BRUNO MAURIZIO ACCARDO DANIELA BRAGOLI
UN’ANALISI DEL LAVORO ATIPICO NELLA PROVINCIA DI CREMONA
XXXXX XXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX
XXXXX XXXXXX XXXXXXX XXXXXXXX XXXXXX XXXXXXX
XXXXXX XXXXXXX XXXXXX
Indice
PARTE PRIMA: La disciplina del lavoro non standard 4
1. Flessibilità e politiche attive del lavoro 4
2. Le forme di lavoro flessibile 7
2.1 Il contratto di lavoro a tempo determinato (o “a termine”) 7
2.2 Il contratto di somministrazione di lavoro 12
2.3 Il lavoro a tempo parziale 16
2.4 Il contratto di lavoro intermittente (lavoro a chiamata o job on call) 20
2.5 Il contratto di lavoro ripartito (o a coppia o job sharing) 23
2.7 Il contratto di inserimento 29
2.8 Contratto di formazione e lavoro 32
3. Quali politiche locali del lavoro in un mercato del lavoro “flessibile”? 42
PARTE SECONDA: Un’analisi sulla base dell’Indagine sulle Forze di lavoro e i dati INPS 47
4. La flessibilità del lavoro: alcune riflessioni 47
5. Il lavoro parasubordinato 50
6. L’occupazione a tempo parziale 60
6.1 I motivi dell’occupazione a tempo parziale 67
7. L’occupazione a tempo determinato 69
7.1 I motivi e la durata dell’occupazione a tempo determinato 77
7.2 Non occupati e occupazione a tempo determinato 80
8. La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato 82
9. Contratti flessibili e ricerca del posto di lavoro 86
PARTE TERZA: La rilevazione diretta ad imprese , Enti Pubblici ed Aziende Speciali in provincia di Cremona. 92
10. Il campione delle società 92
11. Il settore pubblico allargato 98
12. I questionari 99
13. Le caratteristiche delle imprese del campione: l’analisi sul numero dei dipendenti per qualifica professionale, area funzionale e turni di lavoro. I soci d’impresa nel settore metalmeccanico 101
13.1 I dipendenti per qualifica professionale 101
13.2 I dipendenti per area funzionale 103
13.3 I dipendenti per turni di lavoro. Un accenno ai soci d’impresa del settore metalmeccanico 106
14. La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del campione. Le principali caratteristiche dei lavoratori atipici. 109
15. La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del campione. Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratto di lavoro e predisposizione al loro impiego in futuro 113
16. L’importanza dei lavoratori atipici nell’organico degli Enti Pubblici e delle Aziende Speciali. Le caratteristiche degli atipici e le considerazioni degli Enti 118
16.1 I lavoratori atipici 118
16.2 Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratti di lavoro ed eventualità che anche in futuro gli Enti si avvalgano di lavoratori atipici 121
17. Conclusioni 124
Bibliografia 130
APPENDICE A 131
APPENDICE B 146
PARTE PRIMA: La disciplina del lavoro non standard
1.1 Flessibilità e politiche attive del lavoro
Lo sviluppo del diritto italiano del lavoro degli ultimi decenni è stato segnato dall’introduzione di nuove forme di lavoro che, affiancandosi al tradizionale rapporto di lavoro subordinato (quello a tempo pieno, a tempo indeterminato ed in cui il datore di lavoro è anche l’utilizzatore della prestazione), tendono a raggiungere due obiettivi principali:
- consentire alle imprese di godere, nell’utilizzo della forza-lavoro, della flessibilità necessaria ad assicurare adeguati livelli di competitività sui mercati europei e mondiali;
- favorire l’avvicinamento all’occupazione di lavoratori e lavoratrici che necessitano di forme di lavoro compatibili con altri impegni (di studio, di cura, di assistenza) e che non si presentano sul mercato del lavoro (oppure si presentano solo sul mercato del lavoro irregolare) in mancanza di contratti di lavoro flessibili in grado di assicurare la conciliazione tra le diverse attività.
Dal 1983 (data del primo intervento legislativo di riforma) ad oggi la gamma dei contratti di lavoro si è notevolmente ampliata.
L’area del lavoro subordinato è ormai densa di contratti che si distinguono dal rapporto di lavoro tipico:
- per la durata prefissata nel tempo (v. lavoro a termine);
- oppure per la durata dell’orario di lavoro inferiore al tempo pieno, con collocazione flessibile della prestazione e con possibilità di variazione sia in aumento che in diminuzione (v. part-time, lavoro intermittente, lavoro ripartito);
- per le finalità perseguite, più ampie rispetto al normale rapporto di lavoro subordinato (v. in particolare i contratti di lavoro con finalità formative ed in primo luogo l’apprendistato);
- per la separazione della figura del datore di lavoro da quella dell’utilizzatore della prestazione (v. lavoro interinale, ora denominato in Italia “somministrazione di lavoro”).
A partire dal 1995 ha assunto maggiore rilievo anche l’area del lavoro parasubordinato, principalmente a seguito dello sviluppo delle collaborazioni coordinate e continuative. L’avvertita necessità di disciplinare più puntualmente questa forma di lavoro ha indotto il legislatore ad introdurre modifiche che, secondo l’interpretazione del Ministero del lavoro, dovrebbero consentire di identificare, oltre alle collaborazioni coordinate e continuative prive di un termine, le collaborazioni riconducibili ad un progetto o ad un programma, per le quali si delinea una specifica normativa.
Onde evitare abbagli, va comunque tenuto in considerazione che la maggior parte dei lavoratori italiani presta tuttora la propria attività con rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed a tempo indeterminato (secondo i dati ISTAT circa il novanta per cento del totale dei lavoratori subordinati) e che complessivamente la quota di lavoro autonomo e parasubordinato non è andata crescendo significativamente nell’ultimo decennio.
Se ne può dedurre che il ricorso alle nuove forme di lavoro è stato essenzialmente un fenomeno connesso alla fase di ingresso nel mercato del lavoro, tendente poi a trasformarsi gradualmente in contratti di lavoro subordinato a tempo pieno ed a tempo indeterminato oppure, per l’area della parasubordinazione, anche in stabili attività di lavoro autonomo.
Il dato, in sé confortante, pone però in evidenza un punto critico nel funzionamento del mercato del lavoro, punto su cui può concentrarsi l’azione di politica attiva del lavoro, anche locale: va segnalata infatti l’esistenza di un’area di lavoro debole, composta da quei soggetti che, entrati nel mercato del lavoro mediante forme caratterizzate da precarietà e dequalificazione, vi rimangono prigionieri (spesso a livello europeo quest’area è descritta come una “trappola” di cui i lavoratori segnalati rimangono prigionieri).
Prima di procedere alla descrizione delle forme di lavoro subordinato e parasubordinato attualmente previste dalla nostra legislazione ed alla valutazione dei possibili interventi di politica attiva del lavoro programmabili in sede locale, appare però necessaria una pur sintetica riflessione sul rapporto tra politiche attive del lavoro e regolazione (rigida o flessibile) dei rapporti di lavoro.
In generale possiamo dire che il tema è quello del rapporto tra tutela nel rapporto di lavoro e tutela nel mercato; detto in altri termini in che modo assicurare un intervento pronto, efficace, ed efficiente delle amministrazioni locali quando i giovani lavoratori devono inserirsi nel mondo del
lavoro o i lavoratori adulti sono in difficoltà occupazionale o sono ormai disoccupati in cerca di un nuovo lavoro a fronte di una legislazione del lavoro che ammette, come abbiamo visto, molte forme di lavoro caratterizzate da precarietà.
In proposto possiamo aggiungere che costruire un buon sistema locale di politiche attive del lavoro, di formazione professionale e di servizi per l’impiego è compito fondamentale per la tutela dei lavoratori: infatti quanto più si va allentando la tutela nel rapporto di lavoro (mediante le più svariate forme di flessibilità), tanto più assume rilievo la tutela nel mercato del lavoro.
E’ possibile svolgere anche una riflessione più “raffinata”: tutela nel mercato e tutela nel rapporto non solo non devono essere concepite come separate (o, peggio, in contrapposizione), ma va messo in luce che esiste un legame stretto tra i due tipi di tutela. Si pensi ad esempio ai lavori a termine o comunque caratterizzati da instabilità: in un mercato con quote ridotte di lavoro a termine ed in grado di assicurare una rapida e qualificata ricollocazione potrebbe, in astratto, essere pressoché indifferente la stabilità o meno del rapporto di lavoro; al contrario in un mercato con alte quote di lavoro precario ed in cui non si attuano politiche idonee alla rapida e qualificata ricollocazione di tali lavoratori, vi sarà una naturale tendenza dei lavoratori e del sindacato a favorire la stabilizzazione presso lo stesso datore di lavoro.
In sintesi la protezione nel mercato e la flessibilità/rigidità dei rapporti di lavoro in quel mercato sono in parte collegate tra loro; costruire il buon sistema di politiche attive del lavoro di cui si è detto, non è dunque fare “altro” rispetto alla regolazione dei rapporti di lavoro, ma è creare le condizioni per una diversa regolazione dei rapporti di lavoro.
Quindi l’istituzione pubblica che si preoccupa di assicurare buone tutele sul mercato, incide, indirettamente, anche sui livelli e sulla modalità di protezione nel rapporto. Come si può notare, la responsabilità della pubblica amministrazione, anche di quella locale, appare sempre più ampia.
1.2 Le forme di lavoro flessibile
L’inquadramento giuridico del problema del lavoro flessibile e delle conseguenti politiche del lavoro dirette ad assicurare, a fronte di una riduzione della tutela nel rapporto di lavoro (con le più svariate forme di flessibilità), una tutela nel mercato del lavoro dei lavoratori, mediante la costruzione di un buon sistema locale di politiche attive del lavoro, di formazione professionale e di servizi per l’impiego, impone innanzitutto un’analisi dettagliata delle singole tipologie contrattuali flessibili.
1.2.1 Il contratto di lavoro a tempo determinato (o “a termine”)
Definizione e finalità generale
Le crescenti istanze di flessibilità e di nuova occupazione hanno condotto ad una progressiva attenuazione dell’originario rigore in materia (v. legge n.230/1962) fino all’emanazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n.368, in attuazione della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giungo 1999.
Il D.Lgs. n.368/2001 ha profondamente modificato la disciplina del lavoro a tempo determinato (o a termine), abrogando le precedenti norme di riferimento (legge 18 aprile 1962, n.230, art.8bis della legge 25 marzo 1983, n.79, l’art.23 della legge 28 febbraio 1987, n.56) e tutte le disposizioni di legge comunque incompatibili con la nuova normativa (art.11, comma 1°).
La disciplina dei contratti a termine trova applicazione anche nel settore pubblico; in quest’ultimo settore resta però inapplicabile il meccanismo della conversione del rapporto a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Regole principali
Quando è ammesso
L’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (art.1, comma 1, D.Lgs. n.368/2001). Questa disposizione introduce nel nostro ordinamento una clausola generale ed aperta, al posto delle precedenti ipotesi tassative individuate dalla legge e dai contratti collettivi, la cui funzione è quella di consentire l’utilizzo flessibile dell’istituto in raccordo con le specifiche e variabili esigenze concrete di ciascun datore di lavoro.
Le ragioni giustificatrici devono essere specificate in via preventiva nel contratto di lavoro e devono essere oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive dell’intento del legislatore “volto ad evitare qualsiasi volontà discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro”.
Forma
Nell’intento di offrire elementi di certezza alle parti in merito alla natura del contratto di lavoro stipulato, il D.Lgs. n.368 del 2001, richiede che la clausola relativa al termine risulti, direttamente o indirettamente, da atto scritto, in cui devono essere specificate le ragioni giustificatrici (art.1, comma 2°); in mancanza dell’atto scritto il rapporto di lavoro si intende a tempo indeterminato (la scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a 12 giorni).
Per giurisprudenza consolidata, l’apposizione del termine in forma scritta deve avvenire in un momento anteriore o, al limite, contestuale al concreto inizio della prestazione lavorativa.
Limiti quantitativi
Il legislatore affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi l’individuazione, anche in maniera non uniforme (ossia differenziata per categoria, area geografica, …), di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato (cd. clausole di contingentamento, generalmente in percentuale rispetto agli occupati), con una serie di rilevanti eccezioni (vedi art.10, comma 7, del D.Lgs. n.368/2001).
Divieti
Il legislatore ha previsto un’analitica disciplina riguardante il divieto di apposizione del termine al contratto di lavoro per: sostituzione di lavoratori in sciopero; assunzione presso unità produttive nelle quali si sia proceduto nei sei mesi precedenti a licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni, salvo diversa disposizione degli accordi sindacali, ed in ogni caso sono
fatti salvi i contratti conclusi per ragioni sostitutive, per quelli conclusi con un lavoratore in mobilità, ovvero quelli di durata iniziale non superiore a tre mesi; assunzione presso unità produttive nelle quali sia in atto l’intervento di Xxxxx integrazione guadagni per lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
La parità di trattamento
Elemento centrale della disciplina del lavoro a termine è la parificazione del lavoratore assunto a termine con i lavoratori assunti a tempo indeterminato (il lavoratore assunto a tempo determinato ha diritto alle ferie, alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto e ad ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori a tempo indeterminato in proporzione al servizio prestato), ad eccezione di poche regole speciali (ad es., le prestazioni economiche in caso di malattia che sono dovute per un periodo non superiore a quello di attività lavorativa svolta nei dodici mesi immediatamente precedenti l’evento morboso).
Il recesso anticipato
L’art.2119 cod. civ. stabilisce che il datore di lavoro può legittimamente recedere dal contratto a tempo determinato prima della scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa, cioè di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.
Proroga
Il termine del contratto può essere prorogato una sola volta, con il consenso del lavoratore per la stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, purché sussistano ragioni oggettive, anche se diverse da quelle originarie, e la durata complessiva del rapporto a termine (durata iniziale + proroga) non sia superiore a tre anni.
Il rapporto può proseguire oltre la scadenza, per un lasso di tempo, senza incorrere nella trasformazione a tempo indeterminato; tale margine di tolleranza è di 20 o 30 giorni (a seconda che il contratto a termine sia stato stipulato (o prorogato) per un periodo inferiore o superiore a 6 mesi); per tutto il periodo di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine prestabilito, al lavoratore spetta un incremento della retribuzione.
Riassunzione
Inoltre, se il lavoratore viene riassunto con contratto a termine entro 10 o 20 giorni dalla scadenza di un precedente contratto, sempre a tempo determinato, di durata rispettivamente inferiore o superiore ai 6 mesi, il secondo contratto deve considerarsi a tempo indeterminato.
Nel caso in cui ci siano due assunzioni successive a termine senza soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si converte in rapporto a tempo indeterminato fin dalla data di conclusione del primo contratto.
Esclusioni e discipline speciali
Sono escluse dal campo di applicazione del D.Lgs. n.368/2001 diverse fattispecie di rapporti di lavoro o di formazione, in quanto già disciplinati da una normativa specifica (apprendistato; tirocini o stages; rapporti di lavoro tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato; rapporti a termine per l’esecuzione di “speciali servizi” di durata non superiore a 3 giorni nei settori del turismo e dei pubblici esercizi; rapporti instaurati con le aziende che esercitano il commercio di esportazione, importazione ed all’ingrosso di prodotti ortifrutticoli).
Tra le discipline speciali, si segnala la perdurante vigenza delle precedenti normative sull’impiego a termine dei lavoratori anziani (1), nonché dei prestatori di lavoro destinati a sostituire personale in
1
L’art.75, l.n. 388/2000, prevede che i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano maturato i requisiti minimi per l’accesso al pensionamento di anzianità possano rinunciare all’accredito contributivo relativo all’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti ed in conseguenza di ciò venga meno l’obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative, a condizione che il lavoratore posticipi l’accesso al pensionamento per un periodo di almeno due anni e stipuli un contratto di lavoro a tempo determinato di pari durata con il datore di lavoro.
congedo parentale, con anticipo fino ad un mese della loro assunzione, e dei lavoratori in mobilità (art.8, comma 2, legge 23 luglio 1991, n. 223).
Nei confronti di questi soggetti il legislatore ha svolto considerazioni di ordine sociale attribuendo al contratto a termine una specifica funzione di promozione dell’occupazione nei confronti di fasce sociali collocate in una posizione critica.
I dirigenti sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina in esame (salvi gli artt.6 e 8 sul principio di non discriminazione ed i criteri di computo); essi possono essere assunti con contratti di lavoro di durata non superiore a cinque anni.
Contratto a tempo determinato nel Pubblico impiego
Nessuna esclusione o disciplina speciale è prevista per il settore pubblico dall’art.36, 1° comma, del D.Lgs. n. 165/2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, in base a cui “le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa” demandando ai contratti collettivi nazionali la disciplina dei contratti a tempo determinato. Resta però inapplicabile il meccanismo della conversione, in quanto “in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni” (art.36, 2° comma).
In particolare, l’art.92, del D.Lgs. n.267/2000 “Testo Unico degli Enti Locali”, stabilisce che gli Enti locali possano costituire rapporti di lavoro a tempo determinato nel rispetto della disciplina vigente in materia.
1.2.2 Il contratto di somministrazione di lavoro
La somministrazione di lavoro, prevista dagli artt.20 e ss. del D.Lgs. n.276/2003, non è altro che il lavoro interinale già disciplinato, nel nostro Paese, dalla legge 24 giugno 1997, n.196 (artt.1-11).
Definizione e finalità generale
Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, denominato utilizzatore, che si rivolge ad altro soggetto, denominato somministratore, a ciò autorizzato, ossia un’agenzia di lavoro abilitata a svolgere l’attività di somministrazione (art.20, D.Lgs. n. 276/2003). Il rapporto di somministrazione si qualifica come un rapporto giuridico che coinvolge tre soggetti distinti: il somministratore, l’utilizzatore ed il lavoratore e due contratti distinti:
- il contratto di somministrazione di lavoro fra utilizzatore e somministratore;
- il contratto di lavoro subordinato tra il somministratore ed il lavoratore; per tutta la durata della somministrazione il lavoratore, dipendente del somministratore, svolge la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.
Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso ora in 2 forme distinte:
1) a termine, possiamo chiamarlo il “nuovo” lavoro interinale (le disposizioni di cui agli artt.1-11 della legge 24 giugno 1997, n.196 sono state abrogate), in cui i lavoratori sono assegnati all’utilizzatore per un tempo predeterminato e definito nel contratto;
2) a tempo indeterminato (cd. staff leasing): esso costituisce una delle principali novità introdotte e che si caratterizza per il fatto che la durata del contratto non ha limiti temporali predefiniti.
Somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing)
La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa solo in una serie ben individuata di attività e di servizi (tra cui rientrano, tra gli altri: servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico; servizi di pulizia, custodia e portineria; attività di gestione di biblioteche, parchi, archivi, magazzini, nonché servizi di economato; attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale; attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale; gestione di call center).
La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa inoltre “in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative” (cd. staff leasing puro).
L’art.86, comma 9°, del D.Lgs. n.276/2003, dispone che la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore nel caso in cui la somministrazione avvenga fuori dai limiti e dalle condizioni di cui agli artt.20 e 21 comma 1, lett.a)-e) non si applica alla pubblica amministrazione.
Somministrazione a tempo determinato
La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore.
Soggetti coinvolti
Le 3 posizioni giuridiche soggettive coinvolte sono quelle di:
utilizzatore: il soggetto che si avvale dell’attività del lavoratore assunto dal somministratore (non si parla di imprenditore, ma di utilizzatore ciò significa che il contratto di somministrazione potrà essere stipulato anche dai piccoli imprenditori, dai coltivatori diretti, dagli artigiani, dai piccoli commercianti e da tutti coloro che svolgono un’attività professionale o lavorativa). La piena estensione all’agricoltura e all’edilizia, fa venir meno, rispetto alla sfera di operatività della legge n.196/1997, qualsiasi limitazione di tipo settoriale;
somministratore: l’agenzia autorizzata a svolgere attività di somministrazione di lavoro, ossia la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine. L’attività di somministrazione può essere svolta solo da società (di capitali o cooperative) autorizzate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica di determinati requisiti giuridici e finanziari, volti a garantire la stabilità economica e finanziaria dell’agenzia di somministrazione nonché la sua affidabilità sul piano professionale, organizzativo e sociale. Le agenzie che svolgono attività di somministrazione di lavoro non possono pretendere alcuna somma di denaro dal lavoratore in ragione della propria attività;
prestatore di lavoro: il lavoratore assunto dall’agenzia di somministrazione (datore di lavoro) che svolge le proprie prestazioni lavorative a favore di uno o più utilizzatori.
Regole principali
Forma e contenuti del contratto di somministrazione
Il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di elementi: a) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il numero dei lavoratori da somministrare; c) le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo per quanto concerne la somministrazione a tempo determinato, i casi in cui è ammessa la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato; d) l’indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; e) la data di inizio del contratto di somministrazione e la durata prevista dello stesso, in caso di somministrazione a tempo determinato.
In mancanza di forma scritta con l’indicazione di questi elementi il contratto di somministrazione è nullo ed i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
Il contratto di somministrazione deve inoltre indicare altri elementi richiesti dalla natura commerciale del contratto.
Divieti
E’ vietato il ricorso al contratto di somministrazione di lavoro: per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, oppure nelle quali sia in atto l’intervento della Cassa integrazione guadagni per lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Disciplina dei rapporti di lavoro
In caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile ed alle leggi speciali.
Il lavoratore può essere assunto dal somministratore con contratto a tempo determinato ed in questo caso la disciplina applicabile è quella del lavoro a termine per quanto compatibile (non opera però l’intervallo temporale per la riassunzione a termine ed il termine inizialmente posto al contratto può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore).
Nell’ipotesi in cui il lavoratore sia assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato, egli rimane a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolge la prestazione lavorativa presso un utilizzatore e percepisce un’indennità di disponibilità, salvo che sussista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.
Rimangono sostanzialmente confermati ed estesi alla somministrazione a tempo indeterminato gli aspetti caratterizzanti della ripartizione di obblighi e responsabilità tra utilizzatore e somministratore che caratterizzavano la precedente disciplina (artt. 1-11, l. n.196/1997).
Il lavoratore dipendente dal somministratore ha diritto ad un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte.
Formazione dei lavoratori
Inoltre, rispetto alle tutele del lavoratore sul mercato, viene confermato il fondo per la formazione (i soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare ad un apposito fondo bilaterale un contributo pari al 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti sia con contratto a tempo determinato che con contratto a tempo indeterminato per l’esercizio di attività di somministrazione).
