L'ACCORDO INTERCONFEDERALE 2011 E GLI ACCORDI DEL GRUPPO FIAT
Dipartimento di Giurisprudenza
Cattedra di Diritto Pubblico Comparato (Dir. Sindacale Comp.)
L'ACCORDO INTERCONFEDERALE 2011 E GLI ACCORDI DEL GRUPPO FIAT
RELATORE CANDIDATO
Xxxxx.xx Prof. Xxxxxx xx Xxxxx
Xxxxxxxx Xxxxxxx Matr. 104933
CORRELATORE
Xxxxx.xx Xxxx
Xxxxxxx Xxxxx
Anno Accademico 2014/2015
INDICE
Introduzione 1
Premessa
1. Contratto collettivo: evoluzione storico-normativa 3
2. La natura giuridica ed evoluzione storica dell’accordo interconfederale 12
3. L’accordo interconfederale 28 giugno 2011 17
4. Breve evoluzione della sindacalizzazione in spagna 22
Capitolo I:
Rappresentanza e rappresentatività
1.1 La rappresentatività sindacale: dall’ordinamento corporativo all’
art. 19 legge 300/1970 come modificata dal referendum del 1995 25
1.2 Interpretazioni e problematiche dottrinali e giurisprudenziali dell’ART1 accordo interconfederale. 35
1.3 La rappresentatività negli accordi del gruppo Fiat 44
1.4 La rappresentatività nell’ordinamento spagnolo 46
Capitolo II:
Rapporto tra il contratto collettivo Nazionale e il Contratto collettivo aziendale
2.1 | La disciplina secondo l’accordo interconfederale | 55 |
2 2 | Soluzione legislativa (ART 8 del D.L. n. 138/2011) | 60 |
2.3 | Disciplina transitoria | 73 |
2.4 | Modello spagnolo | 82 |
Capitolo III:
Funzione delle Rappresentanze sindacale aziendali e delle Rappresentanze sindacale unitarie
3.1 Le commissioni interne negli accordi dal dopoguerra al 1966 98
3.2 Le rappresentanze sindacali unitarie negli accordi
interconfederali 103
3.3 Le rappresentanze sindacali aziendali 114
3.4 La Sentenza numero 231 del 23/07/2013 122
3.5 Rappresentanza dei lavoratori in azienda nel modello spagolo 140
3.6 I delegati del personale e i comitati d'impresa 147
Capitolo IV:
La tregua sindacale
4.1 Vincolatività degli accordi di tregua sindacale in rapporto con
il diritto di sciopero 152
4.2 La tregua sindacale nel modello FIAT 165
4.3 Il diritto di sciopero nel modello spagnolo 168
4.4 Modalità d’esecuzione 171
Capitolo V:
Il caso Fiat
5.1 Rottura del fronte datoriale: FIAT abbandona Confindustria 174
5.2 Prime considerazioni: Trasferimento d’azienda e Articolo
2112 c.c. 179
5.3 Orario di lavoro, straordinari e assenteismo 184
5.4 Organizzazioni del lavoro e recuperi produttivi 193
5.5 Rapporti diretti e indiretti e formazione 196
5.6 La cassa integrazione guadagni straordinaria e ultime
disposizioni 198
Conclusioni | 201 |
Bibliografia | 206 |
Giurisprudenza | 225 |
Introduzione
Sebbene tale affermazione possa risultare esagerata, non c’è dubbio che queste siano novità dal potenziale effetto dirompente per una materia estremamente delicata come il diritto sindacale.
Quale possa essere il mondo che verrà, quando la polvere delle vecchie macerie del diritto sindacale si poserà, è una domanda dalla difficile risposta.
Analizzare una situazione in divenire, affrontando la problematica limitandoci ad analizzare come le cose sono andate, non sarebbe sufficiente per prevedere efficacemente gli esiti di tale rivoluzione.
Per evitare, quindi di brancolare nel buio si confronteranno i risultati ottenuti da quest’analisi, con il modello Spagnolo.
1 Favalli G., Atti del convegno nazionale Napoli Diritto del lavoro anno zero? La contrattazione collettiva dopo l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e le novità della Manovra Finanziaria, Napoli, 2011.
Tale paese è stato scelto per le somiglianze presenti tra l’ordinamento di questo e quanto previsto dall’accordo interconfederale e per rendersi conto di come e se questo sistema funzioni.
L’elaborato si svilupperà a partire dagli articolo dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e andrà a considerare le implicazioni delle inovazioni in questo presenti, andandole a comparare con quanto previsto nei coevi accordi Fiat e, come già detto, col la simile normativa spagnola.
Premessa
1 Contratto collettivo: evoluzione storico-normativa
Per parlare di accordi interconfederali è, innanzitutto, necessario indagare come il contratto collettivo sia stato regolato all'interno del nostro ordinamento: dal periodo Corporativo al Contratto collettivo di diritto comune.
Per tutto il periodo del regime corporativo, infatti, c’era un solo sindacato per ogni categoria, sia per i lavoratori sia per gli imprenditori, che sottoscriveva il contratto collettivo.
Questo aveva efficacia erga omnes, inderogabilità in peius e comportava ex lege la sostituzione automatica delle clausole peggiorative contenute nel contratto individuale.
Le caratteristiche sopra elencate sono le basi necessarie per rendere il contratto collettivo un reale mezzo di tutela dei lavoratori; ed infatti, nel periodo successivo al regime fascista, si è cercato in tutti i modi di ottenere le medesime tutele per i lavoratori e la medesima forza che il contratto collettivo
corporativo possedeva, tutto ciò però associato ad un reale confronto tra fronte datoriale e sindacati liberi.
Con il decreto legislativo del 23 novembre 1944, numero 368, Il legislatore decise di abrogare l'ordinamento Corporativo e quindi anche la qualificazione del contratto collettivo come fonte del diritto positivo.
Da tale cambiamento che sconvolse completamente il diritto del lavoro uscirono indenni i contratti collettivi esistenti che, pur non rivestendo più alcun ruolo nel diritto pubblico, furono mantenuti in vigore al fine di garantire tutele ai lavoratori.
Era, quindi, necessario stabilire quale fosse la collocazione che tali “superstiti” dovessero avere all’interno del nuovo ordinamento costituzionale.
Uno dei primi problemi che si riscontrarono fu quello della natura giuridica di questi contratti: era infatti necessario comprendere a chi spettasse il compito di accertare eventuali difformità dei medesimi rispetto alle norme della costituzione.
Tale dilemma fu risolto da due sentenze2, Una della Cassazione e l’altra Della corte costituzionale
2 Sentenza n. 1 del 12 gennaio 1963Corte Costituzionale e Sentenza n. 76 del 11 gennaio 1969 , ibidem; Sentenza n.4742 del 29 dicembre 1976 Cassazione sez. Lavoro
Da tali sentenze emerse che titolare di tale giurisdizione doveva considerarsi il giudice ordinario e non quello costituzionale dato che ai contratti corporativi non poteva più essere riconosciuta forza di legge.
La Costituzione, infatti, all’articolo 39 ha previsto la possibilità di un contratto collettivo con efficacia erga omnes ma tale dettame rimase e rimane tuttora lettera morta.
L'articolo 39 della Costituzione, dopo aver previsto nel primo comma che l'organizzazione sindacale è libera, e che quindi i sindacati possono regolarmente esercitare la propria attività e prevedere, tramite la scelta dei lavoratori o categorie professionali da tutelare, quale sarà il proprio campo di applicazione, prevede nei commi 2, 3, e 4 che i sindacati siano sottoposti a registrazione, per la quale è necessaria la democraticità degli statuti e che, in forza della registrazione, essi acquisiscano personalità giuridica, potendo stipulare contratti con efficacia ne confronti di tutti, erga omnes.
Il testo dell'articolo 39 riflette la volontà, anzitutto, di una parte politica che voleva salvare il sistema corporativo, modificandolo nel punto della libera elezione dei dirigenti, e in secondo la volontà di un'opposta parte politica che non voleva intromissioni da parte dello Stato.
I commi in questione, infatti, rimangono tuttora inattuati: essi necessitavano di un intervento da parte del legislatore, non essendo dotati di efficacia diretta
nell'ordinamento; come gia detto tale intervento non è mai arrivato e questo per una serie di ragioni:
In primis la registrazione avrebbe potuto facilmente essere un mezzo d’intromissione dello Stato nell’attività sindacale, problema molto avvertito dai legislatori dopo il periodo fascista, e avrebbe potuto comportare un controllo degli iscritti ai vari sindacati.
Il problema della rappresentatività sarà uno dei punti centrali dell’elaborato, ma, tornando al periodo storico in questione, un’eventuale misurazione effettiva della rappresentatività avrebbe indebolito, in un’ipotetica fase di contrattazione, la posizione contrattuale della Cisl.
Tale sigla sindacale che a quel tempo minoritaria risultava minoritaria, avrebbe visto il proprio ruolo sminuito rispetto all'antagonista di sempre, la Cgil, e pertanto si oppose all'attuazione della norma costituzionale.
In secundis si è via via abbandonata l'idea, tipica del sistema corporativo, che un sistema sindacale di diritto dovesse prevedere obbligatoriamente la personalità giuridica dei sindacati e l'efficacia erga omnes dei contratti.
Tale prospettiva è passata in secondo piano anche e soprattutto grazie alle difficoltà con i commi successivi al primo dell’ atricolo 39;
Da ultimo, già nel primo periodo, ma soprattutto nel sistema sindacale che di fatto si imporrà negli anni a seguire, lo strumento del contratto di diritto
comune ha assunto sempre maggiore importanza e lo stesso legislatore ha, nella prassi, accettato l'idea di un sistema di tal genere.
I sindacati, in forza della mancata attuazione dell'intero articolo 39, hanno sempre evitato di valutare la propria rappresentanza e si sono tirati indietro dallo scendere in campo con il numero dei propri iscritti ben chiaro.
Malgrado ciò essi hanno perso il potere, ben più ampio rispetto alla mera contrattazione collettiva attuale, di stipulare contratti valevoli per le intere categorie rappresentate3
È proprio questa la genesi della problematica della rappresentatività che, come già detto rappresenterà uno dei punti centrale di questo elaborato.
Un primo tentativo di creare un contratto collettivo con le predette caratteristiche, senza però attuare quanto disposto dalla costituzione; si ebbe con la legge n. 741 del 14 luglio 1959.
Il governo per attuare la delega in questione scelse di affidarsi alla tecnica legislativa dell’”articolo unico”4; emanò, cioè, i decreti in un unico articolo, e con questi recepì i contratti collettivi vigenti allegando al decreto il testo completo di quest’ultimi.
L’art. 7 di quella legge prevedeva, inoltre, che il contratto collettivo esteso erga omnes mediante la recezione nel decreto legislativo si sostituisse di diritto ai trattamenti in atto, facendo però salve “le condizioni, anche di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori”.
Tale legge venne successivamente prorogata con la norma n. 1027 del 1 ottobre 1960 e impose al Governo di recepire i contratti collettivi formatisi dopo l’entrata in vigore della Vigorelli.
Fin da subito si sospettò l’incostituzionalità della suddetta legge ed infatti già nel 1962 fu adita la Corte Costituzionale che, con una sentenza storica5 entrò nel merito della questione6.
4 Pera G. e Xxxxxx M., Commentario breve alle leggi sul lavoro, Pavia, 2012.
5 Sentenza n.106 del 19 dicembre 1962, Corte costituzionale
In una prima parte della sentenza il giudice delle leggi ritenne legittima la legge n. 741 del 14/7/1959 in considerazione della sua transitorietà, provvisorietà, ed eccezionalità.
Tale legge venne successivamente prorogata con la norma n. 1027 del 1 ottobre 1960 che stabilì il recepimento dei contratti collettivi formatisi dopo l’entrata in vigore della Vigorelli.
la legge proroga, però, non sfuggì alle censure della corte, e infatti fu dichiarata incostituzionale poiché tendeva a dare stabilità all’aggiramento dell’articolo 39 della Costituzione.
Dopo quest’ultimo tentativo una gran parte della dottrina8 decise di abbandonare il terreno del diritto pubblico in favore del diritto privato. Fu in particolare Xxxxxxx Passatelli a coniare il termine: “contratto collettivo di diritto comune”9. Il contratto collettivo venne considerato come un atto giuridico di natura prettamente civilistica inquadrabile all’interno degli atti negoziali e disciplinato dal codice civile.
7 Xxxx X. e Xxxxxx M., Commentario breve alle leggi sul lavoro, Pavia, 2012.
8 XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Spirito del diritto del lavoro in Saggi di diritto civile, Napoli, 1961.
9 XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Autonomia collettiva, in enc. dir. IV, Milano, 1959.
A tale tesi continuava a opporsi quella, sostenuta ad esempio da Xxxxxxx00, secondo la quale i contratti collettivi erano comunque riconducibili alla matrice normativa dell’articolo 39.
Una siffatta soluzione avrebbe implicato, tra le altre cose, l’inderogabilità. Tali teorie però non ebbero grandissimo seguito ne a livello dottrinale ne giurisprudenziale.
Rimanevano perciò insolute alcune questioni fin qui accennate: in primis l’estensione del contratto ai non iscritti e la sua inderogabilità da parte del contratto di lavoro individuale.
Per quanto riguarda invece la problematica dell’inderogabilità in peius del contratto collettivo anche per i lavoratori non iscritti al sindacato o iscritti ad un sindacato non firmatario fu risolta, almeno per quanto riguarda la retribuzione, operando un rinvio all’articolo 36 della Costituzione.
10 Xxxxxxx X., L’efficacia del contratto collettivo di dirito comune, in DE, 1964
11 XXXXXXX M. , Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Xxxxxxxxx Xxxxxxx. Volume 42°, Governo dell’economia e azione sindacale, Padova, 2006
Quest’ultimo, al primo comma, recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Per stabilire la proporzionalità e la sufficienza di una data retribuzione quindi si utilizzarono, e si utilizza ancora oggi il minimo retributivo stabilito in sede di contrattazione collettiva per la categoria in questione.
Accanto a quello della estensione soggettiva del contratto collettivo altro rilevantissimo problema della contrattazione di diritto comune è quello delle caratteristiche che devono rivestire coloro che il contrato collettivo sottoscrivono, ossia i sindacati.
Il problema in questione è capire come valutare la rappresentatività di un determinato sindacato, considerando che il dettame dei commi successivi al primo dell’articolo 39 è rimasto lettera morta.
