GLI EFFETTI DEL CONTRATTO DI MANDATO
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA
FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
GLI EFFETTI DEL CONTRATTO DI MANDATO
Relatore Canditato
Proff.ssa Xxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx Xxxxxx
Anno Accademico 2012 – 2013
INDICE
Nota introduttiva
CAPITOLO I – GLI ELEMENTI CHE INDIVIDUANO IL TIPO CONTRATTUALE
1) L'obbligazione del mandatario
1.1) La fonte contrattuale dell'obbligazione del mandatario
1.2) L'oggetto dell'obbligazione del mandatario – prestazione di "fare" consistente nel compimento di atti giuridici
1.3) Significato dell'agire "per conto" e dell'agire "in nome" altrui
2) Le parti del mandato
2.1) Gli interessi delle parti ed il mandato in rem propriam 2.2) La capacità giuridica
2.3) La capacità d'agire
3) La causa del mandato
4) L'oggetto del mandato
4.1) Nozione di atti giuridici oggetto del fare del mandatario
4.2) Requisiti dell'oggetto del mandato: possibile, lecito, determinato o determinabile
5) La forma del mandato
5.1) La forma del mandato con rappresentanza 5.2) La forma del mandato senza rappresentanza
5.3) Conseguenze della nullità del mandato per difetto di forma
CAPITOLO II – IL MANDATO CON RAPPRESENTANZA
1) La fattispecie normativa e gli effetti
2) Oggetto dell'attività gestoria
3) Il rapporto tra mandato e procura 3.1) L'autonomia della procura
4) Forma del mandato con rappresentanza
5) La spendita del nome del mandante
6) L'articolazione dei rapporti giuridici nel mandato con rappresentanza
6.1) La posizione giuridica del mandante 6.2) La posizione giuridica del mandatario
6.3) La posizione giuridica del terzo contraente
6.4) La rappresentanza apparente nella tutela delle ragioni del terzo
CAPITOLO III – IL MANDATO SENZA RAPPRESENTANZA
1) La fattispecie normativa e gli effetti
2) Confronto tra mandato senza rappresentanza, interposizione di persona e negozio fiduciario
3) La posizione giuridica del mandatario senza rappresentanza
4) Irrilevanza della conoscenza del rapporto di mandato da parte del terzo contraente
5) Legittimazione attiva e passiva ad esperire azioni contrattuali
5.1) Esercizio da parte del mandante dei diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato
5.2) Effetti della sostituzione del mandante ex art. 1705, II comma,
c.c. e azioni del terzo contraente nei suoi confronti
CAPITOLO IV – GLI ACQUISTI DEL MANDATARIO
1) Disciplina degli acquisti del mandatario nel mandato con e senza rappresentanza
2) Fattispecie normativa e conseguenze giuridiche dell'acquisto di beni mobili
2.1) Xxxxxx sulla legittimazione del mandante ad esperire azioni petitorie e possessorie sulle cose mobili acquistate dal mandatario senza rappresentanza
3) Mandato ad acquistare cose di specie
4) Mandato ad acquistare cose di genere o massa di cose
5) La posizione giuridica del mandatario prima dell'effetto traslativo
6) Azione di rivendica del mandante e diritti dei terzi possessori in buona fede
7) Acquisti del mandatario per conto del mandante di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri
7.1) Teorie sulla natura dell'atto di ritrasferimento
8) Il mandato senza rappresentanza ad alienare
9) Rapporti tra mandante e creditori del mandatario senza rappresentanza
9.1) L'esecuzione ordinria
9.2) Fallimento del mandatario
10) Il fondamento giuridico dei criteri normativi di soluzione del conflitto fra mandante e creditori del mandatario
CAPITOLO V – LE OBBLIGAZIONI DEL MANDATARIO
1) Il sistema normativo delle obbligazioni delle parti nel contratto di mandato
2) L'obbligazione di compiere l'atto gestorio e la c.d. identificazione del negozio gestorio
3) Diligenza nelle obbligazioni di fare e superamento della distinzione fra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato
3.1) Diligenza e buona fede nell'esecuzione del mandato e degli atti preparatori e strumentali
4) Xxxxxxxxx ed inesattezza dell'esecuzione della prestazione del mandatario
5) La diligenza nell'adempimento del mandato gratuito
6) Mandato e diligenza inerente ad attività professionali
6.1) Il mandato come archetipo delle operazioni bancarie e finanziarie: diligenza della banca e dell'intermediario finanziario
6.2) Diligenza del mandatario nell'acquisto di prodotti finanziari
7) Obbligo di informazione del mandatario
7.1) Obbligo di informazione e responsabilità della banca mandataria per il c.d. "Venerdì nero della lira"
8) L'obbligazione di rimettere al mandante i risultati della gestione e di corrispondere gli interessi sulle somme riscosse
9) Obbligazioni accessorie: rendiconto, comunicazione, custodia
10) Obbligazioni accidentali: lo star del credere
CAPITOLO VI – ECCESSO DI MANDATO
1) Nozione di eccesso di mandato
2) Rilevanza della distinzione fra mandato specifico e mandato generico
3) Ruolo delle clausole generali di correttezza e buona fede
4) L'eccesso di mandato nella giurisprudenza
5) La legittimazione del mandatario all'esercizio dei diritti derivanti dall'atto gestorio, in caso di eccesso di mandato
6) La ratifica dell'atto eccedente i limiti del mandato
7) Abuso di mandato ed inapplicabilità dell'art. 1711 c.c. fuori dall'ipotesi qualificabile come eccesso di mandato
8) Eccesso di mandato ed eccesso di procura
9) Eccesso di mandato e gestione degli affari altrui
10) Deviazioni consentite dal mandato (art. 1711, II co., c.c.)
CAPITOLO VII – LE OBBLIGAZIONI DEL MANDANTE
1) Obbligazioni ed oneri a carico del mandante
2) La somministrazione al mandatario dei mezzi necessari per l'esecuzione del mandato
3) Adempimento degli oneri e delle obbligazioni di somministrare
4) Il patto contrario di cui all'art. 1719 c.c.
5) Conseguenze dell'inadempimento delle prestazioni a carico del mandante
6) Obbligazione di rimborsare le anticipazioni effettuate dal mandatario
7) La natura del credito del mandatario
8) Obbligazione di rimborsare gli interessi legali sulle anticipazioni effettuate dal mandatario
9) Obbligazione di pagare il compenso
10) Obbligazione di indennizzo delle perdite subite dal mandatario
11) Differenza fra la responsabilità contrattuale del mandate, ai sensi dell'art. 1720 c.c., e la responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2049 c.c.
BIBLIOGRAFIA
1) Dottrina
2) Giursprudenza
NOTA INTRODITTIVA
Il mandato rientra nella categoria degli strumenti contrattuali attuativi del fenomeno della cooperazione, che si contraddistinguono per l'identità del fine, consistente nel conseguimento di un risultato utile a favore di un determinato soggetto, e si differenziano, invece, per il modo in cui la cooperazione si realizza.
L'alienità dell'interesse rispetto al soggetto agente costituisce l'elemento che caratterizza il contratto di mandato, indipendentemente dalla rilevanza esterna del rapporto, cioè sia nel caso in cui il rapporto gestorio rimanga circoscritto nell'ambito delle parti che lo hanno costituito, sia nel caso in cui esso abbia rilevanza esterna, per effetto del conferimento dei poteri di rappresentanza a favore del mandatario. L'alienità dell'interesse gestito incide anche sui caratteri dell'attività di cooperazione posta in essere dal mandatario. Nello specifico, tale attività è la stessa che il mandante espleterebbe se agisse direttamente. Con la conseguenza che il mandatario non solo cura l'interesse altrui, ma operando in sostituzione del mandante, impegna direttamente la sfera giuridica di quest'ultimo.
I momenti salienti e distintivi del rapporto di mandato possono pertanto, essere individuati nel fenomeno della cooperazione giuridica, nel compimento dell'attività giuridica da parte del mandatario e nell'individuazione del destinatario degli effetti che conseguono dall'espletamento di tale attività.
In merito alla cooperazione giuridica, e non meramente materiale, essa rappresenta la genesi del rapporto, infatti, il fenomeno cooperativo si configura nel momento in cui il mandante non potendo, o non volendo, curare direttamente i propri interessi si avvale dell'attività del mandatario cui affida l'incarico di compiere atti giuridici per proprio conto. Specularmente il mandatario che assume l'incarico si prefigge di svolgere la propria attività a beneficio del mandante e quindi pone in essere atti giuridici nell'interesse di quest'ultimo, con la conseguenza che la cooperazione viene inquadrata in termini di dovere giuridico di una delle parti e di diritto dell'altra.
In merito all'attività giuridica espletata dal mandatario, in veste di cooperatore giuridico, occorre rilevare che essa genera diritti e obblighi nei confronti di terzi, ma ciò che la contraddistingue è la circostanza che, anche nel caso in cui tali diritti e obblighi siano stati assunti dal mandatario mediante la spendita del proprio nome, essi nascono sempre e comunque nell'interesse del mandante, in quanto titolare dell'interesse gestito.
La scelta dello strumento giuridico attraverso cui conferire la funzione gestoria è rimessa all'operatore che può utilizzare alternativamente il negozio unilaterale di procura, il mandato con
rappresentanza o il mandato senza rappresentanza.
La giurisprudenza ha evidenziato, con riferimento ad un caso concreto avente ad oggetto un mandato ad alienare beni immobili, che "Le situazioni che si possono presentare sono sostanzialmente tre. Una procura, che attribuisce al rappresentante un potere di vendere un immobile del rappresentato, non necessariamente postula un sottostante rapporto di mandato e per il rappresentante, nei confronti del mandante, un obbligo di compiere l'atto.
Per converso, le parti possono stipulare un contratto di mandato, il quale obbliga il mandatario a porre in essere un contratto di vendita di un bene del mandante, senza però spenderne il nome, ed al quale dunque non si accompagna il conferimento di potere rappresentantivo dal mandante al mandatario e perciò la formazione di una procura.
Ma procura e mandato possono andare insieme.
Conferire un potere di rappesentare, di agire e perciò vendere in proprio nome è il mezzo giuridico di cui la parte si vuole servire per concludere il contratto di trasferimento e di questo mezzo si avvale nell'ambito di un rapporto di mandato, che obbliga il mandatario a porre in essere l'atto e che costituisce per le parti fonte di diritti ed obblighi che nascono da questo tipo di contratto". (Cass. 10 novembre 2000, nr. 14637, Contr., 2001, 975).
La scelta deve avvenire tenendo conto della rispondenza degli effetti giuridici agli effetti pratici voluti dalle parti, infatti l'alternativa tra mandato con o senza rappresentanza è rimessa alla valutazione del mandante.
L'automatismo degli effetti giuridici nel caso di mandato con rappresentanza evita rischi sia al mandante (che non risente di eventuali infedeltà del mandatario, nè di eventuali iniziative dei creditori di quest'ultimo), sia al mandatario (che non rimane coinvolto da eventuali inadempimenti del mandante all'obbligo di tenerlo indenne dalle spese fatte). Prevarrà, invece, la scelta del mandato senza rappresentanza se interesse preminente del mandante è quello di rimanere celato ai terzi.
CAPITOLO I
GLI ELEMENTI CHE INDIVIDUANO IL TIPO CONTRATTUALE
Prima di addentrarsi nella disciplina del mandato è opportuno individuarne gli elementi tipizzanti, ovvero gli elementi che caratterizzano e contraddistinguono il rapporto contrattuale in oggetto, infatti solo se tali elementi ricorrono nella fattispecie negoziale concreta, essa sarà riconducibile al rapporto di mandato.
1) L'obbligazione del mandatario
Il nucleo imprescindibile per l'individuazione del contratto di mandato è fondato sull'esistenza dell'obbligazione assunta dal mandatario, di svolgere l'attività gestoria per conto del mandante, avente per oggetto il compimento di atti giuridici.
L'art. 1703 c.c. individua la figura contrattale del mandato mediante due caratteristiche. La prima concerne il tipo di attività svolta dal mandatario, infatti si deve trattare del compimento di "atti giuridici", e non di una mera attività materiale. La seconda concerne il destinatario degli effetti economici derivanti dagli atti che il mandatario compie, infatti tali atti sono posti in essere "per conto altrui", nel senso che non il mandatario, bensì altri soggetti sono destinatari finali degli effetti dell'attività gestoria.
Interpretando l'art. 1703 c.c., la dottrina ha evidenziato che tale "norma non enuncia tutti i tratti distintivi del mandato rispetto ad altri tipi contrattuali, ma con efficace espressione presenta all'interprete il cuore del contratto: il mandatario si impegna a compiere atti non meramente materiali, per conto del mandante" (Xxxxxxxxx 1994, 154).
"L'obbligazione di compiere l'attività gestoria costituisce quindi la nota elementare e costante della figura: ne identifica la funzione specifica. Essenziale è la previsione pattizia di un obbligo (per il gestore) di agire per conto altrui: in mancanza di ciò dovrebbe ritenersi esclusa la configurabilità di un mandato, e potrà aversi eventualmente uno di quei rapporti di gestione che vengono chiamati autorizzazione a gestire o c.d. mandato di cortesia". (Xxxxxxxx 2007, 12; nello stesso senso Carpino 2007, 3; Xxxxxxxx 1964, 116;
Xxxxxxxxx 1985, 44).
Il contratto di mandato si caratterizza per ulteriori elementi rispetto a quelli derivanti dalla nozione di cui all'art. 1703 c.c., ma si tratta di
elementi che, pur incidendo sugli effetti del contratto, hanno natura eventuale e quindi non sono necessari nella fase di accertamento del tipo contrattuale.
In proposito autorevole dottrina ha rilevato che: "Il mandato viene individuato come tipo dal codice civile vigente utilizzando il criterio costituito dalla prestazione. La prestazione caratterizzante questo tipo legale è unicamente quella, del mandatario, di compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra parte (art. 1703 c.c.), di guisa che lo schema contrattuale rimane inalterato sia che il mandatario debba agire in nome proprio o in nome altrui (art. 1704 c.c.) sia che all'agente debba o non debba essere corrisposto un compenso (art. 1709 c.c.)". (Luminoso 1984, 42-43).
In sintesi l'accertamento della riconducibilità di una concreta fattispecie negoziale al tipo legale del mandato, definito dall'art. 1703 c.c., postula che l'attenzione dell'interprete sia posta sui seguenti elementi:
1) la fonte dell'obbligazione del mandatario, rappresentata necessariamente dal contratto di mandato;
2) l'oggetto della prestazione del mandatario che consiste in un'attività gestoria, ovvero in una prestazione di fare avente ad oggetto il compimento di "atti giuridici";
3) la caratteristica essenziale dell'attività gestoria compiuta dal mandatario che deve essere necessariamente realizzata "per conto del mandante".
1.1) La fonte contrattuale dell'obbligazione del mandatario
Elemento tipizzante del mandato è rappresentato dalla natura contrattuale della fonte dell'obbligazione gestoria assunta dal mandatario e ciò consente di differenziare il contratto di mandato di cui all'art. 1703 c.c. dalla gestione di affari altrui di cui all'art. 2028
c.c. e di escludere, dall'ambito del mandato, le attività gestorie spontanee, le attività gestorie motivate da doverosità morale o sociale ed i c.d. "negozi autorizzativi".
La principale differenza tra il contratto di mandato e la gestione di affari altrui deriva dalla circostanza che l'obbligazione gestoria assunta dal mandatario nasce dal rapporto contrattuale di mandato. Invece, nella nozione di gestione di affari altrui fissata dall'art. 2028 c.c., l'attività gestoria non deriva da un rapporto negoziale che determina il sorgere dell'obbligazione a carico del gestore, ma è tale soggetto che opera "senza esservi obbligato", pertanto il compimento dell'attività gestoria rappresenta il fatto che comporta a carico del soggetto che l'ha iniziata l'obbligazione di continuarla.
La giurisprudenza ha sottolineato la contrapposizione tra l'obbligo del
mandatario assunto per effetto del contratto di mandato rispetto alla spontaneità dell'intervento del gestore, infatti: "L'istituto della negotiorum gestio, così come previsto e disciplinato dagli artt. 2028 ss. cc., postula uno svolgimento di attività, da parte del gestore, diretta al conseguimento dell'esclusivo interesse dell'altro soggetto, - non configurabile, quindi nelle ipotesi in cui ricorra una contrapposizione dei rispettivi interessi di cui risultino portatori rispettivamente, il negotiorum gestor ed il negotiorum gestus - caratterizzato dalla spontaneità dell'intervento del gestore, e quindi dalla mancanza di un qualsivoglia rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui". (Cass. 22 dicembre 2004, n. 23823, MGC, 2005, 1).
L'art. 2030 c.c. facendo riferimento allo schema del mandato non incide sulla qualificazione della fattispecie, ma solo sulla disciplina giuridica applicabile al comportamento del gestore che ha iniziato spontaneamente l'attività gestoria. Infatti, la cooperazione gestionale finisce per l'assumere un unico regolamento contenuto nelle norme sul mandato, a prescindere dalla fonte dell'obbligazione ad eseguirla. Inoltre, devono essere mantenuti distinti dal contratto di mandato e quindi estranei alla fattispecie di cui all'art. 1703 c.c., i rapporti ispirati da impulsi religiosi, morali o da istanza di solidarietà sociale. In questo caso l'agire di un soggetto per realizzare l'altrui interesse è rilevante solo sul piano sociale e non risponde ad una tutela giuridica. (Xxxxxxxxx 1985, 45).
Ulteriore fattispecie da mantenere distinta dal rapporto di mandato si configura in presenza di "autorizzazione a gestire", ovvero in ipotesi in cui un soggetto riceva l'incarico di curare un affare dell'incaricante, senza che l'incaricato assuma un impegno preciso e stringente come quello che contraddistingue il mandatario. Emblematici sono i casi in cui direttamente nell'atto di conferimento dell'incarico si prevede espressamente che lo stesso verrà eseguito dall'incaricato solo se egli ne "avrà concretamente la possibilità", oppure, se "avrà tempo" o addirittura "se vorrà". Si tratta in sostanza di situazioni caratterizzate da una posizione di facoltà anziché di obbligo, pertanto esse non sono assimilabili al mandato. Comunque trattandosi di figure negoziali che rientrano nell'ambito della cooperazione gestoria, sul piano disciplinare sono applicabili le disposizioni in materia di mandato. (Luminoso 1984, 90).
1.2) L'oggetto dell'obbligazione del mandatario - prestazione di "fare" consistente nel compimento di "atti giuridici"
Un ulteriore elemento essenziale del contratto di mandato è rappresentato dall'oggetto dell'obbligazione del mandatario,
consistente in una prestazione di fare.
Si tratta di un fare particolare, in quanto si sostanzia in un'attività di tipo lavorativo, specificatamente di tipo autonomo e non subordinato. La dottrina ha rilevato che "la prestazione, il cui compimento è devoluto al mandatario, ha per contenuto un facere per conto altrui; essa rientra pertanto nell'ambito della nozione giuridica del lavoro, intesa in senso lato". (Xxxxxxxxx, 1957).
Preme precisare che l'autonomia della prestazione gestoria non deve essere intesa in senso assoluto, infatti il mandatario deve comunque adempiere agli obblighi contenuti nel contratto ed eseguire le istruzioni del mandante, con la precisazione che la mancanza di un rapporto di subordinazione comporta che il mandatario nell'eseguire l'incarico abbia comunque una certa sfera di discrezionalità.
Essendo l'obbligazione del mandatario una prestazione di fare emergono problematiche generali che contraddistinguono tale tipologia di prestazioni, ovvero problematiche determinate dal relativo contenuto tendenzialmente generico, infatti esse vengono definite nel loro contenuto attraverso l'indicazione del risultato da conseguire, con la conseguenza ulteriore che la tensione al risultato ha bisogno di una determinazione continua e costante che si protrae nel tempo. (Xxxxxxxx, 1984, 129).
Inoltre, per quanto possa essere dettagliata la rappresentazione che le parti si fanno dell'attività gestoria da compiere, essa conserva sempre un certo margine di genericità che pone problemi nella fase di esecuzione dell'incarico.
Altro elemento di rilievo attinente alle obbligazioni di fare riguarda il ruolo che in esse assumono i principi di correttezza e di buona fede e la diligenza. In merito autorevole dottrina sostiene che "le prestazioni di "lavoro" richiedono una determinazione progressiva del contegno del debitore. Ciò spiega il ruolo particolarmente pregnante degli obblighi di diligenza e correttezza (art. 1175 e 1375) nella fase attuativa del mandato. La diligenza costituisce infatti un criterio di determinazione del contenuto della prestazione, indicando, essa la misura dell'attenzione, della cura e dello sforzo psicologico che il debitore deve adottare per attuare la prestazione". (Luminoso 1984, 389).
1.3) Significato dell'agire "per conto" e dell'agire "in nome" altrui
Ai fini dell'analisi del rapporto di mandato occorre distinguere i ruoli dei soggetti coinvolti nella vicenda contrattuale. In tal senso si distinguono:
- il ruolo del soggetto psicologico, ovvero del soggetto che mediante
la sua volontà concorre alla formazione e alla conclusione del contratto;
- il ruolo del soggetto giuridico, che diventa parte del rapporto contrattuale e quindi destinatario dei relativi effetti giuridici;
- il ruolo del soggetto economico, ovvero del soggetto che assume la paternità ed il rischio dell'operazione economica e che quindi è destinatario degli effetti economici vantaggiosi e svantaggiosi dell'affare.
In base alla suddetta distinzione si possono configurare due diverse situazioni: l'ipotesi in cui i ruoli sopra identificati vengono assunti da uno stesso soggetto oppure l'ipotesi in cui tali ruoli vengono assunti da soggetti diversi, con conseguente dissociazione delle descritte qualità soggettive.
I fenomeni di dissociazione corrispondono a figure sintetizzate nel linguaggio giuridico con l'espressione "agire in nome", che indica la direzione degli effetti giuridici del contratto, e con l'espressione "agire per conto"o "nell'interesse", che indica la direzione dei risultati economici del contratto.
Gli istituti che si basano sulla cooperazione gestoria si caratterizzano per il fatto che il gestore agisce "in nome proprio e per conto altrui", conseguentemente quest'ultimo pur essendo soggetto psicologico e soggetto giuridico (quindi parte del rapporto contrattuale), non è tuttavia soggetto economico e cioè destinatario dei risultati economici imputabili invece al gerito.
Per gli istituti il cui nucleo è costituito dalla sostituzione, il rapporto di gestione è accompagnato dal meccanismo della rappresentanza, per cui il gerente assume solo il ruolo di soggetto psicologico, mentre nella sfera del gerito si segnalano sia il ruolo di soggetto giuridico (parte del rapporto contrattuale), sia quello di soggetto economico, che assume cioè il rischio dell'operazione ed è destinatario dei suoi risultati pratici.
2) Le parti del mandato
Le parti del contratto di mandato sono esclusivamente il mandante ed il mandatario.
In proposito la dottrina rileva che: "Con il contratto di mandato una parte si obbliga a compiere una determinata attività giuridica per conto e nell'interesse dell'altra, e quest'ultima, almeno normalmente, si obbliga a pagarle un compenso. Il mandato, perciò, secondo tale suo schema tipico, è un contratto bilaterale nel senso che le parti contraenti devono essere due, e non possono essere in numero superiore a due". (Xxxxxxxx 1964, 117. Nello stesso senso Bavetta 1975, 338; Carnevali 1990, 1, 1.1, Carpino 2007, 8; Xxxxxxxx 1985,
48; Xxxxxxxx 2007, 50).
Il mandante è la parte che conferisce al mandatario l'incarico di compiere l'attività gestoria per suo conto, ovvero attenendosi alla lettera della legge, la parte per conto della quale il mandatario si è obbligato a compiere uno o più atti giuridici.
Rispetto all'atto gestorio egli non è né soggetto psicologico né soggetto giuridico, ma rimane soggetto economico e pertanto assume la paternità dell'affare ed il relativo rischio, diventando destinatario dei risultati economici vantaggiosi e svantaggiosi dell'intera operazione economica.
Il mandatario è la parte che assume l'obbligazione di compiere l'attività gestoria a seguito di incarico ricevuto dal mandante e che di conseguenza deve rimettere al mandante medesimo i risultati conseguiti, ovvero attenendosi alla lettera della legge, la parte che si obbliga a compiere uno o più atti giuridici, per conto dell'altra.
La posizione delle parti del mandato acquista un particolare valore tecnico a seconda che il mandato sia conferito senza rappresentanza, e quindi in nome proprio del mandatario (secondo quanto disposto dall'art. 1705 c.c.) oppure con rappresentanza, e quindi in nome del mandante (secondo quanto disposto dall'art. 1704 c.c.).
A tal proposito la dottrina rileva che: " Nel primo caso il mandatario è autore dell'atto gestorio e soggetto (del relativo regolamento negoziale e quindi) degli effetti giuridici scaturenti dallo stesso, mentre il mandante è unicamente titolare dell'affare. Nel secondo caso, invece, il mandatario è soltanto autore psicologico del negozio rappresentativo, concentrandosi sul mandante tanto la posizione di soggetto "formale" quanto quella di soggetto "economico" dell'operazione negoziale (gestoria)". (Luminoso 1984, 154).
Il soggetto che entra in rapporto con il mandatario rimane estraneo al rapporto contrattuale di mandato ed è quindi qualificato come "terzo", non in senso assoluto bensì in senso relativo, in quanto ha una specifica relazione con il mandatario che trova il suo fondamento nell'originario rapporto di mandato.
In tal senso si esprime lo stesso legislatore che nell'ambito dell'art. 1705 c.c., ovvero in tema di mandato senza rappresentanza, qualifica come terzi le parti che entrano in rapporto con il mandatario, anche se hanno avuto conoscenza del mandato.
Alle medesime conclusioni si giunge in tema di mandato con rappresentanza, infatti il conferimento al mandatario del potere di agire in nome del mandante, non comporta che il soggetto con cui il mandatario – rappresentante ha svolto l'attività gestoria sia attratto tra le parti del mandato e quindi rimane terzo contraente.
2.1) Gli interessi delle parti ed il mandato in rem propriam
Il mandante mediante il contratto di mandato mira a conseguire un determinato risultato giuridico che non può o non vuole realizzare direttamente, pertanto si avvale della cooperazione del mandatario. L'intero rapporto negoziale, conseguentemente, è influenzato dal raggiungimento del risultato giuridico che il mandate si prefigge e ciò giustifica perché gli effetti del negozio concluso dal mandatario in esecuzione del contratto di mandato siano destinati a prodursi sempre in favore e a carico del mandante.
Ai fini dell'agire nell'interesse altrui è irrilevante che il mandatario spenda il proprio nome o quello del mandante, infatti la circostanza che il mandatario agisca per conto ed in nome del mandante o che agisca solo per conto del mandante non modifica il rapporto di cooperazione interno al mandato, ma rileva solo in termini di risvolti esterni. Nello specifico nell'ipotesi dell'agire in nome e per conto del mandante, la spendita del nome comporta un'immediata esteriorizzazione dell'agire per conto altrui con evidenza immediata anche nei rapporti instaurati in esecuzione del contratto di mandato, invece nell'ipotesi in cui il mandatario agisca in nome proprio ma per conto del mandante, quindi senza spendita del nome di quest'ultimo, non c'è un'immediata esteriorizzazione del rapporto di mandato ma ciò non comporta il venir meno dell'alienità dell'interesse gestito dal mandatario, che anche in questo caso agisce nell'interesse altrui.
L'alienità dell'interesse gestito ha dei risvolti anche sulle modalità di svolgimento dell'attività del mandatario, infatti, proprio perché agisce per conto del mandante, il mandatario è tenuto ad eseguire la propria attività proprio come se fosse il mandante stesso. Ne consegue che quella svolta dal mandatario non è un'attività di mera cooperazione, ma si configura come una cooperazione sostitutiva, pertanto egli non agisce solo per conto ma anche al posto del mandante, in sostanza tra l'attività del mandatario e l'intento perseguito dal mandate deve configurarsi un'assoluta corrispondenza, altrimenti non può essere giustificata l'attribuzione dei risultati dell'attività del mandatario nella sfera giuridica del mandante.
Il compimento di una determinata attività giuridica nell'interesse del mandante rappresenta un obbligo a carico del mandatario e non una mera facoltà. Ciò comunque non significa che il mandatario non possa avere anche un interesse personale ad eseguire il contratto di mandato, infatti tale interesse si manifesta in termini diversi a seconda che si tratti di un mandato a titolo oneroso, a titolo gratuito o di un mandato in rem propriam. In ogni caso, l'elemento che contraddistingue, l'interesse del mandatario è la circostanza che esso rappresenta un interesse mediato, infatti il mandatario per realizzare il proprio interesse deve fare quello del mandante. Ne consegue che non
può configurarsi un rapporto di mandato nel caso in cui il mandatario agisca per proprio conto, ovvero senza gestire un interesse altrui.
Una figura particolare di mandato è quella del mandato conferito anche nell'interesse del mandatario, conosciuto anche come mandato in rem propriam. Tale figura di mandato non si pone in contrasto con la caratteristica del mandato concernente il destinatario degli effetti economici degli atti che il mandatario compie, i quali sono comunque posti in essere "per conto altrui", nel senso che altri, e non il mandatario, è il destinatario finale dei vantaggi e degli svantaggi economici dell'attività gestoria.
Riguardo ai caratteri propri di questa figura di mandato si è affermato che il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di un terzo si distingue dall'ordinario mandato in quanto è diretto al soddisfacimento di un interesse del mandatario, diverso da quello strettamente limitato all'esecuzione del mandato, o in ipotesi di mandato oneroso, al conseguimento del corrispettivo, e costituisce il mezzo per l'attuazione di uno scopo ulteriore rispetto a quello tipico del mandato, connesso alla realizzazione di un altro rapporto o di un altro negozio intercorso tra le parti e sottostante al mandato.
In pratica il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario è caratterizzato dalla concomitanza di un diverso rapporto intercorrente tra il mandante e il mandatario (o del terzo) che imprime al conferimento del mandato il carattere di atto obbligatorio, essenziale per la realizzazione di un interesse del mandatario (o del terzo) diverso da quello strettamente limitato all'esecuzione del mandato. (Cass. 24 febbraio 1987, nr. 1931, MGC, 1987, 2). A tal fine non è sufficiente che sussista una semplice coincidenza di interessi generici o di natura economica, ma occorre l'esistenza di un vero e proprio interesse giuridico, cioè di un rapporto obbligatorio tra il mandante ed il mandatario (o il terzo) preesistente al mandato.
