito dai contraenti, e la traditio, ricostruita come fattispecie acquisitiva causale, che richiede per il perfezionarsi del trasferimento la cosiddetta iusta causa traditionis78. Tuttavia, come illustre dottrina79 ha rilevato, il requisito causale da ultimo menzionato deve essere inteso come limitato all’esistenza di un accordo sullo scopo, che trovi nella traditio la sua attuazione, mentre non richiede, al contempo, la concreta realizzabilità dello scopo economico – sociale stesso, in ragione del quale ci si è obbligati. Ciò comporta, pertanto, che, la iusta causa traditionis si identifichi con l’esistenza di un negozio dal quale scaturisca l’obbligazione di possessionem tradere, in assenza del quale, nonostante la consegna, il trasferimento non potrebbe perfezionarsi80.
78 X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 436 ss. Sempre in merito alla iusta causa traditionis, X. XXXXXXX, Causalità e astrattezza, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica. Atti del Congresso Internazionale Pisa – Viareggio – Lucca, 17 – 21 aprile 1990, tomo II, a cura di X. XXXXX, p. 441, riporta il fondamentale passo del giurista Xxxxx, D. 41,1, 31 pr., “numquam nuda traditio transfert dominium, sed ita, si venditio aut aliqua iusta causa processerit, propter quam traditio sequeretur”, rilevando come tale previsione si ponga in contrasto con le fonti in merito alla condictio indebiti. Se, infatti, dalla glossa di Xxxxx si desume che la proprietà non passi, allorché l’obbligazione sia inesistente, la disciplina della condictio indebiti si ricondurrebbe, invece, alla configurazione di un trasferimento astratto, che si produce ancorché il negozio obbligatorio sia nullo.
79 X. XXXXXXXXX, ID.
80 A tal riguardo, X. XXXXXXXXX, ID., sottolinea con particolare chiarezza come gli effetti del trasferimento si producano, nonostante l’impossibilità che lo scopo perseguito si realizzi, legittimando l’alienante ad una mera actio in personam per rimuoverli sul piano economico. Si legge così che “tipico esempio viene offerto dalla solutio: la causa traditionis è l’accordo volto ad adempiere una determinata obbligazione, il quale esaurisce la causa solvendi; ove non esista l’obbligazione da adempiere, che è un presupposto per la realizzabilità della causa solvendi stessa, questo fatto non incide sul trasferimento della proprietà, ma dà luogo alla condictio indebiti, con cui vengono rimossi, sul piano economico, gli effetti del trasferimento. Pertanto, se il fondamento giustificativo della traditio risiede nella causa solvendi, nella fonte dell’obbligazione di consegna, è evidente come l’adempimento soddisfi il requisito causale, con la conseguenza che la nullità del titulus dà luogo ad un’ipotesi di indebiti solutio.
Ora, il modello traslativo bifasico imperniato sulla scissione fra titulus e modus adquirendi, fra contratto ad effetti meramente obbligatori e successiva e distinta fattispecie acquisitiva del diritto, ha avuto particolare fortuna nel contesto europeo. Difatti, accanto agli ordinamenti, francese ed italiano, che optarono per la scelta di rottura rispetto al modello romanistico81, così come ereditato sulla base delle elaborazioni del diritto comune, le altre grandi codificazioni ottocentesche di area germanica rimasero in linea con il principio tradizionale della separazione. Si fa riferimento, in particolare, ai modelli traslativi propri del codice civile austriaco del 1811 e del BGB, emanato nel 1896, ma entrato in vigore nel 1900.
È soprattutto l’ABGB a mostrare piena sintonia con l’insegnamento proveniente dalla tradizione romano – classica, giacché, non solo consacra l’insufficienza del mero contratto consensuale a determinare l’effetto reale e la conseguente necessità di un atto traslativo, consistente, ora nella consegna, ora nell’iscrizione nei pubblici registri82, ma, soprattutto, qualifica il rapporto tra titulus e modus adquirendi in termini causali, in linea con la ricostruzione della traditio, quale atto causale e solutorio. Si assiste così alla scissione fra contratto ad effetti meramente obbligatori, il cosiddetto Verpflichtungs, dal quale scaturisce l’obbligazione di dare in senso tecnico, di porre in essere un successivo atto di adempimento traslativo, ed il Verfügungsgeschäft, l’atto solutorio, il quale solo perfeziona il trasferimento del diritto83. Tuttavia, come si è detto, il modo, la fattispecie
81 In verità, la rottura con la tradizione romanistica si limitò al superamento della formale necessità della consegna, mantenendosi però, tanto nel Code Napoleon, quanto nel codice del 1865, l’intermediazione logica dell’obbligazione di dare, figlia della risalente ricostruzione del contratto quale fonte di meri effetti obbligatori.
82 Dall’art. 1053 dell’ABGB si evince, per quanto concerne i beni mobili, che la vendita sia titolo atto a far acquistare la proprietà, ma che questa si trasferisca solo mediante la successiva consegna. Per quanto concerne i beni immobili, invece, la fattispecie acquisitiva, al ricorrere della quale sola si perfeziona l’alienazione, è rappresentata dall’adempimento pubblicitario, dall’iscrizione nei pubblici registri, che ha quindi efficacia costitutiva. Si tratta del noto modello dell’intavolazione, diffuso anche in Italia nelle province di Gorizia e Trieste, nonché nel Comune di Cortina d’Ampezzo.
83 X. XXXXXXXX, Consensualismo e trascrizione, 2008, p. 28 e ss.
perfezionativa dell’acquisto è causale e trova la propria causa nel contratto obbligatorio a monte, che ne costituisce giustificazione causale esterna.
Un modello analogo risulta, altresì, diffuso in Svizzera84, Olanda85 e Spagna86. In particolare, per quanto concerne l’ordinamento spagnolo, ciò si evince dall’art. 609 del Codigo Civil, che, secondo la dottrina unanime consacra il congegno traslativo del c.d. titulo y el modo87. La disposizione menzionata, infatti, al comma secondo, sancisce che “la propriedad y lo demas derechos sobre los bienes se adquieren y trasmiten […] por consecuencia de ciertos contractos mediante tradition”. Proprio come nel sistema austriaco, il trasferimento si realizza per effetto del susseguirsi di due atti: il titulus, ossia il contratto meramente obbligatorio, e la successiva fattispecie acquisitiva del diritto, che si realizza con il desplazamiento de la posesion, il conferimento del possesso sul bene oggetto del diritto. Ancora una volta il modus deve essere assistito da giusta causa, per cui se il contratto a monte dovesse essere nullo, la consegna, mediante la quale si conferisce il possesso sul bene mobile, non sarebbe idonea a far acquistare il diritto; così come non lo sarebbe l’iscrizione nei pubblici registri rispetto alla vicenda circolatoria concernente beni immobili. È evidente, così, che, in assenza del secondo atto della sequenza traslativa, si avrebbe un mero rapporto obbligatorio fra le parti, idoneo a far sorgere un diritto all’acquisto; mentre, dall’altra, se venisse eseguita la sola consegna o iscrizione nei pubblici registri, in difetto di un titolo legittimante, si avrebbe conferimento del solo possesso.
84 X. XXXXXXXXX, Il trasferimento di proprietà nel contratto di vendita nel diritto svizzero, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica. Atti del Congresso Internazionale Pisa – Viareggio – Lucca, Tomo I, a cura di X. XXXXX, Milano, 1991, p. 305 ss.
00 X. XXXXXX, Xx trasferimento di proprietà nel contratto di vendita nel diritto svizzero, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica. Atti del Congresso Internazionale Pisa – Viareggio – Lucca, Tomo I, a cura di X. XXXXX, Milano, 1991, p. 357 ss.
86 E.M. XXXXX XXXXXX XXXXXXX, Los effectos obligatorios de la compraventa en el Codigo Civil Español, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica. Atti del Congresso Internazionale Pisa – Viareggio – Lucca, Tomo I, a cura di X. XXXXX, Milano, 1991, p. 341 ss.
87 A. J. XXXX XXXXXXX, La doctrina jurisprudencial consolidata en sede de doble venta judicial immobiliaria, in Diario la Lay, 26 marzo 2009, n. 7143.
Ora, è chiaro che un simile modello traslativo, detto di diritto comune per la sua chiara matrice romanistica, realizzi un equo contemperamento degli interessi in gioco, in quanto tutela il terzo dal rischio di acquisti a non domino, subordinando il perfezionamento della fattispecie traslativa ad un successivo atto esteriormente apprezzabile, che dia prova tangibile dell’avvenuto acquisto da parte dell’alienante. Allo stesso tempo, però, se, come si è detto, la causa costituisce elemento essenziale dell’atto di adempimento traslativo e questa si identifica nel negozio a monte, fonte dell’obbligo solutorio, ciò significa che nessun trasferimento potrà perfezionarsi quando il titulus risulti viziato. In altri termini, se il negozio obbligatorio è nullo e, come tale, improduttivo di effetti, ed il negozio di puro trasferimento rinviene in esso la propria giustificazione causale, allora anche l’atto traslativo sarà nullo, per mancanza di causa, con conseguente inidoneità a determinare la vicenda reale.
Nel BGB88 si afferma, invece, il modello traslativo pandettistico, caratterizzato anch’esso dalla separazione fra titolo e modo, ma con un sensibile dato caratterizzante, che consente di superare la tradizione di diritto comune e di collocarlo in un orizzonte diametralmente opposto rispetto al sistema consensualistico, il cosiddetto Abstraktionprinzip89.
Il codice civile tedesco postula, per il trasferimento dei diritti, un criterio di separazione fra un contratto obbligatorio, il Verpflichtungsgeschäft, dal quale scaturisce, in particolare, l’obbligazione di dare in senso tecnico, ed il successivo atto traslativo solutorio, avente natura consensuale e reale. In verità, la sequenza traslativa si scinde in tre distinti atti: a monte, come si è detto, vi è sempre un contratto obbligatorio causale, il cosiddetto negozio fondamentale, al quale segue per il perfezionamento
88 Commento al BGB a cura di Xxxxxxxx, 1991, p. 368 ss.
89 X. XXXXXX, Vendita e trasferimento della proprietà nel diritto tedesco, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica. Atti del Congresso Internazionale Pisa – Viareggio – Lucca, Tomo I, a cura di X. XXXXX, Milano, 1991, p. 287 ss.; X.XXXXXXX, Principio consensualistico ed Abstraktionsprinzip: un’indagine comparativa, in Contratto e Impresa, 1992, p. 889 ss.; X. XXXXXXXX, Degli effetti del contratto, vol. II, 2013, p. 358; X. XXXXXXX, Xxxxx note sull’origine della nozione di negozio reale ed astratto, in Tijdschrift voor rechtsgeschiedenis, 1970, p. 315 ss.; P.M. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, 2008, p. 35 ss.
della fattispecie traslativa, una seconda fase, che richiede due ulteriori negozi, diversamente disciplinati, a seconda che oggetto del diritto alienato sia un bene mobile o immobile. Per quanto concerne i beni mobili, infatti, il par. 929 BGB prevede che la fattispecie acquisitiva del diritto con funzione solutoria si realizzi mediante un negozio dispositivo astratto accompagnato dalla consegna (Einingung und Übergabe90). Analogamente per i beni immobili, come previsto dai par. 873 e 925 BGB, è necessario un negozio di attribuzione, l’accordo sul trasferimento dei diritti, l’Auflassung, seguito però, come è consueto nelle vicende circolatorie di diritti reali immobiliari, dall’iscrizione sul libro fondiario, il Grundbuch.
Ma ciò che, com’è noto, caratterizza tale sistema circolatorio è l’astrattezza del negozio di attribuzione, la sua autonomia rispetto al contratto obbligatorio fondamentale. Il negozio traslativo non rinviene il proprio fondamento nel contratto a monte, ma da esso prescinde, potendo, al più indicare lo scopo dell’attribuzione patrimoniale, lo Zweck. La causa non è, dunque, elemento di validità del negozio di adempimento traslativo ed il trasferimento si perfeziona, così, anche nell’ipotesi di nullità del contratto fondamentale. Il diritto si trasferisce, pertanto, prescindendo da ogni accertamento a priori circa la giustificazione causale dell’attribuzione patrimoniale; l’atto opera tra le parti anche se non menziona la causa91.
Tuttavia, il BGB introduce dei correttivi all’astrattezza del negozio traslativo, per cui neppure nell’ordinamento tedesco è ammesso in termini di tendenziale assolutezza un trasferimento del tutto svincolato dalla causa. Difatti, se è vero che l’effetto si produce astraendo dalla validità del contratto obbligatorio fondamentale, per cui il negozio è valido e perfetto anche in ipotesi di nullità del contratto a monte, che non lo scalfisce nella sua dimensione genetica, è altrettanto vero, però, che si assiste ad un recupero di rilevanza della causalità sotto il profilo effettuale, attraverso la Leistungskondiktion, sussumibile nel genus delle azioni di ingiustificato arricchimento.
90 Il par. 929 BGB prevede che “per il trasferimento della proprietà di una cosa determinata è necessario che il proprietario consegni la cosa al compratore e che entrambi concordino che la proprietà si sia trasferita”.
91 X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. XXXXXX e X. XXXXX, Milano, 2011, p. 373 s.
Se manca il titulus, ma, ciononostante viene concluso il negozio traslativo, il diritto certamente si trasferisce all’avente causa, stante l’astrattezza della fattispecie acquisitiva; tuttavia, la nullità del Verpflichtungsgeschäft rileverà ex post, legittimando l’alienante ad agire con l’azione di arricchimento senza causa, rimettendo così in discussione l’effetto prodottosi. Si tratta, però, di un’azione meramente personale, esperibile nei soli confronti dell’accipiens. Da ciò ne deriva che, se quest’ultimo ha ulteriormente alienato a terzi, contro questi nulla potrà il solvens, risultando in pieno tutelati gli aventi causa dall’accipiens. Tramite la previsione dell’azione di arricchimento senza causa viene così escluso un modello di astrazione assoluta, mediante un recupero di causalità degli effetti. A tale stregua, come rilevato da autorevole dottrina92, se certo non può parlarsi di un recupero di causalità dell’atto, del negozio di attribuzione, pare però riemergere una rilevanza della causa sotto il profilo effettuale, dell’attribuzione patrimoniale93.
Il sistema traslativo ora delineato, grazie all’astrattezza dell’atto di disposizione, sul quale non si riverberano le conseguenze patologiche dei vizi che inficiano il contratto fondamentale, presenta certamente il vantaggio di garantire efficacemente la sicurezza dei traffici, rendendo inopponibile ai terzi aventi causa dall’accipiens la nullità del contratto obbligatorio causale. In questi termini, risulta evidente che la certezza della circolazione giuridica, dell’affidamento maturato dai terzi circa la
92 X. XXXXXXXXXX, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 91, che richiama la distinzione effettuata da X. XXXXXXX fra causa di giustificazione, la causa solvendi, la solutio del diritto romano – classico, per la cui efficacia non era richiesta l’esistenza dell’obbligazione, e il fondamento esterno che rappresenta, invece, la causa di attribuzione. Ecco, se il titulus si rivela nullo e, conseguentemente, il pagamento risulta sine causa, è proprio la causa dell’attribuzione ad entrare in gioco ex post, impedendo il consolidarsi degli effetti che si siano fintanto prodotti.
93 X. XXXXXXX, Causalità e astrattezza, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica. Atti del Congresso Internazionale Pisa – Viareggio – Lucca, Tomo I, a cura di X. XXXXX, Milano, 1991, p. 433 ss. Al riguardo, risultano particolarmente chiare ed esplicative le parole di X. XXXXXXXXXX, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, secondo la quale “in sostanza, l’atto come fonte di produzione di effetti resta, in ogni caso, valido ed efficace a prescindere da qualsiasi ragione che ne giustifichi il funzionamento, viceversa l’effetto traslativo si dimostra parzialmente instabile in rapporto ad un’esigenza di giustificazione del trasferimento del diritto”.
titolarità del diritto da parte del disponente, abbia così la meglio sulla tutela della proprietà: il tradens perde il suo diritto nonostante la nullità del contratto dal quale l’obbligazione è scaturita. Peraltro, tale conseguenza, perlomeno per la circolazione immobiliare, è in parte temperata dalla previsione di un obbligo di verifica della validità del negozio obbligatorio fondamentale in capo al pubblico ufficiale che debba provvedere all’iscrizione sul Grundbuch. Previsione ovviamente sanzionata in meri termini di responsabilità a carico del soggetto inadempiente, senza che in alcun modo ciò possa incidere sull’efficacia del trasferimento94.