12 XXXXXXX XXXXXXXXXX G., Diritto dei lavori- diritto sindacale, Torino, 2013
2 La natura giuridica ed evoluzione storica dell’accordo interconfederale
Nella complessa struttura della contrattazione collettiva, il livello di massima centralizzazione è storicamente costituito dalla contrattazione interconfederale, che interviene, appunto, tra le confederazioni nelle quali, schematicamente, confluiscono le varie federazioni di categoria o, nel lavoro pubblico, le organizzazioni sindacali di comparto; nonché da quei segmenti di accordi interconfederali che si rintracciano nei grandi «patti sociali» e nei protocolli d'intesa convenuti tra Governo e parti sociali.
L’accordo interconfederale può anche definirsi come:“lo strumento costitutivo di una norma contrattuale 'comune', sia che questa riguardi particolari istituti del rapporto di lavoro o forme di organizzazione della rappresentanza”
Vi sono inoltre importanti differenze a seconda se tale protocollo regolamenti il settore pubblico o regolamenti il settore privato.
Nel primo caso è individuabile la fonte legale della regola sulla quale si regge tale accordo, nel secondo, invece, le relazioni contrattuali si sviluppano in assenza di una legislazione sui loro differenti livelli e sulle loro reciproche incidenze, seguendo costanti di comportamento che non si trovano trascritte in chiave normativa.
Facendo un breve excursus storico dell’istituto, possiamo riscontrarne l’origine già nel 1943 con il cosiddetto accordo Mazzini-Buozzi del 2 settembre13. Tale accordo, stipulato tra la Cgl unitaria e Confindustria, reintroduceva le commissioni interne nel settore industriale.
Nell'immediato dopoguerra, tuttavia, l'accordo interconfederale nasce come disciplina: dei minimi salariali, dei primi strumenti di sostegno del potere d'acquisto dei salari come l’indennità di contingenza, nonché di altri istituti che necessitano di una regolamentazione uniforme per più o per tutte le categorie di lavoratori.
Tale istituto nasce, così, sia scontando i ritardi nella ricostruzione dello stesso sistema sindacale, sia come frutto di una cultura sindacale ancora legata alle precedenti esperienze.
Mentre da un lato si enfatizza l'accentramento contrattuale, la contrattazione nazionale di categoria deve ancora terminare di fare i conti con i trattamenti normativi stabiliti dai superstiti contratti corporativi.
13 XXXXXXXX E., Tra fabbrica e società: mondi operai nell'Italia del Novecento, Volume 33 a cura di Xxxxxxx Xxxxx,Milano, 1999.
Solo con l’accordo del 12 giugno del 1954 che si avvia un processo di riordinamento dei rapporti tra livello interconfederale e livello categoriale. E’ proprio grazie a questo accordo che avviene un primo passaggio di poteri dalle confederazioni alle federazioni di categoria; le quali, sempre seguendo le linee guida stabilite dalle confederazioni, sono ormai pronte ad elaborare politiche salariali almeno relativamente autonome.
Ad ogni modo durante il periodo considerato la disciplina convenzionale di istituti di portata generale, come la Cassa integrazione guadagni, continua a restare devoluta alla competenza contrattuale delle confederazioni.
Dopo un periodo di declino dell’istituto in questione, durante il quale si assiste esclusivamente al rinnovo di quelli precedenti, nel 1975 si assiste ad una nuova generazione di accordi interconfederali: quello del 25 gennaio e quello del 14 febbraio, sulla rivalutazione del punto di contingenza e sulla modifica della stessa15; e quello sul salario garantito sempre di gennaio 1975.
14 Ghezzi G., Accordi interconfederali e protocolli di intesa, Enciclopedia del Diritto, Jus Explorer, Xxxxxx, 0000.
15 Accordo interconfederale 25 gennaio 1975, Articolo 4 (Coordinamento e competenze in materia di indennità di contingenza e scala mobile) “Restano in vigore, in quanto non espressamente modificate
Principalmente grazie al primo di questi nuovi accordi sembra che tale sistema debba addirittura riacquistare il primato in materia salariale, dato che l'indennità di contingenza raggiunge una somma più elevata di quella prevista dai minimi contrattuali di categoria, mostrando così che l’accordo interconfederale resta uno dei sistemi principi della contrattazione collettiva del periodo in questione.
con il presente accordo, le norme dell'Accordo Interconfederale 15 gennaio 1957 per la scala mobile delle retribuzioni e successive modifiche”.
16 Accordo interconfederale 26 gennaio 1977, Indennità di anzianità: Le parti concordano sull'opportunità di sostituire il testo del vigente art. 2121 Codice Civile con il seguente:
"l'indennità di cui all'art. 2118 deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese.
L'indennità di cui all'art. 2120 deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese e, a partire dall'1 febbraio 1977, di quanto è dovuto come aumenti di indennità di contingenza e di emolumenti di analoga natura scattati posteriormente al 31 gennaio 1977.
Se il prestatore di lavoro è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, con premi di produzione o con partecipazioni, le indennità suddette sono determinate sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato.
A tal fine le parti si impegnano a promuovere nelle sedi competenti un'azione per la modifica legislativa di cui sopra nonché delle pattuizioni collettive in materia.
E’ solo nella seconda metà degli anni '70, però, che proprio il sindacato, con lo strumento dell'accordo interconfederale, propone uno scambio di ampio respiro tra la moderazione salariale da un lato, e, dall'altro, gli obiettivi di occupazione e di governo del mercato del lavoro dall’alrto.
Per quanto riguarda invece gli accordi degli anni ’90, questi sono veri e propri accordi trilaterali tra il Governo, il fronte datoriale e il fronte dei lavoratori.
Si tratta, in effetti, di concertazioni a struttura tripolare che lasciano in definitiva nell'ombra il classico tema della rappresentanza delle volontà degli iscritti.
Con una siffatta soluzione si è cercato invece di soddisfare, pur condizionandola in vari modi, una più ampia vocazione dei sindacati, che esce dagli schemi della tradizione associativa e che potremmo chiamare, in senso lato, politica.
Di particolare interesse è l'accordo del 1° dicembre 1993, che, assumendo la disciplina generale in tema di rappresentanze sindacali unitarie Rsu contenuta
parziale o totale, corresponsione in buoni poliennali del tesoro, degli scatti di contingenza, secondo quanto disposto dalla legge 10 dicembre 1976, n. 797.
A miglior chiarimento le parti precisano che per il computo dell'indennità di anzianità, ai sensi di quanto concordato, deve essere presa a base la retribuzione in corso al 31 gennaio 1977 maggiorata degli eventuali successivi incrementi retributivi con esclusione ovviamente degli scatti di contingenza e della loro incidenza anche sulla tredicesima mensilità e sulle eventuali altre mensilità aggiuntive o frazioni di esse.
Tale accordo è il primo ad occuparsi di rappresentatività anche neppure in questo caso il dato numerico viene in considerazione. Tale passaggio, infatti avviene solo con l’accordo del 28 giugno del 2011.
3 L’accordo interconfederale 28 giugno 2011
Passando quindi all’esame dell’accordo interconfederale del giugno 2011 deve evidenziarsi che i sette articoli che lo compongono, regolamentano varie questioni tra cui, all’articolo 1, la rappresentatività, come tra l’altro già precedentemente accennato.
17 Accordo interconfederale 1 Dicembre 1993, Parte prima “Modalità di costituzione e di funzionamento” e parte seconda “Disciplina della elezione della Rsu”
Oltre che per i contenuti, di cui parleremo, è da sottolineare anche il valore simbolico dell’intesa.
L’accordo, oltre ad essere stato raggiunto in breve tempo, rappresenta un significativo segnale di responsabilità delle parti sociali in un momento particolarmente difficile della situazione del Paese dalla quale è possibile uscire solo attraverso un impegno comune a realizzare accordi, specie a livello decentrato, che rilancino la qualità, la competitività e la produttività del sistema delle imprese e con esse dell’occupazione.
L’accordo in esame dà attuazione ai principi contenuti nel documento unitario del maggio 2008 su Democrazia e rappresentanza, introducendo anche nel settore privato il meccanismo di verifica della rappresentatività già sperimentato nel pubblico impiego19.
18 Sentenza del Tribunale di Torino n. 4020 del 16 luglio 2011.
19 LAI M., La rappresentanza sindacale tra contrattazione, legge e giurisprudenza, in Saggi e articoli, xxx.xxxxxxxxxxx.xxxx.xx.
Questa intesa è peraltro del tutto coerente con l’Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali, del 22 gennaio 2009, non sottoscritto dalla Cgil, che non affrontava direttamente le questioni della rappresentanza, dato l’obbiettivo dichiarato in premessa, di favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione collettiva decentrata, nell’ambito di un sistema contrattuale articolato su due livelli.
Può inoltre essere interessante citare i commenti a caldo dei principali interpreti di tale accordo.
Xxxxxxx Xxxxxxx, segretario generale della Cgil, in un’intervista concessa al Sole 24 Ore si esprime così: "L'ipotesi di accordo con Confindustria supera la stagione degli accordi separati. Si è aperta un'importante fase nuova, possiamo riavviare il percorso partendo dalle cose che ci uniscono. Siamo ripartiti dalle regole su come esercitare la democrazia sindacale rispettando l'equilibrio tra organismi dirigenti e lavoratori, stabilendo che in caso di divisioni invece di procedere ciascuno per conto suo, bisogna coinvolgere i lavoratori". "Sul problema della validità erga omnes dei contratti un contributo concreto lo abbiamo dato con l'accordo, definendo la certificazione delle rappresentanze, dando così una lettura dell'articolo 39 della Costituzione. Penso comunque che servirebbe una definizione erga omnes per via legislativa, come è accaduto nel pubblico impiego. Quanto alla Fiat, l'accordo non risolve i problemi, non prevede la retroattività e afferma il ruolo del contratto nazionale che stabilisce
cosa può essere definito al secondo livello. Peraltro, nella fase transitoria, non si possono fare intese modificative separate".
Altro parere importante è quello di Xxxxxxxx Xxxxxxx, segretario della Fiom, che ritiene l'accordo negativo. Egli infatti in un'intervista al Manifesto sostiene che: "Il giudizio non può che essere negativo e rappresenta un arretramento, un cedimento della Cgil su almeno due punti fondamentali - precisando che i due nodi sono l'assenza dell'obbligatorietà del voto dei lavoratori e l'apertura - alla possibilità di deroga al contratto nazionale". "Vorrei far notare che anche l'aspetto positivo che riguarda la certificazione delle organizzazioni sindacali non è sufficiente di per sé a garantire un percorso contrattuale democratico, perché non esclude la possibilità di stipulare accordi separati. L'unica garanzia a questo fine è il voto delle lavoratrici e dei lavoratori. La Cgil avrebbe dovuto considerarlo discriminante, anche raccogliendo la domanda di democrazia che rimbomba nelle strade, nelle piazze e nelle urne". E poi, si chiede "ti pare che si possa accettare un divieto di xxxxxxxx nascosto dietro il termine 'tregua'?". Egli inoltre boccia anche la richiesta al governo di incrementare le azioni finalizzate a ridurre tasse e contributi intervenendo sul livello contrattuale aziendale: "In un Paese in cui l'80% dei lavoratori è in aziende con meno di 50 dipendenti, quale redistribuzione della ricchezza garantirebbe un intervento riguardante una piccola minoranza?". La proposta che la Fiom avanzerà alla Cgil è di coinvolgere tutti i lavoratori "chiedendo loro un giudizio sul testo che a noi non piace".
D’altro parere è Xxxx Xxxxxxxxxxx, l’allora presidente di Confindustria, che in un'intervista al Corriere della Sera, così commenta: "Ci siamo detti tutti: il paese è in grossa difficoltà cerchiamo di dare per primi un segnale. Con i leader sindacali ci siamo detti: okay, troviamo un modo per assumerci le responsabilità di far fare un passo avanti al paese, di dare un segnale anche alla politica. Incontriamoci sui punti che abbiamo in comune". "Non impegna solo chi firma, vedi i Cobas. Ma la Cgil ha firmato e la Fiom fa parte della Cgil, dunque… detto questo è vero che un intervento legislativo potrebbe essere utile. Noi però preferiamo l'accordo tra le parti”.
Di pere opposto è Xxxxxxxx Xxxxxxx, ex segretario generale della Cisl, che in un'intervista al Sole 24 Ore, sostiene che la legge non serve. "Non è necessaria una legge sulla rappresentanza a supporto dell'intesa unitaria tra Confindustria e sindacati", sostiene il secondo cui "l'accordo ha maggiore forza della legge, perché impegna tutti i protagonisti della vita sociale e ciò di fatto dà una validità erga omnes all'intesa". "Come nell'ambito civilistico nell'accordo abbiamo sancito l'obbligo che deriva dall'aver sottoscritto un contratto per i due soggetti contraenti. Con Cgil, Uil e Confindustria abbiamo definito le regole per stabilire chi può fare gli accordi e chi no, individuando il criterio per misurare chi è veramente rappresentativo. Abbiamo indicato il principio della maggioranza dei consensi, affinché gli accordi siano validi e vincolanti per tutti. Sono le elementari regole di democrazia". "L'accordo interconfederale del 1993 fin qui ha dimostrato un'efficacia e una longevità
superiore a tante leggi che riguardano le materie sociali. Ripeto: gli accordi tra le parti danno le migliori garanzie, perché i soggetti contraenti sono in grado di costituire patti più chiari e solidi delle stesse leggi”.
4. Breve evoluzione della sindacalizzazione in Spagna
In Spagna il sistema di relazioni industriali si è sviluppato in ritardo rispetto all’Italia a causa della dittatura Franchista durata fino al 1975.
Per effetto di ciò la nazione iberica ha dovuto contemporaneamente affrontare sia la crisi economica, imperante oggi come allora, sia sviluppare le organizzazioni sindacali, datoriali. Si è dovuto inoltre costruire un nuovo sistema di relazioni industriali nonché rifondare i sindacati da zero.
I due sindacati liberi esistenti prima della dittatura, la confederazione socialista Ugt e la confederazione anarco-sindacalista Cnt, erano state sostituite dall’Ose, organizzazione Sindacale Spagnola, costituita dai sindacati di categoria dipendenti dallo stato.
Queste erano costituite sia dai lavoratori che dai datori di lavoro e si inserivano in un sistema autoritario e verticistico i cui principi fondanti erano unità e totalità.
Con la carta del lavoro del 1938, di ispirazione fascista e corporativista, il regime aveva cancellato la classica impostazione liberale. Erano stati aboliti , infatti, sia il diritto di sciopero sia la contrattazione collettiva, e il mercato era regolato da rigide direttive riguardanti l’occupazione, i diritti e le condizioni di lavoro.
