RASSEGNA MONOTEMATICA DI GIURISPRUDENZA
Consiglio di Stato
Ufficio Studi, massimario e formazione
RASSEGNA MONOTEMATICA DI GIURISPRUDENZA
aggiornata al 31 dicembre 2018 a cura di Xxxxxx Xxxxx
AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA E CONTRATTO.
SOMMARIO: §1. - La questione della sussistenza del potere di revoca dopo la conclusione del contratto. 1.1. - Tesi che ammette la revoca anche dopo la conclusione del contratto. – 1.2. Xxxx che esclude la revoca dopo la conclusione del contratto. 1.3 - Le indicazioni della plenaria. §2. - L’annullamento d’ufficio dopo la conclusione del contratto. I rapporti tra l’art. 21-nonies legge 7 agosto 1990, n. 241 e l’art. 1, comma 136, legge 30 dicembre 2001, n. 311. – 2.1 La disciplina del nuovo codice appalti – §3. - La giurisdizione sulla sorte del contratto. – §4. - Autodichiarazione di nullità dell’atto amministrativo. §5. - Rassegna di giurisprudenza.
I rapporti tra autotutela amministrativa e contratto sollevano numerose questioni, con implicazioni tanto sostanziali quanto processuali. In questa rassegna sono state raccolte le principali pronunce sia del giudice amministrativo che del giudice ordinario che si sono occupate del tema. Di seguito una breve nota, volta ad illustrare sinteticamente i punti oggetto di maggiore dibattito. L’importanza del tema emerge, oltre che dalla rilevanza assunta dall’ambito contrattuale facente capo alle pubbliche amministrazioni, dal fatto di collocarsi sul crinale del discrimine fra attività autoritativa e non, rilevante quindi anche in ordine al riparto di giurisdizione sulle relative controversie.
§1. La questione della sussistenza del potere di revoca dopo la conclusione del contratto. Ci si chiede, anzitutto, se, una volta concluso il contratto, sia ancora possibile procedere alla revoca dell’aggiudicazione definitiva o, in caso di contratto concluso senza procedura di evidenza pubblica, dell’atto sulla cui base l’Amministrazione si è determinata a stipulare il contratto.
Sulla tema si registrano due diversi indirizzi interpretativi, che nei paragrafi successivi verranno illustrati.
La questione è stata altresì rimessa all’Adunanza Plenaria da Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5876 (con riferimento alla revoca dell’aggiudicazione definitiva), nonché da Cons. Stato, sez. V, ordinanza 14 ottobre 2013, n. 4998 (con riferimento al caso in cui alla stipula del contratto si sia giunti senza gara, ma sulla base di una trattativa informale).
1.1. Tesi che ammette la revoca anche dopo la conclusione del contratto.
Secondo una prima impostazione, il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica sussiste anche in caso di esistenza del contratto (cfr. Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554). Secondo questa tesi, in particolare, il fatto che il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione incida (secondo il tradizionale collegamento tra provvedimento e contratto, proprio dei procedimenti di evidenza pubblica) su un vincolo contrattuale già formato, non modifica la natura sostanziale del potere, che si sostanzia nel puro riesame del provvedimento di aggiudicazione precedentemente emanato e non nell’esercizio di un presunto diritto di recesso dal vincolo negoziale.
1.2. Xxxx che esclude la revoca dopo la conclusione del contratto.
Una parte della dottrina e della giurisprudenza opina, invece, in senso contrario, evidenziando che, una volta concluso il contratto, la revoca avrebbe ad oggetto un provvedimento di aggiudicazione che ha già esaurito i suoi effetti a seguito, appunto, della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 (in tal senso, di recente, cfr. T.A.R. Lazio - Roma, Sez. II Ter, 6 marzo 2013, n. 2432). A sostegno di questa conclusione si evidenzia che il provvedimento di aggiudicazione, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante. In tal senso, deponevano le norme di cui all’art. 11 del previgente codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui, da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti. Il legislatore, quindi, sembrava aver sancito
che l’aggiudicazione definitiva è un provvedimento amministrativo che, al pari di ogni altro, può essere oggetto sia di annullamento sia di revoca, ma la cui efficacia - essendo l’atto con cui, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica, la stazione appaltante individua l’operatore economico con cui contrarre - è destinata ad esaurirsi con la stipulazione del contratto e l’avvio dell’esecuzione delle relative prestazioni. Ne conseguirebbe dunque che, mentre la stazione appaltante in ogni momento può procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della
L. n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto in tal modo incidendo, per la sua efficacia ex tunc, sul momento genetico del rapporto e, quindi, sui rapporti negoziali che a quell’atto sono legati da un nesso di presupposizione, lo stesso non può dirsi per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies L. n. 241 del 1990 in quanto la revoca, avendo efficacia ex nunc, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul suo momento genetico e, quindi, presuppone che l’efficacia dell’atto oggetto di revoca continui a sussistere al momento della suaemanazione. Né, secondo la tesi in esame, varrebbe in senso contrario il disposto di cui al comma 1 bis del citato art. 21 quinquies, laddove si fa riferimento agli atti amministrativi ad efficacia durevole che incidono su rapporti negoziali e ciò in quanto per tali rapporti si intendono eventuali contratti accessivi al provvedimento revocato, il cui caso classico è costituito dalla revoca di una c.d. concessione-contratto. In altri termini, la norma in discorso troverebbe applicazione nelle ipotesi in cui al provvedimento revocato accedono contratti, ma non anche nelle ipotesi di contratti legati al provvedimento da un nesso di presupposizione, quale è il caso del provvedimento di aggiudicazione e del successivo contratto di appalto, ove il provvedimento presupposto abbia esaurito i propri effetti con la stipulazione del contratto e l’avvio di esecuzione delle prestazioni: in tale caso sarebbe ben possibile l’adozione, nell’esercizio del potere di autotutela, di un atto di annullamento, che, operando ex tunc, incide sul momento genetico del rapporto, ma non di revoca, la quale, operando ex nunc, incide sul momento funzionale. Una volta stipulato il contratto, pertanto, l’unico strumento attribuito alla stazione appaltante per sciogliersi dal vincolo contrattuale per ragioni di opportunità sarebbe rappresentato dal recesso (di cui al previgente art. 134, comma 1, D. lgs. n. 163 del 2006).
Tale differenza ha una notevole implicazione da un punto di vista economico, atteso che mentre l’esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies L. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba essere
parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di recesso ex art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 determina un obbligo di pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite. La questione si fa ancora più intricata nel caso in cui al contratto si sia giunti senza una procedura di evidenza pubblica, atteso che in tal caso contro la sussistenza di un potere di revoca può essere invocata (stante l’assenza della gara) la natura paritetica anche degli atti che riguardano la fase anteriore alla stipula del contratto.
La questione rileva, inoltre, anche in punto di giurisdizione, perché se l’atto di scioglimento del vincolo adottato dopo la conclusione del contratto deve essere qualificato in termini di recesso (anziché di revoca), la giurisdizione sulla relativa controversia spetterebbe al giudice ordinario, e non a quello amministrativo (cfr. Cass. Civ. Sez. Un., 11 gennaio 2011, n. 391, nonché Cass. Sez. Un. 29 maggio 2012, n. 8515).
1.3 Le indicazioni della Plenaria.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 20 giugno 2014, n. 14, ha chiarito che i poteri della pubblica amministrazione di incidere sugli atti pregressi divergono a seconda della fase della procedura di evidenza pubblica in cui sono esercitati. Si è così precisato che: “Resta perciò impregiudicata, nell’inerenza all’azione della pubblica amministrazione dei poteri di autotutela previsti dalla legge, la possibilità:
a) della revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto; b) dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1, comma 136, l. n. 311 del 2004, nonché concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso.” (principio ribadito da Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2016, n. 5026). Ciò conformemente alla previsione dell’art. 11, comma 9, d.lgs. 163 cit. che fa salvo “l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti”.
I poteri generali di autotutela dell'amministrazione, in una vicenda contrattuale, comportano la possibilità: a) della revoca nella fase procedimentale fino alla stipulazione del contratto, b) dell'annullamento dell'aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, c) del recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia.
Secondo la plenaria, quindi, il potere di revoca dell'aggiudicazione non può essere esercitato dalla p.a. una volta intervenuta la stipula del contratto di appalto, che chiude la fase pubblicistica ed apre quella negoziale, caratterizzata da tendenziale parità tra le parti. Di conseguenza, negli appalti di lavori pubblici, in caso di sopravvenuti motivi di opportunità, la
p.a. può recedere dal contratto, secondo la speciale previsione di cui all'art. 134 del codice degli appalti, con le conseguenze indennitarie ivi previste. In materia di appalti pubblici le ragioni in grado di supportare la revoca legittima dell’aggiudicazione sono state variamente individuati. Le fattispecie più frequenti vengono così individuate: a) revoca per sopravvenuta non corrispondenza dell’appalto alle esigenze dell’amministrazione; b) revoca per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie ovvero per sopravvenuta non convenienza economica dell’appalto (fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2016, n. 1599, Sez. III, 29 luglio 2015, n. 3748); c) revoca per inidoneità della prestazione descritta nella lex specialis a soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l'avvio della procedura (sulla quale, ampiamente, Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2016, n. 5026).
Tra i “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” ben possono rientrare anche comportamenti scorretti dell’aggiudicatario che si siano manifestati successivamente all’aggiudicazione definitiva (fattispecie già conosciuta in giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2017, n. 2804 avente ad oggetto il mancato assolvimento agli obblighi contributivi emerso successivamente all’aggiudicazione; Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2016, n. 3054, ove la revoca era giustificata dal rifiuto dell’aggiudicatario di stipulare il contratto prima che fossero modificate talune clausole contenute nel capitolato di gara; Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143, revoca giustificata per violazione delle clausole dei Protocolli di legalità; e TAR Liguria, sez. II, 27 gennaio 2017, n. 55).
In detti casi la revoca assume quella particolare connotazione di revoca – sanzione, poiché la caducazione degli effetti del provvedimento è giustificata da condotte scorrette del privato beneficiario di precedente provvedimento favorevole dell’amministrazione; tuttavia si tratta pur sempre di “motivi di pubblico interesse”, successivi al provvedimento favorevole (o successivamente conosciuti dalla stazione appaltante, e per questo “sopravvenuti”) che giustificano la revoca.
La particolarità di tale revoca consiste nel fatto che l’amministrazione non è tenuta a soppesare l’affidamento maturato dal privato sul provvedimento a sé favorevole e, d’altra parte, non ricorrono pregiudizi imputabili
all’amministrazione e ristorabili mediante indennizzo poiché ogni conseguenza, ivi comprese eventuali perdite economiche, è imputabile esclusivamente alla condotta del privato (non dando luogo a responsabilità dell’amministrazione, neppure da atto lecito)
§2. L’annullamento d’ufficio dopo la conclusione del contratto. I rapporti tra l’art. 21- nonies legge 7 agosto 1990, n. 241 e l’art. 1, comma 136, legge 30 dicembre 2001, n. 311.
Questioni in parte diverse si pongono con riferimento all’ipotesi in cui l’Amministrazione proceda all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione. In questo caso, non si dubita della permanenza del potere per la stazione appaltante di annullare d’ufficio l’aggiudicazione definitiva anche dopo la conclusione del contratto. Ci si chiedeva, tuttavia, che rapporto vi sia tra la norma generale contenuta nell’art. 21 nonies L. n. 241 del 1990 (che ammette l’annullamento d’ufficio entro un termine ragionevole, sussistendone le ragioni di interesse pubblico) e la norma speciale di cui all’art. 1, comma 136, della L. n. 311 del 2004 che, nel disciplinare l’annullamento d’ufficio incidente su rapporti contrattuali con i privati, consentiva all’Amministrazione di procedervi al solo fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari (quindi anche a prescindere dall’individuazione di ulteriori ragioni di interesse pubblico), ma fissa un limite temporale di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento. Secondo una parte della giurisprudenza la norma speciale era l’unica a disciplinare il potere di annullamento d’ufficio incidente su rapporti contrattuali, con la ulteriore conseguenza che l’Amministrazione incontrerebbe l’invalicabile limite dei tre anni, se segnala T.a.r. Toscana, sez. I, 21 febbraio 2013, n. 263 e 24 ottobre 2017 n. 1277).
Secondo tale giurisprudenza l'art. 1, comma 136, della legge n. 311/2014, il quale prevede l'annullabilità d'ufficio del provvedimento illegittimo incidente su rapporti contrattuali o convenzionali, per ragioni di convenienza economico finanziaria, entro tre anni dall'acquisto di efficacia del provvedimento, è norma di carattere speciale rispetto all'art. 21 nonies della legge n. 241/1990.
Peraltro, il citato art. 1 comma 136 è stato abrogato solo per effetto della legge n. 124/2015.
Ancora di recente la giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 04/07/2018, n. 4092) ha dichiarato non tempestivo l’esercizio dell’autotutela sia a voler considerare il termine di diciotto mesi di cui all’articolo 21-nonies della l. n. 241 del 1990 a decorrere a far data
dall’entrata in vigore della l. n. 124 del 2015 (in tal senso: Cons. Stato, VI, 13 luglio 2017, n. 3462; id., V, 19 gennaio 2017, n. 250), sia a prescindere dall’applicazione di tale scansione temporale fissata dalla legge. Il rispetto del termine legale per l’esercizio dell’autotutela deve essere verificato in relazione all’adozione del provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento di secondo grado e non in relazione a un mero atto di impulso. Quand’anche si volesse escludere l’immediata valenza (ai fini della definizione della res controversa) della previsione di cui al rinovellato articolo 21-nonies, cit., nondimeno l’esercizio dell’autotutela è tardivo laddove non avvenga entro un termine comunque ragionavole.