E' stato evidenziato che il mandato può diventare in rem propriam anche nel corso dell'espletamento dell'incarico per effetto di una sopravvenuta pattuizione con cui i contraenti convengano di attribuire rilevanza, durante lo svolgimento ulteriore del rapporto, ad un interesse del mandatario o del terzo precedentemente non esistente o comunque fino ad allora rimasto al di fuori dell'area negoziale. (Cass. 25 marzo 1976, nr. 1070, Giust. Civ., 1976, I, 1301).
Nel caso del conferimento del mandato anche nell'interesse del mandatario, il mandante conserva la disponibilità del rapporto sostanziale affidato solo in gestione al mandatario, il quale non acquista la titolarità della situazione sostanziale e svolge, quindi pur sempre la propria attività per conto altrui. (Cass. 25 marzo 1993, nr. 3602, FI, 1995, I, 1613).
A tal proposito è stato precisato che il mandato in rem propria, pur non essendo revocabile senza giusta causa, non priva il mandante del
potere di disporre dei suoi diritti sul bene oggetto del mandato, né lo esonera dai relativi obblighi. (Cass. 19 maggio 2003, nr. 7822, MGC, 2003, 5).
Con riferimento al mandato conferito anche nell'interesse del terzo si è rilevato che tale figura di mandato non rientra nella categoria dei contratti a favore di terzo e non attribuisce a quest'ultimo, in assenza di uno specifico patto tra mandante e mandatario, il diritto di pretendere dal mandatario l'esecuzione del mandato, ma rende soltanto irrevocabile il mandato stesso, ai sensi dell'art. 1723, II comma, c.c. conseguentemente la Cassazione ha rilevato che il mandatario all'incasso non assume, salvo che ciò non sia previsto da una specifica clausola del mandato, alcuna obbligazione nei confronti del terzo, atteso che, eseguendo il mandato, adempie soltanto l'obbligazione assunta nei confronti del mandante. (Cass. 30 gennaio 2003, nr. 1391, Giust. Civ., 2003, I, 2761 ).
2.2) La capacità giuridica
Xxxxxxxxx comunemente accettato è quello secondo cui per essere parte del contratto di mandato il soggetto deve avere la capacità giuridica, ovvero essere idoneo ad assumere diritti ed obblighi.
Con specifico riferimento al mandante si ritiene che la persona priva di capacità giuridica sia inidonea a conferire il mandato e quindi a stipulare il relativo contratto.
L'analisi del requisito della capacità non può essere circoscritta alle sole parti del contratto di mandato, ovvero al mandante ed al mandatario, ma occorre prendere in esame anche i rapporti che intercorrono tra le parti del mandato ed il terzo, controparte dell'attività gestoria.
Nel mandato senza rappresentanza si distinguono due differenti piani, ovvero il rapporto interno intercorrente tra mandante e mandatario ed il rapporto esterno che il mandatario instaura con il terzo. Tale dinamica può generare abusi da parte del mandante che si trovi in condizione di incapacità relativa, infatti quest'ultimo potrebbe aggirare l'ostacolo che essa rappresenta per particolari atti giuridici, affidando l'incarico di compiere i medesimi ad un mandatario senza rappresentanza, che, in tal modo, acquistando direttamente il diritto dal terzo, trasferisca poi il risultato vantaggioso della sua gestione direttamente al mandante, che altrimenti sarebbe giuridicamente incapace di acquistare.
Ne consegue che l'accertamento di un'eventuale incapacità relativa non deve essere circoscritta alle parti del mandato, ma occorre verificare anche la relazione tra le parti del mandato ed il terzo con il quale viene compiuto l'attività gestoria.
"L'incapacità relativa fra mandante e terzo contraente ha rilevanza solo nel caso in cui la norma che la statuisce abbia natura materiale, poiché è indubbio che, pur non intercorrendo alcun rapporto diretto fra mandante e terzo contraente, il risultato economico – pratico conseguito con il mandato ed il successivo negozio è identico a quello che si conseguirebbe con la fattispecie negoziale espressamente vietata". (Xxxxxxxx 1964, 117).
Rilevano a tal proposito i divieti di acquisto disposti dall'art. 779 c.c. (nullità della donazione a favore del tutore o protutore), dall'art. 1261
c.c. (divieti di cessione dei crediti) a dall'art. 1471 c.c. (divieti speciali a comprare). In pratica l'incapacità relativa del mandante assume rilevanza tutte le volte che, con l'atto compiuto dal mandatario, si raggiunge nei confronti del mandante lo stesso risultato che la legge ha vietato prevedendo l'incapacità.
La violazione di queste norme materiali comporta la nullità dell'intero procedimento di interposizione e quindi la nullità o l'annullabilità sia del mandato che del contratto (di acquisizione o di alienazione in nome proprio) concluso dal mandatario senza rappresentanza con il terzo.
Nel mandato con rappresentanza, il mandante conferisce al mandatario il potere oltre che di agire per suo conto anche in suo nome, conseguentemente gli effetti giuridici del rapporto contrattuale instaurato con il terzo si producono direttamente nella sfera giuridica del rappresentato.
Il rinvio dell'art. 1704 c.c. agli artt. 1387 - 1400 c.c. affida la soluzione del problema al disposto dell'art. 1389, II comma, c.c. secondo cui "per la validità del contratto concluso dal rappresentante è necessario che il contratto non sia vietato al rappresentato", per cui stante il rapporto negoziale diretto che si instaura tra mandante e terzo, trovano applicazione i divieti di acquisto tra tali soggetti. In sostanza per la validità del negozio concluso dal rappresentante è necessario che il negozio non sia vietato al rappresentato.
Per quanto concerne la posizione del mandatario è orientamento consolidato che deve avere la capacità giuridica e che in mancanza, difetterebbe dell'idoneità ad essere parte del relativo contratto.
L'incapacità giuridica del mandatario è rilevante in termini assoluti, infatti nell'ipotesi di mandato senza rappresentanza, non potrebbe egli compiere atti in proprio nome ma per conto del mandante, che lo impegnino nei confronti di xxxxx, mentre nell'ipotesi di mandato con rappresentanza non potrebbe compiere atti che impegnino direttamente il mandante se non è in condizione di compierli per sè.
2.3) La capacità d'agire
L'analisi del requisito della capacità di agire nell'ambito del mandato richiede la distinzione tra mandante e mandatario.
Il mandante deve avere la capacità di agire sia legale sia naturale. In dottrina è stato affermato il principio secondo cui deve essere capace almeno per quell'atto giuridico al compimento del quale viene delegato il mandatario. Tuttavia il principio in oggetto sembra che valga solo per il mandato gratuito, infatti in tale ipotesi gli effetti a carico del mandante sono solo quelli che riguardano l'acquisizione del risultato dell'atto compiuto dal mandatario. Non dovrebbe, invece, valere per il mandato a titolo oneroso con riferimento al quale occorre tener conto anche dell'obbligazione del pagamento del compenso.
Diversa è la disciplina prevista dall'art. 1389 c.c. in tema di rappresentanza, infatti quando il potere di rappresentanza è conferito dall'interessato, per la validità del contratto concluso dal rappresentante con il terzo basta che tale rappresentante abbia la capacità di intendere e di volere, avuto riguardo alla natura (di ordinaria o straordinaria amministrazione) e al contenuto del contratto stesso, sempre che sia legalmente capace il rappresentato.
Per quanto attiene la posizione del mandatario con riferimento al rapporto interno con il mandante, è pacifico che anche questo deve avere la capacità di agire, nello specifico il mandatario dovrà avere una capacità proporzionata al tipo di obbligazione e di impegni che assume con la stipulazione del mandato e in caso di mandato in nome proprio, proporzionata altresì alla natura dello stipulando atto gestorio.
Con riferimento alla posizione del mandatario è da escludersi ogni rilevanza della disposizione contenuta nell'art. 1389 c.c., I comma, infatti non sembra possibile dubitare che il mandatario, oltre alla capacità giuridica, debba avere anche la capacità di agire. Non vale l'argomentazione contraria secondo cui l'art. 1389 c.c. si fonda sulla ratio che la capacità legale d'agire è richiesta in funzione degli effetti che alcuni atti possono avere per il soggetto e rappresenta una salvaguardia dai medesimi per colui che per la legge non è in grado di rappresentarseli e valutarne le conseguenze al momento dell'atto. Conseguentemente non vi sarebbe ragione di pretenderla nel rappresentante, in quanto egli a tali effetti non è soggetto. In ogni caso non può dubitarsi che dalla stipulazione del contratto di mandato conseguono effetti anche a carico del mandatario, infatti egli assume l'obbligazione di svolgere l'attività gestoria per conto del mandante, di cui è incaricato. Quindi inevitabilmente discende la necessità che il mandatario sia legalmente capace di agire già all'atto di stipulazione del contratto di mandato.
3) La causa del mandato
La funzione assoluta del mandato è stata da tempo individuata dalla dottrina nella gestione di affari per conto altrui. In proposito: "L'attività di gestione, e in particolare l'agire per conto altrui, è tipica del mandato, ne caratterizza appunto il tipo". (Carpino 2007, 9).
Nel contratto di mandato è la relativa causa, consistente nella funzione gestoria, a giustificare gli spostamenti patrimoniali dal mandatario al mandante e dal mandante al mandatario. In proposito autorevole dottrina sostiene che: "Gli spostamenti patrimoniali inter parte implicati dal mandato in nome proprio si fondano su una funzione gestoria, nella quale non può identificarsi né una causa corrispettiva o di scambio né una causa donativa o liberale. La giustificazione di ognuno di tali movimenti di beni risiede nella stessa cooperazione gestoria, la quale integra qui un autonomo schema causale con il quale la legge ritaglia questo specifico tipo negoziale". Indubbiamente incide sul dibattito in merito alla causa del contratto di mandato la distinzione tra mandato oneroso e mandato gratuito. Nello specifico nel contratto di mandato a titolo oneroso, la prestazione di fare cui è tenuto il mandatario e l'obbligazione di pagare il compenso che grava sul mandante sono tra esse collegate e inducono a ricondurre il rapporto contrattuale nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive.
Secondo un orientamento dottrinale, nel mandato oneroso la causa è rappresentata dal compimento di atti giuridici da parte del mandatario per conto del mandante verso corrispettivo. A questo orientamento si oppone la corrente che esclude che il contratto di mandato possa essere classificato come un contratto a prestazioni corrispettive, in quanto per specifica previsione di legge il contratto di mandato è un contratto non necessariamente oneroso, infatti il compenso non rientra tra gli elementi strutturali di questo contratto, pertanto non c'è un rapporto di corrispettività rispetto all'obbligo del mandatario di eseguire l'attività gestoria.
Con riferimento al mandato gratuito è stato rilevato che la natura non onerosa del rapporto di mandato non ne comporta alcuna alterazione funzionale, infatti sotto il profilo funzionale il mandato gratuito soddisfa le stesse esigenze soddisfatte dal mandato oneroso, ne consegue che entrambi hanno causa di gestione. Questa causa unitaria, indifferente alla gratuità o all'onerosità del contratto, giustificherebbe gli spostamenti patrimoniali tra mandante e mandatario attuati in esecuzione del contratto di mandato.
Avendo il mandato natura gratuita, all'impegno assunto dal mandatario non corrisponde un'obbligazione assunta dal mandante e ciò giustifica perché le obbligazioni contrattuali derivanti dal rapporto
di mandato in questo caso hanno natura debole. Il mandatario, infatti, ha la facoltà di rinunciare al mandato, purché la rinuncia sia fatta in modo e tempo tale da consentire al mandante di provvedere altrimenti.
4) L'oggetto del mandato
L'oggetto del contratto di mandato è costituito dall'atto gestorio, ovvero in base al dettato dell'art. 1703 c.c. dal compimento "di uno o più atti giuridici" che il mandatario si obbliga a porre in essere su incarico del mandante e nell'interesse di quest'ultimo.
Occorre puntualizzare che oggetto del mandato è l'attività del mandatario, non anche l'atto o il negozio giuridico in cui essa si concretizza, nè il suo risultato. Se, per esempio, si tratta di un mandato ad acquistare, oggetto del mandato sarà il compimento dell'atto idoneo a far conseguire in capo al mandante la proprietà della cosa, cioè l'esercizio della necessaria attività, e non l'atto di acquisto nè tutti gli atti preparatori che ad esso sono relativi.
In tal senso, pertanto, occorre distinguere tra il compimento dell'atto o del negozio e l'atto vero e proprio. Quest'ultimo costituisce lo strumento giuridico necessario per il conseguimento del risultato che il mandante si è prefisso e pertanto resta al di fuori della struttura del contratto di mandato.
Il mandato, dunque, ha per oggetto il compimento dell'attività del mandatario preordinata a rendere possibile il conseguimento di un preciso risultato, preventivamente fissato dal mandante. In tal modo, l'atto o gli atti compiuti dal mandatario, nell'espletamento del mandato, possono anche essere diversi da quelli in precedenza stabiliti dal mandante, riconoscendosi dalla legge la possibilità che il mandatario, ricorrendo determinati presupposti ed a determinate condizioni, si discosti dalle istruzioni ricevute (art. 1711, comma 2, c.c.), ma devono in ogni caso essere indirizzati verso la realizzazione del risultato voluto dal mandante e, quindi, comunque giustificabili in relazione ad esso. E ciò significa che l'attività del mandatario è un'attività che deve essere necessariamente svolta nell'interesse del mandante, cioè un'attività da cui il mandante medesimo derivi una certa utilità.
Sussiste in merito un contrasto in dottrina, infatti, alcuni interpreti ritengono che la proposizione, secondo cui l'obbligo di prestazione del mandatario è predisposto per l'attuazione dell'interesse del mandante, è senza dubbio esatta, ma non sembra esprimere un rilievo specifico al mandato. In ogni rapporto obbligatorio, può dirsi che l'obbligo di prestazione è predisposto per l'attuazione dell'interesse del creditore, ma da ciò giungere a richiedere che il mandatario
nell'adempiere al suo obbligo di prestazione debba mirare esclusivamente a realizzare l'interesse del suo mandante, significa compiere un saltus logico di vasta portata. (Xxxxxxxxx, 15; Xxxxxxxx, 118).
In merito si rileva che non vi è dubbio che il mandatario, quando esegue la prestazione persegue un suo specifico interesse che è individuabile, anche a prescindere dal mandato in rem propriam, nell'onerosità del contratto, e non vi è dubbio altresì che, come qualsiasi altra prestazione, anche quella del mandatario, è predisposta nell'interesse del mandante, vale a dire del soggetto che ne è creditore. Tuttavia quando si afferma che l'attività del mandatario è predisposta nell'interesse del mandante non ci si riferisce soltanto a quello che è il contenuto comune di qualsiasi obbligazione, vale a dire l'interesse del creditore, ma si fa riferimento a qualcosa di altro e diverso, che è tipica del mandato: cioè, al fatto che nel mandato ciò che in ogni caso emerge è l'alienità dell'attività del mandatario. Questo agisce per conto (e talvolta anche in nome) del mandante, vale a dire compie atti giuridici al posto ed in sostituzione del mandante, addirittura come se fosse lo stesso mandante.
L'agire nell'interesse del mandante non costituisce semplicemente l'effetto della prestazione dovuta, ma rappresenta propriamente il contenuto dell'obbligo del mandatario, al punto che l'agire nell'interesse del mandante finisce con l'assurgere a momento fondamentale del relativo contratto.
4.1) Nozione di atti giuridici oggetto del fare del mandatario
In base alla lettera dell'art. 1703 c.c. il "fare" del mandatario consistente nel compimento di "uno o più atti giuridici". In merito è stato osservato che: "Può formare oggetto del mandato solo il compimento di atti che rilevino per l'ordinamento positivo come atti giuridici leciti: di atti cioè, che vengono in considerazione per le conseguenze giuridiche ad essi riconnesse e per il prodursi dei quali si richieda volontarietà e consapevolezza del comportamento da parte dell'agente". (Xxxxxxxx 1984, 119; Xxxxxxxx 2007, 34).
In sostanza per "atto giuridico" si intende il comportamento umano cosciente e volontario, al quale l'ordinamento collega un effetto giuridico che può consistere nella costituzione, nella modificazione o nell'estinzione di un rapporto giuridico. Nell'ambito di questa definizione si distinguono le seguenti categorie: atti giuridici in senso stretto, dichiarazioni di volontà o atti negoziali ed atti o dichiarazioni di scienza.
La dottrina per lo più assegna all'espressione "atti giuridici", contenuta nell'art. 1703 c.c., il significato di atti negoziali, ovvero di
atti giuridici in senso stretto. (Bavetta 1975, 339; Carpino 2007, 9;
Mirabelli 1991, 518; Xxxxxxxxx 1985, 54;Xxxxxxxxx 1994, 160).
La giurisprudenza di legittimità nell'individuare la nozione di atti giuridici ha elaborato le seguenti massime: “Il contratto di mandato e di locazione d'opera si distinguono in relazione al rispettivo oggetto, che nel secondo caso è rappresentato da un'attività di cooperazione (estranea alla sfera negoziale), che si traduce nel compimento di un'opera o di servizio, materiale od intellettuale, mentre nel primo caso consiste in un'attività qualificata di conclusione di negozi giuridici per conto e nell'interesse del mandante, la quale tuttavia può concretarsi anche nel compimento di atti volontari non negoziali aventi rilevanza esterna, diretti alla conclusione ed al regolare adempimento di contratti tra le parti”. (Cass. 26 luglio 2005, nr. 15607, MGC, 2007, 718).
Nello stesso senso: "Non può qualificarsi di mandato il rapporto nel quale gli atti da compiere consistano solo in un'attività esecutiva riguardante adempimenti tecnico-pratici e di cooperazione materiale da cui esuli ogni profilo giuridico-negoziale, tanto meno se di tali adempimenti il soggetto incaricato debba sopportare in tutto o in parte il rischio economico". (Cass. Civ., Sez. II, 30 marzo 1995, n. 3803, MGC, 1995, 741).
Dalla massima citata si evince che a giudizio della Suprema Corte il mandato possa consistere anche nel compimento di atti volontari non negoziali, infatti. "La prestazione del mandatario non deve necessariamente consistere nel compimento di negozi giuridici, ma può concretarsi anche nel compimento di atti volontari non negoziali che abbiano rilevanza giuridica . L'accertamento del giudice del merito in ordine all'esistenza o meno del mandato è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione". (Cass. 22 febbraio 1983, nr. 1329, MGC, 1983, 2).
Di rilievo è anche il tema concernente la possibilità che il mandato abbia ad oggetto l'esercizio di attività imprenditoriale. In merito si è pronunciata la Cassazione con la sentenza del 18 gennaio 1982, n. 324 (FI, 1983, I, 2663), esprimendosi in termini negativi, ovvero rilevando che non può costituire oggetto del mandato l'incarico a svolgere un'attività imprenditoriale, in quanto essa non costituisce un atto o una pluralità di atti giuridici, bensì un fatto dinamico e continuativo, svolgentesi nel settore economico, al quale l'ordinamento giuridico attribuisce rilevanza come "status" del soggetto che effettivamente lo pone in essere. In definitiva si conclude che è inconcepibile un'interposizione reale di persona nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, perché è imprenditore chi effettivamente esercita l'attività economica organizzata.
Questa opinione ha creato perplessità per quanto concerne la rappresentanza, in quanto è opinione comune che l'institore possa
qualificarsi come rappresentante generale dell'imprenditore.
Il problema è ancora più delicato nel mandato senza rappresentanza, in merito rileva la figura dell'imprenditore occulto. La casistica in esame infatti si caratterizza per la presenza di due figure, ovvero il
c.d. imprenditore palese, soggetto che opera in proprio nome assumendo nei confronti di terzi diritti ed obblighi, ma che in realtà agisce come prestanome di un altro soggetto che somministra i mezzi, dirige l'impresa, fa propri i guadagni, ed è qualificato come imprenditore indiretto o occulto.
La Cassazione ha inoltre precisato che "La prestazione del mandatario non deve peraltro necessariamente consistere nel compimento di negozi giuridici, potendo concretarsi anche nel compimento di atti volontari non negoziali aventi rilevanza giuridica esterna, diretti alla conclusione e al regolare adempimento di contratti tra le parti". (Cass. 17 maggio 1993, nr. 5582, MGC, 1993,
879).
In pratica devono essere esclusi dall'oggetto del contratto di mandato gli atti materiali, ovvero gli atti tecnici o manuali. Comunque sulla questione sono emerse nuove interpretazioni che pongono il dubbio se nella nozione di cui all'art. 1703 c.c. debbano essere ricompresi anche atti materiali, da qualificarsi secondo una terminologia preferibile come fatti giuridici in senso stretto. A tal proposito si fa l'esempio della specificazione, unione o commistione di merce affidata al mandatario per la vendita, all'accessione a cose date in amministrazione e si conclude nel senso che l'attività materiale può costituire oggetto di mandato quando il suo compimento venga affidato in vista del risultato giuridico che attraverso tale attività si consegue, pertanto l'incarico potrà costituire oggetto di mandato solo se conferito in vista degli effetti giuridici conseguenti da tale attività. Tale tesi crea perplessità, in quanto un conto è che l'attività c.d. materiale sia necessaria per l'esecuzione dell'atto gestorio, rientrando quindi tra gli obblighi necessari per l'adempimento dell'obbligazione primaria, altro è stabilire se possano costituire oggetto principale e specifico di obbligazione del mandatario. Se si considera la funzione gestoria tipica del contratto di mandato si può condividere che nell'oggetto del mandato devono essere ricompresi non solo gli atti per i quali l'incarico è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al suo compimento e, ovviamente, anche nell'ipotesi in cui abbiano natura materiale. Si può quindi concludere che il mandatario possa essere tenuto a compiere atti materiali ove tali atti rivestano un ruolo strumentale e funzionalmente secondario nel quadro dell'oggetto del mandato complessivamente considerato. (Xxxxxxxx 2007, 37; Xxxxxxx 2007, 11; Xxxxxxxxx 1994, 160).
Il mandato non comprende solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento (art. 1708, I
comma c.c.). Tali atti accessori rispetto alla prestazione principale non determinano il venir meno del tipo contrattuale inquadrabile nel mandato, anche se hanno natura di atti materiali.
In base all'oggetto il contratto di mandato è classificabile in mandato generale e mandato speciale. Il mandato generale sussiste quando l'incarico è conferito per tutti gli affari del mandante, oppure per tutti gli affari attinenti ad una data sfera di rapporti del mandante, invece, il mandato speciale si configura quando ha ad oggetto uno o più atti determinati, ovvero determinati tipi di atti. A differenza del mandato speciale, il mandato generale non comprende gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, salva una espressa indicazione contraria (art. 1708, II comma, c.c.).
4.2) Requisiti dell'oggetto del mandato: possibile, lecito, determinato o determinabile
Anche per il mandato valgono i principi della disciplina generale del contratto, quindi l'oggetto del mandato deve avere i medesimi requisiti previsti dalla legge per il contratto in generale, pertanto deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile.
L'oggetto del mandato deve essere anzitutto lecito, ovvero non contrario a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume. E' contrario a norme imperative ed all'ordine pubblico quell'oggetto del mandato che consista nel conferimento dell'incarico di compiere un'attività propriamente illegale, cioè volta a violare leggi inderogabili, come, nel caso in cui il mandatario sia incaricato di stipulare, per conto del mandante, un patto leonino. E', invece, contrario al buon costume quel contratto di mandato che abbia ad oggetto il conferimento dell'incarico di compiere una qualsiasi attività delittuosa, come nel caso in cui al mandatario sia attribuito il compito di corrompere gli impiegati di imprese concorrenti o di vendere beni rubati. (Cass. 12 luglio 1956, nr. 2609).
Conseguenza dell'illiceità dell'oggetto è la nullità del mandato. L'oggetto del mandato deve essere altresì possibile. E' possibile quell'oggetto che sia normalmente realizzabile, si deve trattare cioè di atti giuridici che il mandatario sia in condizione di compiere normalmente. Vale la distinzione comunemente operata tra impossibilità di fatto ed impossibilità giuridica: nel primo caso l'impossibilità risiede nella realtà delle cose, per cui l'incarico non è materialmente eseguibile, come accade nel caso in cui il mandatario sia incaricato di acquistare una cosa che non esiste o che è fuori commercio. Nel secondo caso, invece, l'impossibilità deriva da cause propriamente giuridiche come accade per esempio nel caso in cui al mandatario sia conferito incarico di vendere all'estero merci delle
quali l'esportazione è vietata.
Conseguenza dell'impossibilità dell'oggetto è la nullità del mandato. L'oggetto del mandato, infine, deve essere determinato o quanto meno determinabile. Nel primo caso l'oggetto del mandato è precisato in tutti i suoi termini, sin dal momento in cui il contratto è stato concluso, per cui il mandatario conosce già qual'è l'atto giuridico che deve compiere. Nel secondo caso, invece, l'oggetto non è ancora determinato, essendosi le parti limitate a fissare i criteri idonei alla successiva determinazione. In mancanza il mandato è nullo, atteso che l'oggetto rappresenta un elemento essenziale.
5) La forma del mandato
Per la conclusione del contratto di mandato la legge non prescrive alcuna forma particolare, pertanto rimane controverso se il mandato sia un contratto costantemente aformale o se, invece, in alcune ipotesi, come quelle di mandato ad alienare o ad acquistare beni immobili o, in generale a compiere negozi solenni, debba configurarsi come contratto formale.
La giurisprudenza, dopo un iniziale contrasto soprattutto con riferimento al mandato ad acquistare immobili o beni mobili registrati, e composto con la sentenza della Corte di Cassazione 19 ottobre 1954, nr. 3861, (FI, 1995, I, 9) ha inizialmente consolidato un orientamento in base al quale il mandato, con o senza rappresentanza, per concludere un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam deve essere conferito per iscritto a pena nullità. In merito si segnala: "Quanto alla forma del mandato, è noto il principio, costantemente affermato da questa Suprema Corte, secondo cui il mandato, con o senza rappresentanza, così ad acquistare come a vendere beni immobili richiede la forma scritta ad substantiam (cfr. sent. n. 6239/1982; attestano la continuità dell'indirizzo: sent. n. 3217/1982; sent. n. 3706/1994; sent. n. 6063/1998). La ragione che, ad avviso della ricorrente, giustificherebbe una diversità di forma - vincolata per il mandato ad acquistare, libera per quello a vendere - è manifestamente priva di fondamento giuridico, attesa la perfetta identità di effetti, giammai traslativi ma semplicemente attributivi del potere di compiere atti giuridici nell'interesse (nel caso di mandato senza rappresentanza) od in nome e per conto (nel caso di mandato con rappresentanza) del mandante, derivante dal conferimento del mandato a vendere o ad acquistare beni". (Cass. 24 gennaio 2003, nr. 1137, Giust. Civ., 2003,
I, 1812).
In difformità all'orientamento giurisprudenziale sopra citato, avente ad oggetto sia il mandato con rappresentanza che il mandato senza
rappresentanza, è stato comunque ritenuto che il mandato con rappresentanza ad acquistare o vendere beni immobili, per il quale sia stata conferita procura scritta, non necessita di forma scritta ad substantiam e che il contratto di mandato a vendere un immobile non è nullo, per non essere stato stipulato per iscritto, atteso che già per effetto della procura è trasferito al mandatario il potere di manifestare al terzo il consenso del mandante alla vendita. (Cass. 10 novembre 2000, nr. 14637, Contr., 2001, 975).
In dottrina, nei primi decenni di applicazione del codice civile del 1942, era assolutamente prevalente l'opinione che anche per il mandato a concludere negozi solenni non fosse necessaria la forma scritta ad substantiam, non essendo possibile rinvenire alcuna disposizione di legge che la imponesse in deroga al principio generale della libertà della forma in materia contrattuale.
Al fine di affrontare lo sviluppo del dibattito dottrinale e meglio precisare l'evoluzione giurisprudenziale è opportuno affrontare il tema della forma del contratto di mandato, distinguendo tra mandato con rappresentanza (art. 1704 c.c.) e mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c.).
5.1) La forma del mandato con rappresentanza
Con riferimento al mandato con rappresentanza viene sottolineato che il rinvio di cui all'art. 1704 c.c. alle norme sulla rappresentanza, comporta il rinvio all'art. 1392 c.c., a tenore della quale la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.
Da ciò viene fatto discendere che il mandato con rappresentanza deve avere la stessa forma dell'atto che il rappresentante deve compiere. (Xxxxxxxxx 1994, 161).
Questo orientamento viene criticato partendo dalla distinzione tra procura (e negozio rappresentativo) e mandato, evidenziando che la disposizione dell'art. 1392 c.c. fa espresso riferimento solo alla forma della procura e non anche alla forma del mandato: è solo la procura che deve avere la stessa forma richiesta per il contratto che il rappresentante andrà a concludere. Il negozio concluso dal rappresentante opera direttamente nei rapporti fra terzo e rappresentato, onde la procura, necessaria per l'immediatezza di quei rapporti, deve assumere la stessa forma propria del negozio che il rappresentante deve concludere. E ciò a differenza del mandato che come negozio diretto a regolare soltanto i rapporti interni fra mandante e mandatario rimane del tutto estraneo al negozio concluso dal mandatario con il terzo, e non partecipa, pertanto alle esigenze formali proprie di questo.
In proposito autorevole dottrina precisa: "Giusta la regola dettata dall'art. 1392 c.c., la quale fissa un criterio di simmetria formale tra procura e negozio per la cui conclusione la stessa viene conferita, in tal caso è necessario, ma anche sufficiente, che l'esigenza della forma venga soddisfatta dalla procura e dal negozio rappresentativo, non anche dal mandato cui la prima si accompagni. In questa ipotesi, infatti, il titolo degli effetti (formali) che si producono direttamente nella sfera giuridica del mandante (rappresentato) è costituito dal contratto rappresentativo, non dal mandato e non si verificano - per definizione – spostamenti di beni tra mandante e mandatario. Da ciò la necessità di valutare le esigenze formali dell'operazione con esclusivo riferimento al contratto tra mandatario (rappresentante) e terzo ed alla procura la quale – qualsiasi concezione si accolga al riguardo – non può negarsi che, rispetto a quel contratto operi da negozio preparatorio". (Luminoso 1984, 370).
L'orientamento citato si fonda essenzialmente sulla distinzione tra mandato e procura che, infatti, vengono classificati come negozi distinti ma collegati. "Mandato e procura sono, come si è detto, negozi distinti ma funzionalmente collegati; ed il nesso che reciprocamente li avvicina non incide sulla loro struttura bensì esplica rilevanza meramente funzionale. L'eventualità che mandato e procura siano documentati in un unico atto è circostanza che, seppur frequente, ha caratteristica accidentale; del tutto ininfluente sul rispettivo regime formale dei due negozi. Da ciò consegue che, nel mandato con rappresentanza, la norma dell'art. 1392 c.c. si riferisce ed è applicabile solo limitatamente alla procura. E' soltanto la procura dunque, che deve rivestire la stessa forma richiesta per il contratto che il rappresentante andrà a concludere". (Xxxxxxxxx 1985, 192 – 193).
