Contract
I contratti collettivi nazionali sono atti di natura privatistica, cosiddetti di diritto comune e pertanto non sono fonti di diritto oggettivo, cioè non è obbligatoria per il datore di lavoro la loro applicazione.
Quanto detto ha rappresentato una modifica a quanto originariamente previsto dalla L. 3.4.1926 n 563, norma che introdusse l’Ordinamento corporativo; all’epoca delle corporazioni, i Sindacati di ogni categoria lavorativa, stipulavano dei contratto collettivi che avevano efficacia erga omnes, cioè avevano valore di legge e dovevano obbligatoriamente essere applicati dal datore di lavoro.
L’ordinamento corporativo fu soppresso con la caduta del fascismo e piu’ precisamente con il RDL 9.8.1943 n 72 e pertanto da tale data, il contratto collettivo non trova applicazione obbligatoriamente ed il datore di lavoro non obbligato di dargli applicazione nella propria azienda o attività. Di seguito con il codice civile del 1942 il contratto collettivo diventa fonte di diritto, nel senso che una volta applicato in seno aziendale, diventa una regola che disciplina il rapporto di lavoro.
Un tanto si desume anche dalla previsione dell’art 39 , comma 3., della Costituzione, norma che però non ha mai trovato attuazione; esso prevede che: i sindacati registrati abbiamo personalità giuridica e in tale caso possono stipulare dei contratti collettivi con efficacia obbligatoria a tutti gli appartenenti le categorie alle quali il contratto di riferisce.
Ma visto che nessun sindacato in Italia ha personalità giuridica, non trova applicazione l’art 39, comma 3, Cost. citato e quindi i contratti collettivi che stipulano i Sindacati non hanno valore obbligatorio per gli appartenenti alla categoria, né il datore di lavoro è quindi obbligato ad applicarli.
Il datore di lavoro potrebbe quindi non applicare alcun contratto collettivo nazionale, ma semplicemente stipulare per ogni lavoratore un contratto individuale che disciplina tutti gli aspetti del rapporto di lavoro, non soltanto quelli economici; oppure potrebbe applicare un contratto collettivo nazionale esistente di altra categoria di lavoro.
In sintesi il contratto collettivo ha una efficacia soggettiva e non oggettiva, cioè il datore di lavoro sceglie se applicare o meno un contratto collettivo.
Il consenso nel dare applicazione ad un contratto collettivo dalla parte datoriale può essere manifestato in qualunque forma, con richiamo nel contratto di assunzione o dandovi semplicemente applicazione.
Infatti per mera praticità la parte datoriale applica il contratto collettivo nazionale di riferimento della categoria, perché risulta essere il piu’ adatto e completo nel dare applicazione a tutti gli istituti di legge, che disciplinano il rapporto di lavoro; ad esempio la disciplina dei lavori a turni, i riposi, l’ammontare delle trasferte, le diarie, etc; trattasi di istituti contrattuali che molti contratti collettivi disciplinano in ragione dell’attività aziendale, rispetto ad altre categorie di lavoro, che non necessitano di tali previsioni, perché il lavoro non prevede turni, trasferte etc.
Il Contratto collettivo ha la funzione di fornire un contributo cospicuo nella formazione del diritto del lavoro vivente, poiché si pone rispetto alla Legge come mezzo di specificazione dei precetti generali oppure come fonte di regole aggiuntive, che talvolta e nel tempo, l’Ordinamento ( Legge/ Stato) recepisce.
Il contratto collettivo nel settore privato, come nel caso in esame, ha quindi natura privatistica, nel senso che la sua applicazione è rimessa alla scelta datoriale.
Ne consegue che il datore di lavoro una volta che da’ applicazione ad un determinato contratto collettivo che lo stesso può scegliere, a prescindere dall’attività svolta, questo diventa fonte, cioè la regola che disciplina il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, ed avendo scelto l’applicazione di quel determinato CCNL, devo quindi dargli piena attuazione.
Resta inteso che oltre alla contrattazione collettiva, la parte datoriale dovrà dare sempre applicazione alla Legge Nazionale. Inoltre se, il Contratto collettivo su alcuni aspetti è migliorativo rispetto alla previsione di Legge, il contratto collettivo prevarrà sulla Legge.
Quindi dove una fonte prevede una miglior tutela per il lavoratore nell’ambito di un rapporto di lavoro, troverà applicazione la norma ( Ccnl o Legge) di miglior favore.
Tale principio fin qui espresso, cioè quello che non vi è l’obbligo per la parte datoriale di dare applicazione ad un determinato Contratto collettivo oppure che il datore di lavoro possa applicare il contratto collettivo ad esso piu’ conveniente, trova un limite soltanto per quanto concerne la parte retributiva.
Il contratto collettivo infatti è costituito da una parte cosiddetta normativa, che ha la funzione di disciplinare i rapporti di lavoro tra il lavoratore e la parte datoriale.
In tal modo con la parte normativa si fissano i diritti e gli obblighi delle parti contrattuali, tanto che negli anni i contratti collettivi che, come detto sono diritto vivente, si sono arricchiti di contenuto, perché disciplinano minuziosamente tutti gli aspetti del rapporto di lavoro ed è per questo che generalmente essendo i contratti collettivi molto completi, la parte datoriale tende a darvi applicazione a seconda del settore di appartenenza. Infatti spesso la Legge cita dei principi generali e rimanda alla contrattazione collettiva poi la regolamentazione analitica del caso o dell’istituto contrattuale da applicare. Esistono poi dei contratti collettivi aziendali che a loro volta disciplinano alcuni aspetti del rapporto di lavoro, non previsti dalla contrattazione collettiva nazionale.
All’interno della parte normativa dei contratti collettivi vi è una parte che riguarda il trattamento economico ed una parte di trattamento normativo puro ( quest’ultimo disciplina dei riposi, ferie, permessi, provvedimenti disciplinari etc….)
Infatti, la libera scelta datoriale di non dare applicazione ad un contratto collettivo o di dare applicazione a quello piu’ conveniente, incontra il limite della retribuzione che viene riconosciuta al lavoratore, la quale deve essere proporzionata alla qualità e quantità di lavoro prestato, in ragione della previsione dell’art 36 della Costituzione ( la retribuzione deve essere sufficiente per garantire a sé ed alla propria famiglia una vita libera e dignitosa ). Quindi applico o non applico un contratto collettivo per la parte normativa e sono libero di farlo, la parte retributiva invece deve essere sempre rispettosa di determinati parametri.
Sul punto va detto che non esiste un principio di obbligatorietà del contratto collettivo anche per la parte retributiva, cioè il contratto collettivo anche per la parte retributiva non ha efficacia erga omnes; semplicemente le tariffe della contrattazione collettiva sono un insostituibile parametro di riferimento da adattare, ove necessario al caso concreto.
Ne consegue che, in ragione del contratto collettivo che il datore di lavoro sceglie di applicare, ciò che conta è che l’aspetto retributivo non sia contrario alla Costituzione o comunque sia garantita una retribuzione parametrata alle tabelle retributive di altri Ccnl del settore.
In caso di ricorso giudiziale sul punto da parte dei lavoratori, il Giudice potrebbe imporre l’applicazione del contratto collettivo per la sola parte retributiva ( cioè imporre le tabelle retributive) applicate ad un settore di attività molto simile o analogo a quello della società dove lavora il dipendente reclamante.