Appalti e collegamento sostanziale tra concorrenti.
Appalti e collegamento sostanziale tra concorrenti.
La procedura di esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti sotto soglia, nonostante l’inutile antidoto del collegamento sostanziale, continua a costituire la coltura batterica migliore per il mantenimento in vita della turbativa d’asta.
XXXXXXX XXXXXXXX – Dottore Commercialista
1) Premesse
Il Legislatore, cercando di individuare una soluzione normativa che consentisse di limitare il potere discrezionale degli amministratori pubblici in fase di aggiudicazione degli appalti di lavori, pensò, nell’ormai lontano 1994, che la strada migliore fosse quella di far dipendere l’aggiudicazione stessa da un algoritmo matematico totalmente svincolato dal potere decisionale dei funzionari responsabili delle gare pubbliche.
Com’è noto, tale decisione fu presa nel pieno di una fase critica per la vita economica, politica, giudiziaria e sociale del nostro paese e, come tutti i provvedimenti normativi di emergenza, risentì (e continua a risentire) di quella forte spinta emotiva che spesso determina, ancorché involontariamente, uno spostamento dell’asse dell’equilibrio legislativo talmente drastico da raggiungere il punto opposto a quello di partenza. E, sicuramente, molti devono essersi convinti che la strategia più giusta dovesse essere quella di pervenire a delle conclusioni universali partendo dall’analisi di una somma finita di casi particolari. Ma questa, come ci ha insegnato il filosofo austriaco Xxxx X. Xxxxxx, è una pura illusione: in quanto “per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi (ndr procedure di gara “alterate”) che possiamo aver osservato, ciò non giustifica affatto la conclusione che tutti i cigni sono bianchi (ndr che tutte le gare sono espletate in materia scorretta)”.
A ben guardare, infatti, la volontà di delineare un sistema di affidamento dei lavori svincolato, il più possibile, dalle scelte soggettive degli amministratori pubblici ha fatto si che, dal punto di vista strettamente lessicale, la stessa parola “fiducia” scomparisse, quasi totalmente, dal vocabolario del Legislatore che, in più riprese, ha provveduto all’estensione, alla modifica ed all’integrazione della Legge quadro sui lavori pubblici.
La possibilità di ricorrere, legittimamente, a “soggetti di fiducia della stazioni appaltanti” è relegata a sole tre ipotesi, assolutamente residuali, del vasto panorama della Legge 109/1994:
o art.17, comma 12 - “Per l’affidamento di incarichi di progettazione ovvero della direzione dei lavori il cui importo stimato sia inferiore a 100.000 euro le stazioni appaltanti per il tramite del responsabile del procedimento possono procedere all’affidamento ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f) e g), di loro fiducia, previa verifica dell’esperienza e della capacità professionale degli stessi e con motivazione della scelta in relazione al progetto da affidare” (comma così sostituito dall'articolo 7, comma 1, lettera i), della legge n. 166 del 2002);
o art.24, comma 5-bis - “L’affidamento di appalti di cui al comma 1, lettera c), il cui importo stimato sia superiore a 40.000 euro, avviene mediante gara informale sulla base di quanto disposto dall’articolo 21, comma 8-bis, alla quale devono essere invitati almeno quindici concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati ai sensi della presente legge per i lavori oggetto dell’appalto. Per l’affidamento di appalti di cui al comma 1, lettera c), il cui importo stimato sia inferiore a 40.000 euro, le stazioni appaltanti possono procedere all’affidamento a soggetti, singoli o raggruppati, di propria fiducia. In questo caso comunque le stazioni appaltanti devono verificare la sussistenza, in capo agli affidatari, dei requisiti di cui alla presente legge e motivarne la scelta in relazione alle prestazioni da affidare”. (comma aggiunto dall'articolo 7, comma 1, lettera p), della legge n. 166 del 2002)
o art.30, comma 6-bis - “Sino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 6, la verifica può essere effettuata dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti o dagli organismi di controllo di cui alla lettera a) del medesimo comma. Gli incarichi di verifica di ammontare inferiore alla soglia comunitaria possono essere affidati
a soggetti di fiducia della stazione appaltante. (comma introdotto dall'articolo 7, comma 1, lettera t), della legge n. 166 del 2002)
2) Il sistema di esclusione automatica delle offerte anomale.