Anche in giurisprudenza si ritrovano massime orientate in tal senso, ovvero: "Ferma la distinzione tra procura e mandato, risolvendosi, la prima, nel conferimento ad un terzo del potere di compiere un atto giuridico in nome di un altro soggetto e, il secondo, in un contratto in forza del quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici nell'interesse di un'altra – il mandato con rappresentanza a vendere beni immobili non è soggetto all'onere della forma scritta stabilito, ai sensi del combinato disposto degli artt. dell'art. 1392 e 1350 n. 1 c.c., per l'atto di procura, atteso che gli effetti del contratto di compravendita si producono in capo al rappresentato in forza del solo rapporto di rappresentanza, mentre il mandato spiega i suoi effetti nel rapporto tra rappresentante e rappresentato". (Cass. 30 maggio 2006, nr. 12848, VN, 2006, 1424).
In sostanza il mandato con rappresentanza a vendere beni immobili non è soggetto all'onere della forma scritta stabilità per la procura, in quanto esso spiega i suoi effetti nel rapporto interno, ovvero nel
rapporto tra rappresentato e rappresentante, mentre gli effetti del contratto di compravendita immobiliare in capo al rappresentato si producono in forza della sola procura, pertanto la soluzione di estendere solo a quest'ultima e non anche al mandato l'obbligo della forma solenne appare trovare una solida base proprio nel collegamento necessario, di tipo giuridico e funzionale, che è dato rinvenire tra il contratto base, sottoposto all'onere di forma, e l'atto di conferimento della procura.
In merito la Cassazione ha precisato che: "Per contro, certamente, non decisivo, anche sul piano letterale, si presenta il disposto dell'art. 1704 c.c., il quale prevede che al mandato con rappresentanza si applicano anche le norme dettate per la procura, non già queste ultime tout court, lasciando quindi impregiudicata la questione se continui per esso a trovare applicazione il principio della libertà della forma". (Cass. 30 maggio 2006, nr. 12848, VN, 2006, 1424).
Rispecchia l'orientamento descritto anche la seguente massima secondo cui: "Nel caso di mandato ad alienare beni immobili, la forma scritta della procura a vendere, seguita dal contratto concluso dal rappresentante, parimenti per iscritto, è in grado di assolvere alla funzione di far acquistare al terzo il bene vendutogli e di realizzare un programma in cui il proprietario ha consentito. La regolamentazione dei rapporti nascenti dal mandato non necessita di forma scritta, perché alla base della disciplina della vicenda traslativa sta la procura". (Cass. 10 novembre 2000, nr. 14637, Contr., 2001, 975).
In conclusione con riferimento alla forma del mandato con rappresentanza non dovrebbero sussistere problemi, infatti, una volta che il risultato dell'attività del mandatario è immediatamente attribuito al mandante per effetto della procura, non occorre che i rapporti interni tra mandante e mandatario abbiano a rivestire una particolare solennità. Ne consegue, quindi, che il mandato con rappresentanza resta un contratto a forma libera, indipendentemente dal suo oggetto e dall'oggetto del negozio gestorio.
5.2) La forma del mandato senza rappresentanza
Per il mandato senza rappresentanza non sussiste una norma analoga all'art. 1392 c.c., che sancisce l'estensione alla procura della stessa forma stabilita per il contratto che deve essere posto in essere, pertanto al fine di stabilire quale sia la forma prescritta per il mandato senza rappresentanza occorre distinguere tra mandato senza rappresentanza conferito per un negozio gestorio ove non è richiesta alcuna forma e mandato senza rappresentanza che faccia invece
riferimento ad un negozio gestorio ove è prescritta la forma solenne. Nella prima ipotesi giurisprudenza e dottrina hanno ritenuto applicabile il principio della libertà di forma, mentre con riferimento alla seconda ipotesi si sono sviluppate soluzioni contrastanti. Infatti, a fronte di un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale che riguardo alla compravendita di beni immobili e di beni mobili registrati esige la forma scritta ad substantiam, in dottrina emergono vari orientamenti.
Sussiste un primo orientamento basato sulla constatazione che nell'ordinamento manca una norma specifica in merito alla forma del mandato, pertanto tale contratto non può essere vincolato ad una particolare forma ad substantiam (tesi sostenuta da Bavetta 1975, 343; Bile 1961, 46; Xxxxxxx 2007, 14). Questa impostazione è stata criticata osservando che neppure per la compravendita o per la permuta esiste un'apposita disposizione che imponga una forma vincolata e che il criterio scelto dal nostro ordinamento è quello di far riferimento agli effetti formali del contratto, conseguentemente qualunque negozio idoneo a produrre il tipo di effetto giuridico considerato dalla legge (vedi ad esempio art. 1350 nn. 1, 2, 3, 4, 5) rimane assoggettato alla forma corrispondentemente stabilita. (Luminoso 2007, 60).
Altro orientamento dottrinale sostiene che il mandato deve avere la stessa forma del contratto alla cui conclusione il mandatario è obbligato, pertanto il mandato ad acquistare o ad alienare beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri deve avere forma solenne e ciò in base ad una simmetria formale con l'art. 1392 c.c. (in tal senso Xxxxxxxxx 1957, 26; Xxxxxxxxx 1991, 529; Xxxxxx 1971,
278).
In merito la Cassazione ha sostenuto che: "La stessa esigenza di certezza, cui si ispira la norma dell'art. 1392 c.c. con il prescrivere per la procura la forma richiesta per il contratto che il rappresentante deve concludere, invero, ricorre anche nel mandato senza rappresentanza, ove l'atto deve pur sempre essere virtualmente idoneo a produrre, anche se in forma indiretta, lo stesso effetto che il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente nei confronti del rappresentato (art. 1705 e 2392 c.c.)." (Cass., 17 giugno 1992, nr. 7453, MGC, 1992, 6).
Conforme a tale orientamento è anche la seguente massima secondo cui: "Il mandato con o senza rappresentanza a concludere un negozio per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam deve essere rilasciato per iscritto a pena di nullità. Pertanto l'esistenza di un mandato ad alienare (o acquistare) immobili, anche per quanto riguarda l'accettazione del mandatario, non può essere desunta sulla base di semplici presunzioni, dal comportamento esteriore del mandatario ed in ispecie dal mero comportamento, anche se
concludente, come quello relativo alla stipulazione della vendita, dovendo essa risultare, non solo ai fini dell'opponibilità ai terzi, ma anche a quelli della sua validità fra le parti (mandante e mandatario) da atto scritto ad substantiam da cui risulti il suo consenso". (Cass. Civ., Sez II, 17 novembre 1982, n, 6239, GC, 1983, I, 1, 903).
Altro orientamento dottrinale si basa sull'applicazione analogica dell'art. 1351 c.c., sostenendo che, per quanto attiene l'obbligazione del mandatario di trasferire al mandante il risultato della gestione, il mandato operi come un contratto preliminare, infatti dal mandato nasce a carico del mandatario, oltre che l'obbligazione di concludere il contratto con il terzo, anche l'obbligazione di trasferire al mandante il diritto che con tale contratto abbia acquistato. Perciò, sotto quest'ultimo riflesso il mandato opera come contratto preliminare, con la conseguenza che, qualora l'atto di trasferimento solutionis causa abbia per oggetto diritti immobiliari, il mandato deve rivestire la stessa forma richiesta per l'atto di ritrasferimento, dovendosi far capo all'art. 1351 c.c., affinché il mandante possa far ricorso nell'ipotesi di inadempimento da parte del mandatario allo strumento di cui all'art. 2932 x.x. (xxxxxxxxxx xxxx'xxx. 0000 x.x., XX xxxxx). Altrimenti il mandante potrà reclamare dal mandatario inadempiente solo il risarcimento del danno.
La Corte di Cassazione sottolinea le identità strutturali tra il mandato ad acquistare beni immobili e il contratto preliminare, avvertendo che in entrambi i casi l'obbligo del trasferimento è suscettibile di esecuzione in forma specifica, come previsto per il mandato dall'art. 1706, II comma, c.c., che: "Altro non può essere che applicazione al caso particolare del principio generale dell'art. 2932 c.c.". (Cass., 19 ottobre 1954, n. 3861, FI, 1955, I, 9).
Altro orientamento dottrinale sostiene che il problema della forma del mandato va affrontato determinando di volta in volta se esso, per il tipo di effetto giuridico che ha l'idoneità a produrre, ricada o non in una previsione legale di forma solenne. Nello specifico è stato evidenziato che occorre non perdere di vista che, fatta eccezione per quelle ipotesi nelle quali la forma ad essentia viene imposta in considerazione della funzione che contrassegna il dato tipo legale (ad esempio donazione di beni di valore non modico di cui all'art. 782, 783 c,c.; costituzione di società di capitali di cui all'art. 2328, 2475 c.c.), il nostro sistema giuridico utilizza quale criterio per determinare i contratti formali quello che fa capo al contenuto degli effetti formali tipici del contratto, di conseguenza qualunque negozio patrimoniale idoneo a produrre il tipo di effetto giuridico considerato dalla legge (ad esempio art. 1350, n. 1, 2 , 3, 4 , 5 c.c.) rimane assoggettato alla forma corrispondentemente stabilita.
In merito la dottrina ha evidenziato che il principio di tassatività delle forme solenni impone un'interpretazione logico sistematica in base
alla quale non si deve ritenere che l'art. 1351 c.c. sia limitato solo alla figura del contratto preliminare in senso tecnico ma si deve riconoscere che il principio consacrato in questa norma va ricostruito nel senso che qualunque atto di volontà negoziale con il quale ci si impegni a contrarre richiede la stessa forma del contratto che ci si obbliga a concludere. Con la conseguenza che quando un siffatto impegno viene a costituire uno degli effetti essenziali di una fattispecie contrattuale, la fattispecie sarà da considerare come fattispecie negoziale a forma solenne. (Luminoso 2007, 63).
Applicando la teoria esposta al contratto di mandato, si ottiene che essendo il mandato un contratto ad effetti variabili inevitabilmente esso presenta anche una forma variabile. Infatti, dovendosi ritenere che la forma sia qui stabilita dalla legge in correlazione non alla causa gestoria, ma alle singole specie di effetti, esso si presenta come negozio a forma variabile. (Luminoso 1984, 375).
I risultati che si raggiungono sul piano pratico tengono conto dell'oggetto dell'incarico conferito al mandatario, pertanto, il mandato senza rappresentanza ad alienare beni immobili si sostiene debba essere redatto in forma scritta, in quanto concretizza un negozio traslativo (Carraro 1947, 111; Luminoso 2007, 62), mentre per il mandato senza rappresentanza a donare beni immobili sarà sufficiente la scrittura privata, infatti in questo caso permane la causa gestoria e non vi sarebbe una causa donativa. Non è, invece necessaria alcuna forma speciale per il mandato a donare beni mobili, anche se di valore non modico, e per il mandato a costituire una società di capitali.
In tema di società si segnala che il mandato a costituire una società di capitali in nome del mandatario non richiede ordinariamente la forma scritta, per quanto il contratto di società in cui consiste l'attività gestoria abbia natura formale. Tale conclusione si giustifica in forza della constatazione che, una volta, costituita la società il mandatario diventa titolare di una partecipazione sociale, qualificabile come un bene immateriale, la cui circolazione sfugge a prescrizioni formali, e la cui cessione al mandante è retta, pertanto dall'art. 1706 c.c., 1 comma. La questione è stata anche oggetto di pronuncia giurisprudenziale secondo cui "Il mandato senza rappresentanza, sottostante ad una interposizione reale ovvero ad un negozio fiduciario, aventi per oggetto la costituzione di una società di capitali, non deve risultare da atto scritto, atteso che, una volta stipulato (tra il mandatario ed il terzo) il contratto solenne di costituzione di società, l'obbligo di ritrasferimento che ne consegue (fra mandante e mandatario) riguarda le quote sociali o le azioni (a seconda del tipo di società), e cioè un effetto che può essere raggiunto mediante negozi a forma libera". (Cass. 2 luglio 1990, n. 6764, GI, 1990, I, 1, 1694).
5.3) Conseguenze della nullità del mandato per difetto di forma
In dottrina in merito alla nullità del mandato chi accoglie la soluzione formale ne fa discendere sia la nullità del negozio traslativo di esecuzione del mandato ex art. 1706, II comma, c.c. sia l'impossibilità di riconoscere al mandante un'azione risarcitoria verso il mandatario inadempiente all'obbligo di trasferimento (Carnevali 1990, 3; Xxxxxxxxx 1985, 275).
In merito alla nullità che si estende anche al negozio traslativo è stato rilevato che nel caso in cui il mandato sia affetto da nullità per mancanza di forma solenne (artt. 1418, 1325 n. 4), non producendosi alcun effetto tipico di questo negozio, non sarà ipotizzabile alcuna azione contrattuale di danni del mandante contro il mandatario per il mancato trasferimento dell'immobile, come pure, in via di principio, alcun diritto al compenso da parte di questo, rimanendo soltanto salva la pretesa del mandante alla restituzione delle eventuali anticipazioni. (Luminoso 2007, 64).
In relazione al diritto del mandante ad ottenere il risarcimento del danno, la Suprema Corte non solo ha affermato la risarcibilità del danno che il mandante dimostra di aver subito, ma ha configurato anche una responsabilità extracontrattuale del mandatario in caso di appropriazione indebita: "Nell'ipotesi di mandato ad acquistare beni immobili nullo per difetto di forma, l'acquisto effettuato dal mandatario, in nome e per conto proprio, concreta una totale inattuazione dell'obbligazione principale nascente dal contratto ex art. 1703 c.c. che dà luogo a responsabilità risarcitoria a carico del mandatario stesso. Se poi l'acquisto sia posto in essere da quest'ultimo non solo per proprio conto, ma distraendo a questo scopo di personale profitto il denaro del mandante, fiduciariamente consegnatogli per l'espletamento dell'incarico, l'appropriazione dei mezzi pecuniari somministrati "ex art. 1719 c.c., in violazione del rapporto fiduciario, integra gli estremi di un illecito penalmente rilevante ed espone il mandatario a responsabilità risarcitoria "ex delicto". (Cass. 3 aprile 1991, nr. 3468, Corg., 1991, 772).
Escludono invece la risarcibilità del danno subito dal mandante per inadempimento del mandatario le seguenti sentenze: "Il mandato ad acquistare beni immobili richiede la forma scritta "ad substantiam", sicché è inammissibile l'actio mandati per il risarcimento dei danni, giacché la nullità del negozio derivante dalla mancanza di uno dei requisiti di cui all'art. 1325 c.c. (nella specie forma scritta ad substantiam) impedisce che si costituisca il rapporto giuridico e che sorga quindi alcuna obbligazione tra le parti. Per ciò colui che ha conferito il mandato oralmente non può per la nullità del negozio rivendicare l'immobile, nè chiederne il trasferimento in suo favore,
non essendo sorto a carico del preteso mandatario, l'obbligo corrispondente". (Cass. 18 giugno 1998, nr. 6063, MGC, 1998, 1347). Nello stesso senso: "Il mandato senza rappresentanza quando ha per oggetto il trasferimento di beni immobili richiede la forma scritta "ad substantiam" con la conseguenza che il difetto di tale forma comporta la nullità del negozio che (derivante alla mancanza di uno dei requisiti di cui all'art. 1325 c.c.) impedisce che si costituisca il rapporto giuridico e che sorgano obbligazioni tra le parti, sicché resta preclusa la possibilità per il mandate di esperire l' "actio mandati", neppure al fine di chiedere il risarcimento del danno da inadempimento con riguardo all'obbligo di trasferimento dell'immobile, non essendo sorta alcuna obbligazione da adempiere a carico del mandatario". (Cass. 12 gennaio 1991, nr. 256, MGC, 1991,
1).
CAPITOLO II
IL MANDATO CON RAPPRESENTANZA
1) La fattispecie normativa e gli effetti
Il mandato con rappresentanza, di cui all'art. 1704 c.c., non rappresenta un autonomo tipo contrattuale, infatti esiste un'unica nozione di contratto di mandato contenuta nell'art. 1703 c.c., dove l'elemento tipizzante è costituito dall'obbligazione assunta dal mandatario di compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante. Le successive articolazioni previste dal codice nascono dal fatto che alla nozione fondamentale di mandato si aggiunge il conferimento del potere al mandatario di agire, oltre che per conto, anche in nome del mandante. Ne consegue che la rappresentanza è qualcosa che si aggiunge al mandato e che ne influenza gli effetti, quanto al modo di prodursi, ma non è un elemento che faccia parte della struttura del contratto o che comunque influisca in qualche maniera su di essa.
L'aggiunta del potere di rappresentanza non altera il profilo del tipo contrattuale: "Nessuna alterazione di ordine funzionale subisce il mandato quando il mandatario sia tenuto a compiere l'attività gestoria in nome del mandante (art. 1704 c.c.). La previsione pattizia della spendita del nome del mandante, vista in un'ottica interna al rapporto di gestione, integra una determinazione convenzionale che arricchisce la prestazione debitoria del mandatario di una ulteriore modalità, cui egli dovrà attenersi nella fase di esecuzione dell'incarico". (Luminoso 1984, 51).
Si può osservare che la fattispecie normativa relativa al mandato con rappresentanza nasce da una previsione del legislatore ricavata in parte dall'art. 1703 c.c. ed in parte dall'art. 1704 c.c. che può essere così sintetizzata: il mandante conferisce al mandatario l'incarico di compiere uno o più atti giuridici non soltanto per suo conto (art. 1703 c.c.), ma anche in suo nome (art. 1704 c.c.) con l'intento di attribuirgli la legittimazione a rappresentarlo nell'attività gestoria posta in essere nei confronti del terzo.
Per quanto concerne la tematica degli effetti del mandato con rappresentanza, occorre combinare due modelli disciplinari, ovvero la disciplina del contratto di mandato e la disciplina inerente l'efficacia del contratto concluso dal rappresentante, in virtù del rinvio in base al quale "si applicano anche le norme del capo VI del titolo II di questo libro", cioè gli artt. 1387 – 1400 c.c..
Una conferma in tal senso deriva dalla seguente opinione: "Giova
anzitutto rilevare che la legge non dice che al mandato con rappresentanza non si applicano le norme dettate in tema di mandato, dice soltanto che, quando il mandato è con rappresentanza, si applicano "anche" le norme relative a quest'ultima. E ciò sta a significare che, relativamente al mandato, le disposizioni contenute negli artt. 1703 – 1730 c.c. costituiscono la fonte normativa primaria, che va integrata, unicamente nel caso in cui al mandatario sia stato conferito il potere di agire in nome del mandante, con quelle relative alla rappresentanza, contenuta negli artt. 1387 – 1400 c.c.". (Bavetta 1975, 331).
Il rinvio alla disciplina di cui agli artt. 1387 – 1400 c.c. comporta l'applicazione delle norme che regolano la c.d. rappresentanza volontaria, ovvero il potere di rappresentanza conferito in base ad una autodeterminazione dell'interessato. Ne consegue che da tale disciplina sono escluse sia la c.d. rappresentanza necessaria o legale, che si pone come attribuzione di poteri per la tutela di interessi più generali sia la rappresentanza organica o delle persone giuridiche.
Sul fronte della rappresentanza legale si è parlato di "rappresentanza impropria", in quanto l'attività dell'agente si fonda su un potere proprio dell'agente medesimo, proveniente dalla legge, grazie al quale egli agisce in piena indipendenza dalla volontà di colui per cui agisce. E' stato poi sottolineato che, considerato che nella rappresentanza legale si prescinde dal consenso dell'interessato, la fattispecie si distingue nettamente dalla rappresentanza volontaria, dove l'autonomia del rappresentato è il dato qualificante.
In merito alla rappresentanza delle persone giuridiche, invece, è stato posto in risalto come, essendo in loro immedesimati gli organi che le impegnano e che con esse esprimono la volontà, viene a mancare il dato caratteristico ed essenziale della rappresentanza, ossia il fattore esterno.
2) Oggetto dell'attività gestoria
Il mandato con rappresentanza pone dei limiti, in quanto l'obbligazione del mandatario di compiere l'attività gestoria in nome e per conto del mandante non può avere ad oggetto qualsiasi atto. E ciò non deriva dalla disciplina del mandato, ma dal regime della rappresentanza da cui nascono dei limiti il cui ambito di applicazione viene variamente circoscritto e fatto coincidere, dalle singole correnti di pensiero, o, con il solo campo negoziale, o con gli atti (negoziali o non) a carattere dichiarativo o partecipativo, o, infine, con gli atti per i quali sussista nell'agente almeno la libertà di compierli o di non compierli. (Luminoso 1984, 120 -121).
E' stato, inoltre, osservato che il carattere necessariamente
"dichiarativo" della spendita del nome altrui da parte del rappresentante, dovrebbe indurre a circoscrivere l'ambito di operatività della rappresentanza al compimento dei soli atti (sia in senso stretto che di natura negoziale) partecipativi o di dichiarazione, in sè destinati quindi a terzi o ad un terzo determinato. Per i cosiddetti atti reali o operazioni, non essendo concepibile una vera e propria rappresentanza, dovrebbe ammettersi il solo mandato in nome proprio, il quale non sembra incontrare ostacoli nell'eventuale natura "non dichiarativa" dell'atto gestorio.
In altre parole la rappresentanza ricorre solo quando il soggetto che agisce, indica il terzo come destinatario degli effetti, dichiarando di compiere l'atto in nome altrui. Questo comporta che il concetto di rappresentanza sarebbe ammissibile solo per le attività dichiarative e non per i comportamenti non dichiarativi, per i quali può prospettarsi una generica sostituzione nel compimento dell'atto.
Alcuni, al contrario, sostengono che l'istituto della rappresentanza è applicabile anche agli atti non dichiarativi e nello specifico a quei comportamenti che pur essendo suscettibili di una proficua sostituzione, si presentano isolati da ogni contesto significativo di rappresentanza e sono inidonei a manifestare nella loro materialità il riferimento del regolamento ad un soggetto diverso dal loro autore, (Xxxxxxxxx 1985, 168 – 169). In dottrina si rileva essere il caso del conferimento di una procura generale ad amministrare, la quale ben può comportare l'obbligo di curare la riscossione dei crediti del dominus. In tali casi il procuratore è legittimato a richiedere al debitore del mandante il pagamento di un credito altrui solo se dichiara di agire come rappresentante del creditore e, solo se richiesto dal terzo, sarà tenuto all'onere di giustificare i suoi poteri (art. 1393 c.c.), in virtù dei quali sarà altresì legittimato a rilasciare quietanza (art. 1199 c.c.).
In giurisprudenza il tema è stato affrontato dalla Suprema Corte ed è sintetizzabile nella seguente massima: "Lo svolgimento delle sole trattative in vista della conclusione di un contratto può essere oggetto di mandato con rappresentanza, in quanto la prestazione del mandatario non deve consistere necessariamente nella conclusione di negozi giuridici, ma può concretarsi anche nel compimento di atti volontari non negoziali, e le norme sulla rappresentanza sono applicabili, per analogia, anche agli atti giuridici leciti c.d. simili ai negozi (quali la costituzioni in mora, la denunzia di vizi, le partecipazioni in genere, ecc.). Ne consegue che, allorché le trattative siano svolte da un mandatario con rappresentanza, sia pure limitata alla sola fase precontrattuale, con esclusione della stipula del contratto, gli atti compiuti dal rappresentante sono direttamente ed automaticamente imputati al rappresentato, con conseguente riferibilità a quest'ultimo della responsabilità precontrattuale
eventualmente configurabile". (Cass. 4 marzo 2002, nr. 3103, SI,
2002, 1126).
Nella motivazione di questa sentenza si afferma il principio secondo cui le norme sulla rappresentanza si applicano solo ai negozi giuridici, mentre con riferimento agli atti giuridici leciti non negoziali le norme sulla rappresentanza si applicano in via analogica, ricorrendone i presupposti, soltanto ove si tratti di cd. atti simili ai negozi (quali la costituzione in mora, la denunzia di vizi, le partecipazioni in genere, ecc.), con esclusione degli atti materiali non espressione di pensiero, ma tipicamente diretti alla semplice produzione di un evento, i c.d. realakte (trasformazione, acquisto o perdita di detenzione).
3) Il rapporto tra mandato e procura
Nel contratto di mandato con rappresentanza si ritrovano due diverse realtà giuridiche, ovvero la cooperazione gestoria di fonte contrattuale e la sostituzione, cioè il fenomeno in base al quale un soggetto agisce non solo per conto ma anche in nome altrui.
Ne consegue che gli aspetti della "gestione" devono correlarsi con quelli della "rappresentanza", ovvero occorre coordinare figure giuridiche che assolvono funzioni diverse.
La dottrina è unanime nel riconoscere l'autonomia concettuale e funzionale dei rapporti di mandato e rappresentanza, anche quando, come nel caso del mandato con rappresentanza, essi sono connessi.
Mentre il mandato investe il mandatario dell'incarico di compiere uno o più atti giuridici per conto altrui ed assolve la funzione di deviare il negozio o l'atto giuridico nel suo momento economico sostanziale dall'agente verso il soggetto per conto del quale l'atto è posto in essere, la rappresentanza attribuisce il potere di spendere il nome del mandante, cioè di compiere l'attività giuridica in nome di lui, in modo che gli effetti, vantaggiosi e non, di tale attività incidano direttamente sulla persona del rappresentato.
La rappresentanza è distinta dal mandato anche formalmente, in quanto ha la sua fonte in un negozio concettualmente e sostanzialmente distinto dal mandato, ovvero la procura.
La procura ha una duplice efficacia: nei confronti del dominus, il quale dichiara propri gli effetti del futuro negozio compiuto da un altro e nei confronti del terzo contraente a cui si rende noto che il negozio da lui stipulato col rappresentante interessa invece il rappresentato.
Il contratto di mandato regola i rapporti interni tra mandante e mandatario, mentre la procura è destinata al rapporto esterno tra rappresentante e terzo. In tal senso si è pronunciata anche la Corte di
Cassazione secondo cui: "Il contratto di rappresentanza regola i rapporti interni tra rappresentante e rappresentato, mentre, la procura, quale atto unilaterale per la cui efficacia non occorre l'accettazione del procuratore, disciplina, invece, i rapporti esterni, ed è diretta ai terzi, con i quali il rappresentante è destinato ad entrare in relazione per assolvere l'incarico assunto verso il rappresentato". (Cass. 7 gennaio 1964, nr. 9, RDL, 1965, II, 209).
La procura serve certamente a sorreggere la rappresentanza, perché è ad essa che, nei rapporti esterni, si deve fare riferimento ed è ad essa che il mandatario ed il terzo uniformano la conclusione dell'affare. Ma, rispetto ai rapporti interni, tra mandatario e mandante, la procura non può non essere conforme al contenuto del mandato, anzi tra l'una e l'altro deve sussistere assoluta rispondenza, come è testimoniato dal fatto che il mandatario deve agire in nome del mandante ed in conformità dell'incarico ricevuto, di cui la procura è appunto l'espressione formale. Ne consegue che rispetto al mandato con rappresentanza, la procura ed il rapporto gestorio stanno in posizione paritetica: entrambi concorrono a sorreggere la rappresentanza, con la differenza che mentre la procura opera nel senso di attribuire al mandatario la legittimazione ad agire nel nome del mandante, il rapporto gestorio serve a giustificare le specifiche attribuzioni patrimoniali e quindi a spiegare come sorgano, in capo al mandante, i diritti e gli obblighi derivanti dall'attività compiuta dal mandatario.
Nel mandato con rappresentanza il terzo ha riguardo alla procura, nel senso che ha interesse a conoscere quali siano in concreto i poteri che, per il tramite di essa, sono stati conferiti al mandatario. Il terzo non ha interesse a conoscere il contenuto del rapporto gestorio ma sa che questo esiste e, anzi, ha interesse all'esistenza di esso, perché altrimenti la procura, non essendo sorretta da tale rapporto, sarebbe invalida. Da tale profilo, dunque, può condividersi l'assunto secondo cui nell'agire in nome altrui il rappresentante si presenta come cooperatore del principale.
Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, in un'unica dichiarazione contrattuale sono fusi due negozi distinti: uno per la gestione (il mandato) e uno per la rappresentanza (la procura). La distinzione ha effetti sulla struttura contrattuale, infatti la procura non è una clausola del contratto di mandato, ma un distinto negozio unilaterale autonomo: "Quando il negozio di conferimento del c.d. potere di rappresentanza e il contratto di gestione si presentano fusi in una dichiarazione esteriore unica, niente vieterebbe, in via di principio, di pensare che il primo atto, pur conservando la propria individualità e funzione, sotto il profilo strutturale si trasformi in una semplice clausola di quel contratto. Ma proprio la spiccata autonomia (sotto il profilo sia funzionale, che della disciplina dell'atto e del relativo rapporto) che in queste ipotesi si dovrebbe
comunque riconoscere all'atto di conferimento della legittimazione rappresentativa in seno al contenuto del contratto di gestione, rende forse tecnicamente più plausibile la configurazione di un'autonomia anche strutturale di tale atto. Ove si ammetta siffatta autonomia strutturale, sarebbe comunque certo, nelle ipotesi in discorso, l'esistenza di un collegamento funzionale tra procura e negozio di gestione". (Luminoso 1984, 37-38, Betti 1960, 579; Xxxxxx 1982,
161; Mirabelli 1991, 559; Xxxxxxxxx 1985, 150).
A questa corrente se ne oppone un'altra per la quale non può escludersi che all'unità della struttura negoziale corrisponda un unico negozio: "Quanto alla struttura dell'atto di conferimento della legittimazione rappresentativa va tenuto presente che l'indicazione fornita dall'art. 1387 c.c., che può far ora considerare sufficiente la dichiarazione unilaterale di volontà del dominus, non vale più ad escludere che, allo stesso effetto, possa venire in considerazione un procedimento più complesso, quale quello contrattuale, nel quale la suddetta dichiarazione trova immediata rispondenza in una corrispondente dichiarazione dell'altra parte. Che è quanto può dirsi per l'ipotesi, in un certo senso tipica, dell'art. 1704 c.c., e può ripetersi per altri contratti con i quali si dà vita ad analoghi rapporti di gestione. E' anzi, agevole notare che, se in certi casi può essere necessaria una clausola ad hoc (come appunto nel mandato, che altrimenti, non comprenderebbe il potere di rappresentanza) in altri non c'è neanche bisogno di una simile clausola perché il suddetto "potere" è una conseguenza naturale del contratto (come nella preposizione institoria ex art. 2204 c.c.)". (Xxxxxxxxx Xxxx 1987, 997; Pugliatti 1965, 526; Papanti -Xxxxxxxxx 1984, 20).