Una novità sensibile si ebbe nel 1953 con l’introduzione dei Jurados, ossia i consigli di fabbrica; questi avevano solo diritti amministrativi e consultivi ma per i franchisti rappresentarono una forte legittimazione.
A questa novità se ne aggiunsero svariate altre dal finire degli anni 50. In primis le aziende furono aperte al capitale estero e furono abolite sia la regolamentazione dei prezzi sia quella dei redditi.
Ma è nel 1958 che avviene una piccola rivoluzione: tramite una legge sulla contrattazione collettiva20 si da il via allo sviluppo di un sistema duale non articolato e non coordinato di contrattazione aziendale provinciale e locale, sebbene tutto il sistema rimaneva comunque saldamente nelle mani del governo21.
Una nuova pagina delle relazioni industriali spagnole fu scritta negli anni sessanta quando, inseguito al cosiddetto miracolo economico, grazie alla
20 Legge n. 14.455/1958
00XXXXX XXXXXX XXXXXXXX, Spain: Regulating Employment and Social Framentation, Canging industrial relatin in Europe, Oxford, 1998
crescita del turismo e l’industrializzazione, si ebbe una forte crescita dell’occupazione e del salario; dal punto di vista della regolamentazione legislativa il salario fu liberalizzato.
In seguito a questo avvenimento si svilupparono forme di rappresentanza libere chiamate Commissiones Obreras, o commissioni operaie. Queste furono i principali antagonisti del fronte datoriale, e presto finirono per scontrarsi con l’autorità statale. Questo avviene nel 1968 quando furono espulsi 1800 eletti nei cosigli da parte dei sindacati di regime.
La vera rivoluzione su questi temi avviene in concomitanza con la rivoluzione politica che nel 1975 portò alla fine del franchismo.
Capitolo I
Rappresentanza e rappresentatività
1.1 La rappresentatività sindacale: dall’ordinamento corporativo all’ art. 19 legge 300/1970 come modificata dal referendum del 1995
Per poter analizzare L’articolo 1 dell’accordo interconfederale del giugno 2011, è necessario comprendere le differenze tra rappresentatività e rappresentanza, e procedere ad un’analisi di come tale problema è stato affrontato prima di tale accordo.
E’ necessario, come già detto, quindi, soffermarsi sui concetti di rappresentanza e rappresentatività.
I due termini sono riferibili a due diversi settori delle discipline socio giuridiche: la rappresentatività, nello specifico, è un concetto della sociologia politica e indica l’idoneità del sindacato ad aggregare consenso o a rappresentare in senso atecnico gli interessi di un insieme di lavoratori più ampio degli iscritti ad un sindacato.
La rappresentanza, invece, è un istituto regolato dal codice civile che assume un preciso significato a seconda della sua qualificazione giuridica.
Un altro peculiare tratto della rappresentatività è che questa si pone come un’esigenza di gestione dei processi di contrattazione collettiva e di regolazione della presenza sindacale nei luoghi di lavoro.
Risulta, quindi, essere un dato imprescindibile per il procedimento di formazione delle regole sull’identità e sulla presenza del soggetto sindacale
Nel nostro paese è sorto prima il concetto di rappresentanza sindacale, cioè il potere del sindacato di compiere atti e in nome e per conto dei lavoratori. Solo in un secondo momento viene ad esistenza il concetto di rappresentatività, intesa come metro di giudizio per valutare l’importanza di una data sigla sindacale e la sua attitudine a farsi portavoce delle richieste dei lavoratori.
22 Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G., Diritto dei lavori- diritto sindacale, Torino, 2013
Già nel 1922 la Corte di giustizia aveva stabilito che dovessero essere considerate maggiormente rappresentative le organizzazioni che riuscivano a rappresentare al meglio gli interessi degli imprenditori e dei lavoratori. Il dato in base al quale era possibile valutare il carattere rappresentativo di un’organizzazione sindacale non era costituito solo dal numero degli iscritti, questo, infatti, doveva essere suffragato da tutta una serie di ulteriori fattori (presenza in azienda, firma del contratto collettivo, ecc),ma, tuttavia, diveniva determinante in presenza d caratteristiche uguali.
Non vi era perciò alcuna motivazione per valutarne la rappresentatività dato che l’iscrizione al sindacato era obbligatoria e che la contrattazione collettiva era tutto sommato fittizia; dato che comunque, tramite il sistema delle corporazioni non vi era conflittualità tra fronte datoriale e sindacato.
Il problema della rappresentatività tornò nuovamente a farsi sentire con la caduta del regime corporativo.
Già all’interno della costituzione, in particolare al quarto comma dell’articolo 39, vi è un sistema di misurazione della rappresentatività effettiva e
23 Xxxxxxx M., Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Xxxxxxxxx Xxxxxxx. Volume 42°,Governo dell’economia e azione sindacale, Pavia, 2006
quantificabile calcolata in base al numero degli iscritti al sindacato. Tale disposizione doveva servire a stabilire quali fossero i sindacati legittimati a stipulare i contratti collettivi di diritto pubblico aventi efficacia erga omnes. Essendo, però il dettame costituzionale, rimasto lettera morta, si è sentita l’esigenza di nuovi sistemi per stabilire la rappresentatività sindacale.
Un’altra soluzione fu quella adottata dall’articolo 19 della legge 300 del 1970 che, nella sua versione originaria, riconosceva in via presuntiva la “maggiore rappresentatività” alle sigle per il solo fatto di essere aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative.
Tramite tale disposizione si perveniva all’assurdo che alcuni sindacati, pur potendo contare solo su pochi iscritti fossero in grado di godere di quei diritti sindacali, in particolare la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali, per il solo fatto di appartenere a una delle confederazioni più forti a livello nazionale, ossia Cgl,Cisl e Uil.
La corte escluse una prima censura dell’articolo affermando che la norma non limitasse lo svolgimento dell’attività sindacale in azienda ma individuasse i
24 Sentenza n. 54 del 6 marzo 1974, Corte costituzionale.
soggetti titolari dei diritti garantiti dallo stato senza impedire ad alcun sindacato di diventare maggiormente rappresentativo.
Una nuova pronunzia giunse nel 24 marzo 1988; qui la corte sottolineò come la norma, privilegiando l’intercategorialità come criterio selettivo, connotato indefettibile della struttura sindacale confederale, fosse perfettamente coerente con il dettame costituzionale.
Un'altra sentenza25 in merito è quella del 1990, dove la corte ha ritenuto che l’articolo 19 fosse inderogabile da pattuizione collettive. Vi saranno altre due pronunce su questo articolo, ci soffermeremo tra breve della pronuncia del 1996 mentre solo in seguito tratteremo della sentenza del 2013 che invece ha dichiarato tale articolo incostituzionale.
Si tratta di un sistema di misurazione a livello aziendale ma non nazionale, proporzionale al numero dei voti conseguiti in azienda per l’elezione delle rappresentanze sindacali unitarie previste dal suddetto accordo.
25 Sentenza n. 30 del 26 gennaio 1990, Corte costituzionale.
Un nuovo sconvolgimento avvenne nel 1995, quando i radicali guidati da Xxxxxxxx proposero una serie di quesiti referendari che andarono a impattare sensibilmente l’articolo 19 dello statuto dei lavoratori.26
All’esito di tale referendum, l’unico indice di riferimento per valutare la rappresentatività rimase la stipula del contratto collettivo. Ne derivò, quindi, che la sottoscrizione, non per semplice adesione ma per effettiva partecipazione, decretasse la maggior rappresentatività dando così alla sigla in questione i diritti sindacali previsti nello statuto dei lavoratori.
Avendo, il referendum, abrogato l’inciso “nazionale provinciali”, i contratti ricompresi erano il contratto nazionale, ogni forma di contratto territoriale e aziendale, nonché gli accordi interconfederali a contenuto obbligatorio.
Dopo gli sconvolgimenti referendari, l’articolo 19 è nuovamente stato sottoposto al vaglio del giudice delle leggi27, come poc’anzi anticipato. Anche
26 I referendum fu promosso da Cobas e Rifondazione Comunista e i quesiti recitavano: "Volete voi l'abrogazione della legge 20 maggio 1970, n. 300 'Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e della attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento', limitatamente alla parte contenuta nell'articolo 19, comma 1, e precisamente le parole: 'nell'ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva'?" e
27 Sentenza n. 224 del 12 Luglio 1996, Corte costituzionale
Da tale analisi residuavano comunque numerose criticità, una su tutte il rischio che fosse il datore di lavoro a stabilire con quali sigle trattare lasciandone altre prive di tutela. È il caso della vicenda che ha visto contrapposte Fiom e Fiat, di cui discuteremo in seguito.
Per completare l’analisi della tematica rappresentanza e rappresentatività può essere interessante valutare quali siano le norme europee in materia.
Bisogna innanzitutto premettere che I diritti sindacali sono fuori dell’ambito del diritto della Unione europea e, pertanto, la Carta di Nizza non è immediatamente vincolante.
Dall’analisi della giurisprudenza europea emerge un certo scetticismo verso il diritto sindacale europeo, dovuto ad alcune decisioni della Corte di giustizia
28 Citando la sentenza in questione: «con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale con la stipulazione di un […] contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva».
Vanno comunque tenuti presenti gli articoli 28 e 29 della Carta di Nizza.
Il primo di questi dispone che «i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero». L’articolo, di contro, differenzia nettamente il «diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa».
Per il diritto dell’Unione, quindi, gran parte dei diritti riconosciuti in Italia in forza dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori non attengono al diritto sindacale.
Quanto qui evidenziato trova riscontro nel diritto dei trattati, da epoca ben antecedente alla entrata in vigore della Carta di Nizza.
29 Emblematico è il caso Laval: Nel caso Laval il sindacato svedese dei lavoratori dell’edilizia e dei lavori pubblici, la Svenska Byggnadsarbetareförbundet ha iniziato un’azione collettiva, nella specie un blocco, in tutti i cantieri della Laval in Svezia. Il sindacato svedese dei lavoratori elettrici si è unito al movimento con un’azione di solidarietà, che ha avuto l’effetto di impedire agli installatori elettrici di fornire servizi alla Laval. Tali sindacati non avevano alcun iscritto tra il personale della Laval. In seguito all’interruzione dei lavori per un certo periodo, la Baltic Bygg è fallita e i lavoratori distaccati sono ritornati in Lettonia
All’interno del trattato sul funzionamento dell’unione europea le disposizioni fondamentali sono costituite dagli articoli 151, 153 e 156.
Ai sensi della prima disposizione30: «l’Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali[…]hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione».
Le altre due disposizioni sono invece inerenti agli strumenti atti a rendere omogenei gli ordinamenti. Infatti, per l’articolo 156, l’Unione esprime pareri ed «incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri e facilita il coordinamento della loro azione in tutti i settori della politica sociale contemplati dal presente capo, in particolare per le materie riguardanti […] il diritto di associazione e la contrattazione collettiva tra datori di lavoro e lavoratori».
Mentre all’articolo 153 si dispone che l’unione può adottare direttive con una azione sussidiaria rispetto a quella degli Stati, nelle seguenti materie: informazione e consultazione dei lavoratori; rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione, con esclusione delle retribuzioni, del diritto di associazione, del diritto di sciopero.
30 Articolo 151 TFUE, già articolo. 136 TCE.
Secondo Ferrero appare chiaro che, se gli aspetti di negoziazione collettiva della disciplina del rapporto di lavoro riguardassero la materia strettamente sindacale, non vi sarebbe possibilità alcuna di intervento o previsione da parte dell’UE.
Di contro, proprio la costante previsione della possibilità di adeguamento dell’ordinamento interno all’europeo tramite accordi collettivi, attrae irrimediabilmente gli stessi al di fuori dell’ambito dei diritti sindacali strettamente intesi.
1.2 Interpretazioni e problematiche dottrinali e giurisprudenziali dell’ART1 accordo interconfederale.
Iniziamo quindi la nostra analisi proprio dall’Articolo 1: “Ai fini della certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali per la contrattazione collettiva nazionale di categoria si assumono come base i dati
31COPPOLA P., Rappresentanza e rappresentatività tra ordinamento comunitario e norme di diritto interno, 2012, Napoli
associativi riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori. Il numero delle deleghe viene certificato dall’INPS tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali che verrà predisposta a seguito di convenzione fra INPS e le parti stipulanti il presente accordo interconfederale. I dati così raccolti e certificati, trasmessi complessivamente al CNEL, saranno da ponderare con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie da rinnovare ogni tre anni e trasmessi dalle Confederazioni sindacali al CNEL. Per la legittimazione a negoziare è necessario che il dato della rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale superi il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo”.
Tale disposizione è sicuramente rivoluzionaria per quanto riguarda i rapporti tra le sigle sindacali firmatarie. Le pari sociali hanno, infatti, dichiarato, all’interno delle premesse, di voler pattiziamente stabilire le regole in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Grazie questo articolo, infatti, è possibile, tramite il meccanismo che tra poco andremo ad analizzare, valutare numericamente la rappresentatività di una sigla sindacale a livello nazionale.
È interessante notare la similitudine del sistema interconfederale con l’ordinamento spagnolo dati i tanti punti di contratto, ma tale considerazione verrà approfondita nei paragrafi seguenti.
Tornando al punto, secondo questo articolo sono ammesse alle trattative le associazioni che abbiano una rappresentatività non inferiore alla quota del 5%, calcolando la media tra il dato associativo e il dato elettorale nel settore in questione.
Per quanto riguarda il calcolo del dato associativo, questo si ricava rapportando le deleghe conferite dai lavoratori ad ogni associazione al totale delle deleghe conferite nel settore. Bisogna, però, notare che sono da valutarsi solo i lavoratori sindacalizzati e non tutti i lavoratori impiegati.
Il dato elettorale invece, si calcola sulla base dei voti ottenuti alle elezioni delle Rsu, rispetto al totale dei voti espressi.
Se, sommando i due valori percentuali ottenuti e dividendo il risultato per due, si otterrà un numero superiore al 5%; il sindacato porta esser considerato rappresentativo.
Secondo l’illustre giurista Xxxxxx, il punto 1 dell’accordo del giugno 2011 prevede una rappresentatività non presunta in base a giudizi qualitativi, come ad esempio qualificarla come “maggiore” o “comparativamente più”, ma effettiva per l’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale delle
federazioni.