1.2.3 Il lavoro a tempo parziale
Il lavoro a tempo parziale (o part - time) rappresenta una delle manifestazioni più significative della tendenza di diversificazione e flessibilizzazione del rapporto di lavoro subordinato rispetto al modello tradizionale.
La disciplina del lavoro a tempo parziale è contenuta nel d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, integrato e corretto dal successivo d.lgs 26 febbraio 2001, n. 100, che ha provveduto a recepire la direttiva 97/81/CE e ad abrogare l’art.5 della legge n. 863 del 1984 (prima disciplina organica del lavoro a tempo parziale). Il D.Lgs. n.61/2000 ha introdotto una normativa organica del part-time volta ad attenuare le incertezze e le lacune del passato e ad aumentarne la regolazione flessibile.
La recente riforma del mercato del lavoro e dei rapporti di lavoro, partendo dalla considerazione che il lavoro a tempo parziale viene ancora utilizzato in Italia in misura ridotta rispetto agli altri Paesi Europei (in Europa usano il part-time meno di noi solo Spagna e Grecia), ha inteso incentivare il ricorso a questa tipologia contrattuale prevedendo delle modifiche alla disciplina del part-time.
Definizione
Si considerano a tempo parziale i rapporti di lavoro in cui l’orario di lavoro fissato dal contratto individuale risulta comunque inferiore al tempo pieno, ossia all’orario normale di lavoro fissato dalla legge (cioè 40 ore settimanali) o dal contratto collettivo applicato.
Il part – time può essere:
- “orizzontale”, in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario normale giornaliero di lavoro (ad esempio 4 ore al giorno, anziché 8, per tutti i giorni di lavoro);
- “verticale”, in cui l’attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno;
- “misto”, che si svolge secondo una combinazione delle modalità del part - time orizzontale e verticale.
I contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali) possono determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa a tempo parziale; i contratti collettivi nazionali possono anche prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva.
Regole principali
Forma e contenuto del contratto di lavoro a tempo parziale
Occorre, innanzitutto, premettere che nessun intervento correttivo è stato previsto dal D.Lgs. n. 276/2003 in relazione ai contenuti formali e sostanziali del contratto.
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta ai fini di prova (ad probationem).
Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
Viene meno l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’assunzione a tempo parziale alla Direzione Provinciale del lavoro competente per territorio.
Lavoro supplementare e straordinario
Rilevanti modifiche sono state apportate dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276 alla disciplina del lavoro supplementare. Si deve precisare che si è passati dall’originario divieto di lavoro supplementare di cui all’art.5, legge n.863/1984, all’introduzione di una “doppia chiave di controllo” di cui all’art.3 del D.Lgs. n.61/2000 (necessità regolazione da parte del contratto collettivo e del consenso del lavoratore interessato) ad una “chiave unica di controllo” costituita dal consenso del lavoratore o in alternativa dal contratto collettivo.
Il lavoro supplementare consiste nelle prestazioni lavorative svolte oltre l’orario di lavoro concordato tra le parti, ma entro il limite del tempo pieno.
Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato, il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate con il lavoratore.
I contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali) stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili in relazione ai periodi di riferimento che riterranno opportuni (non più in ragione dell’anno e della singola giornata lavorativa); i contratti collettivi devono stabilire anche le causali per lo svolgimento di lavoro supplementare e le conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare.
L’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo (nuovo comma 3° dell’art.3,
D.Lgs. n.61/2000); il rifiuto del lavoratore non può integrare gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
Clausole flessibili ed elastiche
Fermo restando l’obbligo di indicare nel contratto di lavoro sia la durata della prestazione lavorativa che la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, sono le parti del contratto di lavoro a tempo parziale che possono concordare “clausole flessibili” relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa.
Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche “clausole elastiche” relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa.
E’ necessario in entrambe le ipotesi il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro reso, su richiesta del lavoratore, con l’assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno 2 giorni lavorativi oltre al diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi.
A garanzia del lavoratore si attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa, nonché quelle in base alle quali può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa e i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa. In assenza di contratti collettivi, datore di lavoro e prestatore di lavoro possono concordare direttamente l’adozione di clausole elastiche o flessibili, nel rispetto di criteri individuati dal legislatore.
Infine, si può porre in evidenza la possibilità di inserire clausole flessibili ed elastiche anche nei contratti di lavoro a tempo parziale e a termine, per consentire una gestione flessibile dei rapporti di lavoro in quei settori in cui si fa ampio ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato (turismo, agricoltura).
Principio di non discriminazione
L’art.4, comma 1, del D.Lgs. n. 61 del 2000, sancisce il principio di non discriminazione nei confronti del lavoratore a tempo parziale: quest’ultimo non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello.
Gli istituti normativi ed economici del lavoro subordinato a tempo pieno vanno riproporzionati in relazione al tempo di lavoro stabilito dal contratto part – time (non vanno riproporzionati invece quegli istituti che non sono legati da un nesso di corrispettività con la prestazione di lavoro: ad es., la durata del periodo di prova e delle ferie annuali, …).
Trasformazione del rapporto part-time in rapporto a tempo pieno
In precedenza i lavoratori part-time potevano vantare un diritto di precedenza nelle assunzioni di personale a tempo pieno, con priorità riconosciuta ai dipendenti che avevano precedentemente trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; ora questo diritto di precedenza non è più previsto direttamente da una disposizione legislativa, ma è il contratto individuale che può prevedere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale, stabilendo il limite territoriale delle attività produttive site nello stesso ambito comunale.
Applicabilità nel settore agricolo
In conformità con i criteri ed i principi direttivi della legge delega n.30/2003, il decreto di attuazione prevede l’integrale estensione della disciplina del lavoro a tempo parziale al settore agricolo (prima la stipula di questo tipo di contratti di lavoro era possibile solo nel caso in cui i CCNL sottoscritti dai sindacati più rappresentativi ne avessero previsto e regolamentato il ricorso, art.13, comma 7, l. n. 196/1997).
Il part-time nel Pubblico impiego
Per quanto attiene al pubblico impiego, il part-time è inserito a pieno titolo tra le tipologie flessibili di rapporto di lavoro ed in molti casi, è prevista la trasformazione automatica dal tempo pieno al tempo parziale a domanda del lavoratore (art.1, commi 56-65, legge 23 dicembre 1996 n. 662, a cui l’art.10, D.Lgs. n.61 del 2000 fa esplicito riferimento), con diritto di ottenere il ritorno al tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione ed alle successive scadenze previste dai contratti collettivi (art.6, comma 4, l. n. 140 del 1997).
1.2.4 Il contratto di lavoro intermittente (lavoro a chiamata o job on call)
Definizione e finalità generale
Il contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti indicati dalla legge (art.33, D.Lgs. n.276/2003); questo contratto è stato introdotto al fine di sottoporre a norme certe e a specifiche tutele inderogabili l’utilizzo discontinuo di prestazioni lavorative da parte dell’impresa.
Con questa nuova tipologia contrattuale flessibile, il datore di lavoro può “chiamare”, di volta in volta, il lavoratore a svolgere le prestazioni di lavoro, nel rispetto di un periodo minimo di preavviso, e quest’ultimo può obbligarsi o meno a rispondere alla chiamata, godendo, nel caso assuma l’obbligo di rispondere alla chiamata, di un’indennità di disponibilità per i periodi in cui resta in attesa di utilizzazione.
Il contratto di lavoro intermittente si ritiene che sia un contratto di lavoro subordinato che può essere stipulato sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.
Il contratto di lavoro intermittente ha un duplice oggetto: la “messa a disposizione delle proprie energie lavorative”, oltre alla prestazione lavorativa quando richiesta.
Casi di ricorso al lavoro intermittente
Sono previste ipotesi oggettive e soggettive di ammissione del lavoro intermittente.
Il lavoro intermittente può essere utilizzato per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale) o, in via provvisoria, dal ministro del lavoro e delle politiche sociali, con apposito decreto (ipotesi oggettive).
In via sperimentale il contratto di lavoro intermittente può essere concluso anche per prestazioni rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età o da lavoratori con più di 45 anni di età espulsi dal ciclo produttivo o iscritti alle liste di mobilità e di collocamento (attuali elenchi anagrafici) (ipotesi soggettive).
Il ricorso al lavoro a chiamata è previsto anche per prestazioni da rendersi in periodi predeterminati dell’anno, ossia il fine settimana, nei periodi di ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali e ulteriori periodi individuati dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.
Regole principali
Divieti
Il legislatore ha individuato i casi in cui è tassativamente vietato il ricorso al lavoro intermittente; sono i seguenti: a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) salva disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata oppure presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata; c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Disciplina del rapporto di lavoro intermittente
Sul fronte della tutela del lavoratore intermittente il legislatore delegato ha introdotto un principio di sostanziale parità di trattamento, pur non essendo espressamente richiesto dalla legge delega e questa garanzia si pone come tutela ulteriore rispetto ai generali divieti di discriminazione diretta ed indiretta già presenti nel nostro ordinamento.
Per i periodi lavorati, il lavoratore intermittente non deve ricevere un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte.
Per il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati né matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità, congedi parentali.
Indennità di disponibilità
Al lavoratore che si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro spetta, come più volte ricordato, l’indennità di disponibilità per i periodi nei quali garantisce la sua disponibilità al datore di lavoro; nel contratto di lavoro intermittente è stabilita la misura dell’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie.
La misura di questa indennità è stabilita dai contratti collettivi e comunque non è inferiore alla misura fissata ed aggiornata periodicamente, con decreto del ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento; nel periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto all’indennità di disponibilità. Nel caso in cui il lavoratore non provveda a questo adempimento perde il diritto all’indennità di disponibilità per un periodo di 15 giorni, salvo diversa previsione del contratto individuale.
Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata da parte del lavoratore che si sia obbligato contrattualmente a rispondervi può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota dell’indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, nonché il pagamento di un risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto individuale di lavoro.
Pubbliche amministrazioni
Questa tipologia contrattuale non trova applicazione per il personale delle pubbliche amministrazioni (art.6, legge n.30/2003 ed art.1, comma 2°, D.Lgs. n. 276/2003).
1.2.5 Il contratto di lavoro ripartito (o a coppia o job sharing)
Il lavoro ripartito è una forma di lavoro già conosciuta in altri Paesi Europei e negli Stati Uniti. Esso è sorto originariamente negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’70; in Europa si è diffuso dapprima in Gran Bretagna e successivamente in Germania.
Il contratto di lavoro ripartito era già disciplinato dalla circolare del Ministero del Lavoro del 7 aprile 1998, n.43, con la quale erano stati chiariti alcuni dubbi interpretativi circa la disciplina giuridica da applicarsi al contratto ed era stata affermata espressamente la sua compatibilità con il nostro ordinamento, anche in assenza di una specifica disciplina legale. Il ricorso ad uno strumento di soft law, come la circolare ministeriale, anziché ad un intervento legislativo, è stato dovuto all’esclusione di questa fattispecie contrattuale dal Pacchetto Treu (nell’originario d.d.l. n.2764 del 1995 che poi ha costituito la base della legge 24 giugno 1997, n.196 questa ipotesi contrattuale era dettagliatamente disciplina dall’art.20).
La regolamentazione contenuta nel decreto delegato è sostanzialmente modellata sull’impianto della circolare ministeriale n.43 del 1998, al fine di consolidare prassi già in atto.
Definizione e finalità generale
Il contratto di lavoro ripartito è definito dal D.Lgs. n.276 del 2003 come “uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori si assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa” (art.41).
L’oggetto del contratto è costituito da una “unica” ed “identica” prestazione lavorativa; ciò significa che la prestazione è la stessa per ciascuno dei coobbligati: il datore di lavoro può chiedere l’esatto ed integrale adempimento ad entrambi ed a ciascuno dei lavoratori, essendo irrilevante l’eventuale ripartizione interna delle singole modalità operative concordate tra i lavoratori ai fini del complessivo adempimento della prestazione.
Regole principali
Il vincolo di solidarietà
La formulazione dell’art.41, del D.Lgs n.276 del 2003, qualifica il contratto come una particolare forma di lavoro subordinato, la cui specialità è data dal vincolo fiduciario che sussiste tra i 2 coobbligati; vincolo che contraddistingue questo contratto di lavoro, al pari dell’altro elemento che qualifica la fattispecie, ossia il vincolo di solidarietà tra i 2 lavoratori coobbligati.
In base al vincolo di solidarietà ogni lavoratore è personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione lavorativa, senza che ciò impedisca che l’obbligazione possa essere estinta in forza dell’adempimento di uno solo dei lavoratori coobbligati; ciò impone ai lavoratori coobbligati l’obbligo di sostituirsi reciprocamente in caso di impedimento a svolgere la prestazione lavorativa. I 2 lavoratori coobbligati hanno la facoltà di determinare discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra di loro nonché di modificare consensualmente la collocazione temporale dell’orario di lavoro. Un aspetto peculiare della fattispecie è, infatti, l’ampia apertura lasciata alla autodeterminazione delle parti contraenti in materia di distribuzione dell’orario di lavoro.
Il licenziamento o le dimissioni di uno dei lavoratori coobbligati comportano l’estinzione dell’intero vincolo contrattuale, in quanto viene meno il vincolo fiduciario e di solidarietà, salvo diversa intesa tra le parti (ammettendo così accordi individuali per l’assunzione di un altro lavoratore coobbligato) e salvo che l’altro prestatore, su richiesta del datore di lavoro, si renda disponibile ad adempiere l’obbligazione lavorativa, integralmente o parzialmente.
Disciplina applicabile
La regolamentazione del rapporto è demandata alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello (nazionale, territoriale e aziendale) nel rispetto delle previsioni di legge.
In assenza di contratti collettivi e fatto salvo quanto stabilito dal D.Lgs. n.276/2003, si applica la normativa generale del lavoro subordinato, in quanto compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro ripartito.
Principio di non discriminazione
Per i periodi lavorati, il lavoratore ripartito non deve ricevere un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte, fermo restando i divieti di discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla legislazione vigente.
Il trattamento economico e normativo dei lavoratori coobbligati è riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, congedi parentali.
Ciascuno dei lavoratori coobbligati ha diritto ai permessi retribuiti per partecipare alle assemblee di cui all’art.20, Statuto dei lavoratori, entro il previsto limite complessivo di 10 ore annue, il cui trattamento economico verrà ripartito fra i coobbligati proporzionalmente alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita.
Pubbliche amministrazioni
Così come il lavoro intermittente anche il lavoro ripartito non trova applicazione per il personale delle pubbliche amministrazioni.
Definizione e finalità generale
L’apprendistato è un contratto di lavoro con finalità formative avente causa mista (o doppia), poiché in cambio della prestazione lavorativa il datore di lavoro si impegna non solo a retribuire il lavoratore, ma ad assicurare anche la formazione professionale. A parziale compensazione degli oneri che ricadono sul datore di lavoro per l’attività formativa svolta, lo Stato concede significative agevolazioni contributive che azzerano, di fatto, il costo dei contributi sociali.
L’apprendistato ha ricevuto una prima compiuta regolamentazione con la legge 19 gennaio 1955, n. 25, successivamente oggetto di numerose integrazioni e modifiche, tra le quali emergono per importanza quelle introdotte dall’art.21 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e dall’art.16 della legge 24 giugno 1997, n. 196.
Ora gli artt.47 e seguenti del D.Lgs. n. 276 del 2003 prospettano una nuova riforma, la cui effettività è rinviata nel tempo, dopo che le Regioni avranno disciplinato in via legislativa l’istituto. Per questa ragione è bene avere presente la disciplina attualmente vigente, pur preparandosi alle future modifiche.
La disciplina della legge n.196 del 1997
Le innovazioni previste dall’art.16, della legge n.196 del 1997, per il contratto di apprendistato risultano ispirate dall’intento di renderlo più congruo ad una formazione professionale effettiva, attenuandone la valenza di mero strumento di riduzione del costo del lavoro. Viene previsto l’obbligo di partecipazione degli apprendisti alle iniziative di formazione esterna all’azienda previste dai contratti collettivi nazionali e proposte formalmente all’impresa da parte dell’amministrazione pubblica competente (durata minima della formazione esterna all’azienda del giovane apprendista pari ad almeno 120 ore). Inoltre, al fine di migliorare l’efficacia del processo formativo, viene favorita la individuazione di tutors aziendali, ossia di figure interne all’azienda chiamate ad affiancare l’apprendista nella “formazione sul lavoro” e a curare i rapporti tra l’azienda e la struttura dedita alla formazione esterna (D.M. 28 febbraio 2000).
Possono essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato, i giovani di età non inferiore a 15 anni (che abbiano assolto l’obbligo scolastico) e non superiore a 24 anni, ovvero a 26 anni nelle aree di cui agli obiettivi n. 1 e 2 del regolamento CEE n. 2081/1993 (si tratta prevalentemente di aree situate nel Mezzogiorno); nel settore artigiano la contrattazione collettiva può elevare l’età massima fino a 29 anni, nel caso in cui l’assunzione riguardi qualifiche ad alto contenuto professionale. Nel caso di portatori di handicap i limiti di età sono elevati di 2 anni.
Possono essere assunti in qualità di apprendisti anche i giovani in possesso di titolo di studio post- obbligo (diploma di scuola media superiore; diploma professionale) o di attestato di qualifica professionale idonei rispetto all’attività da svolgere.
L’art.16 della legge n. 196/1997 stabilisce che l’apprendistato non possa avere una durata superiore a quella fissata dai contratti collettivi e comunque non inferiore a 18 mesi e superiore a 4 anni (salvo per il settore artigiano, in cui il limite massimo è di 5 anni).
Per il contratto di apprendistato sono previsti incentivi sia normativi che economici:
- i lavoratori assunti come apprendisti sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti, salvo che specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo stabiliscano diversamente;
- la concessione di agevolazioni riguarda i contributi per le assicurazioni sociali e previdenziali: per gli apprendisti occupati presso aziende artigiane non è richiesto il versamento di questi contributi (ad esclusione del contributo per la tutela della maternità); in tutti gli altri casi è previsto un contributo in misura forfettaria non rapportata all’ammontare della retribuzione.
La riforma prospettata dal D.Lgs. n.276/2003
In attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nella l. n.30/2003, l’art.47, del D.Lgs. n. 276 del 2003, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di diritto - dovere di istruzione e di formazione (quindi anche i percorsi della formazione in alternanza prevista dalla legge 28 marzo 2003, n.53, “riforma Moratti”), definisce il contratto di apprendistato secondo 3 distinte tipologie:
per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione;
professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico – professionale;
per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione.
Il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto 15 anni (art.48, D.Lgs. n. 276 del 2003).
Questa tipologia di apprendistato sarà finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale e avrà una durata massima di 3 anni (la durata del contratto sarà determinata in considerazione della qualifica da conseguire, dei titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonché del bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l’impiego o dai soggetti privati
accreditati, mediante l’accertamento dei crediti formativi che saranno definiti ai sensi della legge n.53/2003).
Spetterà alle Regioni, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’istruzione, della università e della ricerca, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, regolamentare i profili formativi dell’apprendistato, prevedendo un monte ore, esterno o interno, all’azienda congruo al conseguimento della qualifica professionale.
Il contratto dovrà essere stipulato in forma scritta e dovrà contenere l’indicazione della prestazione lavorativa, del piano formativo individuale e della qualifica acquisibile al termine del rapporto di apprendistato, sulla base della formazione aziendale od extra-aziendale.
Il contratto di apprendistato professionalizzante
Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico - professionali, i soggetti di età compresa tra i 18 e 29 anni. Una deroga al requisito dell’età sarà possibile per i soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n.53, che potranno essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante a partire dal 17° anno di età.
La durata del contratto di apprendistato professionalizzante verrà stabilita dai contratti collettivi (nazionali o regionali), in ragione del tipo di qualificazione da conseguire, e comunque non inferiore a 2 anni e superiore a 6.
Per questa tipologia di contratto di apprendistato, come per la prima, verrà richiesta la forma scritta. Anche per l’apprendistato professionalizzante la Regione dovrà intervenire a regolamentare i profili formativi; in questo caso, è fissato però un monte ore di formazione, interna o esterna all’azienda, di almeno 120 ore per anno per l’acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali.
Il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato per il conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni (l’età minima potrà scendere a 17 anni in caso di possesso di qualifica professionale).
La disciplina contenuta nel decreto è minima e la regolamentazione e la durata dell’apprendistato è rimessa alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione.
1.2.7 Il contratto di inserimento
Definizione e finalità generale
Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 introduce per il settore privato, al posto del contratto di formazione e lavoro, un nuovo contratto denominato contratto di inserimento in cui il profilo della formazione, a differenza del precedente contratto di formazione e lavoro, è del tutto eventuale rispetto all’obiettivo principale che è quello di politica occupazionale.
Il contratto di inserimento viene infatti definito come un contratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro di particolari categorie di lavoratori (art.54, D.Lgs. n. 276/2003).
Soggetti a cui è destinato
Il contratto di inserimento si rivolge a soggetti in condizione di svantaggio sotto il profilo occupazionale: soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni; disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderano riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato da almeno 2 anni; donne di qualsiasi età residenti in aree geografiche caratterizzate da un divario tra i tassi di occupazione e disoccupazione femminili e maschili particolarmente elevato; persone con grave handicap fisico, mentale o psichico.
I contratti di inserimento possono essere stipulati da: enti pubblici economici, imprese e loro consorzi; gruppi di imprese; associazioni professionali, socio - culturali, sportive; fondazioni; enti di ricerca, pubblici e privati; organizzazioni e associazioni di categoria.
Regole principali
Progetto individuale di inserimento
Nel contratto di inserimento è prevista la predisposizione di un progetto individuale di inserimento, definito con il consenso del lavoratore e finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo.
Forma
Il contratto di inserimento deve essere stipulato, a pena di nullità, in forma scritta e deve contenere l’indicazione del progetto individuale di inserimento.
Durata
Si tratta di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, di durata non inferiore a 9 mesi e superiore a 18 mesi (elevabile a 36 per i portatori di handicap grave). Nel computo della durata massima non rilevano i periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare e di quello civile e i periodi di astensione per maternità. Il contratto di inserimento non è rinnovabile tra le stesse parti e le eventuali proroghe sono ammesse entro il limite massimo di durata.
Ad esso si applicano in quanto compatibili le disposizioni sul contratto a tempo determinato, salvo diversa previsione dei contratti collettivi.