In sintesi la rappresentanza volontaria può avere una fonte di duplice natura: può essere conferita mediante un apposito atto unilaterale, la procura, cui non corrisponde alcun rapporto di gestione, oppure può essere conferita mediante il contratto (di mandato, di agenzia, di società, di lavoro subordinato) che crea tra le parti un rapporto di gestione, alternativamente come effetto naturale o per effetto di una clausola a tal fine prevista dalle parti.
L'impostazione prevalente che porta a distinguere nel contratto di mandato con rappresentanza due diverse strutture negoziali, merita di essere riconsiderata perché la configurazione di un negozio unilaterale di procura funzionalmente collegato al mandato, costituisce un'artificiosa costruzione che non risponde alle realtà contrattuali diffuse nella pratica. Si comprende, quindi, come la prospettiva del mandato con negozio unilaterale di procura non viene più assunta in termini assoluti.
3.1) L'autonomia della procura
La condizione di completa autonomia che sussiste tra procura e rapporto di mandato si manifesta anche nel momento della loro cessazione, infatti l'eventuale irrevocabilità del mandato si riflette esclusivamente nei rapporti interni tra mandante e mandatario, mentre la permanenza del potere rappresentativo è legata alla mancata revoca della procura.
Assai significativa in tal senso è la seguente massima: "Nel mandato conferito nell'interesse del mandatario, in presenza di procura, l'irrevocabilità prevista dall'art. 1723, comma 2, c.c. si esaurisce nel rapporto interno fra il mandante e il mandatario e non è opponibile al terzo debitore, il quale, nell'ipotesi di mandato all'incasso, avuta comunicazione della revoca della procura (sempre possibile in base alla relativa disciplina, in quanto la procura è atto unilaterale recettizio ed astratto, assolutamente autonomo rispetto al negozio gestorio sottostante), non è tenuto a corrispondere il pagamento al mandatario, non più legittimato ad agire in nome del mandante". (Cass. 4 dicembre 1996, nr. 10819, MGC, 1996, 1672).
Si è qui al cospetto di un principio di spiccata autonomia dell'atto ex art. 1392 c.c. rispetto al negozio gestorio, la quale rinviene la sua giustificazione ed il suo presupposto nella specificità della normativa sulla procura, la cui revoca è disciplinata dall'art. 1396 c.c., mentre quella del mandato dgli artt. 1722 ss. c.c.
La spiccata autonomia della procura è attestata dalla circostanza che può essere inerente a più figure giuridiche e non solo al mandato, pur se è questo il maggior settore di applicazione.
Xxxxxx espressione giurisprudenziale di siffatta autonomia si ritrova nella seguente massima: "Nel mandato conferito nell'interesse del mandatario, con attribuzione di procura, l'irrevocabilità del mandato prevista dall'art. 1723, comma 2, c.c., si esaurisce nel rapporto interno fra il mandante ed il mandatario e, pertanto, l'efficacia e la "validità" del contratto concluso, con il terzo, dal mandatario, restano sempre subordinate alla permanenza del potere di rappresentanza, e quindi, alla non revoca della procura. Più in particolare, essendo la procura un negozio unilaterale, recettizio ed astratto, essenzialmente revocabile in quanto assolutamente autonomo rispetto al negozio gestorio sottostante (mentre l'irrevocabilità, prevista dall'art. 1723, comma 2, c.c., attiene al negozio gestorio medesimo e si esaurisce nel rapporto interno fra il mandante e il mandatario), la revoca della procura determina l'estinzione del potere di rappresentanza medesimo". (Cass. 11 febbraio 1998, nr. 1388, MGC, 1998, 300).
La Corte ha chiarito che la procura con cui viene conferito il potere di agire in nome del rappresentante costituisce un atto unilaterale
recettizio ed astratto, vale a dire indipendente dal negozio gestorio sottostante rispetto al quale gode di assoluta autonomia anche se compresa nel contesto di uno di tali negozi che danno vita al rapporto di gestione (mandato, società, contratto di lavoro). Per il suo carattere astratto non è consentito quindi estendere ad essa la disciplina applicata al rapporto gestorio. Diverse conclusioni non possono essere tratte per il mandato sulla base della previsione dell'art. 1704 c.c., in quanto tale norma non estende alla rappresentanza le disposizioni sul mandato ma anzi richiama, nel caso di mandato con rappresentanza, le norme sulla rappresentanza e quindi anche quella sulla revocabilità della procura (art. 1396 c.c.), che trovano così piena applicazione. Conseguentemente, mancando nella disciplina relativa alla procura una norma, come quella di cui all'art. 1723, II comma,
c.c. riguardante il mandato, che ne preveda l'irrevocabilità, trova in ogni caso applicazione il principio della revocabilità della procura previsto dal citato art. 1396 c.c., in base al quale il potere di rappresentanza deve essere sempre sorretto dalla volontà del rappresentato.
4) Forma del mandato con rappresentanza
Nel mandato con rappresentanza il rapporto tra mandato e procura produce i propri effetti sulla questione della forma ad substantiam.
I due negozi possono presentarsi distinti, ovvero mandato con separata procura funzionalmente collegata oppure possono presentarsi in un unico contratto nella forma del mandato con rappresentanza.
La Cassazione in materia ha elaborato la seguente massima: "Ferma la distinzione tra procura e mandato – risolvendosi, la prima nel conferimento ad un terzo del potere di compiere un atto giuridico in nome di un altro soggetto e, il secondo, in un contratto in forza, del quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici nell'interesse dell'altra – il mandato con rappresentanza a vendere beni immobili non è soggetto all'onere della forma scritta stabilito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1392 e 1350 nr. 1 c.c. per l'atto di procura, atteso che gli effetti del contratto di compravendita si producono in capo al rappresentato in forza del solo rapporto di rappresentanza, mentre il mandato spiega i suoi effetti nel rapporto tra rappresentante e rappresentato". (Cass. 30 maggio 2006, nr. 12848, VN, 2006, 1424).
E' opportuno ricordare le conseguenze del difetto di forma: in ipotesi di procura rilasciata in forma verbale per la compravendita di immobili, la Cassazione ha rilevato che il difetto di forma della procura ne comporta la nullità e quindi il soggetto a cui è stata conferita agisce quale falsus procurator, con la conseguenza che il
negozio da lui concluso non è nè nullo nè annullabile, ma inefficace nei confronti del dominus fino alla ratifica di questi. (Cass. 14 maggio 1997, nr. 4258, MGC, 1997, 743).
Altra massima particolarmente interessante è la seguente: "Procura e contratto di mandato senza rappresentanza producono effetti negoziali diversi: la prima conferisce ad un soggetto il potere di agire nel nome e in vece del rappresentante; il secondo obbliga il mandatario al compimento di attività giuridiche nell'interesse del mandante, senza spendere il suo nome. Poichè però entrambi i negozi assolvono il ruolo di manifestazione della volontà, rispettivamente del rappresentato, o del mandante, di ottenere il compimento dell'attività da parte del rappresentante o del mandatario, condizione di validità dell'uno e dell'altro è che tale manifestazione abbia la medesima forma prescritta perchè l'attività – che può, o deve, essere compiuta – possa produrre gli effetti voluti. Qualora invece il mandante conferisca la rappresentanza al mandatario, la forma per la validità del contratto di mandato è libera, con conseguente costituzione dei rispettivi diritti e obblighi, mentre per la forma necessaria alla validità della procura si applicano i principi predetti". (Cass. 10 novembre 2000, nr. 14637, Contr., 2001, 975).
5) La spendita del nome del mandante
Nell'ambito del contratto di mandato, a seconda della spendita o meno del nome del mandante da parte del mandatario, si configurano rispettivamente la fattispecie del mandato con rappresentanza e quindi il relativo rapporto si sviluppa secondo le regole della rappresentanza diretta, ovvero la fattispecie del mandato senza rappresentanza e quindi il relativo rapporto si sviluppa secondo le regole della rappresentanza indiretta.
Lo strumento alla base del distinguo è la contemplatio domini: nel mandato con rappresentanza, affinché il mandate rappresentato possa far propri gli effetti dell'atto o del negozio giuridico compiuti dal mandatario rappresentante e possa rispondere verso il terzo, è assolutamente necessario che il mandatario spenda il nome del mandante, infatti anche in ipotesi di conferimento di incarico con procura, in difetto della spendita del nome, la fattispecie concreta ricade nell'ambito applicativo dell'art. 1705 c.c.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che: "Nel sistema del codice vigente la spendita del nome del rappresentante deve essere espressa, nel senso cioè che chi contratta per conto altrui deve portare a conoscenza dell'altro contraente che egli agisce non solo nell'interesse, ma anche nel nome di un soggetto diverso il quale, in tal modo, acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dal
contratto". (Cass. 10 dicembre 1996, nr. 10989, MGC, 1996, 1708). E' evidente che, sul fronte esterno, in caso di mancata spendita del nome da parte del mandatario, nonostante il mandato sia stato conferito attribuendo il potere di rappresentanza, l'attività gestoria deve essere considerata come avvenuta in nome proprio, cioè senza rappresentanza e ciò a prescindere dalla eventuale conoscenza da parte del terzo del rapporto di mandato: "Quando sia mancata la spendita del nome del mandante al momento della contrattazione, gli effetti del negozio - anche se l'altro contraente abbia avuto "aliunde" la conoscenza del mandato e dell'interesse del mandante nell'affare - si consolidano direttamente in capo al mandatario, realizzandosi così un caso di sostituzione reale di persona e non costituendosi alcun rapporto tra mandante e terzo. Consegue che il mandatario senza rappresentanza può agire in giudizio in nome proprio, nei limiti di cui all'art. 1708 c.c., a tutela dei diritti di pertinenza sostanziale del mandante senza che l'esternazione del mandato, fatta successivamente al contratto acquisitivo del diritto, incida sulla posizione sostanziale e processuale del mandatario stesso, potendo soltanto l'effettuato ritrasferimento al mandante del bene acquistato per suo conto integrare una successione a titolo particolare nel relativo diritto controverso, con gli effetti di cui all'art. 111 c.p.c. (e salva la prosecuzione del giudizio fra le parti originarie nel difetto delle condizioni per l'estromissione dell'alienante)". (Cass. 27 novembre 1986, nr. 6998, GI, 1987, I, 1, 2054).
In merito alle modalità di spendita del nome del rappresentato mandante da parte del rappresentante mandatario, è da segnalarsi una posizione di maggior rigore emersa in risalenti pronunce: "In precedenti decisioni la Suprema Corte ha seguito un orientamento più rigido, escludendo che la contemplatio domini potesse essere desunta da elementi presuntivi, dovendo la spendita del nome del rappresentato, nel mandato con rappresentanza, essere espressa. Secondo questo orientamento, nei contratti conclusi per mezzo di rappresentante la spendita del nome del rappresentato deve avvenire in maniera espressa e univoca, ancorché senza necessità di formule sacramentali, con l'effetto che, mancando la dichiarazione espressa del rappresentante, non è ammissibile che la spendita del nome del rappresentato possa essere desunta da elementi presuntivi (cosiddetta contemplatio domini tacita) e, pertanto, la conoscenza che l'altro contraente abbia della esistenza della procura non è sufficiente ad attribuire al rappresentato la titolarità del negozio, che si considera perciò concluso dal rappresentante in nome proprio, a norma dell'art. 1705 c.c. (v. Sent. 5057/1978, tra le tante che hanno seguito questo orientamento: sent. 2900/1969, 55/1976, 2728/1976, 270/1978, 337/1978, 5777/1978, 1999/1979)". (Cass. Sez. Lav., 20 ottobre 2003, nr. 15691, MGC, 2003, 10).
Questo indirizzo si è attenuato come si apprende dalla seguente massima: "L'esternazione del potere rappresentativo può avvenire anche senza espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato, purché vi sia un comportamento del mandatario che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell'altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto sono destinati a prodursi direttamente. L'accertamento circa la sussistenza o meno della spendita del nome del rappresentato è compito devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e da errori di diritto". (Cass. Sez. Lav., 20 ottobre 2003, nr. 15691, MGC, 2003,
10).
Nel rilevare la permanenza nella giurisprudenza di legittimità, del contrasto tra le due opzioni interpretative divergenti in ordine alla modalità della manifestazione (espressa o tacita per fatti concludenti) della contemplatio domini, autorevole dottrina si è espressa prendendo posizione in senso favorevole circa l'ammissibilità di una contemplatio domini tacita, con il conseguente riconoscimento della possibilità di esteriorizzare il potere rappresentativo mediante una dichiarazione espressa ovvero un comportamento concludente, come, del resto di regola accade per ogni manifestazione di volontà negoziale. In questa ottica, si giustificherebbe un trattamento puculiare soltanto per i contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam, dovendo, in tal caso, la contemplatio domini desumersi da elementi risultanti dal documento contrattuale.
Particolarmente interessanti sono i profili che riguardano la prova della spendita del nome del mandante. In merito rileva la Cassazione che: "Nei contratti conclusi dal rappresentante, la prova che il rappresentante abbia espressamente speso il nome del rappresentato può essere fornita anche per presunzioni, diversamente dal caso in cui sia mancata una espressa spendita del nome, in cui gli effetti del negozio si consolidano direttamente in capo al rappresentante anche se l'altro contraente abbia avuto comunque conoscenza del mandato o dell'interesse del mandante nella conclusione dell'affare: in quest'ultimo caso, infatti, una eventuale contemplatio domini tacita non può essere desunta da elementi presuntivi". (Cass. 12 gennaio 2007, nr. 433, MGC, 2007, 1).
Nella motivazione si legge: "L'inammissibilità, dedotta dalla ricorrente, che la spendita del nome del rappresentato, nei contratti conclusi per mezzo del rappresentante, possa desumersi da elementi presuntivi, non sussiste, non essendo previsti limiti alla prova per presunzioni sul punto, diversi da quelli propri della prova per testimoni, ai sensi del secondo comma dell'art. 2729 c.c. Il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, con sentenza nr. 1999/1979,
segnatamente richiamata dalla ricorrente, non è pertinente, riguardando fattispecie diversa da quella considerata dalla Corte di merito, che, appunto, ha desunto da elementi presuntivi l'espressa spendita del nome della società rappresentata dal controricorrente al tempo del conferimento dell'incarico professionale. Il principio, di cui alla sopraindicata pronuncia della Corte di Cassazione, peraltro temperato in successive pronunce (x. Xxxx. nr. 4131/1981, nr. 3290/1982, nr. 936/1984), riguardava, invece, la diversa ipotesi della cosiddetta contemplatiti domini tacita, ossia il caso della mancanza di spendita espressa del nome del rappresentato, con la conseguenza che in tale caso, come appunto enunciato in sentenza, "quando sia mancata un'espressa spendita del nome del rappresentato, gli effetti del negozio si consolidano direttamente in capo al rappresentante anche se l'altro contraente abbia avuto comunque conoscenza del mandato e dell'interesse del mandante nell'affare: ne consegue che la contemplatio domini non può essere desunta, qualora sia contestata, da elementi presuntivi". (Cass. 12 gennaio 2007, nr. 433, MGC, 2007,
1).
In questo senso si rileva questo precedente: "Poiché non è necessario che la contemplatio domini negoti risulti dal contratto concluso dal rappresentante ovvero sia espressa con formule solenni, può essere dedotta da univoci elementi idonei a rivelare che l'attività di questo è svolta, oltre che nell'interesse, anche nel nome di un altro soggetto. Accertare se vi sia stata la spendita del nome del rappresentato è compito del giudice di merito". (Cass. 10 dicembre 1996, nr. 10989, MGC, 1996, 1708).
In merito al soggetto su cui grava l'onere di dimostrare la spendita del nome altrui la Cassazione ha precisato che: “Quando viene stipulato un contratto si presume che i soggetti stipulanti agiscano per sè stessi, a meno che non dichiarino espressamente di agire in nome e per conto di altri, non facciano cioè espressamente la cosiddetta "contemplatio domini". Nel caso sorgano contestazioni, è il contraente che assume di aver agito in nome e per conto di altri a dover fornire la prova di avere, al momento della stipulazione del contratto, espressamente dichiarato di agire in virtù di un potere rappresentativo a lui conferito, mediante la "contemplatio domini", e non già l'altro contraente a dover dimostrare che, invece, tale "contemplatio" abbia nella specie fatto difetto. E se è vero che la "contemplatio domini" può essere anche implicita o manifestata per fatti concludenti, tale principio, basato sulla tutela dell'affidamento incolpevole, può essere invocato da chi ha contrattato con una persona ritenendola rappresentante del soggetto legittimato al negozio e non può di certo valere nel caso opposto, quando cioè colui che ha contrattato senza spendere in modo univoco il nome del rappresentato, cerca di sottrarsi alla responsabilità personale
derivante dal suo ambiguo comportamento”. (Cass. 8 novembre 2000, nr. 14530, MGC, 2000, 2283).
Si consideri, per completezza argomentativa, che la contemplatio domini, distingue il mandato con rappresentanza dalla commissione, a quale è un sottotipo qualificato di mandato senza rappresentanza che, quindi, non prevede la spendita del nome del mandante. Pertanto, mentre il negozio concluso dal mandatario con rappresentanza produce i suoi effetti direttamente in capo al mandante, quello posto in essere dal commissionario produce i suoi effetti giuridici nel patrimonio dello stesso commissionario, occorrendo un ulteriore atto giuridico per riversarli nel patrimonio del committente.
6) L'articolazione dei rapporti giuridici nel mandato con rappresentanza
Per affrontare la tematica degli effetti del mandato con rappresentanza occorre tener conto che quest'ultimo risente di due modelli disciplinari, ovvero quello dedicato al mandato e quello in materia di contratti conclusi dal rappresentante in nome del rappresentato (art. 1387 – 1400 c.c.). Anche la lettera dell'art. 1704 c.c. conferma l'autonomia dell'istituto della rappresentanza rispetto al sottostante negozio di gestione, che nella specie è quello di mandato.
La fattispecie della rappresentanza volontaria si esaurisce in due elementi essenziali che sono l'agire in nome altrui e la procura rilasciata dal soggetto nel cui nome si agisce. Tali aspetti trovano la loro disciplina nelle norme di cui agli art. 1387 c.c., mentre il mandato anche se obbliga il mandatario ad agire in nome del mandante, regola sempre il rapporto interno, intercorrente tra mandante e mandatario.
Nell'analizzare le posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti nel mandato con rappresentanza occorre, quindi, tenere distinti i piani relazionali, ovvero quello interno fra mandante e mandatario, rispetto a quello esterno tra mandante e terzo.
Inoltre occorre tener conto del fatto che la spendita del nome del mandante rappresentato, nell'esercizio dell'attività gestoria svolta dal rappresentante mandatario, crea un rapporto giuridico diretto fra mandante e terzo.
6.1) La posizione giuridica del mandante
In merito al rapporto interno tra mandante e mandatario occorre rilevare che l'attribuzione al mandatario del potere di agire in nome del mandante non altera i doveri del mandante che sarà comunque
tenuto a dare istruzioni sulle modalità di esecuzione del mandato, a mettere a disposizione tutto quanto necessario per l'espletamento dell'attività gestoria, a pagare l'eventuale corrispettivo pattuito, a corrispondere anticipazioni e a rimborsare le spese sostenute dal mandatario.
Il mandatario munito di rappresentanza è sempre un cooperatore giuridico. Come tale, egli, agendo nel nome del mandante, di regola, non ha altro scopo che quello di collegare la sfera giuridica del principale con la sfera giuridica del terzo, cioè di attuare un collegamento diretto (tra mandante e terzo), rispetto al quale il mandatario medesimo, anche se ne è l'artefice, resta comunque sostanzialmente estraneo. Nell'ambito di tale prospettiva l'attività del mandatario si caratterizza per l'alienità dell'interesse perseguito e per la spendita del nome del mandante. In sostanza il mandatario, compiendo l'atto (o gli atti giuridici) nell'interesse alieno e spendendo il nome del rappresentato, adempie al suo obbligo ex mandato e determina l'attuazione del fenomeno rappresentativo. Si avvera così il meccanismo predisposto dalla legge secondo cui gli effetti del negozio concluso con il terzo si producono direttamente nei confronti del mandante (art. 1388 c.c.). Sul piano degli effetti giuridici ne consegue che l'attività compiuta dal mandatario, nei limiti dei poteri conferitegli, è direttamente riferibile al mandante. Così, i diritti derivanti dal compimento di tale attività vengono acquistati dal mandante, al pari degli obblighi, che gravano su quest'ultimo sin dal momento in cui sono sorti.
In sostanza grazie agli effetti diretti della rappresentanza (art. 1388 c.c.), il mandante diventa immediatamente titolare delle posizioni giuridiche verso i terzi acquisite attraverso l'esecuzione del mandato, quindi non sarà necessario, sul piano giuridico formale, il compimento da parte del mandatario di negozi di trasferimento al mandante dei risultati dell'attività gestoria. Il mandante avrà diritto solo all'eventuale consegna della cosa acquistata in suo nome, alla consegna dei documenti e di quanto altro possa consolidare l'acquisizione di diritti derivanti dall'esecuzione del mandato.
Nonostante l'affidamento gestorio al mandatario tramite lo strumento del mandato con rappresentanza, il mandante conserva la legittimazione a curare direttamente l'affare. In merito: "Il mandato a vendere, pur se accompagnato dal conferimento del potere rappresentativo, non determina il trasferimento, in capo al mandatario, della proprietà del bene da alienare, ma ha contenuto meramente obbligatorio, impegnando il mandatario alla successiva stipulazione del contratto traslativo per conto (ed eventualmente anche in nome) del mandante. Ne consegue che il mancato espletamento dell'incarico prima della morte del mandante stesso è di per sè sufficiente a determinare tanto l'inclusione della res
nell'attivo devoluto agli eredi, quanto la sua compatibilità ai fini del tributo successorio, senza che spieghi influenza, in contrario, la circostanza che l'esecuzione del mandato sia stata differita post morte dal de cuius". (Cass. 23 aprile 2001, nr. 5981, GI, 2002, 203). Dalla motivazione della sentenza si evince che il mandato a vendere, pure se accompagnato dal conferimento di potere rappresentativo, ha contenuto obbligatorio e l'uscita del bene dal patrimonio del mandante si verifica solo se e nel momento in cui il mandatario dia corso all'incarico, stipulando il contratto con il terzo acquirente.
6.2) La posizione giuridica del mandatario
Nel mandato con rappresentanza il mandatario è parte di due distinti rapporti giuridici, ovvero è parte del rapporto interno di mandato, intercorrente con il mandante, ed è parte del rapporto esterno con il terzo, posto in essere per effetto dell'attività gestoria.
Per quanto concerne il rapporto interno, occorre osservare che il conferimento del potere di rappresentanza comporta una modificazione del rapporto di gestione in capo al mandatario nel senso che sussiste una prescrizione contrattuale che impone al mandatario di non agire in nome proprio, ma del mandante. In tal modo la spendita del nome altrui diviene una modalità di agire del gestore che è obbligato a compiere l'atto impegnando direttamente la sfera giuridica del gerito.
Il mancato rispetto di questo obbligo ha notevoli conseguenze, infatti qualora l'atto gestorio sia compiuto dal mandatario non nel nome del mandante, ma in nome proprio, tale esecuzione si traduce nella violazione di una determinazione convenzionale e quindi comporterà un inadempimento del rapporto di gestione configurabile come un eccesso di mandato.
Il mandatario è dotato di poteri di natura sostanziale e processuale. Sul tema dei poteri di natura sostanziale del mandatario con rappresentanza sono state pronunciate le seguenti massime:
a) "La denuncia dei vizi della cosa venduta effettuata al rappresentante del venditore il quale aveva stipulato il contratto di compravendita in nome e per conto dell'alienante, è valida solo nel caso in cui risulti la permanenza dei poteri rappresentativi anche nel tempo successivo alla stipulazione dell'atto di vendita, poichè nel caso di procura generale o di procura ad amministrare il patrimonio o parte del patrimonio del rappresentato è posto a carico di quest'ultimo l'onere di portare a conoscenza dei terzi le modifiche o la revoca della procura, mentre nel caso di procura speciale per un solo atto o per un solo affare, è il compimento di essi che produce la cessazione degli effetti, anche esterni, della procura". (Cass. 12
marzo 1980, nr. 1668, MGC, 1980, 3).
b) "La disdetta della locazione, comunicata a fini di diniego della rinnovazione tacita, alla prima scadenza, di un rapporto relativo ad un immobile adibito ad uso non abitativo deve necessariamente pervenire al conduttore nella forma della lettera raccomandata, ma non anche obbligatoriamente provenire dal locatore, che può legittimamente incaricare, all'uopo, un diverso soggetto (in qualità di mandatario) in forma anche soltanto verbale, poiché l'onere dell'avviso al conduttore per il tramite della raccomandata è xxxxxxx (attesa la natura recettizia dell'atto) unicamente al fine di garantire a quest'ultimo una tempestiva conoscenza dell'intenzione della controparte". (Cass. 28 giugno 1997, nr. 5802, MGC, 1997, 1080);
c) "Gli effetti dell'atto interruttivo della prescrizione compiuto stragiudizialmente da un professionista legale, investito dal creditore dei poteri per realizzare la propria pretesa, eventualmente anche in via giudiziale, sono riferibili al creditore stesso, nel cui interesse viene intimato il pagamento ed effettuata così la costituzione in mora, poiché questa, in quanto atto giuridico in senso stretto, non soggiace alla disciplina dell'art. 1324 c.c. per i negozi giuridici ed è perciò valida ed efficace, anche se compiuta da persona non ancora munita di procura scritta, purché essa abbia operato come mandatario del creditore, che le abbia abilitata ad agire, ovvero sulla base di più ampio rapporto comprensivo di analogo potere". (Cass. 4 febbraio 1993, nr. 1359, MGC, 1993, 216).
d) "Il riconoscimento del diritto - che, ai sensi dell'art. 2944 c.c., interrompe la prescrizione - non deve provenire necessariamente dal soggetto contro il quale il diritto stesso viene fatto valere, ma, costituendo un atto giuridico che non eccede l'ordinaria amministrazione, ben può essere posto in essere dal mandatario fornito di procura generale, indipendentemente dalla mancanza di un'espressa indicazione". (Cass. 7 maggio 1980, nr. 3004, MGC, 1980, 5).
In merito ai poteri di natura processuale è stato rilevato che: "Il mandatario con procura, abilitato ad agire in nome e per conto del mandante a tutela dei suoi interessi patrimoniali, è legittimato ad esperire azione di rivendicazione, anche quando la procura non includa il compimento di atti di straordinaria amministrazione, dato che tale azione, come in genere quelle di tipo restitutorio, non esula dall'ordinaria amministrazione, essendo rivolta al mantenimento della situazione patrimoniale del mandante". (Cass. 5 ottobre 1983, nr. 5799, MGC, 1983, 9).
Significativa è anche la seguente massima: "La responsabilità per risarcimento del danno verso il terzo contraente, di colui che contratta come rappresentante pur essendo privo di poteri a causa dell'inesistenza o dell'invalidità della procura, ha natura
extracontrattuale, in quanto fondata su un comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede (nell'ipotesi di consapevolezza della carenza di poteri e mancata comunicazione di tale situazione al terzo contraente) ovvero negligente (nell'ipotesi in cui l'invalidità della procura sarebbe stata conoscibile con l'uso della normale diligenza)". (Cass. 7 dicembre 1988, nr. 6669, MGC, 1988, 12).
Nella motivazione si rileva quanto segue: "È noto che il collegamento tra il mandato (contratto in forza del quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra) ed il negozio giuridico che il mandatario compie in nome del mandante è attuato mediante la procura, negozio unilaterale recettizio avente come destinatario il terzo, con il quale il mandante dichiara di conferire al mandatario il potere di concludere a suo nome l'atto (o gli atti in caso di procura generale) previsto dal mandato. I rapporti tra il terzo contraente ed il soggetto nel cui nome viene concluso il contratto sono perciò disciplinati dalle norme sulla rappresentanza (art. 1387 e segg.) e non già da quelle sul mandato (cui il primo è estraneo). Consegue che se la procura è valida ed efficace, il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente effetto, ai sensi dell'art. 1388, nei confronti del rappresentato. Qualora, invece, colui che contratta come rappresentante sia privo di poteri a causa della inesistenza o invalidità della procura, il contratto non produce alcun effetto (salvo ratifica dell'interessato) nei confronti sia del soggetto nominato che del terzo contraente. Questi può agire per risarcimento del danno nei limiti dell'interesse negativo nei confronti del rappresentante privo di poteri (falsus procurator), la cui responsabilità ha natura extracontrattuale, in quanto fondata (come emerge dall'implicito collegamento tra l'art. 1398 e l'art. 1338) su un comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede (nell'ipotesi di consapevolezza della carenza di poteri e mancata comunicazione di tale situazione al terzo contraente stesso), e negligente (ipotesi in cui l'invalidità della procura sarebbe stata conoscibile con l'uso della normale diligenza)". (Cass. 7 dicembre 1988, nr. 6669, MGC, 1988, 12).
6.3) La posizione giuridica del terzo contraente
Nel mandato con rappresentanza la posizione del terzo acquista contenuto giuridico proprio avente autonoma rilevanza per effetto del fenomeno della spendita del nome, infatti in tal modo il mandatario rappresentante, assume un comportamento che indica chiaramente che gli effetti dell'attività gestoria non si ripercuotono nella propria sfera giuridica, ma in quella del mandante rappresentato.
Il terzo contraente nel trattare con chi si proponga come
rappresentante di un interesse alieno deve assicurarsi della sussistenza e della estensione dei poteri procuratori vantati dal suddetto rappresentante.
Dall'angolo visuale del terzo contraente, la richiesta di esibizione di documenti e di chiarimenti ex artt. 1393 e 1396 c.c. è giustificata dalla circostanza che quest'ultimo vanta un interesse non solo a conoscere gli sviluppi della relazione tra rappresentante e rappresentato ma ne è addirittura onerato, infatti egli deve avere riguardo anche alla posizione del presunto mandante ed al contegno da quest'ultimo tenuto nel corso del sottostante rapporto, poiché da tale rapporto possono trarsi elementi idonei ad essere valutati nell'ottica di cui all'art. 1398 c.c.