Pertanto, pur a fronte della sopravvenuta abrogazione, si è ritenuto che la previsione di cui al richiamato comma 136, può rappresentare un rilevante indice ermeneutico al fine di parametrare e valutare in concreto l’esercizio dell’autotutela decisoria.
2.1 La disciplina del nuovo codice appalti.
La figura dell’autotutela è espressamente richiamata anche nella disciplina contenuta nel c.d. nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016.
In merito alla fase di affidamento ed aggiudicazione, l’art. 32 al comma 8 statuisce nei termini seguenti: “divenuta efficace l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario”.
La risoluzione ed il recesso sono poi contenuti negli artt. 108 e 109 del nuovo codice.
Una norma specifica viene poi dettata in merito alla concessione, tesa a disciplinarne i casi di cessazione, revoca d'ufficio, risoluzione per inadempimento e subentro. L’art. 176 tiene comunque fermo l'esercizio dei generali poteri di autotutela.
La giurisprudenza ha già avuto modo di esprimersi anche sul nuovo testo normativo. A titolo esemplificativo è stato evidenziato (T.A.R. Milano sez. I 2 luglio 2018 n. 1637) come la disposizione dell’art. 21 nonies della legge
n. 241 del 1990 , secondo cui l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo può essere disposto entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi, si applichi anche in caso di annullamento dell’aggiudicazione di un contratto pubblico. Ai fini
del rispetto di detto termine è necessario che, prima della sua scadenza, l’adozione dell’atto di annullamento sia effettivamente avvenuta, non essendo sufficiente il mero avvio dell’ iter dell’autotutela. La disposizione dell’ art. 108 del d.lgs. n. 50 del 2016 , secondo cui non si applicano i termini previsti dall' articolo 21- nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241 , non è operante in ipotesi di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione; quest’ultimo, infatti, incide sulla procedura di gara attraverso la rimozione del suo atto conclusivo, laddove l’art. 108 cit. si riferisce allo scioglimento del contratto conseguente alle dinamiche del rapporto sinallagmatico.
Con riferimento alla permanenza dei poteri di autotutela è stato altresì affermato (T.A.R. Lazio sez. III 2 febbraio 2018 n. 1255) che in base all' art. 21 quinquies, l. n. 241 cit., il provvedimento amministrativo può essere revocato per sopravvenuti motivi di ordine pubblico, da parte della stessa Amministrazione emanante, con atto ascrivibile alla potestà di autotutela dell'Amministrazione stessa. Quest'ultima può esercitare tale potere anche in rapporto ad una aggiudicazione contrattuale, ex art. 32, comma 8, d.lg.
n. 50 del 2016, nella fase immediatamente successiva alla scelta del contraente, che precede la stipulazione del contratto e che ancora rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.
§3. La giurisdizione sulla sorte del contratto.
Particolarmente controversa è stata, come anticipato, la questione relativa al riparto di giurisdizione sulla sorte del contratto in seguito alla eliminazione in via di autotutela del provvedimento amministrativo sulla cui base l’Amministrazione è addivenuta alla sua stipulazione.
Una prima tesi (Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032; Cass. Sez. Un. ordinanza 8 agosto 2012, n. 14260) richiamando il principio della concentrazione delle tutele e la ritenuta identità di situazione con l’annullamento operato dal giudice, caratterizzata da una inestricabile commissione di interessi pubblici e privati, opina tradizionalmente per la giurisdizione del giudice amministrativo.
Una seconda tesi, valorizzando la natura privatistica del rapporto dedotto in giudizio e l’eccezionalità della giurisdizione amministrativa sulla sorte del contratto (espressamente attribuita dall’art. 133, lett. e) n. 1) nella sola ipotesi di inefficacia del contratto a seguito di annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione), riteneva, invece, sussistente la giurisdizione del giudice ordinario. In tal senso si segnalava Cass. Sez. Un. 20 maggio 2012,
n. 8515, che ha dichiarato sussistere la giurisdizione del giudice ordinario,
poiché il rapporto dedotto in giudizio risultava nella specie di natura prettamente privatistica, derivando dalla conclusione di contratti intorno alla cui validità sostanzialmente si controverte, eminentemente di diritto privato, tra parti poste in rapporto paritarie.
Nel senso che, fuori dai casi di cui all’art. 133, lett. e) n. 1, cod. proc. amm., l’annullamento degli atti del procedimento amministrativo a monte del contratto produce una invalidità derivata (c.d. effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto negoziale cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10.
L’evoluzione conosciuta dalla giurisprudenza ha approfondito l’argomento, tentando di chiarire i rapporti fra i due ordini giudiziari, entrambi dotati di cognizione in materia.
Ancora di recente le Sezioni unite della Cassazione sono intervenute in diverse occasioni, evidenziando come, in tema di contratti della P.A., la caducazione in autotutela di atti prodromici alla conclusione del contratto postuli la giurisdizione del giudice amministrativo soltanto nell'ipotesi in cui l'esercizio del potere autoritativo di annullamento abbia la funzione di sindacare la legittimità degli atti appartenenti alla sequela procedimentale di carattere discrezionale che ha preceduto la successiva contrattazione con il privato, mentre sussiste la giurisdizione del giudice ordinario nella contraria ipotesi in cui la P.A. persegua l'obiettivo di sottrarsi ex post ad un vincolo contrattuale. (Fattispecie nella quale la giurisdizione del giudice ordinario è stata affermata con riguardo all'impugnativa della delibera comunale di annullamento, in sede di autotutela, di due pregresse delibere con cui era stato dato corso alla stipulazione di contratti cd. “derivati”, sul rilievo che questi ultimi erano stati conclusi all'esito di una trattativa privata e che, pertanto, la delibera di annullamento non appariva diretta a sindacare la legittimità di atti del procedimento amministrativo prodromico alla conclusione dei contratti ma piuttosto a realizzare una sorta di recesso unilaterale dagli stessi). (Cassazione civile sez. un. 09 ottobre 2017 n. 23600).
In termini analoghi, circa il tentativo di chiarire i rispettivi ambiti di cognizione, è stato evidenziato come nelle procedure a base concorsuale, e aventi a oggetto la conclusione di contratti da parte della p.a. spetti al giudice amministrativo la sola cognizione degli atti e dei comportamenti posti in essere prima della aggiudicazione e nella fase immediatamente successiva (la fase, cioè, compresa la aggiudicazione stessa e la stipula del contratto, in essa inclusa la revoca della aggiudicazione). Nella successiva fase contrattuale, introdotta sul piano genetico dalla stipula del contratto
e proseguita su quello funzionale con l'attuazione del rapporto negoziale, i contraenti, trovandosi in condizione paritetica e controvertendo su diritti soggettivi, sono assoggettati alla giurisdizione del giudice ordinario quanto alle controversie insorte in tema di requisiti, effetti e patologie negoziali, siano esse inerenti tanto al momento genetico, quanto a quello funzionale del contratto. (Nella specie l'attrice aveva chiesto, innanzi ai giudici amministrativi, l'annullamento del provvedimento di diniego del comune, per non avere decretato la decadenza dalla aggiudicazione di un servizio di scuolabus, sollecitando, in pratica, la revoca - in via di autotutela - della aggiudicazione. In applicazione del principio che precede le SS.UU. hanno ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario) (Cassazione civile sez. un. 4 luglio 2017 n. 16418).
In ulteriore specificazione del predetto riparto le Sezioni unite hanno altresì concluso nel senso che, in tema di appalti pubblici, l'annullamento in autotutela di un atto amministrativo prodromico alla stipulazione del contratto ha natura autoritativa e discrezionale, sicché il relativo vaglio di legittimità spetta al giudice amministrativo, la cui giurisdizione esclusiva si estende - con necessità di trattazione unitaria - alla conseguente domanda per la dichiarazione di inefficacia o nullità del contratto. Sussiste, invece, la giurisdizione del giudice ordinario quando, conclusosi il giudizio amministrativo sull'atto presupposto, con passaggio in giudicato della relativa sentenza, alla domanda di nullità del contratto si aggiunga quella di accertamento negativo del credito, vertendosi in tema di diritti soggettivi vantati in posizione di parità dal privato nei confronti dell'ente pubblico, non riservati, in via esclusiva, alla giurisdizione del giudice amministrativo (Cassazione civile sez. un. 15 giugno 2017 n. 14859).
Di particolare rilievo appaiono peraltro le affermazioni in tema di cognizione sulla domanda risarcitoria, affidata al g.a. anche alla luce delle indicazioni costituzionali sul carattere di strumento di tutela ulteriore proprio dell’azione risarcitoria. È stato quindi affermato che l’azione risarcitoria per lesione dell'affidamento riposto sulla legittimità dell'atto amministrativo poi annullato in autotutela rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. e), dell’all. 1 al d.lgs. n. 104 del 2010, e non può, pertanto, essere proposta al giudice ordinario, vertendosi in un campo dove diritti ed interessi sono intimamente correlati. Invero, la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla caducazione di provvedimenti della
fase predetta, realizzandosi quella situazione d'interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti prima dell'aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la mancata stipula del contratto (Cassazione civile sez. un. 29 maggio 2017 n. 13454).
Merita un cenno anche una più risalente indicazione delle Sezioni unite, esempio di un approccio ragionevole e coerente ai principi costituzionali di effettività della tutela e di ragionevole durata del processo: “la necessità di trattazione unitaria delle domande di affidamento dell'appalto e di caducazione del contratto concluso per effetto dell'illegittima aggiudicazione - trattazione unitaria imposta dal diritto interno in attuazione dei principi comunitari vigenti in materia - ricorre anche quando si tratti di annullamento in autotutela, confermato in sede giurisdizionale, degli atti di affidamento del servizio posti in essere in violazione delle norme comunitarie e nazionali. Sussiste , pertanto, la giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie de quo” (Cassazione civile sez. un. 14 maggio 2015 n. 9861).
§4. Autodichiarazione di nullità dell’atto amministrativo.
Un’ipotesi particolare è stata esaminata da Xxxx. Sez. Un., ordinanza 17 maggio 2013, n. 12110, secondo cui l’atto con cui l’amministrazione autodichiara nullo un proprio precedente atto prodromico alla stipula di uno strumento finanziario derivato (swap), con conseguente inidoneità di questo a produrre effetti vincolanti, non ha natura di atto autoritativo, risolvendosi nella mera ricognizione di una situazione giuridica d’inidoneità dell’atto a produrre ex se effetti di alcun genere e, rispetto a tale situazione, l’amministrazione, al contrario di quel che accade per l’annullamento in autotutela, non dispone di alcun potere conformativo, neppure per sanare o convalidare l’atto nullo, come invece le è consentito per quello annullabile, sicché deve necessariamente misurarsi con gli eventuali diritti soggettivi che i terzi possano aver acquistato in forza di quell’atto. Ne consegue che appartiene nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente la autodeclaratoria di nullità di un atto (delibera a contrarre) prodromico alla stipula di strumenti finanziari derivati, stipulati tra P.A. e soggetti privati.
5. Rassegna di giurisprudenza.
Consiglio di Stato, sez. V, 11/01/2018, n. 120, Pres Saltelli est. Di Xxxxxx
Diritto
1. Il Comune di Pavia ha riproposto in sede di appello l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per carenza di interesse, eccezione già sollevata in primo grado e non esaminata dal Tribunale nella sentenza impugnata. Da essa occorre partire per la sua idoneità, ove accolta, a definire il giudizio con sentenza di rito.
1.1. Sostiene il Comune che Antas s.r.l. non ha impugnato nei termini di legge la determinazione dirigenziale 1 giugno 2016 n. 152/07, con la quale il servizio era aggiudicato in via definitiva a CPL Concordia. Di tale aggiudicazione, secondo l'amministrazione appellata, la società aveva avuto conoscenza sin dalla nota del 1 giugno 2016, con la quale era stata convocata per il passaggio delle consegne e la restituzione delle chiavi di tutti gli impianti: Antas s.r.l. avrebbe dovuto impugnare l'aggiudicazione definitiva a CPL Concordia entro il 1 luglio 2016, laddove, invece, il ricorso per motivi aggiunti è stato notificato solamente il 2 settembre 2016.
1.2. L'eccezione è infondata.
Invero nella indicata comunicazione del 1 giugno 2016 prot. 206/16, presente in atti, non è fatto alcun esplicito riferimento al provvedimento di aggiudicazione a favore di CPL Concordia (n. 152/07), in quanto il Comune si limita a riferire di aver proceduto, successivamente alla revoca dell'aggiudicazione, ad effettuare l'interpello di cui all'art. 140 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, dei partecipanti all'originaria procedura di gara e di aver avuto disponibilità da parte di CPL Concordia a subentrare nel contratto immediatamente e alle medesime condizioni economiche e tecniche proposte dalla precedente aggiudicataria. Non può, dunque, pretendersi la conoscenza di un provvedimento (l'aggiudicazione definitiva a CPL Concordia) del quale non è fatto alcun cenno.