Incentivi normativi ed economici
Per quanto riguarda gli incentivi normativi, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti, fatte salve specifiche previsioni del contratto collettivo.
I vantaggi per le imprese che attivano contratti di inserimento sono, oltre che normativi, di ordine retributivo e contributivo.
L’azienda può pagare una retribuzione più bassa, poiché il lavoratore può essere inquadrato in una categoria non inferiore per più di due livelli alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni richiedenti qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è preordinato il progetto di inserimento.
In attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione si applicano gli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente in materia di c.f.l., ma solo per alcuni dei soggetti indicati in precedenza.
Gli incentivi trovano applicazione solo per alcuni dei soggetti assumibili con contratto di inserimento: disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderano riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato da almeno 2 anni; donne di qualsiasi età residenti in aree geografiche caratterizzate da un divario tra i tassi di occupazione e disoccupazione femminili e maschili particolarmente elevato; persone con grave handicap fisico, mentale o psichico; con esclusione dei contratti stipulati con i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. In tali casi la legge stabilisce una riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali in misura differenziata a seconda dell’area e del settore produttivo:
- nel Mezzogiorno, nelle zone ad elevata disoccupazione e per tutte le imprese artigiane i contributi previdenziali sono stabiliti nella stessa misura prevista per gli apprendisti;
- le imprese commerciali e turistiche con meno di 15 dipendenti, non ubicate nel Mezzogiorno e nelle zone ad elevata disoccupazione, godono di una riduzione degli oneri contributivi del 40%;
- tutte le altre imprese (non ubicate nel Mezzogiorno e nelle zone ad elevata disoccupazione, non artigiane, non commerciali e non turistiche) godono di una riduzione del 25%.
Fase transitoria
La nuova normativa non è immediatamente applicabile, poiché i contratti collettivi di lavoro (nazionali, territoriali, aziendali) devono determinare le modalità di definizione dei progetti individuali di inserimento, con particolare riferimento alla realizzazione del progetto.
Qualora, entro 5 mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, non sia intervenuta la determinazione da parte del contratto collettivo nazionale di lavoro delle modalità di definizione dei piani individuali di inserimento, il Ministro del lavoro convocherà le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assisterà, al fine di promuovere l’accordo. Solo se entro i 4 mesi successivi a tale convocazione non verrà raggiunta un’intesa, il Ministro del lavoro individuerà in maniera provvisoria, con proprio decreto, le modalità di definizione dei piani individuali di inserimento.
1.2.8 Contratto di formazione e lavoro
Disciplina transitoria per il settore privato
Per gestire il regime transitorio dei contratti di formazione e lavoro è stato sottoscritto, dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il 13 novembre 2003, un accordo interconfederale, ai sensi dell’art.86, comma 13, D.Lgs. n.276/2003.
L’accordo interconfederale prevede che: 1) i contratti di formazione e lavoro stipulati, anche dopo il 23.10.2003 (ultimo giorno prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276/2003), in base a progetti approvati entro tale data, esplicano integralmente i loro effetti fino alla scadenza prevista; 2) i progetti per contratti di formazione e lavoro il cui deposito è avvenuto entro il 23.10.2003 possono proseguire il loro iter di valutazione secondo le modalità precedentemente in vigore e se approvati saranno attivati esplicando integralmente i loro effetti; 3) le assunzioni saranno effettuate nell’arco di tempo previsto dalle delibere regionali o dalle intese interconfederali o settoriali che disciplinano la materia.
Il contratto di formazione e lavoro nella Pubblica amministrazione
La previgente disciplina in materia di contratti di formazione e lavoro trova applicazione esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione, sia per l’affermazione di principio di cui all’art.6, l. n.30/2003 ed art.1, comma 2, D.Lgs. n.276/2003 (esclusione dal campo di applicazione della normativa della pubblica amministrazione e del relativo personale), sia per espressa previsione dell’art.86, comma 9, D.Lgs. n. 276/2003. Quindi anche dopo il 24.10.2003 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n.276/2003) il contratto di formazione e lavoro può continuare ad essere stipulato dalle pubbliche amministrazioni.
Definizione e finalità generale
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, consistenti in una prestazione di attività resa a favore di un committente in maniera prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art.409 n.3 del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso di durata prefissata, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente ed indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.
La novità principale rispetto alla disciplina precedente consiste nel dover agganciare, per il settore privato, il contratto ad un progetto o programma di lavoro o fase di esso, essendo ora vietato il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a tempo indeterminato.
L’intento del legislatore è stato quello di ricondurre le collaborazioni coordinate e continuative “genuine” al lavoro a progetto oppure, nel caso in cui si trattasse di collaborazioni fittizie, al lavoro subordinato.
Regole principali
Campo di applicazione
Il comma 1, dell’art.61, del D.Lgs. n.276 del 2003, nel ricondurre i contratti collaborazione coordinata e continuativa al lavoro a progetto tiene ferma la disciplina per gli agenti ed i rappresentanti di commercio.
Sono esclusi dal campo di applicazione del lavoro a progetto le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, nonché i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese ed utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal Coni; sono altresì esclusi dal campo di applicazione gli amministratori e i sindaci delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia, per i quali continueranno a potersi stipulare le precedenti collaborazioni coordinate e continuative.
Diritti e doveri del collaboratore a progetto
Xxxxx restando che il legislatore delegato non ha pregiudicato l’applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto, i diritti del collaboratore si caratterizzano, in primo luogo, per una chiara determinazione del corrispettivo. Il compenso del collaboratore a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e per la sua determinazione si deve tener conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.
Il lavoratore a progetto ha, inoltre, diritto ad essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto.
Sono state inoltre estese tutele proprie del lavoro subordinato, predisponendo un sistema di tutele minimo a presidio della dignità e sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia, infortunio e malattie professionali, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Inoltre, si deve precisare che l’attività del collaboratore a progetto, può essere svolta a favore di più committenti, salvo diverso accordo tra le parti.
Per quanto concerne i doveri, è stabilito che il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti né, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi ed alla organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei committenti stessi.
Misure sanzionatorie
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto.
In secondo luogo, qualora venga accertato dal giudice che il rapporto di lavoro a progetto sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. In questo caso, il controllo da parte del giudice è limitato esclusivamente all’accertamento dell’esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.
Durata
I contratti a progetto si risolvono al momento della realizzazione del progetto o programma di lavoro o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto.
Tra i tratti distintivi del lavoro a progetto rispetto al lavoro dipendente, rientra l’autonomia del collaboratore nello svolgimento della prestazione, in particolare, per quanto riguarda l’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Inoltre, nel lavoro a progetto la prestazione assume necessariamente un carattere temporaneo, in funzione del risultato dedotto in contratto, ossia dell’esecuzione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso che, in quanto tale, non può che essere limitato nel tempo. Ne è prova il fatto che tra i contenuti del contratto di lavoro è richiesta la indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro.
Il recesso prima della scadenza del termine è possibile solo in presenza di giusta causa o secondo le diverse causali e modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti stesse nel contratto di lavoro individuale.
Rinnovo
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, mediante circolare 8 gennaio 2004, n.1, ha precisato la disciplina del lavoro a progetto, in particolare, ha previsto, da una parte, che un analogo progetto o programma di lavoro possa essere oggetto di successivi contratti con lo stesso collaboratore e, dall’altra, che il lavoratore a progetto possa essere impiegato successivamente anche per diversi progetti o programmi aventi contenuto diverso. In entrambe le ipotesi, rinnovo e nuovi progetti per lo stesso lavoratore, non devono costituire strumenti elusivi della normativa di cui al D.Lgs. n.276/2003.
Disposizioni transitorie
Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della normativa previgente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina previgente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale (art.86, comma 1).
I vecchi rapporti di collaborazione autonoma possono dunque, mediante accordo sindacale aziendale, essere mantenuti in vita anche per altri anni, con estensione ai collaboratori coordinati e continuativi delle protezioni disposte dagli artt.62-68, D.Lgs. n. 276/2003, che prevedono, come già detto in precedenza, alcune tutele in materia di igiene e sicurezza del lavoratore, corrispettivo, invenzioni del lavoratore, sospensione per malattia, infortunio, maternità o altri impedimenti personali, preavviso di recesso unilaterale, rinunce e transazioni di diritti previsti dagli artt.62-67.
All’interno dell’accordo aziendale il datore di lavoro deve contrattare con i sindacati la transizione di questi collaboratori o verso il lavoro a progetto o verso le nuove forme di lavoro flessibile disciplinate dal D.Lgs. n.276/2003 o verso le forme del lavoro subordinato già disciplinate (Circolare ministeriale n.1/2004).
Collaborazioni coordinate e continuative e Pubblica amministrazione
La disciplina del lavoro a progetto (artt.61-69), stante la disposizione di cui all’art.1, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 e l’art.6, l. n. 30/2003, non si applica alla Pubblica amministrazione, con la conseguenza che esse potranno continuare a stipulare collaborazioni coordinate e continuative, ai sensi dell’art.7, D.Lgs. n.165/2001 ed art.110, D.Lgs. 267/2000.
Viene quindi a crearsi un regime separato per il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione; si verifica uno scostamento tra due assetti regolativi, entrambi di diritto comune, l’uno rivolto all’impresa e l’altro alle amministrazioni, con una duplicazione di sistemi e con un rischio per la pubblica amministrazione di offrire ai propri lavoratori minori garanzie rispetto al settore privato.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica- con nota del 18 novembre 2003 n.8329/11, messa a punto dall’Ufficio per il personale delle Pubbliche Amministrazioni, è intervenuta sulle collaborazioni coordinate e continuative delle Amministrazioni centrali e degli Enti locali ricordando che esse devono: 1) caratterizzarsi per l’autonomia di svolgimento; 2) riguardare profili professionali elevati; 3) essere tali, quanto a caratteristiche e contenuti professionali, come sostenuto dalla Corte dei Conti, da eccedere le ordinarie competenze dei propri dipendenti, oppure non devono potersi svolgere per carenza oggettiva, assoluta o relativa, di determinate figure professionali.
Occorre comunque ricordare che l’art.86, comma 8, D.Lgs. n.276/2003, dispone che il Ministro per la funzione pubblica convochi le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti all’entrata in vigore del D.Lgs. n.276/2003, entro 6 mesi, anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti legislativi in materia.
Disposizioni previdenziali
L’art.45, del d.l. 30 settembre 2003, n.269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n.326 (collegato alla Finanziaria 2004), prevede che dal 1° gennaio 2004 l’aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata INPS non assicurati presso altre forme obbligatorie sia stabilità in misura identica a quella prevista per la gestione pensionistica dei commercianti, passando dal 14 al 17,39% (18,39% a seconda dello scaglione di riferimento). Per gli anni successivi ad essa si applica un incremento annuale di 0,2 punti percentuali fino a raggiungere l’aliquota del 19%.
Per lavoro occasionale, distinto dal lavoro a progetto, si intende ogni rapporto di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente e che dia luogo ad un compenso complessivamente percepito nello stesso anno solare, non superiore a 5 mila euro sempre con lo stesso committente.
La Circolare del Ministero del lavoro dell’8 gennaio 2004 n.1 precisa che le prestazioni occasionali di cui all’art.61, comma 2°, D.Lgs. n.276/2003 sono “collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro limitata “portata”, si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto” e quindi di sottrarle all’ambito di applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n.276/2003.
Le prestazioni occasionali (di durata inferiore a 30 giorni e per un compenso non superiore a 5.000
€, con lo stesso committente) sono soggette a contribuzione previdenziale qualora sia configurabile un rapporto di collaborazione coordinata di cui all’art.50, comma 1, lett.c-bis), del TUIR e non ci si trovi in presenza di un rapporto di lavoro autonomo di cui all’art.2222 cod. civ. (Circolare INPS n.9 del 22 gennaio 2004). Tale chiarimento da parte dell’INPS, in linea con quanto disposto dal Ministero del Welfare nella circolare n.1/2004, risulta di difficile coordinamento con l’art.4, comma 1, lett.c), n.2), l. n. 30/2003, che ha delegato il Governo a differenziare le collaborazioni coordinate e continuative rispetto ai rapporti di lavoro meramente occasionali “intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5.000 euro”. Inoltre, la relazione di accompagnamento del D.Lgs. n.276/2003 ha posto in evidenza che con il 2° comma dell’art.61 di tale decreto si è inteso contenere le prestazioni occasionali che “sono esenti da contribuzione”.
La Circolare ministeriale n.1/2004 distingue le prestazioni occasionali (art.61, comma 2, D.Lgs. n.276/2003) dalle attività di lavoro autonomo occasionale (art.2222 c.c.) in cui non si riscontra un coordinamento ed una continuità nelle prestazioni, non soggette a limiti temporali e reddituali se non quelli coerenti con l’occasionalità della prestazione e che per questa natura non sono soggetti né all’iscrizione alla Gestione separata INPS né all’adempimento degli obblighi contributivi.
Infine occorre sottolineare che, a partire dal 1° gennaio 2004, i soggetti che esercitano attività di lavoro autonomo occasionale (ai sensi dell’art.2222 c.c.) sono iscritti alla gestione separata INPS e conseguentemente devono versare i contributi previdenziali, solo nel caso in cui il reddito annuo derivante da tale attività sia superiore a 5.000 euro. Per il versamento del contributo da parte di tali soggetti si applicano le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata (art.44, 2° comma, legge n.326/2003).
1.2.11 Il lavoro accessorio
Definizione e finalità generale
Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono le attività lavorative di natura meramente occasionale, rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne. Tali attività devono essere riconducibili a: a) piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza domiciliare ai bambini, alle persone anziane, ammalate o con handicap; b) insegnamento privato supplementare; c) piccoli lavori di giardinaggio, di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; d) realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; e) collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, dovuti a calamità, eventi naturali improvvisi o di solidarietà.
Si tratta di prestazioni di breve periodo svolte occasionalmente in favore, come disposto dall’art.4, comma 1, lett.d), legge n.30/2003, di famiglie e di enti senza fini di lucro.
La “attività occasionale e accessoria” comprende tutte quelle attività lavorative che coinvolgono il lavoratore per una durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare, anche se l’attività è svolta a favore di più beneficiari e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo a compensi superiori a 3 mila euro, sempre nel corso di un anno solare.
Soggetti a cui è destinato
L’elemento centrale nella definizione del lavoro accessorio è di ordine soggettivo; possono svolgere attività di lavoro accessorio: a) disoccupati da oltre un anno; b) casalinghe, studenti e pensionati; c) disabili e soggetti in comunità di recupero; d) lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei 6 mesi successivi alla perdita di lavoro.
I lavoratori interessati a svolgere prestazioni di lavoro accessorio comunicano la loro disponibilità ai servizi per l’impiego delle Province, nell’ambito territoriale di riferimento, o ai soggetti accreditati dalle Regioni; a seguito della comunicazione i soggetti interessati allo svolgimento di prestazioni di carattere accessorio ricevono, a loro spese, una tessera magnetica da cui risulta la loro condizione.
Regole principali
Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio i beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio del valore nominale di 7,5 euro.
Il lavoratore percepisce il proprio compenso presso gli enti o le società concessionarie all’atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio, in misura pari a 5,8 euro per ogni buono consegnato.
L’ente o la società concessionaria provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni per prestazioni di lavoro accessorio, registrando i dati anagrafici ed il codice fiscale e provvedendo per suo conto al versamento dei contributi per fini previdenziali all’INPS, alla gestione separata, in misura di 1 euro e per fini assicurativi contro gli infortuni all’INAIL, in misura di 0,5 euro e trattiene 0,2 euro a titolo di rimborso spese.
Questa tipologia contrattuale potrà essere utilizzata dopo che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali avrà individuato, con proprio decreto, i soggetti autorizzati alla vendita dei buoni (presumibilmente saranno tabaccherie, uffici postali, edicole o altri luoghi a capillare diffusione sul territorio) e gli enti e le società concessionarie della riscossione dei buoni (si pensa possano essere banche, uffici postali), oltre che i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle relative coperture assicurative e previdenziali.
Distinzione dal lavoro occasionale
La distinzione tra le prestazioni occasionali e quelle accessorie e occasionali sta nel fatto che nelle prime si fa riferimento al committente a favore del quale il lavoro è stato prestato, le seconde sono prestazioni che lo stesso lavoratore ha svolto a favore anche di più beneficiari. Nel primo caso il criterio quantitativo (ossia prestazioni svolte per non più di 30 giorni e di valore non superiore a
5.000 euro) è riferito all’incarico, nel secondo caso (prestazioni svolte per non più di 30 giorni e di valore non superiore a 3.000 euro) al lavoratore.
I l lavoro accessorio nell’esperienza belga
Questa tipologia contrattuale è stata introdotta nel nostro ordinamento riprendendola dall’esperienza belga: “contrat de travail Ale (Agences locales pour l’emploi)”. Ogni Comune o gruppo di Comuni è obbligato a costituire un’Ale. Tra i compiti dell’agenzia rientra l’attestazione del fatto che il tipo di attività lavorativa richiesta dal candidato utilizzatore può essere considerata marginale e accessoria.
Colui che intende avvalersi di queste prestazioni lavorative deve rivolgersi all’Ale comunale competente e compilare un formulario nel quale descrive le attività che intende affidare al prestatore di lavoro. L’agenzia concede la sua approvazione, condizione essenziale per usufruire di prestazioni lavorative accessorie, solo nel caso in cui le attività siano estranee ai tradizionali rapporti di lavoro e rispondano a bisogni temporanei ed urgenti.
L’Ale è stata istituita con il compito di offrire occasioni di lavoro ai disoccupati di lunga durata ed altre categorie assimilabili, beneficiari di prestazioni sociali o di somministrazione di un minimum di mezzi di sussistenza, non per studenti, pensionati e le altre tipologie di cui all’art.71 del D.Lgs
n.276 del 2003.
Esistono 3 specie di lavoro accessorio:
1) “assistant pour la prevention et la sécurité”: attività quali la sorveglianza ferroviaria, la custodia della auto in sosta, la vigilanza all’esterno delle scuole, il controllo dei fattori di rischio ambientale nei quartieri, la repressione delle infrazioni dei limiti di velocità da parte delle vetture e delle motociclette, …;
2) attività stagionali e occasionali nel settore dell’orticoltura;
3) attività stagionali e occasionali nel settore agricolo.
Il “contrat Ale” deve essere stipulato in forma scritta e sottoscritto prima dell’inizio della prestazione. I soggetti del contratto sono 3: employeur (Ale), utilisateur (datore di lavoro) e travailleur (prestatore). La retribuzione delle prestazioni lavorative Ale avviene mediante i cd. “cheques Ale” che l’utilizzatore può acquistare quando l’agenzia rilascia il formulario contente l’autorizzazione ad usufruire delle prestazioni lavorative richieste. L’utilizzatore consegna gli cheques al lavoratore nel corso dell’esecuzione della prestazione.
Come si può notare il modello belga prevede, a differenza di quello italiano, una disciplina estremamente complessa e dettagliata, incentrata sull’attività di un’agenzia, l’Ale.
1.3 Quali politiche locali del lavoro in un mercato del lavoro “flessibile”?
Si è detto che il principale problema di politica del lavoro derivante dall’introduzione delle nuove forme di lavoro illustrate è rinvenibile nel rischio che i lavoratori impiegati con contratti di lavoro che li collocano spesso in condizione precaria o poco qualificata cadano stabilmente nella trappola della marginalità rispetto al cuore del mercato del lavoro. Ne deriva innanzi tutto che l’area dei lavoratori interessati al problema non è riconducibile esclusivamente a quella di coloro che prestano la loro attività sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa o di lavoro a progetto, ma si estende, in potenza, a tutte le forme di lavoro caratterizzate da forte discontinuità (lavoratori interinali, intermittenti, stagionali) o con orari molto ridotti (v. part-time per poche ore alla settimana).
Al fine di sostenere e migliorare l’occupazione di questi lavoratori, le istituzioni pubbliche e le parti sociali possono programmare e realizzare interventi specifici, la cui efficacia può essere considerata più che buona in contesti territoriali caratterizzati da bassi tassi di disoccupazione.
In generale possono essere considerate utili a questi fini misure di rafforzamento della posizione del lavoratore sul mercato ed in primo luogo interventi di formazione professionale, finalizzati ad una qualificazione o specializzazione richiesta dalle imprese.
Appare però ancor più interessante l’adozione di una strategia complessiva a sostegno specifico dei lavoratori con contratti non standard. Potrebbe, ad esempio, essere attivato un progetto per questi lavoratori, articolato in interventi di orientamento, di formazione professionale, di incontro tra domanda ed offerta. Non solo. Questi interventi potrebbero essere realizzati individuando anche soluzioni organizzative originali: ad esempio individuando, all’interno delle strutture preposte (in primo luogo all’interno dei centri per l’impiego), sportelli dedicati oppure costituendo una task- force di operatori con competenze diverse (in materia di orientamento, servizi per l’impiego, formazione professionale, politiche attive del lavoro) chiamata a promuovere e coordinare interventi in questo campo.
Nell’ambito di questo disegno particolari interventi possono essere indirizzati nei confronti dei lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi e lavoratori a progetto). Anche tenendo conto di esperienze realizzate o di proposte avanzate in altre realtà territoriali (Toscana, Lazio, Liguria, Molise, Trentino, Abruzzo, Lombardia), può essere ricostruito il seguente quadro di possibili iniziative a sostegno di tali lavoratori:
a) il primo intervento utile è rinvenibile nel rafforzamento della conoscenza del fenomeno: occorre cioè dare stabilità all’osservazione del lavoro non standard, per coglierne prontamente l’evoluzione, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo;
b) la Provincia potrebbe, nel quadro della propria politica attiva del lavoro, concedere contributi finalizzati a migliorare e consolidare la posizione dei parasubordinati sul mercato del lavoro.
I contributi potrebbero sostenere l’acquisto o la locazione di determinati beni (sedi, attrezzature, strumentazioni, materiali, pacchetti di programmi informatici) o servizi (ad es. accessi a banche dati o siti specializzati, abbonamenti a riviste di settore).
Una prima versione di questo intervento, di tipo soft, può prevedere la concessione dei contributi in relazione all’esecuzione di attività aventi una certa durata e/o valore economico.