A prescindere da quale sia stata l’evoluzione storica della normativa in tema di esclusione delle offerte anomale negli appalti di lavori pubblici, sta di fatto che, con la legge 109/1994, il legislatore ha mostrato in maniera inequivoca di preferire - per gli appalti sotto soglia - il criterio di esclusione delle offerte anomale basato sull’automatismo.
Questo, considerato lo stridente contrasto con quanto previsto dalla normativa comunitaria e, quindi, con la disciplina di esclusione delle offerte anomale per gli appalti sopra soglia, ha posto (e continua a porre, nonostante la Sentenza n. 40/98 della Corte Costituzionale) dei problemi di compatibilità del vigente criterio di esclusione basato sull’automatismo sia con i principi costituzionali che con la normativa comunitaria.
Da più parti, infatti, sono state avanzate formule dubitative in merito alla conformità della disciplina in materia agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione.
Si è detto che la disciplina dell’esclusione automatica contrasterebbe:
❑ con l’art.97 in quanto contraria ai principi di ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, inibendo all’amministrazione la verifica in contraddittorio, le impedisce di trarre vantaggio da offerte che, pur apparendo anomale, potrebbero essere, in concreto, effettivamente vantaggiose,
❑ con l’art.41 perché lederebbe la libertà di concorrenza impedendo alle imprese realmente competitive di far valere tale competitività, ed infine,
❑ con l’art.3 sotto un duplice profilo: da un lato per la disparità di trattamento degli operatori economici negli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria rispetto agli appalti di importo pari o superiore, dall’altro per la irragionevolezza dell’esclusione automatica in luogo di quella previo contraddittorio, irragionevolezza che denoterebbe il vizio di eccesso di potere legislativo.
Ebbene, pur non volendo qui illustrare nel dettaglio la relativa disciplina, richiamiamo velocemente i tratti distintivi del meccanismo algebrico ideato per cercare di individuare in modo trasparente l’impresa aggiudicataria.
Per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, la procedura contenuta nella Legge Merloni (articolo 21, comma 1-bis) è, più o meno, questa:
1. si forma l’elenco delle offerte ammesse disponendole in ordine crescente dei ribassi;
1.2. si calcola il dieci per cento del numero delle offerte ammesse e lo si arrotonda all’unità superiore;
1.3. si escludono fittiziamente dall’elenco un numero di offerte di minor ribasso, pari al numero di cui al punto 1.2, nonché un numero di offerte di maggior ribasso, pari al numero di cui al punto 1.2 (cosiddetto taglio delle ali);
1.4. si calcola la media aritmetica dei ribassi delle offerte che restano dopo l’operazione di esclusione fittizia di cui al punto 1.3;
1.5. si calcola - sempre con riguardo alle offerte che restano dopo l’operazione di esclusione fittizia di cui al punto 1.3 - lo scarto dei ribassi superiori alla media di cui al punto 1.4 e, cioè, la differenza fra tali ribassi e la suddetta media;
1.6. si calcola la media aritmetica degli scarti e cioé la media delle differenze; qualora il numero dei ribassi superiori alla media di cui al punto 1.4 sia pari ad uno, la media degli scarti si ottiene dividendo l’unico scarto per il numero uno;
1.7. si somma la media di cui al punto 1.4 con la media di cui al punto 1.6; tale somma costituisce la soglia di anomalia.
2. lo stesso risultato può essere conseguito sostituendo alle operazioni di cui ai punti 1.5, 1.6 e 1.7 la seguente unica operazione: si calcola sempre con riguardo alle offerte che restano dopo
l’operazione di esclusione fittizia di cui al punto 1.3 la media aritmetica dei ribassi superiori alla media di cui al punto 1.4; tale media aritmetica costituisce direttamente la soglia di anomalia.
Giunti a questo punto, si procede, automaticamente, all’esclusione effettiva di tutte le offerte i cui ribassi siano pari o superiori alla soglia di anomalia di cui al punto 1.7 e, quindi, anche di quelle offerte, costituite da quel dieci per cento di cui al punto 1.3, che non hanno contribuito alla determinazione delle medie di cui ai punti 1.4 e 1.5.