Infatti solo in forza di indicatori quantitativi debitamente certificati, cioè quelli associativi, riferiti alle deleghe per i contributi sindacali, e quelli elettorali, relativi ai voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie, che permettono di misurarla secondo una media fra le rispettive percentuali non inferiore al 5%32 è possibile giungere ad un effettivo calcolo delle forze a disposizione.
Benché il giurista ritenga positivo l’articolo riscontra anche alcune criticità. Un problema sorge, infatti, poiché l’accordo tace sulla necessità che a ratificare l’accordo sia una sigla dotata di rappresentatività maggioritaria, cioè pari al 50% + 1.
Ciò e previsto all’interno dell’decreto legislativo n. 165/2001, all’articolo 43, ed è stato integrato soltanto dal successivo protocollo del maggio 2013.
Un’altra criticità riscontrabile in questo primo articolo è costituita dall’espressione “saranno da ponderare”, che fa pensare ad una media aritmetica ponderata, cioè tale da assegnare ai dati associativi ed elettorali pesi diversi.
Anche tale problema è stato risolto tramite il protocollo del maggio 2013. Qui infatti, al punto 4 si dichiara che “Il Cnel raccoglierà i dati relativi ai
32 CARINCI F., Xxxxxxxx Xxxxx, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 passando per la riformulazione “costituzionale” dell’art.19, lett.
b) St.) in Dir. Rel. ind. 598, 2013.
voti per ambito contrattuale e per organizzazione e, unitamente ai dati relativi agli iscritti ricevuti dall’ INPS ne effettuerà la ponderazione…”, ma, poi, al punto 5 si precisa che “La certificazione della rappresentatività di ogni singola organizzazione sindacale aderente alle Confederazioni firmatarie della presente intesa, utile per essere ammessa alla contrattazione collettiva nazionale, così come definita nell’intesa del 28/6/2011 (ossia il 5%), sarà determinata come media semplice fra la percentuale degli iscritti e la percentuale dei votanti quindi, con un peso pari al 50% per ognuno dei due dati”. A parere di una buna parte della dottrina però, sarebbe stato più corretto parlare di media aritmetica semplice33 dato che come distinta e contrapposta alla media aritmetica ponderata, ma la sostanza di una somma delle due percentuali, seguita da una divisione per due, è resa chiara dal passo successivo.
Sempre secondo Carinci tale mutazione era inevitabile, tanto che l’Accordo interconfederale34 del 2009 al suo punto 7, nell’auspicare uno specifico accordo interconfederale “per rivedere ed aggiornare le regole pattizie che
Xxxxxxx X., Xxxxxxxx Xxxxx, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 passando per la riformulazione “costituzionale” dell’art.19, lett. b) St.) in Dir. Rel. ind. 598, 2013.
34 Accordo interconfederale del 15 Aprile del 2009
disciplinano la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro”, richiamava “la certificazione all’Inps dei dati di iscrizione sindacale”.
Con tutta evidenza quanto ora detto riguardava non la contrattazione collettiva nazionale, ma quella aziendale, dato che era l’efficacia di quest’ultima a preoccupare e a dar l’impressione di poter essere resa perlomeno gestibile per via di un’intesa.
Nel passaggio dall’accordo “separato” a questo “unitario”, la formula in questione viene estesa anche alla contrattazione collettiva nazionale.
A prescindere dalla difficoltà di trasferire un siffatto meccanismo dal settore pubblico privatizzato al privato, restano da capire ragione e rilevanza di una mutazione siffatta.
In questo passaggio bisogna infatti tener presente le differenze intercorrenti tra i due sistemi a partire dal meccanismo, concentrato nell’ uno e disperso nell’ altro, nonché l’apparato predisposto alla bisogna che è sensibilmente differente, data la presenza nell’uno e l’assenza nell’altro di una struttura centralizzata dotata di rappresentanza ex lege.
Passiamo ora ad analizzare la tesi di altri giuristi; interessante fra gli altri è il parere di Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx, secondo i quale tale articolo potrebbe portare al rilancio delle della campagna elettorale delle Rsu, fino ad ottenere vere e
proprie “settimane elettorali”, che avrebbero un’eccezionale importanza politica35.
Per quanto riguarda poi la reale portata di tale articolo è ancora da verificare cosa debba intendersi per ammissione alle trattative; esistono infatti due diverse teorie in merito.
Secondo una prima ricostruzione la soglia minima di rappresentatività indica solo la legittimazione reciproca che le parti firmatarie intendono riconoscersi, senza dunque implicare nessun obbligo a negoziare.
Secondo, invece, un’alta teoria tale soglia potrebbe fondare un vero e proprio diritto sei sindacati in questione ad esser convocati al tavolo delle trattative.
Volendo seguire tale seconda teoria, però, bisognerebbe vedere con quali rimedi giudiziali o non tale diritto possa esser fatto valere.
Non sembra possibile, infatti, utilizzare il ricorso ex articolo 28 dello statuto dei lavoratori dato che tale disposizione è volta a reprimere il comportamento anti sindacale del datore di lavoro e non, come nel caso di specie, dell’organizzazione datoriale.
Non sarebbe nemmeno utilizzabile la tutela risarcitoria per due diversi ordini di motivi. In primis poiché quest’ultima è efficace solo ex post ed inoltre risulterebbe arduo determinare l’ammontare del danno cagionato dall’esclusione dalle trattative di un determinato sindacato.
35 ALLEVA P., Xxxxxx e prospettive dell'accordo interconfederale 28/06/2011, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/, 2011
Continuando l’analisi delle diverse teorie, ve ne è una interessante per la sua originalità. Secondo questa tesi37, la rappresentatività, calcolata ex articolo 1 non serve per garantire che i contratti nazionali siano firmati solo da chi rappresenta complessivamente la maggioranza dei lavoratori della categoria, ma solo per escludere dal tavolo negoziale chi sta sotto la percentuale stabilita. In altre parole, l’accordo non affronta il problema della firma di contratti collettivi “separati”, che restano quindi possibili.
E’, però, vero che le regole che esso detta sembrano presupporre la firma di contratti unitari, non vedendosi come queste altrimenti possano vincolare gli eventuali sindacati non firmatari.
Può, a questo punto, essere interessante valutare le considerazioni delle associazioni sindacali. Secondo Xx Xxxxx, segretario generale Xxxx Xxxx Xxxxxx, con tale articolo si introduce la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni. Egli ritiene che questo è un risultato importante ma
36 XXXXXXX XXXXXXXXXX G., Diritto dei lavori. Diritto sindacale e rapporti di lavoro, 2013, Torino
37 ORLANDINI X., L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: molti dubbi e poche certezze, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 2011
limitato solo ed esclusivamente a misurare la rappresentatività utile per definire il tavolo sindacale per i rinnovi dei CCNL.
Di fatto, quindi, viene ingabbiata la certificazione che non avrà validità per situazioni diverse, ossia evitare accordi separati, misurare i rapporti di forza, utilizzare la certificazione per misurare la validità degli accordi dato che all’interno dell’accordo tutto questo non è previsto
Per Xxxxxxxx Xxxxxxxxx00 l’accordo introducendo anche nel settore privato il meccanismo di verifica della rappresentatività già sperimentato nel pubblico impiego, ovvero un mix tra dato associativo e dato elettorale, risulta migliorativo rispetto ai precedenti.
D’altro lato l’accordo , stabilendo un pluralismo dei modelli di rappresentanza, costituisce un’evoluzione dell’accordo del 1993, senza tuttavia cancellarlo. Accanto alle Rsu che vengono confermate nelle loro funzioni nei settori dove risultano radicate, legittimità acquistano piena le Rsa, superando dunque la funzione residuale ad esse assegnata dall’accordo del 1993.
Un’altra opinione interessante è quella di Xxxxxxx Xxxxxxxx00, il quale sostiene che tra le novità più evidenti dell’accordo, c’è la “misurazione della
38 Angiolini V., L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: problemi veri e falsi della libertà sindacale , in xxx.xxxx.xx., 2011.
39MISCIONE M, Regole certe su rappresentanze sindacali e contrattazione collettiva con l’Accordo interconfederale 28 giugno 2011, ediroriale di diritto sindacale Il lavoro nella giurisprudenza, 2011.
rappresentanza”, su cui verificare il principio maggioritario in sede sia aziendale che nazionale40.
Tramite questo nuovo sistema misto, in parte copiato dal pubblico impiego, può essere calcolata la rappresntatività tramite la somma del numero degli iscritti e dei voti favorevoli.
In tal modo, il “peso” sindacale non è più un fatto interno fra sindacati, con una sorta di riconoscimento reciproco sempre pieno di dubbi, ma dipenderà dai lavoratori con una forma di democrazia diretta di iscritti e non-iscritti ma votanti. La partecipazione è ampia, considerando che il numero dei votanti è sempre stato molto alto.
Egli sostiene inoltre che la riaggregazione dei sindacati maggiori presuppone e comporta, ovviamente di fatto, che i contratti acquistino validità “erga omnes”.
La partecipazione alle votazioni quale indice di rappresentanza comporta che l’estensione si realizzi fra chi aderisce alle parti stipulanti, sia pur attraverso il voto, senza un vero “erga omnes” nei confronti degli estranei.
40 Xxxxxx X., L’intesa stipulata da Confindustria con Cgil, Cisl e Uil chiude un decennio di rapporti sindacali rissosi e poco concludenti (Commento a caldo all’Accordo interconfederale 28 giugno 2011), in xxx.xxxxxx.xxxx, 2011.
1.3La rappresentatività negli accordi del gruppo Fiat
E’ ora possibile spostare la nostra analisi sugli accordi di Pomigliano e Mirafiori, per comprendere quali siano le differenze rispetto all’accordo interconfederale in primis per quanto riguarda gli aspetti giuridici inerenti alla rappresentatività. Vi sono alcuni argomenti che riguardano, non solo il diritto del lavoro e il diritto sindacale ma anche, la Costituzione e più precisamente gli articoli 39 e 4041
Sul piano giuridico infatti, l’allegato 1 sui diritti sindacali dell’accordo Xxxxxxxxx che poi esteso a Pomigliano, costituisce un vero capovolgimento di quella che una volta si chiamava l’intentio legis.
Tale accordo, infatti, rovescia quanto disposto dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, ora incostituzionale, che prevede il diritto dei lavoratori di
costituire rappresentante sindacali aziendali nell’ambito dei sindacati firmatari di contratti collettivi applicati nei luoghi di lavoro.
L’articolo 19, infatti, prevedeva che un sindacato non venisse ammesso alle trattative, e quindi alla stipulazione del contratto collettivo, quando non fosse evidentemente rappresentativo, e quindi non meritasse di accedere alla fruizione dei diritti sindacali.
Per quanto riguarda, invece, l’accordo di Mirafiori un sindacato, anche se rappresentativo, che non stipula il contratto aziendale perché dissente dal suo contenuto viene escluso dai diritti sindacali.
Secondo alcuni si tratterebbe di un rovesciamento della logica dello Statuto dei lavoratori e di un’inversione dei principi elementari del diritto alla libertà sindacale sancito dal primo comma dell’articolo 39 della costituzione.
Era opinione diffusa che il criterio di cui all’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori andasse interpretato nel senso che il requisito della stipula dei contratti collettivi applicati nei luoghi di lavoro andasse inteso come un indice di rappresentatività, e non come un indicatore assoluto.
Ebbene, a parere di Xxxxx Xxxxxxxx00, appare difficile negare che l’utilizzo dell’articolo 19 proposto dalla Fiat, giungesse ad escludere dai luoghi di lavoro un sindacato fortemente rappresentativo nel contesto; senza considerare
42 Sarracini P., Contratto e legge dopo il caso fiat: le nuove regole sindacali in il contributo di Xxxxx Xxxxxxxx all’evoluzione teorica del diritto del lavoro, Torino, 2013
1.4La rappresentatività nell’ordinamento spagnolo
In un universo giuridico che sempre di più tende all’europeizzazione, se non proprio alla globalizzazione, trattare di un problema come la rappresentatività sindacale solo dal punto di vista nazionale potrebbe risultare miope.
In questo paragrafo analizzeremo la normativa spagnola confrontandola con quanto finora detto per l’Italia, ma prima bisogna capire quali sono le forze sociali spagnole.
Come accennato precedentemente, fino alla caduta del regime le uniche forme sindacali erano le commissioni operaie. Proprio con l’unione di queste commissioni locali si è formato il primo sindacato della spagna post franchista.
In un primo momento le strutture locali delle Commissiones Obreras, o CCOO, conservavano una forte autonomia politica, mantenendo la direzione delle rappresentanze aziendali e delle assemblee.
43 LISO A., Appunti su alcuni profili giuridici delle recenti vicende FIAT, in DLRI, 2011, pp. 337-339
sindacale non si è limitato alla sola tutela dei lavoratori, ma è stato più volte attore nel contesto politico generale.
La seconda Confederazione nata dopo la parentesi totalitaristica fu la UGT. Quest’ultima, più che nascere, rinasce dato che tale confederazione era stata eliminata dalla dittatura.
Tale organizzazione è stata costituita in maniera opposta alle CCOO, infatti la UGT si articolava dal alto al basso a differenza delle confederazioni comuniste.
Da punto di vista ideologico questa seconda confederazione era vicina al partito socialista. Proprio tale forte differenziazione ideologica ha evitato l’unificazione delle due grandi confederazioni in questione.
00 Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx: Regulating Employment and Social Framentation, Canging industrial relatin in Europe, Xxxxxx, 0000
45 XXXXXX X., XXXXX X. X., Strategies of Union Revilatization in Spain: Negotiation Change and Fragmentation, European jurnal of industrial relations, 9(1): 61-78, Madrid, 2005
Anche le confederazioni sindacali autonome delle regioni a statuto autonomo, ossia Paesi Baschi, Andalusia e Galizia, sono attori importanti anche se non fondamentali del panorama sindacale spagnola.
Queste infatti all’interno dei propri confini aggregano una notevole fetta dei lavoratori sindacalizzati; ma ultimamente, dato l’avvicinamento delle CCOO e della UGT, rischiano di vedere sensibilmente ristretto il proprio margine di manovra.
Solo dopo queste necessarie precisazioni è possibile andare a analizare nello specifico come è stato regolamentato l’istituto della rappresentatività sindacale nel paese iberico.
46 XXXXXX X., XXXXX X. X., Strategies of Union Revilatization in Spain: Negotiation Change and Fragmentation, European jurnal of industrial relations, 9(1): 61-78, Madrid, 2005
L’attribuzione di questa speciale posizione giuridica, ossia di sindacato maggiormente rappresentativo, deriva dai risultati conseguiti da ciascuna organizzazione sindacale nelle elezioni degli organi unitari di rappresentanza dei lavoratori in azienda, la audiencia electoral.