Pur avendo il pregio di privilegiare la certezza degli acquisti, tuttavia, l’esasperazione del principio della separazione, che conduce a scindere anche il modus in una sequenza complessa di due ulteriori atti, determina un notevole appesantimento del meccanismo circolatorio.
Diverse, per non dire diametralmente opposte, sono invece le conseguenze in termini circolatori che derivano dalla sola applicazione del principio consensualistico, del cumulo fra titolo e modo, quest’ultimo assorbito nel contratto medesimo. È evidente, infatti, che un sistema improntato all’immediata imputazione dell’effetto reale al solo contratto, senza necessità di attendere, per il perfezionamento della fattispecie traslativa, né la consegna, né gli adempimenti pubblicitari, favorisca pienamente l’ideale della rapidità e snellezza dei traffici. Del pari, però, svincolare la costituzione del trasferimento da indici circolatori95 esteriormente apprezzabili ed ancorarla al solo accordo causale, comporta un’evidente lesione della posizione dei terzi subacquirenti, il cui acquisto non potrà perfezionarsi per l’operatività del principio del nemo plus iuris ad aliud transferre potest quam ipse haberet.
È bene però precisare che, così come il BGB introduce degli strumenti calmieratori degli effetti dell’Abstraktionsprinzip, anche il nostro codice civile, pur codificando il principio del consenso traslativo, predispone correttivi volti a tutelare l’affidamento
94 X. XXXXXXXXXX, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 90 ss., in merito agli strumenti contemplati dal BGB per moderare le conseguenze dell’Abstraktionsprinzip.
95 X. XXXXXXXXXX, Teoria giuridica della circolazione, 1933; X. XXXXXXX, Contratto di alienazione e titolo dell’acquisto, Xxxxxx, 0000, x. 000 xx.
xxx xxxxx; a presidiare l’irrinunciabile valore della certezza della circolazione giuridica. Ci si riferisce, com’è noto, all’art. 1155 c.c., per quanto concerne la circolazione dei beni mobili non registrati, ed alla disciplina di cui all’art. 2644 c.c., in merito alla trascrizione con efficacia tipica, che costituisce il sistema pubblicitario delle vicende dinamiche concernenti diritti reali immobiliari. Entrambe le previsioni ora menzionate a lungo hanno sollevato dibattiti dottrinari, per gli evidenti problemi di coordinamento con il principio generale del consenso traslativo. Come si concilia, infatti, la disciplina in materia di doppie alienazioni, che sancisce la prevalenza di colui che per primo consegua in buona fede il possesso della res, ovvero del secondo acquirente primo trascrivente, con il principio consacrato dall’art. 1376 c.c.?
Si tratta di evidenti problematiche inerenti alla tenuta del sistema, che hanno visto contrapporsi distinti orientamenti dottrinari96. Superati gli scetticismi delle tesi più
96 La difficile convivenza fra le disposizioni citate condusse i primi commentatori a critiche serrate circa l’effettiva portata dell’efficacia traslativa del consenso. In particolare, si restringe l’ambito applicativo del principio alla sola efficacia inter partes dei trasferimenti, risultando, invece, necessaria, per l’efficacia erga omnes, ora la consegna, ora la trascrizione nei registri immobiliari. In questi termini, si vedano Z. XXX XXXXXXXXXX, Corso di diritto civile francese, trad. it., III, Napoli, 1862; XXXXX et RAU, Xxxxx xx xxxxx xxxxx xxxxxxxx, XX, xxx. 000. In senso ancor più critico si spinge chi ritiene che, o il diritto di proprietà, stante la sua assolutezza, è trasferito ed allora esiste erga omnes, o non esiste affatto, con la conseguenza che senza la consegna e la trascrizione alcuna efficacia traslativa può essere riconosciuta al consenso (X. XXXXXXXXXX, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, p. 86 ss.; C. A. FUNAIOLI, La tradizione, Padova, 1942).
In merito, in particolare, alla conciliabilità del consenso traslativo con la disciplina della doppia alienazione immobiliare, si susseguirono molteplici impostazioni dottrinarie. La tesi più risalente ed oggi unanimemente rifiutata è quella di X. XXXXXXXXX, Del diritto dei terzi secondo il codice civile italiano, Torino, 1889, incentrata sull’affermazione del carattere meramente relativo della proprietà trasferita per mero consenso. Altra impostazione alquanto isolata è quella avallata da X. XXXX, Legittimazione e rappresentanza indiretta nell’alienazione, in Banca, borsa e titoli di credito, 1953, il quale ipotizza una sopravvivenza della legittimazione a disporre in capo al comune autore fino al momento dell’intervenuta trascrizione. Più convincente sembrerebbe, invece, la tesi di X. XXXXX, Commentario al codice civile, a cura di X. XXXXXXX e X. XXXXXX, 1977, il quale spiega le norme sulla trascrizione abbandonando l’ottica del diritto sostanziale, collocandosi sul piano della tutela processuale del diritto. A tale stregua l’art. 2644 c.c. si configurerebbe quale disposizione analoga a quelle sulle prove legali, vincolando così il giudice a decidere la controversia dando ragione a chi per primo abbia trascritto. Da ultimo, non è mancata la tesi di chi, X. XXXXXXX, La trascrizione immobiliare, in Il codice civile Commentario,
risalenti97, volte a rinvenire nella disciplina delle doppie alienazioni una conferma del carattere meramente proclamatorio del consenso traslativo, inidoneo in difetto dell’investitura materiale a trasferire il diritto, si afferma un netto mutamento di prospettiva. Occorre prendere atto, infatti, come osservato dalla più attenta dottrina98, che, nonostante l’immedesimazione fra titolo e modo operata con l’affermazione del principio consensualistico, in verità, nella disamina del contratto, debbano pur sempre scindersi due distinti piani. Nell’ambito dei rapporti fra le parti, l’atto di autonomia negoziale rileva quale autoregolamentazione degli interessi programmati; mentre diversa valenza assume quando vengano in gioco le posizioni dei terzi, rispetto ai quali il contratto costituisce titolo d’acquisto con mera rilevanza esterna. In altri termini, il principio consensualistico attiene al primo dei profili menzionati, quello del perfezionamento della fattispecie traslativa, che non richiede adempimenti formali ulteriori rispetto alla conclusione del contratto. Al contrario, le fattispecie disciplinate dagli artt. 1155 e 2644 c.c. si riferiscono al piano dell’opponibilità del contratto stesso ai terzi; contratto stavolta inteso come titolo dell’acquisto.
È, dunque, sotto il profilo di quella che viene definita come efficacia riflessa del contratto99 che si manifestano gli effetti degli artt. 1155 e 2644 c.c., in termini di risoluzione dei conflitti fra più aventi causa da un comune autore di diritti reali, rispettivamente, mobiliari ed immobiliari100.
diretto da XXXXXXXXXXX, Milano, 1992, ha sostenuto che la trascrizione opererebbe come condizione risolutiva del primo acquisto non trascritto.
00 X. XXXXXXXXXX, Xxxxxx giuridica della circolazione, Padova, 1933, p. 86 ss.; XXXXXXX, Diritti reali e possesso, I, Milano, 1952, p. 447 ss.
98 X. XXXXXXX, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995, p.
7 ss.; X. XXXXXXX, Contratto di alienazione e titolo dell’acquisto, Milano, 1974, p. 144 ss.
99 X. XXXXXXX, Die Reflexwirkungen, Oder die Rückwirkung rechtlicher Thatsachen auf dritte Personen, 1871, p. 245 ss.
100 X. XXXXXXX, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995,
p. 35 ss.
Cap. II
Derogabilità del principio consensualistico e obbligazione di dare
1. L’effettiva portata del principio del consenso traslativo. Limitazioni e scelte di politica legislativa.
Dopo aver chiarito che per “consenso delle parti legittimamente manifestato” deve intendersi l’accordo causale, il contratto concluso in uno dei modi di legge nel rispetto dei requisiti di validità prescritti dall’art. 1325 c.c., si tratta, ora, di delimitare l’esatto perimetro dell’art. 1376 c.c. e di verificare se, nonostante la tendenziale assolutezza della sua formulazione, non residuino margini, nei quali il trasferimento del diritto risulti diversamente congegnato. In altri termini, a questo punto dell’indagine, è legittimo domandarsi se il principio consensualistico conviva o meno, al di là delle declamate enunciazioni generali, con la diversa regola della scissione101; se, come efficacemente è stato rilevato, esso costituisca un dogma, ovvero una semplice tendenza102.
Pare, così, in primo luogo, opportuno effettuare una disamina delle diverse fattispecie codicistiche rispetto alle quali la dottrina ha rilevato possibili eccezioni al modello traslativo consensualistico. In sostanza, si cercherà di ricondurre ad ordine il sistema analizzando quelle che vengono addotte come eccezioni alla regola generale, per comprendere quando effettivamente si possa parlare di deroghe o limitazioni
101 Sul punto si vedano, in particolare, SIRENA P., Sulla derogabilità del principio consensualistico, in Studi in memoria del xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, a cura di X. XX XXXXXXXX e XXXXXXXX C. A., Napoli, 2007; FERRARI F., Principio consensualistico e abstraktionsprinzip: un’indagine comparatistica, in Contratto e impresa, 1992; X. XXXXXXX, Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale. I diversi modelli, in Contratto e impresa, 1998; ID., Xxxxxxx e contratti traslativi. Il patto di differimento degli effetti reali, Milano, 1999.
102 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxx, Milano, 1993, cap. III, sez. III, p. 878; X. XXXXX, Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxx, Torino, 2004, p. 165 ss.
legislative al principio del consenso traslativo e quando, invece, xxx possa dirsi rispettato.
In particolare, vengono in rilievo le obiezioni anticonsensualistiche dell’illustre autore103, secondo il quale “a chi ben guardi risulterà che il principio consensualistico non si applica a tutti i diritti assoluti; non si applica a tutti i contratti; non si applica a tutte le cose; non si applica a tutti gli effetti del trasferimento. In relazione a taluni diritti, ad alcuni beni, ad alcuni contratti, ad alcuni effetti, s’impone ancora oggi il vecchio modo di acquisto, l’atto esecutivo della convenzione”. Sacco sottolinea, così, che, nonostante la proclamazione del principio in termini di tendenziale assolutezza, residuerebbero non pochi casi nei quali la consegna, pur non figurando quale fattispecie traslativa nell’impianto generale del codice, purtuttavia, risulta necessaria o addirittura sufficiente al trasferimento del diritto104.
A tale stregua, pare senz’altro condivisibile la tesi per cui il principio del consenso traslativo non troverebbe applicazione con riguardo ai contratti costitutivi di garanzie reali105, effettivamente derogatori rispetto a quanto statuito dall’art. 1376 c.c. Ai sensi dell’art. 2786, comma 1 c.c., infatti, “il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della cosa”. E, analogamente, l’art. 2808, comma 2, c.c. dispone che “l’ipoteca […] si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari”. Le norme citate evidenziano come la costituzione del diritto reale di garanzia consegua esclusivamente allo spossessamento, ovvero all’iscrizione nei pubblici registri, in difetto dei quali, la convezione risulta costitutiva di meri effetti obbligatori.
103 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, I, in
Trattato di diritto civile diretto da Sacco, Milano, 1993, cap. III, sez. III, p. 878 ss.
104 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile diretto da Xxxxx, Milano, 1993, cap. III, sez. III, p. 856; X. XXXXX, voce circolazione giuridica, in Enc. diritto, VII, Milano, 1960, p. 8 ss., in merito all’insufficienza del consenso dell’avente diritto per determinare la circolazione.
105 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile diretto da Xxxxx, Milano, 1993, cap. III, sez. III, p. 882 s.; P. M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, p. 59 ss.
Com’è noto, sia il pegno che l’ipoteca, in quanto diritti reali, sono caratterizzati dal requisito dell’inerenza, ossia dall’attribuzione al creditore del c.d. diritto di sequela, il diritto di recuperare il bene anche quando sia oramai fuoriuscito dalla sfera giuridica del debitore, in forza della sua opponibilità erga omnes. Ma non solo, ciò che più connota i diritti reali di garanzia è la loro ascrivibilità fra le cause legittime di prelazione: riconoscono in capo a colui che ne sia titolare uno ius prelationis, ossia il diritto di essere soddisfatto prioritariamente rispetto alla massa degli altri creditori, detti chirografari. Ed è proprio in tale caratteristica derogatoria della par condicio creditorum, che risiede la ratio della insufficienza del solo accordo causale alla costituzione del diritto reale di garanzia. Lo spossessamento per il pegno e l’iscrizione nei registri immobiliari per l’ipoteca consentono, infatti, l’effettività della garanzia patrimoniale del creditore106, esposto, in difetto, ad una soddisfazione residuale rispetto al creditore privilegiato, senza che di tale vicenda abbia potuto tener conto al momento del sorgere del vincolo obbligatorio.
La scissione fra contratto meramente obbligatorio, attributivo di un mero diritto a pretendere la consegna della cosa mobile ovvero l’iscrizione nei registri immobiliari, ed il successivo adempimento formale, necessario per la costituzione del diritto, risulta quindi funzionale ad esigenze ulteriori e distinte rispetto al perfezionamento della fattispecie acquisitiva, di tutela della posizione dei creditori, anche futuri, del debitore. Non avrebbe, invero, senso alcuno ritenere che lo spossessamento per il pegno e l’iscrizione per l’ipoteca siano meri requisiti richiesti ai soli fini dell’opponibilità del diritto agli altri creditori, perché proprio nell’assicurare la soddisfazione prioritaria rispetto ad essi risiede la funzione stessa dei diritti reali di garanzia.
Un’ulteriore deroga al principio del consenso traslativo è stata da taluno ravvisata nella disciplina che regola la circolazione dei titoli di credito107. Le tesi al riguardo sono
106 P. M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, p.
60.
107 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, I, in
Trattato di diritto civile diretto da Sacco, Milano, 1993, cap. III, sez. XXX, p. 896 s.; X. XXXXXXX, Xxxxxx di credito, Padova, 1966, p. 58 ss.; X. XXXXXXX, Sulla circolazione dei titoli di credito, in Contratto e
molteplici e non vi è a tutt’oggi uniformità di vedute, contrapponendosi, di massima, indirizzo consensualista e anticonsensualista108. Secondo buona parte della dottrina109 e della giurisprudenza110, la consegna nei titoli al portatore, la girata nei titoli all’ordine e la doppia annotazione, il cosiddetto transfert, per quanto concerne i titoli nominativi, sarebbero formalità prescritte ai fini dell’acquisto del diritto cartolare. Tuttavia, la dottrina oggi maggioritaria contesta che possa realmente parlarsi di un’eccezione al consensualismo. Secondo tale ultima ricostruzione, infatti, la proprietà del titolo si trasferirebbe in virtù del solo consenso legittimamente manifestato, alla stregua dell’art. 1376 c.c., e le peculiari formalità imposte per la circolazione cartolare risulterebbero necessarie esclusivamente al fine di far sorgere in capo al portatore la legittimazione ad esercitare i diritti nel titolo incorporati111. Del resto, i titoli di credito nient’altro sono che promesse unilaterali di pagamento incorporate in un documento, la c.d. chartula, con la conseguenza di estendere ad essi le regole di circolazione previste per i beni mobili.
Ma ancora, è stata da taluni ascritta fra le deroghe al principio del consenso traslativo anche la categoria dei contratti reali112. Si è, infatti, sottolineato come in tali
impresa, 1987, p. 382 ss.; X. XXXXXXX, Il trasferimento dei titoli di credito, in Scritti in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Padova, 1950.