Sarà, quindi, possibile aggiudicare l’appalto al concorrente la cui offerta di ribasso si avvicina di più alla soglia di anomalia e, in caso di parità, si procederà per sorteggio.
Alcuni ritengono (o, forse, vogliono ritenere) che l’obiettivo sia stato completamente centrato ovvero che l’ambiente circostante all’aggiudicazione sia stato reso totalmente asettico, privo di possibilità di infiltrazioni sia da parte delle imprese che da parte dei funzionari pubblici.
Nell’ambito di questo autoconvincimento (intriso di ottimismo e desiderio di dimenticare il passato), sembra, inoltre, che l’unico aspetto negativo sia costituito dal fatto che “l’assoluta casualità dell’aggiudicazione” abbia annullato qualsiasi analisi del progetto per la redazione dell’offerta economica. Nell’era del superenalotto e del bingo, si vorrebbe far credere, in definitiva, che risulta molto più vantaggioso affidarsi a numeri fortunati piuttosto che alle valutazioni ponderate dei prezzi posti in capitolato dalle stazioni appaltanti, ormai inutili ed irrilevanti; come dire, meglio i consigli onirici dei parenti defunti che le valutazioni costi-benefici dell’imprenditore.
Ritengo, invece, che la situazione determinatasi conduca verso altre e peggiori conclusioni e che, in realtà, la gran parte degli operatori del settore sappia bene che il sistema non funziona o che, peggio, abbia intrapreso una fase di irreversibile involuzione capace di allontanarlo, sempre più, dall’input normativo iniziale.
E la riprova che si stia tornando al punto di partenza (o che, forse, il viaggio intrapreso nel 1994 sia solo una realtà virtuale in cui molti hanno cercato di vivere) sta tutta nel fatto che, da tempo, i giudici amministrativi, l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, le varie stazioni appaltanti ed una buona parte della dottrina (forse consapevolmente spaventati dal timore di interrompere un piacevole sonno durato dieci anni) si affannano ad occuparsi del medesimo problema (turbativa d’asta) sia pur chiamandolo in un modo diverso: collegamento sostanziale.
3) Collegamento sostanziale e turbativa d’asta.
La questione discende dalla volontà di interpretare, in modo estensivo, il disposto dell'art. 10, comma 1 bis, della Legge 109/1994 (“Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile”) in modo tale da precludere la partecipazione alla gara a tutti quei concorrenti la cui offerta sia riconducibile ad un medesimo centro decisionale.
Come sempre accade, soprattutto in Italia, la spaccatura è stata netta ed immediata.
Da un lato, si è schierato chi - appellandosi al doveroso rispetto del principio di libertà economica oltre che di legalità dell'azione amministrativa – non ritiene enucleabili, a discrezione dell'amministrazione, fattispecie ulteriori a quelle previste dalla norma.
Dall'altro, c’è chi, invece, ritiene che la previsione all’interno del bando di ulteriori situazioni non contemplate dalla norma non vada, comunque, a violare i canoni generali di regolarità amministrativa in tale materia.
Mentre quest’ultimo orientamento è stato seguito, soprattutto, dalle stazioni appaltanti (nel vano tentativo di arginare la sempre più frequente costituzione di “cartelli di imprese”, più o meno, coagulate intorno ad un unico e malcelato nucleo comune), la prima posizione – fondata sull’attribuzione alla disposizione in parola di un carattere di norma imperativa - è stata sposata, ufficialmente, dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (Determinazione 27/2000) secondo cui “l'esclusione del collegamento societario, cui consegue il divieto di partecipazione alla gara, deve considerarsi frutto di una precisa scelta operata dal legislatore, specie in considerazione del fatto che, in altre disposizioni della legge, le fattispecie del controllo e collegamento sono entrambe richiamate”.