Neppure è possibile ritenere, come sostiene il Comune, che dal riferimento alla necessità di riconsegna degli impianti Antas s.r.l. avrebbe potuto rappresentarsi l'avvenuta aggiudicazione a terzi, posto che la riconsegna degli impianti, era giustificata dalla revoca dell'aggiudicazione (e con essa dall'interruzione dell'anticipata esecuzione del servizio) e nulla lasciava supporre in ordine all'affidamento ad altra impresa del servizio.
1.3. L'impugnazione proposta da Xxxxx s.r.l. nei confronti del provvedimento di aggiudicazione definitiva a CPL Concordia, effettuata con motivi aggiunti notificati il 2 settembre 2016, è pertanto da ritenersi
tempestiva rispetto al giorno in cui la società ne ha avuto conoscenza (il 5 luglio 2016, data di deposito dei documenti in giudizio da parte del Comune, tra i quali vi era proprio il provvedimento di aggiudicazione a CPL Concordia).
2. Può pertanto procedersi all'esame dei motivi di appello.
Ragioni di pregiudizialità logica impongono di invertire l'ordine di esame dei motivi di appello dando priorità al secondo motivo, con il quale l'appellante ripropone la contestazione, già sollevata in primo grado, secondo cui l'Amministrazione avrebbe esercitato il potere di risoluzione fuori dall'ambito previsto dalle disposizioni del codice dei contratti pubblici; il suo accoglimento porterebbe all'annullamento del provvedimento a prescindere dalle ragioni a fondamento dello stesso (oggetto di censura nel primo motivo di appello).
3. In particolare con il secondo motivo di appello Antas s.r.l. censura la sentenza di primo grado per aver respinto il primo motivo del ricorso originario, con il quale si assumeva l'illegittimità del provvedimento impugnato per violazione degli artt. 136,130 e 140 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché per violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. 7 agosto 1990, n. 241 e dei principi in materia di autotutela e di legittimo affidamento, oltre che per eccesso di potere nelle figure del difetto di motivazione, contraddittorietà e erronea presupposizione in diritto.
3.1. La ricorrente, dopo aver esposto che nel provvedimento impugnato erano indicati come presupposti giuridici gli artt. 136,138 e 140 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ossia le disposizioni del codice dei contratti pubblici che disciplinano la risoluzione del contratto di appalto, ha sostenuto la mancanza del fondamento giustificativo del potere esercitato dall'Amministrazione comunale: il potere di risoluzione del contratto può essere esercitato solo in presenza di un "contratto di appalto" che nel caso in esame non era stato stipulato in quanto, a seguito dell'aggiudicazione, era stata solo disposta la consegna anticipata in via di urgenza del servizio nelle more della stipula del contratto. In definitiva, secondo l'appellante, l'amministrazione aveva applicato le disposizioni in materia di risoluzione contrattuale ad una fattispecie in cui non vi era alcun contratto, esercitando, così, in maniera illegittima il potere di risoluzione.
3.2. Il Tribunale amministrativo, esaminando tale motivo di ricorso (peraltro congiuntamente al primo motivo di ricorso), ha sostenuto che:
"La circostanza che la determinazione dirigenziale impugnata contenga riferimenti normativi non sempre pertinenti (come quello all'art. 136 del d.lgs. 163/2006 o all'art. 118 dello stesso decreto sul divieto di cessione del contratto d'appalto pubblico) è irrilevante, costituendo semmai una mera irregolarità, posto che la qualificazione giuridica del provvedimento impugnato spetta solo al giudice adito e l'eventuale richiamo erroneo ad articoli di legge non inficia di per sé il provvedimento, qualora sussistano tutti i presupposti di legge per la sua adozione e la motivazione sia completa ed esaustiva (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. I, 11.7.2012, n. 3350).".
3.3. Lamenta l'appellante che il Tribunale, pur avendo riconosciuto la non pertinenza dei riferimenti giuridici utilizzati dal Comune, non ne abbia fatto discendere effetti caducatori del provvedimento impugnato, dequotando il vizio sollevato a mera irregolarità, del tutto irrilevante ai fini della legittimità; inoltre il Tribunale non avrebbe fornito alcuna qualificazione alternativa del provvedimento e ciò per la ragione che altro fondamento normativo non sussisterebbe: il provvedimento non era infatti qualificabile come annullamento d'ufficio ex art. 21 nonies l. 7 agosto 1990, n. 241, stante la mancanza di qualsivoglia motivata valutazione sull'interesse pubblico attuale e idoneo a fondare la rimozione dell'atto, né come revoca ex art. 21quinquies l. 241 cit. , che postula la piena legittimità delle condotte precedenti e l'esistenza di ragioni di mera opportunità.
4. Il motivo è infondato.
4.1. È compito del giudice qualificare il provvedimento amministrativo impugnato nell'esercizio dell'attività di interpretazione degli atti amministrativi, da condurre secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.; la giurisprudenza ha da tempo chiarito che a tal fine carattere preminente assume il criterio letterale, ma, specie in caso di dubbio, il giudice è tenuto a risalire all'effettiva volontà dell'amministrazione, eventualmente anche prescindendo dai riferimenti normativi in esso contenuti e tenendo, invece, conto del contenuto complessivo dell'atto e del comportamento successivo (così Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2015, n. 4684; sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1515; sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6237).
4.1.1. Il provvedimento impugnato dà adito a dubbi interpretativi poiché il Comune richiama (in motivazione, così come nella parte dispositiva) l'art. 136 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e così il potere di risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo (così
in rubrica), il quale all'evidenza presuppone l'esistenza di un contratto di appalto, nel caso di specie mai stipulato, e, dall'altro, nella parte dispositiva, dichiara di "revocare ... per le motivazioni esposte in premessa che qui si intendono integralmente richiamate l'aggiudicazione definitiva dell'appalto...".
Ritiene la Sezione che l'amministrazione abbia inteso incidere sulla precedente aggiudicazione a favore di Xxxxx s.r.l., privandola di effetti, così adottando un provvedimento di revoca ai sensi dell'art. 21 quinquies l. 7 agosto 1990, n. 241.
4.1.2. Ciò per le seguenti ragioni.
Con la determinazione n. 204/2015 il Comune di Pavia ha aggiudicato il contratto di appalto alla Antas s.r.l. e successivamente con verbale 1 ottobre 2015 disposto la consegna anticipata del servizio.
La consegna anticipata del servizio per ragioni di urgenza è prevista dall'art. 11, comma 9, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ratione temporis applicabile; interviene nella fase tra l'aggiudicazione definitiva e la stipulazione del contratto e si sostanzia nella consegna dei lavori (o del servizio) di cui è dato atto in apposito verbale ai sensi degli artt. 153 e ss.
d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207. Avvenuta la consegna dei lavori, l'aggiudicataria è tenuta ad eseguire le prestazioni in offerta (sugli effetti della consegna anticipata dei lavori, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2012, n. 3320).
Nulla esclude che nell'esecuzione di dette prestazioni, l'aggiudicataria incorra in un inadempimento imputabile.
Nella vicenda in esame tuttavia il Comune di Pavia non ha contestato ad Antas s.r.l. inadempienze nell'esecuzione della prestazione, quanto di aver tenuto un comportamento scorretto nella fase antecedente alla stessa consegna anticipata del servizio; comportamento, come si avrà modo di precisare nel prosieguo, costituito dalla stipulazione dell'accordo transattivo con A2E servizi s.r.l., finalizzato, secondo la stazione appaltante, ad affidare in subappalto in violazione di legge tutte le prestazioni oggetto del contratto. La stipulazione del contratto transattivo,
del resto, è avvenuta il 24 agosto 2015, mentre la consegna anticipata si è avuta solo il 1 ottobre 2015.
Di conseguenza non vi è contratto, non vi è contestazione di inadempimento contrattuale, e, per questo, non v'è stato esercizio del potere di risoluzione; vi è stata invece revoca dell'aggiudicazione ad Antas
s.r.l. (rispetto alla quale a nulla rileva la circostanza della consegna anticipata dei lavori).
4.1.3. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 20 giugno 2014, n. 14, ha chiarito che i poteri della pubblica amministrazione di incidere sugli atti pregressi divergono a seconda della fase della procedura di evidenza pubblica in cui sono esercitati. Si è così precisato che: "Resta perciò impregiudicata, nell'inerenza all'azione della pubblica amministrazione dei poteri di autotutela previsti dalla legge, la possibilità:
a) della revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto; b) dell'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell'art. 1, comma 136, l. n. 311 del 2004, nonché concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l'aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso." (principio ribadito da Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2016, n. 5026). Ciò conformemente alla previsione dell'art. 11, comma 9, d.lgs. 163 cit. che fa salvo "l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti".
Il Comune di Pavia, non essendo intervenuta ancora la stipulazione del contratto, ha correttamente esercitato il potere di revoca dell'aggiudicazione di cui all'art. 21 quinquies l. 7 agosto 1990, n. 241.
È corretta pertanto la decisione del Tribunale che, affrontando la questione di giurisdizione sollevata dal Comune in via di eccezione (e, non più esaminabile in questa sede, non essendo stata oggetto di specifica impugnazione), ha affermato che: "Nel caso di specie, del resto, attraverso il provvedimento impugnato, il Comune di Pavia ha espressamente dichiarato di disporre la "Revoca dell'aggiudicazione" (al di là del non preciso riferimento normativo all'art. 136 del D.Lgs. 163/2006, comunque non vincolante per l'interprete) a fronte non tanto dell'inadempimento di
specifici obblighi contrattuali quanto piuttosto dell'avvenuto accertamento della circostanza che l'operatore aggiudicatario Xxxxx Xxx non avrebbe mai eseguito l'appalto, che sarebbe invece stato eseguito da altra impresa - vale a dire A2E Servizi Srl - già ritenuta dal TAR Lombardia priva dei requisiti necessari per l'aggiudicazione". La statuizione, peraltro, non è stata oggetto di specifica contestazione da parte dell'appellante nel proprio atto di appello (ed è conforme a Cass. civ., Sez. Un., 4 luglio 2017, n. 16418).
5. Nel motivo di appello in esame - come detto - l'appellante prospetta la qualificazione del provvedimento impugnato come revoca dell'aggiudicazione e aggiunge che, così qualificato, il provvedimento sarebbe illegittimo in quanto il Comune ha fondato la sua decisione su asserite violazioni di legge (precisamente, la violazione dell'art. 118 d.lgs. 163 cit. sui limiti al subappalto), laddove, invece, si ammette la revoca solo in caso di piena legittimità delle condotte precedenti e per ragioni di mera opportunità.
5.1. Le considerazioni non colgono nel segno. Esse pongono la questione della legittimità della revoca dell'aggiudicazione disposta per comportamenti scorretti dell'aggiudicatario successivi all'adozione dell'aggiudicazione definitiva (e, precedenti, come ormai chiaro, la stipulazione del contratto).
L'art. 21 quinquies l. 7 agosto 1990, n. 241, prevede che "Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento, o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato".
In materia di appalti pubblici le ragioni in grado di supportare la revoca legittima dell'aggiudicazione sono state variamente individuati e tre sono, specialmente, le fattispecie ricorrenti: a) revoca per sopravvenuta non corrispondenza dell'appalto alle esigenze dell'amministrazione; b) revoca per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie ovvero per sopravvenuta non convenienza economica dell'appalto (fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2016, n. 1599, Sez. III, 29 luglio 2015, n. 3748); c) revoca per inidoneità della prestazione descritta nella lex specialis a
soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l'avvio della procedura (sulla quale, ampiamente, Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2016, n. 5026).
Ritiene la Sezione che tra i "sopravvenuti motivi di pubblico interesse" ben possono rientrare anche comportamenti scorretti dell'aggiudicatario che si siano manifestati successivamente all'aggiudicazione definitiva (fattispecie, del resto, già conosciuta in giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2017, n. 2804 avente ad oggetto il mancato assolvimento agli obblighi contributivi emerso successivamente all'aggiudicazione; Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2016, n. 3054, ove la revoca era giustificata dal rifiuto dell'aggiudicatario di stipulare il contratto prima che fossero modificate talune clausole contenute nel capitolato di gara; Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143, revoca giustificata per violazione delle clausole dei Protocolli di legalità; e TAR Liguria, sez. II, 27 gennaio 2017, n. 55).
In detti casi la revoca assume quella particolare connotazione di revoca - sanzione, poiché la caducazione degli effetti del provvedimento è giustificata da condotte scorrette del privato beneficiario di precedente provvedimento favorevole dell'amministrazione; tuttavia si tratta pur sempre di "motivi di pubblico interesse", successivi al provvedimento favorevole (o successivamente conosciuti dalla stazione appaltante, e per questo "sopravvenuti") che giustificano la revoca.
La particolarità di tale revoca consiste nel fatto che l'amministrazione non è tenuta a soppesare l'affidamento maturato dal privato sul provvedimento a sé favorevole e, d'altra parte, non ricorrono pregiudizi imputabili all'amministrazione e ristorabili mediante indennizzo poiché ogni conseguenza, ivi comprese eventuali perdite economiche, è imputabile esclusivamente alla condotta del privato (non dando luogo a responsabilità dell'amministrazione, neppure da atto lecito).
Nel caso in esame, ben poteva l'amministrazione ritenere (si vedrà poi se fondatamente) che il pubblico interesse alla scelta del contraente migliore, inteso come il contraente che dà maggiore sicurezza di diligente esecuzione delle prestazioni contrattuali, sotteso alle procedura di affidamento svolta, fosse pregiudicato dalla condotta dell'impresa che, ottenuta l'aggiudicazione, si sia accordata per affidare a terzi l'esecuzione
degli impegni in futuro assunti con il contratto di appalto al di fuori dei limiti posti dalla legge.