La legge, infatti, esige che il terzo abbia senza sua colpa fatto affidamento sulla validità del contratto ed è proprio in questo contesto che emerge l'esigenza della protezione dell'affidamento del terzo contraente determinata da una situazione di apparenza. A tal proposito la Corte di Cassazione ha stigmatizzato la condotta del terzo, caduto in errore nel ritenere la sussistenza dei poteri rappresentativi, senza però avere a tempo debito indagato sulla situazione e quindi sulla corrispondenza tra ciò che sembrava e ciò che era. (Cass. 17 marzo 1975, nr. 1020).
In ogni caso, anche condividendo l'assoluta autonomia che sussiste tra rappresentanza e rapporto di mandato, non si può pretendere di concepire il rapporto gestorio come una realtà fattuale inaccessibile al terzo contraente. A tale orientamento si contrappone l'indirizzo sostenuto da coloro che reputano che mandato e rappresentanza vadano unitariamente trattati come unica espressione del più ampio fenomeno della cooperazione e della cura dell'interesse altrui, in modo da individuare un'assoluta identità funzionale tra mandato con o senza rappresentanza. Nell'ambito di questa corrente si è sottolineato che il fenomeno rappresentativo non si esaurisce nel suo proiettarsi all'esterno, ma esso è legato al rapporto gestorio al fine della tutela del terzo attraverso la figura dell'apparenza del diritto che, ricondotta nella più generale figura dell'affidamento incolpevole, può essere invocata a propria difesa dal terzo contraente anche con riguardo alla rappresentanza.
A tal proposito: "Il principio dell'apparenza del diritto, riconducibile a quello più generale della tutela dell'affidamento incolpevole, può essere invocato in tema di mandato nei confronti dell'apparente mandante dal terzo che abbia in buona fede contrattato con persona sfornita di procura, allorché l'apparente rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente". (Cass. 19 settembre 1995, nr. 9902, RCP, 1997, 169).
L'apparenza del diritto è uno strumento che pone il terzo contraente al riparo da addebiti di responsabilità omissiva sugli accertamenti da condurre in ordine allo stato delle cose, qualora, anche indipendentemente dalla richiesta di giustificazione formulata a norma dell'art. 1393 c.c., non solo sussiste la sua buona fede nell'avere negoziato con il falsus procurator, ma lo stesso si sia trovato in presenza di un comportamento colposo, non meramente omissivo, del rappresentato, tale da poter ingenerare in lui la ragionevole convinzione che il potere rappresentativo fosse stato effettivamente e validamente conferito al detto procuratore e che quindi l'errore cagionato da tale situazione non sia inescusabile.
Il terzo è esposto al rischio che il presunto rappresentante non sia dotato dei poteri per contrarre (difetto di potere) o abbia ecceduto nell'esercizio dei poteri ad esso conferiti (eccesso di potere), pertanto in favore del terzo è previsto il rimedio risarcitorio in base all'art. 1398 c.c., di natura aquiliana sottoposto al termine di prescrizione quinquennale. In merito: "La responsabilità del falsus procurator che abbia taciuto al terzo contraente la carenza di idonei poteri rappresentativi ha carattere extracontrattuale per violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, di guisa che la relativa azione risarcitoria è soggetta alla prescrizione quinquennale". (Cass. 5 luglio 1990, nr. 7060, MGC, 1990, 7).
La giurisprudenza è compatta nel ritenere che la responsabilità del falsus procurator nei confronti del terzo contraente che senza colpa abbia confidato sull'esistenza della procura, sia di natura extracontrattuale, per culpa in contraendo. Nello specifico il fondamento di questa responsabilità non viene ravvisato nel negozio inefficace ma nel comportamento contrario ai più generali doveri di correttezza, buona fede e diligenza. In proposito: "La responsabilità per risarcimento del danno verso il terzo contraente, di colui che contratta come rappresentante pur essendo privo di poteri a causa dell'inesistenza o dell'invalidità della procura, ha natura extracontrattuale, in quanto fondata su un comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede (nell'ipotesi di consapevolezza della carenza di poteri e mancata comunicazione di tale situazione al terzo contraente) ovvero negligente (nell'ipotesi in cui l'invalidità della procura sarebbe stata conoscibile con l'uso della normale diligenza)". (Cass. 7 dicembre 1988, nr. 6669, MGC, 1988, 12).
6.4) La rappresentanza apparente nella tutela delle ragioni del terzo
L'eccesso ed il difetto di potere in capo al rappresentante producono l'identico fenomeno dell'inopponibilità al rappresentato del negozio
concluso. In sostanza si tratta di uno stato di inopponibilità che può conseguire sia da una falsa attestazione della qualità di procuratore sia dal superamento dei poteri conferiti, che però non opera nel caso in cui lo stesso rappresentato con la propria condotta abbia contribuito a generare l'apparente legittimazione del preposto ed il terzo vi abbia quindi fatto affidamento senza colpa. In tal caso il contratto concluso produce immediatamente i suoi effetti nei confronti del rappresentato, infatti: "Il principio dell'apparenza, atto a produrre gli effetti del contratto concluso dal "falsus procurator, direttamente nella sfera del "dominus", può essere invocato solo in presenza di elementi obiettivi idonei a giustificare l'opinione del terzo sull'esistenza di una procura". (Cass. 11 ottobre 1991, nr. 10709, FI, 1992, I, 1833).
La giurisprudenza ha dimostrato una certa comprensione nei confronti del terzo che si sia fidato di quello che emergeva senza indagare sulla realtà effettiva, tutelandone la posizione, a volte, anche nell'ipotesi di compravendita di immobili o beni mobili registrati o di negozi comunque richiedenti la forma scritta ad substantiam. In tal senso: "Il terzo contraente ha la facoltà e non l'obbligo di controllare se chi si qualifica rappresentante abbia i relativi poteri, cosicché non è sufficiente per l'affermazione di un affidamento colpevole del terzo, cui consegue l'esclusione dei principi in tema di rappresentanza apparente, la condotta omissiva del terzo il quale ometta di richiedere al falsus procurator la giustificazione del potere rappresentativo allorché per lo stesso sia necessaria la forma scritta "ad substantiam" ai sensi dell'art. 1392 c.c.". (Cass. 9 luglio 2001, nr. 9289, GC, 2002, I, 1355). A supportare la posizione del terzo devono, comunque, ricorrere circostanze giustificative, come la sembianza dei vantati poteri di rappresentanza sulla scorta di elementi obiettivi tali da escludere ogni negligenza de terzo, nonché il comportamento colposo del presunto rappresentato che determina anche in maniera non preordinata l'insorgere dell'apparenza. In tal senso: "L'istituto della rappresentanza apparente - non espressamente codificato e da iscrivere, quindi nelle ipotesi di cosiddetta apparenza colposa (o atipica), rinvenibile allo stato latente del sistema, quale espressione del principio di autoresponsabilità - può essere utilmente invocato dal terzo che abbia ragionevolmente confidato nella situazione apparente solo se il suo errore (scusabile) sia imputabile (anche o solo) all'apparente rappresentato, per avere quest'ultimo posto in essere (pur se non preordinatamente) un comportamento oggettivamente idoneo ad ingenerare nella collettività il convincimento incolpevole, che egli abbia effettivamente conferito all'agente il potere di rappresentarlo". (Cass. 8 marzo 1990, nr. 1841, MGC, 1990, 3).
La rappresentanza apparente viene pertanto proposta come una figura giuridica non espressamente codificata, da iscrivere, quindi nelle
ipotesi di c.d. apparenza colposa, qualificabile come espressione del principio di autoresponsabilità. La Cassazione precisa che si tratta di una soluzione non percorribile se per il terzo fosse stato possibile evitare l'errore attenendosi ai dettami della legge o a quelli dell'ordinaria prudenza, infatti in tal caso l'errore non è scusabile.
Tale soluzione non è percorribile neanche con riferimento ai contratti formali, per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam, infatti con riferimento ad essi esiste un onere legale di documentazione della procura. In questi casi non può non concludersi per una colpa inescusabile del terzo e ciò si inserisce in un contesto valutativo che prescinde dal tema della facoltà che ha questi di chiedere all'asserito rappresentante di rendere conto dei propri poteri ai sensi dell'art. 1393 c.c. In merito la Suprema Corte ha statuito che : "Nei contratti formali, per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam, il principio dell'apparenza del diritto non può trovare applicazione rispetto alla rappresentanza, atteso che per i suddetti contratti sussiste un onere legale di documentazione della procura, dalla cui mancanza si deve dedurre l'esistenza di una colpa inescusabile dell'altro contraente". (Cass. 12 febbraio 2010, nr. 3364, MGC,
2010, 2, 196).
La soluzione della colpa scusabile è invece percorribile per i negozi per i quali la forma scritta è richiesta solo a fini probatori, infatti in questo caso non sussiste un onere legale di documentazione della procura, dalla cui mancanza possa discendere una colpa inescusabile del terzo.
Inoltre, "Il principio dell'apparenza del diritto può trovare applicazione con riguardo alla rappresentanza allorché si rilevi l'apparente esistenza in un soggetto del potere di rappresentare altro soggetto, tale apparenza sia fondata su elementi obiettivi idonei a giustificare l'erroneo e incolpevole convincimento in chi l'invoca che la situazione apparente rispecchi la realtà giuridica, l'apparenza sia determinata da un comportamento colposo dell'apparente rappresentato; tale regola opera anche nel caso in cui l'affidamento riguardi negozi per i quali è richiesta la forma scritta "ad probationem" (nella specie un contratto di assicurazione), in quanto, a differenza che per i contratti per i quali la forma scritta è richiesta "ad substantiam", non sussiste un onere legale di documentazione della procura dalla cui mancanza potrebbe discendere una colpa inescusabile dell'altro contraente". (Cass. 22 aprile 1999, nr. 3988,
MGC, 1999, 905).
A titolo esemplificativo il terzo che abbia omesso di accertarsi di un quadro societario facilmente controllabile attraverso le visure camerali e che così operando si sia fidato della mera apparenza che risultava dai rapporti emergenti tra presunto rappresentato e asserito rappresentante può incorrere nella non scusabilità ex art. 1398 c.c..
Ne consegue che l'applicabilità del principio dell'apparenza del diritto è da escludere quando l'ordinamento prevede, conferendogli valore costitutivo, probatorio o anche di semplice notizia, un particolare sistema di pubblicità diretto a rendere nota ai terzi una particolare situazione giuridica.
CAPITOLO III
IL MANDATO SENZA RAPPRESENTANZA
1) La fattispecie normativa e gli effetti
Il mandato senza rappresentanza è caratterizzato da un elemento negativo che lo contraddistingue dal mandato con rappresentanza e che consiste nel fatto che il mandante non ha conferito al mandatario il potere di agire in suo nome, pertanto si configura un difetto di legittimazione a spendere il nome del mandante.
In merito la Cassazione rileva che: "In tema di mandato con rappresentanza, la "contemplatio domini" - che assolve alla duplice funzione di esteriorizzare il rapporto di gestione rappresentativa esistente tra il rappresentante ed il rappresentato, e di rendere conseguentemente possibile l'imputazione al secondo degli effetti del contratto concluso in suo nome dal primo - deve risultare da una dichiarazione espressa ed univoca, anche se non esige l'impiego di formule solenni o l'osservanza di un preciso rituale, e può essere manifestata attraverso un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell'altro contraente che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto concluso sono destinati a prodursi direttamente. Pertanto, se il mandatario, nel concludere il contratto per conto del mandante, non dichiara di agire in nome di costui, si esula dalla fattispecie del mandato con rappresentanza, per effetto del quale il mandante è direttamente obbligato nei confronti dell'altro contraente, come se l'affare gestito fosse suo proprio, e nessun rapporto si costituisce tra il mandante ed il terzo, anche se il contratto involga interessi esclusivamente propri del mandante, e l'altro contraente non ignori l'esistenza di quest'ultimo. L'accertare poi, in concreto, se vi sia stata o meno la "contemplatio domini", involgendo la necessità di indagini su elementi di fatto, è compito istituzionalmente devoluto al giudice di merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici o errori di diritto". (Cass. 17 settembre 2005, nr. 18441, MGC, 2005, 9).
Altra occasione, in cui sono stati evidenziati questi aspetti, è fornita dal contratto di commissione, che lo stesso legislatore qualifica come mandato senza rappresentanza proprio per la mancanza della spendita del nome del mandante, ovvero: "Il contratto di commissione, essendo un sottotipo qualificato di mandato senza rappresentanza, si distingue dal mandato con rappresentanza per l'assenza della
contemplatio domini (cioè della spendita del nome del mandante), cosicché mentre il negozio concluso dal mandatario con rappresentanza produce i suoi effetti direttamente in capo al mandante, quello posto in essere dal commissionario produce i suoi effetti giuridici nel patrimonio dello stesso commissionario, occorrendo un ulteriore atto giuridico per riversarli nel patrimonio del committente". (Cass. 5 maggio 2004, nr. 8512, GC, 2005, 2, I,
441).
Rimane ovviamente ferma la correlazione della fattispecie dell'art. 1705 c.c. con la nozione di mandato di cui all'art. 1703 c.c., in quanto il mandatario senza rappresentanza agisce in nome proprio, ma pur sempre per conto del mandante.
Ai fini dell'individuazione delle posizioni soggettive rivestite dai soggetti che interagiscono nell'ambito del contratto di mandato senza rappresentanza è opportuno preliminarmente delineare le posizioni in esso attive, ovvero distinguere il soggetto psicologico rappresentato da colui che con la sua manifestazione di volontà permette la formazione e la conclusione del contratto; il soggetto giuridico ovvero il soggetto che è parte del rapporto contrattuale e destinatario degli effetti ed infine il soggetto economico ovvero colui che è destinatario dei risultati pratici dell'operazione economica-contratto e a cui spetta la paternità dell'affare acquisendone i risultati vantaggiosi e sopportandone le conseguenze svantaggiose.
Nel contratto concluso con il terzo in esecuzione dell'incarico ricevuto, il mandatario senza rappresentanza, poiché agisce in nome proprio, è il soggetto psicologico della fattispecie contrattuale ed è anche il soggetto giuridico perché parte del rapporto contrattuale e quindi è il destinatario degli effetti contrattuali in virtù dell'art. 1372 c.c., invece, poiché agisce per conto del mandante, non riveste il ruolo di soggetto economico, con la conseguenza che i risultati pratici, vantaggiosi o svantaggiosi dell'attività gestoria, compiuta in esecuzione del mandato, xxxxxxxx nella sfera giuridica del mandante stesso.
Proprio perché la contemplatio domini, in qualunque modo effettuata, costituisce l'elemento di discrimine fra la figura del mandato con rappresentanza e quella del mandato senza rappresentanza, la spendita del nome diventa oggetto della prova della parte che intende dimostrare il rapporto di rappresentanza.
Nel caso in cui il mandatario abbia eccepito, nella controversia che lo oppone al terzo, il difetto di legittimazione passiva, sostenendo che la sua attività gestoria sia stata compiuta in nome del mandante, incombe su di lui l'onere della prova degli elementi costituivi del mandato con rappresentanza. In mancanza, deve prevalere la conclusione che nella specie l'atto gestorio sia stato compiuto in nome proprio in esecuzione di un mandato senza rappresentanza, con la
conseguente applicazione dell'art. 1705, I comma, c.c.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione secondo cui: "Spetta al mandatario, convenuto in giudizio dal terzo per l'adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto con lui concluso, l'onere di provare di aver reso noto alla controparte che egli agiva, non solo nell'interesse, ma anche in nome di un soggetto diverso, con la conseguenza che in mancanza di tale prova egli assume gli obblighi derivanti dal contratto ai sensi dell'art. 1705 c.c.". (Cass. 6 dicembre 1988, nr. 6631, MGC, 1988, 12).
Nella motivazione il pensiero della Corte è più articolato: "È vero che la "contemplatio domini" può essere anche implicita o manifestata per fatti concludenti, ma questa Corte ha precisato che tale principio, basato sulla tutela dell'affidamento incolpevole, può essere invocato dal terzo che ha contrattato con una persona ritenendola rappresentante del soggetto legittimato al negozio e non può di certo valere nel caso opposto, quando, cioè, colui che ha contrattato senza spendere in modo univoco il nome del rappresentato cerca di sottrarsi alla responsabilità personale derivante dal suo ambiguo comportamento".
Al riguardo il discorso può essere completato osservando che: "Qualora sorga una controversia in ordine al contratto concluso dal mandatario, la prova del mandato senza rappresentanza può essere fornita con testimoni, in quanto il mandato non costituisce patto aggiunto o contrario al negozio posto in essere dal mandatario in nome proprio e per conto dei mandanti, poiché con esso non si deduce alcuna modifica sostanziale dell'atto scritto". (Cass. 7 febbraio 1979, nr. 835, MGC, 1979, 2).
Osservando l'impianto normativo dedicato al mandato senza rappresentanza (art. 1705 – 1707 c.c.) emerge una contraddittorietà tra le diverse scelte legislative nello stabilire i poteri del mandatario ed i poteri del mandante. E' stato rilevato che le norme in tema di mandato senza rappresentanza vanno interpretate nel senso che esse disegnano un complesso sistema che si basa su un evidente rapporto di regola - eccezione, infatti la regola generale è quella di cui all'art. 1705 c.c., in base al quale il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, i quali non hanno alcun rapporto con il mandante. Eccezioni al sistema delineato risulteranno, invece, tutte quelle disposizioni che, in deroga a tale generale meccanismo, prevedano, soprattutto sul piano processuale, una immediata reclamabilità del diritto (di credito o reale) da parte del mandante.
Sul tema si è pronunciata anche la dottrina che non ha omesso di rilevare come: "La lettura degli artt. 1705-1707 c.c., che contengono le disposizioni più importanti in proposito, non di rado ha generato l'impressione di una certa contraddittorietà tra le diverse scelte
legislative. Da un canto, infatti, il mandatario che agisce in nome proprio: "acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato" (art. 1705, I comma, c.c.). Sembra in linea con questa norma l'enunciato secondo cui: "I terzi non hanno alcun rapporto con il mandante" (art. 1705, II comma, c.c.), e la previsione di un obbligo di trasferimento dal mandatario al mandante dei beni mobili iscritti in pubblici registri e degli immobili acquistati per suo conto (art. 1706, II comma, c.c.), nonché la possibilità per i creditori del mandatario, di soddisfarsi su tali beni prima del loro trasferimento al mandante, o della trascrizione della domanda volta ad ottenere tale trasferimento (art. 1707 c.c.). Il potere di sostituirsi al mandatario nell'esercizio dei crediti derivanti dall'esecuzione del mandato (art. 1705, comma 2, c.c.) di rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto (art. 1706, comma 1, c.c.) sono invece sembrati espressione di un diverso orientamento legislativo, consacrato anche nella norma che impedisce ai creditori personali del mandatario di soddisfarsi sulle cose mobili e sui diritti di credito acquistati per conto del mandante, in presenza di un mandato avente data certa anteriore al pignoramento di tali beni (art. 1707 c.c.)". (Xxxxxxxxx 1994, 162).
2) Confronto tra mandato senza rappresentanza, interposizione di persona e negozio fiduciario
Nel mandato senza rappresentanza, mancando la contemplatio domini, il mandatario acquista diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti, pertanto consegue un risultato diverso da quello perseguito, infatti acquista diritti ed assume obblighi che in realtà non vuole acquistare ed assumere per sè. Quindi, tra quello che formalmente fa e quello che in verità vuole fare c'è una sostanziale differenza, per cui può ben affermarsi che l'acquisto dei diritti e l'assunzione degli obblighi sono voluti dal mandatario, ma in xxx xxxxxxxxxxx, xxxx non per essere definitivamente attratti nella sua sfera giuridica, ma come passaggio obbligatorio per il conseguimento di un risultato finale, che è appunto l'acquisto in capo al mandante.
In tal modo il momentaneo acquisto dei diritti e degli obblighi da parte del mandatario non è fine a se stesso, ma è strumentale al raggiungimento di un assetto diverso, pertanto, è stato ricondotto sul piano dogmatico nell'ambito di vari fenomeni giuridici, ovvero interposizione di persona, simulazione soggettiva, negozio fiduciario. Partendo dalla circostanza che il mandatario senza rappresentanza agisce in nome proprio, ma per conto del mandate (che rimane segreto in occasione dell'atto gestorio), la dottrina inquadra questa figura contrattuale nell'interposizione di persona (Carnevale 2005,
5204 – 5209; Xxxxxxx 2007, 21; Luminoso 2007, 14 – 18; Pugliatti
1965, 539) .
Nel fenomeno giuridico dell'interposizione di persona si distinguono diverse articolazioni indicate come interposizione reale ed interposizione fittizia.
Nell'interposizione reale, il soggetto che intende rimanere occulto, non partecipa agli accordi tra il soggetto interposto ed il terzo. Il contratto fra questi ultimi non è simulato, ma realmente voluto tra le parti che divengono destinatari dei relativi effetti contrattuali.
L'interposizione fittizia, invece, consiste in un'ipotesi di simulazione soggettiva e quindi in una falsa rappresentazione dei soggetti dell'atto. E' stato evidenziato che: "Nell'interposizione fittizia, l'interposto, non acquista alcun diritto o obbligo, fermo restando che può sempre sfruttare nei confronti dei terzi, la situazione di titolarità "apparente". Vi è quindi un atto vero, ma si realizza una simulazione dei contraenti; chi figura è un contraente fittizio, mentre il contraente effettivo è occulto; un soggetto, l'interposto, appare titolare, ma non lo è, l'interponente è il titolare, ma non appare". (Carpino 2007, 21). In giurisprudenza questo fenomeno è così configurato: "Si versa in tema di simulazione soggettiva per interposizione fittizia allorché sia dedotta l'esistenza di un accordo simulatorio fra l'interponente, l'interposto e l'altro contraente, non quando sia allegata una semplice intesa fra i primi due, senza la partecipazione della controparte del negozio, per fare apparire come contraente l'interposto. In tal caso, infatti non avendo l'altra parte del contratto partecipato all'intesa fra interponente ed interposto, quest'ultimo stipula con il terzo come contraente effettivo ed acquista perciò i diritti nascenti dal negozio, sebbene, in forza dell'intesa predetta, sia tenuto a riversarli all'interponente". (Cass. 19 settembre 1979, nr. 4807, MGC, 1979, 9).
Venendo al mandato senza rappresentanza, la giurisprudenza, invece, talvolta non sembra distinguere fra interposizione reale ed interposizione fittizia: "Una interposizione, sia essa reale o fittizia, ben si può realizzare con una società controllata, che, quindi, fittiziamente o in virtù, di un mandato senza rappresentanza, può essere intestataria di titoli appartenenti al soggetto che detiene il controllo". (Cass. 12 dicembre 2003, nr. 19041, DPSoc, 2004,11, 74). Si tratta di un indirizzo isolato che sembra condizionato dalla particolarità della controversia portata a conoscenza della Suprema Corte.
La consapevolezza che il mandato senza rappresentanza configuri un'ipotesi di interposizione reale è presente in letteratura, dove si riscontrano i seguenti contributi:
a) "Nel mandato senza rappresentanza si realizza, per definizione, una ipotesi di interposizione reale, infatti, il mandatario,
concludendo il contratto in nome proprio, risente nella sua sfera giuridica gli effetti prodotti dal contratto medesimo". (Carpino 2007, 21);
b) "Rispetto all'interposizione fittizia, il mandato senza rappresentanza si caratterizza, per la circostanza che l'effettiva instaurazione del rapporto tra mandatario e terzo è realmente voluta non solo dalle parti del negozio, ma anche dallo stesso mandante che ha preordinato il programma prevedendo appunto il reale ed effettivo acquisto del mandatario dei diritti (e l'assunzione di tutti gli obblighi) scaturenti dal negozio gestorio". (Xxxxxxxxx 1985, 2000). Aderendo a questo indirizzo dottrinale la giurisprudenza conferma la contiguità fra mandato senza rappresentanza ed interposizione reale, come si ravvisa nella seguente massima: "Mandato senza rappresentanza e patto di fiducia (se privi di profili di simulazione) si collocano, l'uno accanto all'altro, all'interno della categoria dell'interposizione reale e non già fittizia, quest'ultima presupponendo la sussistenza di una simulazione. Il negozio fiduciario si realizza sia mediante il collegamento di due negozi (l'uno di carattere esterno, comportante il trasferimento d'un diritto o il sorgere d'una situazione giuridica in capo al fiduciario, l'altro, di carattere interno, comportante l'obbligo del fiduciario di ritrasferire la cosa o il diritto al fiduciante o ad un terzo), sia nell'ipotesi in cui, preesistendo una situazione giuridica attiva facente capo ad un soggetto (il fiduciario), questi, in forza di apposita pattuizione, s'impegni a modificarla a richiesta e nel senso voluto dall'altro contraente (il fiduciante)". (Cass. 29 maggio 1993, nr. 6024, Gco, 1994, II, 5).
Si osserva che l'accostamento del mandato senza rappresentanza ed interposizione reale viene completata con l'istituto del rapporto fiduciario.
Con riferimento all'inquadramento del fenomeno del mandato senza rappresentanza nello schema del negozio fiduciario è stato precisato che il negozio fiduciario integra una fattispecie unitaria caratterizzata dalla causa fiduciae che lo rende un negozio causale unico ed inscindibile. Il negozio è quindi unico ed esplica i suoi effetti, da un lato, direttamente nei confronti dei terzi per quanto concerne l'acquisto da parte del fiduciario di un diritto e, dall'altro lato, ha un'efficacia esclusivamente interna tra fiduciante e fiduciario che nasce dall'accordo, ovvero dal pactum fiduciae tra i due soggetti a che il fiduciario si impegni ad usare il diritto acquisito solo per uno scopo determinato, raggiunto il quale cessa la titolarità del fiduciario sul diritto acquisito.
Il rapporto fra mandato e negozio fiduciario è stato affrontato in giurisprudenza: "Il mandatario senza rappresentanza che, avendo acquistato il bene in nome proprio ma per conto anche del mandante,
ne trasferisce a quest'ultimo una quota della proprietà, agisce nella esecuzione del rapporto di mandato e non per effetto di un accessorio negoziale fiduciario". (Cass. 24 dicembre 1994, nr. 11158, MGC,
1994, 12).
Nella motivazione rileva in particolar modo la seguente argomentazione: "Del tutto ultronea si appalesa così ogni costruzione basata sulla individuazione nel mandato in questione di un "pactum fiduciae" (esclusa, tra l'altro, da parte della giurisprudenza di legittimità - tra le altre Cass. Sez. 1 n. 211 del 9 febbraio 1965; sez. 2
n. 5113 del 3 maggio 1993 - che ha negato la strutturabilità del negozio fiduciario attraverso un interno rapporto di mandato senza rappresentanza), ben potendosi sostenere che se è vero che l'interesse del mandante è affidato al mandatario e che il primo deve contare sulla lealtà del secondo, in siffatta situazione la "fiducia" viene assunta nel suo aspetto generico, comune allo stesso mandato e non come elemento specifico e causale del negozio. Mentre, d'altro canto, l'obbligo giuridico di ritrasferire l'immobile al mandante contenuto nella promessa di trasferimento, correttamente riconosciuto e sanzionato dai giudici del merito, costituisce esecuzione specifica del rituale rapporto di mandato e non esecuzione spontanea di un "pactum fiduciae" intervenuto tra le parti (nel mandato senza rappresentanza all'acquisto dei beni il mandatario, intervenendo nel negozio traslativo in nome proprio ma nell'interesse del mandante, diviene proprietario della cosa acquistata, ma è obbligato, ex mandato, a trasferirne il dominio al mandante)".
3) La posizione giuridica del mandatario senza rappresentanza
Nel contratto di mandato senza rappresentanza, a seguito dell'espletamento dell'attività gestoria da parte del mandatario, il rapporto contrattuale da essa conseguente viene instaurato solamente fra il mandatario ed il terzo, e non si ha alcun rapporto contrattuale diretto tra mandate e terzo.
Il mandatario, agendo "in nome proprio", è soggetto psicologico e soggetto giuridico del contratto concluso con il terzo, di conseguenza esercita poteri propri, acquista diritti ed assume obbligazioni in termini diretti, quale conseguenza dell'attività negoziale compiuta per effetto del rapporto di mandato.
La giurisprudenza ha evidenziato che: "Nel mandato senza rappresentanza, nessun rapporto si costituisce tra mandante e terzo, ed il mandatario è direttamente obbligato nei confronti dell'altro contraente, anche se il contratto coinvolga interessi esclusivamente propri del mandante e l'altro contraente non ignori l'esistenza di quest'ultimo". (Cass. 9 luglio 2001, nr. 9289, GC, 2002, I, 1355).
Una volta delineato che, in base al disposto dell'art. 1705, I comma, c.c., a seguito del compimento dell'atto gestorio, il rapporto contrattuale, viene instaurato solamente fra mandatario e terzo, il problema consiste nell'approfondire il contenuto della posizione del mandatario e quindi, in sostanza, nell'interpretare le espressioni della norma quando dispone che il mandatario “acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi”.
E' emblematica la decisione sintetizzata nella seguente massima: "Quando sia mancata la spendita del nome del mandante al momento della contrattazione, gli effetti del negozio - anche se l'altro contraente abbia avuto "aliunde" la conoscenza del mandato e dell'interesse del mandante nell'affare - si consolidano direttamente in capo al mandatario, realizzandosi così un caso di sostituzione reale di persona e non costituendosi alcun rapporto tra mandante e terzo. Consegue che il mandatario senza rappresentanza può agire in giudizio in nome proprio, nei limiti di cui all'art. 1708 c.c., a tutela dei diritti di pertinenza sostanziale del mandante senza che l'esternazione del mandato, fatta successivamente al contratto acquisitivo del diritto, incida sulla posizione sostanziale e processuale del mandatario stesso, potendo soltanto l'effettuato ritrasferimento al mandante del bene acquistato per suo conto integrare una successione a titolo particolare nel relativo diritto controverso, con gli effetti di cui all'art. 111 c.p.c. (e salva la prosecuzione del giudizio fra le parti originarie nel difetto delle condizioni per l'estromissione dell'alienante)". (Cass. 27 novembre 1986, nr. 6998, GI, 1987, I, 1, 2054).