In pratica, secondo l’Autorità, a meno di voler violare l'art. 41 della Costituzione (libertà di iniziativa economica privata), non solo non è possibile interpretare estensivamente il contenuto dell’art.10, comma 1bis, ma, soprattutto, non è legittimo inserire, nel bando, una clausola del bando che contenga il
divieto di partecipazione delle imprese collegate, in quanto il collegamento (quale fenomeno di tipo organizzativo) non è, di per sé, astrattamente idoneo ad alterare gli equilibri della procedura.
Per quanto riguarda la giurisprudenza, invece, bisogna registrare il fatto che il suo altalenante orientamento ha consentito (e consente tuttora) alle due opposte posizioni sopra illustrate di vivere intensi e convulsi momenti di vigore o di inesorabile declino.
Se, infatti, in alcuni casi il giudice amministrativo è sembrato condividere, sia pur in modo parzialmente coincidente, il comportamento dell’amministrazione appaltante, ritenendo legittima l’esclusione dalla gara in presenza di tali ulteriori ipotesi di collegamento societario previste dalla lex specialis, in altri casi lo ha sanzionato, eccependo il fatto che l'art. 10, comma 1 bis, intende limitare il divieto di partecipazione alla stessa gara alle sole imprese tra loro controllate e non anche a quelle collegate ex art.2359 c.c.
Figuriamoci, poi, quelle collegate in modo “sostanziale”!
E così, se talora il controllo ed il collegamento societario non vengono ritenuti concetti sovrapponibili in ragione del fatto che soltanto al primo fa riferimento la norma, altre volte l'amministrazione è, addirittura, tenuta ad escludere dalla gara - anche in assenza di una norma di legge ad hoc o di una specifica previsione del bando (Consiglio di Stato, Sez. V, 5 marzo 2002, n. 1298) – tutte le imprese riconducibili ad un medesimo centro decisionale.
In altri casi ancora, infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto, sicuramente con maggiore equilibrio, che:
- “il divieto normativo contenuto nell'articolo 10, comma 1 bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 si basa su una presunzione. Non può escludersi che possano esistere altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare una gara d'appalto, il che rende legittimo che l'amministrazione appaltante possa introdurre clausole di esclusione dalla gara in presenza di tali ulteriori ipotesi, con il limite della loro ragionevolezza e logicità rispetto alla tutela che intende perseguire e cioè la corretta individuazione del giusto contraente” (Sez. VI, 27 dicembre 2001)
- “il legislatore con la previsione in commento non ha inteso sterilizzare il potere dell'amministrazione di governare effettivamente la serie procedimentale delle gare per l'appalto di lavori pubblici, inibendole nella lex specialis della gara l'introduzione di previsioni di fatti e situazioni che, pur non integrando gli estremi del controllo societario civilistico, od anche del collegamento, siano capaci ed idonei ad alterare la serietà, indipendenza, compiutezza e completezza delle offerte presentate da imprese diverse, oltre che la loro segretezza, e che ne determinino quindi l'esclusione dalla partecipazione alla gara” (Sez. IV, 15 febbraio 2002)
Ebbene, tornando alle metafore cui si accennava in precedenza, sembra che il problema, in fin dei conti, possa essere così esemplificato.
L’amministrazione dichiara pubblicamente (con il bando di gara) di voler giocare a tombola ed invita le imprese interessate a comprare le cartelle. Le imprese (in numero normalmente costante a seconda della categoria dei lavori appaltati e dell’ubicazione dei luoghi dove eseguirli), acquistando la propria cartella, assumono il diritto di partecipare al gioco inviando un’offerta economica in busta chiusa (per carità, debitamente ceralaccata su tutti i lembi di chiusura e corredata di un’innumerevole serie di dichiarazioni rese nella piena consapevolezza delle sanzioni penali previste per il caso di dichiarazioni mendaci……!). Giunge il giorno dell’estrazione (apertura delle offerte economiche) ed una commissione estrae dal bussolotto tanti numeri (i ribassi offerti dalle imprese), leggendole ad alta voce e, a volte, con la stessa enfasi che contraddistingue la mitica lotteria del 6 gennaio.
Dopo di che basta un click ed ecco che dall’immancabile computer, incaricato di svelare il risultato dell’arcano algoritmo matematico, spunta il numero fatidico (soglia di anomalia) che, inesorabilmente, individua l’impresa aggiudicataria, o meglio il possessore della cartella fortunata.