Quanto agli effetti in concreto derivati da tale qualificazione, essi saranno esaminati successivamente.
6. Qualificata la determinazione dirigenziale 10 maggio 2016 n. 130/07 quale provvedimento di revoca ex art. 21 quinquiesl. 7 agosto 1990, n. 241, se ne deve valutare la legittimità alla luce della motivazione a fondamento della decisione: tale questione è oggetto del primo motivo di appello proposto da Xxxxxx s.r.l. che va ora esaminato.
7. Con il primo motivo di appello, come detto, Antas s.r.l. censura la sentenza di primo grado per aver ritenuto sussistenti i presupposti "per la risoluzione dell'aggiudicazione" (che si è visto essere, in realtà, una revoca dell'aggiudicazione): la sentenza sarebbe viziata per travisamento dei fatti, carenza ed erroneità della motivazione, contraddittorietà e illogicità.
7.1. Prima di esporre i motivi di doglianza dell'appellante, è necessario riportare i contenuti della scrittura privata intercorsa tra Antas s.r.l. e A2E servizi s.r.l., che costituisce la ragione a fondamento della revoca dell'aggiudicazione disposta dal Comune di Pavia.
7.1.1. Le parti, dopo aver ricapitolato le pregresse vicende (la partecipazione alla procedura di evidenza pubblica indetta dal Comune di Pavia, il ricorso proposto da Xxxxx s.r.l. all'esito del quale era stata annullata l'aggiudicazione a favore di A2E servizi s.r.l., l'appello al Consiglio di Stato di quest'ultima e, infine, la scelta del Comune di dare esecuzione alla sentenza di primo grado aggiudicando l'appalto ad Antas s.r.l.), dichiaravano (lett. f) della scrittura) la loro "volontà di definire la controversia nei limiti di seguito descritti e ferma ogni inderogabile disposizione di legge, contestuale desistenza di A2E Servizi s.r.l. dal contenzioso RG 5889/2015 pendente avanti al Consiglio di Stato e ciò a fronte dell'instaurazione della collaborazione commerciale nei termini di cui al seguito e in via di compenso transattivo per la rinunzia al ricorso e alle pretese ad esso inerenti e/o comunque conseguenti".
Di seguito erano definiti i termini della collaborazione commerciale che prevedevano, in particolare: a) la rinuncia all'appello da parte di A2E
servizi s.r.l. (con impegno a non intraprendere alcuna ulteriore iniziativa volta a contestare la procedura di gara e rinuncia ad esercitare ogni diritto inerente la partecipazione alla gara); b) l'impegno di Xxxxx s.r.l. di affidare a A2E servizi: - la fornitura di combustibile necessario per l'esecuzione dell'appalto; - l'esecuzione delle attività operative come previste nel capitolato speciale d'appalto e dall'offerta presentata da Xxxxx s.r.l; - la realizzazione delle opere di efficientamento energetico previste dall'offerta di Antas s.r.l. (con la precisazione che i relativi investimenti sarebbero state riconosciuti a A2E servizi s.r.l. in quote di ammortamento annuali per la durata dell'appalto); c) i costi di direzione tecnica a carico di A2E servizi
s.r.l. e d) il diritto di A2E servizi s.r.l. ad un corrispettivo pari all'88,00% di quello spettante ad Antas s.r.l. in forza del contratto stipulato con il Comune.
La scrittura privata si concludeva con precisazione del seguente tenore: "Si rimanda a successivi specifici contratti in ottemperanza alla normativa vigente per attuare quanto concordato nella presente scrittura. Saranno stipulati singoli contratti per ogni componente del RTI di cui Antas è capogruppo".
7.1.2. Nella revoca dell'aggiudicazione il Comune di Pavia ha ritenuto che con il descritto contratto Antas s.r.l. abbia operato una vera e propria cessione di contratto vietata dalla legge (ai sensi dell'art. 118, comma 1, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), o, comunque, un subappalto oltre i limiti di legge, allo scopo di affidare integralmente l'appalto proprio a quell'impresa, A2E servizi s.r.l. che era stata ritenuta carente dei requisiti economico - finanziari dal giudice amministrativo. La condotta di Antas
s.r.l. era dunque giudicata gravemente irregolare poiché lesiva del pubblico interesse, con conseguente necessità di eliminare l'aggiudicazione operata a sua favore.
7.2. Il Tribunale amministrativo, sollecitato dal motivo di ricorso proposto dalla ricorrente, ha condiviso le valutazioni dell'Amministrazione: la scrittura privata rileva in maniera inequivoca che Antas s.r.l. non intende in realtà svolgere il servizio affidato, che, invece, sarà svolto di fatto dalla A2E servizi s.r.l.. La scrittura privata, infatti, è un contratto, la cui qualificazione come preliminare o definitivo è del tutto irrilevante, poiché quel che rileva è che tutte le attività che Antas s.r.l. si "impegna ad affidare" coincidono sostanzialmente con l'oggetto dell'appalto e per la loro
esecuzione è previsto un corrispettivo pari all'88% del prezzo dell'appalto, ovvero quasi coincidente con la sua totalità. In conclusione, a parere del giudice, la scrittura privata finisce per "snaturare completamente lo schema tipico del contratto d'appalto pubblico, consentendo all'aggiudicatario di non eseguire il contratto, affidandone invece l'esecuzione ad altra impresa, che nel caso di specie è stata addirittura ritenuta dal TAR - con sentenza passata in giudicato - priva dei requisiti per l'aggiudicazione dell'appalto stesso".
7.3. La società appellante critica la decisione di primo grado per aver trascurato l'esatta qualificazione della scrittura privata; a suo dire si tratterebbe di un contratto preliminare che rimanda a successivi contratti la definizione degli impegni reciproci dei contraenti. Più esattamente, si tratterebbe, secondo quanto è dato intendere dalla prospettazione della parte, di un preliminare di subappalto, cui sarebbero seguiti contratti definitivi nella conclusione dei quali sarebbe stato rispettato il limite di legge del 30% delle prestazioni subappaltabili nonché l'obbligo di preventiva comunicazione e sottoposizione alla stazione appaltante per la prescritta autorizzazione. Militerebbero nel senso della natura preliminare, il tenore letterale delle clausole (in particolare delle clausole di salvaguardia relative alla necessaria conformità alla legge dei successivi contratti attuativi), il contegno tenuto dalle parti successivamente alla stipulazione e, specialmente, la circostanza che tutte le prestazioni richieste dalla stazione appaltante in seguito alla consegna anticipata sono state svolte da Antas s.r.l. con proprio personale, nonché la bozza di accordo intervenuta tra Xxxxx s.r.l. e ASM Pavia, gestore uscente, e le rappresentanze sindacali, in forza del quale la prima dichiarava la sua volontà di assumere le cinque unità di personale del precedente gestore.
Sempre secondo l'appellante, avrebbe errato il tribunale, come anche l'amministrazione comunale, nel ritenere che il corrispettivo pattuito (88%) fosse riferito al prezzo dell'intero appalto, laddove esso era invece riferito al prezzo delle prestazioni subappaltabili (il 30% dell'oggetto dell'appalto); in ogni caso la scrittura privata è rimasta inattuata, non avendo Antas s.r.l. mai ricevuto le autorizzazioni al subappalto richieste all'amministrazione.
8. Il motivo è infondato.
L'appellante ripropone la questione dell'esatta qualificazione della scrittura privata conclusa con la A2E servizi s.r.l. il 24 agosto 2015, se contratto ad effetti immediati (con causa transattiva) ovvero contratto preliminare di subappalto (nel quale l'intento transattivo costituisce solo uno dei motivi).
Ritiene la Sezione che la scrittura privata intervenuta tra Xxxxx s.r.l. e A2E servizi s.r.l. è qualificabile come contratto di transazione ex art. 1965 cod. civ., trattandosi di contratto con il quale "le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata...".
In effetti, era effettivamente in corso una lite (al momento della stipulazione del contratto, pendente al Consiglio di Stato a seguito del vittorioso esperimento del ricorso al Tribunale amministrativo da parte di Antas s.r.l. avverso la prima aggiudicazione) ed è dato riscontrare nel regolamento contrattuale le "reciproche concessioni" nelle quali si sostanzia il contenuto tipico della transazione. Inoltre, le stesse parti dell'accordo enunciano la loro intenzione di "definire la controversia" e di farlo con "compenso transattivo".
8.1. Le reciproche concessioni consistono nella rinuncia di A2E servizi
s.r.l. all'appello proposto avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, in cui era rimasta soccombente, e, quanto ad Antas s.r.l., nell'"impegno ad affidare" una serie di prestazioni derivanti dall'appalto concluso con il Comune di Pavia all'altra società con conseguente pagamento di un corrispettivo fissato nella percentuale dell'88,00% di quello spettante in base al contratto di appalto.
Una delle reciproche concessioni consiste dunque nell'impegno di affidare l'esecuzione di servizi da attuarsi mediante la stipulazione di successivi contratti di subappalto derivanti dal contratto (principale) di appalto. I contratti di subappalto che le parti prospettano come necessari sono attuazione dell'impegno assunto nella transazione secondo uno schema che non è quello della contrattazione preliminare, non intervenendo nella fase delle trattative rivolte alla definizione del contenuto della futura contrattazione (che, invece, nella scrittura privata risulta già compiutamente definito), quanto piuttosto quello della contrattazione quadro (che può rientrare, a certe condizioni, nell'ambito della contrattazione c.d. normativa, come precisa Cass. civ., sez I, 9 agosto 2016, n. 16820).
In realtà, ad avviso della Sezione, la categoria giuridica più idonea a definire la vicenda in esame è quella di operazione economica intesa, secondo le indicazioni della dottrina che ha approfondito il concetto come "sequenza unitaria e composita che comprende in sé il regolamento, tutti i comportamenti che con esso si collegano per il conseguimento dei risultati voluti e la situazione oggettiva nella quale il complesso delle regole e gli altri comportamenti si collocano"; se, infatti, la categoria della causa c.d. in concreto consente di mettere a fuoco con chiarezza la ragione concreta o lo scopo pratico (così Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2017, n. 12069) per la quale il singolo contratto è concluso, essa risulta, invece, ancora strumento inadeguato in quelle situazioni nelle quali il singolo contratto è solamente uno dei segmenti dell'affare.
La ricostruzione dell'operazione economica che le parti hanno inteso concludere consente all'interprete di oltrepassare il singolo contratto e racchiudere in unico sguardo l'insieme degli atti e comportamenti tenuti dalle parti nella realizzazione dell'affare; essa pertanto si presta, meglio di altri strumenti concettuali, a qualificare il comportamento complessivo delle parti in termini di conformità/difformità al parametro legislativo (così come in termini di adempimento/inadempimento agli impegni assunti), a prescindere dalla validità (normalmente non contestata) dei singoli contratti, come dimostra l'impiego diffuso che ne fa la giurisprudenza in ambito tributario (cfr. Cass. civ., sez. trib., 28 febbraio 2017, n. 5090; sez. trib., 20 settembre 2017, n. 21767, ma per un'applicazione nell'ambito degli appalti pubblici, Cons. Stato, sez. III, 23 ottobre 2015, n. 4894). È chiaro comunque che la ricostruzione dell'operazione economica deve compiersi utilizzando i criteri di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., che definiscono all'interprete la traccia da seguire per cogliere la "comune intenzione delle parti".
Consente infine di formulare un giudizio immediatamente anche a prescindere dagli eventuali esiti dell'affare (nel caso di specie i successivi contratti di subappalto non ancora stipulati) in quanto già espressione concorde ed univoca di un preciso intento delle imprese coinvolte.
8.2. Valutati allora nel loro insieme la scrittura privata e i comportamenti tenuti dalle parti, come risultanti dalla documentazione versata in atti, ritiene la Sezione che meriti conferma la sentenza di primo grado laddove
ricostruisce l'operazione economica come diretta all'affidamento dell'esecuzione dell'interno contratto di appalto stipulato da Antas s.r.l. con il Comune di Pavia alla società A2E servizi s.r.l., mantenendo, in capo all'effettiva aggiudicataria, il solo ruolo di intermediaria con l'amministrazione.
8.3. Convince in tal senso la lettura dei comportamenti tenuti da Antas
s.r.l. dopo l'aggiudicazione del contratto di appalto che ne fa Comune di Pavia nei propri scritti difensivi, specie in replica alle opposte argomentazioni spese dall'appellante.
8.3.1. Due in particolare sono le vicende rilevanti: la prima di esse è la cessione del ramo azienda calore da parte di ASM Pavia s.p.a., gestore uscente del servizio, a favore di A2E servizi s.r.l.; la seconda è costituita dalla bozza verbale di accordo del 5 novembre 2015, nella quale si dà atto dell'incontro tra ASM Pavia s.p.a., Antas s.r.l. e le organizzazioni sindacali conclusosi con la proposta dell'appellante secondo cui i 5 lavoratori del gestore uscente - che l'aggiudicataria avrebbe dovuto assumere in esecuzione della c.d. clausola sociale - fossero assunti direttamente da A2E servizi s.r.l.