Va segnalata anche una seconda versione, certamente più ambiziosa: i contributi potrebbero essere concessi solo a sostegno dell’avvio di attività di lavoro autonomo o d’impresa. In questo caso si mirerebbe a favorire il passaggio dallo stadio iniziale del lavoro parasubordinato ad una collocazione professionale più solida e gratificante. Si tratta di creare le condizioni per rendere, per quanto possibile, l’area del lavoro parasubordinato un’area di transizione, destinata per molti lavoratori (in specie quelli destinati ad attività professionali) ad esaurirsi in un lasso di tempo relativamente breve.
Non v’è dubbio che l’efficacia della misura e la prevenzione di possibili abusi dipenderanno da una puntuale specificazione delle condizioni, modalità e limiti per la concessione dei benefici indicati. Tra i limiti che possono svolgere un ruolo cruciale per il buon esito dell’intervento vi è quello relativo alla cumulabilità (o meno) dei contributi con quelli previsti da analoghi interventi regionali o statali; il tema andrebbe pertanto valutato molto attentamente, soprattutto alla luce dell’entità più
o meno ragguardevole dei contributi previsti.
c) sempre nell’intento di rafforzare la posizione dei lavoratori considerati sul mercato del lavoro, potrebbero inoltre essere favorita la partecipazione ad attività formative particolarmente qualificanti, svolte da istituzioni italiane ed estere. La misura potrebbe consistere sia in iniziative corsuali specificamente predisposte dalla Provincia (ma in proposito va segnalata la difficoltà di cogliere puntualmente i bisogni formativi di un’utenza tanto variegata e di organizzare una gamma completa e vasta di iniziative formative), sia nella erogazione di voucher spendibili presso istituzioni formative di grande prestigio, selezionate sul mercato internazionale. Quest’ultima soluzione garantirebbe certamente indubbi vantaggi nello snellimento delle procedure di gestione del contributo e nella flessibilità di fruizione della formazione da parte dei soggetti interessati;
d) un altro importante filone di intervento della Provincia nel campo considerato è rinvenibile nell’attività di “certificazione dei contratti di lavoro”, secondo quanto previsto dal d. lgs. n. 276/03. Il Titolo VIII (artt. 75- 84) di tale decreto chiama infatti la Provincia (oltre che la Direzione provinciale del lavoro, gli enti bilaterali e le Università), a svolgere un ruolo di rilievo al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro ed assicurare “certezza di diritto” anche nei rapporti di lavoro meno standardizzati e a più alto rischio di conflittualità (lavoro a progetto, lavoro intermittente, lavoro a tempo parziale, lavoro ripartito, contratti di associazione in partecipazione). E’ bene infatti essere consapevoli che, in aggiunta alla questione classica della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, il problema di qualificazione sembra oggi ulteriormente accentuato dal proliferare di diversi contratti a seguito dell’emanazione dello stesso decreto legislativo n. 276 del 2003 (come si è cercato di illustrare nella seconda parte del presente contributo).
La Provincia può dunque decidere di assumere un ruolo in questo campo, costituendo una propria Commissione di certificazione dei contratti di lavoro o partecipando, insieme agli altri soggetti sopra indicati, alla costituzione di una Commissione “integrata”.
Nelle intenzioni del legislatore, la “certificazione” dovrebbe dunque rappresentare una tecnica attraverso cui le parti di un contratto individuale di lavoro pervengono, anche grazie all’aiuto di apposite strutture specializzate, a una precisa qualificazione del contratto di lavoro che tra esse intercorre. Le procedure di certificazione (attivate volontariamente dalle parti) dovrebbero pertanto “rendere certa” tra le stesse la “natura” del contratto di lavoro (subordinato o autonomo) ed eventualmente il tipo (ad es. intermittente, ripartito, a tempo parziale, a progetto).
Quali gli effetti che si possono attendere dalla certificazione?
Poiché a contratti diversi si applicano discipline diverse, la certificazione ha innanzitutto la finalità di rendere certo il novero dei diritti e degli obblighi che gravano su ciascuna delle parti. Ciò anche al fine di evitare loro inattese conseguenze patrimoniali che spesso derivano da una sentenza di condanna, per il periodo in cui il rapporto ha già avuto esecuzione sulla base di un contratto poi diversamente qualificato dal giudice (questo accade, ad es., quando il datore di lavoro abbia omesso di corrispondere il trattamento previsto per il lavoratore subordinato, nella convinzione che si trattasse di lavoro autonomo: la sentenza del giudice che qualifica quel rapporto come lavoro subordinato condannerà lo stesso datore alla corresponsione del trattamento retributivo e contributivo per il periodo pregresso).
La certificazione vorrebbe poi contribuire a ridurre l’abnorme contenzioso pendente dinanzi ai giudici del lavoro proprio in tema di qualificazione del contratto di lavoro (in particolare con riferimento alla natura subordinata o autonoma di esso). In tal senso, certificare ex ante natura e tipologia contrattuale dovrebbe avere l’effetto di prevenire il contenzioso successivo (a contratto già in esecuzione o, come spesso accade, a rapporto contrattuale già estinto) di fronte al giudice.
Lo strumento non va però enfatizzato, pena la caduta in amare delusioni.
La qualificazione operata in sede di certificazione non vincola, una volta per tutte, le parti e il giudice ad applicare la disciplina corrispondente al tipo certificato.
E’ la legge stessa infatti a prevedere che le parti e i terzi, nella cui sfera giuridica l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti, possano impugnarlo, sia per erronea qualificazione del contratto, sia per difformità nella sua attuazione, sia per vizi del consenso tra le parti (non avrebbe potuto essere diversamente, d’altronde, poiché sarebbe stata incostituzionale una previsione di legge volta a impedire alle parti il ricorso giurisdizionale).
Inoltre, la legge prevede che l’accertamento da parte del giudice dell’erroneità della certificazione abbia effetto fin dal momento della stipulazione del contratto: questo comporta che le risultanze della precedente certificazione vengano travolte con effetto retroattivo per effetto del provvedimento giurisdizionale, sicché la certificazione non è in grado di garantire certezza alcuna alle parti (poiché gli effetti derivanti dal contratto certificato possono essere cancellati retroattivamente dalla diversa qualificazione operata dal giudice).
Queste premesse non impediscono che, di fatto, la certificazione possa sortire effetti non irrilevanti. Si tenga presente, a tal proposito, che la certificazione dovrà essere effettuata sulla base degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, contenuti in appositi “moduli o formulari” predisposti dal
Ministero del Welfare, nonché sulla base di “codici di buone pratiche” (predisposti dallo stesso Ministero) per l’individuazione delle clausole indisponibili dalle parti in relazione a ogni tipologia contrattuale, e contenenti altre indicazioni fornite dagli accordi interconfederali; se a ciò si aggiunge che l’organo certificatore può assumere una certa autorevolezza (si pensi a commissioni presiedute da soggetti di chiara fama, competenza ed esperienza nell’ambito del diritto del lavoro e delle relazioni industriali), si evince che una certificazione autorevole, aderente ai prevalenti orientamenti giurisprudenziali, rispondente alle indicazioni delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, è in grado di conseguire, nei fatti, una garanzia di uniformità e solidità della disciplina, con scoraggiamento dei comportamenti devianti.
e) l’ampia gamma di contratti di lavoro esistenti e le continue novità legislative richiedono un’opera di informazione costante in primo luogo dei giovani in ingresso nel mercato del lavoro, spesso disorientati di fronte all’evoluzione in atto. Per queste ragioni sembrerebbe opportuna una campagna di informazione/formazione volta a rendere consapevoli i giovani (ed i principali protagonisti del processo educativo: le famiglie e gli insegnanti) delle caratteristiche fondamentali dei vari tipi di contratto.
L’obiettivo è quello di rendere i giovani capaci di scegliere con cognizione di causa, valutando serenamente vantaggi e svantaggi.
Se la si ritiene adatta al contesto locale, potrebbe essere realizzata anche una specifica campagna a sostegno della diffusione del part-time che, come è noto, nel nostro Paese ha tassi di utilizzo molto più bassi di altri Paesi dell’Unione europea. Questa iniziativa può essere inquadrata nell’ambito della strategia volta ad innalzare i tassi di occupazione (in specie quello femminile e quello dei lavoratori ultra cinquantenni).
f) un ultimo ed ambizioso obiettivo per la politica locale del lavoro (anche se le risorse richieste renderebbero più opportuno un intervento da parte della Regione) può essere segnalato nel sostegno finanziario ad enti bilaterali che prevedano di erogare ai lavoratori prestazioni integrative o complementari a carattere previdenziale in particolare per quanto riguarda il sostegno al reddito nei periodi di disoccupazione involontaria. In concreto potrebbe ipotizzarsi un contributo destinato a coprire una quota degli oneri sostenuti dall’Ente bilaterale. Questo intervento potrebbe offrire forme di tutela oggi inesistenti ai lavoratori impiegati in lavori caratterizzati da alta discontinuità, mobilizzando risorse private ed attribuendo notevoli responsabilità alle parti sociali.
PARTE SECONDA: Un’analisi sulla base dell’Indagine sulle Forze di lavoro e i dati INPS
1.4 La flessibilità del lavoro: alcune riflessioni
I paesi industrializzati, nel corso degli anni ’90, hanno registrato una crescita particolarmente accentuata di forme atipiche di rapporti di lavoro, più articolate e flessibili rispetto al modello standard a tempo pieno e a tempo indeterminato. Questa crescente diversificazione dei rapporti di impiego, caratterizzata da modalità contrattuali meno stabili e più flessibili, determina un progressivo allontanamento dal rapporto standard a tempo pieno e permanente che, tuttavia, può manifestarsi in modi diversi nei differenti contesti nazionali e locali: anche in Italia, esistono rilevanti differenze territoriali nella diffusione dei rapporti di lavoro atipici, nelle caratteristiche di coloro che sono occupati con queste tipologie contrattuali, nei tassi di trasformazione di queste forme di lavoro in occupazioni a tempo pieno e a tempo indeterminato, nelle modalità di utilizzo di ciascun istituto contrattuale.
Il crescente ricorso a forme di lavoro atipico ha indotto una maggiore attenzione sulla flessibilità del lavoro nelle sue diverse accezioni (oraria, salariale, interna/esterna, ecc.) e sugli interventi di deregolazione dei regimi di protezione dell’impiego nei diversi contesti nazionali (Xxxxxxx, 1996; Xxxxxx-Xxxxxxxx e Xxxxxx, 2000; Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx, 1990; Xxxxxxxxx, 1998). Sia pure mantenendo la struttura portante dei propri sistemi di welfare e di protezione del lavoro, quasi tutti i Paesi Europei hanno adottato, con intensità diversa, forme di liberalizzazione dei contratti di lavoro e norme più elastiche sui licenziamenti, anche sulla spinta delle indicazioni sempre più pressanti di alcuni organismi sovranazionali, quali l’UE e l’OECD, che identificano, nella rigidità del mercato del lavoro, una delle principali cause della disoccupazione e della scarsa capacità di creare nuova occupazione in Europa. Tuttavia, appare opportuno sottolineare che queste problematiche “comuni” possono essere affrontate mediante interventi (deregolazione, neo-regolazione, mix di entrambe), che possono essere diversi, non solo tra Paesi, ma anche tra aree territoriali all’interno di ciascun Paese e tra un’area di policy e l’altra (Regini, 2000).
La teoria economica, comunque, non ha ancora dimostrato né l’esistenza di un legame tra una minore protezione del lavoro ed una migliore efficienza del mercato del lavoro, (intesa come effetto positivo sui livelli di occupazione), né la relazione inversa, ovvero che ad un’elevata rigidità delle forme di impiego corrisponda un basso rendimento del mercato del lavoro (Xxxxx Xxxxxxxx e Semenza, 2001).
Nel corso degli anni ’90, diversi studi comparativi hanno studiato gli effetti dei sistemi di protezione dell’occupazione sulla performance del mercato del lavoro senza giungere all’individuazione, sia a livello teorico sia a livello empirico, di un chiaro legame tra disoccupazione media in un paese e rigidità dei regimi di protezione dell’impiego (Bertola, 1999; Xxxxxxxxx, 1998; Xxxxx, 0000; Xxxxxxx, 1997; OECD, 1999). A livello teorico, la presenza di costi di aggiustamento ha effetti poco rilevanti sulla disoccupazione: le imprese riducono meno l’occupazione a fronte di shock negativi e la aumentano di meno in seguito a shock positivi per il timore di dover fronteggiare costi di licenziamento, qualora abbiano la necessità di ridurre il numero di addetti nei periodi successivi (Bentolilla e Xxxxxxx, 1990). La presenza di rigidità può dunque spiegare la scarsa reattività dell’occupazione europea a fronte di shock positivi, ma risulta poco utile per spiegare l’elevato livello di disoccupazione media. A ciò si aggiunga che anche l’analisi empirica non sembra mostrare effetti significativi delle rigidità sul tasso medio di disoccupazione (OECD, 1999).
Ciò che, invece, emerge dall’analisi teorica ed empirica è il fatto che le rigidità abbiano effetti rilevanti sul tasso di turnover, sui flussi in entrata ed uscita dalla disoccupazione e sulla durata media della disoccupazione. I Paesi caratterizzati da un elevata rigidità offrono un elevato grado di protezione agli occupati, dando dunque ad essi maggiore potere contrattuale, con la conseguenza di elevati salari reali (Bertola, 1998) e di un incremento della segmentazione sul mercato tra insiders e outsiders. I disoccupati, specie se alla ricerca di prima occupazione, incontrano elevate barriere all’entrata e ciò contribuisce ad incrementare la durata media della disoccupazione. Le restrizioni hanno un forte impatto sulla composizione della disoccupazione. Sono, infatti, soprattutto i giovani e le donne a subire gli effetti negativi delle restrizioni ai licenziamenti: la disoccupazione giovanile, per esempio, risulta correlata positivamente con il grado di rigidità che caratterizza il mercato del lavoro (OECD, 1999). L’incremento della durata media della disoccupazione crea, inoltre, ulteriori effetti indiretti alimentando una sorta di circolo vizioso (modelli di isteresi): i disoccupati di lunga durata esercitano pressioni assai limitate sui salari e ciò rende più difficile la loro uscita dalla disoccupazione.
Il modello rigido di regolazione del mercato del lavoro italiano, affermatosi negli anni ’50 e ’60, è stato progressivamente riformato nel corso degli anni ’90 grazie ad una serie di interventi incrementali (alcuni dei quali ricordati nell’introduzione) che hanno modificato il sistema di regolazione dei rapporti di lavoro nel suo insieme, senza modificare però il sistema di welfare (Paci, 1998: Xxxxx Xxxxxxxx, 2000). Vi è dunque stata una transizione da un’estrema rigidità del mercato del lavoro ad una fase di flessibilità regolata (Xxxxxxx e Xxxxxx, 1995; Xxxxxx-Xxxxxxxx e Xxxxxx, 2000: Xxxxxxx et al, 2002), contrassegnata dalla crescita dei cosiddetti contratti atipici.
La maggiore articolazione dei rapporti di lavoro costituisce una delle risposte del sistema economico alle nuove esigenze della domanda di lavoro, dettate sia da una maggiore variabilità del mercato sia dalle nuove tecnologie, che richiedono un diverso modo di erogazione del lavoro (spesso attraverso rapporti di lavoro a tempo parziale e/o a tempo determinato) e che non corrispondono più al precedente modello di organizzazione produttiva, storicamente determinato e fondato quasi esclusivamente sul rapporto di lavoro alle dipendenze stabile (Xxxxx Xxxxxxxx e Semenza, 2001). Nello stesso tempo, alle esigenze della domanda di lavoro, si è affiancato un mutamento culturale almeno di una parte delle forze di lavoro (giovani, donne, offerta di lavoro qualificata-istruita), che risulta nel complesso più aperta a soluzioni lavorative, anche autonome, che possono variare in relazione alle diverse fasi del ciclo di vita (Xxxxx Xxxxxxxx e Semenza, 2003).
1.5 Il lavoro parasubordinato
I dati INPS sulla gestione separata2 ci consentono di avere informazioni sul lavoro parasubordinato, ossia su quel particolare segmento del lavoro atipico che di fatto non è riconducibile né al lavoro alle dipendenze né a quello autonomo. Tali dati riguardano i collaboratori coordinati e continuativi, i professionisti non iscritti ad alcun albo professionale e i collaboratori/professionisti, mentre non si dispongono informazioni sui collaboratori occasionali. Si tratta, in altri termini, di tipologie contrattuali che prevedono un certa flessibilità nell’orario e nell’organizzazione del lavoro, ma che a volte assumono la forma di vere e propri rapporti di lavoro alle dipendenze. Prima di procedere nell’analisi dei dati dell’Osservatorio INPS sui lavoratori parasubordinati, occorre sottolineare che si tratta di dati di natura cumulativa, che comprendono tutti coloro che si sono iscritti e che non sono stati cancellati seppur nel tempo fosse cambiata la natura del loro rapporto contrattuale. Di conseguenza, probabilmente, questi dati potrebbero essere sovrastimati rispetto alle posizioni effettivamente attive.
In Italia, al 31-12-2002, alla gestione separata INPS risultavano iscritti 2.392.257 lavoratori parasubordinati3, di cui il 90,0% rappresentato da collaboratori coordinati e continuativi ed il resto suddiviso tra professionisti (7,9%) e collaboratori/professionisti (2,1%) (Figura 11.1). Rispetto al 1996, il numero totale degli iscritti è cresciuto costantemente (+ 145% tra il 1996 e il 2002).
Figura 11.1 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Italia (31 dicembre 2002)
Professionisti
7,9%
Collaboratori/ Professionisti
2.1%
Collaboratori
90,0%
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
2 La Gestione ha iniziato ad operare dal 1° aprile 1996 (dal 30 giugno 1996 per i pensionati o iscritti ad altre forme pensionistiche obbligatorie) e ha previsto per gli iscritti aliquote contributive relativamente basse rispetto a quelle in vigore nelle altre Gestioni assicurative dell’INPS: le attuali (anno 2002) sono del 10% per i soggetti coperti da altre forme di previdenza e per i pensionati e del 14% per i soggetti privi di tutela previdenziale.
Il lavoro parasubordinato è una tipologia contrattuale che vede una leggera prevalenza della componente maschile su quella femminile (il 53,8% del totale degli iscritti al 31 dicembre 2002), tuttavia nel tempo la quota di donne ha guadagnato peso sul totale (oltre sei punti percentuali tra il 1996 ed il 2000), grazie in modo particolare al notevole incremento delle occupate con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Tabelle 11.1 e 11.2).
3 I dati (in valore assoluto) relativi ai lavoratori parasubordinati in Italia, Lombardia e provincia di Cremona al 31 dicembre 2002 sono riportati in Appendice A.
Tabella 11. 1 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Italia (Anni 1996 – 2002)
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Anno | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
1996 | 58.6 | 41.4 | 100 | 71.4 | 28.6 | 100 | 61.8 | 38.2 | 100 | 60.0 | 40.0 | 100 |
1997 | 55.3 | 44.7 | 100 | 71.0 | 29.0 | 100 | 62.2 | 37.8 | 100 | 56.9 | 43.1 | 100 |
1998 | 54.3 | 45.7 | 100 | 69.9 | 30.1 | 100 | 63.5 | 36.5 | 100 | 55.9 | 44.1 | 100 |
1999 | 53.7 | 46.3 | 100 | 68.8 | 31.2 | 100 | 63.7 | 36.3 | 100 | 55.3 | 44.7 | 100 |
2000 | 53.1 | 46.9 | 100 | 68.1 | 31.9 | 100 | 63.6 | 36.4 | 100 | 54.7 | 45.3 | 100 |
2001 | 52.6 | 47.4 | 100 | 67.8 | 32.2 | 100 | 63.2 | 36.8 | 100 | 54.1 | 45.9 | 100 |
2002 | 52.4 | 47.6 | 100 | 67.3 | 32.7 | 100 | 63.2 | 36.8 | 100 | 53.8 | 46.2 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Tabella 11.2 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Italia. Numeri indici (Anno base = 1996)
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Anno | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
1996 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
1997 | 125.0 | 143.0 | 132.4 | 118.2 | 120.8 | 118.9 | 142.0 | 139.9 | 141.2 | 124.3 | 141.2 | 131.1 |
1998 | 147.3 | 175.6 | 159.0 | 132.2 | 142.0 | 135.0 | 229.9 | 214.5 | 224.0 | 146.3 | 173.4 | 157.2 |
1999 | 166.4 | 203.0 | 181.5 | 143.9 | 163.0 | 149.4 | 293.4 | 270.9 | 284.8 | 165.0 | 200.6 | 179.2 |
2000 | 179.0 | 223.6 | 197.4 | 151.9 | 178.0 | 159.4 | 335.0 | 310.6 | 325.7 | 177.3 | 221.0 | 194.8 |
2001 | 198.1 | 252.9 | 220.8 | 159.2 | 189.1 | 167.7 | 397.3 | 375.3 | 388.9 | 195.4 | 249.3 | 217.0 |
2002 | 224.9 | 288.9 | 251.4 | 167.5 | 203.4 | 177.8 | 456.3 | 430.9 | 446.6 | 220.2 | 283.8 | 245.6 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
52
Il numero di iscritti alla gestione separata INPS in Lombardia, tra il 1996 ed il 2002, è cresciuto in maniera progressiva (+ 114%), anche se in misura leggermente meno sostenuta rispetto al dato nazionale (+ 145%) (Tabella 11.4). Al 31 dicembre 2002, i lavoratori parasubordinati a livello regionale si attestano a 519.398 unità, incidendo in misura particolarmente rilevante sul totale dei lavoratori parasubordinati in Italia (il 21,7%). In linea con quanto si verifica a livello nazionale, gran parte degli iscritti alla gestione separata INPS (sempre alla stessa data) è costituto da collaboratori coordinati e continuativi (l’89,8%) (Figura 11.2).
Figura 11.2 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Lombardia (31 dicembre 2002)
Professionisti
7,9%
Collaboratori/ Professionisti
2.3%
Collaboratori
89,8%
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Anche in Lombardia, nonostante nel corso degli anni la quota di donne sia cresciuta, recuperando peso sul totale degli iscritti alla gestione separata (quasi 6 punti percentuali in più tra il 1996 ed il 2002), grazie soprattutto al sostenuto aumento delle occupate con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i lavoratori parasubordinati sono prevalentemente uomini (il 55,6% del totale al 31 dicembre 2002) (Tabelle 11.3 e 11.4).