Tale sistema parrebbe ricordare quanto previsto dall’punto 1 dell’accordo interconfederale del giugno 2011; il dato elettorale in questione si calcola sulla base del consenso ottenuto tra i lavoratori, sia gli iscritti, sia anche i non iscritti nelle elezioni precedentemente accennate.
Questo criterio di misurazione della rappresentatività sindacale risulta quindi essere: oggettivo, poiché rappresenta l’effettivo potere politico della sigla
47 La selezione dei sindacati in base alla loro rappresentatività è stata avallata dalla Corte Costituzionale spagnola fin dalla sentenza n. 65/1982, del 10 novembre, con cui l’Alta Corte ha chiarito che “l’esistenza di un sistema di pluralismo sindacale, che ha origine nella libertà sindacale di cui all’art. 28.1 Cost. e risponde, nella sua concreta configurazione, a un processo elettorale di tipo proporzionale, comporta l’esistenza di una molteplicità di sindacati e pone il problema di determinare a quali di questi debba spettare la rappresentanza degli interessi dei lavoratori, che sarebbe notevolmente ridotta nella sua efficacia se attribuita allo stesso modo a tutti i sindacati esistenti”. In tal senso, se è vero che sia l’art. 28.1, sia l’art. 14 Cost. definiscono i limiti e le condizioni a cui devono attenersi i criteri di rappresentatività per il riconoscimento costituzionale, “la promozione del sindacato e l’efficace ed effettiva difesa e promozione degli interessi dei lavoratori [art. 7 Cost.] (…) possono mal conseguirsi con un’eccessiva atomizzazione sindacale e l’attribuzione di un carattere assoluto al principio di parità di trattamento (...) e del libero ed uguale godimento del diritto riconosciuto dall’art. 28.1 Cost.” (Corte Cost. n. 188/1985, del 18 dicembre).
A ciò si aggiunge, anche il suo carattere dinamico che consente di misurare periodicamente, tenendo quindi aggiornato costantemente, il reale radicamento di ogni sindacato tra la generalità dei lavoratori48.
Analizzando ciò si può facilmente comprendere che si tratta di una visione “istituzionalizzata” della rappresentatività sindacale che si allontana dal modello negoziale privato50, connettendosi esclusivamente al dato numerico.
Questo sistema, proprio per la sua chiarezza e semplicità, ha goduto di una buona fortuna nel tempo; esso ha, inoltre, consolidato l’effettivo sostegno che il sindacato trova nei suoi rappresentati, tra i quali, come già accennato, ci
48 Baylos, A., Castelli, N., La rappresentanza sindacale in Spagna, in C. La Macchia, Sistemi nazionali di rappresentanza sindacale, Bomarzo, Albacete, 2013, pp. 273 ss.
49 Articolo 1.1 Costituzione
50 XXXXXXXXX-XXXXXX, XXXXX XXXXXX, M., Sobre la representatividad sindical, Relaciones Laborales, n. 14/15, anno 1988, pp. 1 ss.
sono sia i lavoratori sindacalizzati sia coloro i quali non aderiscono ad alcuna sigla.
Nel corso degli anni però non sono mancate anche alcune critiche: in particolare coloro i quali contestano tale sistema hanno riscontrato una relativa indifferenza per quel che riguarda il piano associativo volontario dell’iscrizione; essi hanno, inoltre, riconosciuto un limite a tale sistema nella mancata introduzione di un elemento di continua concorrenza tra i sindacati.
Malgrado tali critiche, però, è rimasto un fattore chiave nella determinazione del sistema sindacale spagnolo e nello sviluppo della negoziazione collettiva erga omnes.
51 Xxxx Xxxxxxxx, J., Xxxxxxx y desacordes de dos reformas de la negociación colectiva: España e Italia, Revista de Derecho Social, n. 56, anno 2011, pp. 11 ss.
Interessante è l’opinione della giurista Xxxxx Xxxxxx Casas54, la quale sostiene che lo spazio tipico della rappresentatività sindacale è quello della negoziazione collettiva e del dialogo sociale, il che evidenzia che essa, oltre a riferirsi alla costruzione di un soggetto sindacale con un forte potere contrattuale, si risolve sempre in un rapporto bilaterale sia con il potere pubblico, sia, principalmente, con il potere privato economico.
Dato, quindi, che la rappresentatività è inserita nel processo bilaterale del dialogo sociale o della negoziazione collettiva, essa deve servire a promuovere
52 Xxxxxxxxxxx, G., Le vote et la représentation syndicale. Quelques interrogations à partir de la loi du 20 août 2008, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxx Caen, L’essor du vote dans les relations professionnelles. Actualités françaises et expériences européennes, Parigi 2011, pp. 9 ss.
53 LOKIEC, P., La rappresentatività sindacale in Francia, C. La Macchia, Sistemi nazionali di rappresentanza sindacale, Bomarzo, Albacete 2013, pp. 139 ss.
54 CASAS BAAMONDE, M., La mayor representatividad sindical, y su moderación, en la jurisprudencia constitucional española. Algunas claves para su comprensión, Relaciones Laborales, n. 14/15 anno 1988, pp. 69 ss.
questo procedimento di formazione di regole collettive, attenuando o razionalizzando i possibili conflitti derivanti dal processo di selezione dei soggetti ammessi alla negoziazione e con potere contrattuale sufficiente ad ottenere la forza vincolante dei contratti.
E’ quindi a tal fine necessario che i criteri della rappresentatività siano delimitati dal potere pubblico o concordati dagli interlocutori sociali, ma è assolutamente da escludere che questi possano essere stabiliti non dalla parte datoriale attraverso la libera selezione degli interlocutori negoziali.
E, sempre seguendo tale pensiero55, neppure si può permettere che questi possano sfociare in una conventio ad excludendum di una determinata organizzazione sindacale, per quanto essa presenti un profilo di attività non funzionale o antagonistico con la visione maggioritaria sui contenuti e sulle procedure di creazione delle regole collettive e negoziate in materia di lavoro56.
55 Xxxxxx, X., Notas sobre libertad sindical y negociación colectiva, Revista de Derecho Social, n. 50 anno 2010, pp. 25 ss.
56 Si tratta di “regole particolarmente rigorose per quanto concerne la determinazione dei soggetti negoziali” e sottratte alla disponibilità dei negoziatori del contratto attraverso il “mutuo riconoscimento” delle parti dello stesso, come ha evidenziato, già da molti anni, la sentenza della Corte Cost. n. 73/1984, del 27 giugno.
Capitolo II
Rapporto tra il contratto collettivo Nazionale e il Contratto collettivo aziendale
2.1 La disciplina secondo l’accordo interconfederale
La contrattazione collettiva aziendale e, in special modo, il suo rapporto con il contratto collettivo di categoria, è uno dei punti cardine dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
Questo, infatti, dedica ben tre disposizioni a questa tematica anche se non tutte innovative.
Il punto 2 dell’accordo, infatti, recita: “il contratto collettivo nazionale di lavoro ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale”
Tale disposizione vuole ribadire il ruolo cardine del contratto collettivo nazionale, cioè assicurare un minimo economico e normativo inderogabile per tutti i lavoratori.
Nell’articolo 3, per contro, viene disciplinato il contratto collettivo aziendale: “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”.
Viene, qui, determinato che quest’ultimo regoli le materie ad esso delegate dalla contrattazione collettiva nazionale.
Storicamente il rapporto tra i due livelli della contrattazione collettiva è stato argomento assai controverso; è stata più volte riconosciuta l’inderogabilità della contrattazione nazionale con motivazioni variamente articolate, a meno che le condizioni previste da quella decentrata non fossero più favorevoli per il lavoratore57
Tale impostazione è stata progressivamente superata.
Si è ritenuto che potesse aversi una derogabilità in peius con la stipula del contratto collettivo aziendale in base al rilievo di un implicita revoca del mandato alle organizzazioni sindacali nazionali58
In seguito è andato consolidandosi il principio cronologico, ossia della prevalenza del contratto collettivo stipulato successivamente su quello precedente, quale che ne fosse il livello di contrattazione.
57 Sentenza n. 721 del 31 marzo 1967, Corte di Cassazione
58 Sentenza n. 2018, del 28 aprile 1978, Corte di Cassazione
È stato anche invocato il criterio della specialità, essendosi ritenuto che dovesse darsi maggior rilievo alla vicinanza del contratto aziendale poiché si supponeva che questo regolasse in maniera più appropriata la specifica situazione della singola azienda.
Da ciò si desumeva la sua prevalenza, anche quando quest’ultimo avesse contenuto disposizioni peggiorative rispetto al contratto nazionale, fatte salve le norme inderogabili di legge.59
Solo nell’ultimo periodo sembra aver preso maggiore continuità la tesi secondo la quale bisogna dare rilievo all’effettiva volontà delle parti stipulanti.
Deve, infatti, ritenendosi che le varie contrattazioni abbiano pari dignità e che, pertanto, ogni diverso criterio non potrebbe rilevare al fine di interpretare il contenuto delle varie disposizioni.
E’ in quest’ottica che si inserisce l’articolo tre dell’accordo interconfederale che riprende quanto sancito precedentemente con il Protocollo del 23 luglio 1993.
59 Sentenza n. 4517, del 12 luglio 1986, Corte di Cassazione
rilanciata con il conferire maggior efficacia alle pattuizioni stabilite a questo livello60.
Ciò viene fatto con la ricerca tra soli sindacati, di criteri di accreditamento della rappresentatività e della rappresentanza dei soggetti61 sindacali stipulanti.
L'indicazione secondo cui la contrattazione aziendale si esercita nelle materie delegate dal contratto nazionale (oltre che dalla legge), configura un caso tipico di “decentramento organizzato” cioè controllato dal centro.
Nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui le clausole della contrattazione di livello superiore sono prive di efficacia reale in ordine ai contenuti della contrattazione decentrata.
60 Rusconi F., Atti del convegno nazionale Napoli Diritto del lavoro anno zero? La contrattazione collettiva dopo l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e le novità della Manovra Finanziaria, Napoli, pagg. 68 e seg.
61 Vedi cap I e art 1 accordo interconfederale 2011
62 TREU T., Le relazioni industriali dopo l’accordo del 28 giugno 2011. l’accordo 28 giugno 2011’ed oltre in Dir. Relaz. Ind. , 2011, 03 ,06 13 e segg.
Tale accordo, inoltre, sollecita il potere esecutivo a incrementare le norme di sostegno fiscale alla contrattazione aziendale. Non invoca invece affatto altri e più drastici interventi sulla materia pattiziamente disciplinata.
Continuando questa panoramica di commenti e giudizi, interessante può essere la tesi64, secondo la quale non può essere trascurato che il contratto collettivo di prossimità suscita non pochi problemi, anche di legittimità costituzionale65.
Sempre seguendo tale pensiero, la stipulazione effettiva degli stessi contratti aziendali potrebbe risultare bloccata dalla previsione all’interno dell’accodo interconfederale che impegna tutte le «strutture» delle parti stipulanti, come ad
63 Carinci F., De Xxxx Xxxxxx R., Xxxx P., Treu T., Il diritto sindacale, Torino, 2008, pagg. 184 ss.
64 DE XXXX X., Atti del convegno nazionale Napoli Diritto del lavoro anno zero? La contrattazione collettiva dopo l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e le novità della Manovra Finanziaria Napoli, pagg. 143 e seg.
65 Sui problemi di costituzionalità ed altri profili problematici dei contratti collettivi di prossimità, vedi CARINCI F. Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, WP
C.S.D.L.E. «Xxxxxxx X’Xxxxxx».it, n. 133/2011.
esempio le rappresentanze sindacali in azienda, al rispetto dello stesso accordo interconfederale66
La stipula di tali contratti di prossimità, infatti, potrebbe risultare preclusa alle stesse rappresentanze sindacali aziendali, proprio perché vincolate al rispetto dell’accordo interconfederale anche nella parte relativa ai contratti aziendali.
2.2 Soluzione legislativa (ART 8 del D.L. n. 138/2011)
Tale disposizione rappresenta il capovolgimento della gerarchia delle regole, per consentire alle strutture locali delle organizzazioni sindacali di derogare non solo al contratto nazionale, ma anche alle disposizioni di legge che, nel diritto del lavoro, sono sempre state caratterizzate dall’inderogabilità in peius.
66 Le parti sociali, in una postilla, inserita in occasione della firma (in data 21 settembre 2011), all’Accordo interconfederale siglato il 28 giugno precedente rivendicano, infatti, la propria autonomia, nei termini testuali seguenti: «Confindustria, Cgil, Cisl e Uil concordano che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti. Conseguentemente si impegnano ad attenersi all’accordo interconfederale del 28 giugno, applicandone compiutamente le norme e facendo sì che le rispettive strutture a tutti i livelli si attengano a quanto concordato».
67 Convertito dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148
La nuova norma, per contro, porta alla situazione in cui quanto non è consentito alla contrattazione nazionale, è invece consentito alla contrattazione di prossimità.
Questa, dunque, da un lato, ha attribuito efficacia erga omnes ai contratti collettivi aziendali e territoriali, rispondenti a determinate condizioni68, e, dall'altro, ha, come già detto, esteso notevolmente la capacità derogatoria dei suddetti ponendo in contratto collettivo nazionale in un ruolo di subordine.
Il sostegno legislativo si rivolge alla contrattazione di secondo livello, aziendale, ma anche territoriale.
Già questa è una novità, infatti nel comma 1 dell'articolo in questione il sostegno si sostanzia nella attribuzione agli accordi collettivi di tale livello, di efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori interessati.
Tutto ciò a condizione che gli accordi siano conclusi da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero
68 Come previsto dal comma 1 art.8 D.L. 183/2011: ”I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.”
dalle loro rappresentanze operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti.
Su questo intervento legislativo le opinioni sono molto difformi, se non completamente contrastanti; da un lato vi è chi ne dà una valutazione sostanzialmente positiva, scorgendo nella norma un utile strumento per rendere il mercato del lavoro più flessibile, il che consentirebbe a quest’ultimo di rendersi più adeguato rispetto alle esigenze di un mercato in evoluzione.
D’altra parte vi è pure chi, invece, valutandola assai negativamente, la considera come una sorta di ariete volto solo ad abbattere il sistema di tutele poste a favore dei lavoratori che sono ritenuti più deboli nella contrattazione aziendale.