108 X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto civile a cura di X. XXXXXX e X. XXXXX, II ed., Milano, 2011, p. 492 s.
109 X. XXXXXXX, Titoli di credito, Padova, 1966, p. 58 ss.; X. XXXXXXX, Sulla circolazione dei titoli di credito, in Contratto e impresa, 1987, p. 382 ss.
110 Trib. Marsala, 24 febbraio 1994, in Società,1994, p. 957 ss.
111 X. XXXXX, Introduzione al diritto dei titoli di credito, III ed., Torino, 2012; X. XXXXX, L’efficacia del consenso traslativo nella circolazione dei titoli azionari: proposte per ripensare un problema, in Il contratto, Silloge in onore di X. Xxxx, II, Padova, 1992, p. 465 s.; C.M. XXXXXX, Il principio del consenso traslativo, in Diritto privato, 1995; X. XXXX, Il trasferimento dei titoli dematerializzati fra consensualismo e anticonsensualismo, in Giur. Comm., 2010, II, p. 80 ss.
112 X. XXXXX, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile diretto da Xxxxx, Milano, 1993, cap. III, sez. III, p. 855 ss. Per l’esame dei caratteri tipici della categoria si vedano, invece, X. XXXXXXXXXX, I contratti reali, Milano, 1952; X. XXXXXXXXXXX, Appunti in tema di contratti reali, contratti restitutori e contratti sinallagmatici, in Riv. dir. civ., 1955; X. XXXXXXX, Xxxxx e deposito irregolare. 1. La costituzione del rapporto, Milano, 1968;
X. XXXXXX, I contratti reali, Milano, 1975; D. CENNI, La formazione del contratto tra realità e
fattispecie negoziali la consegna costituisca presupposto indispensabile per l’acquisto del diritto. A tal riguardo, a mio avviso, occorre effettuare una distinzione. In primo luogo, in relazione a taluno dei contratti reali il problema non pare neppure astrattamente porsi, giacché inidonei a determinare l’effetto reale e costitutivi di meri rapporti obbligatori113. Ma, anche quando si prendano in considerazione i contratti reali traslativi, quali il mutuo, il riporto o la donazione manuale, in verità, l’asserito contrasto con il principio consensualistico pare più che altro il frutto di un’erronea impostazione del problema.
È vero, infatti, che in tali fattispecie negoziali il trasferimento del diritto consegue alla traditio, ma è altresì vero che, prima ancora che sotto il profilo effettuale, essa rileva ai fini del perfezionamento del contratto. Insomma, il presunto contrasto fra contratti reali traslativi e principio consensualistico discende da una errata interpretazione dell’art. 1376 c.c., quella secondo cui sarebbe sufficiente il mero incontro dei consensi per determinare l’effetto reale. Se, invece, come si è visto, si supera la sineddoche e si accede alla ricostruzione del principio in esame in termini di diretta ed immediata imputazione del trasferimento al contratto concluso in uno dei modi di legge, non potrà che cogliersi la piena armonia fra realità e portata del consenso traslativo.
consensualità, Padova, 1998; X. XXXXXXXXXXX, I contratti reali, in Trattato di dir. civ., diretto da XXXXX, Torino, 1999; X. XXXXXXXX, in Diritto civile, III, obbligazioni, 2. Il contratto in generale diretto da LIPARI e XXXXXXXX, Milano, 2009.
113 Si tratta del deposito, contratto reale per effetto del quale, una parte, il depositante, consegna una cosa mobile all’altra, il depositario, il quale assume l’obbligo di custodire la res e restituirla in natura. Tale contratto non trasferisce al depositario la proprietà, né risulta idoneo ad immetterlo nel possesso: la consegna è meramente funzionale al sorgere dell’obbligazione di custodia. È del tutto evidente che in questo caso la traditio non costituisce fattispecie acquisitiva di un diritto e, pertanto, risulta assolutamente inconferente un presunto contrasto con il principio di cui all’art. 1376 c.c. Secondo la dottrina prevalente sarebbe certamente preferibile ricomprendere fra i contratti reali obbligatori anche il comodato, si veda al riguardo P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, pp. 2 ss. (in particolare, nota 2, p. 2., nella quale si dà atto della controversa natura dei diritti c.d. personali di godimento) e 58 s.
In sostanza, la traditio si aggiunge agli altri elementi richiesti per la valida conclusione del contratto114 e, pertanto, il congegno traslativo rimane sostanzialmente ineccepibile: l’effetto reale, perfettamente in linea con quanto prescritto dall’art. 1376 c.c., è direttamente imputabile ad un contratto, per la cui valida conclusione la legge richiede l’elemento materiale della consegna115.
Sempre fra le presunte deroghe al principio del consenso traslativo vengono, peraltro, da Xxxxx menzionate quelle disposizioni codicistiche nelle quali la mera
114 Come efficacemente rilevato da X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto civile a cura di
X. XXXXXX e X. XXXXX, II ed., Milano, 2011, p. 127 ss., la ratio giustificatrice della realità risiede nella necessità di compensare la debolezza causale dell’atto gratuito. La causa onerosa è, per così dire, una causa “forte”, giacché è di immediata percezione la giustificazione di uno spostamento patrimoniale, allorché questo sia bilanciato da una controprestazione. La causa gratuita è invece “debole” e necessita, pertanto, di elementi esterni che la rafforzino, che integrino la debolezza causale, poiché, in difetto, potrebbe dubitarsi della stessa giuridicità del vincolo. Tale funzione assolve, ad esempio, la forma solenne rispetto al contratto di donazione, ovvero la consegna nella donazione manuale, di cui all’art. 783 c.c. Le eccezioni alla realità (ossia le ipotesi nelle quali il legislatore consente che il contratto reale possa concludersi in forma consensuale) danno conferma della regola stessa individuata dall’A., in quanto sono ammesse esclusivamente rispetto a quei contratti reali non essenzialmente gratuiti. Si fa riferimento, in particolare, alla promessa di mutuo di cui all’art. 1822 c.c.
115 Non pare condivisibile la tesi di chi ritiene che il principio consensualistico sia un’opzione normativa che convive con la regola dell’investitura formale, quale necessità della consegna della cosa al fine della trasmissione della proprietà, ravvisando il discrimen fra le due ipotesi nella contrapposizione fra accordo sul trasferimento ed accordo sullo scopo del trasferimento. In tal senso, infatti, X. XXXXXX, «Fiduciam contrahere» e «contractus fiduciae». Prospettive di diritto romano ed europeo, Napoli, 2012, p. 266 ss., secondo il quale il principio del consenso traslativo governerebbe l’efficacia di contratti nei quali il trasferimento è l’effetto finale programmato dalle parti (così nella vendita), mentre quando il trasferimento è mero effetto programmatico, la circolazione sarebbe regolata dal diverso fenomeno dell’investitura mediante traditio (es. mutuo o donazione traslativa). Seppure, infatti, possa condividersi la distinzione fra effetto finale ed effetto procedimentale, non pare che essa possa fondare la ratio di una presunta inoperatività del principio consensualistico con riguardo ai contratti reali. La strumentalità dell’effetto reale rispetto all’effetto finale, a cui il contratto è da ultimo preordinato (ad esempio il sorgere dell’obbligazione di restituzione del tandundem eiusdem generis), non comporta, infatti, alcuna deviazione sotto il profilo effettuale rispetto alla regola consensualistica: la consegna, lungi dal costituire distinta fattispecie acquisitiva del diritto, è inserita nell’iter perfezionativo del contratto e, pertanto, non presentandosi da esso scissa, certo non può cogliersi alcuna deroga rispetto al principio fissato dall’art. 1376 c.c.
consegna pare da sé sola sufficiente a determinare il perfezionamento della fattispecie acquisitiva del diritto. Si tratta, in particolare, della volontaria esecuzione della donazione e disposizione testamentaria nulla, di cui rispettivamente agli artt. 799 e 590 c.c., che dà luogo ad irripetibilità dell’attribuzione patrimoniale spontaneamente eseguita dall’erede, in deroga al noto principio per cui “quod nullum est, nullum producit effectum”116. Qui, nonostante la mancanza di un titulus, di un obbligo giuridicamente vincolante, la mera volontaria esecuzione dell’erede pare idonea a determinare il prodursi della vicenda traslativa, analogamente a quanto accade nell’adempimento delle obbligazioni naturali. Potrebbe, infatti, sostenersi, che così come l’esistenza di un dovere morale e sociale per queste ultime, allo stesso modo il favor testatoris, o l’esigenza di assicurare il rispetto e l’attuazione post mortem della volontà del donante consentano di ravvisare una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale, che ne giustifichi l’irripetibilità.
In questo caso, pare, dunque, operare una limitazione al raggio di applicazione del principio consensualistico, perché, pur essendo fattispecie negoziali inidonee a costituire valide autoregolamentazioni di interessi, la donazione e il testamento nulli possono rilevare quali titoli d’acquisto al fine di assicurare la realizzazione di interessi considerati preminenti rispetto all’imputazione dell’effetto reale al contratto causale.
Ad eccezione della categoria dei contratti reali, che, come si è visto, non costituiscono una deroga al consensualismo, collocandosi la realità sul piano del perfezionamento della fattispecie negoziale traslativa, in tutte le altre ipotesi analizzate paiono, invece, effettivamente ravvisabili delle limitazioni all’operatività del principio in esame; limitazioni dettate da scelte di politica legislativa, che trovano la loro
116 L’art. 590 c.c. dispone, infatti, che “la nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione”. Parimenti, l’art. 799 c.c. prevede che “la nullità della donazione, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa dal donante, che, conoscendo la causa della nullità, hanno, dopo la morte di lui, confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione”. Per l’esame di tali disposizioni, si vedano X. XXXXXXX, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983, p. 235 ss. e X. XXXXXXX, L’attribuzione patrimoniale mediante conferma, Milano, 1974.
giustificazione in esigenze connesse alla natura dei diritti trasferiti ovvero ai particolari e, di volta in volta, prevalenti interessi sottesi alla vicenda acquisitiva117. Tali rilievi consentono, dunque, di affermare che la regola consacrata dall’art. 1376 c.c. non costituisca nel complessivo quadro legislativo un principio assoluto, ma piuttosto una mera tendenza, che non esclude in nuce la convivenza con aree governate dal diverso fenomeno della separazione.
2. L’obbligazione di dare
Abbandonare la ricostruzione dogmatica del principio consensualistico e coglierne le possibili limitazioni sistematiche conduce ad assumere un’impostazione scevra da preconcetti ed a metterne a fuoco la reale portata. Difatti, l’emersione di fattispecie in relazione alle quali il trasferimento, in ossequio alla preminenza di interessi ritenuti prevalenti dal legislatore, non pare direttamente ascrivibile all’accordo causale, consente di interrogarsi circa la possibilità di individuare ambiti di rilievo dell’obbligazione di dare nel nostro ordinamento.
Sul punto, gli orientamenti dottrinari più risalenti, soprattutto sotto il vigore del codice civile abrogato, tendevano a ritenere che, per effetto della declamazione del principio consensualistico, non solo, l’accordo causale fosse da sé solo sufficiente a produrre l’effetto reale, ma, soprattutto, che tale effetto fosse sempre ed inevitabilmente conseguenza dell’accordo stesso. La lettura dogmatica dell’art. 1376
x.x. xxxxxxxxx, in altri termini, ad attribuire al principio in esame natura cogente118, escludendo la possibilità che le parti si accordassero per differire il trasferimento ad un
117 P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, p. 55 ss.; X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto civile a cura di X. XXXXXX e X. XXXXX, II ed., Milano, 2011, p. 491 ss.
118 X. XXXXXX, Appunti sul c.d. principio consensualistico, in Riv. dir. comm., 1977, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXX, Del possesso di buona fede di beni mobili, in Il codice civile, Commentario, diretto da XXXXXXXXXXX, Milano, 1988, p. 198; X. XXXXXXXXX, Ripetizione di cosa determinata e acquisto «a domino» della proprietà, Milano, 1980, p. 56 ss.; X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1970,
p. 96 ss.
successivo atto di adempimento dell’obbligazione di dare. Se il consenso è traslativo, allora l’effetto reale discende immediatamente dal contratto, potendosi al più ammettere il differimento mediante sottoposizione della dichiarazione negoziale a termine iniziale o condizione sospensiva119.
Tale rigida impostazione, che in un primo momento prevalse, era figlia dall’esasperazione del consensualismo, ereditata dagli interpreti francesi120. Come già si è rilevato, infatti, l’art. 1589 Code Civil sancisce l’equivalenza fra la promessa di vendita e vendita definitiva121, impedendo così il riemergere di una separazione fra contratto causale e atto traslativo, come fattispecie acquisitiva da quest’ultimo distinta. Negandosi rilevanza al preliminare di vendita viene sostanzialmente preclusa qualsiasi dissociazione fra titulus e modus, perché l’accordo con cui le parti si obblighino a trasferire realizza già di per sé il trasferimento stesso122.
Ora, però, il codice civile italiano non ripete il principio sancito dal legislatore francese per cui promesse de vente vaut vente e, pertanto, non pare essere negata in radice la possibilità che le parti si accordino per regolare il trasferimento del diritto mediante una sequenza bifasica, che scinda il contratto ad effetti obbligatori dal successivo atto di adempimento perfezionativo dell’acquisto. Benché, dunque, parte della dottrina avesse in un primo momento attribuito natura imperativa all’art. 1376 c.c., in verità, tale rigida impostazione non trovava sicuri appigli nel tenore letterale della norma, ben
119 P.M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, p.
38 ss.
120 Vedi supra, par. 1, cap. I, p. 18 s.; A.M. DEMANTE e X. XXXXXX DE XXXXXXXX, Cours analique de Code Civil, VII, p. 16 ss.
121 X. XXXXXX, Promesse de vente vaut vente, in Riv. dir. st. dir. it., 1953/54, p. 247 ss.; X. XXXXX, Relazione di sintesi, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico – comparatistica, a cura di X. XXXXX, tomo II, Milano, 1991, p. 868 ss.
122 Il principio “promesse de vente vaut vente” ha impedito, nel diritto francese, lo sviluppo dell’istituto del preliminare, ma la prassi ha elaborato strumenti alternativi per scindere effetti reali ed effetti obbligatori. Sul punto si veda X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 98 ss., che effettua un raffronto di diritto comparato sulle diverse sorti del contratto preliminare in ragione dei differenti modelli traslativi accolti.
compatibile con una diversa lettura, secondo la quale l’accordo causale produce l’effetto reale in quanto dalle parti voluto123.
Prevale così oggi il diverso indirizzo interpretativo teso a ritenere che l’art. 1376
c.c. sia una norma dispositiva ed interpretativa della volontà delle parti124, canone ermeneutico volto a sancire, nel dubbio, l’immediata produzione dell’effetto reale. Il vero problema, alla luce dell’attuale impostazione dottrinaria, è, pertanto, quello di stabilire entro quali limiti il principio del consenso traslativo possa essere derogato dalle parti nell’esercizio dalla loro autonomia privata; quali siano gli argini normativi entro i quali possa essere ammesso nel nostro ordinamento un trasferimento che si realizzi per effetto della separazione fra titulus e modus adquirendi. Si tratta, in altri termini, di scandagliare i profili di possibile riemersione dell’obbligazione di dare e per farlo non può certo prescindersi da una preliminare disamina delle diverse accezioni nelle quali il dare è stato e tuttora viene inteso.
123 In merito, possono ripercorrersi le parole di X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 48, il quale sottolinea come “l’interpretazione ancora oggi prevalente sovrappone all’art. 1376 c.c. la formula francesizzante, per la quale il consenso è necessariamente produttivo dell’effetto reale. In verità produce effetti reali il negozio in cui le parti vogliono il trasferimento: in un sistema retto dal principio dell’autonomia contrattuale, che conforma le vicende giuridiche alla volontà dei contraenti, l’art. 1376 c.c. agevola le parti, ma non le vincola contro la loro stessa volontà”.