Questo, in definitiva, è il dogma in cui molti dicono di credere: gli imprenditori edili, da circa un decennio, si trovano in una situazione in cui la realizzabilità di lavori pubblici è assolutamente affidata al caso, alla fortuna, alla dea bendata.
Certo, molti sono stati coloro che, per lunghi periodi, non hanno acquisito nemmeno un lavoro da realizzare e che, conseguentemente, sono stati costretti, prima, a stipendiare e, poi, a licenziare i propri operai inutilizzati. Altrettanti saranno stati coloro che, incapaci di confrontarsi con un radicale mutamento della programmazione strategica della gestione aziendale, non hanno effettuato alcun tipo di investimento e, pian piano, sono inesorabilmente usciti dal mercato dei lavori pubblici.
Ma la maggioranza degli imprenditori del settore è rimasta lì, segno che, in definitiva, questo sistema tutto basato sulla fortuna non ha poi creato tanti problemi.
Certamente, esisteranno alcuni imprenditori che, per tutelarsi e partecipare a più tombole, hanno cercato di diversificare al massimo la propria attività dichiarandosi abili nel realizzare qualunque lavoro, dalla ricostruzione di un viadotto alla ristrutturazione della scuola materna di una paese in zona sismica, pur di poter partecipare ad un numero maggiore di appalti e avere più speranze di incorrere nel numero vincente.
Ma molti altri (e non spetta a chi scrive individuare le rispettive percentuali!), invece, si sono resi conto che una norma siffatta offriva una via molto più semplice: basta “comprare più cartelle presso la medesima tombola”. I concorrenti, cioè, possono accordarsi per predeterminare un ribasso pressoché identico, per cercare di influenzare la media e le evoluzioni aritmetiche effettuate dal computer dei funzionari pubblici e, così facendo, spingere l’offerta vincente verso il ribasso offerto dal proprio gruppo di imprese.
Raramente questo tipo di comportamento, grazie alle segnalazioni dell’amministrazione, ha poi determinato un’imputazione per il reato di turbativa d’asta ex art.353 del codice penale che dispone quanto segue “Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni. (…)”.
La turbativa d’asta è un reato volto a garantire il buon andamento e l’imparzialità delle aste pubbliche ed è, pertanto, rivolto a perseguire l’interesse dell’amministrazione e della collettività in ragione del conseguente danno cagionato che potrebbe essere arrecato, ad entrambe, dal comportamento illegale assunto da uno o più imprenditori.
Alcuni sofisti del diritto (o, meglio, coloro che hanno tutto l’interesse, nella loro veste di consulenti o lobbisti, a che i propri clienti, più o meno occulti, perseverino in tale comportamento illegale) si sono resi abili artefici di teorie amene e fuorvianti grazie all’oggettiva difficoltà di dimostrare – in assenza di flagranza di reato – l’effettività sia di tale condotte illecite sia del danno arrecato alla collettività ed all’amministrazione appaltante. E tali teorie hanno avuto come unico comune denominatore l’assunto che, pur in caso di palese collegamento sostanziale (rectius turbativa d’asta), quegli imprenditori edili che concordano tra loro un offerta economica non hanno, comunque, la certezza di aggiudicarsi l’appalto e tanto meno la certezza di pilotarlo verso questa o quell’altra impresa. In pratica l’ipocrisia di fondo della situazione oggi esistente, resa ancor più grave dalle sentenze legittimanti tale comportamento, si riduce in estrema sintesi in una visione buonista e un po’ guascona, del comportamento illegale e scientificamente adottato per turbare il libero svolgimento delle procedure di gara, basata tutta sulla fuorviante idea che l’identità di un numero offerte può certamente influenzare una media aritmetica, ma non determinarla del tutto in quanto è comunque possibile (e questa sì che sarebbe davvero fortuna) che un soggetto estraneo all’accordo offra un ribasso simile a quello predeterminato incuneandosi, senza saperlo, all’interno del sistema e rischiando di usufruire di una situazione incolpevolmente a lui favorevole.