Nella motivazione vi è un'ampia premessa dedicata alla nozione di legittimazione all'azione e titolarità dei diritti soggettivi che discende dal rapporto giuridico sostanziale: "La legitimatio ad causam, da intendersi, secondo la giurisprudenza pluridecennale di questa Corte, come il diritto a ottenere una decisione di merito, sia essa favorevole o sfavorevole, sorge dalla correlazione configurabile, in diritto, fra i soggetti, e il rapporto giuridico dedotto in domanda, correlazione in base alla quale si identificano le parti fra le quali può essere emessa la statuizione del giudice sulla volontà della Legge nell'ipotesi formulata o, in altri termini, si individuano i presupposti soggettivi, attivi e passivi, indispensabili perché il giudice possa decidere in ordine al fondamento delle pretese radicate sul rapporto medesimo. La correlazione di cui si tratta è di corresponsione, secondo le norme giuridiche, dei soggetti individuati in domanda, attivamente e passivamente, alle parti designate dal modello normativo del rapporto fatto valere in giudizio. La legittimatio ad causam si distingue dall'effettiva titolarità del rapporto sostanziale dedotto in causa, perché è un presupposto per ottenere dal giudice la trattazione del merito della causa, presupposto che deve essere
riscontrato mediante la comparazione fra la semplice allegazione di un rapporto e il paradigma giuridico, nel profilo soggettivo, a cui è riconducibile il rapporto stesso. Sull'argomento, è stato ripetutamente avvertito da questa Corte che la legittimazione alla causa risulta dalla prospettazione della domanda, pervenendosi sino a riconoscerla, dal lato attivo, per il solo fatto dell'affermazione della titolarità del diritto fatto valere".
4) Irrilevanza della conoscenza del rapporto di mandato da parte del terzo contraente
In assenza di spendita del nome del mandante, il contratto di mandato deve essere qualificato giuridicamente come mandato senza rappresentanza o in nome proprio (del mandatario). Questo costituisce l'unico presupposto di fatto della fattispecie normativa dell'art. 1705 c.c., tuttavia non si può non rilevare che la stessa disposizione normativa contiene un inciso che deve essere opportunamente apprezzato e che recita: "anche se i terzi hanno avuto conoscenza del mandato".
L'eventuale conoscenza da parte del terzo dell'esistenza del mandato non incide su tale qualificazione giuridica, infatti. "E' comunemente affermato che la semplice conoscenza che il terzo abbia dell'alienità dell'affare concluso dal mandatario non comporta il verificarsi degli effetti tipici della rappresentanza: questi ultimi sono ricollegati unicamente al fatto che il mandatario "spenda" formalmente il nome del mandante, e ciò per un'evidente esigenza di certezza e di chiarezza che non potrebbe derivare da illazioni o da presunti affidamenti insorti nel terzo contraente". (Carnevali 1990, 4).
Al riguardo è stato sottolineato che: "Il principio generale in materia è contenuto nel I comma dell'art. 1705 c.c. il quale ricollega alla sfera del mandatario (in nome proprio) l'acquisto della titolarità dei diritti e degli obblighi derivanti dal negozio gestorio e chiarisce nel contempo che la semplice conoscenza del mandato, da parte del terzo contraente, non determina il sorgere di un rapporto diretto tra questo e il mandante". (Luminoso 2007, 70).
Anche in giurisprudenza si conferma questo indirizzo come emerge dalla seguente massima: "La disposizione di cui al comma 2, prima parte, dell'art. 1705 c.c. che consente al mandante di sostituirsi al mandatario nell'esercizio dei crediti derivanti dall'esecuzione del mandato, introduce - per ragioni di tutela dell'interesse del mandante
- un'eccezione al principio, enunciato nel comma 1, secondo cui il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. La possibilità di sostituzione
deve intendersi quindi limitata all'esercizio dei crediti derivanti direttamente dalle obbligazioni contratte dal terzo verso il mandatario e non si estende ad altre azioni derivanti dal contratto stipulato fra mandatario e terzo". (Cass. 25 agosto 2006, nr. 18512, MGC, 2006, 9).
5) Legittimazione attiva e passiva ad esperire azioni contrattuali
In tema di azioni esercitabili dal mandante nell'ipotesi di mandato senza rappresentanza, il sistema normativo è imperniato sul rapporto regola-eccezione, nel senso che, secondo la regola generale (art. 1705, I comma, c.c.), il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, che non hanno alcun rapporto con il mandante, mentre costituiscono eccezioni le disposizioni, tanto sostanziali quanto processuali, che prevedono l'immediata reclamabilità del diritto (di credito o reale) da parte del mandante, con conseguente necessità di stretta interpretazione di queste ultime e dell'esclusione di qualunque integrazione di tipo analogico o estensivo, nell'ottica della tutela della posizione del terzo contraente.
L'articolazione normativa descritta ha comportato lo sviluppo di un importante dibattito finalizzato a stabilire se, nell'ambito del mandato senza rappresentanza, la legittimazione attiva e la legittimazione passiva inerenti le azioni contrattuali spettino al mandante o al mandatario.
A tal proposito, sono considerate "azioni contrattuali", le azioni di nullità, di annullamento, di risoluzione, di rescissione del rapporto contrattuale posto in essere fra mandatario e terzo, l'azione di esatto adempimento, l'azione di danno, tutte relative all'attività gestoria posta in essere in esecuzione del contratto di mandato.
In dottrina l'indirizzo dominante ritiene che la legittimazione alle azioni contrattuali spetti esclusivamente al mandatario: "Del pari, in relazione alle cosiddette azioni contrattuali, nonostante le persistenti incertezze della giurisprudenza, la dottrina esclude che possano essere proposte dal mandante (contro il terzo) o contro il mandante (dal terzo contraente) le azioni di annullamento, di risoluzione o di rescissione del contratto gestorio e le altre azioni investenti il rapporto od il regolamento contrattuale nella sua totalità". (Xxxxxx 2000, 411; Luminoso 1991, 1275; Sacco 1966, 1391; Xxxxxxxxx 1985,
343).
Nella medesima direzione: "E' necessario aggiungere una precisazione quanto mai importante; la sostituzione avviene esclusivamente nella titolarità del credito. Questo implica che il mandante si potrà avvalere soltanto dei mezzi di tutela che
l'ordinamento riconosce al creditore in quanto tale, e precisamente dei mezzi di attuazione coattiva del credito. Per contro la legittimazione alle azioni contrattuali, annullamento, rescissione, risoluzione rimangono di competenza esclusiva del mandatario, presupponendo tali rimedi la qualità di parte contrattuale. Ne segue che anche il risarcimento del danno non potrà essere richiesto dal mandante che si è efficacemente surrogato, ogni qual volta tale risarcimento è inscindibilmente collegato all'azione di risoluzione". (Carpino 2007, 47- 48).
Sul tema concernente i limiti al potere di sostituzione del mandante al mandatario in relazione alle azioni contrattuali derivanti dall'esecuzione del mandato sussistono due orientamenti giurisprudenziali contrapposti.
Secondo l'orientamento maggioritario: "La disposizione di cui al comma 2, prima parte, dell'art. 1705 c.c. introduce - per ragioni di tutela dell'interesse del mandante - un'eccezione al fondamentale principio, enunciato nel comma 1, secondo cui il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. Deve trattarsi di diritti che scaturiscono direttamente dal rapporto obbligatorio posto in essere dal mandatario nell'esplicazione dell'attività per conto del mandante; questi può agire contro il terzo in sostituzione del mandatario esclusivamente per esercitare tali diritti e cioè per conseguire il soddisfacimento dei crediti sorti a favore del mandatario in dipendenza delle obbligazioni assunte dal terzo con la conclusione del contratto. La natura eccezionale della norma, le finalità di tutela del mandante, l'inequivocità della espressione "diritti di credito derivanti dall'esercizio del mandato" inducono ad escludere, al di fuori dell'azione diretta al soddisfacimento di detti crediti, che il mandante possa esperire contro il terzo le azioni da contratto e, in particolare, com'è avvenuto nella specie, quelle di risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni; opinando diversamente la regola generale sancita dallo stesso articolo 1705 c.c. resterebbe svuotata di contenuto". (Cass. 5 novembre 1998, nr. 1118, GI, 1999,
94).
In sostanza l'art. 1705, II comma, c.c. concerne il subingresso nel credito e non genericamente nei rapporti giuridici e non elimina la distinzione tra la posizione del mandante e del mandatario: si vuole evitare, nell'ambito delle vicende successive alla conclusione del negozio tra mandatario e terzo, che il dominus, per conseguire gli effetti utili della gestione svolta per suo conto debba necessariamente agire tramite l'intermediazione del mandatario. E' opportuno ricordare che il rapporto di mandato senza rappresentanza comporta un'interposizione gestoria in cui gli effetti del negozio sono limitati
alla persona interposta, pur dovendo essere riversati a fine gestione sulla persona interessata. Consegue che il terzo non entra in rapporto con il mandante, che non ha alcuna azione da contratto contro di lui, ma solo una tutela limitata ai crediti scaturenti dalla gestione del mandatario. Pertanto, all'infuori di tale sostituzione per la tutela di singoli diritti di credito, il mandante non può pretendere che il terzo lo riconosca soggetto interessato al buon fine contrattuale, giacché, in sede di conclusione e di esecuzione del contratto, l'interesse del mandante non viene in considerazione, nè il terzo contraente deve tenerne conto in relazione ai suoi doveri di correttezza e di buona fede, dato che l'alienità dell'affare, anche se conosciuta e riconoscibile, non ha alcuna rilevanza per il terzo, il quale ha diritto di non avere di fronte a sè altro soggetto che il mandatario, quale parte del contratto in capo a cui si producono gli effetti giuridici di questo.
Secondo altro contrapposto orientamento, il mandante, per ragioni di tutela del proprio interesse, potrebbe, viceversa agire direttamente in giudizio per il soddisfacimento del credito, anche se derivante da un contratto stipulato dal mandatario senza rappresentanza. Le sentenze che predicano la legittimità del potere del mandante di esercitare tutte le azioni scaturenti dal contratto di mandato, ne ricostruiscono il diritto a far propri, in via diretta, di fronte ai terzi, i diritti di credito sorti in testa al mandatario non in termini di eccezione alla regola, ma come conseguenza del suo integrale subingresso nella posizione contrattuale del mandatario, quindi una vera e propria modificazione soggettiva del rapporto.
Tale minoritario orientamento giurisprudenziale viene approfondito nella motivazione della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione il 13 gennaio 1990, nr. 92 dove si evidenzia che il problema centrale da risolvere non è quello di carattere generale se la facoltà legislativamente attribuita al mandante di esercitare, in sostituzione del mandatario, i diritti di credito derivanti dalla esecuzione del mandato comporti anche la legittimazione attiva del mandante ad agire contro il terzo contraente, e passiva a resistere alla domanda del terzo contraente in ordine alle azioni di annullamento, di risoluzione o di rescissione del contratto, infatti la sentenza ritiene decisiva la ben più limitata questione di stabilire se, una volta che il mandante abbia effettivamente esercitato nei confronti del terzo contraente i diritti di credito sorti in esito all'attività del mandatario, a quest'ultimo sostituendosi nell'esecuzione dell'affare, venga a configurarsi una modificazione soggettiva in forza della quale il terzo possa, a sua vota, rivolgersi direttamente contro il mandante in esercizio di ogni azione derivante dalla conclusione del contratto, o quanto meno per l'adempimento delle obbligazioni nascenti dal negozio gestorio in corrispondenza ai diritti che verso di lui il
mandante ha fatto valere. La pronuncia adotterà questo secondo orientamento giurisprudenziale non senza aver ricostruito alcuni snodi essenziali dell'istituto, specificando, in particolare, che il diritto di credito viene fatto valere dal mandante come titolare di esso e non già utendo juribus del mandatario, così che la sostituzione, una volta fruttuosamente sperimentata, conduce a conseguenze ben più incisive di quelle normalmente riconducibili ad ogni altra ipotesi (art. 1955 c.c., I comma, c.c.; art. 1676 c.c.; art. 1917, II comma, c.c.; art. 2867 c.c.) in cui è concessa azione ad un soggetto per conseguire da un terzo, cui non è legato da alcun rapporto obbligatorio, ciò che avrebbe potuto ottenere dal proprio debitore a sua volta creditore del terzo. Ecco che le finalità perseguite dall'abilitazione eccezionale concessa al mandante dall'art. 1705 c.c., devono allora essere individuate anche in correlazione con i risultati finali perseguiti attraverso il meccanismo gestorio, funzionali a consentire al mandante venditore di conseguire il prezzo e al terzo di acquistare il bene tramite il passaggio del bene e del corrispettivo attraverso il mandatario.
La modificazione soggettiva del rapporto assume allora valenza giuridica prima ancora che economica, nel senso che, per effetto della sostituzione del mandante al mandatario, quest'ultimo resta escluso dal rapporto negoziale e, come non ha più veste per richiedere al terzo l'adempimento della prestazione promessa, e cioè il versamento del prezzo, così non ha più titolo per resistere alla richiesta avanzata da terzo che, assolto il suo debito, reclami la controprestazione e cioè il trasferimento della titolarità del bene, oppure la restituzione del prezzo, se quel trasferimento non sia più possibile. La tesi adottata dalle pronunce in esame è, dunque, in punto di diritto, quella che potrebbe oggi definirsi "della efficacia espansiva del disvelamento del mandante", espansione tale da comportare un esaurimento dei compiti gestori del mandatario, con conseguente negazione della dichiarata eccezionalità del meccanismo sostitutivo previsto dall'art. 1705 c.c.
5.1) Esercizio da parte del mandante dei diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato
L'inciso introduttivo dell'art. 1705, II comma, c.c. avverte che i terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Questa regola subisce un'eccezione quando prevede che "il mandante sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato", salvo che tale iniziativa possa pregiudicare i diritti del mandatario.
In merito al concetto di “diritti di credito” la Cassazione ha precisato che per "Diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato" e
per i quali è ammessa la facoltà di esercizio da parte del mandante deve intendersi qualsiasi categoria di diritti non a carattere reale derivanti da un rapporto obbligatorio posto in essere dal mandatario nell'interesse del mandante”. (Cass. 4 giugno 1980, nr. 3626, MGC, 1980, 6).
Si tratta di un'eccezione al fondamentale principio di cui al primo comma dello stesso articolo, in forza del quale il mandatario senza rappresentanza acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi e per effetto di siffatta eccezione il mandante, per ragioni di tutela del suo interesse, può sempre agire direttamente per il soddisfacimento del credito, anche se trattasi di credito derivante da un contratto stipulato dal mandatario senza rappresentanza.
Autorevole dottrina ha precisato che la disciplina dell'art. 1705, II comma, c.c. e quella dell'art. 1706 c.c. non contraddicono il disposto dell'art. 1705, I comma, c.c. che esclude qualsiasi rapporto tra mandante e terzo, infatti: “La disposizione del I comma dell'art. 1705 c.c., in vero esclude l'esistenza di un rapporto contrattuale tra mandante e terzo contraente, ma non anche che il mandante possa divenire acquirente, in via automatica o anche diretta, di un singolo diritto (reale) alienato al mandatario dal terzo stesso o possa divenire titolare di un singolo credito nei confronti del terzo”. (Luminoso 2007, 71).
E' stato osservato che le incertezze applicative della disposizione nascono dai dubbi in merito sia all'individuazione del titolare del credito nelle diverse fasi della vicenda (quella anteriore e quella successiva alla sostituzione prevista dall'art. 1705 c.c.) sia alla determinazione del fondamento della legittimazione all'esercizio del credito da parte di quello che tra i due (mandante e mandatario) risulti non esserne titolare.
In materia sono state elaborate numerose teorie:
a) Configurazione di un'azione diretta del mandante per effetto dell'acquisto diretto del credito da parte del mandante stesso. (Xxxxxxxxx 1965, 490 ss.; Ravà 1953, 27 ss.; Ferrari 1962, 89; Xxxxxxxx 1953, 221);
b) Acquisto del credito da parte del mandatario, ma speciale surrogatoria concessa al mandante (Xxxxxxxxx 1957, 106; Xxxxxxxxx 1985, 647);
c) potere di appropriazione da parte del mandante del credito del mandatario. (Tilocca 1969, 976; Betti 1955, 233);
d) Ipotesi del trasferimento automatico dal mandatario al mandante. (Campagna 1974, 65; Carraro 1947, 13; Bennati 1964, 632);
e) Trasferimento del credito dal mandatario al mandante come effetto sospeso fino alla sostituzione del mandante.
Teoria dell'azione diretta. In base a tale teoria l'azione del mandante,
avente per oggetto l'esercizio dei diritti di credito nascenti dall'attività gestoria del mandatario, è un'azione diretta e non surrogatoria. Tale orientamento ritiene che il diritto è già esistente in capo al mandante nel momento in cui egli rende nota al terzo la volontà di esercitare il credito derivante dal contratto concluso per suo conto dal mandatario. Nella specie l'acquisto del credito da parte del mandante interviene a prescindere da un atto di trasferimento in suo favore posto in essere dal mandatario.
Si tratta di un orientamento che ha avuto importante seguito anche in giurisprudenza, infatti: “L'art. 1705, I comma, c.c. si limita a disciplinare il profilo di rilevanza esterna del mandato senza rappresentanza, nel senso di escludere che tra mandante e terzo venga ad esistenza un rapporto contrattuale, e non regola invece i rapporti inter partes. In tale ottica la seconda parte del comma secondo viene spiegata nel senso che il mandatario acquisterebbe tutti i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto concluso in nome proprio immediatamente ed in modo automatico: il mandatario acquisterebbe il credito in forza del negozio gestorio e contemporaneamente perderebbe il diritto, che verrebbe acquistato dal mandante, senza la necessità di un trasferimento tra mandante e mandatario”. (Cass. 1 dicembre 2004, nr. 22596, Juris Data).
In giurisprudenza si ritiene che l'azione in oggetto non abbia carattere surrogatorio, infatti la facoltà del mandante di sostituirsi al mandatario per esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, non è condizionata all'inerzia o anche soltanto alla negligenza del mandatario nella tutela dei propri diritti verso i terzi contraenti. L'esercizio di tale facoltà comporta una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio, con sostituzione, nel lato attivo, del mandante al mandatario e l'esito favorevole dell'azione viene acquisito direttamente al patrimonio del mandante, il che conferma che questi non agisca in via surrogatoria.
Alla teoria dell'azione diretta è stato obiettato che essa incontra ostacoli insuperabili derivanti dal principio della relatività degli effetti del contratto, in base al quale non può ammettersi che il contratto, all'insaputa di uno dei contraenti e comunque senza un'apposita clausola possa produrre taluno dei nuovi effetti direttamente nella sfera di un terzo. Inoltre è stato evidenziato che un acquisto recta via del credito da parte del mandante sembra contrastare con la norma del successivo art. 1707 c.c., il quale prevede che in date situazioni (ossia quando il mandato non risulti da atto di data certa anteriore al pignoramento) i creditori del mandatario possano agire esecutivamente sul credito medesimo, ma tale prerogativa è da ritenersi impraticabile se il credito stesso non viene acquisito dal mandatario e non entra quindi nel suo patrimonio.
Teoria del potere di sostituzione. Secondo un diverso orientamento
dottrinale si è ritenuto di escludere che l'efficacia traslativa del credito in favore del mandante sia immediata ed automatica rispetto all'acquisto del diritto da parte del mandatario e di individuare nella decisione del mandate di "sostituirsi" al mandatario un evento condizionante sospensivamente l'acquisto del diritto.
L'ipotesi che aderisce al testo della norma, prevede una sostituzione del mandante nella posizione giuridica del mandatario e viene proposto di configurare la titolarità del credito in capo al mandatario e, nel contempo, di ipotizzare il potere di sostituzione come "speciale surrogatoria" concessa al mandante.
Le obiezioni a questa costruzione non sono mancate, infatti è stato opposto che dal momento della avvenuta sostituzione il mandatario è privato del diritto di pretendere l'adempimento del terzo: il che contrasta con il concetto di legittimazione surrogatoria, che è legittimazione concorrente e non già esclusiva. Di qui a ritenere che la "sostituzione" operata dal mandante sia indice, in realtà, di un trasferimento del diritto di credito dal mandatario al mandante. Si è perciò ritenuto che il diritto di credito, pur entrando inizialmente nel patrimonio del mandatario, possa venire acquisito dal mandante mediante una sua iniziativa unilaterale, esercitando cioè un potere di appropriazione del credito nel quale si risolverebbe il potere di sostituzione di cui parla il comma 2 dell'art. 1705 c.c.
Teoria del potere di appropriazione. Altra corrente di pensiero ha sostenuto che il credito entra nel patrimonio del mandatario, ma viene acquistato dal mandante mediante una sua unilaterale iniziativa e quindi esercitando un potere di appropriazione del credito nel quale si risolve la facoltà di sostituzione menzionata dalla lettera dell'art. 1705, II comma, c.c.
Teoria del trasferimento automatico. Secondo questa impostazione, nel tentativo di correlare l'art. 1705, II comma, c.c. con l'art. 1707 c.c., è stato sostenuto che il mandatario acquista il diritto di credito per effetto del negozio gestorio, ma, nello stesso momento in cui lo acquista, lo perde in favore del mandante o ope legis o quale effetto naturale del mandato o in virtù di una fattispecie complessa costituita dal mandato e dall'atto gestorio, sulla base del principio del trasferimento dei diritti ai sensi dell'art. 1376 c.c.
Si è però obbiettato che, se questa tesi fosse esatta, il terzo contraente a conoscenza del mandato potrebbe legittimamente rifiutare di adempiere al mandatario anche prima che il mandante dichiari di volersi sostituire al mandatario stesso, il che sembra contrario alla ratio della disposizione.
Teoria del trasferimento come effetto sospeso. Secondo un ulteriore indirizzo, il trasferimento del credito dal mandatario al mandante, pur giustificato dal principio espresso nell'art. 1376 c.c., consiste in un effetto traslativo sospeso sino alla decisione del mandate di sostituirsi
al mandatario e di esercitare direttamente la pretesa creditoria, configurandosi così una sorta di condicio juris potestativa. L'attenzione si sposta, così all'aspetto funzionale dell'istituto, identificando le ragioni ispiratrici della norma in quelle di garantire tutela all'interesse del mandante alla segretezza verso i terzi e per altro verso quella di assicurare al mandante una sostituzione da parte del mandatario anche nella fase di esecuzione del negozio gestorio: si spiegherebbe, così, la ratio della disposizione legislativa che lascia all'iniziativa del mandante la scelta se rivelarsi o meno ai terzi mediante la sostituzione, proteggendolo, inoltre, dal rischio di eventuali abusi o infedeltà del mandatario. Alla luce del carattere eventuale dell'acquisto del credito verso il terzo da parte del mandante e del valore programmatico del mandato, questa attenta dottrina esclude ogni ipotesi di effetto traslativo immediato del credito in favore del mandante, discorrendo espressamente di condicio iuris meramente potestativa inerente al mandato.
5.2) Effetti della sostituzione del mandante ex art. 1705, II comma, c.c. e azioni del terzo contraente nei suoi confronti
Occorre verificare gli effetti sul piano giuridico dell'esercizio da parte del mandante, in sostituzione del mandatario, della pretesa creditoria verso il terzo, derivante dal contratto concluso fra mandatario e terzo medesimo.
A tal fine è opportuno distinguere la posizione del terzo contraente prima e dopo che sia stata esercitata nei suoi confronti la sostituzione per volontà del mandante con apposita comunicazione.
Prima di tale sostituzione il creditore del terzo è esclusivamente il mandatario. In proposito la dottrina sostiene che: "Rimane da chiarire meglio la posizione del mandatario e del mandante anteriormente al momento in cui quest'ultimo palesa la volontà di esercitare il credito nei confronti del terzo. Rispetto al terzo contraente il mandato non opera diversamente da una cessione del credito, che non sia stata notificata o accettata dal debitore ceduto, perciò il terzo che adempie nei confronti del mandatario prima della sostituzione di cui all'art. 1705, II comma, è liberato anche nei confronti del mandante". (Xxxxxxxxx 1994, 163).
La dottrina è assolutamente prevalente nell'escludere che le obbligazioni a carico del mandatario si trasmettano al mandante e che il terzo possa quindi chiederne l'adempimento a quest'ultimo anche quando egli si avvalga della facoltà riconosciutagli dal comma II dell'art. 1705 c.c. E' stato, infatti, precisato, che per quanto concerne le obbligazioni assunte dal mandatario in esecuzione dell'incarico, di esse rimane unico responsabile il mandatario stesso, al quale solo può
essere richiesto l'adempimento, anche se il mandante si sia a lui sostituito nell'esigere i crediti ex mandato, discendendo tale principio dalla regola posta dal I comma dell'art. 1705 c.c.
In senso contrario si è affermato che quando il mandante si sostituisce al mandatario esercitando in via diretta i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, come il mandatario resta escluso dal rapporto negoziale e non ha più azione nei confronti del terzo contraente, specularmente quest'ultimo non ha più azione verso il mandatario, ma deve rivolgersi direttamente al mandante per l'adempimento delle obbligazioni nascenti dal negozio e per ogni altra azione derivante dalla conclusione di esso. Ciò in quanto nel caso in cui il mandante si avvale del potere giuridico concessogli dalla norma in esame, si opera nei confronti del terzo una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio, con sostituzione di uno dei soggetti (il mandatario) con un altro (il mandante).
Con riferimento ad un contratto di vendita di azioni stipulato da un mandatario senza rappresentanza la Cassazione ha affermato che l'esercizio da parte del mandate dei diritti di credito derivanti dal rapporto, in base alla facoltà di sostituzione accordata dal comma 2 dell'art. 1705 c.c., comporta una modificazione soggettiva del rapporto stesso, che resta costituito fra detto mandante ed il terzo, con esclusione del mandatario, e, conseguentemente, implica la legittimazione passiva del mandante medesimo rispetto alla domanda con cui il terzo reclami la controprestazione o chieda la risoluzione per inadempimento. (Cass. 13 gennaio 1990, nr. 92, GC, 1991, I,
1557).
Nella motivazione la Corte ha rilevato che la sostituzione del mandante conduce a conseguenze ben più incisive di quelle normalmente riconducibili ad ogni altra ipotesi (art. 1595, I comma; art. 1676, art. 1917 II co., art. 2867 cod. civ.) in cui è concessa azione ad un soggetto per conseguire da un terzo, cui non è legato da alcun rapporto obbligatorio, ciò che avrebbe potuto ottenere dal proprio debitore a sua volta creditore del terzo. Per effetto della sostituzione del mandante, il mandatario resta escluso dal rapporto negoziale e, come non ha più veste per richiedere al terzo l'adempimento, così non ha più veste per resistere alla richiesta avanzata dal terzo, che assolto il suo debito, reclami la controprestazione. Intervenuta la sostituzione del mandante nell'esercizio del credito, il terzo può però proporre nei suoi confronti le domande occasionate dalla disfunzione del sinallagma e, in particolare, la domanda di risoluzione per inadempimento. Opinare diversamente comporterebbe la squilibrata conseguenza di permettere al mandante di sostituirsi al mandatario sul versante creditorio e non anche su quello debitorio, così dando luogo ad una frazionata modificazione soggettiva del rapporto. Questa eventualità sarebbe inaccettabile perché imporrebbe
all'acquirente, il quale sia stato escusso dal mandante ed abbia a lui pagato senza avere poi conseguito la proprietà del bene (alienato dal mandatario), di sperimentare prima una azione ex art. 1453 c.c. nei confronti del mandatario e di promuovere quindi una azione per indebito oggettivo nei confronti del mandante, quale accipiens, per la restituzione della somma versata.
CAPITOLO IV
GLI ACQUISTI DEL MANDATARIO
1) Disciplina degli acquisti del mandatario nel mandato con e senza rappresentanza
Il tema posto dalla rubrica dell'art. 1706 x.x. x xxxxxx xxxxx "Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxx" senza rappresentanza.
Per interpretare questa norma occorre analizzare i caratteri della vicenda acquisitiva nelle due fattispecie di mandato.
In merito si rileva che nel mandato con rappresentanza ad acquistare, gli effetti del negozio gestorio di acquisto, compiuto dal mandatario rappresentante, si producono immediatamente nella sfera giuridica del mandante rappresentato per effetto del disposto dell'art. 1388 c.c., applicabile in virtù del richiamo dell'art. 1704 x.x., xxxx xxxxx xxx xxxx XX xxx xxxxxx XX xxx xxxxx IV del codice civile.
In questo contesto contrattuale è irrilevante la diversa natura del bene o dell'entità patrimoniale acquistata per conto ed in nome del mandante, che acquistando immediatamente il diritto reale sul bene è legittimato a svolgere tutte le azioni petitorie e possessorie.
La definizione della disciplina e degli effetti si pone diversamente nel caso in cui il mandante abbia conferito al mandatario l'incarico ad acquistare, senza attribuirgli il potere di rappresentarlo nel rapporto con il terzo. La regolamentazione di questa vicenda è affidata all'art. 1706 c.c., che pertanto riguarda gli acquisti del mandatario in esecuzione di un mandato senza rappresentanza in cui il mandatario, agendo in nome proprio, ma per conto altrui, acquista a titolo personale i diritti sulle entità patrimoniali, oggetto dell'atto gestorio, ma, in virtù dell'obbligazione assunta col mandato, deve compiere i necessari atti per il loro trasferimento al mandante.
La giurisprudenza, interpretando l'articolo in oggetto, ha avuto occasione di porre in evidenza la differenza di disciplina degli acquisti effettuati dal mandatario senza rappresentanza a seconda che essi abbiano ad oggetto beni mobili oppure beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri.
Al riguardo è stato precisato che anche quando il mandato sia esercitato dal mandatario in nome proprio, l'affare rimane sempre del mandante, di conseguenza, ove si tratti di mobili, si opera l'immediato ed automatico trasferimento di essi nel patrimonio del mandante, mentre nel caso in cui l'affare riguardi beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a trasferirli al mandante: obbligo questo che, nell'ipotesi di inadempimento, è suscettibile di
esecuzione in forma specifica, nascendo da un negozio giuridico che, nei rapporti interni tra mandante e mandatario, presenta affinità strutturali con il contratto preliminare. (Cass. 19 ottobre 1954, nr. 3861. Foro it. 1955, I 9).
2) Fattispecie normativa e conseguenze giuridiche dell’acquisto di beni mobili
In base all'art. 1706, I comma, c.c. il mandante “Può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso in buona fede”.
Il testo dell'art. 1706, I comma, c.c. presenta due enunciati, il primo dei quali può essere così formulato: se il mandatario, in esecuzione del mandato senza rappresentanza ha acquistato beni mobili in nome proprio, ma in conto del mandante, il mandante può rivendicarli.
La norma è in accordo con la regola consensualistica relativa il trasferimento della proprietà (art. 1376 c.c.), pertanto, l'acquisto di cose mobili, realizzato da un mandatario senza rappresentanza, per conto del mandante, trasferisce in capo a quest'ultimo la proprietà dei beni acquistati.