I fautori di tale opinione ritengono che il governo, non avendo dismesso, o quantomeno allineato, l’articolo 8 alle previsioni raggiunte nell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, abbia testardamente proseguito sul versante della prevaricazione e dello scontro con le Parti sociali.
Il riscontro di questa forzatura a favore di una delega in bianco alla contrattazione di prossimità, in presenza di un tale accordo ha condotto più di un giuslavorista69 a chiedersi la motivazione di un simile intervento legislativo.
69 Fra gli altri Xxxxxxxxx F., La xxxxx Xxxxxxx della manovra di Agosto: non si sostiene così la contrattazione aziendale o Xxxxxxxx L., Un accordo necessario, da attuare e non stravolgere
Il quadro evidenziato porta, secondo tale opinione ad una impossibile coesistenza pacifica tra le due fonti: quella legislativa dell’art. 8 e quella negoziale.
E’, però, condiviso che questo primo comma dell'articolo 8 introduce nel sistema una innovazione di grandissimo rilievo, che risolve la questione dell'efficacia generale dei contratti collettivi, su cui si sono affaticate da decenni dottrina e giurisprudenza.
Per quanto riguarda la capacità derogatoria del contratto aziendale, questa non è piena ma deve rispettare dei limiti.
In primis, "vincoli di scopo": i contratti cosiddetti di prossimità potranno, in effetti, derogare alle norme di legge e della contrattazione collettiva, solo se gli stessi siano finalizzati alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.
Si tratta di una elencazione di obiettivi che rinvia a contenuti propri della contrattazione decentrata, compresi, ma non solo, gli accordi in deroga.
Sempre seguendo il pensiero del giurista Treu70, l'elenco è così generico da ricomprendere pressoché qualunque contenuto contrattuale, e quindi risulta di scarso rilievo definitorio.
In ogni caso dovrebbe giungersi alla conclusione che accordi non finalizzati agli obiettivi indicati restino privi di efficacia generale e operanti secondo le tradizionali regole privatistiche.
Una tale conclusione sembra poco plausibile, anche in un contesto legislativo così confuso come l'attuale.
Molto probabilmente, infatti, l'indicazione di questi obiettivi ha il valore di generica premessa rispetto ai contenuti più pregnanti del comma 2, dove si indicano le materie che la contrattazione di prossimità può regolare, anche in deroga alle norme di legge.
Secondo l’opinione di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx00, invece, l’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, dovrebbe essere letto come prima attuazione dello “Statuto dei lavori”.
70 Treu T., Le relazioni industriali dopo l’accordo del 28 giugno 2011. l’accordo 28 giugno 2011’ed oltre in Dir. Relaz. Ind. , 2011, 03 ,06
71 TIRABOSCHI M. L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Xxxxx Xxxxx in dir. relaz. Ind. , 2012, 01, 0078.
Esso dovrebbe rappresentare, infatti, il cuore di più un organico progetto di riforma del mercato del lavoro italiano, in chiave sussidiaria e federalista, identificato da Xxxxx Xxxxx nello “Statuto dei lavori”.
Una volta individuato un nucleo essenziale di norme e di principi inderogabili comune a tutti i rapporti di lavoro, occorre procedere a un depotenziamento di alcuni interventi a favore del lavoro dipendente, costituendo così un sistema di tutele variabili.
72 Cfr. in particolare, nei medesimi termini di quanto sostenuto da Xxxxx Xxxxx nei passi citati al § 2, i capitoli I.3 e Iii.1 del Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia – Proposte per una società attiva e un lavoro di qualità, 3 ottobre 2001, Roma.
73 Xxxxx X., Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti di lavoro, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro,n. 3, 2011.
È proprio tramite la vigilanza di questi due limiti che viene previsto il controllo giudiziale su questa nuova forma di intesa territoriale.
Si tratta di un sindacato di portata assai ampia, che non potrà che gettare un'alea di incertezza rispetto all'effettiva applicabilità dei suddetti contratti di prossimità peggiorativi, stipulati ex articolo otto.
Un'altra opinione particolarmente interessante e quella sostenuta da Xxxxxxxx Xx Xxxxxxx00. Egli ritiene che l’art. 8, d.l. n. 138/2011 sia stato concepito all’interno di una precisa realtà di relazioni industriali, di organizzazione del lavoro, di strategie aziendali di tipo monopolistico, dotato di capacità finanziaria ed economica di forte condizionamento della giurisprudenza.
74Vedi comma 2-bis della legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148:”Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.”
75 DE XXXXXXX X., Atti del convegno nazionale Napoli Diritto del lavoro anno zero? La contrattazione collettiva dopo l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e le novità della Manovra Finanziaria Napoli, pagg. 227 e seg.
Per una parte della dottrina76 tale articolo è stato formulato in base alla richiesta della BCE di una maggiore flessibilità in uscita. La riduzione delle tutele in materia di licenziamenti dovrebbe, secondo quanto auspicato, favorire nuova occupazione con contratti a tempo indeterminato.
Nella sua lettera, la Banca Centrale ha espresso un'opinione coerente con quanto essa sostiene da anni77. Tale tesi, tra l'altro, è quella adottata dalle grandi istituzioni economiche internazionali, ossia Ocse e Fondo Monetario Internazionale, ed è stata confermata dalla Banca d'Italia78.
Tale tesi, inoltre, trova conforto in autorevoli opinioni di giuristi italiani che, basandosi su studi economici, ritengono che l’eccessiva rigidità nella disciplina di licenziamenti sia un ostacolo alle assunzioni e determini una sorta
76 PERULLI A. E SPEZIALE V., L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la rivoluzione di Agosto del Diritto del lavoro, Torino, 2011.
77 La Banca Centrale Europea ha riaffermato che, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni nelle performance del mercato del lavoro, vi è necessità “di maggiore flessibilità per aumentare la capacità di aggiustamenti dei mercati del lavoro dell’area nonché la relativa capacità di tenuta agli shock” (BCE 2007, 75). La eccessiva rigidità nella legislazione a tutela del posto di lavoro è ancora una volta ribadita (77), in coerenza con una tesi già espressa in precedenza (BCE 2002).
78 Draghi 2011
Tale tesi è anche suffragata dai dati dell’Istat secondo i quali anche nelle imprese alle quali non si applica la stabilità reale, non si assiste ad un turn over occupazionale più dinamico, inteso come crescita degli occupati che, sino alla soglia dei 16 dipendenti, è più ampia di quella riscontrata nelle imprese sottoposte allo statuto lavoratori.
79 ICINO. P. Questo autore, nel commentare l’art. 8 della l. 148/2011, ha ribadito il concetto (Id. 2011a,1)
80 Ad esempio, i lavori di Xxxxxxx 1997 e Xxxxxxx, Xxxxxx 1998, che escludono che la legislazione in materia di licenziamenti ed i minimi salariali producono rigidità che hanno un impatto negativo sull’occupazione. In tempi più recenti, considerazioni analoghe sono espressa da Xxxxx, Xxxxxxx e Xxxxxxx 2005 e Xxx Xxxxx 2010, 12. Si considerino anche le analisi di Xxxxxx Xxxxxxxx 1999 e 2000, che sottolinea come non esistano evidenze empiriche che confermino un qualsiasi effetto della deregolamentazione del mercato del lavoro sui livelli della disoccupazione. Per una ricostruzione dettagliata delle opinioni favorevoli e contrarie alla tesi della flessibilità del lavoro quale soluzione ai problemi dell’occupazione si vedano le approfondite analisi di Xxxxxx, Xxxxxxxxx 1999, 587 ss. e Xxxxxxxxx 2005, 33 ss.
Anzi, quest'area è caratterizzata da una massiccia utilizzazione di contratti flessibili, malgrado la possibilità di licenziare a costi molto contenuti81. Tali elementi, dunque, confermano che la rigidità dell'articolo 18 ha ben poca influenza sulla propensione delle imprese ad assumere.
Tra gli esponenti di tale visione vi è Xxxxxxxx Xxxxxxx, il quale ritiene che l’articolo 8 del decreto legge 130 del 2011 ha, infatti, quali principali finalità sia quella di potenziare la contrattazione collettiva decentrata sia quella di attribuire a tale tipo di contrattazione, quando realizzata in applicazione delle regole previste dalla norma medesima, efficacia generalizzata.
Bisogna anche segnalare che il contenuto della norma, lungi dall’essere l’espressione di un intervento impositivo e limitativo della contrattazione collettiva e dell’attività delle organizzazioni sindacali, ne valorizza il ruolo,
81 Dell’Arringa C., secondo il quale non è vero che le imprese sotto i quindici dipendenti, che non hanno l’articolo 18, utilizzano meno contratti flessibili.
82FAVALLI G., Atti del convegno nazionale Napoli Diritto del lavoro anno zero? La contrattazione collettiva dopo l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e le novità della Manovra Finanziaria, Napoli, pagg. 283 e seg.
giungendo al punto da attribuire alle stesse la possibilità di derogare alle norme di legge83.
Il giurista giustifica tale presa di posizione per una gran quantità di motivi. In primis sostiene che una legge ordinaria non può disporre in materia di efficacia generale dei contratti collettivi, pure aziendali o territoriali, se non muovendosi in coerenza con l’art. 39 della Costituzione, per il quale l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi è sottoposta alla preventiva registrazione dei sindacati presso “pubblici uffici”, a seguito della verifica del carattere democratico dell’ordinamento interno, e alla costituzione di rappresentanze unitarie in proporzione agli iscritti ai diversi sindacati.
Il vincolo costituzionale, che costituisce un tentativo di sintesi tra principio di libertà e pluralismo sindacale ed efficacia generale del contratto collettivo, è insuperabile, salvo prevedere un meccanismo di validazione dei contratti collettivi che nella sostanza ne rispetti il dettato, pur variando sul piano
83 VALLEBONA A., L’efficacia derogatoria dei contratti aziendali o territoriali; si sgretola l’idolo dell’uniformità oppressiva, in Bollettino Adapt, 3 ottobre 2011, n. 32, in xxx.xxxxx.xx, pag. 3.
84 XXXXXXXX X., Un accordo necessario da attuare e non stravolgere, in Qad. Rass. Sind., 2011, 3
formale: ad esempio introducendo un mix tra il criterio di rappresentatività fondato sul numero degli iscritti e quello derivato dai voti ricevuti dai diversi sindacati in occasione della elezione delle rappresentanze a livello aziendale.
Tali contratti assumerebbero, quindi, efficacia erga omnes se sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle suddette rappresentanze sindacali. Il problema è quindi capire a quale criterio maggioritario si faccia riferimento; quello riferito alla maggioranza delle Rsu elettive, come previsto dall’accordo del 28 giugno, o a quello relativo alla maggioranza delle Rsa, come previsto dagli accordi Fiat, cassati dal Tribunale di Torino, secondo la quale il sindacato che non ha sottoscritto il contratto perde il diritto a costituire Rsa.
85 Quanto alla definizione di queste ultime, in sede di emendamenti proposti dal governo rispetto alla versione iniziale, si specifica che tali rappresentanze (aziendali) sono quelle costituite “ai sensi della normativa di legge” ovvero “degli accordi interconfederali vigenti compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011”.
Si sarebbe quindi di fronte ad un vero e proprio caos normativo, sulla materia delicatissima della efficacia generale dei contratti collettivi, già solo per questo meritevole di un drastico giudizio di incostituzionalità.
Si potrebbe attribuire, in tal modo, ai contratti aziendali o territoriali stipulati ex articolo 8 la funzione di definire ad arbitrio le condizioni di fondo della prestazione di lavoro.
Si verrebbe a costituire una sorta di zona franca data la possibile sospensione delle regole di fondo del diritto del lavoro per decisione di attori privati, sindacati e rappresentanze aziendali, di dubbia rappresentatività.
Se si condivide tale tesi, risulta evidente che tale mandato in bianco a contratti aziendali o territoriali a determinare discrezionalmente le norme di fondo del
86 Tra le materie suscettibili di modifica figurano infatti: gli impianti audiovisivi, l’orario di lavoro, le regole in materia di mansioni e inquadramento professionale, la disciplina dei contratti così detti atipici, comprese le partite Iva, dalla disciplina degli appalti a quella del licenziamento (comma 2 art.8) anche in deroga alle disposizioni di leggi che disciplinano le materie richiamate e le relative regolamentazioni contenute nei contratti nazionali di lavoro (comma 3, art.8).
diritto del lavoro, è di per sé privo di ogni legittimità costituzionale, al di là della legittimità dei soggetti negoziali.
A nulla valgono anche i correttivi introdotti nella versione finale del testo, a fini migliorativi. Non bastano, infatti, né l’esclusione, esplicitamente prevista, per i licenziamenti discriminatori e delle lavoratrici madri; né l’introduzione dell’inciso “fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali del lavoro”.
Si tratta di un inciso completamente inutile dato che, anche senza tale chiarimento, difficilmente si sarebbe potuto pensare che gli accordi aziendali o territoriali in questione potessero persino derogare alle norme costituzionali e a quelle del diritto comunitario o internazionale del lavoro.
2.3 Disciplina transitoria
Xxxxxxxx, ora, all’analisi dell’accordo interconfederale si nota che quanto previsto nell’articolo 3 è applicabile solo ai contratti collettivi nazionali che prevedono deleghe al contratto di prossimità.
Resta, quindi, il problema di stabilire come tali disposizioni possano esser applicate ai contratti collettivi nazionali stipulati precedentemente all’accordo
o successivi, che non abbiano previsto materie da delegale alla contrattazione aziendale.
Tale problema è risolto tramite l’introduzione dell’ articolo 7 che dispone:” i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro. Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo interconfederale, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo”.
Aspettando, quindi, che i contratti nazionali di categoria si adeguino a quanto
previsto dall’articolo 3, si ammette la possibilità di accordi aziendali
modificativi per gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico e occupazionale dell'impresa.
Ciò relativamente agli istituti del contratto nazionale che riguardano la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro.
Tale limite oggettivo è, però, suscettibile di interpretazioni variabili, ma certamente esclude, per fare un esempio, i trattamenti economici e normativi in senso generale, dalla disciplina della malattia alle sanzioni disciplinari.
Il regime transitorio è diverso e più restrittivo rispetto alla normativa a regime per quanto riguarda i soggetti stipulanti; la titolarità a concludere le intese modificative è attribuita dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda d'intesa con le organizzazioni sindacali territoriali di categoria firmatarie dell'intesa del 28 giugno.
87 XXXXXXXX M., Note sull’accordo del 28 giugno 2011 , in xxx.xxxx.xx, Foggia, 2011
E’, invece, richiesta l'intesa fra Rsa e organizzazioni sindacali territoriali, quindi in sostanza, l'unanimità.