Ma, a ben vedere, questa è solo una meschina finzione perché la turbativa d’asta, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione penale, si qualifica come reato di pericolo, in quanto la turbata libertà degli incanti sussiste quando viene alterato il regolare svolgimento della gara attraverso mezzi e strumenti espressamente individuati dalla norma penale prima indicata e si realizza nel momento stesso in cui si costituiscono i vari “cartelli” che si fronteggiano poi nello sterile e predeterminato svolgimento delle operazioni di gara, durante le quali, quasi sempre, non esistono mescolamenti di offerte libere ed offerte concordate ma quasi esclusivamente, purtroppo, “cartelli forti” e “cartelli deboli”.
In pratica, a meno di non voler parlare, anche nel campo delle gare d’appalto, di “doping amministrativo”, occorre evitare di mutare la realtà fattuale mediante l’uso di termini lessicali astrattamente idonei a depotenziare la carica di illegalità che connota tali comportamenti e cercare, invece, di sanzionare – con la massima severità – la gravità di tutte quelle condotte capaci di allontanare, anche un solo concorrente, da una gara falsata in partenza.
I vantaggi del sistema di esclusione automatica di tutte quelle offerte i cui ribassi risultino pari o superiori alla soglia di anomalia, consistenti essenzialmente nella maggior velocità delle operazioni di
gara ed in un restringimento dei tempi di aggiudicazione degli appalti, vengono, quindi, annullati dagli svantaggi derivanti dall’estrema matematicità dello stesso meccanismo previsto dal Legislatore.
L’algoritmo matematico, infatti, è ben noto alle stesse imprese concorrenti ed è quindi possibile, effettuando apposite simulazioni (anche tramite appositi software facilmente creabili o reperibili), predeterminare, ancorché non in modo certo, i diversi risultati raggiungibili a seconda delle condizioni che potrebbero verificarsi.
L’approssimazione di tali risultati, ovviamente, é inversamente proporzionale al numero dei concorrenti che partecipano alla gara e direttamente proporzionale al numero di quei concorrenti (o di quei gruppi di concorrenti) che, illecitamente, cercano di turbare il regolare svolgimento della gara concordando la misura dei ribassi da offrire in sede di presentazione delle domande.
In pratica, in presenza di un consolidamento del livello dei ribassi al disopra del 20-30%, un’impresa scollegata da qualsiasi infiltrazione malavitosa o non appartenente a nessun cartello di imprese, si troverà, sempre più frequentemente, nella difficoltà di preservare il proprio equilibrio economico- finanziario perché:
o la propria partecipazione alla gara sarà, comunque, penalizzata dagli effetti distorsivi del cartello di imprese che avranno pre-concordato le proprie offerte;
o in caso di aggiudicazione (qualora si sia allineata a questa sorta di “inflazione del tasso di ribasso”) si troverà costretta a rinunciare al proprio utile ed alla remunerazione dei propri fattori produttivi a causa dell’eccessivo ribasso offerto;
o in caso di mancata aggiudicazione (qualora non si sia allineata al livello medio dei ribassi o qualora la turbativa d’asta abbia sortito i propri effetti) sarà, parimenti, costretta – cercando di sopravvivere – ad avviarsi verso un’inesorabile declino aziendale, sottostando, in qualità di subappaltrice, alle condizioni delle imprese aggiudicatarie;
Ferma restando, infine, la necessità di considerare con particolare attenzione la posizione della medesima impresa “sana” che, risultata aggiudicataria della gara, si trovi poi nella paradossale situazione di veder persi i relativi benefici, per un comportamento a lei non imputabile ma riconducibile ad altri soggetti, a causa della successiva esclusione, stabilita dal Giudice Amministrativo, di tutte le imprese fra loro collegate. In pratica, al danno potrebbe aggiungersi la beffa degli “effetti di ritorno del collegamento sostanziale” (turbativa d’asta) che, non avendo garantito il raggiungimento del proprio scopo in fase di aggiudicazione, continuerebbe a devastare il libero svolgimento della gara conducendo a un diverso esito della procedura concorsuale, essendo notoriamente rigido ed automatico il criterio di aggiudicazione fondato sul taglio delle ali e sulle medie.