124 Sulla derogabilità del principio del consenso traslativo si vedano: X. XXXXX, Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxx, Torino, 2004, p. 905 ss.; X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, in particolare, nota 104, p. 36; X. XXXXXXX, Principio consensualistico e conferimento di beni in società, in Riv. soc., 1970, p. 913 ss.; P. M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999; X. XXXXXXXX, La compravendita, VI, Torino, 2009, p. 4 s.; Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007; X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 627 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, XV ed., 2011, p. 871 s.; X. XXXXXXX, Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale. I diversi modelli, in Contratto e impresa, 1998, p. 591 ss.; X. XXXXXXX, Principio consensualistico ed Abstraktionsprinzip: un’indagine comparativa, in Contratto e Impresa, 1992, p. 889 ss.; X. XXXXXXXX, Degli effetti del contratto, vol. II, 2013, p. 358 ss.
Sulla base di una ricostruzione storico – comparatistica emerge, infatti, come l’obbligazione di dare sia stata interpretata dalla dottrina in molteplici accezioni125, non sempre tutte propriamente afferenti alla questione che qui viene in rilievo.
Di massima, con il termine dare, nel suo significato tecnico – giuridico, si intende l’obbligazione avente ad oggetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto; si denota quella peculiare attività consistente nel “mettere in essere una concreta fattispecie di successione a titolo particolare”126. È in tale significato che, del resto, il dare ricorre nelle fonti del diritto romano, nelle quali per dare rem, si intende per l’appunto l’obbligazione di porre in essere atti idonei ad assicurare il trasferimento e l’acquisto del diritto127. Obbligo che, comunque, per maggiore completezza espositiva, è opportuno precisare come non scaturisse dall’ emptio – venditio, costitutiva della mera obbligazione di possessionem tradere, immettere il compratore nella disponibilità materiale della res128.
Accanto a quella ora brevemente descritta, che potremmo definire come obbligazione di dare in senso stretto, si colloca poi un differente valore del dare, che Xxxxxxxxxxx definisce come “dare in senso lato”, dalla portata onnicomprensiva. Con esso ci si riferisce tanto al sopra delineato “dare in senso tecnico”, quanto al mero obbligo di consegnare la res mediante conferimento della situazione possessoria o
125 A. CHIANALE, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p. 214 ss.; X. XXXXX, Nozione e tipi di prestazione, in Trattato delle obbligazioni diretto da X. Xxxxxxxx, I, La struttura e l’adempimento, II, Soggetti e contenuto del rapporto obbligatorio, 2014, p. 316 ss.
126 In questi termini l’obbligazione di dare avrebbe raggiunto un significato tecnico, preciso e circoscritto, secondo X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p. 214.
127 Così GAI., Istitutiones, 4.4., afferma che “id dari nobis intellegatur, quod ita datur ut nostrum fiat” e XXXX., D. 50. 17. 167 pr., “non videntur data, quae eo tempore dentur accipientis non fiunt”.
128 Sulla natura delle obbligazioni scaturenti a carico del venditor nella vendita romana di epoca classica si veda supra, cap. I, par. 1, in particolare per quanto concerne la critica, a mio avviso condivisibile, che X. XXXXX, Nozione e tipi di prestazione, in Trattato delle obbligazioni diretto da X. Xxxxxxxx, I, La struttura e l’adempimento, II, Soggetti e contenuto del rapporto obbligatorio, 2014, p. 317, in particolare nota (61), rivolge a X. XXXXXXX, La disciplina generale delle obbligazioni, che qualifica il dare rem come oggetto dell’obbligazione del venditore di far acquistare la proprietà al compratore.
detentoria. In questo secondo valore il dare diviene sostanzialmente l’oggetto dell’obbligazione di consegna, che tende pertanto a sfumare nel facere. È in questi termini che il dare parrebbe più propriamente identificarsi con l’oggetto dell’obbligazione gravante sul venditor129.
Più controverso risulta poi un ulteriore significato attribuito all’obbligazione di dare, che discende dalla diversa interpretazione del concetto di “dare in senso tecnico”. Non tutta la dottrina è, infatti, unanime nel delimitare l’esatto perimetro di tale obbligazione, avente genericamente ad oggetto il trasferimento.
Secondo una parte della dottrina130, nell’alveo del dare in senso tecnico rientrerebbe tanto l’obbligarsi a porre in essere un successivo atto di puro trasferimento, una dichiarazione di volontà negoziale tesa a realizzare la fattispecie acquisitiva, quanto il dovere di eseguire le attività materiali (diverse, dunque, dalla manifestazione di volontà traslativa) che si rendano necessarie perché il contratto possa procurare l’acquisto. Sostanzialmente, secondo tale impostazione dottrinaria, anche l’obbligazione di far acquistare la proprietà al compratore, di cui all’art. 1476 n. 2 c.c. sarebbe inquadrabile nel genus del “dare in senso tecnico”.
Di tale avviso, risultano senz’altro Dalmartello e Chianale. Il primo, sottolinea, infatti, come, anche nelle c.d. vendite obbligatorie di diritto interno si delinei pur sempre l’obbligazione di dare nel suo valore tecnico - giuridico, seppur con un contenuto diverso ed accessorio rispetto a quello in cui dal debitore sia dovuto un mero atto traslativo, posto che in esse il contenuto del dare si atteggia “come dovere di compiere quegli atti o quelle operazioni giuridiche che sono necessarie affinché l’atto traslativo, già compiuto, raggiunga la sua piena efficacia”131. E, allo stesso modo, anche Chianale pare osteggiare i diversi orientamenti che tendono a ridurre la portata delle obbligazioni di
129 È quanto pare emergere dalla lettura di X. XXXXXXXXX, voce Vendita in generale (diritto romano), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, p. 378 ss., con riferimento all’obbligazione di possessionem tradere.
130 X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p.
216 s.; X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 1 s.
131 X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p.
217.
cui artt. 1476 n. 2 e 1478 c.c., qualificandole come mere obbligazioni di facere del venditore.
Se si aderisce a questo primo filone dottrinale non può che concludersi per una bipartizione etimologica del concetto di dare: al dare in termini di possessionem tradere, come oggetto di un’obbligazione di consegna, si contrappone, infatti, il dare in senso tecnico, come obbligo di trasferire, che non si esaurisce però nel mero vincolarsi a porre in essere un successivo e distinto atto traslativo. In altri termini, la prestazione oggetto dell’obbligo di dare in senso tecnico può consistere tanto nel porre in essere una dichiarazione di volontà traslativa, quanto nel compiere le diverse attività materiali necessarie a procurare l’acquisto.
Di diverso avviso, risultano invece coloro che in dottrina addivengono ad una sostanziale tripartizione dei significati in cui l’obbligazione di dare può essere intesa. Se, infatti, non vi sono difformità di vedute nel momento in cui si tratti di ricomprendere nell’accezione lata del dare anche l’obbligazione di consegna, consistente nella mera immissione nel possesso o nella detenzione, le posizioni si allontanano sensibilmente, quando a venire in rilievo sia l’esatta perimetrazione del significato tecnico dell’obbligazione in oggetto.
Al riguardo, vi è chi132 ha, infatti, sostenuto che l’obbligazione di dare nella sua accezione più circoscritta non si identificherebbe con quella di far acquistare la proprietà al compratore, ma con la sola obbligazione di porre in essere un atto di puro trasferimento; entrambe, peraltro, inquadrabili nel dare, inteso in senso lato. Di tale avviso sono sostanzialmente coloro che ritengono che per “dare in senso tecnico” debba intendersi il solo vincolarsi a porre in essere un atto di adempimento traslativo solvendi causa, sulla falsa riga dell’obbligo scaturente dal contratto obbligatorio di diritto tedesco. Secondo, tale ricostruzione, dunque, accanto alle obbligazioni di consegna e di dare in senso tecnico, dovrebbe collocarsi l’obbligazione di far acquistare la proprietà al compratore di cui all’art. 1476 n. 2 c.c., la quale, pur essendo anch’essa ascrivibile al dare in senso lato, sfumerebbe poi nei fatti in un’obbligazione di facere, la
132 X. XXXXXXX – FERRARA, Negozi sul patrimonio altrui, Padova, 1936, p. 224 ss.; L’obbligo di trasferire, Xxxx, 0000.
cui prestazione si sostanzia nel porre in essere adempimenti materiali idonei a procurare l’acquisto del compratore, pur sempre logicamente imputabile all’accordo causale133.
Ora, è del tutto evidente che, in un ordinamento che accoglie il principio del consenso traslativo, a porre problemi di compatibilità con il sistema è proprio l’obbligazione di dare in senso tecnico, sia che la si intenda in termini restrittivi, sia che in essa si ricomprenda anche il dovere dell’alienante di adoperarsi per assicurare il perfezionamento della fattispecie traslativa. In ciò probabilmente si spiega la tendenza della dottrina a negarne il rilievo e l’autonomia concettuale, soprattutto a seguito del superamento della formula del costituto possessorio, realizzata dal codice del 1942.
Il codice civile previgente menzionava, infatti, in diversi contesti l’obbligazione di dare: all’art. 1447, che definisce la compravendita come il contratto con cui il venditore si obbliga a dare una cosa; all’art. 1219, che dispone, invece, che “l’obbligazione di dare include quella di consegnare la cosa e di conservarla fino alla consegna”. Si recepisce sostanzialmente l’impostazione del Code Civil, che, nonostante l’enunciazione generale del principio consensualistico, mantiene la formale intermediazione dell’obbligazione di donner, pur considerata tacitamente adempiuta per effetto della stessa conclusione del contratto.
Con l’emanazione del codice del 1942 scompare, invece, qualsiasi riferimento espresso all’obbligazione di dare, intesa nell’accezione del donner di matrice francese e viene meno, peraltro, una classificazione espressa delle diverse tipologie di obbligazioni134. Infatti, da un lato, per effetto del combinato disposto degli artt. 1376 e 1470 c.c. si elimina qualsiasi frapposizione logica dell’obbligazione di dare ai fini del
133 X. XXXXXXX, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, p. 136 ss.; A. DI XXXX XXXXXXXXX, L’esecuzione, Milano, 1967, p. 318 ss.; C. M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2015, II ed., p. 501 ss.; La vendita e la permuta, in Trattato di dir. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p.82 ss.; X. XXXXX e X. XXXXXXX, Xxxxx vendita, in Commentario al codice civile a cura di X. XXXXXXX e X. XXXXXX, Bologna e Roma, 1981, p. 7; X. XXXXXXXX, La compravendita, VI ed., Torino, 2009, p. 132 ss.
134 Classificazione, invece, prevista dal codice civile del 1865 agli artt. 1219 ss., che distinguevano fra obbligazioni di dare, fare e non fare. Sul punto si veda X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 6 ss.
perfezionamento della fattispecie traslativa, e dall’altro, a livello di classificazione generale, l’obbligo di dare non trova codificazione nel corpus normativo.
A fronte di un simile assetto codicistico, come si è detto, la tendenza iniziale è stata quella di negare in radice la possibile sopravvivenza dell’obbligazione di dare in senso tecnico, sia che la si intenda come comprensiva del solo obbligo di porre in essere l’atto di puro trasferimento, sia che la si qualifichi come comprensiva dell’obbligazione di fare acquistare la proprietà al compratore. Per tale via, il risultato è stato quello di disconoscere l’autonomia classificatoria del concetto di dare: l’obbligazione di dare, in ogni caso, si risolverebbe nel vincolarsi ad un facere.
Così, nel nostro ordinamento, potrebbe ascriversi alla categoria del dare la sola obbligazione di consegna, corrispondente all’obbligazione di livrer del Code Civil, espressamente disciplinata dall’art. 1476 n. 1 c.c. e comprensiva del dovere di custodire la res fino alla consegna, ai sensi dell’art. 1177 c.c. Obbligo che viene adempiuto mediante l’esecuzione di un’attività diretta ad immettere il creditore nella disponibilità del bene e che, pertanto, si dissolve in un fare.
Alla stessa stregua, come si è visto, si è negata autonoma valenza all’obbligazione di “far acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto”, di cui all’art. 1476 n. 2, ricondotta anch’essa fra le obbligazioni di facere del venditore.
Sebbene l’accoglimento del principio consensualistico abbia condotto ad un contestuale insabbiamento dell’obbligazione di dare, scomparsa dal tenore letterale delle disposizioni codicistiche, ciò non può dirsi sufficiente a negarne la potenziale sopravvivenza, perlomeno in forma latente. Un esame attento delle numerose fattispecie traslative disciplinate dal codice civile consente, infatti, di individuare non pochi profili di emersione dell’obbligazione di dare.
3. Deroga apparente al principio del consenso traslativo: le vendite c.d. obbligatorie.
Non sempre il trasferimento è effetto cronologicamente immediato del contratto di compravendita. Sebbene questa sia la regola, non mancano ipotesi in cui l’effetto traslativo è differito al verificarsi di un evento successivo rispetto al raggiungimento dell’accordo. È quanto accade quando, al momento della conclusione del contratto, l’alienante non abbia la legittimazione a disporre del diritto (vendita di cosa altrui); la cosa che costituisce oggetto del diritto non sia ancora venuta ad esistenza (vendita di cosa futura), ovvero sia stata individuata solo nel genere (vendita di cosa generica)135. In tutti questi casi, in cui l’acquisto non può essere contestuale alla conclusione della vendita, sorge a carico dell’alienante l’obbligazione, poc’anzi menzionata, di fare acquistare la proprietà della cosa o il diritto al compratore, prevista dall’art. 1476 n. 2 c.c.
È proprio il delinearsi di tale peculiare obbligazione a caratterizzare le vendite c.d. obbligatorie; categoria alla quale rimangono così estranee quelle fattispecie negoziali in cui, pur essendo l’effetto reale differito, non pare in alcun modo ravvisarsi il sorgere del suddetto vincolo a carico dell’alienante. In tale ottica, rimangono al di fuori della disamina in oggetto le vendite sottoposte a termine iniziale o a condizione sospensiva, le quali subordinano al decorso del termine o al verificarsi dell’evento futuro ed incerto dedotto in condizione l’efficacia del contratto, tanto reale quanto obbligatoria136. Analoghe considerazioni paiono poi potersi svolgere rispetto alla vendita con riserva
135 C. M. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di dir. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p. 93 ss.; X. XXXXXXXX, La compravendita, VI ed., Torino, 2009, p. 128 ss.
136 Secondo X. XXXXXXXX, La compravendita, VI ed., Torino, 2009, p. 135 ss. dovrebbe nettamente distinguersi fra vendita obbligatoria e vendite ad effetti differiti o sospensivamente condizionati. La vendita ad effetti differiti ricorre, infatti, nell’ipotesi di sottoposizione a termine iniziale, che, dilazionando la sua efficacia al decorrere di un dies certus an, non determina il sorgere dell’obbligazione di cui all’art. 1476 n. 2 x.x., xxxxx xx xxxxxxxx xx xxxxxx xx (xxxxxx) verificarsi dell’effetto reale al solo scadere del termine. Allo stesso modo, l’obbligazione del venditore di far acquistare la proprietà al compratore non pare scaturire dalla vendita sospensivamente condizionata, nella quale tutti gli effetti del contratto sono subordinati al verificarsi di un evento futuro ed incerto; “attraverso la clausola condizionale penetra nel negozio, con efficacia subordinante, un piano di interessi estrinseco all’assetto tipico della compravendita”.
della proprietà. Benché taluni137 l’abbiano inquadrata nella categoria delle vendite obbligatorie, l’acquisto del diritto è in questo caso condizionato esclusivamente al pagamento dell’ultima rata di prezzo da parte del compratore.
Ora, concentrando la nostra attenzione sulle tipologie di vendite pacificamente ascritte alla categoria in esame, la valutazione del congegno traslativo che le caratterizza in termini di compatibilità o meno con il principio consensualistico dipende dal differente assunto di partenza in merito all’esatta qualificazione dell’obbligazione di cui all’art. 1476 n. 2 c.c.