Vi è, però, anche chi, come Xxxxx Xxxxxxxx00, ritiene che l’utilizzo della formula “intese modificative” in luogo del termine deroghe abbia una sua specifica rilevanza.
Egli infatti sostiene che con questo accordo la Cgil sottoscrive un nuovo sistema di regole; disconoscendo quanto stabilito senza il suo consenso nei precedenti accordi interconfederali che non avevano visto al firma del suddetto sindacato.
Per quanto riguarda questo punto è netta la somiglianza con quanto stabilito dall’ articolo 8 del decreto legge 183 del 2011. Secondo Xxxxxxxxxx, infatti, tale disposizione risulta essere un forte punto di contatto con l’articolo 8; e quindi tale articolo non può essere qualificato alla stregua di un intervento autoritario e dirigista volto a interferire impropriamente sulle dinamiche intersindacali90 date le somiglianze con la statuizione sindacale.
88 Carinci F., L'accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?, in Argomenti dir. Lavoro, Padova, 2011
89 XXXXXXXX L., Un accordo necessario da attuare e non stravolgere, in Qad. Rass. Sind. 3, 2011.
90 TIRABOSCHI M. L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Xxxxx Xxxxx in dir. relaz. Ind. , 2012, 01, 0078
Un'altra opinione da tenere in considerazione è quella di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx00 secondo il quale il punto sette dell’accordo rappresenta un’innovazione solo in teoria. Egli sostiene, infatti, che nonostante sia vero che i contratti collettivi territoriali possono modificare specifiche statuizioni del contratto collettivo nazionale è vero anche che, nel contempo, questo potrà accadere solo ove previsto dagli stessi contratti collettivi nazionali e, comunque, solo previa autorizzazione delle organizzazioni sindacali territoriali firmatarie dell’accordo interconfederale del 28 giugno del 2011; e di intesa con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie.
Ciò pare investire le organizzazioni confederali di un grande potere contrattuale ed è da adottarsi verosimilmente sulla falsariga delle modalità di stipulazione del contratto nazionale.
Il punto 7 dell’accordo, secondo invece un’altra corrente di pensiero92, rappresenta un’indubbia apertura alla contrattazione aziendale, quale strumento di regolazione capace di rendersi portavoce delle esigenze territoriali, locali e aziendali.
91 ANGIOLINI V., L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: problemi veri e falsi della libertà sindacale , in xxx.xxxx.xx., 2011.
92 XXXXXXXXX F., Una nuova pagina nel sistema di relazioni industriali: l’accordo sulle regole della rappresentatività e della contrattazione in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx n. 53, 2011
Secondo tale tesi, dunque, pare che vi sia un’apertura ad un rapporto più elastico e libero tra contrattazione nazionale e aziendale, che costituisce una relativa novità93, anche se i termini di tale rapporto sono comunque rinviati al governo dei contratti collettivi nazionali.
Volendo ammettere questa funzione, gli accordi aziendali avrebbero pertanto non soltanto una competenza alternativa-delegata ma, accanto ad essa, anche una competenza concorrente-derogatoria; e tuttavia sui soli punti o materie che la stessa contrattazione nazionale consente, fissando anche le relative procedure.
93 Va ricordato che una delle prime aperture in tal senso si era verificata nel rinnovo del contratto collettivo nazionale dell’industria chimica del 2006, sottoscritto unitariamente da tutte le xx.xx. del settore: v. in tema il contributo in Note Informative, 2006, n. 36, p. 59.
94 Alleva P., Xxxxxx e prospettive dell'accordo interconfederale 28/06/2011, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/, 2011
Una simile preoccupazione è, comunque, limitata dalla forte giustificazione, che, alla fine, l’efficacia generale dei contenuti contrattuali negativi per tutti i lavoratori trovi la sua ragione in una volontà espressa da quest’ultimi.
Tale volontà può essere individuata nell’elezione, da parte di tutti i lavoratori, della Rsu, che a sua volta poi, nella sua maggioranza, sottoscrive l’accordo anche peggiorativo, ovvero, ove non vi sai stata una simile elezione, nella possibilità di votare in un referendum confermativo.
Non va però dimenticato che la rappresentatività maggioritaria della Rsu eletta è una condizione necessaria ma non sufficiente per un assetto davvero democratico e congruo delle relazioni industriali a livello aziendale, poiché accanto al problema della rappresentatività resta quello della rappresentanza.
Un siffatto problema, della verifica dell’effettivo gradimento da parte dell’insieme dei lavoratori dei contenuti e risultati dell’accordo raggiunto, può essere risolto solo tramite la specifica richiesta di approvazione da quest’ultimi di quanto contrattato dai rappresentanti delle RSU.
Non basterebbe, infatti, il mandato genericamente dato in occasione delle elezioni dei rappresentanti dato che il controllo del loro operato da parte dei lavoratori potrebbe risultare nullo considerata la distanza temporale e la difficoltà di prevedere problemi sopravvenuti, spesso neanche immaginabili al tempo delle elezioni.
Non mancano, però, nella vasta dottrina in merito, opinioni contrarie95, C’è chi ritiene che invece i suddetti strumenti, elezioni delle RSU e Referendum, possano non solo garantire scelte il più possibile condivise, ma anche gestire il naturale dissenso96.
Seguendo la tesi di Treu98 la regola sulle deroghe stabilita dall'intesa in esame completa in modo simmetrico quella sul principio di delega.
Questo principio serve a controllare l'ambito delle materie negoziabili, a livello aziendale, la clausola di deroga precisa che il contratto aziendale può
95 Sarracini P., Contratto e legge dopo il caso fiat: le nuove regole sindacali in il contributo di Xxxxx Xxxxxxxx all’evoluzione teorica del diritto del lavoro, Torino, 2013.
96 XXXXXX X., Rappresentanza e rappresentatività sindacale nella evoluzione delle relazioni industriali, in Diritti Lavori Mercati, n. 1, Edizioni Scientifiche, Napoli, 2012, pp. 31-57.
97ZOLI C., Dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 all’art. 8 del d.lgs. 138/2011, in Contrattazione in deroga a cura di xxxxxx Xxxxxxx, Milano, 2012
98 TREU T., Le relazioni industriali dopo l’accordo del 28 giugno 2011. l’accordo 28 giugno 2011’ed oltre in Dir. Relaz. Ind. , 2011, 03 ,06
operare non solo nel senso tradizionale, integrativo e additivo al contratto nazionale, ma anche in senso modificativo e peggiorativo.
In entrambi i casi la regolazione e il controllo fanno capo al contratto nazionale, ma le funzioni del controllo sono diverse.
Egli sostiene, infatti, che il primo tipo di clausole mira a calmierare le dinamiche contrattuali secondo un'esigenza propria dei periodi di crescita, esposti a spinte inflazionistiche; il secondo apre la strada a un'adattabilità del sistema contrattuale a esigenze proprio di periodi di crisi.
Da ultimo, secondo Xxxxxx Xxxxxxx000, a leggere questo testo può nascere il sospetto che tutto il discorso sul carattere non retroattivo, tramite il quale tale punto non può essere fatto valere a copertura di quegli accordi di Pomigliano e
99 Sarracini P., Contratto e legge dopo il caso fiat: le nuove regole sindacali in il contributo di Xxxxx Xxxxxxxx all’evoluzione teorica del diritto del lavoro, Torino, 2013
100CARINCI F., L'accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?, in Argomenti dir. Lavoro, Padova, 2011
di Xxxxxxxxx nati come contratti aziendali, sia superato dal quel “Ove non previste”, perché l’accordo metalmeccanico del settembre 2010 contempla già la contrattazione collettiva aziendale “in deroga”. Va tenuto presente, inoltre, che quell’accordo era e resta separato, così da non poter essere considerato oggetto del richiamo e senza alcun effetto sanante.
D’altronde, egli ritiene che il regime previsto appaia restrittivo, sia riguardo ai presupposti ed ai contenuti, anche se espressi in termini facilmente estendibili; sia, soprattutto, rispetto ai soggetti, come già precedentemente evidenziato, perché le rappresentanze sindacali operanti in azienda devono operare d’intesa con le sigle sindacali territoriali firmatarie, senza che venga prevista alcuna entrata in funzione del principio di maggioranza, sì da richiedersi, come già sostenuto da altri giuslavoristi, l’unanimità. Tale punto finirebbe dunque per dotare di un potere di veto insuperabile le confederazioni.
Un prudente approccio alla contrattazione collettiva in deroga è comunque necessario, perché è ben possibile che la breccia venga allargata dalla contrattazione collettiva nazionale, sì da spostare decisamente e significativamente quel punto di equilibrio del sistema.
2.4 Modello spagnolo
la disciplina della contrattazione collettiva aziendale in Spagna, a differenza che in Italia101, è regolata analiticamente per legge. Questa è stata notevolmente modificata nel biennio 2011/2012, in primis col real decreto ley 7/2011102, e poi col real decreto ley 3/2012103, che hanno determinato per via legislativa una struttura contrattuale più vicina all’impresa attraverso una riforma del Titolo III dello Estatuto de los Trabajadores del 1980104.
101 Lassandari A., Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, 2001, p. 206.
102 Real decreto ley 7/2011 del 10 giugno, contenente misure urgenti per la riforma della contrattazione collettiva.
103 Real decreto ley 3/2012 del 10 febbraio, contenente misure urgenti per la riforma del mercato del lavoro, convertito nella ley 3/2012 del 6 luglio, coi voti favorevoli del Partido Popular, Convergéncia i Unió, e con l’opposizione del resto dei gruppi parlamentari, soprattutto quelli di sinistra, quali il Partido Socialista e Izquierda Unida, o del partito Unión, Progreso y Democracia, che presentarono vari emendamenti su ogni parte del testo, tutti respinti in parlamento: sul punto cfr. M. L. Xxxxxx Xxxxxxxxx, L’ultima fase dell’evoluzione del diritto del lavoro spagnolo: le riforme del biennio 2010- 2012, in DRI, n. 4, Ottobre-Dicembre 2012, p. 2.
104 XXXXXX XXXXXX X., Xxx xxxxxxxx xx xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx x Xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
105 XXXXXXXX PESET J. M., Régimen de la negociación colectiva e inaplicación del convenio en la reforma de 2012, Valencia, 2013, pp. 13-14; XXXXXXXXX- XXXXXX M., La reforma de la negociación colectiva: perspectiva general, in X. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, I. M. Xxxxxx (Coordinadores), El nuevo derecho de la negociación colectiva actualizado tras la ley 3/2012, Tecnos, Madrid, 2013, p. 18, secondo cui le riforme in oggetto sono frutto della volontà di agenzie di rating, organismi
Per quanto riguarda il rdl 7/2011, il governo socialista di Xxxx Xxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxx é intervenuto malgrado le parti sociali, sul punto, non fossero pervenute ad alcuna pattuizione, contravvenendo l’auspicio contenuto nell’Acuerdo para el empleo y la negociación colectiva 2010, 2011 y 2012.
internazionali, paesi europei con finanze in buono stato: in genere organismi con una visione lontana dai problemi, ed a volte piena di pregiudizi; Xxxxxxxxx-Xxxxxx M., La forza del mercato: le riforme del diritto del lavoro spagnolo durante la crisi finanziaria mondiale, in DLRI, n. 137, 2013, 1, pp. 91 e 94. In termini positivi ed aprioristici; Xxxxxx Xxxx X., Il sistema di relazioni industriali in Spagna dopo la riforma della contrattazione collettiva. L’impegno per il contratto d’azienda, in DRI, 1/2012, pp. 258 e 259, che giustifica l’intervento del 2011 alla luce del tasso di disoccupazione iberico pari al 46,2%, ben al di sopra della media nei paesi dell’Ue, pari al 20,9%, e dunque per creare nuovi posti di lavoro..
000 Xxxxxx Xxx-Xx X., Flexibilité interne et réforme du marché du travail: le cas espagnol, in
RDCTSC, 2/2012, p. 19
107 Acuerdo de 9 de fevrero de 2010 (Boe del 22), Disposición Adicional Unica.
Nella Exposición de motivos il real decreto-ley 7/2011 si prefiggeva di affrontare il contenuto della contrattazione e i criteri di legittimazione dei soggetti ammessi al tavolo delle trattative nel rispetto della autonomia delle parti sociali.
Passando al secondo intervento, ci si rende conto che se il rdl 7/2011 è chiaro ed attento nell’esplicitare dettagliatamente gli obiettivi della riforma, il rdl 3/2012 si caratterizza per un’esposizione molto sommaria della ratio della nuova riforma di poco posteriore alla precedente.
108 Disposición Adicional Vigésima Primera de la ley 00/0000, xx 00 xx xxxxxxxxxx (Xxx del 18), de medidas urgentes para la reforma del mercado del trabajo, secondo cui “in difetto di accordo nel processo di contrattazione bilaterale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore di questa legge, il Governo, previa consultazione con le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, adotterà le misure necessarie per affrontare- tra l’altro- la definizione dei meccanismi di articolazione della contrattazione collettiva…”.
109 nella Xxxxxxxxxx xx xxx xxxxxxx xxx xx xxx 0/0000 xx legge che “Con questa premessa di fondo, gli obiettivi principali di questa riforma della contrattazione collettiva sono i seguenti: primo, favorire una migliore strutturazione della nostra contrattazione collettiva, stimolando sia una contrattazione collettiva più vicina all’impresa ed una contrattazione collettiva di categoria più adatta alla situazione di ogni concreto settore di attività economica. Secondo, introdurre maggiori livelli di dinamismo ed agilità nella contrattazione collettiva, tanto nei processi di negoziazione dei contratti collettivi come nei suoi contenuti, in modo tale da aumentare la capacità di adattamento ai cambi nel contesto economico e socio-lavorativo nella prospettiva dell’equilibrio tra flessibilità per le imprese e sicurezza per i lavoratori. Xxxxx, adattare il sistema di contrattazione collettiva alle nuove o rinnovate realtà imprenditoriali che operano nel nostro mercato del lavoro, includendovi nuove regole di legittimazione per la contrattazione degli accordi collettivi e per favorire la flessibilità interna concertata coi rappresentanti dei lavoratori”.
Nel preambolo infatti si legge che “le modifiche introdotte in queste materie si prefiggono di far sì che la contrattazione collettiva sia uno strumento, e non un ostacolo, per adattare le condizioni di lavoro alle concrete circostanze dell’impresa”, e che “in materia di contrattazione collettiva si prevede la possibilità del descuelgue rispetto al contratto collettivo anteriore, si conferisce priorità applicativa al contratto aziendale e si disciplina il regime di ultra-attività degli accordi collettivi”.