I presupposti della fattispecie normativa in questione sono: l'esistenza di un contratto di mandato senza rappresentanza, la qualificazione dell'atto gestorio oggetto del rapporto di mandato in termini di atto di acquisto ed infine l’inquadramento dell'atto di acquisto come effetto giuridico dell’attività gestoria.
Con riferimento al primo presupposto emerge che il rapporto di mandato deve avere la natura di mandato senza rappresentanza, pertanto il mandatario è sia soggetto psicologico sia soggetto giuridico dell'atto gestorio. Ne consegue che in veste di soggetto psicologico è autore della volontà che ha consentito la formazione dell'accordo con il terzo (art. 1326 c.c.), mentre in veste di soggetto giuridico è parte del contratto con il terzo e quindi destinatario degli effetti giuridici che promanano da questo contratto (art. 1372 c.c.). Il mandante è il soggetto economico di questa attività gestoria e quindi colui che assume il rischio dell'intera operazione ed il destinatario dei risultati economici vantaggiosi e svantaggiosi di essa.
Venendo al secondo presupposto, oggetto del contratto fra mandante e mandatario deve essere un mandato ad acquistare, infatti il mandatario assume l'obbligo di compiere in rapporto con il terzo un negozio di acquisto di entità patrimoniali: oggetto dell'acquisto del mandatario devono essere diritti su "cose mobili", ma al riguardo occorre verificare se in questa categoria possano rientrare le universalità di mobili, le aziende, i titoli di credito e le quote di
partecipazione sociale.
Il terzo presupposto consiste in un "effetto giuridico", infatti a seguito del compimento dell'attività gestoria deve essersi concretizzato l'effetto traslativo dal terzo al mandatario del diritto sul bene mobile oggetto dell'acquisto. La concretizzazione di questo effetto deve essere accertata in base ai principi inerenti gli effetti reali del contratto, immediati o differiti che siano. Pertanto ove la cosa sia stata determinata solo nel genere l'acquisto, cioè l'effetto reale, potrà verificarsi solo in seguito alla individuazione della cosa ai sensi dell'art. 1378 c.c.; quando l'atto gestorio abbia comportato l'acquisto di un bene futuro, l'acquisto avverrà solo col venire ad esistenza di questo; quando oggetto del contratto sia l'acquisto di una cosa altrui, il trasferimento della proprietà si avrà solo quando la cosa sia stata acquistata dal terzo venditore, in base all'art. 1478, II comma, c.c.
E’ orientamento consolidato che l'effetto traslativo dal mandatario al mandante si produce secondo le regole generali. Pertanto occorre distinguere la natura delle cose acquistate (cose di specie, cose di genere o diritti altrui) e verificare se esistano accordi tra mandante e mandatario per il differimento dell'effetto traslativo.
Il momento della produzione, in capo al mandante, dell'effetto traslativo relativo alla titolarità delle cose acquistate dal mandatario in esecuzione dell'incarico ricevuto, può essere stabilito convenzionalmente, infatti la dottrina rileva che: "L'eventuale accordo fra il mandatario ed il mandante con cui viene differito il trasferimento della proprietà ad un momento ulteriore rispetto a quello in cui si compie l'acquisto presso il terzo è ammissibile". (Luminoso 1984, 315).
L'effetto giuridico connesso a questi presupposti è che il mandante, nonostante il mandato sia senza rappresentanza, è legittimato a "rivendicare" le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario. Già il tenore letterale della disposizione, nel termine di “rivendicare”, induce a ritenere che il mandante acquisti immediatamente la proprietà mobiliare, senza che sia necessario un successivo atto traslativo dal mandatario al mandante. Infatti, dovendosi ritenere che il legislatore utilizza i termini nel loro significato tecnico ed essendo noto che l'azione di rivendicazione è la più importante a tutela della proprietà, è agevole concludere nel senso dell'immediatezza dell'acquisto della proprietà mobiliare (sempre che si tratti di cosa certa e determinata). L'interpretazione trova conferma nella parte finale della norma, che richiamando espressamente l'acquisto a non domino (art. 1153 c.c.), esclude necessariamente che il mandatario sia stato proprietario in modo temporalmente apprezzabile della cosa mobile. D'altronde, la circostanza che il mandatario abbia la disponibilità materiale delle cose mobili consente, anche se con comportamento non corretto, di far sì che possa trovare applicazione
la fattispecie dell'acquisto di proprietà mobiliare da non domino, purché ovviamente vi sia titolo, buona fede del terzo acquirente e relativa immissione nel possesso. Si consideri, infine, che, ulteriore dimostrazione dell’acquisto immediato della proprietà da parte del mandante si trae dall'art. 1707 c.c., nella parte in cui consente al mandante di opporsi ai creditori del mandatario dimostrando che le cose mobili detenute da costui sono state acquistate in conseguenza di un mandato risultante da scrittura avente data certa anteriore al pignoramento.
Nell'interpretare la norma contenuta nel primo comma dell'art. 1706 c.c., la giurisprudenza ha costantemente affermato che dalla stessa norma, per cui il mandante può rivendicare dai terzi le cose acquistate per suo conto in nome proprio dal mandatario, si desume che i beni acquistati dal mandatario appartengono al mandante, presupponendosi l'immediato ed automatico trasferimento del diritto di proprietà sulle dette cose dall'alienante al mandante. (Cass. 11 giugno 1971, nr. 1748, Giur. it. 1972, I, 1, 354; Cass. 18 marzo 1966,
nr. 773, Giur. it. 1959, I, 1, 586).
2.1) Xxxxxx sulla legittimazione del mandante ad esperire azioni petitorie e possessorie sulle cose mobili acquistate dal mandatario senza rappresentanza
La dottrina si è interrogata sul fondamento della legittimazione del mandante ad esperire le azioni petitorie e possessorie a difesa delle cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario senza rappresentanza.
Sono state formulate numerose teorie in merito e tra quelle che vantano maggiori consensi risalta la teoria del "Trasferimento diretto" dal terzo al mandante della cosa mobile acquistata dal mandatario. Secondo tale teoria il diritto reale sulla cosa, non appena acquistato dal mandatario per effetto del negozio gestorio, viene perduto dallo stesso e si trasferisce automaticamente al mandante, senza bisogno di alcun nuovo apposito atto o negozio da parte del mandante o del mandatario, ma semplicemente in forza di un titolo traslativo la cui natura e composizione appaiono non uniformi nei vari autori.
Secondo l'opinione prevalente, a giustificare l'acquisto in capo al mandante sono varie circostanze, ovvero: da un lato l'alienità dell'interesse gestito dal mandatario, infatti quest’ultimo non vuole i beni acquistati per sé, ma li ha acquistati per farne conseguire la proprietà al mandante, e, dall'altro lato vi sono argomenti testuali, come il potere riconosciuto al mandante di rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario, potere che non potrebbe esercitare se non fosse proprietario, oltre alla considerazione che i
creditori del mandatario non possono far valere le loro ragioni sui beni mobili da lui acquistati in esecuzione del mandato. (Xxxxxxxxx 1994, 166; Pugliatti 1965, 440; Rubino 1971, 24; Sacco 1966, 1391).
Questa tesi si espone alle stesse critiche già formulate contro la teoria dell'acquisto diretto del credito ex art. 1705, II comma, c.c., infatti è stato rilevato che con riguardo al mandato ad acquistare e a quello ad alienare, ritenere un trasferimento diretto fra mandante e terzo è difficilmente accettabile, in quanto in contrasto con fondamentali principi di diritto positivo e prima ancora con il principio di autonomia privata, il quale non tollera, in difetto di apposita previsione normativa, che un contratto possa avere come destinatario dei suoi effetti, all'insaputa di uno dei contraenti, un terzo anziché l'altro contraente. In merito è stato lamentato che in base alla teoria del trasferimento diretto: "Vi sarebbe una inammissibile scissione degli effetti del contratto di compravendita posto in essere dal mandatario. Infatti la disposizione di evidente carattere imperativo, contenuta nell'art. 1372, II comma, c.c., stabilisce che il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge. Si tratta di una deviazione di un effetto prodotto dal contratto, che, nelle ipotesi previste dalla legge, incide immediatamente nella sfera giuridica di un terzo, come accade ad esempio nel contratto a favore di terzo. Per contro, secondo la tesi qui criticata, non vi sarebbe una deviazione dell'effetto contrattuale, ma un'esclusione della sfera giuridica della parte nella quale tale effetto dovrebbe prodursi, infatti si elimina radicalmente il contratto che pure è la base giuridica della produzione dell'effetto, per cui si giunge alla singolare conclusione che l'effetto obbligatorio si produce nella sfera giuridica del mandatario e l'effetto traslativo in testa ad un soggetto estraneo, sotto ogni profilo, al contratto. Verrebbe, quindi, a cessare ogni differenza, per l'aspetto qui considerato, con la rappresentanza. Per contro è conforme ai principi che la proprietà sia acquistata dal mandatario, e successivamente, anche se temporalmente in modo non apprezzabile trasferita al mandante. Il che può avvenire esclusivamente in forza di legge, in quanto il principio del consenso traslativo non può trovare applicazione laddove vi sia contraria disposizione (art. 1372, I comma, c.c.)". (Carpino 2007,28).
La tesi dottrinale prevalente è quella del “Doppio trasferimento automatico” in base alla quale: "Il diritto reale sulla cosa, non appena acquistato dal mandatario per effetto del negozio gestorio, viene perduto dallo stesso e si trasferisce automaticamente – senza bisogno cioè di alcun apposito atto o negozio da parte del mandante o del mandatario – al mandante, in forza di un titolo traslativo, la cui natura e composizione sono però – ancora una volta – discusse. Siffatta opinione (...) oltre a trovare un fondamento di ordine sistematico di primo piano nella regola consensualistica (art. 1376
c.c.), riceve ulteriore conforto nel riferimento, contenuto nel testo del primo comma dell'art. 1706 c.c., all'azione di rivendica proponibile dal mandante – la quale, in quanto azione petitoria (art. 948 c.c.), suppone la qualità di proprietario del soggetto ad essa attivamente legittimato – e può altresì contare su un argomento testuale di rilievo costituito dalla salvezza rispetto al mandante rivendicante (disposta dallo stesso art. 1706, I comma) dei soli acquisti a non domino (ex art. 1153) da parte dei terzi, salvezza la quale, soprattutto in relazione agli aventi causa dal mandatario, sembra supporre che la proprietà della cosa si trovi nella sfera giuridica del mandante, e non più in quella del mandatario, fin immediatamente dopo l'acquisto da lui operato". (Luminoso 1984, 227-229).
E ancora: "Prevale la tesi del doppio trasferimento automatico: il mandatario diverrebbe proprietario delle cose acquistate in esecuzione dell'incarico, ma non appena divenuto proprietario di esse, ne perderebbe immediatamente la proprietà che verrebbe acquistata automaticamente dal mandante”. (Carnevali 1990, 4).
La conferma della validità di questa teoria si ha considerando l'ipotesi in cui il mandante pretenda di rimanere occulto. In questo caso è stato affermato che: "La difesa giudiziaria delle cose acquistate per suo conto (azioni petitorie e azioni possessorie) può essere esercitata dal mandatario". (Carnevali 1990,4).
Le teorie secondo cui la proprietà viene acquistata dal mandatario e contestualmente trasferita al mandate per virtù di legge, ovvero di un acquisto immediato ed automatico, ma non direttamente dal terzo, sono state criticate evidenziando che acquistando il mandante dal mandatario, bisogna conseguentemente ritenere che l'acquisto sia a domino, il che farebbe sorgere qualche perplessità qualora il mandante sia consapevole che il terzo alieni un bene mobile in suo possesso, ma non di sua proprietà. E pertanto, ad una prima valutazione, si potrebbe ritenere che la disposizione del secondo comma dell'art. 1391 c.c., laddove stabilisce che il rappresentato in mala fede non può, in nessun caso, giovarsi della buona fede del rappresentante, non possa trovare applicazione, in quanto il mandante acquisterebbe dal mandatario, cioè a domino. Ma sembra agevole replicare, che l'interposizione reale di persona, che si realizza tipicamente con la conclusione di un mandato senza rappresentanza, non può certo costituire mezzo per eludere norma imperativa. In tal caso il contratto di mandato, pur con la buona fede del mandatario, sarebbe nullo per contrarietà a norma imperativa. In breve, ciò che la legge vieta si possa fare direttamente, non lo si può porre in essere indirettamente. Trova applicazione al mandato, il II comma dell'art. 1391 c.c. ed in merito la Cassazione rileva il reato di appropriazione indebita nell'ipotesi in cui il mandatario senza rappresentanza disponga uti dominus dei titoli obbligazionari acquistati per conto del
mandante: “Poiché, ai sensi degli art. 1705 e 1706 c.c., il mandato senza rappresentanza ha un'efficacia reale, oltre che obbligatoria, tanto che il mandante può agire come proprietario delle cose mobili acquistate per suo conto sia nei confronti del terzo che dello stesso mandatario, sicché il bene oggetto del contratto si considera come acquisito fin dal momento dell'esecuzione del mandato al suo patrimonio, è configurabile il delitto di appropriazione indebita nell'ipotesi in cui il mandatario disponga uti dominus di titoli obbligazionari acquistati per conto del mandante. (Xxxx'affermare detto principio la Corte ha altresì precisato che nella specie la proprietà dei titoli di credito doveva ritenersi trasmessa al mandante in virtù del contratto, il cui effetto traslativo non richiede la consegna dei relativi documenti, necessaria esclusivamente, ai sensi dell'art. 2003 c.c., per l'esercizio dei diritti che vi sono incorporati)”. (Cass. Pen. 23 ottobre 1996, nr. 705, in Giust. Pen., 1997, I, 1 p. 618).
Le contrapposizione tra le teorie dottrinali esposte, tuttavia, sembra avere perso intensità per avviarsi verso una conciliazione delle varie posizioni sulla scorta del valore che assume al riguardo il principio consensualistico. Così più recentemente, affrontando il fondamento dogmatico dell'art. 1706, I comma, c.c. è stato assunto che: "La norma è in accordo con la regola consensualistica circa il trasferimento della proprietà (art. 1376 c.c.), pertanto, l'acquisto di cose mobili, realizzato da un mandatario senza rappresentanza, per conto del mandante, trasferisce in capo a quest'ultimo la proprietà dei beni acquistati. Il regime consensualistico è compatibile tanto con la tesi secondo cui l'acquisto dei beni da parte del mandante è diretto, senza necessità di un passaggio intermedio dei beni in capo al mandatario, quanto con l'opinione che postula un duplice trapasso dei beni: dal terzo al mandatario, e da quest'ultimo al mandante". (Xxxxxxxxx 1994, 166).
Ulteriore critica perviene da altra corrente dottrinale che si basa sull'assunto che il mandato non determina alcun effetto reale, ma soltanto effetti obbligatori, quindi occorre chiarire in che modo il mandato possa produrre anche effetti reali. Secondo tale corrente per risolvere la questione occorre ricercare l'evento causativo di tale effetto e a tal fine è stato rilevato che il rapporto di mandato configura una fattispecie complessa in cui gli atti che la compongono, ovvero il mandato e l'atto di acquisto, oltre a produrre gli effetti giuridici loro propri, producono anche un effetto ulteriore che consiste nell'acquisto del mandante, cioè il trasferimento automatico senza necessità di atto traslativo ad hoc del diritto acquisito dal mandatario.
Il punto centrale è sempre il medesimo: l'adempimento dell'obbligo gestorio si risolve nel compimento di un atto concluso con terzi; ora quest'atto, qualora sia un contratto traslativo, produce i relativi effetti solo tra le parti del contratto. La deviazione di tale effetto è possibile
solo in forza di legge e poiché il consenso delle parti è inidoneo a produrre tale effetto, il legislatore, in considerazione della natura del bene, fa sì che l'atto posto in adempimento di un obbligo gestorio si rifletta immediatamente nella sfera giuridica del mandante, assecondando il suo presumibile intento. L'atto base rimane il mandato, in quanto è in forza di esso che si determina la qualifica dell'adempimento come atto posto in essere per conto altrui, ma anche così rimane confermata l'insufficienza del mandato a produrre effetti traslativi, in quanto non si tratta di un negozio casualmente traslativo. Gli effetti traslativi richiedono necessariamente un'attività di interposizione e l'effetto ricollegato dalla legge è meramente “naturale”, infatti, in virtù dell'autonomia privata, è perfettamente ammissibile che nel contratto di mandato si escluda espressamente il trasferimento automatico della proprietà mobiliare. Questa considerazione conferma che il mandato sia privo di qualsiasi efficacia traslativa. Escludendo la produzione automatica dell'effetto traslativo, il mandante non potrebbe opporsi a che i creditori del mandatario soddisfino le loro ragioni sui beni mobili acquistati e non trasmessi dal mandatario.
3) Mandato ad acquistare cose di specie
Nell'ambito del mandato ad acquistare cose di specie, opera il principio consensualistico, disposto dall'art. 1376 x.x., xxx xxx, xxxxxxxxxxx x'xxxxxxxxxxxxxxx xxxx'xxx. 0000, X xxxxx, x.x., xx rileva che il regime consensualistico è compatibile tanto con la tesi secondo cui l'acquisto dei beni da parte del mandante è diretto, senza necessità di un passaggio intermedio dei beni in capo al mandatario, quanto con l'opinione che postula un duplice trapasso dei beni, ovvero dal terzo al mandatario, e da quest'ultimo al mandante.
In materia di mandato ad acquistare cose mobili, è la legge stessa a configurare testualmente il trasferimento dal mandatario al mandante. Questo dato incontrovertibile viene posto alla base della seguente argomentazione: "Assodato che il trasferimento in discorso si identifica con un effetto negoziale il quale trova causa nel mandato, per stabilire più in dettaglio il meccanismo di produzione di tale effetto occorre avere riguardo evidentemente al principio del trasferimento consensualistico dei diritti (art. 1376 c.c.). In base ad esso (...) qualunque contratto il quale annoveri tra i risultati da raggiungere quello consistente nel passaggio della titolarità di un diritto da uno dei contraenti in favore dell'altro, ha in linea di massima l'idoneità a produrre il passaggio stesso (immediatamente, sul piano cronologico, o sussistendo qualche ostacolo, in un momento successivo), non rendendosi a ciò necessario un ulteriore
negozio traslativo inter partes. Nessuna ragione sussiste per negare l'applicazione al mandato di questa che nel nostro ordinamento ha valore di regola generale. Al mandato perciò, nell'ipotesi in esame, dovrà tendenzialmente riconoscersi efficacia traslativa. Tanto più che un tale tipo di efficacia realizza una più intensa tutela della posizione del mandante, diminuendo i rischi di abusi ed infedeltà da parte del mandatario ed anche le possibilità di aggressioni da parte dei suoi creditori". (Luminoso 1984, 267).
In applicazione di questa costruzione dogmatica è possibile affermare che, in materia di mandato ad acquistare cose mobili: “Il bene mobile, non appena acquistato dal mandatario in forza del negozio gestorio, si trasferisce automaticamente al mandante per effetto del mandato. L'efficacia traslativa del contratto di mandato è perciò differita ed eventuale, in quanto subordinata e rinviata all'esatto compimento, da parte del mandatario, dell'atto gestorio, oggetto del mandato". (Luminoso 2007, 94).
La conclusione sulla posizione giuridica del mandante è allora la seguente: "Il mandante diviene proprietario del bene, e lo diventa pleno iure ed erga omnes, in particolare anche nei riguardi del terzo contraente ed ogni altro terzo. Deve escludersi che sia configurabile in capo al mandante un "proprietà sostanziale" ed in capo al mandatario una "proprietà formale". (Luminoso 2007, 94).
Per quanto l'art. 1706, I comma, c.c. non faccia distinzioni, l'interpretazione corrente assimila ai beni mobili anche i complessi aziendali mobiliari: "L'acquisto di beni mobili (nella specie, un'azienda mobiliare) da parte del socio amministratore di una società in nome collettivo irregolare, che abbia agito nell'interesse della società ma senza palesare all'esterno la sua qualità di socio, va riferito alla società a norma dell'art. 1706 comma 1 c.c., che contempla gli acquisti mobiliari del mandatario", la Cassazione ha, infatti, statuito che: "Il socio di una società di fatto, qualora acquisti per conto della società, ma in nome proprio, senza palesare all'esterno la sua qualità di rappresentante, è obbligato in forza del mandato implicito nel potere di amministrazione, che gli spetta a norma dell'art. 2257 c.c. a ritrasferire alla società i beni comprati, ove si tratti di immobili, ai sensi ed agli effetti dell'art. 1706 comma 2 c.c., con il correlativo potere della società di agire a termini dell'art. 2932 c.c. in caso di sua inosservanza di tale obbligo, mentre, con riguardo a beni mobili, ancorché integranti un complesso aziendale, l'acquisto in questione produce automaticamente e direttamente la loro appartenenza alla società, ai sensi del comma 1 del citato art. 1706 c.c. e, quindi, pone i beni stessi in comunione con gli altri soci, senza la necessità di alcun ulteriore adempimento formale". (Cass. 5 maggio 1980, nr. 2935, GI, 1980, I, 1, 1558).
Secondo la giurisprudenza il termine "beni mobili" è idoneo a
comprendere anche le partecipazioni in società commerciali purché non si tratti di cose determinate solo nel genere: "Il mandato ad acquistare quote di società a responsabilità limitata è regolato dalla disposizione che disciplina il mandato ad acquistare beni mobili, in virtù della quale il bene acquistato in proprio nome dal mandatario si trasferisce automaticamente al mandante". (Trib. Piacenza 16 luglio 1993, BBTC, 1994, II, 537).
Poiché le norme sul mandato si applicano anche ai rapporti fra società di persone e amministratori, anche di fatto, si propongono alcune applicazioni giurisprudenziali in materia di acquisto di beni mobili da parte dell'amministratore, senza rappresentanza: "L'amministratore di una società di persone, che in forza della legge o del patto sociale compia disgiuntamente dagli altri amministratori negozi giuridici, acquistando beni che intesta a sè medesimo, è tenuto a rimettere alla società i beni mobili e immobili che siano stati oggetto, nell'esercizio delle sue funzioni, della compravendita. Ne consegue che nel caso in cui il suddetto amministratore non rimetta alla società i detti beni, questi non possono considerarsi parte del patrimonio sociale fin quando a seguito dell'esercizio dell'azione ex art. 1706 non sia ottenuto un titolo giudiziale che dichiari o costituisca il diritto di proprietà della società su di essi". (Cass. 9 marzo 1994, nr. 2301, GC, 1994, I, 1887).
4) Mandato ad acquistare cose di genere o massa di cose
In applicazione del principio disposto dall'art. 1377 e dell'art. 1378 c.c., nel caso in cui il mandatario sia incaricato di acquistare cose di massa o cose di genere, il trasferimento della proprietà al mandante è subordinato al requisito della loro individuazione, atto questo che può essere effettuato dal mandante, dal mandatario o addirittura dal terzo. (Xxxxxxxxx 1990, 4; Carpino 2007,32; Luminoso 1991, 1276).
Una volta affermato che, in base all'art. 1706, I comma, c.c., è possibile ravvisare un acquisto automatico, sia pure non diretto dal terzo al mandante, attraverso l'acquisizione intermedia del mandatario, viene opportunamente rilevato che: "Perché si produca l'automatismo dell'effetto acquisitivo, è necessario, tra l'altro che il bene sia idoneo a tal fine; così, se il mandatario abbia acquistato cose generiche, l'effetto traslativo si verificherà al momento dell'individuazione, dovendosi distinguere l'accordo di individuazione che attiene all'esecuzione da quello sulle modalità di individuazione che attiene alla fase di integrazione del negozio". (Carpino 2007, 32). In giurisprudenza si veda la seguente massima: "Nel caso di acquisto di cose generiche (nella specie, denaro) effettuato dal mandatario, la loro individuazione, necessaria per il prodursi dell'effetto traslativo
in capo al mandante, si realizza già con la consegna eseguita dal terzo al mandatario; sicché, anche nell'ipotesi in cui egli abbia agito nell'interesse del mandante senza spenderne il nome, deve ritenersi che i beni acquistati entrino nel patrimonio di quest'ultimo sin dal momento in cui il mandatario ne ha ricevuto la consegna". (Cass. 6 marzo 1999, nr. 1925, RCP, 1999, 1319).
Interessante considerare quanto si legge nella motivazione: “E’ però agevole replicare che, nel caso di acquisto di cose generiche effettuato dal mandatario, la loro individuazione, necessaria per il prodursi dell'effetto traslativo, si realizza già con la consegna al mandatario: sicché - anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo abbia agito nell'interesse del mandante, senza spenderne il nome, come sembra assumere il ricorrente - deve ritenersi che, proprio in virtù del principio posto dall'art. 1706 c.c. (il quale implica che il mandante acquisti la proprietà delle cose acquistate per suo conto dal mandatario: Xxxx. 23 ottobre 1996, Xxxxx; 5 maggio 1980, n.
2935; 11 giugno 1971, n. 1748) esse entrino nel patrimonio del mandante fin da tale momento".
Il problema si è presentato soprattutto per il mandato ad acquistare un certo numero di azioni di società: "Il contratto di mandato in forza del quale un soggetto si sia impegnato ad acquistare e a trasferire al mandante la proprietà di un certo numero di azioni di una società ha ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, nell'ambito del quale la proprietà si trasmette esclusivamente, a norma dell'art. 1378 c.c., mediante l'individuazione dei beni che ne formano oggetto. Pertanto, qualora le azioni non siano state individuate o siano confuse nel patrimonio del mandatario che ne abbia acquistate una quantità superiore, sussiste inadempimento del mandatario all'obbligo essenziale di ritrasferire al committente la cosa acquistata per suo conto, facendogliene acquistare la proprietà". (Cass. 24 giugno 2002, nr. 9166, GC, 2003, I, 2896).
Nella motivazione si avverte che argomentando dall'art. 1706 c.c., che conferisce al mandante il potere di rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario, la giurisprudenza ritiene che, in attuazione del principio consensualistico, la proprietà delle azioni, ove siano individuate e non siano confuse con il patrimonio del mandatario, si trasferisce al mandante automaticamente per effetto dell'acquisto del mandatario senza che sia necessario alcun atto di trasferimento. Più precisamente, il meccanismo acquisitivo del mandante si articola in due trasferimenti, logicamente successivi, ma cronologicamente contestuali, uno dal terzo al mandatario attuato attraverso il negozio gestorio e l'altro successivo dal mandatario al mandante fondato sul contratto di mandato, che si realizza in via automatica senza necessità di ulteriore attività giuridica non appena posto in essere l'atto gestorio. Se, però, le azioni non siano
individuate o siano confuse nel patrimonio del mandatario, come nel caso in cui venga acquistata una quantità di azioni superiore, l'acquisto del mandatario e quello del mandante avvengono a norma dell'art. 1378 c.c. mediante l'individuazione, per cui la mancanza di essa costituisce causa di inadempimento dell'essenziale obbligo del mandatario di ritrasferire al mandante le azioni acquistate per suo conto, facendogliene acquistare la proprietà.
Per la giurisprudenza meno recente si veda invece un'altra massima: "Qualora un mandatario senza rappresentanza, agendo per conto di più clienti, abbia acquistato presso una banca buoni del tesoro per un dato valore nominale complessivo, i singoli mandanti non possono rivendicare direttamente titoli di loro spettanza ai sensi dell'art. 1706, I comma, c.c., ovvero esercitare l'azione contrattuale di consegna dei medesimi, ai sensi del precedente art. 1705, II comma, prima che l'oggetto di ciascun contratto di mandato sia stato determinato attraverso la ripartizione dei titoli sottoscritti fra i vari clienti, eseguita dal mandante sulla base dell'elenco numerico dei titoli stessi trasmessogli dalla banca". (Cass. 18 aprile 1974, nr. 1051, MFI, 1974, 1051).
5) La posizione giuridica del mandatario prima dell’effetto traslativo
Occorre considerare la posizione giuridica del mandatario che, prima del momento della realizzazione dell'effetto traslativo in capo al mandante, ha il dovere di tutelare l'acquisto di quest'ultimo.
Il mandatario pertanto ha il potere – dovere di esercitare le azioni petitorie e possessorie a tutela di tale interesse, infatti nel caso in cui il mandante pretenda di rimanere occulto, è ammesso che: "La difesa giudiziaria delle cose acquistate per suo conto (azioni petitorie e azioni possessorie) può essere esercitata al mandatario". (Carnevali 1990, 4).
Sicuramente il mandatario non può disporre delle cose acquistate per conto altrui, in ogni caso, quando è (temporaneamente) proprietario dei beni acquistati per conto del mandante, senza averne tuttavia l'incondizionata disponibilità, l'eventuale alienazione non autorizzata compiuta dall'intermediario è sanzionabile penalmente. Ciò conferma che la proprietà del mandatario può essere comunque soggetta ad uno statuto speciale, modellato secondo le esigenze di tutela del mandante.
In giurisprudenza viene rilevata la seguente massima: "Poiché, ai sensi degli art. 1705 e 1706 c.c., il mandato senza rappresentanza ha un'efficacia reale, oltre che obbligatoria, tanto che il mandante può
agire come proprietario delle cose mobili acquistate per suo conto sia nei confronti del terzo che dello stesso mandatario, sicché il bene oggetto del contratto si considera come acquisito fin dal momento dell'esecuzione del mandato al suo patrimonio, è configurabile il delitto di appropriazione indebita nell'ipotesi in cui il mandatario disponga uti dominus di titoli obbligazionari acquistati per conto del mandante". (Cass. Pen. 23 ottobre 1996, nr. 705, CPMA, 1998, 68).
6) Azione di rivendica del mandante e diritti dei terzi possessori in buona fede
Il I comma, dell'art. 1706 c.c. dispone che il mandante non può rivendicare i beni mobili acquistati dal mandatario nei confronti dei terzi che hanno acquistato diritti per effetto del possesso di buona fede. La norma che fa "salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede" è perfettamente in linea con l'esigenza di protezione dell'affidamento e della sicurezza nella circolazione della ricchezza.
Conviene approfondire la situazione di conflitto: il mandatario ha acquistato da un terzo un bene mobile, sul quale in realtà altri soggetti (terzi anch'essi, ma diversi da quello che è stato parte nell'attività gestoria) possono vantare diritti incompatibili con la posizione di acquirente cristallizatasi ai sensi dell'art. 1706 c.c. in capo al mandante. La norma considera appunto il conflitto fra il mandante e questi terzi e lo risolve in base al criterio di buona fede a protezione dell'affidamento di quel terzo che ignorava di ledere la posizione del mandante.