Le due vicende (per quanto l'assunzione dei lavoratori era effettivamente subordinata all'autorizzazione della stazione appaltante) vanno nella direzione di fornire a A2E servizi s.r.l. l'organizzazione e gli strumenti per eseguire le prestazioni oggetto del contratto di appalto stipulato con il Comune di Pavia.
Tutte le altre circostanze richiamate da Antas s.r.l. nei propri scritti difensivi (ivi comprese le richieste di autorizzazione al subappalto rivolte alla stazione appaltante) non contraddicono gli esiti interpretativi cui si è pervenuti, poiché non dimostrano univocamente l'intento dell'appellante di contenere il subappalto nei limiti di legge.
Ha buon gioco invece la difesa del Comune a rimarcare come il costo dei lavoratori per l'intera durata dell'appalto (nove anni) non poteva essere coperto dal corrispettivo fissato dalla scrittura privata per le commesse ottenute in sede di subappalto ove limitate alla percentuale di legge, l'88% del corrispettivo delle commesse pari alla quota del 30% dell'appalto. Tanto più che la limitazione alla quota del 30% nell'affidamento delle prestazioni - destinata ad assumere un ruolo centrale nella valutazione della convenienza economica dell'affare - non è in alcun modo richiamata nella scrittura intervenuta tra le parti.
8.4. In conclusione sul punto: la condotta di Xxxxx s.r.l. è contraria alla disciplina legislativa in materia di subappalto e, come tale, gravemente
irregolare e legittima la revoca dell'aggiudicazione che su tale ragione si fonda. Ciò vale ad escludere l'applicabilità dell'orientamento per il quale gli eventuali vizi del contratto di subappalto non valgono a invalidare l'aggiudicazione, richiamato dall'appellante nell'ultima parte del primo motivo di appello.
Quel che è in contestazione, come è ormai chiaro, non è la validità del contratto di appalto, ma la complessiva condotta dell'aggiudicataria valutata gravemente irregolare dall'amministrazione con decisione che si sottrae alle censure che le sono state rivolte da Xxxxx s.r.l..
8.5. La sentenza di primo grado che così ha giudicato merita conferma.
9. Con il terzo motivo di appello, Antas s.r.l. censura la sentenza di primo grado per aver dichiarato inammissibili il terzo e il quarto motivo di ricorso unitamente ai motivi aggiunti per carenza di interesse.
9.1. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso la ricorrente aveva contestato le modalità con le quali il Comune di Pavia, successivamente alla determinazione dirigenziale di revoca dell'aggiudicazione disposta a suo favore (n. 130/07 del 10 maggio 2016), aveva proceduto ad affidare il servizio a CPL Concordia; stando all'esposizione effettuata nell'atto di appello, secondo la ricorrente, la stazione appaltante non avrebbe potuto concludere il nuovo contratto di appalto senza prima disporre una nuova aggiudicazione provvisoria, seguita da una nuova aggiudicazione definitiva da comunicarsi agli altri concorrenti ai sensi di legge e del decorso dei periodi di stand still; con i motivi aggiunti veniva impugnata per illegittimità derivata la determinazione di aggiudicazione definitiva a CPL Concordia n. 152/07 del 1 giugno 2016.
Il Tribunale ha ritenuto che "la ricorrente, a fronte della legittima revoca dell'aggiudicazione, non ha uno specifico interesse a dolersi delle modalità del successivo affidamento del servizio, non avendo più una posizione giuridica qualificata nei confronti dell'Amministrazione".
9.2. Il motivo è inammissibile per violazione dell'art. 101, comma 1, cod. proc. amm.
L'appellante non rivolge specifiche censure alla statuizione di inammissibilità dei motivi per carenza di interesse, chiarendo le ragioni per le quali il giudice di primo grado avrebbe dovuto esaminare i motivi proposti pur a fronte della pronuncia sulla legittimità della revoca dell'aggiudicazione, ma si limita a riproporre, peraltro parzialmente, i motivi di ricorso, ribadendo che l'amministrazione comunale non ha adottato tutti provvedimenti resi necessari dall'intervenuta revoca dell'aggiudicazione, incorrendo, così, in vizi di invalidità della procedura di
nuova aggiudicazione. Può, allora, farsi applicazione dell'orientamento giurisprudenziale consolidato per il quale: "Nel giudizio amministrativo costituisce specifico onere dell'appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l'oggetto di tale giudizio è costituito da quest'ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado; il suo assolvimento esige quindi la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata, con la conseguenza che il mancato assolvimento di tale onere, con le modalità appena precisate, implica l'inammissibilità della censura relativa al capo della decisione che è rimasto estraneo alle critiche svolte nell'atto d'appello" (così Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2016, n. 2782).
10. Xxxx è che le questioni poste con l'ultimo motivo di appello consentono di affrontare un ulteriore profilo della vicenda in esame, su cui ci si era in precedenza riservati, quello degli effetti derivanti dalla qualificazione della determinazione dirigenziale impugnata quale revoca dell'aggiudicazione. L'appellante, specie nella memoria ex art. 73 cod. proc. amm., non ha mancato di rilevare come dalla revoca dell'aggiudicazione discendono effetti diversi da quelli che seguono alla risoluzione del contratto, onde l'amministrazione non avrebbe potuto procedere nei termini previsti dall'art. 136, comma 1, e 138 d.lgs. 163 cit. (stima dei lavori eseguiti da accreditare all'appaltatore con conseguente liquidazione finale dei lavori effettuati) nonché dall'art. 140 d.lgs. 163 cit. (interpello delle altre imprese al fine di stipulare un nuovo contratto di appalto).
10.1. Contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, ritiene la Sezione che l'amministrazione abbia correttamente proceduto anche in seguito alla revoca della prima aggiudicazione.
Va tenuto presente, infatti, che la revoca è stata disposta per comportamento (giudicato) irregolare dell'aggiudicatario; ciò che esclude l'obbligo di tenere indenne quest'ultimo dai pregiudizi economici sostenuti, come si è già avuto modo di chiarire al punto 5.1., e, tuttavia, a seguito dell'aggiudicazione vi era stata la consegna anticipata del servizio, onde l'aggiudicatario aveva svolto delle attività per le quali doveva essere compensato e tanto ha fatto l'amministrazione come si ricava dal contenuto della determinazione impugnata (cfr. il contenuto della determinazione 130/07: "Determina ...4. di dare atto che verrà avviato il procedimento stabilito dall'art. 138 d.lgs. 163/2006, al fine di consentire la liquidazione ed il pagamento delle somme dovute in relazione alle prestazioni eseguite da ANTAS s.r.l.").
Infine la procedura di interpello ex art. 140 cit. è stata svolta ai soli fini di acquisire la disponibilità dell'impresa successivamente collocata in graduatoria, tanto è vero che ad essa è seguito un nuovo provvedimento di aggiudicazione (152/07 del 1 giugno 2016, peraltro, impugnato con motivi aggiunti), e la stipulazione del contratto di appalto con CPL Concordia, nel rispetto delle fasi della procedura di aggiudicazione previste dalla legge.
11. Con ultimo motivo di appello Antas s.r.l. censura la sentenza di primo grado per aver respinto il quarto motivo di ricorso avente ad oggetto la nota 206/16 con la quale era avvenuta la sua convocazione al fine della redazione dei verbali di fine gestione e riconsegna lavori.
11.1. Il motivo è inammissibile: l'appellante non rivolge critiche alla statuizione sul punto del Tribunale, che aveva dichiarato inammissibile il motivo ritenendo la nota impugnata atto di carattere meramente procedimentale, privo di efficacia lesiva, e come tale non impugnabile, ma si limita a riferire, per ragioni la cui logica non è chiara, che solo dopo aver scoperto l'avvenuta aggiudicazione a CPL Concordia aveva potuto spiegare motivi aggiunti.
12. In conclusione, l'appello è integralmente respinto; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Consiglio di Stato, sez. III, 19/12/2017, Pres Frattini Est Noccelli.
FATTO e DIRITTO
1. Con la determinazione n. 278 del Settore Pubblica Istruzione n. 278 del 29 luglio 2014, il Comune di -OMISSIS-, odierno appellato, ha indetto una procedura aperta avente ad oggetto la gestione del servizio di mensa scolastica per il periodo dall'ottobre 2014 al giugno 2016 nella scuola dell'infanzia e secondaria di primo grado per un numero di circa 55.000 pasti annui.
1.1. Alla gara ha preso parte l'odierna appellante,-OMISSIS-., che all'esito delle relative operazioni è risultata aggiudicataria della commessa.
1.2. Con la nota prot. n. -OMISSIS- tuttavia, la Prefettura della Provincia di Roma ha trasmesso a-OMISSIS-. l'informativa antimafia interdittiva prot. n. -OMISSIS-, ai sensi e per gli effetti dell'art. 84, commi 3 e 4, e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011.
1.3. Con il successivo decreto n. -OMISSIS-, frattanto, la medesima Prefettura della Provincia di Roma, ravvisandone i presupposti, ha disposto la temporanea e straordinaria gestione dell'impresa ai sensi dell'art. 31, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014.
1.4. Ricevuta l'informativa, il Comune di -OMISSIS-, con la nota prot. - OMISSIS-, ha comunicato a-OMISSIS-. l'avvio del procedimento inteso alla revoca dell'aggiudicazione e ha invitato l'impresa a presentare le relative controdeduzioni.
1.5. Con la nota prot. n.-OMISSIS-,-OMISSIS-., a mezzo degli amministratori giudiziari nominati con decreto n. 102 del 27 luglio 2015 del Tribunale di Roma ai sensi dell'art. 34, commi 2 e 3, del d. lgs. n. 159 del 2011, ha trasmesso al Comune di -OMISSIS-tale decreto, unitamente al provvedimento prot. n. -OMISSIS-, per mezzo del quale il Prefetto di Roma ha sospeso al misura della straordinaria e temporanea gestione dell'impresa di cui all'art. 32, comma 10, della l. n. 114 del 2014.
1.6. Il Comune di -OMISSIS-, ciononostante, ha disposto la revoca dell'aggiudicazione, con la determina n. -OMISSIS-, a cagione della perdurante efficacia dell'informativa antimafia.
2. Detto provvedimento è stato impugnato avanti al T.A.R. per l'Abruzzo, sede -OMISSIS-da-OMISSIS-., che ne ha chiesto l'annullamento per l'asserita inidoneità del provvedimento interdittivo antimafia a giustificare la revoca dell'aggiudicazione.
2.1. Nel primo grado del giudizio si è costituito in resistenza il Comune di
-OMISSIS-, che ha chiesto la reiezione del ricorso ex adverso proposto.
2.2. Con successivi motivi aggiunti-OMISSIS-. ha contestato la legittimità del provvedimento impugnato anche alla luce degli ulteriori provvedimenti sopravvenuti e, in particolare, del provvedimento del - OMISSIS-, con il quale la Prefettura di Roma aveva dichiarato cessata la misura della straordinaria e temporanea gestione dell'impresa, attestando l'assenza di cause o ragioni che giustificassero la valutazione di permeabilità mafiosa dell'impresa.
2.3. Il T.A.R. per l'Abruzzo, sede -OMISSIS-con la sentenza n. -OMISSIS-
, ha tuttavia respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti da-OMISSIS-., compensando le spese di lite tra le parti.
3. Avverso tale sentenza ha proposto appello-OMISSIS-., articolando quattro motivi di censura che saranno di seguito esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con l'accoglimento di tutte le domande di primo grado.
3.1. Si sono costituiti il Comune di -OMISSIS-, appellato, e la Prefettura di Roma, entrambi per resistere all'impugnazione, di cui hanno chiesto la reiezione.
3.2. Nella camera di consiglio del 21 aprile 2016, fissata per l'esame della domanda sospensiva, il Collegio, sull'accordo delle parti, ha rinviato la causa per la trattazione del merito alla pubblica udienza del 3 novembre 2016.
3.3. La causa, per ragioni di connessione rispetto ad altri contenziosi, è stata infine rinviata, per la discussione, all'udienza pubblica del 12 dicembre 2017.
3.4. Infine, nell'udienza pubblica del 12 dicembre 2017, il Collegio, sentiti i difensori delle parti e all'esito dell'ampia discussione svoltasi tra questi anche in ordine ad altre cause connesse, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L'appello di-OMISSIS-. è infondato e deve essere respinto.
5. Con il primo motivo (pp. 7-9 del ricorso)-OMISSIS-. censura la sentenza impugnata per avere, a suo avviso erroneamente, respinto la richiesta di sospensione, formulata dalla ricorrente in primo grado ai sensi dell'art. 79 c.p.a. e dell'art. 295 c.p.c., in ragione della pendenza dell'impugnazione, dinanzi al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, del provvedimento antimafia ad effetto interdittivo emesso dalla Prefettura di Roma.
6.1. Secondo l'appellante, infatti, la sentenza di prime cure merita riforma perché il primo giudice avrebbe dovuto attendere l'esito del giudizio R.G.
n. -OMISSIS-, instauratosi avanti al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, in
quanto la decisione sulla predetta impugnativa aveva carattere pregiudiziale, costituendo domanda principale rispetto al giudizio celebratosi innanzi al T.A.R. per l'Abruzzo, sede -OMISSIS-che, rispetto al primo, assumeva la connotazione di domanda accessoria.