Siamo, infatti, proprio certi che nelle vendite c.d. obbligatorie di diritto interno sia ravvisabile la scissione fra titulus e modus adquirendi che caratterizza gli ordinamenti che accolgono il principio della separazione? Come si è detto, la risposta a tale quesito discende dalla differente ricostruzione dottrinale circa l’esatta perimetrazione dell’obbligazione di dare in senso tecnico. Naturalmente coloro che ricomprendono anche l’obbligazione di fare acquistare la proprietà o il diverso diritto al compratore nell’accezione tecnica del dare, che non si esaurirebbe nel mero porre in essere un atto negoziale traslativo, vedono nelle vendite obbligatorie una chiara eccezione al principio consensualistico; un’ipotesi di riemersione del trasferimento bifasico, imperniato sulla scissione fra titulus e modus adquirendi.
Diversa è invece la posizione di coloro che, tenendo nettamente distinte l’obbligazione di dare in senso tecnico e quella di cui all’art. 1476 n. 2 x.x., xxxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxxx xx xxxxxxxx traslativo a quelle sole fattispecie nelle quali l’alienante si obblighi a concludere un successivo e distinto atto di disposizione, al quale sia esclusivamente imputabile l’effetto reale.
L’opzione per l’una o per l’altra posizione dottrinaria potrà effettuarsi solo dopo aver passato in rassegna i peculiari caratteri delle fattispecie negoziali tradizionalmente qualificate come vendite obbligatorie, soffermandoci, in particolare, sulle modalità con le quali si perfeziona in esse il congegno traslativo.
137 X. XXXXXX, La compravendita, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da XXXX e MESSINEO, Milano, 1971, p. 428 ss.; X. XXXXXXX, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, p. 214 ss.
Ai sensi dell’art. 1472, comma 1, c.c. “nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza “138. Si tratta della cosiddetta emptio rei speratae, avente ad oggetto un bene giuridico non ancora esistente al momento della conclusione del contratto, in sintonia con la previsione generale di cui all’art. 1348 c.c., che ammette la prestazione di cosa futura. Xxxx che viene dedotto in contratto come futuro e non attuale, perché, in caso contrario, se il compratore fosse convinto in buona fede di acquistare una res già venuta ad esistenza, si avrebbe un’immediata inattuazione dell’attribuzione patrimoniale traslativa, contestuale alla conclusione della vendita.
Numerose sono state le tesi avanzate circa la natura giuridica di tale contratto. Taluni hanno parlato di vendita sospensivamente condizionata alla venuta ad esistenza della res139, alla quale è stato obiettato come l’evento condizionale, al quale si subordina l’efficacia del contratto, non possa essere rappresentato da uno dei suoi elementi essenziali, l’oggetto per l’appunto.
Altri hanno, invece, descritto la vendita di cosa futura come fattispecie negoziale a formazione progressiva, provvisoriamente incompleta: vendita in itinere che si perfeziona con la venuta ad esistenza del bene che ne integra l’oggetto140. Pare, tuttavia, aver colto nel segno chi141 ha rilevato come l’oggetto della vendita non sia il bene nella sua materialità, ma il bene giuridico promesso, il bene mentalmente dedotto dalle parti in contratto. Ne consegue, ripudiata la tesi del bene c.d. reale142, l’immediata
138 Per l’esame della vendita di cosa futura si vedano, in particolare, X. XXXXXXXXXX, Gli obblighi di fare del venditore, in Riv. dir. comm., 1964; X. XXXXXXXXXXX, I negozi su beni futuri, I, La compravemdita di “cosa futura”, Napoli, 1962; X. XXXXXXXX, La compravendita, VI ed., Torino, 2009,
p. 47 ss.; X. XXXXXXX, La vendita obbligatoria, Milano, 1957; M. G. XXXXXXX CALVISI, La vendita di cosa futura, in La vendita a cura di X. XXX, vol. III.1, Padova, 1995, p. 591 ss.
139 X. XXXXXXXXXXX, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di “cosa futura”, Napoli, 1962, p.
151 ss.
140 X. XXXXXX, La compravendita, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da XXXX e MESSINEO, Milano, 1971, p. 177 ss.
141 X. XXXXXXXX, La compravendita, VI ed., Torino, 2009, p. 47 ss.;
142 Tesi sostenuta da G. B. XXXXX, La vendita in generale, in Trattato di dir. priv. diretto da X. XXXXXXXX, XI, Torino, 1984, p. 198 ss.
perfezione del contratto, in tutti i suoi elementi essenziali, nonostante la futura venuta ad esistenza della res.
La tesi oggi maggiormente accreditata in dottrina ed in giurisprudenza è però certamente quella che qualifica il contratto in esame come vendita obbligatoria, dalla quale, dunque, non potendo promanare l’effetto reale al momento della perfezione del contratto, sorge in capo al venditore proprio la descritta obbligazione di cui all’art. 1476
n. 2 c.c.; obbligazione che, in questo caso, si risolve nel dovere dell’alienante di adoperarsi affinché il bene pattuito venga realmente ad esistenza, con le caratteristiche descritte in contratto.
Ma, a ben guardare, tale vincolo obbligatorio non comporta una scissione logica nella produzione dell’effetto reale; non determina un ritorno alla separazione fra titulus e modus adquirendi, e ciò lo si coglie, se si analizza il perfezionarsi del congegno traslativo al momento della venuta ad esistenza della res. Come emerge dal citato art. 1472, comma 1, c.c., il compratore acquista il diritto nel momento in cui il bene giuridico programmato viene ad esistenza, ma come si realizza tale fattispecie acquisitiva? In un primo momento, con la venuta ad esistenza della res, il venditore acquista a titolo originario, ma, nell’istante logico immediatamente successivo, in forza del contratto di compravendita, il diritto si trasferisce al compratore a titolo derivativo. L’effetto reale, dunque, pur essendo differito cronologicamente al momento della venuta ad esistenza del bene che costituisce oggetto del diritto, rimane giuridicamente imputabile al solo contratto, senza che, nella suddetta sequenza traslativa possa ravvisarsi una deroga al consensualismo. In ultima analisi, è, infatti, sempre all’accordo causale che può farsi risalire l’effetto reale, meramente dilazionato sul piano temporale. Per quanto concerne la vendita di cosa altrui143 occorre, invece, effettuare una distinzione di base, incentrata sullo stato psicologico di buona o mala fede dall’acquirente al momento della conclusione del contratto. Se, infatti, il compratore
143 Per un generale inquadramento dell’istituto si vedano, fra i tanti, X. XXXXXXX FERRARA, Negozi sul patrimonio altrui, Padova, 1936; X. XXXXXXX XXXXXX, Profili giuridici della vendita di cosa altrui, Milano, 1972; X. XXXXXXXX, La compravendita, VI ed., Torino, 2009, p. 47 ss.; F. A. REGOLI, La vendita di cosa altrui, in La vendita a cura di X. XXX, vol. III. 1, Padova, 1995, p. 861 ss.
acquista, facendo incolpevole affidamento, sulla effettiva titolarità del diritto da parte del disponente, è al momento stesso della conclusione del contratto che egli attende di perfezionare il suo acquisto, in forza dell’art. 1376 c.c. Non si avrà, pertanto, vendita obbligatoria, ma immediata violazione della lex contractus, con conseguente legittimazione ad esperire i rimedi propri della garanzia per evizione.
A venire qui in rilievo è, invece, l’ipotesi in cui il compratore sia in mala fede al momento della vendita, ossia consapevole dell’altruità del diritto. È in questo caso, infatti, che trova legittimamente applicazione il disposto di cui all’art. 1478, comma 1, c.c., per cui “se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore”. Nell’ipotesi di mala fede dell’acquirente, dunque, la vendita di cosa altrui si delinea pacificamente come fattispecie negoziale obbligatoria, connotata anch’essa dall’obbligazione di cui all’art. 1476 n. 2 c.c., per il cui adempimento il venditore ha un congruo termine, secondo quanto previsto dall’art. 1183 c.c.
Ora, anche in tale ipotesi, l’acquisto da parte del compratore prescinde da un successivo e distinto atto traslativo e pare rinvenire il proprio fondamento nell’accordo. L’art. 1478, comma 0, x.x., xxxxxxxx, xxxxxxx, che “il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa”144. In altri termini, per effetto dell’acquisto dal reale dominus, si sana il difetto di legittimazione dell’alienante e, nell’istante logico immediatamente successivo (esattamente come accade nella vendita di cosa futura), il diritto si trasferisce al compratore a titolo derivativo, in forza di quanto previsto dal contratto di compravendita. La sopravvenuta legittimazione del disponente elimina, per così dire, l’ostacolo che si frapponeva all’immediata efficacia traslativa del contratto, in ragione dell’operare del principio per cui nemo plus iuris ad aliud transferre potest quam ipse haberet.
144 In verità l’art. 1478, comma 2, c.c. indica solo uno dei possibili modi in cui il venditore può adempiere all’obbligazione di fare acquistare la proprietà al compratore. È anche possibile, infatti, che il venditore procuri l’acquisto al compratore mediante una serie di acquisti a titolo originario. In questo caso vi è comunque la cooperazione del venditore nel procurare il perfezionamento della fattispecie acquisitiva, giacché concorre alla determinazione del titolo astrattamente idoneo.
Per quanto concerne, da ultimo, la vendita di cosa generica145, secondo quanto previsto dall’art. 1378 c.c., “la proprietà si trasmette con l’individuazione fatta d’accordo fra le parti o nei modi da esse stabiliti”. Anche in questa ipotesi la vendita, per la genericità dell’oggetto, è inidonea a determinare un immediato effetto reale, e sorge dal contratto l’obbligo di cui all’art. 1476 n. 2 c.c.; obbligo che viene adempiuto mediante l’individuazione: la specificazione esatta del bene che, all’interno del genus di riferimento, costituisce l’oggetto del diritto alienato.
Il riferimento all’accordo fra le parti, ha indotto taluni ad attribuire all’individuazione natura negoziale ed a concepirla quale atto traslativo successivo e distinto, al quale solo imputare l’effetto reale. Tuttavia, la dottrina maggioritaria ritiene che, pur ammettendosi la natura negoziale dell’individuazione, il trasferimento dipenda comunque dall’accordo raggiunto con la conclusione del contratto, non rilevando l’individuazione quale nuovo e distinto impegno traslativo146.
I congegni traslativi che connotano le differenti tipologie di vendite obbligatorie parrebbero così deporre a favore della loro ricostruzione in termini di perfetta sintonia con il principio del consenso traslativo, essendo l’effetto reale differito cronologicamente ma sempre giuridicamente scaturente dal consenso legittimamente manifestato con la conclusione del contratto.
Di certo tale opinione non è condivisa da coloro che spiegano anche il meccanismo traslativo delle vendite obbligatorie facendo ricorso all’obbligazione di dare in senso tecnico147. Seguendo il ragionamento di tali autori, poiché per dare si intende trasferire la proprietà o altro diritto, l’obbligazione di dare in senso tecnico non si esaurirebbe nel porre in essere una successiva manifestazione di volontà traslativa, ma potrebbe ben imporre al debitore – alienante anche il compimento di sole attività materiali.
145 C. M. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di dir. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p. 97 s.; X. XXXXXXX, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, p. 147 ss.
146 C. M. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di dir. civ. fondato da X. Xxxxxxxx, VII.1, Torino, 1993, p. 97 ss.
147 X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p.
222 ss.; X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 34 ss.
Com’è stato al riguardo rilevato da Xxxxxxxxxxx, “ciò che consente di unificare concettualmente nella categoria dell’obbligazione di dare forme così disparate ed eterogenee di attività, quali sono l’attività materiale dovuta in questi casi (vendite obbligatorie) e l’attività volitiva (obbligo di compiere l’atto traslativo) […]è soltanto un criterio teleologico, dal momento che tutte quelle forme di attività non sono dovute in quanto tali, ma in vista del risultato giuridico che da esse dipende e che deve esser procurato al creditore (trasferimento del diritto)148.
Benché tale tesi abbia avuto l’indubbio vantaggio di porre in evidenza la rilevanza dell’obbligo di dare nel nostro ordinamento, superando quelle impostazioni che tendevano a negarne l’autonomia concettuale, deve, tuttavia, ritenersi preferibile la diversa ricostruzione che non ravvisa nelle vendite c.d. obbligatorie il ritorno alla separazione fra titulus e modus adquirendi, negando così che rappresentino una deroga al principio del consenso traslativo.
Nelle vendite di cose determinate solo nel genere, future o altrui, l’accordo è finalizzato al trasferimento e non già diretto alla costituzione di un’obbligazione a trasferire; l’obbligazione di “far acquistare la proprietà al compratore” sarebbe meramente strumentale ad assicurare la realizzazione di un effetto traslativo, sempre scaturente dal contratto, che non richiede, dunque, per il suo perfezionamento un’ulteriore manifestazione di consenso149.
Si concorda così con la dottrina attualmente maggioritaria che restringe la nozione di obbligazione di dare in senso tecnico alle sole ipotesi in cui l’alienante si vincoli a trasferire mediante un successivo negozio di puro trasferimento, poiché solo in esse si intravede il meccanismo traslativo improntato alla separazione fra contratto obbligatorio e successivo atto di adempimento traslativo. Nelle vendite obbligatorie di diritto interno (ben distinte dalla vendita obbligatoria in senso proprio del diritto
148 X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p. 228, il quale sottolinea, peraltro, come in tale accezione l’obbligazione di dare in senso tecnico fosse intesa anche nella Relazione del Guardasigilli al progetto ministeriale del libro delle obbligazioni, in particolare all’art. 315.
149 X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in
Contratto e impresa, 1998, p. 631 ss.
tedesco) l’obbligazione di cui all’art. 1476 n. 2 c.c. risulta, invece, adempiuta al seguito di verificarsi di eventi non negoziali che rendono possibile il perfezionarsi dell’acquisto a titolo derivativo che trova la propria causa nel contratto. Non vi è, pertanto, alcuna deroga al principio consensualistico: il differimento cronologico dell’effetto reale che pare prima facie un’eccezione al consenso traslativo, ne costituisce invero una piena conferma.
4. Profili di emersione dell’obbligazione di dare in senso tecnico. Atti di adempimento traslativi di matrice codicistica.
Per verificare la tenuta del principio del consenso traslativo e scandagliare i possibili profili di emersione del diverso modello della separazione, accolto dai Paesi di area germanica, occorre soffermare la nostra indagine sul concetto di obbligazione di dare in senso tecnico così come ora restrittivamente delineata, limitata cioè a quelle sole fattispecie in cui il trasferimento si presenti logicamente e giuridicamente intermediato dal compimento di un negozio attuativo dell’obbligo traslativo contrattualmente assunto.
È proprio tale obbligazione a porre, infatti, i più evidenti problemi di compatibilità all’interno di un sistema improntato al trasferimento per solo effetto dell’accordo causale. Tant’è che è proprio in tale accezione che la dottrina, da più parti, ne aveva sempre negato la configurabilità nel nostro ordinamento.
Ebbene, nonostante le tradizionali ragioni giuridiche ritenute ostative alla prospettazione della figura del c.d. pagamento traslativo nel nostro ordinamento (contestazioni strutturali e causali che vedremo nel dettaglio nel successivo capitolo), risulta doveroso precisare come non poche siano le previsioni codicistiche nelle quali il trasferimento pare realizzarsi per effetto della separazione fra contratto ad effetti meramente obbligatori (titulus) e successivo atto traslativo solvendi causa (modus). È, in altri termini, lo stesso impianto codicistico a denunciare, accanto al modello traslativo di cui all’art. 1376 c.c., l’esistenza di fattispecie in cui il trasferimento risulta intermediato dall’obbligazione di dare in senso tecnico.