53
Tabella 11.3 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Lombardia (Anni 1996 – 2002)
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Anno | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
1996 | 60.5 | 39.5 | 100 | 70.2 | 29.8 | 100 | 64.8 | 35.2 | 100 | 61.5 | 38.5 | 100 |
1997 | 57.8 | 42.2 | 100 | 69.7 | 30.3 | 100 | 64.9 | 35.1 | 100 | 59.0 | 41.0 | 100 |
1998 | 56.6 | 43.4 | 100 | 69.0 | 31.0 | 100 | 65.1 | 34.9 | 100 | 57.8 | 42.2 | 100 |
1999 | 55.8 | 44.2 | 100 | 68.3 | 31.7 | 100 | 65.1 | 34.9 | 100 | 57.0 | 43.0 | 100 |
2000 | 55.2 | 44.8 | 100 | 68.1 | 31.9 | 100 | 64.7 | 35.3 | 100 | 56.5 | 43.5 | 100 |
2001 | 54.8 | 45.2 | 100 | 67.8 | 32.2 | 100 | 64.2 | 35.8 | 100 | 56.1 | 43.9 | 100 |
2002 | 54.4 | 45.6 | 100 | 67.2 | 32.8 | 100 | 64.5 | 35.5 | 100 | 55.6 | 44.4 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Tabella 11.4 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Lombardia. Numeri indici (Anno base = 1996)
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Anno | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
1996 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 |
1997 | 119.3 | 133.2 | 124.8 | 114.2 | 116.9 | 115.0 | 137.7 | 136.9 | 137.4 | 118.9 | 131.9 | 123.9 |
1998 | 137.3 | 161.6 | 146.9 | 126.1 | 133.2 | 128.2 | 225.7 | 222.6 | 224.6 | 137.0 | 159.9 | 145.8 |
1999 | 152.8 | 185.8 | 165.9 | 137.0 | 149.9 | 140.9 | 300.1 | 296.3 | 298.7 | 152.7 | 184.0 | 164.7 |
2000 | 162.2 | 202.0 | 177.9 | 143.5 | 158.4 | 147.9 | 336.8 | 338.3 | 337.3 | 162.0 | 199.9 | 176.6 |
2001 | 176.1 | 222.7 | 194.5 | 150.3 | 168.2 | 155.7 | 392.6 | 402.2 | 396.0 | 175.6 | 220.2 | 192.7 |
2002 | 194.8 | 250.3 | 216.7 | 157.7 | 181.1 | 164.6 | 455.2 | 460.7 | 457.2 | 193.4 | 246.9 | 214.0 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
54
La provincia di Cremona occupava, al 31 dicembre 2002, 15.367 lavoratori subordinati, pari al 3,0% dei parasubordinati in Lombardia. Nel complesso tra il 1996 ed il 2002, anche in provincia di Cremona il lavoro parasubordinato è un fenomeno in crescita (+ 130%) (Tabella 11.6 e Figura 11.4), anche se moderatamente meno sostenuta rispetto al dato italiano (+145%), ma certamente più accentuata rispetto a quello regionale (+114%), che riguarda maggiormente i collaboratori/professionisti rispetto alle altre tipologie, anche se il loro peso rimane tuttavia piuttosto modesto (2,1%). Sono, infatti, i collaboratori coordinati e continuativi che, in linea con quanto avviene a livello sia nazionale sia regionale, rappresentano la maggioranza degli iscritti alla gestione separata INPS al 31 dicembre 2002 (il 90,3%) (Figura 11.3).
Figura 11. 3 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Lombardia (31 dicembre 2002)
Professionisti
7,6%
Collaboratori/
Professionisti 2.1%
Collaboratori
90,3%
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Il 55,6% dei lavoratori parasubordinati in provincia di Cremona è di sesso maschile (Tabella 11.5), un dato assolutamente in linea con quello regionale (55,6%) e, comunque, superiore a quello nazionale (53,8%). D’altra parte, invece, la percentuale di lavoratrici parasubordinate è cresciuta nel tempo di circa sette punti percentuali, attestandosi al 31 dicembre 2002 al 44,4%, un dato in linea con quello regionale ma inferiore a quello nazionale (46,2%). In altri termini, in provincia di Cremona non emergono differenze rispetto alla Lombardia per quanto riguarda la composizione per sesso dei lavoratori parasubordinati, mentre rispetto al dato italiano i parasubordinati cremonesi appartengono in misura maggiore alla componente maschile. Tuttavia, il fenomeno della crescente
femminilizzazione del parasubordinato (+ 173% contro + 104% del dato maschile nel periodo 1996- 2002) si verifica anche in provincia di Cremona con le stesse modalità riscontrate a livello sia regionale sia nazionale e che vedono soprattutto aumentare le collaboratrici/professioniste e le collaboratrici coordinate e continuative (Figura 11.4 e Tabella 11.6).
Tabella 11.5 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Provincia di Cremona (Anni 1996 – 2002)
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Anno | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
1996 | 61.0 | 39.0 | 100 | 75.5 | 24.5 | 100 | 66.0 | 34.0 | 100 | 62.6 | 37.4 | 100 |
1997 | 57.5 | 42.5 | 100 | 72.6 | 27.4 | 100 | 69.4 | 30.6 | 100 | 59.1 | 40.9 | 100 |
1998 | 56.1 | 43.9 | 100 | 72.2 | 27.8 | 100 | 69.0 | 31.0 | 100 | 57.7 | 42.3 | 100 |
1999 | 55.9 | 44.1 | 100 | 72.6 | 27.4 | 100 | 67.5 | 32.5 | 100 | 57.6 | 42.4 | 100 |
2000 | 55.3 | 44.7 | 100 | 71.5 | 28.5 | 100 | 69.3 | 30.7 | 100 | 57.0 | 43.0 | 100 |
2001 | 54.9 | 45.1 | 100 | 70.1 | 29.9 | 100 | 67.3 | 32.7 | 100 | 56.4 | 43.6 | 100 |
2002 | 54.2 | 45.8 | 100 | 68.5 | 31.5 | 100 | 67.0 | 33.0 | 100 | 55.6 | 44.4 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Tabella 11.6 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Provincia di Cremona. Numeri indici (Anno base = 1996)
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Anno | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
1996 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 |
1997 | 118.9 | 137.9 | 126.3 | 114.4 | 132.7 | 118.9 | 110.0 | 94.4 | 104.7 | 118.2 | 136.9 | 125.2 |
1998 | 138.6 | 170.2 | 150.9 | 128.9 | 152.7 | 134.8 | 171.4 | 150.0 | 164.2 | 138.0 | 168.8 | 149.5 |
1999 | 156.0 | 192.8 | 170.4 | 138.0 | 160.0 | 143.4 | 204.3 | 191.7 | 200.0 | 154.6 | 190.6 | 168.1 |
2000 | 169.2 | 214.2 | 186.7 | 146.3 | 179.4 | 154.4 | 238.6 | 205.6 | 227.4 | 167.6 | 211.7 | 184.1 |
2001 | 188.9 | 242.8 | 209.9 | 152.2 | 200.0 | 163.9 | 267.1 | 252.8 | 262.3 | 185.7 | 240.1 | 206.1 |
2002 | 209.3 | 276.6 | 235.6 | 157.9 | 223.6 | 174.0 | 307.1 | 294.4 | 302.8 | 204.7 | 273.4 | 230.4 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Figura 11.4 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati in provincia di Cremona. Numeri indici (Anno base = 1996)
300
250
200
150
100
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
Maschi Femmine Italia
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
La Tabella 11.7 presenta la distribuzione per classi d’età del lavorato parasubordinato in provincia di Cremona, in Lombardia e in Italia sia complessivamente sia distinguendo per le diverse tipologie di iscrizione che vi rientrano.
In provincia di Cremona, le donne parasubordinate si concentrano soprattutto al di sotto dei 40 anni (63,1%), implicando quindi che difficilmente il ricorso a queste forme di lavoro atipico rappresenta per le donne un percorso professionale qualificato ma spesso una scelta obbligata per inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro. Gli uomini, invece, lavorano con queste modalità contrattuali anche oltre i 50 anni (il 38,1% del totale): il lavoro parasubordinato costituisce dunque per questi ultimi o una modalità di lavoro alternativa rispetto al lavoro sia autonomo sia dipendente o un possibile strumento di integrazione economica alla pensione oppure un’opportunità per poter proseguire la propria attività lavorativa.
La distribuzione per classi d’età, a livello provinciale, del lavoro parasubordinato nel suo complesso non sembra discostarsi in maniera significativa rispetto a quella regionale, mentre alcune differenze emergono con quella nazionale. Le principali si riscontano nel fatto che mediamente in provincia di Cremona, rispetto all’Italia, ci sono meno lavoratori parasubordinati nella fascia di età compresa tra i 30 ed i 39 anni (il 28,3% del totale contro il 32,1%) e più lavoratori subordinati con oltre 50 anni (il 28,9% contro il 25,7%).
Abbiamo già avuto modo di rilevare come, nell’ambito del lavoro parasubordinato, la tipologia decisamente prevalente siano i collaboratori coordinati e continuativi e questo è vero sia a livello
locale (regionale e provinciale) sia a livello nazionale. Tuttavia, mentre in Lombardia ed in provincia di Cremona più della metà dei collaboratori coordinati e continuativi si concentra nelle fasce d’età estreme (meno di 29 anni e oltre 50 anni), in Italia essi si concentrano soprattutto tra i 30 ed i 50 anni (il 52,1%).
Infine, sia a livello nazionale sia regionale e provinciale, la maggior parte dei professionisti e dei collaboratori/professionisti si concentra per il 60% circa (ed oltre) tra i 30 ed i 50 anni.
Tabella 11.7 _ Lavoratori parasubordinati per classi d’età, sesso e tipologia di iscrizione. Italia, Lombardia e provincia di Cremona (31 dicembre 2002)
Cremona | ||||||||||||
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Classe di età | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
<20 | 0.6 | 0.9 | 0.8 | 0.0 | 0.5 | 0.2 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.6 | 0.9 | 0.7 |
20-24 | 4.2 | 10.5 | 7.1 | 1.6 | 3.0 | 2.0 | 4.2 | 1.9 | 3.4 | 4.0 | 9.9 | 6.6 |
25-29 | 10.5 | 20.9 | 15.3 | 9.1 | 15.4 | 11.1 | 9.3 | 12.3 | 10.3 | 10.4 | 20.5 | 14.9 |
30-39 | 24.6 | 31.2 | 27.6 | 31.5 | 37.4 | 33.4 | 32.6 | 50.0 | 38.3 | 25.5 | 31.8 | 28.3 |
40-49 | 20.9 | 19.1 | 20.1 | 26.4 | 27.4 | 26.7 | 24.2 | 22.6 | 23.7 | 21.5 | 19.6 | 20.7 |
50-59 | 21.8 | 12.2 | 17.4 | 21.3 | 12.5 | 18.5 | 19.1 | 5.7 | 14.6 | 21.7 | 12.1 | 17.5 |
>60 | 17.2 | 5.2 | 11.7 | 10.0 | 3.8 | 8.0 | 10.7 | 7.5 | 9.7 | 16.4 | 5.2 | 11.4 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Lombardia | ||||||||||||
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Classe di età | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
<20 | 0.4 | 0.5 | 0.5 | 0.0 | 0.1 | 0.1 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.3 | 0.5 | 0.4 |
20-24 | 4.3 | 8.0 | 6.0 | 1.8 | 2.0 | 1.9 | 1.4 | 1.3 | 1.4 | 4.0 | 7.5 | 5.5 |
25-29 | 11.3 | 19.0 | 14.8 | 8.6 | 11.2 | 9.4 | 9.8 | 13.5 | 11.1 | 11.0 | 18.5 | 14.3 |
30-39 | 26.7 | 32.5 | 29.3 | 31.2 | 40.0 | 34.1 | 35.2 | 46.1 | 39.1 | 27.3 | 33.2 | 29.9 |
40-49 | 20.6 | 18.9 | 19.8 | 25.2 | 25.8 | 25.4 | 24.2 | 21.7 | 23.3 | 21.1 | 19.3 | 20.3 |
50-59 | 19.6 | 13.9 | 17.0 | 19.0 | 15.0 | 17.7 | 18.1 | 13.1 | 16.3 | 19.5 | 14.0 | 17.0 |
>60 | 17.2 | 7.1 | 12.6 | 14.2 | 5.9 | 11.5 | 11.2 | 4.3 | 8.8 | 16.8 | 7.0 | 12.5 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Italia | ||||||||||||
Collaboratori | Professionisti | Collaboratori/Professionisti | Totale Iscritti | |||||||||
Classe di età | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale | Maschi | Femmine | Totale |
<20 | 0.4 | 0.5 | 0.4 | 0.0 | 0.1 | 0.1 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.3 | 0.4 | 0.4 |
20-24 | 4.3 | 8.2 | 6.2 | 1.9 | 2.7 | 2.2 | 1.3 | 2.1 | 1.6 | 4.0 | 7.8 | 5.8 |
25-29 | 11.8 | 19.5 | 15.5 | 8.9 | 13.8 | 10.5 | 9.1 | 14.9 | 11.2 | 11.5 | 19.1 | 15.0 |
30-39 | 28.3 | 35.3 | 31.6 | 32.3 | 42.7 | 35.7 | 37.0 | 47.5 | 40.9 | 28.9 | 35.9 | 32.1 |
40-49 | 21.5 | 19.5 | 20.5 | 26.5 | 24.8 | 25.9 | 25.3 | 21.4 | 23.9 | 22.1 | 19.8 | 21.0 |
50-59 | 18.6 | 11.6 | 15.3 | 19.1 | 11.8 | 16.7 | 17.5 | 10.5 | 14.9 | 18.6 | 11.6 | 15.4 |
>60 | 15.1 | 5.5 | 10.5 | 11.3 | 4.2 | 9.0 | 9.8 | 3.6 | 7.5 | 14.6 | 5.4 | 10.3 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
1.6 L’occupazione a tempo parziale
I dati ISTAT sulle forze di lavoro consentono di analizzare le principali caratteristiche degli individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione a tempo parziale, rispetto a coloro che invece lavorano a tempo pieno4. L’analisi sarà svolta principalmente con riferimento all’anno 2002, con alcuni confronti con quella che, invece, era la situazione nel 2000 per quanto riguarda i dati di carattere più generale.
La provincia di Cremona, nel 2002, presenta un’incidenza dell’occupazione part-time sul totale dell’occupazione pari all’8,1%, abbastanza in linea, quindi, con il dato nazionale (8,6%) ma inferiore a quello regionale (9,3%) (Tabella 12.1). Come era lecito attendersi, l’occupazione part- time rappresenta una forma di impiego con un elevato tasso di femminilizzazione a livello sia nazionale sia locale (regione e provincia): in provincia di Cremona, la percentuale di donne che lavorano a tempo parziale si attesta al 16,2% rispetto al 2,4% degli uomini. Questo dato sull’occupazione part-time a livello provinciale è assolutamente in linea con quello nazionale (16,9%), ma è la Lombardia che presenta la percentuale più elevata di donne che lavorano con questa tipologia contrattuale (18,3%).
In un sintetico confronto con il 2000, si osserva essenzialmente che nel 2002 l’incidenza dell’occupazione a tempo parziale in provincia di Cremona è leggermente diminuita e che tale riduzione ha interessato esclusivamente la componente femminile, mentre la percentuale di uomini con un’occupazione part-time è leggermente aumentata. Tuttavia, tra il 2000 ed il 2002, la diffusione dell’occupazione part-time a livello provinciale è cresciuta del 35,2%, passando da 8.750 a 11.829 unità; nel confronto tra i due anni, l’occupazione totale ha fatto registrare un incremento ancora più consistente di quello dell’occupazione a tempo parziale (+42,6%, pari a 43.755 unità in più)5 (Tabella 12.2). E’ evidente che un ampliamento della base occupazionale complessiva mediamente superiore a quello dell’occupazione part-time implica anche una crescita dell’altra componente dell’occupazione (quella a tempo pieno), che, infatti, mostra un incremento pari al 43,3% (passando, quindi, da 94.015 a 134.692 unità). Sia per gli uomini sia per le donne, l’andamento è positivo per entrambe le forme di impiego (full-time e part-time), anche se l’aumento dell’occupazione part-time è molto più marcato per gli uomini (46,7% contro il 32,9% delle donne),
4
L’indicazione sul tipo di orario svolto si desume da una domanda della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro rivolta a tutti gli occupati. Tale quesito coglie per i lavoratori dipendenti la definizione contrattuale del tempo parziale e del tempo pieno, mentre nel caso del lavoro autonomo il tempo parziale si riferisce ad una percezione personale della distribuzione del tempo di lavoro.
5 I dati (in valore assoluto) relativi all’occupazione sia full-time sia part-time nel 2000 e nel 2002 sono riportati in Appendice A.
mentre si verifica il contrario nel caso dell’occupazione full-time (+55,6% per le donne rispetto al
+37,3% degli uomini).
In sostanza, il peso percentuale dell’occupazione part-time sul totale dell’occupazione si è ridotto, sia pure moderatamente, nel confronto tra il 2000 ed il 2002, essenzialmente a causa del fatto che l’incremento dell’occupazione complessiva in provincia di Cremona è risultato essere superiore a quello dell’occupazione part-time (particolarmente nel caso delle donne). In controtendenza, per gli uomini, l’occupazione a tempo parziale è cresciuta più di quella complessiva, giustificando, quindi, l’aumento dell’incidenza dell’occupazione part-time sul totale dell’occupazione.
Tabella 12.1 _ Incidenza percentuale dell’occupazione part-time sull’occupazione totale in Italia, Lombardia e provincia di Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002)
2002 | ||||
Tempo pieno | Tempo parziale | Totale | ||
Uomini | Cremona | 97.6 | 2.4 | 100 |
Lombardia | 97.2 | 2.8 | 100 | |
Italia | 96.5 | 3.5 | 100 | |
Donne | Cremona | 83.1 | 16.9 | 100 |
Lombardia | 81.1 | 18.9 | 100 | |
Italia | 83.1 | 16.9 | 100 | |
Totale | Cremona | 91.9 | 8.1 | 100 |
Lombardia | 90.7 | 9.3 | 100 | |
Italia | 91.4 | 8.6 | 100 | |
2000 | ||||
Tempo pieno | Tempo parziale | Totale | ||
Uomini | Cremona | 97.8 | 2.2 | 100 |
Lombardia | 96.9 | 3.1 | 100 | |
Italia | 96.3 | 3.7 | 100 | |
Donne | Cremona | 80.8 | 19.2 | 100 |
Lombardia | 81.7 | 18.3 | 100 | |
Italia | 83.5 | 16.5 | 100 | |
Totale | Cremona | 91.5 | 8.5 | 100 |
Lombardia | 90.9 | 9.1 | 100 | |
Italia | 91.6 | 8.4 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Tabella 12.2 _ Variazione percentuale [2002- 2000] dell’occupazione complessiva, dell’occupazione part-time e dell’occupazione full-time per sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona
Variazione % 2002-2000 | ||||
Tempo pieno | Tempo parziale | Totale | ||
Uomini | Cremona | 37.3 | 46.7 | 37.5 |
Lombardia | 36.0 | 22.7 | 35.6 | |
Italia | 2.3 | -4.5 | 2.1 | |
Donne | Cremona | 55.6 | 32.9 | 51.2 |
Lombardia | 39.2 | 45.2 | 40.3 | |
Italia | 5.5 | 8.9 | 6.1 | |
Totale | Cremona | 43.3 | 35.2 | 42.6 |
Lombardia | 37.1 | 40.5 | 37.4 | |
Italia | 3.4 | 5.2 | 3.6 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Ma quali sono le principali caratteristiche (età, stato civile, titolo di studio, posizione professionale, settore economico) dei lavoratori a tempo parziale in provincia di Cremona? In altri termini, qual è il ruolo svolto dal lavoro atipico inteso come part-time (o flessibilità nell’orario di lavoro) in ambito provinciale?
Innanzitutto si nota che le donne, nel 2002, in provincia di Cremona, rappresentano l’82,1% degli occupati a tempo parziale (Figura 12.1), un dato in linea con quello della Lombardia (82,0%) ma superiore a quello nazionale (74,6%).
Figura 12.1 _ Composizione percentuale degli occupati a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini 17,9%
Donne 82,1%
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Il part-time, dunque, è scelto principalmente dalle donne, ma in alcuni casi da uomini giovani che cercano di conciliare il lavoro con lo studio: il 16,1% del lavoro part-time maschile si concentra, infatti, nella classe d’età 20-24 anni (Tabella 12.3). In questo senso, il lavoro a tempo parziale può essere utilizzato dagli uomini come forma di primo ingresso sul mercato del lavoro. Nel caso delle donne, invece, il lavoro part-time si concentra essenzialmente nelle classi d’età centrali (il 22,5% tra i 30 ed i 34 anni, il 26,5% tra i 35 e i 39 anni ed il 18,9% tra i 40 ed i 44 anni), a prova del fatto che le donne scelgono questa forma di impiego, in particolar modo, quando devono conciliare il lavoro con gli impegni familiari. Ad ulteriore conferma di ciò, quando si osserva lo stato civile delle donne che lavorano a tempo parziale, si rileva che il 78,8% è coniugato. In conclusione, a partire dai trent’anni, il part-time rappresenta una valida e duratura alternativa al full-time (Xxxxx Xxxxxxxx e Semenza, 2001). Ampliando ulteriormente l’interpretazione di questi dati, si potrebbe sostenere che le donne entrano sul mercato del lavoro cercando un’occupazione a tempo pieno e scelgono il part- time solo successivamente, ovvero allorché rientrano sul mercato del lavoro, dopo essersi formate una famiglia ed aver avuto dei figli.
Per quanto riguarda il titolo di studio, in provincia di Cremona, la percentuale di donne occupate a tempo parziale che hanno al massimo concluso la scuola dell’obbligo si attesta al 33,7% contro il 37,3% di quelle che lavorano full-time. Inoltre, la percentuale di donne con il diploma di licenza media superiore è in media più elevata tra le lavoratrici a tempo parziale (35,3%) piuttosto che tra le lavoratrici a tempo pieno (30,8%). Questi dati sembrerebbero indicare che le donne che lavorano part-time siano mediamente più istruite di quelle che lavorano full-time. Tuttavia, se si prendono in considerazione titoli di istruzioni più elevati, si osserva che le laureate rappresentano l’8,6% ed il 13,7% rispettivamente delle lavoratrici a tempo parziale e delle lavoratrici a tempo pieno. Nel caso degli uomini, invece, sembra emergere in maniera più marcata che quelli che lavorano part-time sono mediamente più istruiti di quelli che lavorano a tempo pieno:
i laureati rappresentano il 15,1% dei lavoratori a tempo parziale ed il 6,7% dei lavoratori a tempo pieno;
tra gli occupati part-time, il 42,3% ha conseguito un diploma di licenza media superiore contro il 29,8% di coloro che sono occupati full-time;
il 40,5% dei lavoratori a tempo pieno ha la licenza media inferiore in confronto al 14,8% dei lavoratori a tempo parziale.