4) Conclusioni
La realtà della situazione oggi esistente, così come sopra illustrata, apparirà ancor più triste e preoccupante tenendo conto di ulteriori circostanze aggravanti.
La sterile utilità del Casellario informatico (istituito ai sensi dell’art.27 del Dpr34/2000), all’interno del quale le inermi commissioni di gara puntualmente si avventurano, appare sempre più caratterizzato da una serie disarmante di dati incompleti e non aggiornati, inspiegabilmente mescolati a brevi informazioni concernenti la reale incapacità delle singole imprese di partecipare alle gare d’appalto. La pilatesca volontà di attribuire al medesimo Casellario informatico una sorta di punto di partenza per una vera e propria attività investigativa della commissione di gara rappresenta la prova regina di un sistema profondamente malato o, addirittura, morto all’interno del quale (alla stregua di un romanzo poliziesco) l’Amministrazione dovrebbe indagare ed interrogarsi (non si sa bene con quali strumenti e poteri) per scoprire il colpevole di turno, colui che non merita di partecipare a quella specifica gara, fingendo (più o meno inconsapevolmente) di non sapere che la stessa “scena del delitto” è spesso il frutto di un accordo di ben più ampia portata.
Ed ancora. Perché mai creare tutta questa inutile sovrastruttura per gli appalti indetti dalle “normali stazioni appaltanti” quando invece, nel modo delle concessioni, il concessionario è libero (attenzione, per espressa previsione normativa) di affidare direttamente a società, dallo stesso, controllate o collegate la stragrande maggioranza dei lavori da realizzare? Quali sono i controlli e quali le conseguenze di un
sistema, ormai entrato in cortocircuito, che consente spesso una palese aggiramento dei principi di concorrenza e trasparenza mediante l’uso dello scenografico e pirotecnico inglesismo degli “appalti in- house”? Quale potrà mai essere l’arcana ratio della disposizione contenuta nell’art10, comma 1-bis della Merloni (Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile.) e dell’interpretazione estensiva che se ne vorrebbe fare (collegamento sostanziale), considerato che, con un’incoerenza davvero irragionevole, viene consentita la legittima partecipazione di un concorrente controllato dallo stesso committente ma non di due altre imprese che hanno avuto la malsana idea di spedire la propria offerta dal medesimo ufficio postale?
A tutte queste domande ed altri quesiti che potrebbero ulteriormente essere qui riportati, non sembrano esservi risposte esaustive o convincenti se non quella che il quadro normativo necessita, veramente, di alcune profonde e sostanziali revisioni correttive.
Sicuramente, non sarà questo breve articolo a costituire la soluzione dei problemi sopra illustrati ma, volendo comunque ipotizzare alcune primordiali contromisure, vediamo cosa si potrebbe fare per porre freno e/o prevenire comportamenti devianti, responsabilizzare i partecipanti alle gare di appalto sulle conseguenze interdittive di comportamenti illeciti e ridurre la probabilità che si producano effetti distorsivi sulla regolarità della procedura di affidamento alterandone la competizione.
Abolizione del sistema di esclusione automatica delle offerte anomale. La prima misura da adottare, ovviamente, dovrebbe consistere nel ricondurre ad uniformità il sistema di esclusione delle cd. offerte anomale. Considerate, infatti, la quantità e la gravità dei difetti che conseguono alla previsione, tutta italiana, di escludere automaticamente (rectius senza alcuna motivazione) le offerte “matematicamente anomale”, appaiono del tutto irrilevanti gli inconvenienti consistenti nell’appesantimento della procedura che si avrebbe se si sottoponessero a verifica le offerte sospette e nel potenziale aumento del contenzioso che ne potrebbe derivare.
Divieto di subappalto in favore di altri concorrenti alla medesima gara. Come affermato dall’Autorità di vigilanza sui LLPP, nella propria determinazione n°14/2003 del 15 ottobre 2003, le stazioni appaltanti potrebbero “inserire nei bandi gara, anche sulla base delle singole situazioni ambientali che abbiano già condotto all’adozione di formali iniziative con gli organismi istituzionalmente preposti, la clausola di gradimento sul divieto di affidare il subappalto ad imprese che hanno presentato autonoma offerta alla medesima gara, clausola che estrinseca una più puntuale definizione del principio della segretezza delle offerte, nel rispetto dell’articolo 1, comma 1, della legge 109/1994 e s.m.”