A venire in rilievo è senz’altro, in primo luogo, la dibattuta figura del mandato senza rappresentanza ad acquistare beni immobili o mobili registrati150. L’art. 1706, comma 2, c.c. dispone, infatti, che “se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a ritrasferirle al mandante. In caso d’inadempimento si osservano le norme relative all’esecuzione dell’obbligo di contrarre”. Trattandosi di un mandato senza rappresentanza, il mandatario agisce per conto del mandante ma in nome proprio, con la conseguenza che gli effetti del negozio concluso dal mandatario ricadranno nella sua stessa sfera giuridica, pur essendo obbligato, in forza del mandato, a ritrasferirli al mandante. Peraltro, in forza dell’art. 1707 c.c., che regola i conflitti fra mandante e creditori del mandatario, “i creditori del mandatario non possono far valere le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistati in nome proprio, purché […] trattandosi di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, sia anteriore al pignoramento la trascrizione dell’atto di trasferimento o della domanda giudiziale diretta a conseguirlo”. È in particolare da tale ultima disposizione che si desume come il mandatario adempia all’obbligo di dare di cui all’art. 1706, comma 2,
c.c. mediante un atto di trasferimento, posto in essere in attuazione del mandato e da sé sufficiente a realizzare l’effetto reale. Tanto ciò è vero che è proprio tale atto ad essere soggetto a trascrizione e non già il contratto di mandato a monte, a riprova del fatto che l’effetto reale (la vicenda traslativa) è imputabile al solo atto di esecuzione posto in essere dal mandatario, mentre il mandato rimane contratto meramente obbligatorio. Questi indici parrebbero chiaramente deporre per la qualificazione dell’obbligazione di
150 In merito alla figura del mandato senza rappresentanza ad acquistare beni immobili e beni mobili iscritti in pubblici registri si vedano X. XX XXXX, Il mandato, I, in Il codice civile. Commentario Xxxxxxxxxxx – Xxxxxxxx, Milano, 2012; X. XXXXXXX, I contratti speciali. Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di dir. priv. a cura di X. XXXXXXX, vol. XIV, Torino, 2007; X. XXXXXXXX, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato dir. civ. e comm. a cura di CICU e MESSINEO, Milano, 1984; X. XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di dir. civ. it. diretto da XXXXXXXX, Torino, 1957. Per quanto concerne, in particolare, la problematica del rapporto con il principio consensualistico si vedano poi X. XXXXXXXXX, Considerazioni di ordine generale sull’obbligazione di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 636 ss.; X. XXXXXXXXX, Il pagamento traslativo, in Contratto e impresa, 1988, p. 735 ss.; X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 265 ss.; X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p. 219 ss.
cui all’art. 1706, comma 2, c.c. in termini di dare in senso tecnico. Del resto, come emerge dal tenore letterale della norma, se l’obbligazione resta inadempiuta, il mandante è legittimato ad agire per ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, con l’emanazione di una sentenza costitutiva che tenga luogo dell’atto non concluso151. Non trova, pertanto, applicazione il rimedio coattivo di cui all’art. 2930 c.c., che deporrebbe, invece, per la natura meramente ricognitiva dell’atto del mandatario, volto al conferimento della sola situazione possessoria, essendosi il trasferimento già prodotto in forza del mandato.
Benché, dunque, sia il rimedio accordato dall’art. 1706, comma 2, c.c. per il caso di inadempimento del mandatario, sia il richiamo da parte dell’art. 1707 c.c. alla trascrizione dell’atto di trasferimento in favore del mandante, paiano confermare la presenza di un assetto traslativo, imperniato sulla separazione fra titulus e modus adquirendi, la dottrina ha talvolta (soprattutto nei primi anni di applicazione del nuovo codice) dubitato che l’acquisto del mandante avvenga in forza di un atto di puro trasferimento concluso dal mandatario. Sono state così prospettate diverse ricostruzioni del congegno effettuale traslativo desumibile dalla previsione letterale di cui all’art. 1706, comma 2, c.c., volte a negare ogni possibile profilo di emersione dell’obbligo di dare nel nostro ordinamento, nella ricerca di un ideale di coerenza al consensualismo all’interno del sistema.
In tale ottica, taluni hanno ritenuto che l’atto di cui all’art. 1706, comma 2, c.c. rivestirebbe mero carattere ricognitivo di un trasferimento prodottosi in forza del mandato, necessario al solo fine di assicurare la continuità delle trascrizioni, ai sensi dell’art. 2650 c.c. Il trasferimento non sarebbe perciò intermediato dall’acquisto del mandatario, obbligato a ritrasferire al mandante, ma si produrrebbe direttamente in favore del mandante sulla base del contratto concluso dal mandatario con il terzo.
151 X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p. 219, il quale precisa come ulteriore conferma del chiaro sorgere di un’obbligazione di dare in senso tecnico si abbia proprio soffermando l’attenzione sul rimedio previsto in caso di inadempimento. Il mandante non deve, infatti, ricorrere all’esecuzione forzata per la consegna o il rilascio (che gli darebbe il possesso o la detenzione della res, ma all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre di cui all’art. 2932 c.c.
Secondo tali autori, infatti, il contratto concluso dal mandatario sarebbe da sé solo sufficiente a realizzare il trasferimento della proprietà c.d. sostanziale recta via dalla sfera giuridica del terzo a quella mandante, mentre l’atto del mandatario risulterebbe necessario per conferire al mandante la proprietà formale, o meglio la mera legittimazione a disporre152. Così, l’atto del mandatario, impropriamente qualificato come di ritrasferimento, altro non sarebbe se non quel titolo idoneo alla trascrizione, richiesto dall’art. 2657 c.c.
Altra parte della dottrina, partendo sempre dall’assunto di fondo per cui il diritto si trasferirebbe direttamente ed immediatamente dal terzo al mandante in ragione del solo contratto concluso dal mandatario, ha invece prospettato la tesi del c.d. doppio acquisto automatico153. Nel mandato ad acquistare beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri si avrebbero in verità due acquisti logicamente successivi (dal terzo al mandatario ed un secondo, dal mandatario al mandante), ma cronologicamente contestuali. In altri termini, il congegno traslativo non sarebbe dissimile da quello proprio delle vendite c.d. obbligatorie: il mandatario sarebbe, infatti, obbligato a fare acquistare la proprietà al mandante, concludendo il negozio gestorio, di modo che, una volta concluso, il diritto verrebbe, sì, in prima istanza acquisito dal mandatario, ma, nell’istante logico immediatamente successivo, in forza del mandato, si trasferirebbe direttamente nella sfera giuridica del mandante.
152 Tale impostazione dottrinaria, che prospetta una distinzione fra titolarità del diritto (che si trasferirebbe direttamente dal terzo al mandante) e legittimazione a disporne, è stata in dottrina seguita ed ampiamente argomentata da X. XXXX, Causa e rappresentanza indiretta nell’acquisto, in Banca, borsa, titoli di credito, 1952, I, p. 249 ss.; X. XXXXXXXXX, La rappresentanza indiretta e la morte del rappresentante, ora compreso in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, p. 419 ss. Sul tema si vedano anche X. XXXXXXXX, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007,
p. 21 ss.; X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico,
in Contratto e impresa, 1998, p. 639.
153 X. XXXXXXXXX, Del mandato – Disposizioni generali, in Commentario al cod. civ. a cura di SCIALOJA – BRANCA, artt. 1703 – 1709, Bologna – Roma, 1985, p. 376 ss.; MENGONI – REALMONTE, voce Disposizione (atti di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 189 ss.; X. XXXXXXXXX, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1974, p. 143 ss.
Entrambe le tesi ora delineate prestano però il fianco a molteplici critiche e risultano oggi superate dall’opinione maggioritaria, che vede nella previsione di cui all’art. 1706, comma 2, c.c. una chiara riemersione dell’obbligo di dare154. In primo luogo, infatti, non paiono aver colto nel segno nel momento in cui non tengono in debita considerazione la distinzione fra mandato con e senza rappresentanza155. Se nel mandato senza rappresentanza, in cui non vi è la contemplatio dominii, si ammettesse che l’attività negoziale posta in essere dal mandatario in suo nome, pur nell’interesse del mandante, produca i suoi effetti direttamente nella sfera giuridica del dominus, verrebbe del tutto a svanire il discrimine con la figura del mandato con rappresentanza, il cui dato caratterizzante è proprio rappresentato dall’immediata imputazione degli effetti nella sfera giuridica del mandante, in forza della spendita del nome operata dal mandatario al momento della conclusione del contratto con il terzo.
Ancor più pregnante pare poi l’obiezione che correttamente rileva come entrambe le tesi sopraesposte, che negano l’efficacia traslativa dell’atto di trasferimento in favore del mandante, si scontrino inevitabilmente con il disposto dell’art. 1707 c.c. Come può, infatti, ammettersi la trascrizione di un atto che non realizzi una vicenda traslativa immobiliare?
È vero che il codice contempla la trascrizione di contratti obbligatori (locazione immobiliare ultranovennale, contratto preliminare), ma è altresì vero che, in assenza di una previsione espressa, trova applicazione l’art. 2645 c.c. che consente di estendere il novero degli atti soggetti a trascrizione solo allorché questi siano comunque idonei a produrre taluno degli effetti dei contratti di cui all’art. 2643 c.c.156 Allo stesso modo,
154A. LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, p. 21 ss.; ID, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da XXXX, MESSINEO e MENGONI, Milano, 1984, p. 229 ss.; X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 636 ss.; X. XXXXXXX, Gli acquisti a non domino, III ed., Milano, 1975, p. 201 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Mandato (dir. civ.), in Enc. giuridica Treccani, XIX, Roma, 1990, p. 4 ss.
155 X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in
Contratto e impresa, 1998, p. 640.
156 Collocandosi dall’angolo visuale della natura dell’atto, la dottrina si era a lungo affaticata nell’individuare classificazioni coerenti degli atti soggetti a trascrizione in relazione
non può ritenersi che il problema si risolva ammettendo la trascrizione del contratto di mandato, perché, se quest’ultimo fosse idoneo alla produzione degli effetti reali, il legislatore ne avrebbe espressamente sancito la trascrizione con efficacia dichiarativa.
Pertanto, deve certamente convenirsi con la dottrina più moderna che, anche in ossequio ad una ricostruzione ermeneutica fedele alla lettera della norma, ritiene che dal mandato senza rappresentanza ad acquistare beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri sorga un vero e proprio obbligo di dare in senso tecnico157, da eseguirsi mediante un atto di adempimento traslativo.
Analoghi rilievi critici si prospettano con riguardo alla figura del mandato senza rappresentanza ad alienare beni immobili o mobili registrati. Anche rispetto a tale figura la dottrina, infatti, ha avanzato diverse ricostruzioni del meccanismo effettuale e taluni autori ne hanno messa in discussione la stessa configurabilità nel nostro ordinamento. Le incertezze derivano, in particolare, dalle asserite lacune nella continuità delle trascrizioni che una simile fattispecie negoziale verrebbe a determinare. Difatti, l’acquirente non potrebbe trascrivere il suo acquisto né contro il mandatario, giacché questi non è il titolare del diritto alienato, né contro il mandante, che non è parte del contratto concluso con il terzo158.
alla loro struttura ed alle loro peculiari caratteristiche. Oramai però la dottrina maggioritaria ha abbandonato tale impostazione ed è concorde nel ritenere che oggetto della trascrizione sia non già l’atto, quanto piuttosto gli effetti che dallo stesso scaturiscono. Conferma di ciò è desumibile, per l’appunto, dal tenore letterale dell’art. 2645 c.c., nella parte in cui dispone che “del pari deve rendersi pubblico, agli effetti dell’articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce […] taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643 c.c. […]”. Una volta accolta tale impostazione, incentrata sul profilo effettuale e non più strutturale dell’atto, è evidente il minimo comune denominatore degli atti soggetti a trascrizione: l’analogia di effetti dagli stessi prodotti, ossia la costituzione, modificazione o estinzione di diritti reali su beni immobili. A tal riguardo si vedano, in particolare, X. XXXXXXX, La trascrizione immobiliare, I, II ed., in Il codice civile. Commentario diretto da X. XXXXXXXXXXX, 1998, p. 71 ss.; X. XXXXX, La trascrizione immobiliare - Libro sesto, Tutela dei diritti, Artt. 2643 – 2696, in Commentario al cod. civ. a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna – Roma, 1977, p. 27 ss.
157 Peraltro, è particolarmente discusso se nel mandato senza rappresentanza ad acquistare beni immobili la fonte dell’obbligazione di dare sia il mandato o la legge.
158 Si veda, al riguardo, X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 641 ss., il quale richiama in particolar modo le
Tuttavia, i problemi di coerenza con il sistema della pubblicità dichiarativa dei trasferimenti immobiliari si superano agevolmente se si accede alla ricostruzione che oggi ha maggior credito in dottrina; quella che ravvisa, anche nel mandato ad alienare beni immobili o mobili registrati, un atto preliminare di trasferimento posto in essere dal mandante in favore del mandatario. A tale stregua, infatti, la trascrizione dell’atto di trasferimento a carico del mandante ed in favore del mandatario evita il difetto nella serie continua delle trascrizioni, in sintonia con il disposto di cui all’art. 2650 c.c. Ci troviamo così in presenza, anche in tale ipotesi, di un’obbligazione di dare in senso tecnico scaturente dal mandato, secondo quanto previsto dall’art. 1719 c.c., che sostanzialmente impone al mandante di assicurare gli adempimenti che risultino necessari per consentire al mandatario l’esecuzione dell’incarico159.
Ma le ipotesi di emersione dell’atto di adempimento traslativo, in deroga alla diretta imputazione del trasferimento al contratto causale, non si esauriscono alla sola area del mandato ad acquistare o alienare beni immobili o mobili registrati.
Considerazioni analoghe solleva, infatti, la figura del legato di cosa altrui, disciplinata dall’art. 651 c.c.160 Con riferimento all’ipotesi di cosa appartenente ad un
obiezioni a tale figura per contrasto con l’art. 2650 c.c. avanzate di X. XXXXXXX, Gli acquisti a non domino, III ed., Milano, 1975, p. 6 ss.
159 Non pare infatti prospettabile la diversa ricostruzione che, partendo dall’analogo presupposto del doppio trasferimento, ritiene tuttavia che il primo (quello dal mandante in favore del mandatario) sia effetto immediato dello stesso contratto di mandato. Tale assunto si scontra, infatti, non solo con la natura meramente obbligatoria del mandato (che se così non fosse, sarebbe contemplato dal legislatore fra gli atti soggetti a trascrizione), ma ancor di più con i principi generali, allorché se ne rivenga il fondamento in un’asserita “autorizzazione a disporre” insita nella stipula del contratto di mandato; istituto disciplinato dal par. 185 BGB, ma del tutto sconosciuto al nostro ordinamento. In tal senso si veda X. XXXXXXXX, Della trascrizione, II ed., Torino, 1915, p. 255.
160 La questione è affrontata, in particolare, da X. XXXXXXXX, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, p. 24 ss.; P. M. XXXXXX, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicative, Torino, 1999, p. 38 ss., in particolare, p. 49; X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 648 ss.; X. XXXXXXXXXXX, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p. 222; X. XXXXXXXX, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 36 ss.; ID.,
terzo, la disposizione citata, dopo aver precisato che il legato è nullo, salvo che il testatore fosse consapevole dell’altruità della res e ciò si evinca dal testamento o da altra dichiarazione scritta, sancisce per l’appunto che, nel caso di validità del legato, “l’onerato è obbligato ad acquistare la proprietà della cosa dal terzo e a trasferirla al legatario, ma è in sua facoltà di pagarne al legatario il giusto prezzo”.
Malgrado anche in tale ipotesi il disposto della norma lasci scarso adito a dubbi, non sono mancate opinioni dottrinali contrarie alla ricostruzione del trasferimento in favore del legatario secondo un meccanismo bifasico, che imputi l’effetto reale ad un atto di adempimento dell’obbligazione di dare in senso tecnico. Xxxxxx hanno così spiegato la fattispecie in esame estendendo sostanzialmente ad essa le previsioni dettate dall’art. 1478 c.c. per la vendita di cosa altrui161. Se il bene oggetto della disposizione testamentaria non è di proprietà del de cuius, il legato è meramente obbligatorio e, in particolare, da esso sorge l’obbligazione per l’onerato (erede o legatario) di acquistare la res dal terzo titolare. Tuttavia nel momento stesso in cui l’onerato acquista dal terzo, il diritto si trasferisce immediatamente ed automaticamente all’onorato, senza necessità di un successivo e distinto atto di ritrasferimento. Allo stesso modo, nel caso in cui la res legata sia di proprietà dell’onerato, il diritto si trasferirebbe automaticamente al legatario al momento stesso dell’accettazione dell’eredità, ovvero con l’apertura della successione quando ad essere onerato sia a sua volta un legatario.