Relativamente alla posizione nella professione, le donne, sia che lavorino full-time sia part-time, sono prevalentemente “impiegate”, anche se la percentuale di lavoratrici a tempo parziale che occupano tale posizione è mediamente più elevata di quella delle lavoratrici a tempo pieno (il
49,6% contro il 41,5%). Nel caso degli uomini, invece, si osserva che il 40,2% di coloro che lavorano full-time sono operai, una percentuale più che doppia rispetto a quella che si riscontra per i lavoratori part-time (17,8%).
Infine, relativamente al settore di attività economica, si evidenzia che le donne occupate a tempo parziale lavorano soprattutto nel commercio (21,6%), mentre quelle occupate a tempo pieno lavorano principalmente nell’industria della trasformazione (27,8%). Gli uomini che lavorano part- time, invece, lavorano innanzitutto nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (25,5%), mentre quelli che lavorano full-time sono maggiormente presenti nell’industria della trasformazione (35,7%).
Tabella 12.3 _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di Cremona. Anno 2002
Tempo pieno | Tempo parziale | |||||
Uomini | Donne | Totale | Uomini | Donne | Totale | |
Età | ||||||
15/19 anni | 1.8 | 0.2 | 1.2 | 3.3 | 0.6 | 1.1 |
20/24 anni | 5.9 | 8.0 | 6.7 | 16.1 | 4.4 | 6.5 |
25/29 anni | 12.5 | 19.0 | 14.8 | 8.9 | 9.0 | 9.0 |
30/34 anni | 16.6 | 16.4 | 16.5 | 13.8 | 22.5 | 20.9 |
35/39 anni | 16.0 | 16.0 | 16.0 | 8.7 | 26.5 | 23.4 |
40/44 anni | 15.8 | 15.1 | 15.6 | 0.0 | 18.9 | 15.5 |
45/49 anni | 11.7 | 10.7 | 11.4 | 9.1 | 10.3 | 10.1 |
50/54 anni | 10.9 | 9.3 | 10.3 | 2.8 | 4.1 | 3.9 |
55/59 anni | 4.8 | 2.8 | 4.1 | 0.0 | 3.1 | 2.6 |
60/64 anni | 2.5 | 1.5 | 2.1 | 20.6 | 0.0 | 3.7 |
65 e oltre | 1.6 | 1.0 | 1.4 | 16.8 | 0.4 | 3.4 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Stato Civile | ||||||
Celibe/Nubile | 38.1 | 36.2 | 37.4 | 49.4 | 14.5 | 20.7 |
Coniugato/a | 59.1 | 57.2 | 58.4 | 50.6 | 78.8 | 73.7 |
Separato/a di fatto | 0.7 | 0.5 | 0.6 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Separato/a legalmente | 1.6 | 2.5 | 1.9 | 0.0 | 3.2 | 2.6 |
Divorziato/a | 0.4 | 1.9 | 0.9 | 0.0 | 2.6 | 2.1 |
Vedovo/a | 0.2 | 1.6 | 0.7 | 0.0 | 1.0 | 0.8 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Titolo di studio | ||||||
Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea | 0.6 | 0.0 | 0.4 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Laurea | 6.7 | 13.7 | 9.2 | 15.1 | 8.6 | 9.8 |
Diploma universitario o laurea breve | 0.7 | 2.3 | 1.2 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Diploma di maturità | 29.8 | 30.8 | 30.2 | 42.3 | 35.3 | 36.5 |
Diploma di qualifica professionale | 10.9 | 15.9 | 12.6 | 7.8 | 22.4 | 19.8 |
Licenza media inferiore | 40.5 | 29.8 | 36.7 | 14.8 | 24.9 | 23.1 |
Licenza elementare | 10.2 | 6.9 | 9.0 | 16.6 | 8.8 | 10.2 |
Nessun titolo | 0.7 | 0.6 | 0.6 | 3.4 | 0.0 | 0.6 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Posizione professionale | ||||||
Dirigente | 2.2 | 0.1 | 1.5 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Direttivo/quadro | 5.0 | 4.1 | 4.7 | 11.1 | 0.6 | 2.5 |
Impiegato/intermedio | 20.7 | 41.5 | 28.1 | 13.9 | 49.6 | 43.2 |
Operaio ed assimilati | 40.5 | 32.8 | 37.7 | 17.8 | 34.2 | 31.3 |
Apprendista | 1.3 | 0.3 | 0.9 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Lavorante presso il domicilio per conto di imprese | 0.0 | 0.2 | 0.1 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Imprenditore | 5.1 | 2.7 | 4.2 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Libero professionista | 4.2 | 4.9 | 4.4 | 26.6 | 1.4 | 5.9 |
Lavoratore in proprio | 18.6 | 9.0 | 15.2 | 21.1 | 3.0 | 6.2 |
Socio di cooperativa | 0.4 | 0.3 | 0.4 | 0.0 | 4.1 | 3.3 |
Coadiuvante in un'impresa familiare | 2.0 | 4.2 | 2.8 | 9.6 | 7.2 | 7.6 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Tabella 12.3 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di Cremona. Anno 2002
Tempo pieno | Tempo parziale | |||||
Uomini | Donne | Totale | Uomini | Donne | Totale | |
Branca d'attività | ||||||
Agricoltura, Caccia e Pesca | 8.4 | 1.5 | 6.0 | 3.4 | 4.0 | 3.9 |
Industria dell'energia e industria estrattiva | 1.8 | 0.4 | 1.3 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Industria della trasformazione | 35.7 | 27.8 | 32.9 | 21.4 | 13.1 | 14.6 |
Costruzioni | 9.2 | 0.9 | 6.3 | 8.7 | 0.6 | 2.0 |
Altre attività: commercio | 15.4 | 12.2 | 14.3 | 13.0 | 21.6 | 20.1 |
Altre attività: alberghi e ristoranti | 3.3 | 4.0 | 3.5 | 2.6 | 9.7 | 8.4 |
Altre attività: trasporti e comunicazione | 4.4 | 2.7 | 3.8 | 9.4 | 0.5 | 2.1 |
Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari | 3.4 | 2.9 | 3.3 | 0.0 | 0.5 | 0.4 |
Altre attività: servizi alle imprese e altre attività professionali e imprenditoriali | 5.0 | 8.7 | 6.3 | 7.3 | 9.0 | 8.7 |
Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie | 4.7 | 6.3 | 5.3 | 2.7 | 6.6 | 5.9 |
Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali | 5.0 | 26.2 | 12.5 | 25.5 | 21.3 | 22.1 |
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone | 3.7 | 6.4 | 4.6 | 6.0 | 12.9 | 11.7 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
1.6.1 I motivi dell’occupazione a tempo parziale
Il ricorso al lavoro part-time nel mercato del lavoro della provincia di Cremona può essere interpretato alla luce della relativa volontarietà di tale posizione contrattuale. L’indagine trimestrale ISTAT sulle forze di lavoro consente, infatti, di verificare quali siano i motivi per cui un individuo lavora a tempo parziale (Tabella 12.4).
Tabella 12.4 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | Donne | Totale | |
Non desidera un lavoro a tempo pieno | 29.1 | 28.6 | 28.7 |
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno | 25.6 | 19.5 | 20.6 |
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale | 6.7 | 2.3 | 3.1 |
Malattia od invalidità | 9.7 | 0.0 | 1.7 |
Motivi personali | 14.9 | 19.6 | 18.8 |
Carichi familiari | 2.8 | 27.1 | 22.7 |
Altri motivi | 11.2 | 2.9 | 4.4 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Le principali motivazioni per cui le donne lavorano part-time sono:
non desidera un lavoro a tempo parziale (28,6%);
motivi personali (19,6%);
carichi familiari (il 27,1%).
In altri termini, considerando come lavoratrici part-time “volontarie” solo coloro che alla domanda sull’orario di lavoro rispondono di lavorare a tempo parziale in quanto non desiderano un lavoro a tempo pieno, la quota di donne che lavorano “volontariamente” part-time si attesta al 28,6%. Tuttavia, considerando anche le altre motivazioni addotte in relazione alla propria condizione di lavoratrici a tempo parziale, è possibile adottare una definizione più ampia di part-time volontario che include, come motivazioni del lavoro part-time, oltre al desiderio di non lavorare full-time, anche i motivi personali, i carichi famigliari ed il fatto di frequentare contemporaneamente corsi scolastici o di formazione professionale, si deduce che oltre due terzi delle donne che lavorano part- time sembra scegliere questa forma di impiego volontariamente, allo scopo di conciliare l’attività lavorativa con la propria vita familiare, confermando quanto sostenuto in precedenza sul lavoro a tempo parziale come valida e duratura alternativa al lavoro a tempo pieno. La quota di part-time femminile involontario (ossia, la percentuale di donne che lavorano a tempo parziale perché non hanno potuto trovare un’occupazione a tempo pieno), si attesta, invece, al 19,5%.
Per quanto riguarda gli uomini che lavorano part-time, invece, si nota che il 29,1% non desidera un lavoro a tempo pieno, mentre il 25,6% non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno (part-time involontario).
Al fine di consentire una migliore interpretazione dei motivi per cui gli individui lavorano a tempo parziale, si è disaggregata l’analisi per sesso e classi d’età (Tabella 12.5). Ciò che emerge è che gli uomini che non desiderano trovare un lavoro a tempo pieno hanno tutti oltre 35 anni, mentre tutti coloro che asseriscono di lavorare part-time, perché frequentano corsi scolastici o corsi di formazione professionale, hanno un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni. Quindi, gli uomini (giovani) lavorano part-time per conciliare l’attività lavorativa con gli impegni di studio. Nel caso delle donne, invece, si nota che la maggior parte delle donne che scelgono volontariamente di lavorare a tempo parziale (perché non desiderano un lavoro a tempo pieno, per motivi personali o per carichi familiari) ha oltre 35 anni. Ancora una volta, sembra trovare conferma il fatto che, per le donne, il part-time rappresenta uno strumento di conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa.
Tabella 12.5 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | 15-24 anni | 25-34 anni | 35 e oltre | Totale |
Non desidera un lavoro a tempo pieno | 0.0 | 0.0 | 100.0 | 100 |
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno | 37.8 | 62.2 | 0.0 | 100 |
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale | 100.0 | 0.0 | 0.0 | 100 |
Malattia od invalidità | 30.8 | 42.5 | 26.9 | 100 |
Motivi personali | 0.0 | 0.0 | 100.1 | 100 |
Carichi familiari | 0.0 | 0.0 | 100.0 | 100 |
Altri motivi | 0.0 | 23.5 | 76.4 | 100 |
Donne | 15-24 anni | 25-34 anni | 35 e oltre | Totale |
Non desidera un lavoro a tempo pieno | 2.1 | 33.0 | 64.9 | 100 |
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno | 6.7 | 56.8 | 36.5 | 100 |
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale | 54.6 | 45.3 | 0.0 | 100 |
Malattia od invalidità | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0 |
Motivi personali | 0.0 | 25.6 | 74.4 | 100 |
Carichi familiari | 4.1 | 14.4 | 81.5 | 100 |
Altri motivi | 27.3 | 35.2 | 37.4 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
1.7 L’occupazione a tempo determinato
I dati ISTAT sulle forze di lavoro ci consentono di analizzare le principali caratteristiche degli individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione dipendente a tempo determinato confrontandole con quelle di coloro che, invece, lavorano alle dipendenze a tempo indeterminato. Anche in questo caso, così come avvenuto per il lavoro part-time, l’analisi sarà svolta principalmente con riferimento all’anno 2002, con alcuni confronti con quella che, invece, era la situazione nel 2000, per quanto riguarda i dati di carattere più generale.
Nel 2002, in provincia di Cremona, la percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli occupati alle dipendenze si è attestata al 6,1%, in linea con quanto registrato a livello regionale (6,5%) ma inferiore al dato nazionale (9,9%) (Tabella 13.1). Le donne con un’occupazione a tempo determinato sono, in termini percentuali, più degli uomini che lavorano con questa forma di impiego: in provincia di Cremona, infatti, la percentuale di donne che lavorano a tempo determinato è pari all’8,9 % in confronto al 3,9% degli uomini. Questo dato provinciale sull’occupazione femminile a tempo determinato è leggermente superiore a quello regionale (8,2%), ma marcatamente inferiore a quello nazionale (12,0%).
Rispetto al 2000, l’incidenza dell’occupazione a tempo determinato in provincia di Cremona nel 2002 si è moderatamente ridotta e questo calo sembra aver interessato quasi esclusivamente la componente femminile, mentre la percentuale di uomini con un’occupazione a tempo determinato è rimasta praticamente inalterata. Nonostante ciò, il numero degli occupati a tempo determinato, tra il 2000 ed il 2002, è cresciuto del 26,7%, passando da 5.137 a 6.508 unità (Tabella 13.2); quindi, la riduzione dell’incidenza di questa forma di impiego è dovuta al fatto che l’occupazione a tempo determinato è cresciuta meno dell’occupazione dipendente complessiva (+ 46,3%, da 73.392 a
107.374 unità)6. Questi dati implicano che conseguentemente anche l’occupazione a tempo indeterminato sia cresciuta, passando da 68.255 a 100.866 unità, con un incremento pari al 47,8%. Sia per gli uomini sia per le donne, l’andamento è positivo per entrambe le forme di impiego, anche se l’aumento dell’occupazione a tempo determinato è molto più elevato per gli uomini (+42,4% contro il +18,9% delle donne), mentre l’occupazione a tempo indeterminato cresce in maniera più marcata per le donne piuttosto che per gli uomini (+63,4% per le donne in confronto al +38,4% degli uomini).
In sintesi, tra il 2000 ed il 2002, l’occupazione a tempo determinato in provincia di Cremona pur essendo aumentata, mostra un incremento in termini percentuali inferiore a quello dell’occupazione
6 I dati (in valore assoluto) relativi all’occupazione sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato nel 2000 e nel 2002 sono riportati in Appendice A.
alle dipendenze e ciò risulta essere vero soprattutto per le donne. Nel caso degli uomini, invece, l’incremento dell’incidenza dell’occupazione a tempo determinato è stato pari ad un decimo di punto percentuale poiché l’occupazione a tempo determinato è aumentata, nel confronto tra il 2000 ed il 2002, in misura leggermente superiore a quella dell’occupazione alle dipendenze.
Tabella 13.1 _ Incidenza percentuale dell’occupazione a tempo determinato sul totale dell’occupazione dipendente in Italia, Lombardia e provincia di Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002)
2002 | ||||
Tempo indeterminato | Tempo determinato | Totale | ||
Uomini | Cremona | 96.1 | 3.9 | 100 |
Lombardia | 94.9 | 5.1 | 100 | |
Italia | 91.6 | 8.4 | 100 | |
Donne | Cremona | 91.1 | 8.9 | 100 |
Lombardia | 91.8 | 8.2 | 100 | |
Italia | 88.0 | 12.0 | 100 | |
Totale | Cremona | 93.9 | 6.1 | 100 |
Lombardia | 93.5 | 6.5 | 100 | |
Italia | 90.1 | 9.9 | 100 | |
2000 | ||||
Tempo indeterminato | Tempo determinato | Totale | ||
Uomini | Cremona | 96.2 | 3.8 | 100 |
Lombardia | 94.6 | 5.4 | 100 | |
Italia | 91.3 | 8.7 | 100 | |
Donne | Cremona | 88.2 | 11.8 | 100 |
Lombardia | 91.0 | 9.0 | 100 | |
Italia | 87.8 | 12.2 | 100 | |
Totale | Cremona | 93.0 | 7.0 | 100 |
Lombardia | 93.1 | 6.9 | 100 | |
Italia | 89.9 | 10.1 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Tabella 13.2 _ Variazione percentuale [2002- 2000] dell’occupazione alle dipendenze complessiva, dell’occupazione dipendente a tempo determinato e dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato per sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona
Variazione % 2002-2000 | ||||
Tempo indeterminato | Tempo determinato | Totale | ||
Uomini | Cremona | 38.4 | 42.4 | 38.6 |
Lombardia | 38.0 | 30.5 | 37.6 | |
Italia | 3.5 | -0.9 | 3.1 | |
Donne | Cremona | 63.4 | 18.9 | 58.1 |
Lombardia | 44.0 | 29.8 | 42.8 | |
Italia | 7.5 | 5.6 | 7.3 | |
Totale | Cremona | 47.8 | 26.7 | 46.3 |
Lombardia | 40.6 | 30.1 | 39.8 | |
Italia | 5.0 | 2.2 | 4.7 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
L’analisi dei dati ci consente di verificare quali siano le principali caratteristiche dell’occupazione a tempo determinato a livello provinciale con riferimento all’anno 2002.
Le donne che lavorano a tempo determinato rappresentano il 62,9% di tutti coloro che sono occupati con questa tipologia contrattuale in provincia di Cremona (Figura 13.1) . La quota di donne sul totale dei lavoratori a tempo determinato è, invece, pari al 55,8% in Lombardia, mentre a livello nazionale poco più della metà dei lavoratori a tempo determinato sono uomini (50,3%).
Figura 13.1 _ Composizione percentuale degli occupati a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini 37,1%
Donne 62,9%
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
In provincia di Cremona, il lavoro a tempo determinato, nel caso degli uomini, caratterizza le fasi di ingresso della carriera lavorativa, come evidenziato dall’elevata concentrazione nelle classi di età più giovani: il 63,5% degli uomini che lavorano a tempo determinato ha, infatti, tra i 15 ed i 29 anni. In particolare, la quota di occupati a tempo determinato raggiunge il massimo nella fascia di età tra i 20 ed i 24 anni, si riduce in quella immediatamente successiva (25-29 anni), per poi attestarsi su valori percentuali piuttosto bassi nelle fasce d’età successive (tabella 13.3). Nel caso delle donne, invece, la percentuale di lavoratrici a tempo determinato è particolarmente alta tra le donne di età compresa tra i 20 ed i 24 anni (22,9%) e tra i 25 e i 29 anni (23,8%), ma permane elevata anche nelle fasce d’età centrali: il 21,1% ha tra i 30 ed i 34 anni, il 15,0% ha tra i 35 ed i 39 anni.