Maggior ricorso al sistema di valutazione delle offerte con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa ed ampliamento delle ipotesi della trattativa privata. Tale ipotesi, per quanto impronunciabile possa sembrare (in ragione della summenzionata demonizzazione delle procedure di affidamento cd. ristrette), potrebbe, in realtà, costituire lo strumento per valutare più approfonditamente l’offerta presentata dai singoli concorrenti e, soprattutto, per agevolare il controllo della “regolarità” delle operazioni. Appare, infatti, difficilmente confutabile il fatto che è, senz’altro, più agevole controllare la fedeltà, la correttezza e la legalità del comportamento di colui che ha il potere di individuare l’aggiudicatario dei lavori piuttosto che illudersi di ricostruire, peraltro a posteriori, i numerosi, mutevoli ed indecifrabili “collegamenti sostanziali” fra le imprese o i vari cartelli di imprese. Potenziamento del Casellario Informatico. Il Casellario Informatico, fermi restanti gli sforzi sin qui effettuati, dovrebbe diventare, effettivamente, il primo strumento messo a disposizione delle varie stazioni appaltanti e, in particolare, delle commissioni giudicatrici dimostrando di possedere tutti i dati possibili ed immaginabili per la verifica delle condizioni di esclusione previste dall’art.75 del Dpr 554/1999.
Lavori appaltati dai concessionari. La necessità di un’ulteriore modifica normativa deriva dall’interpretazione letterale della disposizione prevista dall’art.10, comma 1bis, della Legge 109/1994, limitando il divieto di partecipazione alle sole imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile, consente nella pratica che vengano ammesse alla gara anche imprese socie del concessionario (e quindi della stessa stazione appaltante!) senza che ciò faccia sorgere alcun problema circa la concreta possibilità (per carità a livello puramente teorico) che tale impresa, in virtù dell’influenza più o meno determinante di cui gode, possa “influire” sui dipendenti, membri della commissione di gara, della società partecipata (vedi figura).
Previsione normativa di sorteggio per le offerte sostanzialmente identiche. Il metodo di aggiudicazione previsto dall’art.21, comma 1bis, della Legge 109/94 non consente l’adozione della soluzione prevista dall’art.77 del Regolamento di contabilità di Stato n°827/24(licitazione tra i concorrenti che abbiano presentato la stessa offerta, quando sono presenti nella seduta di gara), tranne l’effettuazione del sorteggio qualora l’offerta più vicina per difetto alla soglia di anomalia sia identica ad altra ovvero a più offerte con ribassi pari.
La giurisprudenza è intervenuta in occasione di gare nelle quali più concorrenti avevano presentato offerte con la medesima percentuale di ribasso, ma solo in relazione al caso in cui le stesse offerte si sono collocate a cavallo della prima soglia di esclusione meglio conosciuta come “taglio delle ali” e prevista dal citato art. 21.
Il Consiglio di Stato con le sentenze n.3216 del 18.6.2001 e n.3068 del 3.6.2002, entrambe della V sezione, ha stabilito, con riferimento al c.d. xxxxxx delle ali, che nel caso in cui vi siano due o più offerte pari e l’ampiezza dell’ala (10%) non consente di escluderle tutte, prevale la ratio legis insita nel taglio delle ali rispetto alla lettera del dieci per cento e al suo mero valore numerico, con la conseguenza che tutte le offerte pari vanno escluse in quanto espressione di un valore unico.
In base allo stesso principio, sarebbe quindi possibile prevedere l’applicabilità della medesima soluzione, indicata dal Consiglio di Stato, anche per tutte quelle offerte uguali (o comunque tra loro differenti per un x per cento irrilevante, ad esempio 0,005%) che concorrono a determinare la media, dopo il taglio delle ali, considerandole come un’unica entità; in questo modo, fra l’altro, si neutralizzerebbero, sia pur in parte, gli “accordi” che presumibilmente sono stati raggiunti tra gli offerenti.