Tale ricostruzione è stata però esposta a molteplici contestazioni, prima fra tutte quella attenta ad un preciso raffronto fra il disposto dell’art. 1478 c.c. e quanto sancito dall’art. 651 c.c.162. Se fosse vero che il congegno traslativo del legato di cosa altrui non
Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, nota a Xxxx. 21 dicembre 1987, n. 9500, in Riv. dir. civ., 1989, p. 239 ss.; X. XXXXXXX, Gli acquisti a «a non domino», Milano, 1994, p. 200 ss.
161 X. XXXXXXXXX, Considerazioni sul potere di disposizione, in Rivista dir. comm., I, 1940, p.530 ss.;
X. XXXXXX, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957, p. 157 ss.
162 Per le critiche alla tesi che riduce il congegno effettuale di cui all’art. 651 c.c. a quello previsto per la vendita di cosa altrui si vedano in particolare X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 649 s.; X. XXXXXXX, Gli acquisti a non domino, III ed., Milano, 1994, p. 200 ss.
è dissimile da quello proprio della vendita obbligatoria non si spiegherebbe il diverso tenore letterale fra le due norme. L’art. 651 c.c. dispone, infatti, che “l’onerato è obbligato ad acquistare la proprietà della cosa dal terzo ed a trasferirla al proprietario”. Perché mai il Legislatore dovrebbe precisare che l’onerato, una volta acquistato dal terzo, è obbligato a ritrasferire al legatario, se l’acquisto in favore di quest’ultimo fosse effettivamente automatica conseguenza dell’intervenuto acquisto dal terzo? Si tratterebbe di una precisazione del tutto inutile ed in contrasto con l’effettivo funzionamento del congegno traslativo. E, infatti, a riprova della contraddittorietà di un tale assunto, ove l’effetto reale sia effettivamente soltanto differito sul piano cronologico al sopravvenire della legittimazione a disporre dell’alienante, la norma recita espressamente che “il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa”.
Già sulla base di questo primo rilievo critico pare evidente come possa affermarsi che tale acquisto a titolo particolare mortis causa passi per il tramite dell’adempimento di un’obbligazione di dare in senso tecnico. Ma, se non fosse sufficiente, un’ulteriore argomentazione a favore dell’imputazione dell’effetto reale ad un atto traslativo solvendi causa pare desumersi dall’art. 649, comma 2, c.c., che in buona sostanza delimita l’esatto ambito di efficacia reale del legato. La norma citata dispone, infatti, che “quando oggetto del legato è la proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al testatore, la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario al momento della morte del testatore”. È così tale disposizione a fissare i presupposti affinché il legato abbia efficacia reale; presupposti in mancanza dei quali, con argomentazione a contrario, il legato non può che avere efficacia meramente obbligatoria. Se si ammettesse un effetto reale quale diretta ed immediata conseguenza dell’acquisto da parte dell’onerato, palese sarebbe il contrasto non solo con il tenore letterale dell’art. 651 c.c., ma altresì con l’art. 649, comma 2, c.c., che sancisce l’efficacia obbligatoria della disposizione testamentaria quando oggetto del legato sia una cosa non appartenente al testatore.
Peraltro, com’è stato rilevato dalla dottrina più accorta163, affermare che, alla stessa stregua della vendita di cosa altrui, nell’istante in cui l’onerato acquista dal terzo, in adempimento dell’obbligazione scaturente dal legato, il diritto si trasferisca immediatamente al legatario, significa giungere a conclusioni inaccettabili sul piano logico – giuridico. Difatti, per effetto di una simile ricostruzione, il legatario risulterebbe aver acquistato mortis causa dal testatore un diritto del quale questi non è mai stato titolare.
Pertanto, pare potersi affermare che anche nella fattispecie di cui all’art. 651 c.c. sorga a carico dell’onerato un obbligo di dare, che deve essere adempiuto mediante un vero e proprio atto di puro trasferimento in favore del legatario.
Altra figura negoziale degna di particolare nota in una disamina incentrata sul possibile delinearsi di trame effettuali alternative rispetto al meccanismo del consenso traslativo, è quella del c.d. contratto preliminare ad effetti anticipati164. Numerosi dubbi ed incertezze sono stati, infatti, sollevati in merito all’effettivo profilarsi di un’obbligazione di dare in senso tecnico in tale peculiare fattispecie traslativa.
Se nella normale sequenza preliminare – definitivo non può ravvisarsi una deroga alla piena operatività del principio consensualistico, perché, come si è visto, è con esso compatibile un differimento temporale dell’effetto reale, nel preliminare ad esecuzione anticipata, invece, il trasferimento pare conseguenza di un atto meramente esecutivo del precedente obbligo di dare. Come sappiamo, con il preliminare le parti si obbligano a concludere un successivo contratto, detto definitivo, del quale predeterminano tutti
163 X. XXXXXXX, Gli acquisti a non domino, III ed., Milano, 1975, p. 200 s., richiamato da X. XXXXXXXXX, Il pagamento traslativo, in Contratto e impresa, 1988, p. 747 e da X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 650, nota (57).
164 Per l’esame della controversa fattispecie si vedano, in particolare, X. XXXXXX, Il preliminare di vendita ad effetti anticipati, in Banca, borsa e titoli di credito, II, 1972, p. 439 ss.; R. DE MATTEIS, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati – Promesse di vendita, preliminari per persona da nominare e in favore di terzo, Padova, 1991; X. XXXX (a cura di), Il contratto. Trattato teorico – pratico, Milano, 2012, p. 1312 ss.; G. B. PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Riv. soc., 1970, p. 941, nota (63); X. XXXXXXXXX, Il preliminare ad effetti anticipati e la tutela del promissario acquirente, in Studium iuris, 1995, p. 176 ss.
gli elementi essenziali, accordandosi per differire ad una seconda manifestazione di volontà la realizzazione degli effetti concordati. È evidente che in tale scissione temporale non vi è deroga al principio consensualistico, perché è pur sempre all’accordo causale espresso con il definitivo che si imputa l’effetto reale. Ma se le parti si accordano per attuare subito il regolamento di interessi programmato, rinviando il solo effetto reale alla successiva stipula di un atto traslativo, ben pare delinearsi l’obbligazione di dare in senso tecnico che sottende la scissione fra titulus e modus adquirendi165.
Le posizioni sostenute al riguardo da dottrina e giurisprudenza166, tuttavia, non sempre convergono su tale ultimo rilievo. Taluni riducono anche il fenomeno del contratto preliminare ad effetti anticipati alla normale sequenza fra preliminare e definitivo; individuando l’unico tratto differenziale rispetto alla figura del preliminare
c.d. puro nella sola modalità cronologica di esecuzione delle prestazioni finali di pagamento del prezzo e di consegna167. Altri autori168, invece, hanno qualificato il contratto in esame come se fosse già un definitivo, con la conseguenza che la successiva stipulazione redatta per atto pubblico è stata considerata mero negozio ricognitivo, di riproduzione dell’accordo nella forma necessaria ai fini della pubblicità dichiarativa.
La dottrina maggioritaria, però, sostiene che nella contrattazione preliminare ad effetti anticipati sia individuabile non già l’obbligazione di concludere un successivo contratto (peculiare species di obbligo di facere), quanto piuttosto l’obbligazione di dare nella sua accezione più restrittiva, di vincolare il debitore a porre in essere un atto di adempimento traslativo. Il trasferimento risulta così articolato in un procedimento
000 X. XX XXXXXXX, Xx contrattazione preliminare ad effetti anticipati – Promesse di vendita, preliminari per persona da nominare e in favore di terzo, Padova, 1991, p. 2 s.
166 Per un esame degli orientamenti giurisprudenziali in merito alla natura del preliminare ad effetti anticipati si vedano X. XXXXXXXX, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, p. 26 ss.; X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 682 ss.
167 Aderisce a tale impostazione C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2015, p.
181 ss.; X. XXXXXX, La compravendita, 1962, p. 32.
168 Si tratta in particolare della tesi avanzata da X. XXXXXXXXX, Contratto preliminare e sentenza costitutiva, Napoli, 1953, p. 49 ss.
complesso, scandito da un primo contratto meramente obbligatorio (costitutivo in particolare dell’obbligazione di dare in senso tecnico) ed un secondo negozio traslativo solvendi causa. Del resto, conferma di un tale assunto di fondo si ha allorché si badi a quanto statuito dall’art. 2645 bis, c.c., in merito alla trascrizione del contratto preliminare. In particolare, al secondo comma, si legge che “la trascrizione del definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1 […] prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del preliminare”. Ora riguardando la norma alla luce della prospettata ricostruzione teorica, è chiaro che l’atto che costituisca comunque esecuzione del preliminare, al quale la norma fa riferimento, nient’altro possa essere se non proprio quell’atto di puro trasferimento che chiude il peculiare congegno traslativo tipico della contrattazione preliminare ad effetti anticipati.
Ad essere particolarmente dibattuta è così ora l’esatta qualificazione della natura giuridica degli atti che compongono la sequenza traslativa, questione sulla quale però non occorre soffermarci ora, giacché costituirà oggetto specifico del successivo capitolo, dedicato alla struttura ed al problema causale della controversa figura del pagamento traslativo.
Le riflessioni finora svolte potrebbero in verità estendersi ad ulteriori fattispecie codicistiche169, in relazione alle quali si ripropongono i medesimi indici sintomatici che
169 Gli esempi di obbligazioni di dare in senso tecnico potrebbero moltiplicarsi. Rientrano nelle ipotesi controverse le prestazioni traslative poste in essere in esecuzione degli obblighi di risarcimento del danno in forma specifica, di cui all’art. 2058 c.c.; gli accordi traslativi fra coniugi in sede di crisi familiare (in merito, si veda, in particolare, X. XXXXXX, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999; X. XXXXXXX, Babbo natale e l’obbligo di dare, commento a Xxxx. 9 ottobre 1991, n. 10612, in Giust. Civ., 1991; X. XXXXXXXX, Art. 1333 c.c. e trasferimenti immobiliari solutionis causa, in Giust. Civ., 1988); l’adempimento dell’obbligazione naturale quando abbia ad oggetto una prestazione di dare; l’obbligazione restitutoria in natura, prevista dall’art. 2041, comma 2, c.c. per l’arricchimento senza causa; il negozio fiduciario, che può imporre l’obbligo di ritrasferire al fiduciante o al terzo. Al riguardo, si vedano, in particolare X. XXXXXXXXXX, Le prestazioni isolate nel dibattito attuale. Dal pagamento traslativo all’atto di destinazione, in Riv. dir. civ., I, 2007, p. 823 ss.; A. CHIANALE, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 36 ss. e, soprattutto, p. 265 ss.; X. XXXXXXXX, Appunti sui negozi traslativi atipici, Torino, 2007, p. 21 ss.; X. XXXXXXXXX, Il pagamento traslativo, in Contratto e impresa, 1988, p. 735 ss.
ci hanno condotto a ravvisare nelle ipotesi appena delineate i tratti caratteristici della riemersione dell’obbligo di dare. Tuttavia una tale disamina, pur pertinente, ci condurrebbe ad allontanarci dal fulcro della presente indagine, che, una volta riscontrata, nelle trame del codice, l’esistenza di trasferimenti improntati al diverso principio della separazione, deve ora procedere ad individuare entro quali limiti i privati, nell’esercizio della loro autonomia privata, possano obbligarsi a dare, in deroga al disposto dell’art. 1376 c.c. La breve digressione in merito ad alcune ipotesi di obbligazione di dare nel codice civile consente, in altri termini, di ammettere che quando la legge prevede un obbligo di trasferire, l’effetto reale possa essere imputato al successivo atto di adempimento dell’obbligo stesso e consente ora di aprire la via ad una più approfondita disamina incentrata sulle obiezioni strutturali e causali alla generale configurabilità del pagamento traslativo, come strumento atipico rimesso alla libera volontà delle parti per la regolamentazione dei loro assetti di interessi.
Capitolo III
Atto traslativo e autonomia privata
Premessa. Critiche tradizionali alla figura del c.d. pagamento traslativo.
Il riscontro di ipotesi legislative nelle quali sia possibile intravedere l’obbligazione di dare nella sua accezione tecnico – giuridica non costituisce di per sé prova dell’ammissibilità in via generale della figura del cosiddetto pagamento traslativo. Certo l’individuazione di non poche fattispecie in cui il trasferimento del diritto viene di fatto a realizzarsi per effetto della separazione fra contratto obbligatorio e successivo atto di adempimento traslativo rappresenta un indice sintomatico a favore di una soluzione positiva, ma non consente certo di stabilire entro quali limiti l’istituto possa realmente delinearsi. Così, una volta appurato che il legislatore, con l’affermazione del principio consensualistico, non ha negato a monte la sopravvivenza dell’obbligazione di dare, lo scopo dell’indagine diviene quello di comprendere se i privati, al di là delle menzionate ipotesi codicistiche, possano programmare un trasferimento che si realizzi per effetto di un atto traslativo solvendi causa e, se del caso, come debba ricostruirsi una simile figura nel nostro ordinamento.
Tradizionalmente furono sollevate molteplici obiezioni dottrinali alla figura del
c.d. pagamento traslativo, che ad un primo inquadramento sistematico presenta evidenti criticità sia di ordine strutturale che causale.
In primo luogo, le argomentazioni contrarie si appuntavano sul combinato disposto degli artt. 42, comma 2, Cost. e 922 c.c.170 La norma costituzionale sancisce, infatti, che la legge riconosce e garantisce la proprietà privata e “ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. In ossequio a tale disposizione è poi l’art. 922 c.c. a fissare i modi di
170 In merito si veda X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, 651 ss.; X. XXXXX, Nozione e tipi di prestazione, parte III, in Trattato delle obbligazioni a cura di X. XXXXXXXX, I, la struttura e l’adempimento, tomo II, Xxxxxxxx e contenuto del rapporto obbligatorio, 2014, p. 323 ss.
acquisto della proprietà, precisando, dopo l’elencazione delle fattispecie acquisitive a titolo originario, che la proprietà si acquista “per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge”.
Proprio la previsione normativa da ultimo citata condurrebbe ad escludere la configurabilità del c.d. pagamento traslativo per un duplice ordine di ragioni. Innanzitutto, il riferimento espresso al contratto, operato dall’art. 922 c.c., unitamente a quanto sancito dall’art. 1376 c.c., precluderebbe in buona sostanza che gli acquisti a titolo derivativo inter vivos si realizzino per il tramite di atti aventi natura non negoziale. E, inoltre, anche a voler ricorrere alla clausola di chiusura prevista dalla norma (clausola che consente di considerare l’elencazione come meramente esemplificativa), questa limiterebbe comunque l’apertura agli altri modi di acquisto previsti dalla legge, negando che diverse ed ulteriori fattispecie acquisitive possano essere rimesse alla volontà dei privati. L’atto traslativo di adempimento dell’obbligazione di dare non sarebbe così idoneo ad assicurare l’acquisto del diritto, perché i privati sarebbero vincolati a ricorrere ad uno dei modi espressamente indicati dal legislatore, che àncora sempre all’accordo causale il perfezionamento della fattispecie traslativa.
A questo punto, pare evidente che la prima contestazione all’ammissibilità del pagamento traslativo derivi da un assunto di fondo in assenza del quale non sarebbe apprezzabile il delineato contrasto con il disposto dell’art. 922 c.c. Difatti, per poter affermare che l’istituto in esame strida con la previsione normativa che limita i modi di acquisto del diritto alle sole fattispecie negoziali, è evidentemente necessario partire dal presupposto di fondo per cui l’atto di adempimento dell’obbligazione di dare in senso tecnico non sarebbe un negozio giuridico, ma un mero atto giuridico in senso stretto o, addirittura, un semplice fatto giuridico.
Si è così sostenuto che, siccome l’adempimento di un’obbligazione ha natura giuridica di atto dovuto, l’atto traslativo solvendi causa non potrebbe produrre il
trasferimento del diritto in quanto mero atto esecutivo171, non assistito dalla volontà degli effetti che da esso discendono.
In verità, tale critica consegue all’assunto tutt’altro che provato della natura necessariamente dovuta e meramente esecutiva dell’atto di adempimento, avente esclusivamente funzione solutoria della preesistente obbligazione172. La sua qualificazione in termini di mero atto giuridico in senso stretto si desume, in particolar modo, dall’art. 1191 c.c., ai sensi del quale “il debitore che ha eseguito la prestazione dovuta non può impugnare il pagamento a causa della propria incapacità”. Ciò significa che per la validità dell’adempimento non è richiesta la capacità di agire, ossia l’idoneità a porre in essere atti negoziali, destinati ad incidere sulla sfera giuridica del soggetto agente. A contrario se ne desume pertanto che, se il pagamento può essere effettuato anche da un soggetto incapace, gli effetti dello stesso non possano in alcun modo essere ricollegati alla volontà del solvens. Per la validità dell’atto non è, in altri termini, necessario il c.d. animus solvendi, essendo sufficiente la mera corrispondenza fra il comportamento tenuto dal debitore e la prestazione dovuta.
Non tutta la dottrina è, peraltro, unanime nell’escludere la possibile natura negoziale dell’adempimento. Anzi maggioritaria è oggi l’opinione che tende a ritenere che non vi sia incompatibilità logica fra atto dovuto e negozio giuridico173. La qualifica di atto dovuto discende, infatti, dalla funzione solutoria della preesistente obbligazione, ma ciò non vincola la struttura dell’adempimento medesimo, che può ciononostante avere natura negoziale. Nulla vieta, in sostanza, che un’obbligazione legale o convenzionale venga adempiuta per mezzo di un atto di autonomia privata. Tanto ciò è vero che è l’ordinamento stesso ad offrirci esempi di atti di adempimento
171 Contrario alla natura negoziale del c.d. pagamento traslativo è, in particolare, A. DI MAJO, Causa e imputazione negli atti solutori, in Rivista dir. civ., I, 1994, p. 781 ss.
172 Sostenitori della natura dell’adempimento come atto giuridico in senso stretto sarebbero fra gli altri X. XXXXXX, voce Adempimento, in Enciclopedia del diritto, I, Milano, 1956, p. 556 ss., richiamato anche da X. XXXXXXXXX, Il pagamento traslativo, in Contratto e impresa, 1988, p. 754; X. XXXXXXXX, Incapacità naturale e adempimento, Napoli, 1950, p. 79 ss.
173 X. XX XXXXXXX, voce Obbligo a contrarre, in Nss. Xxxxxxx, XI, 1987, p. 693 ss.; X. XXXXXX,
L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, Il comportamento del debitore, Milano, 1984, p. 29 ss.
aventi natura negoziale. Così, a titolo esemplificativo, ne sarebbero prova il contratto definitivo e la datio in solutum traslativa, di cui all’art. 1197, comma 2, c.c., per la quale è necessario che intervenga l’accordo tra debitore e creditore174.
In verità, però, per quanto concerne la prima delle suddette ipotesi, non tutta la dottrina è unanime nell’attribuire natura negoziale al definitivo: la qualificazione della sua natura giuridica dipende dalla diversa ricostruzione dei rapporti con il preliminare e da quella che viene individuata come fonte del rapporto contrattuale finale. Taluni svalutano, infatti, la portata del definitivo e riconoscono nel preliminare la fonte esclusiva del rapporto contrattuale. In questi termini, il definitivo sarebbe ridotto a mero atto esecutivo di un assetto di interessi che trova la propria ragion d’essere nel
174 Ulteriore esempio della possibile natura negoziale dell’atto di adempimento è dato dall’art. 2034 c.c., che disciplina l’esecuzione delle obbligazioni naturali. Difatti, quando viene spontaneamente data esecuzione ad un dovere morale o sociale, l’atto di adempimento non è giuridicamente dovuto (non è coercibile qualora non spontaneamente adempiuto: difetta l’elemento della responsabilità patrimoniale – il c.d. Haftung), ma è libero; è espressione dell’autonomia negoziale del solvens. Prova ne è data dalla disposizione citata, che, contrariamente a quanto sancito dall’art. 1191 c.c., dispone espressamente che “non è ammessa la ripetizione di quanto spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace”. Poiché rileva la capacità di agire del solvens, l’atto è riconducibile ad una sua libera espressione di volontà. In tal senso si esprime X. XXXXXXXXX XXXXXXXXX, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., in Rivista dir. civ., II, 1989, p. 530, secondo la quale “la mancanza di obbligatorietà, comunque, non impedisce di configurare tali atti come pagamenti traslativi in quanto si tratta di atti diretti sempre al trasferimento della proprietà in esecuzione di un’obbligazione preesistente che costituisce idoneo riferimento causale”.
Non tutta la dottrina è però unanime nell’attribuire natura negoziale all’adempimento dell’obbligazione naturale. Taluni ritengono, infatti, che il riferimento alla capacità del solvens sia frutto dell’opzione legislativa per il c.d. principio di autoresponsabilità e non espressione della natura negoziale dell’adempimento, in quanto non sarebbe ravvisabile alcuna autoregolamentazione degli interessi, già prefissati dalla regola morale o sociale a cui il solvens si limita a dare esecuzione. Non sarebbe, pertanto, necessaria, ai fini della validità dell’adempimento, la capacità legale di agire, quanto piuttosto la capacità naturale, con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 428, comma 1, c.c.: l’adempimento sarebbe così annullabile qualora si provi, oltre all’incapacità di intendere e di volere del solvens, che ne sia derivato un grave pregiudizio per il suo autore. Di tale avviso è X. XXXXXXX, Ripetizione dell’indebito, in Commentario del Cod. civ. a cura di SCIALOJA e BRANCA, 1981, P. 283 SS.; e sul punto si veda anche X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, XV ed., Napoli, 2011, p. 568 ss.
solo preliminare175. Tuttavia, pare senz’altro preferibile la tesi intermedia, che rinviene nel definitivo, che pure è atto esecutivo di un obbligo scaturente dal preliminare, un vero e proprio negozio giuridico bilaterale. Il definitivo avrebbe così una duplice natura, essendo al contempo atto esecutivo dell’obbligo di contrarre e nuova manifestazione di volontà negoziale con causa propria176. Del resto, la natura contrattuale del definitivo pare desumersi dal tenore letterale degli artt. 1351 e 2932 c.c. Il primo, infatti, nel chiarire il requisito formale richiesto per la valida conclusione del preliminare, dispone che “è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo”. E analoga qualificazione emerge dall’art. 2932 c.c., che contempla, a fronte dell’inadempimento dell’obbligo scaturente dal preliminare, la possibilità di ottenere una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto non concluso177.
Se l’attuazione dell’obbligo di contrarre avviene per il tramite di un atto negoziale, ciò significa, giungendo alle dovute conseguenze, che non sempre e necessariamente l’adempimento è atto giuridico in senso stretto ovvero un fatto giuridico, non assistito neppure dalla volontà dell’atto medesimo. Ciò che conta ai fini della struttura dell’adempimento è, infatti, il contenuto della prestazione xxxxxx000. Se di regola l’atto solutorio non richiede una dichiarazione di volontà del debitore (così quando la prestazione implichi mere attività materiali), non si può però escludere che vi siano
175 X. XXXX, Causa e rappresentanza indiretta nell’acquisto, in Banca, borsa e tit. cred., 1952, I, p.
249 ss.; X. XXXXXXXX, Incapacità naturale e adempimento, Napoli, 1950, p. 118 ss.
176 A tal riguardo, in particolare X. XXXXX, Il contratto, II ed., in Trattato di diritto privato a cura di X. XXXXXX e X. XXXXX, Milano, 2011, p.619 ss. parla di doppiezza della causa del contratto definitivo, che “per un verso ha causa solvendi: le parti lo concludono per adempiere l’obbligo assunto col preliminare. Ma al tempo stesso ha un’altra sua propria causa tipica, normalmente di scambio”. Tuttavia, la doppiezza della causa ben potrebbe superarsi nell’ottica della causa in concreto, che può far emergere le svariate sfaccettature del definitivo, nel quale convivono funzione solutoria e natura negoziale.
177 X. XXXXXX, L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, Il comportamento del debitore, Milano, 1984, p. 34 ss.
178 X. XXXXXX, Le nozioni fondamentali del diritto civile, I, Torino, 1958, p. 27 ss., il quale rileva la natura variabile dell’adempimento, distinguendo addirittura fra obbligazione con prestazione negoziale e non negoziale.
circostanze in cui l’adempimento comporti lo svolgimento di attività giuridicamente qualificate, quali la manifestazione di volontà negoziale.
Per tale via, la dottrina maggioritaria è così giunta a riconoscere natura negoziale all’atto di puro trasferimento, superando l’asserito contrasto con il disposto dell’art. 922 c.c.
Ma, a ben guardare, il problema della natura giuridica di un eventuale pagamento traslativo nel nostro ordinamento resta aperto; dibattuto non solo fra coloro che negano la sua negozialità e coloro che l’affermano, ma anche, qualora si accolga la soluzione positiva, in merito alla sua struttura unilaterale o bilaterale. Problema quest’ultimo, che si intreccia con quello della generale ammissibilità di negozi unilaterali idonei a realizzare effetti reali e che verrà opportunamente sviluppato (ripercorrendo le varie tesi sostenute al riguardo) nel prosieguo del presente capitolo.
Accanto ai problemi di matrice strutturale posti dalla figura del pagamento traslativo si collocano poi le obiezioni più stringenti, relative alla supposta violazione del principio causalistico, consacrato dall’art. 1325 n. 2 c.c., che vieppiù impedirebbero di ammettere una simile figura nel nostro ordinamento.
Difatti, comunque lo si voglia qualificare dal punto di vista della natura giuridica, il pagamento traslativo concreta ad ogni modo un’attribuzione patrimoniale unidirezionale, in sé muta circa la propria giustificazione causale. A fronte del trasferimento della proprietà o di un diverso diritto, l’accipiens non esegue alcuna controprestazione e questo conduce ad escludere il sinallagma tipico della causa venditionis (e di qualsiasi altra causa onerosa di scambio). Del pari, però, deve negarsi la riconducibilità della figura in esame alla causa donandi, perché la funzione solutoria dell’atto è in aperta antitesi con il connotato dello spirito di liberalità179. L’attribuzione
179 In questi termini si è espressa la stessa Suprema Corte nella fondamentale sentenza 21 dicembre 1987, n. 9500, in merito alla qualificazione della natura giuridica della proposta di trasferimento di un immobile rivolta da un genitore alla figlia, in esecuzione dell’obbligo legale di mantenimento. Proprio la circostanza che la promessa di trasferire trovi la propria ratio nel suddetto obbligo legale esclude la pertinenza del riferimento alla donazione per mancanza dell’animus donandi. Per un esame di tale sentenza si vedano X. XXXXXXXXX XXXXXXXXX, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., in Rivista dir. civ., II, 1989, p. 525 ss.; X. XXXXXXXX, Art. 1333
patrimoniale traslativa in favore dell’accipiens non è sorretta dalla libera volontà di arricchire il destinatario, scevra da qualsiasi tornaconto personale, ma è comunque atto dovuto: è posta in essere in esecuzione di un’obbligazione di dare in senso tecnico scaturente dal contratto obbligatorio a monte.
L’impossibilità di ravvisare nel pagamento traslativo una delle cause legali tipiche aveva condotto così parte della dottrina, specie quella più risalente, a ritenere tale fattispecie acquisitiva inconcepibile in ragione dell’astrattezza del trasferimento realizzato per il suo tramite180. Astrattezza derivante per l’appunto dalla circostanza che la causa non risultasse contenuta in uno degli schemi legali tipici, bensì estrinseca rispetto all’atto traslativo stesso.
Un simile ragionamento collide, però, con la previsione dell’art. 1322, comma 2, c.c., che riconosce alle parti il potere di concludere contratti anche non corrispondenti ai tipi legali, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico; potere di concludere contratti innominati che prescinde da qualsivoglia distinzione fra contratti obbligatori e ad effetti reali. Alla luce di tale previsione, dunque, l’attribuzione di un diritto non deve necessariamente essere realizzata da un atto che concreti una delle cause tipiche, ben potendo essere effettuata per qualsiasi finalità, purché risponda ad interessi meritevoli di tutela giuridica181. Pertanto, non può certo dirsi privo di una valida ragione giustificativa il trasferimento che venga realizzato per adempiere ad un preesistente debito, perché anche la causa solvendi deve ritenersi funzione idonea a fondare uno spostamento patrimoniale.
Ma soprattutto, è stato rilevato che parlare di astrattezza come sinonimo di atipicità rifletta una concezione oramai superata della causa, che non si identifica certo
c.c. e trasferimenti immobiliari solutionis causa, in Giustizia civ., 1988, p. 1237 ss.; X. XXXXXXXXX, Il pagamento traslativo, in Contratto e impresa, 1988, p. 735 ss., in particolare, par. 1 e 2.
180 Sostengono l’astrattezza di un eventuale atto di adempimento dell’obbligazione di dare in senso tecnico nel nostro ordinamento X. XXXX, Causa e rappresentanza indiretta nell’acquisto, in Banca, borsa e tit. cred., 1952, I, p. 260 ss.; X. XXXXXXXXX, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Saggi, Milano, 1951, p. 268; A. DI XXXX XXXXXXXXX, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967,
p. 98 ss.
181 In tali termini si veda X. XXXXXXXXX, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 371 s.
con il tipo legale182. Se si accoglie, infatti, la teoria della causa in concreto183, tesa a rinvenire il fondamento giustificativo della complessiva operazione negoziale nella quale l’atto traslativo è inserito, non può certo comportare astrattezza il fatto che la giustificazione dello spostamento patrimoniale venga individuata al di fuori della struttura negoziale che di fatto realizza il trasferimento. In altri termini, la ricostruzione più attuale del concetto di astrattezza non ha nulla a che fare con il fatto che la ratio del trasferimento si rinvenga all’interno dell’atto traslativo in sé considerato ovvero al di fuori dello stesso184.
Pertanto, nel caso dell’atto di adempimento dell’obbligazione di dare la giustificazione causale dovrà essere ricercata aliunde, nella fonte dell’obbligo medesimo, senza che ciò possa comportarne una censura di astrattezza nei termini poc’anzi prospettati.
Tale precisazione permette di indirizzare il nostro ragionamento verso una distinzione fondamentale (che sarà poi meglio sviluppata nella sez. II del presente capitolo), quella fra prestazioni traslative che si realizzano per il tramite di contratti ad
182 In merito alle diverse accezioni con cui è stato inteso il negozio astratto si vedano X. XXXXX, Astrazione (negozio astratto), in Noviss. Digesto it., Torino, 1957; X. XXXXXXX, voce Negozio astratto, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 52 ss.; X. XXXXX, voce Negozio astratto, in Digesto disc. priv. (sez. civ.), XII, Torino, 1995, p. 48 ss.; X. XXXXXX, Appunti sull’astrattezza negoziale, in Rassegna dir. civ., 1987, p. 81 ss.; X. XXXXX, Accertamento negoziale e astrazione materiale, Padova, 2000; ID., Note preliminari sull’ammissibilità di un trasferimento astratto, in Riv. dir. comm. e dir. gen. obbligazioni, 1995, p. 199 ss.
183 Per l’affermazione della teoria della funzione economico – individuale in luogo di quella economico sociale (teorizzata, com’è noto da X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, ristampa II ed., a cura di X. XXXXX, Napoli, 1994, p. 180 ss.) si vedano, in particolare, G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1996; X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, 1992; X. XXXX, La causa del contratto come funzione economico – individuale, in Giust. Civ., 2007, I, p. 1988 ss.; C.M. XXXXXX, La causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., II, 2014, p. 251 ss.
184 X. XXXXXXX, voce Negozio astratto, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 92 ss.; L. CAMPAGNA, Il problema dell’interposizione di persona, Milano, 1962, p. 136 ss.; P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti fra negozio e giusta causa dell’attribuzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965;
G. B. PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Riv. soc., 1970, p. 933 ss.