La figura 13.2 mostra la percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli occupati alle dipendenze ed i tassi di partecipazione per classi di età, sia per gli uomini sia per le donne. L’analisi del grafico ci consente di dedurre che:
per gli uomini, al crescere dell’età, la percentuale di lavoratori alle dipendenze che lavora a tempo determinato si riduce (come visto in precedenza), mentre la partecipazione al mercato del lavoro cresce (si osservino a tal proposito, in modo particolare, le fasce d’età centrali). In altri termini, se la forbice (la differenza) tra tasso di partecipazione e la percentuale di lavoratori a tempo determinato aumenta al crescere dell’età (cioè, tassi di partecipazione elevati, a fronte di una minore incidenza del lavoro a tempo determinato), ciò può essere interpretato come un incremento del numero di lavoratori che passano da contratti a tempo determinato a contratti di lavoro a tempo indeterminato; da questa analisi sembra, quindi, emergere un’ulteriore conferma del fatto che il contratto a tempo determinato, per gli uomini, è evidentemente una forma contrattuale di ingresso sul mercato del lavoro;
per le donne, invece, al crescere dell’età, la partecipazione al mercato del lavoro aumenta al crescere della percentuale di lavoratrici a tempo determinato sul totale delle occupate alle dipendenze tendenzialmente fino ai 30-34 anni; nelle fasce di età successive, la partecipazione al mercato del lavoro delle donne al mercato del lavoro diminuisce a fronte di una riduzione dell’incidenza del lavoro a tempo determinato, ovvero la forbice tra tassi di partecipazione e percentuale di lavoratrici a tempo determinato si riduce. Le donne, quindi, oltre a lavorare a tempo indeterminato (magari part-time), o lavorano con contratti di lavoro a tempo determinato o non partecipano al mercato del lavoro; il fatto che la partecipazione femminile diminuisca al diminuire dell’incidenza del lavoro a tempo determinato induce quindi a considerare l’ipotesi che molte donne, allorché non possono più lavorare nemmeno con tale tipologia contrattuale, siano indotte a ritirarsi dal mercato del lavoro. Questa analisi ci consente, quindi, di trarre alcune indicazioni di policy, ovvero la flessibilità (intesa come contratto di lavoro a tempo determinato) è uno strumento che garantisce una elevata partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Tabella 13.3 _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in provincia di Cremona. Anno 2002
Tempo indeterminato | Tempo determinato | |||||
Uomini | Donne | Totale | Uomini | Donne | Totale | |
Età | ||||||
15/19 anni | 1.9 | 0.2 | 1.2 | 13.0 | 1.5 | 5.8 |
20/24 anni | 6.1 | 7.4 | 6.7 | 34.9 | 22.9 | 27.3 |
25/29 anni | 13.8 | 18.1 | 15.6 | 15.6 | 23.8 | 20.7 |
30/34 anni | 17.4 | 17.4 | 17.4 | 7.3 | 21.1 | 16.0 |
35/39 anni | 17.5 | 18.4 | 17.9 | 5.3 | 15.0 | 11.4 |
40/44 anni | 16.0 | 16.3 | 16.1 | 5.0 | 4.6 | 4.7 |
45/49 anni | 11.5 | 9.8 | 10.8 | 7.5 | 7.9 | 7.8 |
50/54 anni | 11.5 | 8.7 | 10.3 | 2.3 | 1.6 | 1.9 |
55/59 anni | 2.8 | 2.7 | 2.7 | 2.2 | 1.6 | 1.8 |
60/64 anni | 1.1 | 0.6 | 0.9 | 4.6 | 0.0 | 1.7 |
65 e oltre | 0.3 | 0.5 | 0.4 | 2.3 | 0.0 | 0.9 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Stato Civile | ||||||
Celibe/Nubile | 41.4 | 30.6 | 36.9 | 70.4 | 44.6 | 54.2 |
Coniugato/a | 56.0 | 63.0 | 58.9 | 29.6 | 46.9 | 40.5 |
Separato/a di fatto | 0.5 | 0.5 | 0.5 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Separato/a legalmente | 1.6 | 2.5 | 2.0 | 0.0 | 3.4 | 2.1 |
Divorziato/a | 0.2 | 2.0 | 1.0 | 0.0 | 3.7 | 2.3 |
Vedovo/a | 0.2 | 1.3 | 0.6 | 0.0 | 1.4 | 0.9 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Titolo di studio | ||||||
Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea | 0.9 | 0.0 | 0.5 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Laurea | 6.8 | 12.0 | 8.9 | 16.9 | 12.2 | 14.0 |
Diploma universitario o laurea breve | 0.9 | 1.8 | 1.3 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Diploma di maturità | 29.7 | 34.3 | 31.6 | 50.0 | 27.0 | 35.5 |
Diploma di qualifica professionale | 11.1 | 17.9 | 13.9 | 4.8 | 17.1 | 12.5 |
Licenza media inferiore | 42.8 | 28.0 | 36.6 | 19.3 | 40.6 | 32.7 |
Licenza elementare | 7.4 | 5.6 | 6.7 | 7.0 | 3.2 | 4.6 |
Nessun titolo | 0.5 | 0.4 | 0.4 | 2.0 | 0.0 | 0.7 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Posizione professionale | ||||||
Dirigente | 3.2 | 0.2 | 1.9 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Direttivo/quadro | 7.2 | 4.7 | 6.1 | 13.4 | 1.8 | 6.1 |
Impiegato/intermedio | 29.5 | 54.3 | 39.8 | 36.7 | 46.6 | 42.9 |
Operaio ed assimilati | 58.6 | 40.5 | 51.1 | 39.8 | 49.1 | 45.7 |
Apprendista | 1.5 | 0.1 | 0.9 | 10.0 | 2.5 | 5.3 |
Lavorante presso il domicilio per conto di imprese | 0.0 | 0.2 | 0.1 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Imprenditore | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Libero professionista | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Lavoratore in proprio | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Socio di cooperativa | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Coadiuvante in un'impresa familiare | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Tabella 13.3 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in provincia di Cremona. Anno 2002
Tempo indeterminato | Tempo determinato | |||||
Uomini | Donne | Totale | Uomini | Donne | Totale | |
Branca d'attività | ||||||
Agricoltura, Caccia e Pesca | 5.2 | 0.9 | 3.4 | 0.0 | 1.5 | 1.0 |
Industria dell'energia e industria estrattiva | 2.3 | 0.4 | 1.5 | 26.5 | 25.2 | 25.7 |
Industria della trasformazione | 44.3 | 28.8 | 37.8 | 6.7 | 0.0 | 2.5 |
Costruzioni | 6.6 | 0.6 | 4.1 | 4.6 | 0.0 | 1.7 |
Altre attività: commercio | 12.0 | 10.5 | 11.4 | 11.7 | 13.5 | 12.9 |
Altre attività: alberghi e ristoranti | 0.3 | 2.8 | 1.3 | 5.3 | 6.0 | 5.7 |
Altre attività: trasporti e comunicazione | 5.2 | 2.4 | 4.1 | 5.3 | 3.0 | 3.8 |
Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari | 4.0 | 2.3 | 3.3 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Altre attività: servizi alle imprese e altre attività professionali e imprenditoriali | 3.2 | 6.9 | 4.7 | 12.8 | 11.9 | 12.2 |
Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie | 6.8 | 7.5 | 7.1 | 2.3 | 5.1 | 4.1 |
Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali | 6.3 | 30.9 | 16.5 | 16.6 | 19.7 | 18.6 |
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone | 3.8 | 5.8 | 4.6 | 8.2 | 14.1 | 11.9 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Figura 13.2 _ Incidenza dell’occupazione a tempo determinato sull’occupazione dipendente e tassi di partecipazione per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno 2002)
120
100
80
60
40
20
0
15/19
anni
20/24
anni
25/29
anni
30/34
anni
35/39
anni
40/44
anni
45/49
anni
50/54
anni
55/59
anni
60/64
anni
65 e oltre
% lavoratori
tempo deter di sesso maschile
Tasso di partecipazione maschile
% lavoratori
tempo deter di sesso femminile
Tasso di partecipazione femminile
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Per quanto riguarda lo stato civile dei lavoratori a tempo determinato, nel 2002, in provincia di Cremona, mentre la maggior parte degli uomini che lavora a tempo determinato è celibe (70,4%, rispetto al 41,4% dei lavoratori a tempo indeterminato), le donne occupate con questa tipologia contrattuale sono più o meno equamente distribuite tra coniugate e nubili (rispettivamente, il 46,9% e il 44,6% in confronto al 63,0% di donne coniugate e al 30,6% di nubili con contratto di lavoro a tempo indeterminato).
Relativamente al titolo di studio, le donne che lavorano a tempo determinato sono mediamente meno istruite di quelle occupate a tempo indeterminato: il 43,8% delle lavoratrici a tempo determinato ha infatti conseguito al massimo il titolo di scuola dell’obbligo contro il 34,0% di quelle con un contratto di lavoro permanente; inoltre, la percentuale di donne con il diploma di licenza media superiore è in media più elevata tra le lavoratrici a tempo indeterminato (34,3%) piuttosto che tra le lavoratrici a tempo determinato (27,0%), mentre non emergono grosse differenze per quanto riguarda le laureate. Nel caso degli uomini, invece, emerge in maniera evidente che i lavoratori a tempo determinato sono in media più istruiti di quelli che lavorano a tempo indeterminato: il 16,9% (contro il 6,8%) sono laureati, il 50,0% (in confronto al 27,8%) ha conseguito il diploma di maturità, mentre “solo” il 28,3% (rispetto al 50,7%) è in possesso al massimo del diploma di licenza media inferiore.
Le donne, sia che lavorino a tempo determinato o a tempo indeterminato, lavorano quasi esclusivamente come impiegate o come operaie, anche se in media tra le lavoratrici a tempo a tempo indeterminato ci sono, in termini percentuali, più impiegate e meno operaie rispetto alle lavoratrici a tempo determinato (rispettivamente, il 54,3% rispetto al 46,6% e il 40,5% contro il 49,1%), probabilmente a causa del fatto che le seconde sono mediamente meno istruite delle prime. Per quanto riguarda gli uomini, gli operai rappresentano il 39,8% dei lavoratori a tempo determinato, mentre costituiscono il 58,6% dei lavoratori a tempo indeterminato. Le posizioni impiegatizie e quelle dirigenziali e direttive sono, invece, ricoperte rispettivamente dal 36,7% e dal 13,4% degli occupati con contratto a tempo determinato contro rispettivamente il 29,5% e il 10,4% dei lavoratori a tempo indeterminato. Anche, nel caso degli uomini, la struttura per posizione professionale dei lavoratori sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato sembra riflettere quella che è la distribuzione per titolo di studio, analizzata precedentemente, degli occupati con queste due tipologie contrattuali.
Infine, per quanto riguarda il settore di attività economica, si osserva che gli occupati a tempo determinato lavorano principalmente nell’industria della trasformazione, sia nel caso delle donne (25,2%) sia nel caso degli uomini (26,5%), mentre gli uomini e le donne che lavorano a tempo
indeterminato sono occupati soprattutto rispettivamente nell’industria della trasformazione (44,3%) e nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (30,9%).
1.7.1 I motivi e la durata dell’occupazione a tempo determinato
La Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro condotta dall’ISTAT consente di analizzare i motivi per cui un lavoratore ha un’occupazione a tempo determinato e la durata complessiva dell’occupazione a termine.
In provincia di Cremona, nel 2002, il 37,7% dei lavoratori ha un’occupazione a tempo determinato perché ha un contratto di formazione lavoro o di apprendistato (contratti a causa mista), ma un’altra buona parte (28,4%) lavora a termine perché non è riuscita a trovare un lavoro a tempo indeterminato (Tabella 13.4). La quota di coloro che lavorano a tempo determinato per propria scelta è esigua (3,6%) e una quota pari all’11,8% si dichiara in prova. L’occupazione a tempo determinato per gli uomini appare, nel complesso, più legata ad una fase di ingresso nel mondo del lavoro (il 54,8% degli occupati con un contratto temporaneo o è assunto con un contratto a causa mista o è in prova contro il 46,4% delle donne), mentre per le donne appare più spesso una condizione subita (32,9% sono le occupate a tempo determinato involontarie contro il 20,6% degli uomini).
Tabella 13.4 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | Donne | Totale | |
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. | 47.2 | 32.1 | 37.7 |
Non ha potuto trovare un lavoro permanente | 20.6 | 32.9 | 28.4 |
Non desidera un lavoro permanente | 7.7 | 1.2 | 3.6 |
E' in prova | 7.6 | 14.3 | 11.8 |
Altri motivi | 17.0 | 19.4 | 18.5 |
100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
La tabella 13.5 mostra che il 78,1% degli uomini che lavora a tempo determinato perché ha un contratto a causa mista ha un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni, dato questo che conferma come l’occupazione a tempo determinato per gli uomini appaia, in generale, più legata ad una fase di ingresso sul mercato del lavoro.
L’involontarietà del lavoro a termine (non ha potuto trovare un lavoro permanente), per le donne, cresce al crescere dell’età delle lavoratrici temporanee, mentre per gli uomini si rileva un andamento meno lineare. Le donne oltre i 35 anni, invece, non desiderano un lavoro a tempo
indeterminato. Coloro che lavorano a tempo determinato perché in prova hanno soprattutto un’età compresa tra i 25 ed i 34 anni. (rispettivamente, il 69,4% degli uomini ed il 60,2% delle donne).
Tabella 13.5 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | 15-24 anni | 25-34 anni | 35 e oltre | Totale |
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. | 78.1 | 17.3 | 4.6 | 100 |
Non ha potuto trovare un lavoro permanente | 40.0 | 22.8 | 37.2 | 100 |
Non desidera un lavoro permanente | 36.3 | 0.0 | 63.8 | 100 |
E' in prova | 0.0 | 69.4 | 30.6 | 100 |
Altri motivi | 0.0 | 27.9 | 72.1 | 100 |
Donne | 15-24 anni | 25-34 anni | 35 e oltre | Totale |
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. | 35.4 | 43.6 | 21.0 | 100 |
Non ha potuto trovare un lavoro permanente | 21.1 | 38.3 | 40.6 | 100 |
Non desidera un lavoro permanente | 0.0 | 0.0 | 100.0 | 100 |
E' in prova | 8.2 | 60.2 | 31.6 | 100 |
Altri motivi | 25.4 | 49.6 | 25.0 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
In relazione alla durata temporale del contratto, poco più di un terzo (33,8%) degli occupati a termine è assunto con un contratto di durata compresa tra i 7 ed i 12 mesi, il 18,8% con un contratto di durata tra i 19 ed i 24 mesi (Tabella 13.6). Analizzando la durata temporale dei contratti a termine distintamente per sesso, si evidenzia una maggiore rilevanza dei contratti brevissimi per le donne (il 23,5% è assunto con un contratto di durata inferiore ai sei mesi, contro il 9,5% degli uomini) e di quelli di media durata (da sei a dodici mesi) per gli uomini (il 40,6% in confronto al 29,7% delle donne). Infine, emerge una differenza di tre punti percentuali a favore degli uomini per quanto riguarda i contratti “medio lunghi”: rispettivamente il 34,2% degli uomini e il 31,1% delle donne lavora, infatti, con contratti a termine di durata da 13 ad oltre 36 mesi.
Tabella 13.6 _ Durata complessiva dell’occupazione a termine. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | Donne | Totale | |
Durata non definita | 15.7 | 15.7 | 15.7 |
Meno di 1 mese | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Da 1 a 3 mesi | 7.0 | 9.2 | 8.4 |
Da 4 a 6 mesi | 2.4 | 14.3 | 9.9 |
Da 7 a 12 mesi | 40.6 | 29.7 | 33.8 |
Da 13 a 18 mesi | 2.8 | 1.2 | 1.8 |
Da 19 a 24 mesi | 26.2 | 14.4 | 18.8 |
Da 25 a 36 mesi | 5.2 | 9.8 | 8.1 |
Più di 3 anni | 0.0 | 5.6 | 3.5 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
E’ possibile verificare, distinguendo tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato, se tra gli occupati alle dipendenze, vi siano individui in cerca di un altro lavoro e se si per quale motivo. Si nota che la percentuale di persone in cerca di un’altra occupazione è mediamente più elevata tra i lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato (rispettivamente il 20,4% contro il 2,6%) (Tabella 13.7). E la percentuale di persone in cerca di nuova occupazione tra coloro che hanno un contratto a termine risulta (in media) essere più elevata per le donne (21,5%) piuttosto che per gli uomini (18,7%).
Tabella 13.7 _ Percentuale di individui alla ricerca di un’altra occupazione tra i lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Tempo indeterminato | Tempo determinato | |||||
Uomini | Donne | Totale | Uomini | Donne | Totale | |
Cerca un altro lavoro | 2.3 | 3.0 | 2.6 | 18.7 | 21.5 | 20.4 |
Non cerca un altro lavoro | 97.7 | 97.0 | 97.4 | 81.3 | 78.5 | 79.6 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Ma quali sono i motivi che spingono un individuo, già in possesso di un’occupazione, a cercare un altro lavoro? Nel caso degli occupati a tempo indeterminato, l’81,1% cerca un altro lavoro poiché aspira a condizioni migliori (l’80,1% degli uomini e l’82,3% delle donne) (Tabella 13.8). Per quanto riguarda i lavoratori a tempo determinato, il timore di perdere l’attuale occupazione e l’aspirazione a condizioni di vita migliore sono le motivazioni per cui cerca un altro lavoro il 92,9% delle donne (contro il 58,6% degli uomini); mentre il 28,5% degli uomini che lavorano con contratto a termine cerca una nuova occupazione perché teme di perdere l’attuale occupazione, nessuna donna occupata con questa tipologia contrattuale cerca un altro lavoro per questa motivazione.
Tabella 13.8 _ Motivi della ricerca di un altro lavoro. Lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Tempo indeterminato | Tempo determinato | |||||
Uomini | Donne | Totale | Uomini | Donne | Totale | |
Teme di perdere l'attuale occupazione | 0.0 | 0.0 | 0.0 | 28.5 | 0.0 | 9.7 |
L'attuale occupazione è a termine | 4.0 | 5.5 | 4.7 | 30.7 | 60.1 | 50.1 |
Cerca una seconda attività lavorativa | 0.0 | 4.3 | 2.0 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Aspira a condizioni di lavoro migliore | 80.1 | 82.3 | 81.1 | 27.9 | 32.8 | 31.2 |
Altri motivi | 11.5 | 7.9 | 9.8 | 12.9 | 7.1 | 9.1 |
Motivi non specificati | 4.3 | 0.0 | 2.3 | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Totale | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 |
1.7.2 Non occupati e occupazione a tempo determinato
Il questionario della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro (RTFL) ci consente anche di verificare i motivi per cui gli individui non occupati (disoccupati e inattivi) da meno di 8 anni hanno abbandonato l’ultima occupazione (Tabella 13.9).
Complessivamente, tra i motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione, quello maggiormente addotto dagli uomini è la pensione di anzianità o di vecchiaia (75,5%), mentre nel caso delle donne l’ultima occupazione è stata abbandonata, oltre che a causa della pensione di anzianità o di vecchiaia (38,2%), anche per motivi personali o familiari (32,3%). Tuttavia, si nota che in provincia di Cremona, nel 2002, il 7,1% dei non occupati dichiara di aver abbandonato l’ultima occupazione a causa della fine di un lavoro a tempo determinato (il 10,4% delle donne e il 4,1% degli uomini).
Tabella 13.9 _ Motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | Donne | Totale | |
Licenziamento | 3.6 | 7.5 | 5.5 |
Fine di una lavoro a tempo determinato | 4.1 | 10.4 | 7.1 |
Motivi personali o familiari | 1.2 | 32.3 | 16.1 |
Malattia o invalidità | 5.2 | 2.5 | 3.9 |
Frequenza di corsi scolastici | 2.0 | 3.0 | 2.5 |
Prepensionamento | 1.9 | 2.2 | 2.1 |
Pensionamento di anzianità o di vecchiaia | 75.5 | 38.2 | 57.6 |
Servizio di leva o servizio civile | 2.2 | 0.0 | 1.1 |
Altri motivi | 4.3 | 3.7 | 4.0 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Concentrandoci su coloro che hanno abbandonato l’ultima occupazione per la fine di un lavoro a tempo determinato, è possibile verificare quale posizione professionale occupassero ed in quale branca di attività economica fossero occupati (Tabella 13.10). Emerge che le donne inoccupate che hanno abbandonato l’ultima occupazione da meno di otto anni erano tutte lavoratrici dipendenti, mentre tra gli uomini erano soprattutto lavoratori alle dipendenze (88,6%), ma con un 11,4% che era lavoratore autonomo senza dipendenti. Per quanto concerne il settore di attività economica, coloro che avevano un contratto di lavoro a tempo determinato e che, nel 2002, dichiarano di essere non occupati, lavoravano principalmente nell’industria della trasformazione (il 41,5%, a sintesi del 50,4% degli uomini e il 37,7% delle donne) e nell’istruzione, sanità e altri servizi sociali (il 21,3%, come sintesi del 29,2% degli uomini e del 17,9% delle donne).
Tabella 13.10 _ Posizione professionale e branca di attività dei non occupati che hanno abbandonato l’ultima occupazione da meno di 8 mesi. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | Donne | Totale | |
Posizione nella professione | |||
Alle dipendenze | 88.6 | 100.0 | 96.6 |
Autonomo (senza dipendenti) | 11.4 | 0.0 | 3.4 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
Branca di attività economica | |||
Agricoltura, caccia e pesca | 0.0 | 3.6 | 2.5 |
Industria della trasformazione | 50.4 | 37.7 | 41.5 |
Altre attività: commercio | 0.0 | 4.3 | 3.0 |
Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari | 9.6 | 0.0 | 2.9 |
Altre attività: servizi alle imprese e altre attività professionali e imprenditoriali | 0.0 | 11.1 | 7.8 |
Altre attività: P.A. difesa e assicurazioni sociali obbligatorie | 10.8 | 16.3 | 14.6 |
Altre attività: istruzione, sanità e altri servizi sociali | 29.2 | 17.9 | 21.3 |
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone | 0.0 | 9.1 | 6.4 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
1.8 La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato
La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato, piuttosto che a tempo indeterminato, in provincia di Cremona, è stata stimata con un modello probit7. In questo modello econometrico la variabile dipendente è una variabile discreta che assume valore 1 nel caso l’individuo sia occupato alle dipendenze a tempo determinato e valore 0 nel caso sia occupato alle dipendenze a tempo indeterminato. Le variabili esplicative utilizzate sono il sesso, l’età (e l’età al quadrato), la posizione nella famiglia, lo stato civile ed il titolo di studio.
I risultati della stima econometrica mostrano che, a parità delle altre caratteristiche personali, la probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato, piuttosto che a tempo indeterminato, è influenzata in maniera significativa dall’età, dal sesso, dalla posizione famigliare, mentre stato civile e titolo di studio non sembrano avere un impatto significativo (Tabella 14.1).
In particolare, tale probabilità :
si riduce meno che proporzionalmente al crescere dell’età (come rilevabile dal coefficiente negativo della variabile età e da quello positivo della variabile età2).;
aumenta se si è donne piuttosto che uomini;
cresce se, all’interno del nucleo famigliare, si ricoprono le posizioni di figlio o di altro parente rispetto a quella di capofamiglia.
7 La stima in oggetto è stata condotta utilizzando i microdati, relativi, al 2002, della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro dell’ISTAT.
Tabella 14.1 _ Stima probit della probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato in provincia di Cremona
Number of obs = 1655 | ||||
LR chi2(11) = 88.88 | ||||
Prob> chi2 = 0.000 | ||||
Pseudo R2 = 0.116 | ||||
Variabili esplicative | Coeff. | Std. Err. | z | P>|z| |
Età | -0.163 | 0.029 | -5.59 | 0.000 |
Età2 | 0.002 | 0.000 | 4.90 | 0.000 |
Sesso (Donne=1) | 0.354 | 0.131 | 2.70 | 0.007 |
Coniuge | 0.247 | 0.183 | 1.35 | 0.178 |
Figlia | 0.405 | 0.238 | 1.71 | 0.088 |
Altro parente | 0.589 | 0.315 | 1.87 | 0.061 |
Coniugato | 0.264 | 0.237 | 1.11 | 0.266 |
Separato/Divorziato/Vedovo | 0.444 | 0.307 | 1.45 | 0.148 |
Diploma Licenza Media | -0.231 | 0.236 | -0.98 | 0.329 |
Diploma Licenza Superiore | -0.223 | 0.235 | -0.95 | 0.342 |
Titolo di studio Universitario | 0.043 | 0.256 | 0.17 | 0.866 |
Costante | 1.440 | 0.646 | 2.23 | 0.026 |
Note: variabili escluse Capofamiglia,Celibe/Nubile, Licenza elementare Tra parentesi sono riportate le statistiche z |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
La Figura 14.1 mostra gli effetti marginali per le variazioni delle variabili inserite nel modello, i cui coefficienti sono statisticamente significativi (età, età2, sesso, figlia, altro parente). Si osserva che un anno in più di età riduce la probabilità di lavorare a tempo determinato dell’1,5% circa, ma nello stesso tempo la incrementa dello 0,02% (effetto dovuto alla variabile età2). In altri termini, si conferma che la probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a termine si riduce meno che proporzionalmente al crescere dell’età. Per esaminare gli effetti delle variabili categoriche statisticamente significative (sesso, figlia, altro parente), poiché per tali variabili non ha senso calcolare gli effetti marginali, quello che si ottiene è un confronto tra la probabilità di essere occupato alle dipendenze a tempo determinato stimata nella situazione “di partenza” con la probabilità stimata dopo che l’individuo è stato posto nella nuova categoria.
Si nota che:
essere donna, rispetto ad essere uomo, incrementa la probabilità di lavorare a tempo determinato del 3,4%;
essere figlia in un nucleo familiare, rispetto a non esserlo, incrementa tale probabilità del 4,2% circa;
essere altro parente in un nucleo familiare, rispetto a non esserlo, incrementa tale probabilità dell’8,5% circa.