La novità principale della riforma del 2012, sotto questo profilo, è il conferimento ex lege al contratto aziendale di una priorità applicativa nella gran parte delle materie caratterizzanti il lavoro subordinato; ed inoltre l’ampliamento del potere dell’imprenditore di ricorrere al descuelgue, ossia
di disapplicare i precedenti accordi collettivi in presenza di presupposti causali e nel rispetto di un determinato iter.
Il punto più caratterizzante del rdl 3/2012 rispetto a quello del 2011 è che viene meno il carattere dispositivo della priorità applicativa del contratto aziendale da parte delle organizzazioni sindacali più rappresentative,
Questa è, ora, conferita esclusivamente e direttamente dalla legge, e non ammette deroghe in tal senso né da parte degli accordi collettivi di categoria di livello statale o della singola Comunidad Autónoma.
Questa opzione legislativa finisce però per contravviene alla volontà di
sindacati ed organizzazioni degli imprenditori, che pochi giorni prima del
ricorso alla decretazione d’urgenza avevano di certo auspicato ad una maggiore decentralizzazione delle relazioni industriali, ma nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali.
E’ interessante osservare come la manovra dell’esecutivo spagnolo sia speculare a quella del governo italiano nell’emanazione dell’art. 8 della l. 148/2011, approvato, come già detto, appena due mesi dopo che le parti sociali avevano “codificato” le regole per la contrattazione aziendale nell’industria nell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011materia di tale elaborato.
Sebbene in base al rdl 7/2011 la priorità applicativa del contratto collettivo aziendale aveva carattere dispositivo, ciò scompare del tutto con il nuovo art. 84, co. 2 ET come riformato dal rdl 3/2012. Quì si stabilisce un’eccezione legale di carattere imperativo per le parti sociali110.
Infatti, il nuovo art. 84, co. 2 ET elimina la possibilità per gli accordi interconfederali o contratti collettivi di categoria di derogare al principio della superiorità gerarchica del contratto di impresa.
Si prevede, infatti, che gli accordi di cui all’art. 83, co. 2 Et “no podrán disponer de la prioridad aplicativa en este apartado”, indipendentemente
110 del Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx M., La reforma de la negociación colectiva como mecanismo de adaptación de las condicione laborales, in F. Xxxxx Xxxxxxxx, La reforma laboral de 2012, 2012, p. 169.
dalla struttura della contrattazione collettiva che in un determinato settore le parti sociali possano considerare più appropriata.
Guardando alla tecnica normativa, il principio della supremazia dell’accordo aziendale ècostruito attraverso una duplice eccezione: in primo luogo al generale principio del prior in tempore potior in jure, ed in secondo alla possibilità che gli accordi e contratti possano imporre la struttura della contrattazione collettiva112.
E’ importante precisare come l’eccezione alla regola di concorrenza di cui all’art. 84 si riferisce alla sola ipotesi di concorrenza tra contratti aziendali con quelli di livello statale, di Comunidad Autónoma o di livello inferiore.
111 Xxxxx Xxxx E., Estructura de la negociación: novedades del artículo 83.2 ET tras las reformas de 2011 y 2012, in X. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, I. Xxxxx Xxxxxx (Coordinadores), El nuevo derecho de la negociación colectiva,, p. 51.
112 XXXXXXX XXXXXXXXX X., Nuevas reglas de concurrencia de convenios: la prioridad aplicativa del convenio de empresa, in RL 9/2013, p. 48; Id., La concurrencia de convenios tras la reforma de la negociación colectiva, in X. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, I. Xxxxx Xxxxxx (Coordinadores), El nuevo derecho de la negociación colectiva, 2013, pp. 70 ss.
Non sarà dunque possibile stipulare un contratto di centro de trabajo (ramo d’azienda) durante la vigenza di quello aziendale, altrimenti si verificherà il divieto di concorrenza legalmente proibito113.
Detto ciò, alla supremazia del contratto aziendale fa da contraltare l’erosione del principio del prior in tempore, che resta oramai circoscritto ad ipotesi residuali.
Va, inoltre, tenuto presente che la priorità applicativa appena analizzata si estende anche ai contratti di gruppo di imprese o contratti di gruppi di imprese vincolate da ragioni di carattere organizzativo, produttivo e nominativamente identificate.
Tutto ciò va letto nell’ottica di una politica legislativa che considera l’accordo di gruppo come subspecies del contratto collettivo aziendale114
113 Xxxxxxxx Uguina J. R., El impacto de la reforma laboral en la negociación colectiva,
Madrid., 2012, p. 29.
114 XXXXXX XXXXXX J., La reforma de las reglas de legitimación (inicial y plena) para negociar convenios colectivos, in RL,23-24/2011, p. 69, secondo cui per potersi configurare il gruppo di imprese come autonoma unità negoziale non è sufficiente la circostanza che le imprese siano ubicate nel medesimo luogo, o che si dedichino ad identiche attività in seno al medesimo contesto produttivo- merceologico; si richiede invece la sussistenza di un legame tra le imprese per ragioni di carattere organizzativo o produttivo, come nel caso di frammentazione del ciclo produttivo, o di subfornitura o delocalizzazione; XXXXX ABELLEIRA F. J., La reforma de las garantías subjetivas de la negociación colectiva, in I. Xxxxxx-Xxxxxxx Escartín, J. R. Xxxxxxxx Uguina (directores), La reforma de la negociación colectiva., p. 138, secondo cui il contratto di impresa e quello di gruppo di imprese stanno in un rapporto di genere a specie, posta l’assimilazione operata dall’art. 84, co. 2 ET, Párrafo 2 del apartado 2, e p. 140: il gruppo di imprese si configura quando più aziende occupino il medesimo spazio fisico, partecipino ad uno stesso processo gestionale e produttivo, si uniscano temporalmente, oppure siano in una relazione gerarchica, del tipo impresa franchisor ed impresa franchisee.
Restando così le cose, il contratto di gruppo di imprese avrà priorità applicativa di fronte ad un anteriore contratto di categoria, così come sarà possibile che accordi interconfederali e contratti collettivi statali o della singola Comunidad Autónoma ne amplino il raggio d’azione.
L’aspetto più pericoloso della riforma è che nessuna previsione normativa regola espressamente i rapporti tra contratto aziendale e di gruppo di imprese.
Tale problema non è meramente teorico, dato che nella prassi delle relazioni industriali ben può esservi un gruppo di imprese con diversi contratti aziendali.
Proprio riguardo a ciò è stata formulata un’interpretazione restrittiva della norma in questione in modo che in caso di concorrenza tra un accordo aziendale ed uno di gruppo di imprese si applicherà il criterio del prior in tempore potior in jure115.
Seguendo un’interpretazione letterale, l’eccezione della regola di concorrenza va circoscritta ai soli contratti di impresa o gruppo di imprese in relazione a quelli di categoria statale, autonomico o di ambito inferiore.
115 XXXXXXX XXXXXXXXX X., Nuevas reglas de concurrencia de convenios: la prioridad aplicativa del convenio de empresa, in RL 9/2013, pp. 45, 46.
Guardando più in particolare, le parti sociali si esprimevano in termini chiari per la decentralizzazione delle relazioni industriali, con una dichiarazione quasi identica a quella dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, ma con una serie di vincoli.
Dovevano essere le stesse organizzazioni di categoria a stimolare la contrattazione aziendale, “su iniziativa delle parti interessate”, in materia di orario di lavoro giornaliero, mansioni e salario, “essendo questo l’ambito più adeguato per disciplinare le predette materie”; inoltre, vero è che l’Accordo stabiliva una serie di raccomandazioni in ordine all’inapplicazione concertata di talune condizioni di lavoro di cui al contratto collettivo di categoria.
116 XXXXXXX XXXXXXXXX X., Nuevas reglas de concurrencia de convenios: la prioridad aplicativa del convenio de empresa, in RL 9/2013.
117 L’accordo era stato siglato il 25 gennaio 2012, a seguito del processo di dialogo sociale iniziato dal Governo iberico il 30 novembre 2011 con CEOE/CEPYME, CC.OO. e UGT.
Nel contempo questo prevedeva che gli stessi accordi di categoria dovessero necessariamente contenere “cláusulas de inaplicación temporal negociada de determinadas condiciones de trabajo”, restando comunque esclusa la disciplina del descuelgue e del contratto collettivo estatutario118.
Bisogna inoltre notare che è risultato evidente, in vari accordi di categoria, il diverso intento degli attori sociali rispetto ad una decentralizzazione imposta unilateralmente per legge.
il legislatore ha optato per non postergare l’entrata in vigore della riforma alla naturale scadenza sebbene i predetti contratti collettivi dispongano diversamente, così che i convenios de sector non possono né impedire l’operatività della nuova cornice né prevedere dei minimi di trattamento che vadano comunque rispettati dal successivo contratto collettivo119.
Bisogna, però, considerare che le parti sociali nella prassi delle relazioni industriali, hanno tentato di contravvenire ad una legge imperativa come
118 Il convenio colectivo estatutario è quello dotato di efficacia generale in presenza dei presupposti soggettivi e formali di cui agli artt. 82 ET e ss., cui si contrappone il convenio colectivo extraestatutario,stipulato all’esterno delle regole di cui alla legge, cui si applicano le disposizioni codicistiche e non si riconosce efficacia generale: in generale; XXXXXXXX UGUINA J. R., Lecciones de derecho del trabajo, irant lo Xxxxxx, Valencia, 2012.
119 LASSANDARI A., Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano 2001., p. 206.
quella di cui all’art. 84, co. 2 ET. Portando il caso dinnanzi alla all’Audiencia Nacional120
Entrando nello specifico, le clausole oggetto di impugnazione sono state: l’art. 41, l’art. 58 e l’art. 34 lett.
Per rinsaldare la centralità del contratto, le parti concludevano il predetto accordo collettivo con l’inciso secondo cui “El V Convenio General de la Construcción del cemento tine prioridad aplicativa sobre cualesquiera otras disposiciones”.
Con la sentenza del 10 settembre 2012, n. 134848121, il ricorso è stato accolto dalla Audiencia Nacional dalla Dirección General de Empleo sulla scorta del consolidato indirizzo giurisprudenziale per cui quanto previsto dalla legge
120 La Audiencia Nacional è l’organo giurisdizionale che conosce nel merito delle controversie che estendano i suoi effetti ad un ambito territoriale superiore a quello della sigola Comunidad Autónoma; per le controversie in materia di lavoro vi è un’apposita Sala de lo Social: XXXXXXXX UGUINA J. R., Lecciones de derecho del trabajo, irant lo Xxxxxx, Valencia, 2013 p. 887.
121Audiencia Nacional, 10 septiembre 2012, n. 134848/2012, secondo cui il contratto collettivo deve conformarsi a quanto previsto dalla legge vigente nel momento in cui si firma “con independencia de que existieran con anterioridad o no, por que tal es el juego de la jerarquía normativa que impera en nuestro ordenamiento jurídico”; XXXXXX XXXXXXXX X., La prioridad aplicativa del convenio de empresa: a propósito de la Sentencia de la Audiencia Xxxxxxxx xx 00 xx xxxxxxxxxx xx 2012, in RL, 2/2013, pp.75-84.
La Audiencia Nacional ha ribadito inoltre, un consolidato indirizzo, secondo cui quando un contratto collettivo “durante la sua vigenza divenga si caratterizzi per illegalità sopravvenuta per l’entrata in vigore di una legge che, in modo tacito o espresso, lo contraddica, il predetto accordo collettivo deve sottostare e conformarsi alla legge in virtù del principio di gerarchia normativa che, consacrato a livello generale nell’articolo 9.3 della Costituzione Spagnola del 1978, è inoltre contemplato nell’articolo 3.1 dell’Estatuto de los Trabajadores del 1995, quindi, per definizione, una norma di rango inferiore, quale un contratto collettivo, non può essere in alcun modo con altra di grado superiore, quale è la legge123”
Tutto ciò è inoltre ribadito dalla recente giurisprudenza di merito che, in una situazione analoga a quello inquestione, ha dichiarato che una modificazione
122 STC 58/1985 del 30 aprile secondo cui la presenza degli accordi collettivi nel sistema delle fonti del diritto determina “el respeto por la norma pactada del derecho necesario establecido por la ley, que, en razón de la superior posición que ocupa en la jerarquía normativa, puede desplegar una virtualidad limitadora de la negociación colectiva” senza che sia possibile “asimilar las relaciones entre ley y convenio a las que se istauran entre norma delegante y norma delegada”; in senso conforme: STC 210/1990 del 20 dicembre, per cui “De forma permanente se viene indicando que el Convenio Colectivo debe respetar la ley y someterse a ella, incluso que los convenios colectivos vigentes pierdan su eficacia en aquellos contenidos que son modificados por la ley sin que ello suponga un efecto retroactivo de esta, sino la plasmación de la dinámica legislativa de un Estado social y democrático de Derecho, donde se instrumentalizan los medios de historicidad del derecho, que no es estático sino que atiende a las necesidades de colectivo social”; STS del 20 dicembre del 2007, n. 324021.
123 Audiencia Nacional, Sala de lo Social, 12 luglio 2006 (La ley 82071/2006).
legislativa in contrasto con un accordo collettivo avrà ripercussioni immediate sugli accordi vigenti.
Concludendo questa analisi, la Audiencia Nacional ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 34lett. b, 41 e 58 del V Convenio Coletivo de Sector de Derivados del Cemento, perché in contrasto con la nuova versione dell’art. 84, e sulla base del combinato disposto dei principi costituzionali di gerarchia tra le fonti del diritto e di irretroattività della norma di legge124.
La sentenza125 in questione, è stata impugnata tramite ricorso per Cassazione innanzi al Tribunal Supremo da parte della Federación de la Construcción, Maderas y Afines de CC.OO. e da quella Madera, Construcción y Afines de UGT.
124 Xxxxx Xxxxxxx S., La preferencia aplicativa del convenio colectivo de empresa y sus efectos sobre la estrucutra de la negociación colectiva, in RGDTSS, 33/2013, p. 138.
125 XXXXXX XXXXXXXX X., La prioridad aplicativa del convenio de empresa: a propósito de la Sentencia de la Audiencia Xxxxxxxx xx 00 xx xxxxxxxxxx xx 2012, in RL, 2/2013, p. 84.
126 Art. 37.1 CE: “La ley garantizará el derecho a la negociación colectiva laboral entre los representantes de los trabajadores y empresarios, así como la fuerza vinculante de los convenios”.