6.2. Il motivo è destituito di fondamento.
6.3. Il primo giudice ha ritenuto, sul punto, di non potere vagliare le censure sollevate contro la presupposta informativa, perché proposte avanti ad un diverso giudice e, cioè, il T.A.R. per il Lazio, e di non poter disporre la sospensione del giudizio, nemmeno chiesta dall'odierna appellante che, alla luce dei provvedimenti adottati dalla Prefettura e dal Tribunale di Roma, ha sostenuto che il ricorso avverso l'informativa avesse perso gran parte dell'originario interesse a coltivare il giudizio avanti al
T.A.R. per il Lazio (pp-10-11 della sentenza impugnata).
6.4. La statuizione del primo giudice va immune da censura anche perché, al momento in cui fu adottata la revoca dell'aggiudicazione in questo giudizio impugnata,-OMISSIS-. aveva impugnato l'informativa antimafia avanti al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, ma non ha poi impugnato con motivi aggiunti, nel medesimo giudizio relativo alla causa principale, il consequenziale atto adottato dall'Azienda.
6.5. È stata dunque-OMISSIS-. a dare causa, con il proprio contegno processuale (l'impugnativa dell'atto consequenziale in un separato giudizio, avanti al T.A.R. per l'Abruzzo, anziché avanti al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, giudice della causa principale che avrebbe attratto per connessione anche la causa accessoria), alla situazione costituente il presupposto logico-giuridico della qui invocata pregiudizialità, in spregio di quanto ha affermato la sentenza n. 17 del 31 luglio 2014 dell'Adunanza plenaria di questo Consiglio.
6.6. In detta pronuncia, intervenuta a dirimere un annoso contrasto giurisprudenziale proprio sul giudice territorialmente competente in ordine alle impugnative, anche separate, delle informazioni antimafia e degli atti consequenziali, l'Adunanza plenaria ha chiarito che l'impugnativa degli atti consequenziali all'informativa antimafia dovrebbe avvenire con motivi aggiunti avanti al T.A.R., già adito, competente territorialmente a giudicare dell'informativa (e, cioè, quello del luogo in cui ha sede la
Prefettura che ha emesso il provvedimento interdittivo), senza moltiplicare avanti a diversi TT.AA.RR., come ha pure puntualmente evidenziato la sentenza impugnata (p. 11), i giudizi relativi agli atti applicativi adottati dalle diverse stazioni appaltanti sul territorio nazionale, per "le esigenze di concentrazione dei procedimenti e di realizzazione del simultaneus processus, anche al fine di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale secondo i principi di cui all'art. 24 e 111 Cost. ed i principi comunitari" ed evitare, in questa materia, il ben noto fenomeno del c.d. forum shopping (Adunanza plenaria, 31 luglio 2014, n. 17).
6.7. Non può dunque-OMISSIS-. invocare l'applicazione dell'art. 295
c.p.c. quando è stata essa stessa ad introdurre la causa pregiudiziale con separato giudizio rispetto alla causa pregiudicata.
6.8. In ogni caso, e per quanto qui rilevar possa, la causa pregiudiziale, definita dal T.A.R. per il Lazio con la sentenza n. -OMISSIS-ed appellata dal Ministero dell'Interno, dalla Prefettura di Roma e dall'ANAC avanti a questo Consiglio di Stato con ricorso avente R.G. n. -OMISSIS-, è stata chiamata in decisione, per evidenti ragioni di connessione-pregiudizialità, alla stessa udienza pubblica del 12 dicembre 2017, sicché la denegata sospensione del giudizio, al di là della sua inammissibilità per le vedute ragioni, non può determinare alcun conflitto tra giudicati, nemmeno potenzialmente, perché anche la causa pregiudiziale viene simultaneamente decisa da questo Consiglio di Stato con contestualità, ed uniformità, di giudicati.
6.9. Il motivo dunque, in quanto destituito di fondamento, deve essere respinto.
7. Con il secondo motivo (pp. 9-16 del ricorso) e il terzo motivo (pp. 16- 23), che possono essere unitariamente esaminati per la sostanziale connessione loro iter logico-giuridico e per la evidente unicità del quadro fattuale ad esse sotteso,-OMISSIS-. critica la pronuncia di prime cure per aver violato o falsamente applicato gli artt. 34,67,83,84,94, comma 1, 95, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011, gli artt. 38 e 46 del d. lgs. n. 159 del 2011, in quanto ha respinto la tesi, sostenuta dalla ricorrente in primo grado, secondo cui la misura della temporanea gestione, adottata dalla Prefettura di Roma, e quella successiva dell'amministrazione giudiziaria avrebbero sterilizzato gli effetti interdittivi dell'informativa antimafia,
comunque revocata con effetti ex tunc, a dire dell'appellante, dalla stessa Prefettura di Roma con la revoca dell'informativa adottata il -OMISSIS-.
7.1. L'iter argomentativo della sentenza appellata è contestato dall'odierno appellante che, con il motivo in esame, sostiene in sintesi che:
a) l'informazione antimafia interdittiva di cui all'art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011 non sarebbe espressamente contemplata tra le cause di esclusione di cui all'art. 38, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 163 del 2006, applicabile ratione temporis, che si riferirebbe espressamente alle sole comunicazioni antimafia di cui all'art. 67 del d. lgs. n. 159 del 2011, e non produrrebbe, quindi, effetti sulla procedura di gara né genererebbe la decadenza dall'aggiudicazione, sicché l'Amministrazione non potrebbe trarre dall'emissione dell'informativa alcuna conseguenza, men che mai in termini di vincolatività, circa la revoca dell'aggiudicazione o, come in questo caso, dell'intera gara;
b) la tassatività delle cause di esclusione - ai sensi dell'art. 46 del d. lgs. n. 163 del 2006, ora abrogato - impedirebbe di ricomprendere tra le ipotesi di esclusione previste dal codice dei contratti pubblici l'emissione dell'informazione antimafia a carico dell'impresa aggiudicataria, considerando, peraltro, che le norme del codice antimafia hanno natura speciale e, in quanto restrittive delle situazioni giuridiche soggettive dei destinatari delle misure, devono ritenersi di stretta interpretazione;
c) in ogni caso la revoca dell'informativa antimafia da parte della Prefettura di Roma, intervenuta il successivo -OMISSIS-, avrebbe determinato, retroattivamente, la perdita di efficacia dell'informativa stessa, con effetto ex tunc, dell'informativa stessa, come questo Consiglio di Stato avrebbe accertato, relativamente al caso di -OMISSIS-, nella sentenza di questa stessa sezione III, -OMISSIS-.
8.2. La tesi dell'appellante è priva di pregio, relativamente alle singole deduzioni qui in sintesi riportate, in quanto:
a) è di chiara, sistematica, incontestabile evidenza, sul piano normativo, che l'emissione dell'informazione antimafia, ai sensi dell'art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, rientra tra le cause di esclusione dalla gara e comporta ineluttabilmente l'impossibilità di stipulare i contratti con la
pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. b), in quanto, secondo la previsione dell'art. 116, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, i richiami alle disposizioni della l. n. 1423 del 1956 e alla l. n. 575 del 1965 si devono intendere riferiti al d. lgs. n. 159 del 2011 e, in particolare, agli artt. 67 e 84 del codice antimafia, che contemplano le due misure di prevenzione amministrative della comunicazione antimafia e dell'informazione antimafia, entrambe ad effetto interdittivo ai sensi dell'art. 67 del d. lgs. n. 159 del 2011, senza che possa distinguersi sul punto, come fa l'appellante sulla base di un argomento meramente letterale e formalistico che tradisce la ratio della normativa in materia, tra comunicazioni e informazioni antimafia solo per l'imperfetta tecnica di coordinamento normativo tra le previgenti disposizioni della l. n. 575 del 1965 e le disposizioni del codice antimafia;
b) il principio di tassatività delle cause di esclusione, conseguentemente, non è in alcun modo violato, perché è evidente che l'impossibilità di contrarre con la pubblica amministrazione, prevista dall'art. 38 del d. lgs.
n. 163 del 2006, comporta, e anzi impone in modo vincolante (salve le ipotesi eccezionali previste dal codice antimafia, tra le quali quella, che qui non si applica, dell'art. 94, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011), la immediata revoca dell'aggiudicazione e/o l'immediato recesso dal contratto, senza che la pubblica amministrazione destinataria della documentazione antimafia - comunicazione o informazione che sia - abbia alcun margine di discrezionale apprezzamento in ordine alla incapacità di contrarre che ha colpito l'impresa a cagione della sua permeabilità mafiosa;
c) l'informazione antimafia è stata revocata dalla Prefettura di Roma solo il -OMISSIS- e con effetti ex nunc, non già ex tunc, come a torto sostiene l'appellante, trattandosi di aggiornamento positivo dell'informativa, ai sensi dell'art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, e non già di annullamento in autotutela o consimile provvedimento adottato dall'Amministrazione.
7.3. A quest'ultimo riguardo, peraltro, va osservato che la Sezione si è già pronunciata, per analogo caso, con la sentenza n. -OMISSIS-, laddove ha chiarito che la Prefettura di Roma, su impulso dalla Sezione delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma pronunciatasi con ordinanza del 17 settembre 2015, ha revocato con effetto ex nunc, con il provvedimento del -OMISSIS-, ai sensi dell'art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011 e,
cioè, in sede di aggiornamento delle misure antimafia, tutte le misure interdittive nonché anche quelle conservative, peraltro già in precedenza sospese, adottate ai sensi dell'art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014.
7.4. In questa pronuncia, le cui motivazioni sono qui da intendersi richiamate tutte ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., la Sezione ha osservato che "la validità del recesso deve essere anzitutto apprezzata, per il principio del tempus regit actum, con riferimento alla data della sua adozione [...] allorché, come si è rilevato, era pienamente operante e vincolante l'efficacia interdittiva dell'informativa, rimanendo dunque ininfluenti sulle sue sorti gli atti sopravvenuti", concludendone che i successivi provvedimenti, giudiziari e amministrativi, adottati rispettivamente dal Tribunale di Roma e dalla Prefettura di Roma, con efficacia, peraltro, ex nunc, non possono incidere sulla validità degli atti adottati dall'Amministrazione e, nel caso qui esaminato, della revoca contestata.
7.5. Nel caso di specie, che pure presenta alcuni connotati peculiari rispetto al precedente citato, si deve peraltro osservare, come ha anche correttamente rilevato il primo giudice, che alla data in cui fu adottata la delibera qui avversata - l'11 agosto 2015 - era stata, sì, disposta l'amministrazione giudiziaria dell'impresa, ai sensi dell'art. 34 del d. lgs. n. 159 del 2011, circostanza, questa, rappresentata dalla stessa-OMISSIS-. al Comune di -OMISSIS-in sede procedimentale, ma senza che fosse venuta meno o, comunque, sospesa l'efficacia interdittiva dell'informazione antimafia, all'epoca vincolante per il Comune di -OMISSIS-, tanto che è stato lo stesso Tribunale di Roma, che pure tale amministrazione aveva disposto, a richiedere alla Prefettura di revocare l'informazione antimafia per evitare che il suo permanente, e vincolante, effetto interdittivo per lo svolgimento delle attività economiche interferisse con le finalità di tale amministrazione giudiziaria, non bastando a tal fine la sospensione della temporanea e straordinaria amministrazione dell'impresa in precedenza disposta ai sensi dell'art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014.
7.6. Il motivo, pertanto, deve essere respinto, in quanto sono del tutto condivisibili e meritano convinta conferma le ragioni per le quali il primo giudice ha ritenuto che, permanendo intatta e vincolante, al momento in cui fu adottato l'atto, l'efficacia interdittiva dell'informazione antimafia, il Comune di -OMISSIS-altro non abbia potuto fare, legittimamente, che
revocare l'aggiudicazione, senza che sul punto potessero influire, sino alla successiva revoca dell'informativa avvenuta il -OMISSIS- comunque con effetti ex nunc, i provvedimenti adottati dalla Prefettura di Roma e, poi, dal Tribunale di Roma.
8. Con il quarto motivo (pp. 23-26 del ricorso), infine, l'odierna appellante censura la sentenza impugnata per avere negato, a suo avviso erroneamente, che le vicende successive all'emissione dell'informativa antimafia - e, in particolare, l'amministrazione giudiziaria disposta dal Tribunale di Roma - non obbligassero l'Amministrazione a contrarre con- OMISSIS-., la cui offerta era pure risultata, all'esito della gara, la migliore sul piano qualitativo proprio nell'interesse pubblico perseguito dall'Amministrazione con l'adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa in sede di gara.
8.1. Il motivo è palesemente destituito di fondamento perché, stante la irrilevanza dei provvedimenti adottati dalla Prefettura e dal Tribunale di Roma per le ragioni dette, la permanente vincolatività dell'informativa antimafia, alla data di adozione dell'atto, obbligava il Comune a revocare l'aggiudicazione, senza che esso avesse qualsivoglia margine di apprezzamento discrezionale circa la maggiore convenienza, per l'interesse pubblico, dell'offerta presentata di-OMISSIS-.
8.2. Né può sostenersi, come vuole l'appellante (p. 24 del ricorso), che l'indennizzo di cui all'art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990 debba comunque essere riconosciuto all'impresa, colpita da informativa antimafia, e ciò per l'elementare considerazione secondo cui la revoca dell'aggiudicazione ottenuta da impresa gravata da informativa antimafia è un atto doveroso, per l'Amministrazione procedente, la quale agisce, necessitata, al fine di scongiurare invece un danno per l'interesse pubblico e, va qui aggiunto, l'erario pubblico, quello di intrattenere un rapporto contrattuale con un soggetto permeabile a logiche mafiose, con erogazione di danaro pubblico in favore di detta impresa, danaro che certo non può essere ottenuto, seppure in parte, a diverso titolo di indennizzo.