Figura 14.1 _ Modello probit: effetti marginali. Valori percentuali
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
-1
-2
8,49
4,28
3,40
0,02
-1,49
Età
Età2
Sesso
Figlia
Altro parente
Note: sono stati riportati gli effetti marginali solo delle variabili con coefficiente statisticamente significativo Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Allo scopo di rendere ancora più agevole l’interpretazione dei risultati delle stime, sono stati individuati degli individui “rappresentativi”, per ciascuno dei quali è stata calcolata la probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato (anche se occorre tener presente il fatto che non tutte le variabili esplicativa hanno coefficiente statisticamente significativo) (Tabella 14.2). Si rileva che la probabilità di essere lavoratore dipendente con contratto a tempo determinato, tra gli individui “rappresentativi” presi in considerazione, è più elevata per una donna di 19 anni, nubile, con posizione di figlia all’interno del nucleo familiare e diploma di licenza superiore (il 30,9%). Mentre tale probabilità è più bassa, sempre relativamente agli individui “rappresentativi” considerati, per un uomo di 40 anni, sposato, capofamiglia e con diploma di scuola superiore (l’1,2%). Osservando le probabilità associate a ciascun individuo “rappresentativo”, si evidenzia,
ancora una volta, che, a parità delle altre caratteristiche, la probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato:
si riduce meno che proporzionalmente al crescere dell’età;
aumenta se si è donne, piuttosto che uomini;
è influenzata positivamente dal fatto di essere figlia o altro parente all’interno di un nucleo famigliare.
Tabella 14.2 _ Descrizione degli individui “rappresentativi” e rispetti probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato
Individui rappresentativi | Probabilità associate |
Xxxxx, 19 anni, nubile, figlia, diplomata | 30,9% |
Uomo, 19 anni, xxxxxx, figlio, diplomato | 19,7% |
Xxxxx, 30 anni, nubile, altro parente, laureata | 18,2% |
Uomo, 30 anni, celibe, altro parente, laureato | 10,4% |
Xxxxx, 40 anni, sposata, coniuge, diplomata | 4,8% |
Xxxx, 40 anni, sposato, capofamiglia, diplomato | 1,2% |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
1.9 Contratti flessibili e ricerca del posto di lavoro
In questa sezione si analizzerà con quali contratti e con quale orario siano disposte a lavorare le persone alla ricerca di un posto di lavoro, ovvero se siano disponibili a lavorare anche con un contratto a tempo a tempo determinato e/o con un orario a tempo parziale.
In primo luogo, nel 2002, si nota che il 4,0% delle popolazione di 15 anni ed oltre della provincia di Cremona dichiara di essere alla ricerca di un posto di lavoro (Figura 15.1). Di coloro che cercano un lavoro, il 62,2% sono di sesso femminile (Figura 15.2).
Figura 15.1 _ Percentuale di persone alla ricerca di un lavoro in Provincia di Cremona (Anno 2002).
Cerca un lavoro 4,0%
Non cerca un lavoro 96,0%
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Figura 15.2 _ Composizione delle persone alla ricerca di un lavoro per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002).
Uomini 37,8%
Donne 62,2%
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Relativamente alla condizione occupazionale di coloro che cercano un posto di lavoro, si osserva che il 39,2% dichiara di essere occupato, il 33,5% di essere in cerca di occupazione, il 21,7% di essere inattivo ma di cercare lavoro non attivamente, il 5,2% di essere inattivo ma non disponibile a lavorare immediatamente e, infine, la percentuale residuale (0,4%) di essere inattivo con età superiore ai 65 anni (Tabella 15.1). In un sintetico confronto di genere,si osserva che tra gli uomini alla ricerca di lavoro ci sono soprattutto individui già in possesso di un’occupazione (49,2%), mentre tra le donne ci sono principalmente persone in cerca di occupazione (38,6%); infine, la percentuale di persone che rientrano tra le non forze di lavoro e che ricercano, anche se non attivamente, un lavoro, risulta essere non trascurabile sia tra gli uomini (18,4%) sia tra le donne (23,6%).
Tabella 15.1 _ Condizione occupazionale attuale delle persone alla ricerca di lavoro per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Condizione attuale | Uomini | Donne | Totale |
Occupati dichiarati | 47.9 | 31.0 | 37.3 |
Altri occupati | 1.3 | 2.2 | 1.9 |
Disoccupati (azioni 30 gg) | 13.2 | 17.7 | 16.0 |
Persone in cerca di prima occupazione (30 gg) | 10.6 | 5.2 | 7.2 |
Altre persone in cerca di occupazione (30 gg) | 1.3 | 15.7 | 10.3 |
NFL che cercano lavoro non attivamente | 18.4 | 23.6 | 21.7 |
NFL non cercano ma disponibili a lavorare immediatamente | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
NFL non disponibili a lavorare immediatamente | 7.3 | 3.9 | 5.2 |
NFL di età superiore a 65 anni | 0.0 | 0.6 | 0.4 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
L’occupazione prevalentemente ricercata da chi dichiara di essere in cerca di un lavoro è, come ci si poteva attendere, alle dipendenze con contratto di lavoro a tempo indeterminato (62,7%) (Tabella 15.2). Tuttavia, il 5,8% (il 5,4% degli uomini ed il 6,1% delle donne) dichiara di cercare un’occupazione alle dipendenze con contratto a termine ed un altro rilevante 30,0% (il 33,9% degli uomini ed il 27,6% delle donne) dichiara di cercare un lavoro dipendente senza esprimere preferenze per il tipo di contratto, quindi anche a tempo determinato.
Tabella 15.2 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini | Donne | Totale | |
Alle dipendenze | |||
Con contratto a tempo indeterminato | 60.7 | 63.8 | 62.7 |
Con contratto a termine | 5.4 | 6.1 | 5.8 |
Con contratto di formazione professionale | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Senza preferenze | 33.9 | 27.6 | 30.0 |
Autonomo | |||
Ha già predisposto i mezzi per esercitarlo | 0.0 | 0.0 | 0.0 |
Non ha ancora predisposto i mezzi per esercitarlo | 0.0 | 2.5 | 1.6 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Il tipo di occupazione cercato può essere analizzato distinguendo per la condizione occupazionale (aggregata in occupati, persone in cerca di occupazione e non forze di lavoro) di chi è alla ricerca di lavoro (Tabella 15.3). Chi è già in possesso di un’occupazione prevalentemente cerca un lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato (76,5%) e ciò risulta essere vero sia per gli uomini (72,1%) sia per le donne (80,5%). Le persone in cerca di occupazione, invece, o cercano un’occupazione alle dipendenze a tempo indeterminato oppure non esprimono preferenze per il tipo di contratto
(rispettivamente, il 49,5% ed il 47,5 %); tuttavia, le donne sono più propense degli uomini a lavorare a tempo indeterminato (52,9% contro il 40,8% degli uomini), mentre gli uomini (il 54,8%) più delle donne (il 44,6%) non esprimono preferenze per la tipologia contrattuale. Infine, gli inattivi mostrano una disponibilità a lavorare a tempo determinato (14,2%) più elevata di quella degli occupati (2,4%) e delle persone in cerca di occupazione (2,5%). In particolare, rispettivamente il 16,6% degli uomini inattivi ed il 12,8% delle donne inattive cerca prevalentemente un’occupazione dipendente con contratto a termine.
Tabella 15.3 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso e per condizione occupazionale attuale. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Condizione attuale | Con contratto a tempo indeterminato | Con contratto a termine | Con contratto di formazione professionale | Senza preferenze | Autonomo (ha già predisposto i mezzi per esercitarlo) | Autonomo (non ha ancora predisposto i mezzi per esercitarlo) | Totale |
Uomini | |||||||
Occupati | 72.1 | 0.0 | 0.0 | 27.9 | 0.0 | 0.0 | 100 |
Persone in cerca di occupazione | 40.8 | 4.4 | 0.0 | 54.8 | 0.0 | 0.0 | 100 |
NFL (15 anni ed oltre) | 58.3 | 16.6 | 0.0 | 25.1 | 0.0 | 0.0 | 100 |
Totale | 60.7 | 5.4 | 0.0 | 33.9 | 0.0 | 0.0 | 100 |
Donne | |||||||
Occupati | 80.5 | 4.5 | 0.0 | 12.7 | 0.0 | 2.3 | 100 |
Persone in cerca di occupazione | 52.9 | 2.5 | 0.0 | 44.6 | 0.0 | 0.0 | 100 |
NFL (15 anni ed oltre) | 59.2 | 12.8 | 0.0 | 21.9 | 0.0 | 6.1 | 100 |
Totale | 63.8 | 6.1 | 0.0 | 27.6 | 0.0 | 2.5 | 100 |
Totale | |||||||
Occupati | 76.5 | 2.4 | 0.0 | 19.9 | 0.0 | 1.2 | 100 |
Persone in cerca di occupazione | 49.5 | 3.0 | 0.0 | 47.5 | 0.0 | 0.0 | 100 |
NFL (15 anni ed oltre) | 58.9 | 14.2 | 0.0 | 23.0 | 0.0 | 4.0 | 100 |
Totale | 62.7 | 5.8 | 0.0 | 30.0 | 0.0 | 1.6 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
E’ possibile, infine, osservare con quale orario sarebbero disposte a lavorare le persone alla ricerca di un’occupazione (Tabella 15.4). Si rileva che la maggior parte degli uomini che cerca un lavoro vorrebbe lavorare esclusivamente/preferibilmente a tempo pieno (il 77,6%), mentre le donne che vorrebbero lavorare a tempo pieno (esclusivamente/parzialmente) costituiscono il 55,9% delle donne in cerca di lavoro. D’altra parte, sono soprattutto le donne che dichiarano che vorrebbero lavorare esclusivamente/prevalentemente a tempo parziale (il 28,4% contro l’8,0% degli uomini). Infine, si registra che rispettivamente il 15,7% delle donne ed il 14,3% degli uomini che sono alla ricerca di un lavoro vorrebbe lavorare con qualsiasi orario.
Tabella 15.4 _ Xxxxxx col quale si vorrebbe lavorare per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Orario con cui vorrebbe lavorare | Uomini | Donne | Totale |
Esclusivamente a tempo pieno | 28.1 | 22.0 | 24.3 |
Esclusivamente a tempo parziale | 4.5 | 19.0 | 13.5 |
Preferibilmente a tempo pieno | 49.5 | 33.9 | 39.8 |
Preferibilmente a tempo parziale | 3.6 | 9.5 | 7.2 |
Qualsiasi orario | 14.3 | 15.7 | 15.2 |
Totale | 100 | 100 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
L’orario con il quale si vorrebbe lavorare può essere analizzato distintamente per la condizione occupazionale di coloro che dichiarano di cercare un lavoro (Tabella 15.5). In generale, coloro che sono già in possesso di un’occupazione vorrebbero soprattutto lavorare (esclusivamente/preferibilmente) a tempo pieno (il 72,6%): ciò risulta essere vero sia per gli uomini (74,5%) sia per le donne (70,9%), anche se la percentuale di donne occupate che vorrebbero lavorare (esclusivamente/preferibilmente) a tempo parziale (21,3%) è certamente più elevata di quella degli uomini (3,8%). Tuttavia, tra gli occupati, la percentuale di uomini che lavorerebbero con qualsiasi orario di lavoro (21,7%) è mediamente più elevata di quella delle donne (7,8%).
Per quanto riguarda le persone in cerca di occupazione, il 46,7% vorrebbe lavorare preferibilmente a tempo parziale; questa percentuale sale al 72,9% per gli uomini, mentre si attesta al 36,4% per le donne.
Infine, relativamente agli inattivi, il 57,2% vorrebbe lavorare (sia esclusivamente sia preferibilmente) a tempo pieno, ma la percentuale di coloro che vorrebbero lavorare (esclusivamente/preferibilmente) a tempo parziale è certamente superiore tra le donne inattive piuttosto che tra gli uomini inattivi (il 31,8% contro il 18,9%).
Tabella 15.5 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso e per condizione occupazionale attuale. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Esclusivamente a tempo pieno | Esclusivamente a tempo parziale | Preferibilmente a tempo pieno | Preferibilmente a tempo parziale | Qualsiasi orario | Totale | |
Uomini | ||||||
Occupati | 29.0 | 0.0 | 45.5 | 3.8 | 21.7 | 100 |
Persone in cerca di occupazione | 16.3 | 5.1 | 72.9 | 0.0 | 5.7 | 100 |
NFL (15 anni ed oltre) | 37.9 | 12.3 | 34.4 | 6.6 | 8.8 | 100 |
Totale | 28.1 | 4.5 | 49.5 | 3.6 | 14.3 | 100 |
Donne | ||||||
Occupati | 37.7 | 13.1 | 33.2 | 8.2 | 7.8 | 100 |
Persone in cerca di occupazione | 11.7 | 15.5 | 36.4 | 11.5 | 25.0 | 100 |
NFL (15 anni ed oltre) | 17.5 | 30.7 | 31.4 | 8.2 | 12.1 | 100 |
Totale | 22.0 | 19.0 | 33.9 | 9.5 | 15.7 | 100 |
Totale | ||||||
Occupati | 33.6 | 6.9 | 39.0 | 6.1 | 14.4 | 100 |
Persone in cerca di occupazione | 13.0 | 12.5 | 46.7 | 8.2 | 19.5 | 100 |
NFL (15 anni ed oltre) | 24.8 | 24.2 | 32.4 | 7.6 | 11.0 | 100 |
Totale | 24.3 | 13.5 | 39.8 | 7.2 | 15.2 | 100 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
PARTE TERZA: La rilevazione diretta ad imprese , Enti Pubblici ed Aziende Speciali in provincia di Cremona.
Nei paragrafi seguenti sono esposti i risultati della rilevazione diretta condotta su due tipologie di interlocutori della provincia di Cremona: le aziende private da un lato e gli Enti Pubblici e le Aziende Speciali dall’altro.
La rilevazione è avvenuta attraverso la somministrazione di un questionario a queste due tipologie di soggetti.
1.10 Il campione delle società
Data l’impossibilità di intervistare la totalità delle imprese della provincia di Cremona, abbiamo deciso di rivolgerci, in primo luogo, solo alle società di capitale dell’industria manifatturiera cremonese; successivamente abbiamo preso in considerazione i due settori del manifatturiero più rilevanti in termini di numero di imprese e di valore aggiunto, puntando la nostra attenzione sul settore agro-alimentare e metalmeccanico; infine abbiamo campionato l’universo delle imprese di questi due settori utilizzando un tasso di campionamento pari al 30% circa.
La fonte utilizzata per estrarre l’elenco delle imprese da intervistare è la banca dati SIES, una banca dati formata dai dati individuali di bilancio dell’universo delle società di capitale cremonesi appartenenti all’industria manifatturiera.
I bilanci forniti dal CERVED vengono convertiti in una matrice dei dati in cui ogni riga rappresenta un’azienda e ogni colonna costituisce una posta di bilancio.
Le imprese appartenenti alla banca dati sono 687, mentre le poste del Conto Economico e dello Stato Patrimoniale sono 76.
Di queste 687 imprese abbiamo considerato quelle appartenenti ai settori agro-alimentare (DA15) e metalmeccanico (DJ-DK) considerando gli ultimi dati disponibili riferiti al 2001.
In questo modo abbiamo costruito il campione su 79 imprese del settore agro-alimentare e su 219 imprese del settore metalmeccanico.
Prima di spiegare il processo di campionamento, riteniamo necessario motivare la decisione di prendere in considerazione questi due settori economici (agro-alimentare e metalmeccanico) e di queste branche (DA 15, DJ e DK).
I due settori costituiscono le principali attività economiche in termini di valore aggiunto, rappresentano infatti nel loro insieme il 61,1% del valore aggiunto dell’intera industria manifatturiera cremonese e sono il 43,4% del totale del numero delle imprese.
Per ciò che riguarda le branche economiche dei due settori abbiamo fatto riferimento, nel caso dell’agro-alimentare, alla branca DA 15, escludendo l’industria del tabacco DA 16, nel caso del metalmeccanico, abbiamo selezionato quelle branche che fanno parte del settore metalmeccanico in senso stretto:
DJ: “Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo” che a sua volta si suddivide in altre due branche “Produzione di metalli e loro leghe”(27) e “Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo, escluse macchine e impianti” (28);
DK: “Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (29).
Abbiamo escluso invece quelle branche che fanno parte di una definizione allargata di metalmeccanico:
DL: “Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche”;
DM: “Fabbricazione di mezzi di trasporto”;
DN: “Altre industrie manifatturiere”.
Abbiamo preferito puntare l’attenzione su queste branche in quanto, in primo luogo, costituiscono il nocciolo duro della metalmeccanica e in secondo luogo queste branche prevalgono sia in termini di numero di imprese, formano il 77% dell’intero settore metalmeccanico inteso in senso allargato, sia in termini di valore aggiunto, rappresentano il 77,6% dell’intero settore metalmeccanico.
Al fine della costruzione del campione sono state utilizzate due variabili: la “spesa complessiva annua del personale” e la tipologia di attività di produzione delle imprese.
L’indicatore “spesa complessiva annua del personale” è stato scelto al posto del “numero degli addetti”che doveva essere la variabile più adeguata ai fini della stratificazione, ma che non poteva essere reperita dai dati di bilancio.
Il processo di costruzione del campione, distinto per i due settori economici, è avvenuto in due fasi.
Nella prima fase, l’universo delle imprese dei due settori è stato stratificato in base alle attività economiche del codice ATECO.
Nel caso del settore agro-alimentare la suddivisione è avvenuta utilizzando la classificazione ATECO a tre cifre:
151: Produzione e lavorazione della carne e dei prodotti a base di carne;
152: Lavorazione e conservazione di pesce e di prodotti a base di pesce;
153: Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
154: Fabbricazione di oli e grassi vegetali ed animali;
155: Industria lattiero-casearia;
156: Lavorazione delle granaglie e dei prodotti amidacei;
157: Fabbricazione di prodotti per l’alimentazione degli animali;
158: Fabbricazione di altri prodotti alimentari;
159: Industria delle bevande.
A differenza del settore agro-alimentare nel settore metalmeccanico la stratificazione è avvenuta sulla base di una classificazione ATECO a sole due cifre.
27: Produzione di metalli e loro leghe;
28: Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo, escluse macchine e impianti;
29: Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici, compresi l’installazione, la riparazione e la manutenzione.
Nella seconda fase le imprese stratificate in base al settore economico vengono poi suddivise in base alla variabile “spesa annua complessiva del personale”.
Nel caso del settore agro-alimentare la suddivisione è avvenuta sulla base delle seguenti classi di spesa:
imprese con spesa annua complessiva del personale fino a 500.000 euro;
imprese con spesa annua complessiva del personale oltre i 500.000 euro.
Nel caso del settore metalmeccanico, la stratificazione è avvenuta sulla base delle seguenti classi di spesa:
imprese con spesa annua complessiva del personale fino a 250.000 euro;
imprese con spesa annua complessiva del personale da 250.000 a 1.000.000 euro;
imprese con spesa annua complessiva del personale oltre 1.000.000 di euro.
Una volta costruita questa doppia stratificazione per le imprese dell’universo del settore agro- alimentare e del settore metalmeccanico abbiamo considerato il 30% delle imprese di ogni cella e abbiamo scelto le imprese del campione attraverso un procedimento di estrazione casuale.
Nelle tabelle 16.1-16.4 abbiamo riportato il passaggio da universo a campione per i due settori economici considerati.
Tabella 16.1: Universo delle imprese del settore agro-alimentare
151
153
154
155
156
157
158
159
fino a 500.000
15
0
2
12
2
3
7
0
oltre i 500.000
9
1
1
11
3
2
10
1
Totale
24
1
3
23
5
5
17
1
Tabella 16.2: Campione delle imprese del settore agro-alimentare
fino a 500.000 | Oltre i 500.000 | Totale | |
151 | 5 | 3 | 8 |
153 | 0 | 0 | 0 |
154 | 1 | 0 | 1 |
155 | 4 | 3 | 7 |
156 | 1 | 1 | 2 |
157 | 1 | 1 | 2 |
158 | 2 | 3 | 5 |
159 | 0 | 0 | 0 |
Dall’universo delle imprese del settore agro-alimentare si nota come il comparto “Lavorazione di pesce e di prodotti a base di pesce”(152) è privo di imprese nella provincia di Cremona; i settori “Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi” (153) e l’ “Industria delle bevande”(159) non hanno imprese con “spesa complessiva annua del personale” fino a 500.000 euro, mentre hanno una sola impresa con “spesa complessiva annua del personale” maggiore di 500.000 euro.
Il campione è dunque costituito da 25 imprese estratte con procedimento casuale.
Nel corso della rilevazione sono sorti alcuni problemi relativi alla resistenza posta da parte di alcune imprese nel compilare il questionario e la modifica dell’attività produttiva da parte di altre.
In questi due casi abbiamo provveduto a sostituire tali imprese con altre società dell’universo.
Nel caso del comparto 156 le uniche due imprese appartenenti a tale comparto hanno modificato la propria attività produttiva pertanto in quel caso siamo stati costretti a togliere un’impresa dal campione che da 25 imprese è passato a 24.
fino a 250.000 | 250.000-1.000.000 | Oltre i 1.000.000 | Totale | |
DJ 27 | 2 | 3 | 7 | 12 |
DJ28 | 48 | 53 | 21 | 122 |
DK29 | 34 | 35 | 16 | 85 |
Totale | 84 | 91 | 44 | 219 |
Tabella 16.3: Universo delle imprese del settore metalmeccanico
Tabella 16.4: Campione delle imprese del settore metalmeccanico
fino a 250.000 | 250.000-1.000.000 | Oltre i 1.000.000 | Totale | |
DJ 27 | 1 | 1 | 2 | 4 |
DJ28 | 14 | 16 | 6 | 36 |
DK29 | 10 | 11 | 5 | 26 |
Totale | 25 | 28 | 13 | 66 |
Nel caso del settore metalmeccanico il campione è formato da 66 imprese, in questo caso non si sono verificati i problemi relativi al settore agro-alimentare in quanto ogni strato presenta un numero di imprese comunque maggiore di 1.
1.11 Il settore pubblico allargato
Oltre alle aziende private abbiamo considerato il Settore Pubblico allargato che comprende il Settore Pubblico ristretto (i principali Comuni della provincia, l’Ente Provincia, la Camera di Commercio) e le Aziende Speciali.
La lista dei soggetti a cui ci siamo rivolti è la seguente:
ENTI PUBBLICI:
I Comuni:
- Comune di Cremona;
- Comune di Offanengo;
- Comune di Castelleone;
- Comune di Pizzighettone;
- Comune di Soresina;
- Comune di Rivolta d’Adda;
- Comune di Casalmaggiore;
- Comune di Crema;
- Comune di Pandino;
La Provincia di Cremona
La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura;
LE AZIENDE SPECIALI:
L’Azienda Sanitaria Locale;
L’Azienda Ospedaliera;
L’Azienda Energetica Municipale;
Casalasca Servizi SPA;
Padania Acque SPA;
Consorzio Cremasco SPA;
ASPM Soresina Servizi;
Soresina Reti e Impianti SPA.