In altri termini il terzo merita la protezione riservata dall'ordinamento alla categoria dei terzi in buona fede, pertanto il modello disciplinare fondamentale è quello dell'art. 1153 c.c., per cui il terzo è protetto se l'acquisto riguarda un bene mobile, se tale acquisto è avvenuto in base ad un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà, se della cosa ha avuto il possesso tramite consegna effettuata direttamente dall'alienante non dominus, se era in buona fede al momento dell’acquisto ai sensi dell'art. 1147 c.c., e cioè ignorava di ledere l'altrui diritto (nel nostro caso il diritto del mandante).
Si osservi che, trattandosi di buona fede possessoria, vale la presunzione dell'art. 1147, III comma, c.c., per cui è il mandante che rivendica che deve provare la mala fede.
Il tema è ben presente alla giurisprudenza come si evince da questa sentenza di merito: "Deve essere riconosciuto al fiduciante il diritto di rivendicare i beni acquistati dai fiduciari, dovendosi considerare applicabile l'art. 1706 c.c., il quale stabilisce, in materia di mandato, che il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo
conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede. In ogni caso, il fiduciante ha diritto di richiedere ed ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre ai sensi dell'art. 2392 c.c." (Trib. Cagliari 10 dicembre 1999, RGSarda, 2001,661).
7) Acquisto del mandatario per conto del mandante di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri
L'art. 1706, II comma, c.c. prevede l'ipotesi in cui il mandatario sia stato incaricato dal mandante di acquistare, per suo conto (non in suo nome e quindi senza rappresentanza), beni immobili o beni mobili registrati. La disposizione statuisce che il mandatario, acquistato il bene per conto conserva “transitoriamente” la proprietà ed è obbligato a trasferire al mandante i beni acquistati, con apposito atto di trasferimento, idoneo ad essere trascritto.
La diversità di disciplina rispetto all'acquisto dei crediti e dei beni mobili ha una giustificazione nel sistema della trascrizione infatti tale regime è ostativo al prodursi di effetti automatici e diretti tra mandante e terzo, inoltre a causa del principio consensualistico non è configurabile un ritrasferimento automatico dal mandatario al mandante.
Con riferimento all'art. 1706, II comma, c.c., viene osservato che: “In base a questa norma il mandatario è obbligato a ritrasferire il bene (acquistato in esecuzione del mandato) al mandante, salvo restando in caso di rifiuto il possibile ricorso da parte del mandante, al rimedio della esecuzione forzata in forma specifica dell'obbligo di contrarre ai sensi dell'art. 2932 c.c.”. (Luminoso 2007, 79).
Riprende questa linea anche altra dottrina per la quale: “Sul mandatario grava un obbligo a ritrasferire la proprietà che, per espresso rinvio legislativo (art. 1706, II comma, c.c.), sembrerebbe doversi qualificare come obbligo a contrarre”. (Carpino 2007, 33).
Questi principi sono alla base della seguente sentenza: “Qualora il mandatario non dichiari ai terzi di contrarre in nome del mandante, si verifica un tipico caso di interposizione di persona che, mentre consente al mandante di rivendicare le cose mobili, acquistate per suo conto, e di esigere i crediti derivanti dall'esecuzione del mandato, non gli consente di rivendicare le cose immobili acquistate per conto di lui, ma in nome proprio dal mandatario, essendo necessario perché gli immobili passino in proprietà del mandante che il mandatario li ritrasferisca”. (Cass. 15 febbraio 1978, nr. 707, VN. 1978, 149).
Corollario di questo profilo è il decorso del termine della prescrizione del diritto del mandante ad acquistare l'immobile, infatti: “La
prescrizione del diritto del mandante al trasferimento della proprietà immobiliare, acquistato per conto suo dal mandatario senza rappresentanza, comincia a decorrere dal momento in cui il mandatario acquista la proprietà del bene”. (Cass. 25 gennaio 1974, nr. 202, FI, 1974, I, 2739).
Sono fuori da questa fattispecie normativa le ipotesi in cui il mandante per qualsiasi causa acquisti il bene, a prescindere dall'atto di ritrasferimento del mandatario. E' il caso in cui la compravendita immobiliare, che il mandatario è incaricato di concludere per conto del mandante, sia preceduta da un contratto preliminare concluso fra il mandatario ed il terzo.
In questa situazione il mandante ha due alternative: “Infatti, se il mandante esercita il credito derivante dal contratto preliminare concluso dal mandatario con il terzo (art. 1705, II comma), il trasferimento immobiliare programmato a favore del mandatario dovrà essere eseguito nei confronti del mandante. Soltanto se il mandante non interviene nel rapporto tra il terzo e il mandatario, si verifica la fattispecie prevista dall'art. 1706, II comma, c.c.”. (Xxxxxxxxx 1994, 167).
7.1) Teorie sulla natura dell'atto di ritrasferimento
La dottrina si è interrogata circa la natura dell'atto di ritrasferimento dal mandatario al mandante necessario ad adempiere l'obbligazione prevista dall'art. 1706, II comma, c.c.
Nel tentativo di chiarire il rapporto tra mandato e atto di trasferimento, sono state formulate varie teorie circa la natura costitutiva o dichiarativa di tale atto.
L'orientamento dottrinale secondo cui si realizza un trasferimento diretto (dal terzo al mandante) della proprietà della cosa, ritiene che il mandante acquisterebbe immediatamente la “proprietà sostanziale” del bene mentre il mandatario (avendo contratto con il terzo in nome proprio ed avendo la trascrizione, del contratto gestorio, a proprio favore) acquisterebbe una “proprietà formale” o una semplice “legittimazione” ad alienare ai terzi, per far venire meno le quali sarebbe appunto necessaria la trascrizione di quell'atto che la legge chiama di “ritrasferimento”, ma che avrebbe natura meramente ricognitiva e servirebbe unicamente ad assicurare la continuità delle trascrizioni, avendo il mandante già acquisito la proprietà formale del bene.
Anche se si aderisce alla tesi del doppio trasferimento automatico, in virtù del quale il mandatario perderebbe immediatamente a favore del mandante il diritto acquistato per suo conto, il negozio di ritrasferimento non avrebbe effetto traslativo, ma solo certificativo o
dichiarativo, utile solo per effettuare la trascrizione dell'atto nei pubblici registri. (Campagna 1962, 88; Xxxxxxxxx 1974, 143, Xxxxxxxxx
1985, 417).
All'accoglimento di tali opinioni si oppongono tuttavia tutte quelle ragioni già indicate che, in termini generali, rendono inaccettabile nel nostro ordinamento un fenomeno siffatto di trasferimento diretto dal terzo al mandante. Ragioni cui si aggiungono altrettanto decisivi argomenti di natura testuale, non potendosi dubitare che la volontà della legge sia quella di assegnare al negozio di ritrasferimento effettivi costitutivi (cioè traslativi) e non una semplice efficacia dichiarativa utile solo ai fini della trascrizione.
Gli orientamenti descritti sono stati superati per effetto dei risultati cui è pervenuto il dibattito sulla causa del contratto.
E' stato chiarito che non ogni pagamento traslativo si identifica necessariamente con un negozio astratto e che ben possono darsi atti di disposizione “isolati” (c.d. atti di “puro trasferimento”) la cui causa poggia su un rapporto antecedente, il quale costituisce il fondamento giustificativo della trasmissione del diritto e nel contempo il termine di riferimento dell'intento negoziale, pertanto la dottrina ha identificato nel “ritrasferimento” previsto dall'art. 1706 c.c. un negozio traslativo di esecuzione, non astratto, ma causale, che si appoggia appunto al contratto di mandato e alla obbligazione di dare (ossia al trasferire la proprietà) che da esso, in tale ipotesi nasce. Negozio per la ci validità si ritiene necessaria, oltre all'esistenza di un valido rapporto di gestione, anche l'indicazione nell'atto della sua funzione (causa solvendi), ossia nella specie, della sua specifica funzione esecutiva dell'impegno gestorio assunto con il contratto di mandato. In questa prospettiva, quindi, se sotto il profilo strutturale, la fattispecie dell'effetto rappresentato dal trasferimento interno viene ad identificarsi con il contratto di esecuzione, la ragione giustificativa di tale effetto continua a rimanere il mandato e la sua causa gestoria. (Luminoso 2007, 167).
Se si esclude l'efficacia traslativa del mandato ad acquistare immobili o beni mobili registrati, e si sostiene che il mandato genera in capo al mandatario una obbligazione di dare, si perviene ad una diversa conclusione. L'atto con cui il mandatario adempie l'obbligazione di dare a favore del mandante si configura come un atto avente natura traslativa, produttivo di effetti reali. Sotto il profilo causale, esso è classificabile come un negozio a causa esterna, ma non astratto, in quanto la validità dell'attribuzione realizzata solvendi causa sussiste purché essa sia attuata in esecuzione di un (valido) contratto di mandato.
Questa impostazione si rintraccia in altro contributo secondo cui: “L'atto con cui il mandatario adempie l'obbligazione di dare in favore del mandante si configura come un atto avente natura
traslativa, produttivo di effetti reali. Sotto il profilo causale, esso è classificabile come negozio a causa esterna, ma non astratto, in quanto la validità dell'attribuzione realizzata solvendi causa sussiste purché sia attuata in esecuzione di un (valido) contratto di mandato”. (Xxxxxxxxx 1994, 167).
Si collega nella stessa corrente di pensiero anche questa opinione che, nell'intento di sottolineare il fondamento causale del negozio di ritrasferimento nel mandato senza rappresentanza ad acquistare immobili o mobili registrati, avverte che l'invalidità del mandato travolge inevitabilmente anche detto negozio traslativo, proprio in quanto quest'ultimo trova la sua giustificazione causale nel primo: “L'atto di ritrasferimento al mandante non si configura come un negozio (traslativo) astratto, ma come un negozio causale (è discusso se unilaterale o bilaterale) che trova il suo fondamento nel contratto di mandato di cui costituisce esecuzione. L'invalidità del mandato trascina con sé quella dell'atto di ritrasferimento, che rimane privo di giustificazione e dà ingresso ad una codictio indebiti a favore del mandatario”. (Carnevali 1990, 5).
Pertanto la proprietà del bene acquistato in esecuzione del mandato rimane in capo al mandatario fino a quando questi ha compiuto il negozio traslativo a favore del mandante. (Carpino 2007, 39; Luminoso 1991, 1277, Pugliatti 1965, 36; Xxxxxxxxx 1985, 409).
Una volta che il negozio di ritrasferimento dal mandatario al mandante si pone come un negozio con causa esterna, si distinguono due concezioni e precisamente: la concezione della causa in senso oggettivo e la concezione della causa in senso soggettivo. Secondo la prima impostazione per la validità del negozio traslativo di esecuzione basta l'esistenza di un valido rapporto di mandato, principio al quale sembra ispirarsi la seguente massima: “Non può essere impugnato sotto il profilo della mancanza della causa e del corrispettivo l'atto di trasferimento di un bene immobile posto in essere dal mandatario in favore del mandante, qualora l'attribuzione patrimoniale sia in funzione del preesistente rapporto di mandato, nel quale quell'atto trova la sua causa e sia accertato che il denaro occorrente per l'acquisto sia stato fornito dal mandante al mandatario”. (Cass. 14 febbraio 1973, nr. 454, GC, 1973, I, 731).
L'orientamento che concepisce la causa esterna in senso soggettivo, richiede per la validità del negozio di trasferimento anche l'indicazione nell'atto della sua specifica funzione, cioè l'expressio causae. Sembra ispirarsi a questa ricostruzione la decisione così massimata: “La nullità del mandato all'acquisto di beni immobili, da trasferire successivamente al mandante, per difetto di forma scritta, non osta a che il mandatario possa dare spontanea esecuzione agli accordi verbali intercorsi con il mandante, e, quindi, non può di per sè costituire ragione d'invalidità dell'atto scritto che ponga in essere
l'indicato trasferimento“. (Cass. 18 aprile 1980, nr. 2551, MFI, 1980,
2551).
8) Il mandato senza rappresentanza ad alienare
Il codice civile disciplina alcuni aspetti del mandato ad acquistare, nulla invece dispone per il mandato senza rappresentanza ad alienare, evocato nel contratto di commissione che, secondo la nozione fissata dall'art. 1731 c.c., è un contratto avente per oggetto, oltre all'acquisto, anche la vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario.
La giurisprudenza conferma questa classificazione, infatti: “Il contratto di commissione, essendo un sottotipo qualificato di mandato senza rappresentanza, si distingue dal mandato con rappresentanza per l'assenza della contemplatio domini, cosicché mentre il negozio concluso dal mandatario con rappresentanza produce i suoi effetti direttamente in capo al mandante, quello posto in essere dal commissionario produce i suoi effetti giuridici nel patrimonio dello stesso commissionario, occorrendo un ulteriore atto giuridico per riversarli nel patrimonio del committente. Inoltre, quando la commissione abbia ad oggetto il mandato ad alienare, il contratto si atteggia in modo che l'effetto traslativo reale del bene, derivante dal consenso manifestato, non si verifica immediatamente, ma è sospensivamente condizionato al compimento dell'alienazione gestoria del bene medesimo da parte del mandatario o commissionario”. (Cass. 5 maggio 2004, nr. 8512, GC 2005, I, 441). Per affrontare i problemi giuridici del mandato senza rappresentanza ad alienare, occorre verificare: quali siano i presupposti di efficacia dell'atto di alienazione compiuto dal mandatario in nome proprio (senza rappresentanza), ma per conto del mandante; se il mandato ad alienare sia sempre ammissibile nel nostro ordinamento, qualunque sia l'oggetto (beni mobili, beni immobili o beni mobili registrati, diritti di credito), come risolvere il conflitto che oppone il mandatario, incaricato ad alienare i beni del mandate, ai proprio creditori.
Il silenzio del legislatore ha favorito un dibattito dalle conclusioni non univoche che, per molti aspetti richiama le linee interpretative elaborate anche per il mandato ad acquistare.
Una prima corrente di pensiero ipotizza il trasferimento diretto del bene dal mandante al terzo, infatti: “L'alienazione posta in essere dal mandatario in nome proprio, in esecuzione dell'incarico, determinerebbe un trasferimento diretto del bene dal mandante al terzo. A seconda delle diverse formulazioni adottate, l'efficacia diretta troverebbe fondamento, o in un potere di disposizione del diritto del mandante che spetterebbe al mandatario in forza di
un'autorizzazione con efficacia esterna che sarebbe inclusa nel mandato, o in una legittimazione eccezionale scaturente dall'obbligo del mandatario, di curare l'interesse altrui, o infine da un atto astratto di trasferimento di una pura legittimazione del mandante al mandatario”. (Luminoso 2007, 84).
L'applicazione di questo principio porta alla conclusione che nel nostro ordinamento non sia ammissibile il mandato ad alienare i beni soggetti a trascrizione, cioè i beni immobili ed i beni mobili registrati: “L'ammissibilità del mandato senza rappresentanza ad alienare beni immobili o mobili registrati sembra impedita in modo insuperabile da ragioni pratiche collegate all'istituto della trascrizione, e in particolare al principio della continuità delle trascrizioni (art. 2650 c.c.). Per acquistare con piena efficacia il diritto alienatogli dal mandatario (in nome proprio), il terzo dovrebbe o trascrivere il suo acquisto contro il mandante oppure, insieme con la trascrizione dell'acquisto contro il mandatario, rendere pubblico anche il mandato. Entrambe le soluzioni non sono possibili: la prima, perché non si può trascrivere se non contro l'alienante (e tale è il mandatario che ha alienato in nome proprio e non il mandante); la seconda, perché il mandato, non essendo un negozio traslativo, non rientra nella categoria degli atti soggetti a trascrizione a norma dell'art. 2645 c.c. Nemmeno si può pensare ad un'applicazione analogica dell'art. 2649 c.c.”. (Mengoni 1975, 6).
Questo orientamento risulta talvolta seguito anche in giurisprudenza, come si avverte nella seguente massima: “Il mandato ad alienare senza rappresentanza non è ammissibile, in modo particolare per i beni immobili e mobili registrati. Ne consegue che la vendita, in caso di mancata spendita del nome del mandante, non comporta altro effetto che quello di obbligare il mandatario a procurare all'acquirente l’intestazione del bene”. (Cass. 27 maggio 2003, nr. 8393, VN, 2003, 1443).
Dalla motivazione di questa sentenza emerge che al pari del mandato ad acquistare, quello ad alienare solleva la problematica di come l'attività negoziale gestita in nome proprio dal mandatario possa produrre effetti tra il terzo ed il mandante.
Le principali soluzioni prospettate sono le seguenti. Secondo alcuni il mandato ad alienare attribuisce al mandatario il potere di disposizione del bene del mandante, di modo che si verifica una dissociazione tra legittimazione o potere di disporre del bene e titolarità di esso; per effetto del potere di disposizione attribuito con il mandato il mandatario può procurare l'acquisto del bene al terzo direttamente dal mandante senza bisogno di spenderne il nome. Senonché, come è stato osservato, nel sistema positivo non è ammessa dissociazione della titolarità del bene e del potere di disporne al di fuori di tassative disposizioni di legge.
Altra soluzione muove dalla considerazione che il mandatario può disporre del bene oggetto del mandato ad alienare solo in quanto ne sia titolare. Il meccanismo traslativo si può attuare o mediante un distinto ed autonomo atto tra mandante e mandatario o in modo automatico, trovandosi nel mandato una giustificazione sufficiente al trasferimento della proprietà. Se fosse necessario un previo negozio di trasferimento dal mandante al mandatario per legittimare la successiva alienazione del bene da parte di quest'ultimo, l'istituto del mandato ad alienare perderebbe gran parte della sua funzione ed utilità e l'incondizionato trasferimento del bene al mandatario potrebbe essere fonte di abusi da parte dello stesso, pertanto nel mandato ad alienare è ravvisabile un contratto nel quale l'effetto traslativo reale non si verifica immediatamente, ma è sospensivamente condizionato al compimento dell'alienazione gestoria del bene da parte del mandatario. Secondo questa impostazione nel mandato ad alienare si verifica la contemporanea presenza di due situazioni, una obbligatoria derivante dal mandato e l'altra reale derivante dall'alienazione gestoria, tra di loro collegate, operando l'alienazione gestoria come condizione sospensiva legale dell'effetto traslativo dal mandante al mandatario. La vicenda interpositiva, pertanto, si realizza interamente con il compimento del negozio gestorio ed il bene viene definitivamente acquistato dal terzo, previo spostamento strumentale della proprietà di esso dal mandante al mandatario. In questo contesto è consequenziale riconoscere al mandatario il potere di trasferire validamente il bene al terzo in nome proprio e per conto del mandante senza necessità di svelare l'esistenza del mandato. Contro questa costruzione, che consentirebbe di risolvere notevoli problemi pratici e di rivitalizzare la figura del mandato ad alienare, è possibile obiettare che l'alienazione gestoria presuppone la proprietà del mandatario, ma questa è, a sua volta, subordinata al compimento dell'alienazione gestoria ed in altri termini l'evento (alienazione gestoria) è condizione di un fatto (il passaggio della proprietà ex mandato) che è in realtà presupposto di essa. Su un piano più generale si può osservare che non esiste un aggancio testuale, sul quale fondare l'idea che il mandato è capace di spiegare effetti traslativi e che la "causa mandati" non è idonea a giustificare un trasferimento di diritti tra mandante e mandatario. In conclusione, non è ammissibile il mandato senza rappresentanza ad alienare, in modo particolare per quanto concerne i beni immobili ed i beni mobili registrati.
La teoria del trasferimento diretto è stata sottoposta a critiche riprendendo peraltro quello già formulate a tale riguardo nell'ambito del mandato ad acquistare. (Luminoso 2007, 85).
Merita menzione l'altra ricostruzione per la quale si ritiene che il mandato obblighi il mandante a compiere un successivo negozio di
“puro trasferimento“ del bene al mandatario, mettendolo così in grado di effettuare l'alienazione al terzo. (Xxxxxxx 2007, 55; Xxxxxxxx 1964, 120; Xxxxxxxxx 1957, 126, Luminoso 2007, 85).
Altra dottrina invece formula una diversa proposta e costruisce il mandato ad alienare come un negozio traslativo nel quale tuttavia l'effetto reale si produrrebbe non immediatamente, ma solo al sopravvenire della sua esecuzione; esecuzione che verrebbe così a formare, assieme allo stesso contratto di mandato, una fattispecie traslativa complessa, ovvero: “A noi sembra che la costruzione maggiormente rispettosa delle regole legali in materia di efficacia dei contratti e al tempo stesso del contenuto del regolamento di interessi disposti col mandato ad alienare, sia quella che ricollega al mandato un'efficacia traslativo – reale (art. 1376 c.c.), destinata però a prodursi non immediatamente, ma solo al verificarsi della (condicio iuris sospensiva rappresentata dalla) alienazione gestoria al terzo“. (Luminoso 2007, 111).
Questa tesi sembra condivisa da una parte della giurisprudenza come si avverte nella seguente massima: “Nel mandato ad alienare (e nella commissione, quando ha ad oggetto questo tipo di mandato) è ravvisabile un contratto nel quale l'effetto traslativo reale del bene, derivante dal consenso manifestato dalle parti (art. 1376 c.c.), non si verifica immediatamente ma è sospensivamente condizionato al compimento dell'alienazione gestoria del bene medesimo da parte del mandatario o commissionario“. (Cass. 7 dicembre 1994, nr. 10522,
GC, 1995, I, 2165).
Nella motivazione i giudici giungono al osservando che se fosse sempre necessario, quanto meno nel mandato a vendere beni immobili o mobili registrati, un previo negozio formale di trasferimento dal mandante al mandatario per legittimare la successiva alienazione formale del bene da parte di quest'ultimo, il contratto di commissione e l'istituto del mandato a vendere perderebbero gran parte della loro funzione ed utilità. L'incondizionato trasferimento del bene al mandatario potrebbe, inoltre, esser causa di inconvenienti ed abusi da parte del medesimo. Si deve allora ritenere che nel mandato ad alienare sia ravvisabile un contratto nel quale l'effetto traslativo reale del bene, derivante dal consenso manifestato dalle parti (art. 1376 cod. civ.), non si verifica immediatamente ma è sospensivamente condizionato al compimento dell'alienazione gestoria del bene medesimo da parte del mandatario. È opportuno tuttavia avvertire che anche i sostenitori di soluzioni diverse sono sostanzialmente concordi nel riconoscere al commissionario, pur se con differenti motivazioni, il potere di trasferire validamente il bene al terzo in nome proprio e per conto del committente, senza necessità di disvelare l'esistenza del mandato.
Altro problema che merita di essere evidenziato è il conflitto che
oppone il mandatario, incaricato di alienare il bene del mandante, ai proprio creditori “Poiché il valore programmatico del mandato è nel senso che l'acquisto del mandatario, proprio in quanto strumentale, non dà luogo ad un incremento economico del patrimonio dello stesso, è da ritenere che i creditori del mandatario non possano disattendere il valore del mandato e pretendere di avvantaggiarsi, in contrasto con quanto potrebbe fare lo stesso mandatario, del bene a costui alienato dal mandante. Perciò, in linea di massima, i creditori del mandatario non possono aggredire esecutivamente il bene stesso, nè l'eventuale fallimento del mandatario potrebbe acquisire il bene all'attivo fallimentare”. (Luminoso 1985, 107).
9) Rapporti tra mandante e creditori del mandatario senza rappresentanza
L'art. 1707 c.c. disciplina i rapporti tra mandante e creditori del mandatario senza rappresentanza limitatamente al mandato ad acquistare, prevedendo la prevalenza del mandante sui creditori del mandatario, rispetto agli acquisti di beni mobili o di crediti, a condizione che il mandato risulti da atto scritto avente data certa (art. 2704 c.c.) anteriore al pignoramento, e, riguardo ai beni immobili o ai beni mobili registrati, a condizione che il negozio di ritrasferimento ex art. 1706, II comma, c.c. o la domanda giudiziale diretta all'esecuzione forzata ai sensi dell'art. 2932 c.c. siano trascritti anteriormente al pignoramento.
L'art. 79 l.f. stabilisce inoltre che, nonostante il fallimento del mandatario, il mandante conserva integri i diritti e le azioni riconosciutigli dall'art. 1706 c.c.
Le norme in oggetto mostrano che la legge sottrae all'aggressione dei creditori del mandatario i beni ed i diritti destinati ad essere acquisiti dal mandante, ponendo, ovviamente, sia per evitare frodi o collusioni ai danni dei creditori sia per esigenze di certezza, talune speciali regole dirette a fissare le condizioni di carattere "formale" da soddisfare perché ai creditori sia opponibile la destinazione finale al mandante dei beni in questione.
I criteri previsti dalla legge per la soluzione del conflitto tra mandante e creditori del mandatario sono diversi, infatti dipendono dalla categoria dei diritti acquistati dal mandatario, inoltre il regime giuridico è diversamente articolato se il conflitto emerge nell'ambito di un processo esecutivo ordinario (in cui il mandatario sia il debitore esecutato) oppure in una procedura fallimentare (in seguito al fallimento del mandatario).
9.1) Esecuzione ordinaria
La prima situazione di conflitto si configura in ipotesi di esecuzione ordinaria intrapresa dai creditori del mandatario ed avente ad oggetto beni mobili non registrati o crediti acquistati dal mandatario medesimo nell'ambito del rapporto gestorio, in esecuzione di un mandato senza rappresentanza.
Tale conflitto si pone fino a quando i beni rimangono nella sfera patrimoniale del mandatario, non più quando il mandatario li abbia trasferiti al mandante, infatti: "Per vero, l'art. 1707 c.c., nel disciplinare i diritti dei creditori del mandatario rispetto ai beni mobili ed ai crediti non ha fatto riferimento (come per i beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri) all'esecuzione del mandato, al trasferimento cioè del bene acquistato per conto altrui, e per l'opponibilità del mandato ha richiesto soltanto l'esistenza di una scrittura privata avente data certa anteriore al pignoramento da cui risulti il mandato stesso. Ciò non toglie però che, indipendentemente da tale documentazione, cessi il diritto dei creditori del mandatario di perseguire i beni mobili e i crediti da quest'ultimo acquistati, se anteriormente al pignoramento sia intervenuta l'esecuzione del mandato col trasferimento del dominio, dopo il quale subentrano le limitazioni di ordine generale circa l'opponibilità di tale atto ai terzi creditori". (Cass. 15 aprile 1959, nr. 1107, GC, 1959, I, 1259).
Nell'ipotesi in cui il mandato senza rappresentanza abbia ad oggetto l'acquisto di beni immobili o di beni iscritti in pubblici registri, qualora i creditori del mandatario abbiano agito con una esecuzione ordinaria contro costui, il mandante può fare salvo l'acquisto di detti beni, effettuato per suo conto dal mandatario, se abbia data anteriore al pignoramento una delle seguenti trascrizioni: la trascrizione dell'atto di ritrasferimento dal mandatario al mandante, ovvero, in caso di inadempimento del mandatario, la trascrizione della domanda giudiziale diretta a conseguirlo e ciò in applicazione del disposto che discende dagli artt. 2932, 2643 nr. 1 e 2652 nr. 2 c.c.
9.2) Fallimento del mandatario
Come avviene per la gran parte dei contratti in corso di svolgimento al momento della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, anche per il mandato in nome proprio la legge risolve due distinti ordini di problemi: uno concerne l'opponibilità al fallimento di tutte o parte delle vicende effettuali scaturenti dal contratto considerato (art. 45 l.f.) l'altro attiene all'influenza del fallimento sulle vicende del
corrispondente rapporto negoziale in coso (art. 72 ss. l.f.). Lo stesso deve dirsi per il mandato, nel quale, per un verso si pone il problema di opponibilità alla massa del vincolo ex mandato di destinazione al mandante dei diritti reali o di credito trasferiti o costituiti mediante negozio gestorio, e per altro verso, una questione di sorte del rapporto di mandato ancora pendente nel fallimento del mandatario. Il profilo dell'opponibilità al fallimento del vincolo anzidetto derivante dal mandato è regolato, come sempre, dall'art. 45 l.f. e anche dall'art. 1707 c.c. cui il primo implicitamente rinvia, conseguentemente valgono le osservazioni svolte con riferimento all'applicazione dell'art. 1707 nell'esecuzione singolare, gli aspetti relativi alle vicende del rapporto di mandato in corso di svolgimento al momento della dichiarazione di fallimento del mandatario devono ritenersi invece disciplinati dagli artt. 78 e 79, ultimo comma, l.f. In base a queste due ultime norme, se è vero che il mandato senza rappresentanza si scioglie per il fallimento di una delle parti, è anche vero che qualora il mandatario abbia già concluso l'affare il fallimento è ininfluente (rispetto allo stesso) sul rapporto di mandato, nel senso che i risultati favorevoli e sfavorevoli derivanti dall'affare concluso dovranno comunque essere riversati al mandante. In tale ultima ipotesi pertanto, e sempreché il diritto all'acquisto (o l'avvenuto acquisto) spettante al mandante in base al mandato risulti opponibile (ex artt. 45 l.f, 1707 o 2914 c.c.) al fallimento del mandatario, il mandante potrà sostituirsi al mandatario nei crediti (ex art. 1705 c.c.) verso il terzo debitore, agire in rivendica mobiliare ai sensi del primo comma dell'art. 1706
c.c. o proseguire il giudizio promosso contro il mandatario ai sensi dell'art. 2932 c.c. e più in generale potrà far valere nei confronti del fallimento tutti gli ordinari diritti ed azioni fondati sul rapporto di mandato che, almeno rispetto all'affare concluso, proseguirà normalmente nei confronti dell'amministrazione fallimentare.
In caso di fallimento del mandatario, il mandante ha interesse a recuperare le cose che siano state acquistate dal mandatario in nome proprio in esecuzione del suo incarico e che siano rimaste in suo possesso. La situazione di conflitto, in questo caso, deve essere risolta in base alle norme sulle procedure concorsuali.
In riferimento al problema degli acquisti di beni mobili possiamo segnalare la seguente opinione: "Ora per quando concerne gli acquisti compiuti dal mandatario prima del fallimento, troverà applicazione la disciplina prevista dall'art. 1707 c.c., così per sottrarre i beni mobili di cui il mandante è già proprietario, sarà necessario e sufficiente che il mandante dia prova che il mandato è stato concluso per iscritto con atto avente data certa anteriore al pignoramento e per gli immobili che la trascrizione dell'atto di ritrasferimento è anteriore al pignoramento, oppure che la trascrizione della domanda giudiziale diretta al trasferimento della