9. In conclusione, per le ragioni sin qui esposte, l'appello di-OMISSIS-. deve essere respinto in tutti i suoi quattro motivi, con la conseguente integrale conferma della sentenza impugnata, che ha correttamente acclarato, sulla base di attenta motivazione, la legittimità della revoca
dell'aggiudicazione e ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, con ogni consequenziale pretesa, anche risarcitoria, formulata dall'appellante.
10. Le spese del presente grado del giudizio, attesa la complessità fattuale dell'intera vicenda, possono essere interamente compensate tra tutte le parti.
11. Rimane comunque definitivamente a carico dell'appellante, per la soccombenza sostanziale, il contributo unificato richiesto per la proposizione dell'appello.
Consiglio di Stato ad. plen., 20/06/2014, Pres Giovannini est Meschino
…..
3. L'Adunanza plenaria ritiene, per le ragioni che seguono, che, intervenuta la stipulazione del contratto per l'affidamento dell'appalto di lavori pubblici, l'amministrazione non può esercitare il potere di revoca dovendo operare con l'esercizio del diritto di recesso.
3.1. Ai sensi del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 (in seguito anche "codice"), la fase della scelta del contraente, conclusa con l'aggiudicazione definitiva, risulta distinta da quella, successiva, della stipulazione e conseguente esecuzione del contratto, pur costituendone il necessario presupposto funzionale, considerato che l'aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell'offerta (art. 11, comma 7, primo periodo, del codice) e che, pur divenuta efficace l'aggiudicazione definitiva, prima della stipulazione resta comunque salvo "L'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti" (art. 11, comma 9). Il vincolo sinallagmatico nasce perciò soltanto con il separato e distinto atto della stipulazione del contratto quando, essendo stata fino a quel momento irrevocabile soltanto l'offerta dell'aggiudicatario (art. 11, comma 7, secondo periodo), l'amministrazione a sua volta si impegna definitivamente.
3.2. Ciò considerato la giurisprudenza ha affermato che la fase conclusa con l'aggiudicazione ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri
amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente nella tutela della concorrenza, mentre quella che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l'attuazione del rapporto negoziale ha carattere privatistico ed è quindi retta dalle norme civilistiche (Corte costituzionale, sentenze n. 53 e n. 43 del 2011; Cassazione, Sez. un. civ. n. 391 del 2011; Consiglio di Stato, Sez. III, n. 450 del 2009).
3.3. Nella fase privatistica l'amministrazione si pone quindi con la controparte in posizione di parità che però, è stato anche precisato, è "tendenziale" (Corte Cost. n. 53 e n. 43 del 2011 citate), con ciò sintetizzando l'effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per l'amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune, definite di autotutela privatistica (Ad. Plen.
n. 6 del 2014); ciò, evidentemente, perché l'attività dell'amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell'interesse pubblico, con la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte.
3.4. Nel codice dei contratti pubblici sono previste norme con tratti di specialità riguardo specificamente alla fase dell'esecuzione del contratto per la realizzazione di lavori pubblici, cui attiene la questione all'esame.
Ci si riferisce a norme collocate nella Parte II, Titolo III del codice (Disposizioni ulteriori per i contratti relativi ai lavori pubblici) relative alla disciplina del recesso dal contratto e della sua risoluzione, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 134 - 136 del codice (collocate nel Capo II del Titolo III e perciò riferite agli appalti di lavori pubblici ex art. 126 del codice), della risoluzione per inadempimento e, specificamente, della revoca delle concessioni di lavori pubblici in finanza di progetto ai sensi dell'art. 158 del medesimo codice, ovvero della sospensione dei lavori ai sensi dell'art. 158 e seguenti del regolamento di attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207).
In questo contesto la specialità della disciplina del recesso emerge non soltanto perché, a fronte della generale previsione civilistica (art. 1373 c.c.), il legislatore ne ha ritenuto necessaria una specifica nella legge sul procedimento (art. 21-sexies) ma in particolare perché l'art. 134, nel concretare il caso applicativo di tale previsione, lo regola in modo diverso rispetto all'art. 1671 c.c., prevedendo il preavviso all'appaltatore e, quanto
agli oneri, la forfetizzazione del lucro cessante nel dieci per cento delle opere non eseguite e la commisurazione del danno emergente, fermo il pagamento dei lavori eseguiti, al "valore dei materiali utili esistenti in cantiere" mentre, per il citato art. 1671 c.c., il lucro cessante è dovuto per intero ("il mancato guadagno") e per il danno emergente vanno rimborsate tutte le spese sostenute.
3.5. Su questa base si ritiene di poter affermare quanto segue.
3.5.1. La posizione dell'amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall'insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l'amministrazione, in forza di quest'ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l'amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono.
Ciò rilevato ne consegue che deve ritenersi insussistente, in tale fase, il potere di revoca, poiché: presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell'interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità (Cass. n. 391 del 2011 cit.; Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2008, n. 4455); la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l'esercizio della revoca.
Se infatti, come correttamente indicato dal giudice rimettente, nell'ambito della normativa che regola l'attività dell'amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell'interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale); richiamato anche che, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca "per motivi di pubblico interesse" a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la
realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice).
In caso contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando nell'ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate a operare, una normativa priva di portata pratica, dal momento che l'amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione comunque privilegiata; fermo restando, come anche richiamato dalla V Sezione, che per l'amministrazione la maggiore onerosità del recesso è bilanciata dalla mancanza dell'obbligo di motivazione e del contraddittorio procedimentale.
3.5.2. Quanto sopra vale in riferimento alla possibilità della revoca nella fase aperta con la stipulazione del contratto nel procedimento per l'affidamento dell'appalto di lavori pubblici, che è l'oggetto specifico del quesito all'esame.
Resta perciò impregiudicata, nell'inerenza all'azione della pubblica amministrazione dei poteri di autotutela previsti dalla legge, la possibilità:
a) della revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto; b) dell'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell'art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, nonché concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l'aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso (Cass. sezioni unite, 8 agosto 2012, n. 14260; Cons. Stato: sez III, 23 maggio 2013, n. 2802; sez. V: 7 settembre 2011, n. 5032; 4 gennaio 2011, n. 11, 9 aprile 2010, n. 1998).
Così come, pure nel caso di contratto stipulato, sussiste la speciale previsione in ordine al recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza (Cass. n. n. 391 del 2011 cit.) ha riferito alla nozione dell'autotutela autoritativa, poiché potere "del tutto alternativo a quello generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F" (oggi art. 134 del codice dei contratti pubblici); qualificazione questa che può ritenersi
tuttora valida poiché le stazioni appaltanti, pur nel quadro della normativa oggi vigente in materia, devono comunque valutare l'esistenza delle eccezionali condizioni non comportanti l'altrimenti vincolato esercizio del diritto di recesso (art. 94, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 159 del 2011).
3.5.3. In questo quadro si coordina e delimita, ad avviso del Collegio, la previsione della revoca di cui al comma 1-bis dell'art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché dall'ambito di applicazione della norma risulta esclusa la possibilità di revoca incidente sul rapporto negoziale fondato sul contratto di appalto di lavori pubblici, in forza della speciale e assorbente previsione dell'art. 134 del codice (così, come, per la medesima logica, né è esclusa la revoca di cui all'art. 158 del codice), restando per converso e di conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall'amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi.
4. Sulla base di quanto esposto l'Adunanza plenaria afferma il seguente principio di diritto: <<Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell'aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall'art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006 .>>.
5. Ciò affermato l'Adunanza plenaria, ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p.a., restituisce gli atti alla Sezione quinta di questo Consiglio per le ulteriori pronunce sul merito della controversia e sulle spese del giudizio.
T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. I, 02/07/2018, n. 1637, Pres De Zotti est Vampa
Diritto
1. Va, in via preliminare, esaminata la eccezione di tardività della memoria depositata dal Comune di Varenna, eccezione che la società ricorrente formula con l'atto di replica dell'11 maggio 2018.
La tesi della società ricorrente non può essere condivisa, attesa la applicabilità al presente giudizio della dimidiazione dei termini exartt. 119 e 120 c.p.a..
1.1. E, invero, è ictu oculi evidente che la potestas di "ritiro" de qua agitur ha la stessa natura di quella che si è dispiegata con la procedura di gara ed è culminata con l'aggiudicazione per cui è causa.
L'atto di annullamento -in ragione di asseriti vizi di legittimità, ed in presenza di ragioni di interesse pubblico attuali e concrete- costituisce espressione di un potere di riesame avente valenza "uguale e contraria" rispetto a quello di "amministrazione attiva" che si è concretato con l'aggiudicazione definitiva.
1.2. Di talché, nulla quaestio sulla riconducibilità degli atti impugnati nell'ambito della testuale dictio di cui:
- all'art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., ove si ha riguardo ai "provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture";
- all'art. 120, comma 1, c.p.a., che si riferisce agli "atti delle procedure di affidamento (...) relativi a pubblici lavori, servizi o forniture".
Il provvedimento di annullamento della aggiudicazione, invero, è senz'altro "concernente" la procedura di gara ed è indubitabilmente un atto che si inscrive -sia pure in guisa caducatoria, con efficacia ex tunc- in una "procedura di affidamento", costituendo "contrarius actus" rispetto al provvedimento di aggiudicazione.
1.3. D'altra parte, anche sotto un profilo funzionale, la potestà di riesame in autotutela ha ad oggetto fatti, atti e (eventuali) vizi che affliggono la
procedura; si tratta a ben vedere delle stesse questioni che, in caso di ricorso diretto avverso gli atti di gara, sarebbero rimesse al Giudice in un processo governato dal rito accelerato exartt. 119 e 120 c.p.a..
A fronte della omogeneità delle questioni sollevabili avanti il Giudice - direttamente ovvero attraverso il "filtro" del provvedimento in autotutela dalla P.A. - appare ragionevole assicurare altresì la uniformità delle relative regole processuali.
Diversamente opinando si condizionerebbe la applicazione dello speciale rito in materia di appalti al mero "accidente" costituito dalla esistenza di un procedimento di riesame, e si determinerebbe altresì - a fronte di atti e situazioni giuridiche affatto omogenee - una irragionevole disparità di trattamento tra:
- la posizione dei soggetti ab origine e direttamente lesi dagli atti della procedura e dal provvedimento di aggiudicazione, in quanto non collocati utilmente in graduatoria, tutelabile nelle forme e nei modi di cui all'art. 120 c.p.a.;
- la posizione dei soggetti che, inizialmente aggiudicatari, risultino lesi dai successivi atti di ritiro e di riesame incidenti sulla medesima procedura, esaminabile di contro in un giudizio governato dal "rito ordinario" (per quel che qui interessa, non assoggettato alla dimidiazione dei termini processuali, ivi compresi quelli per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche).
1.4. La ricostruzione sopra esposta, d'altra parte, è ampiamente condivisa in giurisprudenza, per cui "il rito speciale di cui agli artt. 119 e 120 cod. proc. amm. si applica anche allorché oggetto di gravame sia la revoca dell'aggiudicazione, atteso che anche in tale fattispecie emergono le esigenze di celerità connesse al rito, il quale, peraltro, se comprende le procedure di affidamento dei contratti pubblici, deve logicamente essere applicato anche al contrarius actus che ne dispone la revoca o l'annullamento" (solo da ultimo, CdS, V, 21 maggio 2018, n. 3025; cfr., altresì, TAR Lazio, 5273/2015; TAR Lombardia, 186/2014 sulla applicabilità del rito speciale anche agli atti di autotutela che "abbiano come bersaglio i provvedimenti assunti nel corso di una procedura di affidamento relativa a pubblici lavori, servizi e forniture").
1.5. Del resto a conclusioni del genere sembra essere giunta la stessa parte ricorrente che risulta avere incardinato il presente giudizio (notificazione del ricorso e suo deposito) nel rispetto dei termini processuali siccome risultanti dalla dimidiazione exartt. 119 e 120 c.p.a..
2. Può ora procedersi allo scrutinio del gravame, rilevando la fondatezza del primo mezzo, con cui la ricorrente si duole dell'esercizio intempestivo della potestas di annullamento a' sensi dell'art. 21-nonies l. 241/90.
2.1. È naturalmente pacifica, contrariamente a quanto opinato dal Comune resistente, la sussistenza della legitimatio ad causam e ad processum della impresa ricorrente, che si è vista spogliare della attribuzione patrimoniale conseguita con la aggiudicazione definitiva (e la successiva stipulazione del contratto) mercè l'esercizio della potestà di autotutela oggetto di impugnazione.
2.2. Xxxxxx, è pacificamente comprovato per tabulas che:
- l'aggiudicazione definitiva dell'appalto per cui è causa è stata disposta con provvedimento del 20 ottobre 2015;
- il provvedimento di aggiudicazione definitiva è intervenuto, indi, sotto l'imperio dell'art. 21-nonies, siccome risultante dalle modifiche apportate dalla l. 124/2015;
- il provvedimento di annullamento in autotutela di detta aggiudicazione è stato adottato con determinazione n. 105 del 29 giugno 2017;
- l'atto di "ritiro" in autotutela è stato adottato dopo il decorso del termine di diciotto mesi contemplato nel "novellato" art. 21-nonies l. 241/90.
Ne discende, irrefragabile, la intempestività del provvedimento di annullamento, adottato allorquando l'esercizio della relativa potestas era irrimediabilmente precluso alla stazione appaltante.
2.3. E, xxxxxx, come sopra accennato, l'art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), l. 7 agosto 2015, n. 124 ha modificato l'art. 21-nonies, comma 1, l. 241/90 nei sensi in appresso: "Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo".
Si tratta di una disposizione di particolare rilevanza, che attribuisce una specifica pregnanza al decorso del tempo e al relativo affidamento che si ingenera nel privato sulla stabilità degli effetti giudici favorevoli -di ampliamento della sfera giuridica, autorizzatori o di attribuzione di vantaggi economici- discendenti dall'esercizio dei pubblici poteri.
Non a caso, e non a torto, si è ritenuto che la norma in esame codifichi nella legge generale sul procedimento amministrativo un principio di civiltà giuridica, funzionale a riequilibrare l'asimmetria immanente nel rapporto tra l'Autorità e gli amministrati, introducendo un limite temporale all'esercizio del potere amministrativo di riesame (tradizionalmente inesauribile e, in ogni caso, astretto a limiti non ben scanditi, siccome risultanti da clausole "elastiche" quali: "ragionevolezza del termine"; motivazione specifica; interessi dei destinatari e dei controinteressati et similia) in guisa speculare rispetto a quello che tradizionalmente connota lo ius agendi dei privati, con l'ordinario termine di decadenza di 60 giorni, ovvero di 120 giorni per l'azione risarcitoria o il ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Come efficacemente osservato dal Supremo Consesso, il nuovo art. 21- nonies della legge 241/90 introduce un "nuovo paradigma" nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione; nel quadro di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e della certezza, il legislatore del 2015 ha fissato un termine decadenziale avente connotazione di assoluta novità, in quanto funzionalmente e teleologicamente preordinato:
- non già -come sempre era stato in passato- a garantire la inoppugnabilità degli atti nell'interesse della Amministrazione ovvero, come di recente, con il termine di 120 giorni di cui all'art. 30, c.p.a. per l'esperimento della azione risarcitoria, in funzione di stabilità dei rapporti pubblicistici e di salvaguardia delle esigenze di bilancio e di spesa (artt. 81, 97 e 119, parametri costituzionali espressamente evocati dal Giudice delle leggi a sostegno della legittimità del citato termine di 120 giorni per la domanda di risarcimento dei danni: C. Cost. 4 maggio 2017, n. 94);
- bensì, e in ciò risiede l'ubi consistam della novella, a fissare limiti invalicabili di preclusione/consumazione del potere pubblico nell'interesse dei consociati, al fine di consolidare le situazioni giuridiche soggettive favorevoli nascenti da atti amministrativi, e renderle non più perennemente "claudicanti", siccome esposte in ogni tempo alla potestà di riesame della Amministrazione.
2.4. La legge n. 124/2015, con la modifica all'art. 21-nonies l. 241/90, ridisegna il rapporto tra i poteri pubblici e i privati "incisi" assegnando fondamentale significanza al decorso del tempo, per le situazioni giuridiche discendenti da provvedimenti amministrativi, in funzione di tutela:
- dell'affidamento del privato, la cui sfera giuridica -ampliata dal potere amministrativo- non può tollerare una situazione di diuturna instabilità; e ciò, beninteso, sempre che il privato non abbia contribuito, con contegni riprovevoli e penalmente rilevanti, alla adozione di provvedimenti illegittimi (art. 21-nonies, comma 3, l. 241/90);
- della certezza e della stabilità delle situazioni giuridiche, "a latere" privatistico; d'altra parte, sul decorso del tempo quale fatto che vale a consumare e precludere l'esercizio del potere, anche nei rapporti tra PP.AA., si veda il nuovo art. 17-bis della l. 241/90 (sul silenzio assenso tra amministrazioni) norma non a caso posta a raffronto con l'art. 21-nonies che ci occupa; come affermato dal Consiglio di Stato in sede consultiva, "a tale nuova regola generale [id est, l'art. 21-nonies l. 241/90] che riforma i rapporti 'esterni' dell'amministrazione con i privati, corrisponde - introdotta ad opera dell'art. 17-bis - una seconda regola generale, che pervade i rapporti 'interni' tra amministrazioni" (CdS, comm. speciale, parere 13 luglio 2016, n. 1640).
2.5. A ben vedere, inoltre, la regola di cui all'art. 21-nonies si iscrive, e vale a specificarne il contenuto, nel più generale alveo dei doveri di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare i rapporti intersoggettivi, segnatamente allorquando una delle parti rivesta lo status di "professionista" ovvero di soggetto particolarmente qualificato (sul contatto sociale qualificato nei rapporti tra privati e P.A. valga il richiamare CdS, a.p., 4 maggio 2018, n. 5; Cass., I, 12 luglio 2016, n. 14188).
Si tratta, dunque, di una regola speculare -nella ratio e negli effetti- a quella dell'inoppugnabilità dell'atto amministrativo, ma creata, a differenza di questa, in considerazione delle esigenze di certezza e per la tutela del privato.
2.6. Orbene, nella fattispecie che ci occupa è pacifica la intempestività del provvedimento di annullamento per il superamento del termine contemplato all'art. 21-nonies l. 241/90.
D'altra parte, il ritardo nella adozione delle determinazione impugnata appare, in ogni caso, inescusabile atteso che gli asseriti vizi posti a fondamento dell'atto di annullamento:
- afferiscono sostanzialmente alla difformità del progetto presentato dalla impresa aggiudicataria, e quivi ricorrente, rispetto a quello posto a base della gara, "le cui previsioni collocavano la rotatoria in questione all'interno della Xxxxxxxx xx Xxxxxxx xxxxx xx X.X. x. 00 a circa 70 metri dall'imbocco sud", oltre ad altre difformità tutte puntualmente enumerate dall'Amministrazione (minore ampiezza del diametro; diversa distanza dalla rete ferroviaria) ed al conseguente contrasto con il PGT; ulteriori vizi sono poi rilevati in ordine alla carenza in capo alla aggiudicataria della qualificazione OS21 per poter realizzare l'opera all'esterno della galleria e alla attribuzione della qualitas di responsabile della sicurezza in capo ad un componente della commissione giudicatrice;
- appaiono -nella loro stessa prospettazione- ictu oculi percepibili e, in ogni caso, immediatamente conoscibili nella loro oggettiva consistenza dalla Amministrazione committente.
E, invero, la concreta natura del progetto presentato dalla impresa ricorrente e la sua difformità rispetto a quello primigenio è ben stata apprezzata dalla stazione appaltante e da tutti i diversi soggetti a vario titolo coinvolti nella procedura di gara atteso che, come rimarcato supra in punto di fatto:
- dopo l'aggiudicazione provvisoria il Comune di Varenna (nota del 4 febbraio 2015), ben consapevole delle citate difformità della offerta risultata vittoriosa, espressamente condizionava la emanazione della aggiudicazione definitiva ad una nuova approvazione da parte della conferenza di servizi del progetto definitivo della società ricorrente;
- la conferenza di servizi espressamente approvava il progetto definitivo appositamente presentato dalla aggiudicataria provvisoria in data 12 giugno 2015 (verbali del 4 agosto e dell'8 settembre 2015);
- il Comune di Varenna, recependo le determinazioni della conferenza di servizi e i pareri in quella sede resi dalla locale Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per la Lombardia e dalla Provincia di Lecco (oltre che da RFI) espressamente approvava il progetto definitivo della Carnazzola Geom. Xxxxxxx s.p.a. (progetto la cui pretesa difformità al disciplinare di gara si è poscia invocata in sede di autotutela) con delibera di G.C. n. 86 del 22 settembre 2015, con la quale si approvava, altresì, "il quadro economico dell'intervento aggiornato sulle risultanze di gara".
La aggiudicazione della gara in favore della ricorrente, pertanto, è intervenuta al termine di una lunga sequenza procedimentale durata oltre dieci mesi (dal dicembre 2014 all'ottobre 215) nel corso della quale tutte le Amministrazioni hanno ben esaminato e valutato le modalità progettuali connotanti la offerta risultata poi vittoriosa: modalità progettuali che, dunque, lungi dall'essere "acriticamente" recepite dalla commissione giudicatrice, sono state oggetto di espressa approvazione da parte della conferenza di servizi e del Comune di Varenna con puntuali determinazioni, valide ed efficaci, e ormai inoppugnabili.
La piena conoscenza, fin nei minimi dettagli, da parte della Amministrazione -recte, delle Amministrazioni coinvolte- del progetto per cui è causa, oggetto di espressa approvazione dopo la aggiudicazione provvisoria (del 30-12-2014) e prima della aggiudicazione definitiva (20-
10-2015), rende, anche sotto per tale verso, oggettivamente ingiustificabile lo spatium temporis intercorso fino al 29 giugno 2017 (data di emanazione dell'atto di annullamento), lasso temporale in ogni caso più ampio rispetto a quello massimo di diciotto mesi contemplato dalla legge.
2.7. Né possono condividersi le argomentazioni della resistente circa:
- la inapplicabilità ratione temporis del novellato art. 21-nonies; per contro, è proprio il principio del tempus regit actum -pure invocato dal Comune- a rendere applicabile la nuova disciplina, e il termine di diciotto mesi ivi contemplato, al provvedimento di annullamento per cui è causa, adottato in data 29 giugno 2017 per rimuovere l'aggiudicazione definitiva del 20 ottobre 2015; l'intero lasso temporale de quo si è dunque consumato sotto l'imperio della nuova normazione, entrata in vigore il 28 agosto 2015;
- il dies a quo del detto termine di diciotto mesi, che non può che rinvenirsi nella data di adozione del provvedimento di aggiudicazione; ché, a tacer d'altro, è questo provvedimento che, da un canto conclude la procedura di gara e cristallizza la posizione della impresa vincitrice, e dall'altro costituisce la manifestazione di volontà autoritativa su cui solo può incidere la potestà di annullamento in autotutela (che non può certo intervenire sull'atto di autonomia negoziale di cui è espressione il contratto successivamente stipulato); è, invero, l'annullamento dell'aggiudicazione la indefettibile condicio per la caducazione automatica, anche degli effetti negoziali del contratto, per la stretta consequenzialità funzionale tra essa aggiudicazione e la stipulazione dello stesso (CdS, a.p., 14/2014).
2.8. Analogamente, non può darsi rilievo al momento in cui si è iniziato il procedimento di riesame ex art. 21-nonies l. 241/90 (comunicazione di avvio ex art. 7 l. 241/90 del 4 marzo 2017) atteso che:
- la dictio letterale della norma individua inequivocabilmente il dies ad quem del citato termine nel momento in cui l'atto illegittimo è "annullato d'ufficio";
- come puntualmente rilevato, la norma in esame "per essere effettiva deve essere applicata senza prestarsi a prassi elusive quale sarebbe, ad esempio, quella di ritenere che per il rispetto del termine di diciotto mesi sia sufficiente un mero avvio dell'iter dell'autotutela", mentre invece "il
termine va riferito alla compiuta adozione degli atti di autoannullamento" (CdS, comm. speciale, parere 30 marzo 2016, n. 839).
2.9. Anche il richiamo all'art. 108 del d.lgs. 50/2016, e segnatamente al comma 1-bis di tale disposizione (che esclude la preclusione temporale nelle ipotesi di risoluzione previste al comma 1), non si attaglia alla fattispecie de qua, trattandosi di norma inapplicabile:
- ratione temporis, costituendo il portato dell'intervento cd. "correttivo" sul codice degli appalti, id est dell'art. 73, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, recante "Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 0000, x. 00" (xx Gazz. Uff., S.O., 5 maggio 2017, n. 103), ed entrato in vigore il 20 maggio 2017, allorquando lo spatium temporis di diciotto mesi per l'annullamento di cui trattasi era già spirato; e ciò anche a voler trascurare il dato, rimarcato da parte ricorrente, per cui la disposizione si applica in ogni caso -a mente dei principi di diritto transitorio foggiati all'art. 216 del Codice degli appalti- "alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore";
- ratione materiae, atteso che l'atto di annullamento impugnato non rientra in alcuna delle ipotesi tipizzate nel comma 1 dell'art. 108, d.lgs. 50/2016.
E, invero, nel caso che ci occupa non si verte in tema di:
- risoluzione ex lett. a) e b), comma 1, dell'art. 108; il provvedimento impugnato, come ampiamente esposto, incide sulla procedura di gara, rimuovendo l'atto di aggiudicazione definitiva per asseriti vizi di legittimità (la caducazione del contratto ne costituisce conseguenza necessitata); non si è, dunque, in presenza di un meccanismo di scioglimento del vincolo contrattuale afferenti alle dinamiche del rapporto sinallagmatico inter partes;
- carenza in capo all'aggiudicatario dei requisiti per l'aggiudicazione, costituenti motivo di esclusione ai sensi dell'art. 80 d.lgs. 50/16 (art. 108, comma 1, lett. c));
- grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, "come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in un procedimento ai sensi dell'articolo 000 XXXX" (art. 108, comma 1, lett. d)).
3. In conclusione, il ricorso va accolto, con l'annullamento degli atti impugnati e la correlata reviviscenza del provvedimento di aggiudicazione definitiva e del successivo contratto stipulato inter partes.
In tal guisa soddisfacendo in forma specifica l'interesse azionato dalla società ricorrente.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo