INDICE
INDICE
CAPITOLO 1
CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA E DIRITTO DEI CONTRATTI
1. Tassonomia dei contratti ad evidenza pubblica e diritto comune 4
2. Evidenza pubblica, mercato e diritto contrattuale europeo 14
3. Autonomia negoziale della pubblica amministrazione ed interessi superindividuali: la stagione europea dell’autonomia conformata 22
4. Evidenza pubblica e contratto: stabilità del vincolo e sopravvenienze 34
CAPITOLO 2
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE TRA ESERCIZIO DEL POTERE E ATTI
NEGOZIALI: IL RECESSO.
1. Il diritto di recesso nei contratti ad evidenza pubblica. Dai recessi speciali
al recesso come mezzo di gestione del rischio contrattuale 43
2. Esercizio di poteri negoziali e di poteri provvedimentali: il recesso e la revoca a confronto 62
3. I recenti approdi della giurisprudenza in tema di rapporto tra revoca e recesso nei contratti ad evidenza pubblica: l’Adunanza Plenaria n. 14 del 2014 72
3.1. L’autotutela autoritativa: il recesso “antimafia” 80
4. Osservazioni sul rapporto tra autotutela pubblica e autotutela privata 84
CAPITOLO 3
CATEGORIE CONTRATTUALI E CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA: LA QUALIFICAZIONE DELLA PATOLOGIA DEL CONTRATTO A SEGUITO DI
ANNULLAMENTO DELL’AGGIUDICAZIONE
1. Inquadramento del problema della “sorte del contratto” 89
1.1. Tesi dell’annullabilità del contratto 93
1.2. Tesi della caducazione automatica del contratto 96
1.3. Tesi dell’inefficacia sopravvenuta del contratto 100
1.4. Tesi della nullità del contratto 103
2. L’attuale assetto normativo: l’inefficacia di cui agli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo 107
3. I poteri del giudice e le sanzioni alternative. Il controllo giurisdizionale sull’autonomia negoziale nei contratti ad evidenza pubblica 112
4. La natura dell’inefficacia: dalla caducazione automatica del contratto ad un’ipotesi di nullità speciale 122
Bibliografia 132
CAPITOLO I
CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA E DIRITTO DEI CONTRATTI
SOMMARIO. 1. Tassonomia dei contratti ad evidenza pubblica e diritto comune;
2. evidenza pubblica, mercato e diritto contrattuale europeo; 3. Autonomia negoziale della pubblica amministrazione ed interessi superindividuali: la stagione europea dell’autonomia conformata; 4. Evidenza pubblica e contratto: stabilità del vincolo e sopravvenienze.
1. TASSONOMIA DEI CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA E DIRITTO COMUNE.
Lo studio dei contratti ad evidenza pubblica deve tenere conto, oggi più che mai, dell’imponente strato normativo e giurisprudenziale su cui detta categoria contrattuale si staglia e al quale ha contribuito significativamente la legislazione di derivazione europea. Ed invero, la disciplina dell’evidenza pubblica, che trovava la sua fonte originaria nella legge generale sulla contabilità dello Stato e nel relativo regolamento di attuazione1, evidenzia sempre più le influenze subite dal recepimento nel nostro ordinamento di norme e principi propri del diritto europeo ed in special modo del diritto contrattuale europeo.
La complessità del quadro di fonti normative che regolano tale materia, peraltro, è accentuata dal non sempre agevole rapporto fra gli impianti sistematici su cui giocoforza si regge la loro disciplina: il diritto dei privati
1 Per quanto riguarda, in generale, la contrattualistica pubblica, il Regio Decreto n. 2440/1923, recante “Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato” e il relativo regolamento attuativo di cui al Regio Decreto n. 827/192, recante “Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato”, oggi solo parzialmente in vigore.
da un lato e quello amministrativo dall’altro2. Quando una delle parti di una vicenda contrattuale è la pubblica amministrazione, infatti, principi e regole propri del diritto privato subiscono (o rischiano di subire) una torsione che finisce, il più delle volte, con il pregiudicare la tenuta dello statuto degli istituti che di volta in volta vengono in rilievo. A veder bene, infatti, se non v’è alcun dubbio che le pubbliche amministrazioni possano ricorrere allo strumento privatistico del contratto per svolgere la propria azione e conseguire i propri fini3, non può ammettersi che, per ciò stesso, si spoglino totalmente delle prerogative che le sono proprie e che caratterizzano la disciplina della loro azione4.
Ci si trova evidentemente al cospetto di un’area grigia dell’ordinamento in cui principi e regole tradizionalmente considerati inconciliabili “devono” trovare uno spazio di pacifica convivenza al fine di poter assicurare quella coerenza necessaria a garantirne il funzionamento5.
A delinearne i contorni sono alcune disposizioni e corpi normativi che conviene immediatamente passare in rassegna. Si consideri, anzitutto, che l’art. 1, comma 1 bis, della legge 241/1990, come modificato dalla legge 15/2005, ancorché con formulazione che lascerebbe spazio a diversi temi di
2 Il tema dei rapporti tra diritto pubblico e diritto privato è molto ampio e sterminata è pertanto la relativa letteratura. Tra i tanti, v. X. XXXXXX, La grande dicotomia: pubblico/privato (1980-1982), ora in ID., Stato, governo, società. Per una teoria generale della politica, Torino, 1985, p. 3 ss.; nonché, X. XXXXXXXXXX, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Xxxxxxx, 2003; U. XXXXXXX, L’immagine che i privatisti hanno del diritto pubblico, in Riv. crit. dir. priv., 1989, p. 199 ss.; L. V. XXXXXXXXX, Diritto privato e interessi pubblici. Saggi di diritto civile (2001-2008), Milano 2008; G. OPPO, Diritto Privato e interessi pubblici, in Rivista di diritto Civile, 1994, fasc. 1, vol.40, pp. 25-42; X. XXXXXXXXX, Diritto soggettivo e rapporto giuridico. Cenni di teoria generale tra diritto privato e diritto pubblico, in Eur. dir. priv., fasc.4, 2014, pag. 1191; X. XXXXXXX, Diritto privato vs diritto amministrativo (ovvero alla ricerca dei confini tra stato e mercato), in Riv. dir. civ., 3/2013,
3 X. XXXXXXX, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2014, p. 573
4 X. XXXXXXX, op. cit., p. 11
5 Per alcune interessanti riflessioni sul tema v. X. XXXX, Xxxxxxxx e verità nell’argomentazione giuridica. Alcune riflessioni, in Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, 1, 1998, pp. 84-126.
riflessione, sembra stabilire per la pubblica amministrazione la piena fungibilità tra strumenti di diritto privato e strumenti autoritativi per il perseguimento dei propri fini6; in secondo luogo, rileva il c.d. codice dei contratti pubblici emanato dapprima con il d.lgs. n. 163/2006 in attuazione delle direttive comunitarie 2004/18/CE e 2004/17/CE e recentemente modificato ad opera del d.lgs. n. 50/2016 dal quale, invero, ha ricevuto un nome ben più lungo di quanto fosse necessario: “attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”7. È lo stesso art. 30, comma 8,
6 Art. 1 comma 1 bis, legge 241/1990:“la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. Secondo X. XXXXXXXXX, La parabola del provvedimento e quella del contratto, in xxx.xxxxxxxx.xx, 4/2008 p. 47 si tratterebbe in realtà di una norma “manifesto di dubbia compatibilità con il sistema, e dunque di dubbia attuabilità”. Cfr. anche X. XXXXXXX, op. cit., p. 11: “la norma è probabilmente ispirata ad un favor nei confronti del diritto privato, che aprirebbe la via a un rapporto di parità tra amministrazione e cittadino: si tratta di idea errata, nel senso che l’imposizione di regole di diritto privato senza eliminare i poteri di supremazia dell’amministrazione non crea magicamente rapporti paritari”. Più in generale, X. XXXX, Divagazioni sull’attività negoziale della P.A. nella nuova disciplina del procedimento amministrativo, in I contratti, n. 2/2006, p. 175.
7 X. XXXXXXX, op., cit., p. 574. Le tre nuove direttive comunitarie (23, 24 e 25 del 2014),
nell’ambito della c.d. strategia Europa 2020, si pongono obiettivi ambiziosi che possono così sintetizzarsi: 1. rendere più efficiente l’uso dei fondi pubblici, che, come noto, vengono ordinariamente allocati attraverso contratti pubblici; per tale obiettivo occorrono procedure improntate a canoni di semplificazione, flessibilità, correttezza; 2. garantire la dimensione europea del mercato dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture, assicurando la tutela della concorrenza, vietando pratiche discriminatorie, tutelando anche le piccole e medie imprese; 3. fare un uso strategico degli appalti pubblici, come strumento di politica economica e sociale, promuovendo l’innovazione tecnologica, la crescita sostenibile, la tutela ambientale, obiettivi sociali, quali la tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dei contratti pubblici e l’impiego nel lavoro dei soggetti svantaggiati; 4. promuovere la lotta alla corruzione attraverso procedure semplici e trasparenti, rimuovendo le incertezze normative. Per una panoramica sulle novità apportate dall’introduzione del nuovo codice dei contratti pubblici, R. DE NICTOLIS, Il nuovo codice dei contratti pubblici, in Urb. e app., 5/2016.
peraltro, a prevedere espressamente (con maggior precisione in ordine all’individuazione delle fasi) la soggezione al diritto privato dell’attività contrattuale, per quanto non disposto espressamente dal codice stesso: “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”8.
Le disposizioni del codice civile, dunque, seppur richiamate in via residuale, sono applicabili in tutti i casi in cui non siano derogate dalla normativa speciale, come accade, ad esempio, nella fase tipicamente negoziale dell’esecuzione del contratto. In questo modo, da un lato, si ha conferma di un dato sistematico e assiologico già reso evidente dagli artt. 1, comma 1bis e 11, comma 2, della legge n. 241 del 1990, e cioè che i principi e le regole del diritto civile hanno acquisito ormai la fisionomia di una disciplina di diritto comune, inteso quale patrimonio di esperienze svincolato dalla rigida dicotomia diritto privato - diritto pubblico; dall’altro, non si dubita che il giudice, nel suo ruolo di interprete è tenuto, in linea di principio, al rispetto delle regole ermeneutiche stabilite dal codice civile negli artt. 1362-1371. Ciò che indica con immediatezza la tendenza a limitare situazioni di privilegio o, addirittura, di immunità del potere amministrativo ed al contempo la vocazione del diritto privato dei contratti ad ergersi quale diritto comune degli operatori privati e pubblici9.
8 La disposizione riprende quella di cui all’art. 2, comma 4, del d.lgs. 163/2006 in base alla quale “per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all'articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”.
9 X. XXXXXXXXXXX, L’ermeneutica contrattuale tra pubblico e privato, in I Contratti, 2/2014, 187 ss; X. XXXXX, Il contratto, II ed., in Tratt. Xxxxxx-Xxxxx, Milano, 2011, p. 63, secondo il quale grazie al progressivo smantellamento di ingiustificati privilegi, oggi “il
La legge 11 febbraio 2005, n. 15, aggiungendo il comma 1 bis all’art. 1, l.
n. 241/1990, ha inverato pertanto l’intuizione di quella parte della dottrina amministrativistica secondo cui, con l’avvento dello Stato pluriclasse, i moduli convenzionali tra potere pubblico e cittadini rappresentano la regola dell’amministrare, relegando così l’agire unilaterale ad eccezione: da un modello in cui la decisione amministrativa era assunta in modo isolato dalla pubblica amministrazione, si è passati, in definitiva, ad un modello in cui alla decisione finale concorre, seppure con modi ed effetti diversi, la volontà di altri soggetti, tra cui anche quella di colui che ne sarà il destinatario10.
Le ragioni di tale generalizzazione della possibilità di ricorrere al diritto privato per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali da parte della pubblica amministrazione, peraltro, possono essere diverse: da un lato, gli strumenti privatistici, ed in particolar modo il contratto, sono espressione di una logica paritaria e dunque particolarmente garantista per il cittadino nei rapporti con l’amministrazione; dall’altro essi vengono generalmente percepiti come un veicolo idoneo a consentire maggiore efficienza nell’attività pubblicistica11.
diritto privato dei contratti è davvero - pienamente, senza le riserve e le smagliature del passato - diritto “comune” agli operatori privati e pubblici”.
10 M.S. XXXXXXXX, Il pubblico potere. Stato e amministrazioni pubbliche, Bologna, 1986, p.
126. V. anche X. XXXXXXXXX, La parabola del provvedimento e quella del contratto, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 4/2008 ed in part. p. 23 ss. ove l’A. precisa che “il modello di Stato sociale fatto proprio dalla Costituzione repubblicana è dunque un modello pluralista, che individua i vari, complessi interessi pubblici e privati, ne affida la cura a diversi centri d’imputazione (in funzione del nesso fra tali figure soggettive e le relative posizioni d’interesse), e ne disciplina i rapporti in chiave di confronto dialettico: confronto che non può che essere regolato da un’autorità in grado di ponderare – non più soltanto in chiave di scrutinio di conformità dell’istanza rispetto ad un unico parametro normativo (quello relativo allo specifico settore di attività considerato) - tutte le complesse implicazioni della scelta, e che pertanto non sempre si presta ad essere sostituito dallo strumento consensuale”.
11 Si potrebbe anche affermare che il diritto pubblico oggi offre minori certezze rispetto al
passato: in uno Stato pluriclasse, caratterizzato dalla eterogeneità degli interessi in gioco e dal “rifiuto della politica” si è ingenerato un incremento del ricorso a strumenti di diritto comune; cfr. in tal senso N. IRTI, Codice civile e società politica, Roma-Bari, 2004, p. 13: “l’indebolimento della Costituzione, più sopra descritto, ha restituito o attribuito al codice
Se di norma, quindi, le amministrazioni, agiscono mediante esercizio di potere e dunque adottando provvedimenti autoritativi frutto di discrezionalità12, per esplicare la loro attività, possono avvalersi di soggetti e strumenti privati per ottenere beni o servizi e ciò non già per il tramite di un provvedimento autoritativo, bensì in forza di un contratto di diritto xxxxxxx00. Pur essendo questa un’acquisizione certa, tuttavia, resta ancora da dirimere la questione se l’attività svolta con moduli privatistici sia attività di diritto privato e se sia retta interamente dalla libertà nell’agire ovvero se ne sia rinvenibile una connotazione funzionale idonea che valga ad inquadrare
civile un’inattesa responsabilità. Controversa è l’identità dello Stato; discussi i fondamenti storici della Repubblica (dalla lotta di liberazione all’antifascismo); messa in discussione l’unità territoriale; legittimati dal consenso elettorale partiti della destra estrema e del localismo nordico; questi fatti, così densi e penetranti, hanno riaperto la scissione tra borghese e cittadino, tra membro della società civile e membro della società politica. E, mentre il secondo prende luogo nella lotta dei partiti, e dà opera alla critica o alla difesa della Carta repubblicana; oppure lascia che le cose, orientate dalla volontà altrui, facciano il loro corso; il primo continua la propria vita, immerso nella particolarità dei negozi e nella quotidianità dei bisogni”. V. anche X. XXXXXXXX, Vizi della procedura di evidenza pubblica e patologie contrattuali, in Foro amm. T.A.R., 2006, 4, p. 1519; X. XXXXXXXXXX, La nuova via privata al pubblico interesse aperta dall’art. 1, comma 1 bis, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, in X. XXXXXXXXX E A. SATURNO (a cura di), Il diritto privato della pubblica amministrazione, Padova, 2006, p. 120, secondo il quale negli ultimi decenni la frantumazione della struttura monolitica dei tradizionali poteri politici con il conseguente sviluppo di un policentrismo politico-sociale, le esigenze di competitività economica (frutto dell’apertura dei mercati, della globalizzazione economica e della riaffermazione della lex mercatoria) e la crescente pressione del diritto europeo formalmente non articolato in diritto privato e diritto pubblico, hanno fatto evolvere gran parte delle tradizionali forme pubblicistiche verso figure soggettive ed operative nuove, di impronta privatistica, ritenute più efficaci ed efficienti e in grado di stimolare la competitività economica della pubblica amministrazione.
12 X. XXXXXXX, op. cit., p. 358 ss. Il potere discrezionale della pubblica amministrazione,
com’è noto, si sostanzia in una ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine ad un interesse primario. Solo dopo aver operato il bilanciamento tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi coinvolti, siano essi pubblici, privati o diffusi, l’amministrazione potrà assumere le proprie determinazioni (cfr. M.S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, p. 47)
13 L’inquadramento più risalente dell’attività di diritto privato delle pubbliche amministrazioni si deve a X. XXXXXX, Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa di diritto privato, in Arch. dir. pubb., 1938, III, 455 ss.; si veda inoltre, X. XXXXXXX IRELLI, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir. amm., 1/2003, 217 ss.
anche l’attività svolta con moduli privatistici nell’ambito dell’attività amministrativa14. Resta da chiedersi, in ultima analisi, se l’amministrazione che contratta, quantomeno nella fase propriamente negoziale, si atteggi in tutto e per tutto alla stessa stregua del privato con cui si interfaccia ovvero non perda del tutto quel carattere di specialità che, in certa misura, discende dalla sua funzionalizzazione al perseguimento di interessi pubblici.
Ebbene, è all’interno dello steccato concettuale appena adombrato che si dipana un terreno di analisi particolarmente fecondo per lo studioso di diritto civile. Scegliendo, tale visuale prospettica, infatti, si asseconda non tanto “la pur ricorrente, e non trascurabile, tendenza al superamento delle tradizionali distinzioni tra diritto pubblico e diritto privato”15, quanto, piuttosto, la presa d’atto che tutte le volte in cui la pubblica amministrazione stipula un contratto con un privato si schiude la via a problematiche che non possono prescindere del tutto da un’analisi di tipo giusprivatistico16. Ed in effetti, in via più generale, non è trascurabile la tendenza della più attenta dottrina ad analizzare tematiche tradizionalmente afferenti al campo del sapere proprio del diritto amministrativo con uno sguardo d’assieme che privilegia un approccio vocato al superamento di compartimenti stagni17. Gli
14 S.S. XXXXX, Evidenza pubblica e contratto: profili sostanziali e processuali, Milano, 2008, p. 60
15 L’osservazione è di L. V. XXXXXXXXX, Profili civilistici del contratto di diritto pubblico, Milano, 1988, Premessa, VII.
16 Lungo tale linea d’indagine, seppur da una diversa angolazione, pare muoversi X. XXXXX, L’invalidità satisfattiva dell’atto di autonomia privata e dell’atto amministrativo, in Eur. dir. priv., fasc. 4, 2013, p. 1015
17 X. XXXXXX, Atto amministrativo, in Enc. dir., Xxxxxx XXX, Milano, 2010, pp. 46 55., spec. 102: “sembra avverarsi la previsione di Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx che, nel concludere la trattazione del 1959 pensando ad una sua scrittura vent'anni dopo, avvertiva, tra l'altro: 'non è improbabile che molta della materia degli atti amministrativi sarà venuta sotto la disciplina di un diritto comune a soggetti pubblici e a quelli privati, un diritto comune che, superando pretese egemonie, specialità fittizie e specificità verbali, sembra andare consolidandosi assorbendo e fondendo le acquisizioni veramente importanti dell'uno e dell'altro campo, senza pretendere di eliminare le specificità e quindi le specialità necessarie’”; v. anche X. XXXXXXX, Contratto e pubblica amministrazione, in Trattato del contratto, VI, Interferenze, a cura di X. XXXXX, 000 ss: “le posizioni reciproche del diritto
istituti privatistici, invero, sembrano subire una sorta di modificazione genetica una volta applicati alle amministrazioni, mentre gli istituti amministrativistici appaiono conformati dal diritto privato, tanto che da più parti si avvertono le tendenze alla c.d. privatizzazione del diritto amministrativo o, al contrario, alla pubblicizzazione dei modelli civilistici18. Occorrerà chiedersi, pertanto, se anche la disciplina del contratto stipulato dalle pubbliche amministrazioni secondo il modello dell’evidenza pubblica sia in qualche misura frutto di tale tendenza ed ancora se, soprattutto alla luce di taluni congegni rimediali oggi per lo più disseminati nel c.d. codice dei contratti pubblici, possa ammettersi un richiamo alla ratio sottesa, più in
generale, agli interventi del legislatore europeo in materia contrattuale.
Bisognerà stabilire, in sostanza, se anche il contratto ad evidenza pubblica viva al centro del crocevia di interessi delle parti, del mercato e interessi generali e valutarne, infine, le conseguenze in termini di disciplina e di impatto sull’ordinamento. Si tratterà, dunque, di verificare in cosa consista, più approfonditamente, l’autonomia negoziale della pubblica amministrazione e se quest’ultima, quando stipula contratti di diritto privato rimanga pur sempre titolare di potere amministrativo.
Si può premettere, anticipando in parte l’orizzonte interpretativo su cui ci si orienterà, che il peculiare intreccio di nuclei normativi che sembrano
pubblico e del diritto privato si allontanano dalle figure finora conosciute come dominanti e caratterizzanti, della esaustività e soprattutto della esclusività, e tendono piuttosto all'intreccio e alla combinazione, secondo criteri e modalità che richiedono di volta in volta o, se si vuole, settore per settore, di essere verificati e ricostruiti, senza la pretesa di fissare regole valide per sempre e per ogni caso, ma con pazienza e senza apriorismi alla ricerca di ben calibrati punti di contemperamento e di equilibrio, che spesso non potranno che essere diversi da quelli istituzionalizzati al tempo della “grande dicotomia””.
18 Fra gli altri, X. XXXXXXX, op. cit., 515; X. XXXXXXXXX, Interessi pubblici e diritto privato, in Eur. dir. priv., 2001, p. 581ss. In tal senso anche X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 64: “si diffonde sempre di più il ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni impegnate nell’attuazione di politiche pubbliche, a strumenti modellati sul paradigma del contratto anziché sul tradizionale paradigma dell’atto amministrativo come atto unilaterale autoritativo”.
contaminare biunivocamente le pretese purezze tramandate dalla scienza giuridica privatistica e dalla scienza giuridica pubblicistica, conduce oggi ad un sistema dalla fisionomia meno episodica e frammentaria: l’attività contrattuale a evidenza pubblica e l’attività che si consuma interamente in un ambiente privatistico possono essere viste quali articolazioni di una regolamentazione ancor più comprensiva ciascuna caratterizzata da zone disciplinari proprie e da zone disciplinari comuni19.
Basti pensare, solo per fare un esempio, al ruolo che la clausola di buona fede assume anche nella contrattazione ad evidenza pubblica. Se è indubbio che la pubblica amministrazione debba sempre ispirare la propria azione contrattuale al criterio della massima economicità di gestione, una significativa breccia all’ingresso di valori sociali e ambientali, coerente proprio con la concezione assiologica della clausola di buona fede, quale congegno capace di dar ingresso e concretezza ai principi personalistici e solidaristici dell’ordinamento, è aperta, sulla spinta della legislazione europea, dall’art. 30, comma 1, del nuovo codice, là dove afferma che il principio di economicità può essere subordinato, “nei limiti espressamente previsti dalle norme vigenti, a criteri ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico”20. Subordinazione, questa, rispondente a un’opportuna rivisitazione del concetto stesso di economicità, non più legato al conseguimento immediato e acritico del profitto, ma conformato a valori sociali, ambientali e, dunque, a interessi ed esigenze meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico21.
19 U. BRECCIA, Il contratto e l’attività di negoziazione tra pubblico e privato. Nuovi problemi di teoria generale del diritto negli anni duemila, in Dir. pubbl., 3/2011 p. 1045 20 La disposizione riprende ed implementa quella di cui all’art. 2, comma 2, del d. lgs. n. 163/2006.
21 X. XXXXXXXXXXX, Compenso del professionista, finanziamento del progetto e clausola condizionale. Il ruolo della buona fede ex art. 1358 c.c. nei contratti della p.a, in Dir. e proc. Amm., 1/2011, p. 184. Sulle clausole generali nel diritto amministrativo, S.
La buona fede oggettiva costituisce, così, un criterio esorbitante dalla stretta disciplina delle obbligazioni e dei contratti prevista dal codice civile, pervasivo del sistema in qualsiasi ipotesi di situazione giuridica ispirata alla relazionalità e, dunque, centrale nella costruzione di un diritto comune, capace di integrare le lacune presenti nella disciplina pubblicistica delle obbligazioni e dei contratti22.
Si consideri, infine, che se è vero, da un lato, che l’ordinamento ha creato situazioni di asimmetria ex parte publica nella fase di esecuzione del regolamento contrattuale, assegnando all’amministrazione poteri speciali a carattere unilaterale, dall’altro, risulterebbe inaccettabile rinunciare a priori ad una ricostruzione in termini paritetici dei rapporti contrattuali tra amministrazione e privati in fase esecutiva: di tal guisa, invero, persino le manifestazioni contrattuali di carattere più squisitamente paritetico finirebbero con l’essere23 considerate come attività di carattere autoritativo, idonee ad incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del privato contraente24. Xx invero, a veder bene, diversi istituti fondamentali disciplinati
XXXXXXXX, Clausole generali nel diritto amministrativo. Principi di ragionevolezza e di proporzionalità, in Giur. it., 2012, 5; L. R. PREFETTI, Discrezionalità amministrativa, clausole generali e ordine giuridico della società, in Dir. amm., 3/2013, p. 309
22 X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, I, Padova, 2009, 304 ss. In giur. per l’applicabilità della clausola di buona fede nei contratti della P.A., Cons. Stato, 6 luglio 2012, n. 3963, in Rass. dir. civ., 2012, 1264 ss., spec. 1267, con nota di X. Xxxxxxxxxxxx, L’attività contrattuale della P.A. tra buona fede e interesse pubblico. Il giudice, in materia di interpretazione di un contratto di concessione d’uso esclusivo di un’area di proprietà comunale da adibire a canile, ha fatto ricorso al criterio del comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto (art. 1362, comma 2, c.c.), “in quanto espressivo di un principio di buona fede che costituisce canone ermeneutico fondamentale del contratto (art. 1366 c.c.)”.
23 X. XXXXXXX, Lo stato che contratta e che si accorda. Vicende della negoziazione con le PP. AA.. tra concorrenza per il mercato e collaborazione con il potere, Pisa University Press, p. 455. In giur. a proposito dell’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di appalto pubblico, fra le altre, T.R.G.A. Trento, 29 settembre 2014, n. 333, con nota di X. XXXXXXXXX, in Urb. app., 1/2015, p. 71 ss; sulla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, da ultimo Cass. civ. Sez. I, 12/05/2015, n. 9636, in Giur. it., 2015, 8-9, 1963.
00 X. Xxxx. Xx., n. 2297/2008.
dal codice civile, attinenti sia alla formazione che allo svolgimento del rapporto contrattuale, sono stati estesi alla contrattualità amministrativa in funzione del tendenziale pareggiamento della qualità della tutela che l’ordinamento offre alle parti: si pensi, solo per citarne alcuni, alla responsabilità precontrattuale, all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, il regime delle clausole vessatorie.
Si è superata, così, l’idea di supremazia dello Stato e degli enti pubblici costruita in passato in virtù di una presunta legittimità dei loro comportamenti e atti: con l’affermarsi di una concezione più evoluta dello Stato e delle sue relazioni con il privato, una serie di ingiustificati privilegi in campo contrattuale sono stati progressivamente attenuati. D’altronde, così come il contratto stipulato tra consumatore e professionista, pur soggiacendo ad una disciplina in larga parte derogatoria del codice civile, rimane un contratto di diritto privato, allo stesso modo, il contratto stipulato dalla pubblica amministrazione, seppure soggetto a specifiche discipline di settore, non perde i connotati di istituto privatistico.
Sicché è possibile affermare, in definitiva, che il diritto privato dei contratti, oggi più che mai rappresenta diritto comune agli operatori privati e pubblici25.
2. EVIDENZA PUBBLICA, MERCATO E DIRITTO CONTRATTUALE EUROPEO.
25 X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 63
Come anticipato, che la pubblica amministrazione possa ricorrere a moduli consensuali ed in particolare allo strumento contrattuale per perseguire i propri scopi è constatazione non più revocabile in dubbio.
Accanto ai moduli pubblicistici vi sono spazi nei quali essa può realizzare i propri scopi attraverso moduli privatistici, ponendosi in condizione di parità con il privato26: a veder bene, anzi, le amministrazioni, per esplicare la loro attività, non possono che avvalersi di soggetti privati per ottenere beni e servizi e l’utilizzo di questi avviene non già in forza di un provvedimento autoritativo, bensì in virtù di un contratto di diritto privato disciplinato dal codice civile27.
Ciò che muove l’amministrazione e la determina a rivolgersi al mercato rimane, in ogni caso, il perseguimento del pubblico interesse a cui tutta l’attività amministrativa è preordinata. L’attività dell’amministrazione, infatti, anche quella di diritto privato, è sempre diretta alla soddisfazione di interessi pubblici ovvero, detto altrimenti, è finalisticamente vincolata: come autorevolmente sostenuto tutta l’attività amministrativa è retta da uno statuto unitario, a prescindere dal regime giuridico degli atti nei quali essa si concretizzi (provvedimenti, accordi, convenzioni, contratti)28.
L’attività contrattuale quindi è disciplinata in primo luogo dal diritto privato, ma anche da quello amministrativo: il che, come si vedrà in seguito, lascia ampi margini di riflessione in ordine alla qualificazione dogmatica e
26 V. A SCOGNAMIGLIO, Sui collegamenti tra atti di autonomia privata e procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubb., 1983, p. 293.
27 X. XXXXXXX, op. cit., p. 573
28 F. G. SCOCA, Attività amministrativa, in Enc. Dir., Agg. VI, 2002, p. 95. Più in particolare secondo l’A. “comunque l’attività posta in essere dall’amministrazione per la cura di interessi pubblici (ossia tutta l’attività che essa può porre in essere) è comunque attività amministrativa in senso proprio, soggetta a tutti ed esclusivamente i principi che reggono l’attività amministrativa; e ciò tanto se gli atti che alla fine vengono adottati siano retti dal diritto pubblico (provvedimenti) tanto se siano retti dal diritto privato (contratti, accordi)”.
all’inquadramento di strumenti e patologie tipicamente afferenti al sistema del contratto.
Tale limbo tra pubblico e privato è ben rappresentato dalla stessa natura e funzione del procedimento ad evidenza pubblica.
Xx xxxxxx, che l’art. 1, comma 1 bis, della legge 241/1990 stabilisca che “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”, non significa che essa possa determinarsi a contrarre alla stregua di un privato: è necessario, invece, che si svolga un procedimento di formazione della volontà amministrativa che rispetti i vincoli pubblicistici secondo il modello dell’evidenza pubblica.
L’applicazione del diritto privato e l’uso di strumenti privatistici vengono pertanto temperati da garanzie ad esso estranee, creando in qualche misura quello che è stato definito “un diritto speciale dell’amministrazione”29. Bisogna considerare, invero, che permangono delle differenze connaturate allo statuto ontologico dei soggetti contraenti. Se la figura del contratto delineata dal codice civile è connotata dalla funzione retributiva, consistente nella soddisfazione di un interesse del contraente, dall’autoresponsabilità, consistente essenzialmente nell’assunto che chi contratta rischia in proprio, e dalla disponibilità dell’oggetto della negoziazione e del corrispondente interesse, nessuno di tali caratteri sembra presente nell’attività contrattuale della pubblica amministrazione: non la funzione retributiva, atteso che i privati contrattano per realizzare il massimo e qualcosa di più al prezzo minimo mentre gli organi pubblici sono soltanto interessati alla legittimità della contrattazione, a sua volta, semmai, valutata in ragione del perseguimento di una funzione che non può non essere distributiva; non l’autoresponsabilità poiché gli effetti del contratto non sono destinati ad
29 X. XXXXXXX, op. cit., p. 13.
incidere su una sfera giuridica privata ma sulla assai meno sensibile sfera pubblica; non la disponibilità, che non si può reputare, almeno in senso assoluto, caratteristica dell’interesse pubblico30.
L’espressione evidenza pubblica31, infatti, descrive il procedimento amministrativo che accompagna la conclusione dei contratti della pubblica amministrazione, il quale viene disciplinato in modo da garantire l’esternazione dell’iter seguito dall’amministrazione, anche al fine di consentirne l’eventuale sindacato. E tale procedura è caratterizzata dalla presenza di atti amministrativi (che vanno dalla delibera a contrarre, fino alla stipula e controlli) mediante i quali l’amministrazione rende note le ragioni di pubblico interesse che giustificano l’intenzione di contrarre, la scelta del contraente e la formazione del consenso32.
Con il procedimento ad evidenza pubblica, quindi, l’ordinamento cuce addosso alla pubblica amministrazione le condizioni di concorrenza che altrimenti essa non osserverebbe a causa dell’elevato tasso di politicità che la contraddistingue e, come anticipato, per l’assenza di un rischio economico paragonabile a quello dei privati33. Se ne trae conferma dalla constatazione per cui la sua funzione precipua, cui è necessariamente connessa la causa del potere amministrativo di scelta del contraente, non è (o non è più) riscontrabile esclusivamente nell’esigenza contabilistica di spendere bene le
30 X. XXXXXXXXXXX, L’ermeneutica contrattuale tra pubblico e privato, in I contratti, 2/2014, p. 188
31 L’espressione è di M. S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, II ed., Milano, 1988, II , 797 ss.
32 L. V. XXXXXXXXX, Profili civilistici, cit., 77 ove l’A. a proposito dei contratti ad evidenza pubblica sostiene che in essi “la rilevanza degli interessi pubblici implicati si manifesta attraverso l’impiego di strumenti formali attinenti alla fase di formazione della volontà del soggetto pubblico (fase di deliberazione), o a quella della ricerca del contraente privato e quindi della stessa struttura interna del procedimento di conclusione del contratto (gara e aggiudicazione), ovvero ancora ai condizionamenti, in ragione della migliore tutela degli interessi pubblici, dell’efficacia del contratto per il periodo successivo alla conclusione del procedimento formativo attraverso approvazioni, controlli, verifiche sugli eventuali impegni di spesa, eventuali ulteriori controlli, etc.”.
33 X. XXXXXXX, op. cit., p. 105 ss.
risorse delle amministrazioni, bensì in quella di tutelare l’assetto concorrenziale del mercato e, in ultima analisi, l’interesse delle imprese (c.d. concorrenza per il mercato)34.
Alla tutela dell’interesse pubblico, poi, occorre aggiungere quella degli interessi privati che fanno capo agli operatori economici che intendono concorrere, nell’esercizio della propria libera iniziativa economica, in un determinato mercato per l’ottenimento del bene della vita rappresentato dall’aggiudicazione dell’appalto (concorrenza in senso soggettivo)35.
Si comprenderà, pertanto, che il contratto stipulato all’esito delle procedure di gara non è più soltanto un mezzo rispetto al suo oggetto (l’opera, il servizio o la fornitura), per l’approvvigionamento di beni o servizi da parte della pubblica amministrazione, ma è fine a sè stesso, nella misura in cui concorre ad una corretta e razionale allocazione delle risorse pubbliche del mercato36.
34 Ciò per altro è espresso dalla Corte Cost. (401/2007) secondo cui “occorre registrare il definitivo superamento della concezione contabilistica che qualificava tale normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse della pa. Muta il profilo funzionale della evidenza pubblica, che da disciplina posta a presidio delle esigenze dell’interesse pubblico, in vista della scelta del miglior contraente e del contenimento della spesa dall’esclusivo punto di vista della pa, diviene una regolamentazione che protegge anche gli interessi delle imprese”. V. anche X. X’XXXXXXX, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, in Dir. amm, 2/2008, 297 ss ed in particolare p. 301 ove l’A. osserva che “l’evidenza pubblica non è più un procedimento volto a garantire essenzialmente gli interessi pubblici – finanziari e amministrativi – delle amministrazioni procedenti, ma è una procedura finalizzata a tutelare anche e soprattutto la libertà di circolazione e di concorrenza nel mercato europeo”.
35 In argomento, fra gli altri, v. X. XXXXXXXXX, La tutela della concorrenza nella
Costituzione italiana, in Giur. Cost, 2005, 1429 ss.; Id. Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2002, 433 ss.
36 X. XXXXXXXXX, Il diritto privato della pubblica amministrazione: dalle regole di validità alle regole di responsabilità, e ritorno, in xxx.xxxxxxxx.xx, 2010, p. 9. V. anche X. XXXXXXX, op. cit., p. 524: “il paradigma concorrenziale smentisce l’idea dell’autonomia privata intesa nei termini di norme attributive e ricognitive d’un interesse finale, e quindi d’una libertà, consegnato integralmente alla valutazione dell’attore del mercato. Basti considerare che la nozione e l’interesse concorrenziale protetto postula il realizzarsi di un fine esterno al rapporto contrattuale singolarmente considerato (e che può declinarsi, a seconda delle opzioni giuspolitiche e dei contesti economici, nei termini della tutela di
La garanzia del mercato libero assicura (o quantomeno dovrebbe assicurare) la soddisfazione dell’interesse pubblico sul versante sia finanziario che amministrativo, perché la concorrenza effettiva contiene i prezzi e incentiva la qualità, essendo idonea a premiare non solo il contraente meno esigente, ma il contraente “giusto”37.
È bene infine aggiungere che assicurare la concorrenza “per il mercato” implica anche la protezione (indiretta) dei consumatori: l’esistenza di più imprese nella fase competitiva, garantendo normalmente la scelta dell’offerta migliore, sia in relazione agli aspetti attinenti alla tipologia di prestazione che al corrispettivo dovuto dall’amministrazione aggiudicatrice produce, infatti, effetti benefici per i consumatori non soltanto sul piano della fiscalità ma anche in relazione ai costi dei beni o dell’attività che eventualmente a sua volta l’amministrazione rivolge all’utenza38.
Pare potersi cogliere, lungo tale prospettiva di indagine, una evidente consonanza con gli obiettivi che stanno, più in generale, alla base degli interventi del legislatore europeo in materia contrattuale. Com’è noto, infatti, una molteplicità di interventi normativi provenienti dall’Unione Europea hanno mirato principalmente a disciplinare (rectius conformare) lo strumento contrattuale al fine di regolamentare il mercato nella duplice direzione della tutela della concorrenza tra le imprese che in esso vi operano e della tutela da forme di abusi della libertà negoziale degli operatori economici che si
piccoli produttori indipendenti, della tutela dei consumatori, del favorire e promuovere il dinamismo concorrenziale)”
37 Per una recente analisi generale della tutela della concorrenza alla luce del quadro costituzionale ed europeo X. XXXXXXX-XXXXXX, La prospettiva costituzionale della tutela della concorrenza, in Giur. comm., 2012, 4, p. 459 ss. Più in generale, in tema di concorrenza X. XXXXXXXXX, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960.
38 X. XXXXXXXX, Categorie contrattuali, contratti pubblici e nuovi rimedi previsti dal decreto legislativo n. 53 del 2010 di attuazione della direttiva ricorsi, in Dir. proc. amm., fasc., 4, 2010, 1236, 3. V. anche X. XXXXX, Regolazione del mercato e interessi di riferimento: dalla protezione del consumatore alla protezione del cliente?, in Riv. dir. priv., 2010, p. 19 ss.; v. anche L. C. UBERTAZZI, Appalti pubblici, concorrenza e consumatori, in Dir. ind., 1/2003, p. 74 ss.
trovano in una condizione di maggiore forza contrattuale nei confronti del
c.d. contraente debole.
Oggi non esiste più il solo contratto di diritto comune, costruito in ossequio al principio di irrilevanza dello stato soggettivo delle parti e alla garanzia della più ampia libertà contrattuale, ma sono state configurate una pluralità di categorie contrattuali in attuazione di principi di derivazione europea che limitano fortemente l’autonomia negoziale per assicurare la protezione di una parte del rapporto e un corretto ed effettivo assetto concorrenziale39.
Le misure introdotte, talora con effetto dirompente negli ordinamenti degli stati membri, sono evidentemente il risultato della consapevolezza che essendo il contratto lo strumento principale con cui si realizzano gli scambi nei mercati concorrenziali, attraverso la regolazione di esso, attuata di norma per il tramite di norme restrittive della libertà negoziale, si incide sulla regolazione del mercato40. D’altronde, oggi più che mai il termine “regolazione” individua le discipline che mirano a reagire al fallimento del mercato e a garantirne l’assetto concorrenziale correggendo le asimmetrie informative tra le parti, evitando le esternalità negative e a porre rimedio ad eventuali monopoli. Il che rimanda, in ultima analisi, ad un modello di rapporti tra Stato e mercato che postula la scelta di conformare normativamente le attività dei privati con la forza delle norme imperative41.
00 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 1. Sull’evoluzione del paradigma contrattuale v., tra i tanti, X. XXXXX - X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto, Bologna, 2008; X. XXXXXXX, Diritto privato e capitalismo, Napoli, 2010; X. XXXXXXXXX, Il contratto di diritto europeo, Xxxxxxxxxxxx, 2015; ID., Il contratto: verso una nuova sistematica?, in Eur. dir. priv., fasc.3, 2016, p. 597
40 In arg., X. XXXX, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 2004; M. BARCELLONA, L’interventismo europeo e la sovranità del mercato: le discipline del contratto e i diritti fondamentali, in Eur. dir. pri., 2/2011, p. 329 ss.
41 X. XXXXXXX, op. cit., p. 520 ss. ed in particolare p. 520 ove afferma che “oggi la regolazione del mercato non si identifica con la norma proibitiva, atteso che alla correzione dei fallimenti del mercato non è sufficiente il comando autoritativo unidirezionale, ma essa richiede modelli normativi complessi, affidati normalmente ad autorità indipendenti, che importano un coacervo articolato e dinamico di rimedi, cui appartengono norme asimmetriche tra operatori, regole procedurali, sanzioni
Tutto ciò, a veder bene, induce a ritenere sempre più necessario un approccio meno legato ai rigidi steccati tra privato e pubblico e più indirizzato alla visione finalistica o effettuale propria dell’ordinamento europeo. È lo stesso diritto vivente, frutto della giurisprudenza pratica comunitaria, invero, a testimoniare che la qualificazione, pubblica o privata, alla stregua della quale l’ordinamento seleziona le proprie norme, non rileva al fine di costituire un antecedente nell’applicazione delle regole intese ad assicurare il funzionamento del mercato unico42.
In definitiva, la previsione di norme indirizzate al contratto mette in rilievo l’importanza che, nella prospettiva europea, ha la relazione tra contratto e mercato ovvero, più precisamente, tra regolamentazione del contratto e regolamentazione del mercato. Sino a poco tempo fa tale relazione era indiretta ed affidata a meccanismi interni di diversa natura e valenza previsti dai singoli Stati membri. Oggi, invece, si tratta di una relazione diretta assicurata mediante l’imposizione di regole uniformi di validità contrattuale43. Il che porta a pensare, già dalle prime battute, che il diritto pubblico e il diritto privato appaiono molto meno di prima in rapporto di rigida alternativa divenendo sempre più sistemi di regole tra loro reciprocamente interscambiabili e che anzi condividono talora la medesima missione sul piano regolatorio44.
interdittive”. V. anche X. XXXXXXXXX, Il contratto europeo nel tempo della crisi, in Eur. dir. priv, 2010, p. 601 ss.
42 X. XXXXXXX, op. cit., p. 522 ove l’A. specifica al contempo che “l’interesse pubblico è un concetto che chiede di essere riempito di un contenuto prescrittivo sovente non definibile in astratto o apoditticamente: al fondo è esso stesso antecedente di regole che si fondano non sul fatto, ossia avuto riguardo alla fattispecie astrattamente considerata e valutata, ma sull’effetto che si produce nel mercato”. In arg., X. XXXXXX, I principi di diritto privato nel contratto pubblico, in Riv. not., 2009, p. 1169
00 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 10
44 X. XXXXXXX, op. cit., p. 523
3. AUTONOMIA NEGOZIALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ED INTERESSI SUPERINDIVIDUALI: LA STAGIONE EUROPEA DELL’AUTONOMIA CONFORMATA.
La conclusione di un contratto da parte di una pubblica amministrazione è resa possibile dalla sua qualità di soggetto di diritto titolare di capacità giuridica generale ed è espressione della capacità dell’ente di autoregolamentare i propri interessi.
L’amministrazione che stipula il contratto, dunque, non esercita un potere amministrativo, bensì agisce pur sempre nell’ambito della propria autonomia negoziale: una volta stipulato il contratto e superata la soglia procedimentale, l’amministrazione, salvo talune eccezioni che, come si vedrà, riguardano la fase esecutiva, agisce dunque come contraente e non attraverso la spendita di potestà pubblicistiche45.
Occorre, tuttavia, delineare con maggiore chiarezza quali siano natura e contorni dell’autonomia negoziale della pubblica amministrazione46.
45 È stata peraltro la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 401/2007, a riconoscere che la allorquando stipuli un contratto la pubblica amministrazione agisce pur sempre nell’esercizio della propria autonomia negoziale: una volta stipulato il contratto e superata la soglia procedimentale, dunque, l’amministrazione (salvo talune eccezioni afferenti alla fase esecutiva), agisce (tendenzialmente) come contraente e non come autorità.
46 Quanto alla distinzione tra autonomia negoziale e autonomia privata, da ultimo v. X. XXXXXXXXX, Il contratto, cit. p.1 secondo il quale “l’autonomia privata suole essere definita come autonomia privata negoziale e come autonomia privata contrattuale. La prima — secondo l’opinione tradizionale — ha una maggiore ampiezza ricomprendendo l’intera gamma dei suoi atti di esercizio, i c.d. negozi giuridici, ossia le manifestazioni di volontà — ovvero più modernamente gli atti di auto-regolazione dei propri interessi — che si rivolgano al raggiungimento di uno scopo garantito dalla legge o comunque meritevole di tutela e che abbiano struttura unilaterale, bilaterale o addirittura plurilaterale e un contenuto patrimoniale o non patrimoniale. La seconda — sempre secondo l’opinione tradizionale — è una specificazione della prima e si realizza soltanto per il tramite dello strumento del contratto che il codice civile definisce come l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.) e che rappresenta l’istituto fondamentale ed insopprimibile di una economia di libero mercato basata sulla produzione e sullo scambio di beni”; ID., X. XXXXXXXXX, L’autonomia negoziale e le situazioni giuridiche soggettive, Manuale del diritto privato, a cura di X. Xxxxxxxxx (Torino 2016).
Secondo una impostazione classica, fondata sullo sdoppiamento dei regimi giuridici dell’attività amministrativa (pubblico-privato), se l’amministrazione agisce come soggetto comune, non può non godere dell’autonomia privata47. Ne deriva che principio di legalità e riserva di legge rimarrebbero propri solo dell’attività di diritto amministrativo strettamente intesa, ossia quella tale da comportare unilateralmente una incidenza in situazioni soggettive altrui; mentre nell’attività di diritto privato amministrazione e privati godrebbero di una posizione di assoluta parità48.
Si tratta, per vero, di posizione sostenuta da autorevole dottrina e che oggi, in qualche misura, trova riscontro in talune disposizioni normative volte a conformare i rapporti tra i contraenti pubblico e privato a quelli intercorrenti esclusivamente tra privati49. E tuttavia, sostenere fino in fondo l’idea di un diritto amministrativo paritario appare strada impervia e, come si vedrà, per certi versi non percorribile: la sproporzione delle posizioni, invero, è difficilmente riducibile atteso che la pubblica amministrazione ha una posizione forte che le consente di predisporre in tutto, o in larghissima parte, il contenuto dell’atto consensuale, limitando fortemente l’ambito di negoziabilità e, d’altro canto, la sproporzione delle posizioni, anche se venisse corretta in diritto, si riprodurrebbe inevitabilmente in fatto50.
La parità, quale elemento ontologicamente costitutivo dei rapporti di diritto privato, è oggi, tra l’altro, oggetto di dibattito atteso che si registra al riguardo una duplice e opposta traiettoria evolutiva di cui segmenti essenziali sono, da un lato, la tendenza del diritto amministrativo contemporaneo a configurarsi come diritto dell’uguaglianza; dall’altro, la produzione di regole
47 M. S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, II, 1993, p. 58-60 ove si afferma in particolare: “se vi è autonomia privata delle amministrazioni pubbliche, essa è da riferire a quella delle persone giuridiche private non a quella delle persone fisiche”.
48 M. S. XXXXXXXX, op. cit., p. 349
49 v. infra a proposito del diritto di recesso.
50 F. G. SCOCA, Autorità e consenso, in Dir. amm., 3/2002, p. 456
di diritto privato pensate per riequilibrare i rapporti giuridici che evidenziano una strutturale disparità di potere contrattuale”51.
Di diverso avviso è quella parte della dottrina che, seppur declinandola in maniera diversa, parte dall’idea di fondo che tutta l’attività amministrativa sia avvinta dallo stesso vincolo di scopo e quindi assoggettata ad uno statuto giuridico unitario, giungendo per tale via fino a negare l’idea stessa di autonomia negoziale in capo alla pubblica amministrazione.
Tale impostazione, inevitabilmente, produce l’assunto per cui essa non può mai essere equiparata in toto al soggetto privato e che i moduli negoziali impiantati su procedimenti amministrativi non sono mai manifestazioni di autonomia privata, bensì mezzi di cura di interessi pubblici52. In altri termini, l’attività mediante la quale l’amministrazione elabora il proprio schema di regolamento di interessi in contraddittorio con la controparte (privata) resterebbe integralmente disciplinata dalle regole proprie dell’amministrazione53. Gli atti di formazione della volontà contrattuale, quindi, andrebbero considerati come atti a regime amministrativo e ad effetti
51 X. XXXXX, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore e contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppo di un nuovo paradigma, in ID., Il contratto del duemila, Torino, 2005, p. 23 ss.; ID., Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico, in Corr. giur., 2009, p. 267 ss.
52 Tra gli altri, F.P. XXXXXXXX, Il procedimento amministrativo tra autorità e contrattazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, 1485 ss; X. XXXXXXXXX, Appunti di diritto amministrativo (1959, Padova, 1987, 156 ss); X. XXXXXXX IRELLI, Diritto amministrativo e diritto comune: principi e problemi, in Scritti in onore di X. Xxxxxxx, I, Padova, 1998, 574, ove si afferma che: “l’amministrazione opera attraverso strumenti di diritto comune, ma anche in questa sua manifestazione non appare configurabile in capo ad essa una vera e propria posizione giuridica di autonomia negoziale, che comporterebbe libertà nelle scelte e nella determinazione dei fini con il solo limite del rispetto dei diritti dei terzi”. X. XXXXXXX, op. cit., p. 599: “gli atti compiuti dall’amministrazione in vista della conclusione del contratto sono sempre finalizzati al perseguimento di interessi pubblici e, di conseguenza, non sono riconducibili agli atti di autonomia dei privati. È, dunque, la funzionalizzazione immanente all’attività della pubblica amministrazione che impone di qualificare in modo diverso l’attività contrattuale dell’amministrazione rispetto a quella dei privati: questi sono normalmente liberi di perseguire i propri fini, la prima deve avere sempre come parametro la cura di interessi pubblici”.
53 F.G. SCOCA, Attività amministrativa, cit., 95.
privatistici, cioè atti amministrativi soggetti alla disciplina pubblicistica, ma aventi contenuto negoziale ed esprimenti il consenso dell’amministrazione54. Occorre, tuttavia, imboccare una via che necessariamente conduca a rinvenire una chiave di lettura unitaria della vicenda relativa all’attività contrattuale della pubblica amministrazione al fine precipuo di garantirne una salda tenuta sistematica, soprattutto alla luce dei recenti interventi legislativi. Si può allora ripartire dal presupposto per cui l’autoregolamentazione non comporta necessariamente la libertà di regolamentazione dei propri interessi, bensì regolamentazione di questi mediante gli strumenti giuridici apprestati dall’ordinamento55. L’autonomia negoziale, da questo punto di vista, deve essere considerata come una posizione giuridica soggettiva che si atteggia a mezzo; d’altronde se si dovesse invece intendere per autonomia negoziale la libertà dei fini sic et simpliciter, si dovrebbe necessariamente convenire con
chi ne nega categoricamente la sussistenza in capo all’amministrazione56.
Ebbene, così argomentando ci si avvede che il problema dell’autonomia negoziale della pubblica amministrazione deve essere modulato non in virtù del rapporto tra autorità e libertà, quanto piuttosto sulla possibilità per l’amministrazione di usare strumenti di diritto privato per il perseguimento di un determinato interesse pubblico, servendosi, dell’autonomia negoziale piuttosto che del potere pubblicistico57.
54 X. XXXXX, I contratti dell’amministrazione tra diritto pubblico e privato, Milano, 1986, in part. secondo l’A. (a p. 94): “la formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione non risulti libera, ma anzi vincolata all’osservanza di un procedimento e ai limiti della discrezionalità”.
55 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Edizioni Scientifiche Italiane, 1943, p. 40 ss.
56 In tema di autonomia privata, fra i tanti, X. XXXXX, Autonomia nel diritto privato, in Dig. disc. priv., I, Torino, 1987, p. 517; X. XXXXX, L’autonomia privata, Milano, 1959; X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, IV, c. 229; X. XXXXX, Autonomia privata, in Noviss. dig. it ., I, 2, Torino, 1957, p.1559.
57 S. S. XXXXX, Evidenza pubblica e contratto: profili sostanziali e processuali, Milano, p. 61; X. XXXXXX, Note in tema di attività di diritto privato della P.A., in Xxxxxx Xxx. Giurisprudenza, Genova, 1966 129 ss., secondo il quale le amministrazioni hanno capacità generale di diritto privato, ma non hanno la stessa autonomia negoziale delle persone
È per tale via, fra l’altro, che la stessa giurisprudenza ha ammesso la possibilità per la pubblica amministrazione di stipulare contratti atipici di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., seppur da epoca relativamente recente58. Ed invero, pur dovendo operare nei limiti consentiti dalla legge, non esiste alcuna disposizione che vieti alle pubbliche amministrazioni di concludere anche contratti atipici ed anzi il sempre maggiore utilizzo di strumenti privatistici al fine della realizzazione di bisogni generali di rilievo pubblicistico costituisce una conferma di tale possibilità. Se, infatti, in forza del principio di legalità vigente nel nostro ordinamento59, alla pubblica amministrazione è consentita l’adozione dei soli provvedimenti che costituiscono espressione di una specifica attribuzione di potere, al soggetto pubblico non è negata la generale libertà di contrattare ai sensi dell’art. 1322 c.c., sicché esso potrà avvalersi delle figure negoziali tipiche disciplinate dal codice civile, ma potrà concludere contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela non confliggenti con le finalità istituzionali della pubblica amministrazione previste della legge60.
Un contratto atipico, espressione di autonomia negoziale, non è d’altra parte estraneo all’ambito dell’attività contrattuale di diritto privato, che l’amministrazione è abilitata a svolgere, pur nell’osservanza delle regole procedurali pubblicistiche circa la formazione della volontà negoziale e l’individuazione del contraente, per rispettare i parametri di buon andamento
giuridiche; X. XXXXXXXXX, Metodo giuridico, autorità e consenso, in Dir. amm., 3-4, 1998, 662 ss.
58 Cass., II, n. 2626/1984; Cons. Stato., V, n. 818/1988; Cons. Stato, sez. IV, n. 6073/2001; Consiglio di Stato, sez. VI, 16/07/2015, n. 3571; T.A.R. Toscana, Sez. I, n. 536/2015, secondo cui “non vi sono ragioni per negare alle amministrazioni pubbliche la possibilità di stipulare contratti atipici, purché siano vantaggiosi per l’interesse pubblico, e tale possibilità è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa”;
59 Sul principio di legalità V. S. Fois, Legalità (principio di), in Enc. dir., XXIII, Milano, 659 ss.
60 Cons. Stato, Sez. IV, n. 1257/1994; Cons. Stato, Sez. V, n. 4680/2001. Si veda anche X. XXXXXXX, Contratti con la pubblica amministrazione (ad vocem), in Dizionario di diritto pubblico, diretto da X. Xxxxxxx, Vol. II, Milano, 2006, 1389 ss.
e imparzialità di cui all’art. 97 della Costituzione. Il raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico perseguiti non richiede, quindi, necessariamente il ricorso a forme contrattuali tipiche disciplinate dalla legge, ma può all’occorrenza essere modulato in termini particolari, benché con il minore possibile discostamento da analoghe fattispecie tipizzate e, comunque, nel rispetto dei concorrenti parametri legislativi. Può allora darsi il caso i cui venga concluso un contratto misto, risultante dalla combinazione di più tipi previsti dal codice civile o dallo stesso codice dei contratti pubblici (come ad es. un contratto di appalto misto per lavori e servizi); ovvero l’ipotesi in cui si dia vita ad un nuovo negozio, non riconducibile compiutamente a nessuno dei tipi previsti dal codice, nel qual caso si ha una manifestazione particolarmente forte dell’autonomia contrattuale attribuita alla pubblica amministrazione61.
Si può, pertanto, condividere una ricostruzione unitaria del regime giuridico dell’attività amministrativa, tra cui quella contrattuale, senza per ciò stesso lasciare il passo ad alcuna antinomia tra vincolo di scopo e attività negoziale: se il primo indica quale attività dovrà o potrà porre in essere l’amministrazione, resta nella disponibilità della stessa la scelta dei mezzi giuridici attraverso cui agire62.
61 Più in generale sul tema, X. XXXXXX, Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Milano, 2006. In particolare secondo l’A., p. 94,“con l’affermazione dei modelli consensuali si sta passando da una concezione fondata sulla centralità del provvedimento ad una basata sull’alternativa provvedimento contratto per l’espletamento dell’attività amministrativa”. V. anche X. XX XXXXXXXX, I contratto misti nel codice del 2016, in Urb. app., 11/2016. Di natura mista, a titolo esemplificativo, sono stati ritenuti i contratti, rispondenti a criteri di housing sociale, nonché i contratti di sponsorizzazione: cfr., per il principio, Cons. St., Ad. plen., 30 gennaio 2014, n. 1; V, 1 luglio 2014, n. 4358; VI, 31
luglio 2013, n. 4034 e 12 novembre 2013, n. 5378).
62 Cfr. X. XXXXXXXX, Corso di diritto amministrativo, vol. I, VIII ed., Milano, 1958, 31 per il quale “anche nella scelta tra più mezzi egualmente consentiti, la amministrazione è tenuta a dare preferenza al più adatto, più utile e conveniente in ordine al fine che si tratta di conseguire: l’uso di un mezzo inadatto o inopportuno costituisce vizio di merito dell’attività. È chiaro, quindi, quanto sia diversa la discrezionalità dell’amministrazione dalla comune libertà. Quest’ultima è la facoltà di scelta di cui ciascuno dispone nella direzione della propria vita e nella cura dei propri interessi; quella è la facoltà di scelta
Nel caso di contratto ad evidenza pubblica, peraltro, è la stessa legge a stabilire che l’amministrazione utilizzi lo strumento contrattuale e si tratta di fattispecie paradigmatica per delineare i rapporti tra autonomia negoziale e vincolo di scopo, posto che la legge impone una fase pubblicistica che si deve svolgere in via preventiva rispetto ad un contratto di diritto privato: la fase pubblicistica è finalizzata a garantire il vincolo di scopo e dunque gli interessi pubblici, mentre la fase contrattuale è retta dall’autonomia negoziale, intesa come potere di autoregolamentazione di interessi e come mezzo idoneo allo scopo63.
Appare evidente che, nell’economia dei rapporti tra autonomia privata e discrezionalità nella vicenda contrattuale ad evidenza pubblica, un ruolo centrale è svolto dall’interesse pubblico, primo motore immobile di tutta l’azione amministrativa. Anche a tal proposito, pertanto, è necessario definirne natura e posizionamento.
L’impostazione tradizionale, coerentemente all’idea di una rigida separazione tra attività a regime amministrativo e a regime privato, assumendo a modello il contratto di diritto comune, considera l’interesse pubblico come motivo giuridicamente irrilevante, con la conseguenza che la sua violazione non potrebbe incidere sul regolamento contrattuale64.
In questa prospettiva la tutela dell’interesse pubblico viene affidata esclusivamente agli atti e ai provvedimenti che precedono la stipulazione del
propria di colui che agisce al servizio degli altri, cioè per il conseguimento di fini altrui, di fini da altri imposti e voluti”.
63 F.G. SCOCA, Autorità e consenso, cit. 431 ss. ed in part. p. 453 ove l’A. sostiene che “lo statuto non si limita ad imprimere al potere precettivo il c.d. vincolo di scopo (finalizzandolo cioè alla soddisfazione dell’interesse pubblico), ma lo sottopone ad una serie di regole, formali e sostanziali; le quali possono essere riassunte, rispettivamente, nel principio del procedimento e nel principio (che si può convenire di denominare) del rispetto degli amministrati, includendo in questi ultimi sia gli interessati sia i terzi”.
64 Tra gli altri, X. XXXXXX, L’attività consensuale della Pubblica amministrazione, in X. Xxxxxxxxx – X. Xxxxxx – A. Romano F.A. Roversi Monaco – F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 2005, 293
contratto e che danno vita al procedimento amministrativo di evidenza pubblica. Nell’ottica strettamente contrattuale, quindi, viene per tale via in rilievo il solo procedimento negoziale che doppia quello amministrativo65.
È evidente, pertanto, come l’orientamento tradizionale sia dell’avviso che l’interesse pubblico rimanga esterno rispetto al contratto, dovendo essere tutelato mediante gli ordinari rimedi di diritto amministrativo e cioè attraverso l’annullamento dei provvedimenti illegittimi.
Oggi, tuttavia, pare non possa dubitarsi del fatto che il legislatore, dando attuazione alle direttive europee, abbia attribuito rilevanza diretta all’interesse pubblico all’interno dell’operazione contrattuale. Come si vedrà meglio in seguito, infatti, sono state contemplate regole imperative sul contratto che si indirizzano al regolamento negoziale, conformandone la natura e la struttura a tutela del mercato. L’interesse pubblico da elemento esterno al contratto è divenuto elemento di valutazione interno all’assetto negoziale con conseguente necessità che il giudice valuti, all’esito del giudizio di bilanciamento di interessi, se il contratto per il suo contenuto alteri le regole del mercato o violi esigenze aventi un fondamento costituzionale66.
Resta da capire che ruolo sia ritagliato all’interesse pubblico all’interno della dinamica contrattuale nei contratti ad evidenza pubblica.
Secondo un primo orientamento l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione integrerebbe la causa concreta del contratto67: la vera causa del contratto, dunque, consisterebbe proprio nel perseguimento di un fine affidato alle cure dell’amministrazione68. L’interesse pubblico, da questa prospettiva, concorre alla configurazione della funzione intrinseca del
65 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 3
66 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 8
67 In arg. G.B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966; da ultimo, M. BARCELLONA, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Padova, 2015
68 X. XXXXX, L’annullamento dell’aggiudicazione ed i suoi effetti sul contratto, in Dir. amm., 2003, 645 ss.
contratto, sicché i termini del sinallagma sarebbero costituiti, da una parte, dallo svolgimento della prestazione funzionale al pubblico interesse, dall’altra, dal pagamento del corrispettivo attraverso i mezzi finanziari all’uopo stanziati dalla pubblica amministrazione69.
Una posizione simile, per certi versi, è assunta da quella parte di giurisprudenza secondo cui nel caso di contratti ad evidenza pubblica vi è una possibile applicazione delle norme del codice civile in tema di obbligazioni e contratti, che tuttavia sconta la differente natura della causa e dell’oggetto. In sostanza, ci troveremmo dinanzi a fattispecie contrattuali in cui la specialità viene segnata non solo dalla presenza di un soggetto pubblico quale parte contraente, bensì da una oggettiva finalità di pubblico interesse perseguita per il tramite del contratto e del suo adempimento. Tale finalità non costituisce (né lo potrebbe) una immanenza esterna al contratto, ma conforma il contratto medesimo, ed in particolare gli elementi essenziali della causa e dell’oggetto. Per un verso, infatti, la finalità di pubblico interesse entrerebbe nella definizione di causa sia ove intesa quale funzione obiettiva economico - sociale del negozio, sia ove intesa quale funzione obiettiva giuridica dell’atto; per altro verso, essa conformerebbe l’oggetto del contratto, ossia il contenuto del medesimo. Ciò comporta che, laddove l’interprete debba giudicare della illiceità della causa di un contratto pubblico, ovvero della impossibilità (materiale o giuridica) o della illiceità dell’oggetto di tale contratto, non può non ricordare che tali elementi essenziali sono diversamente conformati e dunque richiedono una verifica che tenga conto di tale loro specificità70.
Secondo un’altra impostazione, tuttavia, pare potersi escludere che l’interesse pubblico assurga al rango di causa concreta o, come si dice, di
69 L. V. XXXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 195
70 Cons. St., n. 3653/2016..
funzione economico-individuale perseguita dal contratto e a ciò fa propendere la completa estraneità della parte privata rispetto a tale assetto di interessi. L’interesse pubblico rileva nell’ambito dell’agire dell’amministrazione, ma rimane entro la sfera dell’amministrazione stessa: ove esso manchi, la deliberazione di contrattare sarà illegittima, ma ciò non rileva per il contraente in quanto le valutazioni formulate con riguardo all’interesse pubblico restano nella sfera dei motivi71. Non è possibile, invero, ritenere che la causa del contratto coincida con l’interesse pubblico alla cui cura è preordinata la fase pubblicistica: diversamente si dovrebbe ammettere un regime giuridico fortemente squilibrato in favore dell’amministrazione per la quale soltanto i motivi assurgerebbero a causa del contratto72.
In realtà, secondo una lettura eurounitariamente orientata, l’interesse pubblico, cui come si è visto tutta l’attività amministrativa è funzionalizzata, può assumere una valenza interna al contratto non attraverso il mezzo civilistico della causa, né quello pubblicistico del potere, bensì per il tramite di norme imperative che, al fine di tutelare essenzialmente l’assetto concorrenziale del mercato, conformano la regola contrattuale limitando in maniera stringente l’autonomia contrattuale delle parti73.
Il perseguimento dell’interesso pubblico non nuoce in alcun modo alla natura del contratto di evidenza pubblica, allo stesso modo come tutto il diritto contrattuale di derivazione europea è funzionalizzato alla tutela dell’assetto concorrenziale del mercato unico.
71 S.S. SCOCA, op. cit., p. 113. Parzialmente diverso l’avviso di G.B. XXXXX, Il negozio giuridico tra libertà e forma, Rimini, 1995, 373 il quale rileva che “nel caso delle amministrazioni l’interesse pubblico non costituisce la causa ma il concreto apporto della amministrazione al negozio. Tuttavia, malgrado non si identifichi nella causa del contratto, il contributo del fine pubblico alla struttura dello stesso non può essere sminuito fino al punto di considerarlo un mero motivo che ha indotto la parte a contrarre, come tale irrilevante”.
72 S.S. SCOCA, op. cit ., p.115.
73 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 9.
D’altronde sembra ormai instaurarsi un rapporto simbiotico tra mercato e contratto ed in ultima analisi tra interessi generali e particolari: è interesse generale che il contratto operi correttamente nel mercato; è interesse delle parti del contratto che il loro interesse trovi posto e spazio in un corretto xxxxxxx00.
Il contratto, invero, è sempre meno “figura ideologicamente legata al dogma della volontà e sempre più strumento calato in un contesto di rapporti in cui non è più estranea la tutela o il perseguimento di interessi superindividuali”75. La stessa disciplina civilistica delle invalidità negoziali negli ultimi anni ha profondamente risentito di questa tendenza evolutiva76, con la conseguenza che oggi la disciplina dell’atto di autonomia privata è meno distante da quella dell’atto amministrativo di quanto non fosse all’epoca in cui si riteneva che le due figure non potessero essere più oggetto di ricostruzioni teoriche basate sulle stesse categorie dogmatiche (quale,
74 X. XXXX, I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in P. Sirena (a cura di) Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, Milano, 2006, p. 25; V. anche M. BARCELLONA, I nuovi controlli sul contenuto del contratto e le forme della sua eterointegrazione: Stato e Mercato nell’orizzonte europeo, in Eur. dir. priv., 2008, n. 1, p. 33 ss.
75 X. XXXXXXXXX, La parabola, cit., p. 47. V. anche X. XXXX, Diritto Privato, cit., pp. 25-
42. Ancora più in generale si veda X. XXXXXXXXX, Diritto pubblico e diritto privato, in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1964, pp. 696 ove l’affermazione secondo cui “nel territorio nel quale domina il diritto sociale, le situazioni soggettive acquistano l'evidenza massima, così da caratterizzare quella sfera dell'ordinamento giuridico a cui appartengono, presentandosi come situazioni attive, sì, ma doverose, in relazione alle quali gli specifici strumenti di tutela di interessi privati appaiono vincolati a fini che ad essi si coordinano e tuttavia li trascendono, e la realizzazione dei quali è sorretta da garanzie giuridiche vere e proprie”.
76 Ex multis, X. XXXXX, Nullità di protezione tra esigenze del mercato e nuova cultura del contratto conformato, in Corr. giur., 1999, 612; X. XXXXXXX, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2001, 489 e ss.; ID., Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, in Riv. dir. civ., 2003, 201 e ss.; ID. Autonomia privata e regole di validità. Le nullità conformative, in Riv. dir. civ., 6/2011, p. 735 ss.; X. XXXXXX, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di “abuso dell’autonomia contrattuale”), in Riv. dir. priv., 2005, 285 e ss.; X. XXXXXX, Nullità di protezione e poteri del giudice tra Corte di Giustizia e sezioni unite della Corte di Cassazione, in Eur. dir. priv., 4/2014, p. 1141 ss.
appunto, la teoria dell’atto amministrativo negoziale)77. La nullità, per esempio, originariamente concepita nelle logiche del codice civile per disciplinare la contrattazione tra eguali, dimostra le sue potenzialità espansive e la sua capacità di adattamento alle rinnovate esigenze di riequilibrio delle condizioni che impediscono il corretto esplicarsi dell’autonomia privata, così inserendosi significativamente nell’attuale filone europeo. In termini più generali, da quanto evidenziato, esce rafforzata l’idea del ruolo strategico del codice civile e la sua capacità aggregante nella individuazione ed attuazione delle tecniche rimediali anche nei rapporti con la pubblica amministrazione, in attuazione della effettività della tutela promossa dalla normativa di matrice europea, secondo logiche che sempre più prescindono dalle qualità del contraente78.
Si può allora ritenere, senza troppe difficoltà, che la forma di controllo dell’autonomia negoziale prevista dalla disciplina sui contratti ad evidenza pubblica sia comune a tutti gli interventi comunitari volti ad incidere direttamente sul contratto quale strumento principale di regolazione del mercato concorrenziale79. Il che irradia l’intera analisi del sistema contrattuale “pubblicistico”, fornendo un importante strumento di interpretazione delle disposizioni e delle fattispecie80.
Se si guarda allora nel complesso la produzione normativa sul contratto di origine europea, cui non sfugge anche quella relativa ai contratti ad evidenza pubblica, s’intravvede come comune caratteristica la previsione di norme
77 X. XXXXXXXXX, La parabola, cit., p. 48.
78 X. XX XXXX, Le rinnovate logiche di conservazione del contratto nell’evoluzione del sistema, in Contr. impr., 2014, p. 969.
00 X. XXXXXXXX, op. cit., 10. In una prospettiva più generale x. X. XXXXXX, Autonomia contrattuale e diritto europeo, Eur. dir. priv., 2, 2007, p. 325; X. XXXXXXXXX, Note minime in tema di autonomia privata alla luce della costituzione europea, in Eur. dir. priv., 2005, p. 52
80 X. XXXXXXX, L’argomentazione orientata alle conseguenze, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 1 ss.
imperative volte a correggere l’autonomia privata riscrivendo il contenuto negoziale in maniera da reprimere gli esiti inefficienti che derivano dai comportamenti contrari al paradigma concorrenziale81. Ed è seguendo tale filone di indagine che si proverà nel prosieguo ad analizzare alcune delle più dibattute questioni problematiche in materia di contratti ad evidenza pubblica.
4. EVIDENZA PUBBLICA E CONTRATTO. STABILITÀ DEL VINCOLO E SOPRAVVENIENZE.
Il ruolo che l’evidenza pubblica gioca nella vicenda contrattuale è tutt’altro che neutro: dalla natura che si attribuisce alle procedure disciplinate dal codice dei contratti, infatti, derivano gran parte delle soluzioni interpretative alle tematiche che saranno oggetto dei prossimi capitoli.
Occorre verificare, in particolare, se vi sia a monte un collegamento tra la fase di scelta e quella contrattuale, se la prima abbia riflessi sul contratto ed eventualmente se questi debbano essere valutati in termini civilistici o pubblicistici.
Se è difficilmente contestabile che l’evidenza pubblica si ponga come antecedente logico-giuridico del contratto, non è però affatto scontato che la fase pubblicistica abbia qualche riflesso su quella successiva. Affermare che l’evidenza pubblica sia un procedimento amministrativo o viceversa un’attività a contenuto negoziale ha, quindi, differenti ripercussioni sugli atti negoziali ad essa seguenti82.
81 X. XXXXXXX, op. cit., p. 527. L’A. parla, a tal proposito di “diritto privato regolatorio”.
82 S.S. SCOCA, op. cit., p.72.
Secondo un primo orientamento il contratto ad evidenza pubblica consta di due procedimenti paralleli. Si ritiene, cioè, che gli atti della serie pubblicistica e della serie privatistica siano indipendenti tra loro quanto alla validità, con la conseguenza che gli atti negoziali sono disciplinati dalle norme di diritto privato, mentre gli atti della serie procedimentale compongono dei veri e propri procedimenti amministrativi83.
Secondo altro orientamento, il quale sviluppa ulteriormente quello appena esposto, gli atti del procedimento amministrativo concorrono alla formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione84. L’evidenza pubblica, in questa prospettiva, si atteggia a momento formativo della volontà contrattuale dell’amministrazione e gli atti che la scandiscono sarebbero privi del carattere di autoritatività proprio dei provvedimenti amministrativi in quanto non si risolverebbero in atti di esercizio di potestà pubbliche: ciò perché nell’evidenza pubblica l’amministrazione opererebbe con atti di diposizione della propria sfera giuridica85. Secondo tale impostazione, quindi, saremmo dinanzi ad atti a regime amministrativo e ad effetti privatistici che valgono ad esprimere il consenso dell’amministrazione: atti, in sostanza, omogenei con gli atti della volontà contrattuale di qualunque privato, nel quadro del fenomeno complessivo di autoregolamentazione delle rispettive sfere giuridiche e dunque di autonomia privata86.
Difficilmente percorribile appare l’idea che vorrebbe ricostruire il rapporto tra procedimento di evidenza pubblica e contratto in termini prettamente civilistici, tesi secondo cui il procedimento di evidenza pubblica, dal quale emerge l’interesse pubblico (cioè la causa), sarebbe elemento
83 M.S. XXXXXXXX, op. cit., p. 363 ss.
84 X. XXXXX, I contratti dell’amministrazione tra diritto pubblico e privato, Milano, 1986,
p. 80 ss.
85 X. XXXXX, op. cit., p. 90. Secondo l’A. “la fattispecie, globalmente considerata, è una manifestazione di siffatto potere (privatistico) di autoregolamentazione della propria sfera giuridica”.
86 S.S. SCOCA, op. cit., p. 77.
costitutivo del contratto disciplinato dal diritto privato. In realtà, gli atti del procedimento di evidenza pubblica non hanno nulla di privatistico quanto a contenuto e a natura giuridica, se non nel senso che tendono a delineare il contenuto di ciò su cui successivamente l’amministrazione formerà il consenso: l’evidenza pubblica è si finalisticamente collegata al contratto, ma ha una funzione autonoma e indipendente rispetto a questo. Si tratta cioè di un procedimento amministrativo diretto alla cura di un interesse pubblico eterogeneo rispetto all’interesse che sorregge il contratto e che oggi, come già rilevato, coincide sempre più con la tutela dell’assetto concorrenziale del mercato europeo87.
Di qui, la difficoltà di descrivere compiutamente il fenomeno rappresentandolo nella rigida contrapposizione di due distinte fasi, senza tener conto degli effetti che ciascuna produce sull’altra anche in ragione della frequente possibilità di qualificare sotto il profilo privatistico le medesime fattispecie a seconda del particolare caso concreto che di volta in volta occorre affrontare e risolvere. Molti degli atti del procedimento amministrativo in tema di pubblici appalti sono, infatti, suscettibili di essere guardati sia sotto l’angolo visuale del diritto pubblico, sia sotto quello del diritto privato. Si pensi, per esempio, al bando di gara, che può essere considerato come atto amministrativo, lex specialis della procedura selettiva, sia come invito a offrire; e così all’aggiudicazione, che può essere vista come l’atto conclusivo del procedimento amministrativo in cui la pubblica amministrazione esprime definitivamente la propria volontà (certamente
87 S.S. SCOCA, op. cit., pp. 101-102. Si badi che il nuovo codice dei contratti stabilisce all’art. 30, comma 8 che “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”, da cui deriva un’importante conferma sulla natura giuridica degli atti delle procedure di gara.
impugnabile davanti al giudice amministrativo) o come accettazione della proposta contrattuale88.
Del pari, non vi è ragione per escludere che l’amministrazione, nel momento in cui stipula il contratto con il privato, eserciti la propria autonomia privata; dal che se ne dovrebbe ricavare la conseguenza che l’efficacia vincolante dell’atto discende dall’accordo e l’impegno dell’amministrazione rimane disciplinato (in linea di principio) dai principi contrattuali89. E a tal proposito si osservi che a differenza della precedente disciplina posta dalla legge di contabilità di Stato90, in base alla quale i processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto, il codice dei contratti ha stabilito che “l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta” (art. 32, comma 6)91.
Il momento genetico del vincolo negoziale, dunque, non è più l’aggiudicazione definitiva.
Il codice ha stabilito una netta distinzione tra la fase di scelta del contraente e dell’offerta che culmina con l’aggiudicazione (che rimane un atto unilaterale dell’amministrazione e che non perfeziona il contratto) e la successiva stipulazione, che invece è il momento in cui si incontrano le volontà delle parti e che è costitutiva di obbligazioni contrattuali92.
88 X. XXXXX, L’attività amministrativa, Torino, Giappichelli,1999, p. 262 e ss.
89 C.M. XXXXXX, Il Contratto, Diritto civile, 3, cit., p. 46; X. XXXXXXX, L’invalidità del provvedimento amministrativo e suoi riflessi, nelle procedure ad evidenza pubblica, sul contratto concluso dalla p.a. con l’aggiudicatario, in Dir. Amm., 2006, p. 342
90 Art. 16 del r.d. n. 2440/1923
91 La disposizione riprende quella di cui all’art. 11, comma 7 del vecchio codice, rispetto alla quale presenta una significativa differenza. Non si fa più riferimento all’aggiudicazione “definitiva”, stante il venir meno nella nuova disciplina della distinzione tra aggiudicazione provvisoria e definitiva: oggi, invero, deve discutersi di “proposta di aggiudicazione” e “aggiudicazione” tout court.
92 Cfr. Cons. St., Adunanza Plenaria n. 14 /2014, secondo cui “ai sensi del codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006 (in seguito anche “codice”), la fase della scelta del contraente, conclusa con l’aggiudicazione definitiva, risulta distinta da quella, successiva, della stipulazione e conseguente esecuzione del contratto, pur costituendone il
Col prevedere che l’aggiudicazione (intesa generalmente come manifestazione di volontà dell’amministrazione) non è idonea a rappresentare accettazione della proposta si esclude che il contratto possa formarsi a seguito del mero incontro delle volontà.
Viene così riconosciuta all’aggiudicazione natura unicamente provvedimentale e non più, anche solo in parte, valenza negoziale come era in passato. L’aggiudicazione si risolve nella manifestazione di volontà (non negoziale) della parte pubblica avente ad oggetto l’individuazione del contraente93. Nondimeno, l’aggiudicazione, così come oggi riconfigurata dal codice dei contratti, porta in sé una duplice natura: di atto imperativo nei confronti dei concorrenti non aggiudicatari in quanto volto ad escluderli dalla relazione contrattuale ed insieme atto non autoritativo nei confronti dell’aggiudicatario, in quanto volto a costruire la relazione contrattuale di cui predetermina anche un elemento essenziale, il prezzo94.
In questa prospettiva, l’aggiudicazione, o il verbale che la contiene, rappresenta un elemento costitutivo e prodromico della formazione dell’accordo (ovvero un segmento del più complesso procedimento formativo).
necessario presupposto funzionale, considerato che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell'offerta (art. 11, comma 7, primo periodo del codice) e che, pur divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, prima della stipulazione resta comunque salvo “L’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti” (art. 11, comma 9). Il vincolo sinallagmatico nasce perciò soltanto con il separato e distinto atto della stipulazione del contratto quando, essendo stata fino a quel momento irrevocabile soltanto l’offerta dell'aggiudicatario (art. 11, comma 7, secondo periodo), l’amministrazione a sua volta si impegna definitivamente. Ciò considerato la giurisprudenza ha affermato che la fase conclusa con l’aggiudicazione ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente nella tutela della concorrenza, mentre quella che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale ha carattere privatistico ed è quindi retta dalle norme civilistiche”.
93 X. XXXXXXX, op. cit., p. 588.
94 X. XXXXXXX, op. cit., p. 249.
In linea di principio, quindi, vi è una netta distinzione tra fase procedimentale e fase negoziale. È la stessa Corte Costituzionale, invero, ad aver sancito che poiché l’attività contrattuale della pubblica amministrazione è “funzionalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico, si caratterizza per la esistenza di una struttura bifasica: al momento tipicamente procedimentale di evidenza pubblica segue un momento negoziale. Nella prima fase di scelta del contraente l'amministrazione agisce, come si è già sottolineato, secondo predefiniti moduli procedimentali di garanzia per la tutela dell'interesse pubblico, ancorché siano contestualmente presenti momenti di rilevanza negoziale, dovendo la pubblica amministrazione tenere, in ogni caso, comportamenti improntati al rispetto, tra l'altro, delle regole della buona fede. Nella seconda fase – che ha inizio con la stipulazione del contratto (si veda art. 11, comma 7, del Codice) – l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non nell'esercizio di poteri amministrativi, bensì nell'esercizio della propria autonomia negoziale. Tale fase, che ricomprende l’intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l'istituto del collaudo – il quale è, tra l’altro, anche specificamente disciplinato dal codice civile (art. 1665 e seguenti), valendo per esso le argomentazioni già svolte a proposito del subappalto – si connota, pertanto, per la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall’esercizio di autonomie negoziali”95.
La demarcazione tra fase pubblicistica e fase privatistica, tuttavia, non va intesa in senso rigido.
L’efficienza dell’intero impianto normativo deve essere considerata non solo nella prospettiva delle condizioni e modalità per l’ottimizzazione del contratto concluso a valle del procedimento ad evidenza pubblica; ma anche
95 Corte Cost. n. 401/2007.
nella prospettiva delle garanzie e dei poteri che l’amministrazione pubblica contraente può fornire e legittimamente esercitare nei confronti della parte privata una volta stipulato il contratto96. Si consideri, infatti, che di là dai riflessi che l’evidenza pubblica può avere indirettamente sul contratto, l’interesse concorrenziale (su cui si muove, come visto, l’intera disciplina), può essere messo a repentaglio da comportamenti posti in essere dalle parti nella stessa fase di esecuzione, come per esempio accadrebbe nel caso di mancata adozione di clausole penali previste a vantaggio della parte pubblica97; dall’altro, nella fase successiva all’aggiudicazione, e poi più propriamente nella fase di esecuzione, possono venire in rilievo accadimenti ed evenienze latamente ascrivibili al concetto di sopravvenienze98. Si tratta, a tale ultimo proposito, delle conseguenze derivanti dalla strutturale incompletezza dei contratti della pubblica amministrazione, dipendente di volta in volta dalla razionalità limitata, quanto a capacità di valutazione, di calcolo e di previsione dei soggetti coinvolti nell’operazione amministrativa indirizzata alla formazione del contratto, anche in relazione alla sua complessità e ai conseguenti costi transattivi, o dai peculiari caratteri dell’operazione stessa, che irrigidiscono le condizioni dello scambio99.
96 X. XXXXXXX, op. cit., p. 313
97 Cfr. CAVALLO PERIN - G. M. RACCÀ, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. Amm., 2010, p. 330 ss. Non è un caso che le nuove direttive, innovando il precedente sistema, contengono, per la prima volta, disposizioni di disciplina della fase di esecuzione del contratto. La ragione non è quella di dettare regole in ambiti “privatistici” rientranti nell’autonomia procedimentale degli Stati membri, quanto quella di assicurare il rispetto del principio di concorrenza anche in questa fase.
98 In una prospettiva di diritto contrattuale europeo, v. X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX,
Manuale di diritto privato europeo, Milano, 2007 p. 521 ss.; X. XXXXX, Il Contratto, cit.,
p. 943 ss., secondo il quale “i fatti che, intervenendo dopo la conclusione del contratto e prima della sua completa attuazione, mutano il contesto in cui il contratto si attua, usano dirsi sopravvenienze”. Più in generale, X. XXXXXXX, Le sopravvenienze, in I rimedi, Trattato del contratto, diretto da Xxxxx, Milano, 2006, V, 2, 495.
99 X. XXXXXXXXXX, La contrattualizzazione dell’attività amministrativa. Parabole gius- economiche del contratto nell’azione amministrativa, in X. Xxxxx – X. Xxxxxxxx (a cura di), I tre assi. L’Amministrazione tra Democratizzazione Efficientismo Responsabilità, Nel Diritto Editore, Roma, 2009, p. 115. Più in generale, in tema di costi di transazione v.
In definitiva, quindi, deve prendersi atto che seppure l’ambiente in cui si svolgono tali vicende sia quello proprio delle obbligazioni contrattuali, regolato dalla disciplina privatistica quale disciplina di diritto comune, tuttavia permane l’incombenza di quel quid pluris che il perseguimento dell’interesse pubblico autorizza a pretendere, mettendo talora in crisi il tradizionale connotato di stabilità del contratto e della sua insensibilità rispetto alle vicende dell’interesse delle parti100. Ed invero, il dovere per la pubblica amministrazione di tendere alla migliore cura degli interessi pubblici si traduce nell’inesauribilità e nella relativa irrinunciabilità del potere amministrativo onde poter garantire la corrispondenza della sua azione al fine previsto dalle leggi: ciò che talora impone all’interprete di operare un bilanciamento tra il principio pacta sunt servanda e quello per cui tutta l’attività amministrativa, qualsiasi sia lo strumento usato, sia improntata a valutazioni riguardanti l’interesse pubblico rebus sic stantibus101.
È ad alcune di tali fattispecie paradigmatiche che converrà, dunque, volgere lo sguardo.
R.H. XXXXX, The Nature of the Firm, 4 Economica 386 (1937); XXXXXXXXXX, XXXXXX E., The Economic Institutions of Capitalism: Firms, Markets, Relational Contracting, New York – Xxxxxx, 0000; trad. it., Le istituzioni economiche del capitalismo. Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Milano, 1987. Sulla dottrina dei contratti c.d. incompleti v. anche X. XXXXXXXX, Le teorie giuridiche dei contratti e i contratti incompleti, in L‘analisi economica del diritto, X. Xxxxxx - X. Xxxxxxxxxx - L.A. Xxxxxxxx, Roma, 1997; X. XXXXXXXXXXX, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova 2000, p. 67 s.;
X. XXXX - X. XXXXX, Foundations of incomplete contracts, Rev. Ec. Stud., 1999, 115.
100 X. XXXXXXX, op. cit., p. 310
101 Sulla compatibilità tra i due canoni v. X. XXXXXXXX, La clausola rebus sic stantibus, in Giur. Sist. Bigiavi, I contratti in generale, diretto da X. XXXX e X. XXXXXXX, Torino, 1991, III, 1, 552 ss.
CAPITOLO II
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE TRA ESERCIZIO DEL POTERE E ATTI
NEGOZIALI: IL RECESSO.
SOMMARIO: 1. Il diritto di recesso nei contratti ad evidenza pubblica. Xxx recessi speciali al recesso come mezzo di gestione del rischio contrattuale; 2. Esercizio di poteri negoziali e di poteri provvedimentali: il recesso e la revoca a confronto; 3. I recenti approdi della giurisprudenza in tema di rapporto tra revoca e recesso nei contratti ad evidenza pubblica: l’Adunanza Plenaria n. 14 del 2014; 3.1. L’autotutela autoritativa: il recesso “antimafia”; 4. Osservazioni sul rapporto tra autotutela pubblica e autotutela privata.
1. IL DIRITTO DI RECESSO NEI CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA. DAI RECESSI SPECIALI AL RECESSO COME MEZZO DI GESTIONE DEL RISCHIO CONTRATTUALE.
Tra gli istituti che più di tutti esprimono con particolare nitore l’ambivalenza della pubblica amministrazione che contratta v’è, senza dubbio, il recesso.
La disciplina del recesso dai contratti della pubblica amministrazione, infatti, offre notevoli spunti sistematici per poter condurre una più concreta messa a fuoco dello spazio di intervento della pubblica amministrazione nel rapporto negoziale instaurato a seguito della procedura di evidenza pubblica e, più in particolare, della natura del potere esercitato sul vincolo venutosi a creare con la stipulazione.
Com’è noto il recesso è il negozio unilaterale con cui la parte di un contratto ne dispone lo scioglimento: si tratta, cioè, di un diritto potestativo
attribuito ad una o a tutte le parti direttamente dalla legge o da una clausola del contratto102.
Ora, prendendo anzitutto spunto dal dato letterale della norma che si occupa, sul piano generale, di disciplinare il diritto di recesso, ci si avvede immediatamente che alla pubblica amministrazione sembrerebbe non esser stata riservata una disciplina speciale rispetto al contraente privato e ciò, non solo sotto il profilo letterale del dettato normativo ma anche dal punto di vista sistematico103.
L’art. 21 sexies della legge n. 241/90 stabilisce che “il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto”, con formulazione che richiama evidentemente le corrispondenti disposizioni civilistiche che regolano il recesso dal contratto (artt. 1372 e 1373 c.c.)104.
La normativa pubblicistica ha, quindi, recepito la distinzione squisitamente civilistica tra recesso legale e recesso convenzionale e, quanto al profilo sistematico, ha collocato l’istituto nel contesto della regolamentazione degli effetti del contratto e non già di poteri connessi alla fase della formazione del vincolo negoziale105.
102 V. fra gli altri X. XXXXX, Il Contratto, cit., p. 509 ss.
103 X. XXXXXXXXX, Il recesso dai contratti della P.A., in Codice dell’azione amministrativa, a cura di M. A. SANDULLI, Milano, 2010, p. 901. V. in particolare p. 924: “la collocazione sistematica della disposizione in commento nell’ambito della legge generale sull’azione della pubblica amministrazione, lungi dal risultare impropria o casuale (come talora ritenuto), riveste semmai il significato di una conferma della teorica della unitarietà funzionale dell’attività (anche negoziale) della pubblica amministrazione, e della unitarietà sistematica della sua disciplina”.
104 Per la disciplina del recesso, fra i tanti, v. X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 509 ss; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, p. 1034 ss.
105 X. XXXXXXXXX, ibidem. Com’è noto, il recesso unilaterale, ossia il diritto di liberarsi unilateralmente dagli obblighi assunti con il contrato è ammissibile soltanto quando specificamente attribuito dalla legge (l’art. 1372 c.c., comma 1 dispone che il contratto può essere sciolto appunto “per cause ammesse dalla legge”) o da un apposito patto (recesso convenzionale).
La sostanziale sovrapponibilità delle discipline ha portato parte della dottrina a considerare superflua (se non addirittura inutile) la previsione di cui all’art. 21 sexies, dato che non sarebbe in ogni caso dubitabile che la pubblica amministrazione possa recedere unilateralmente o in forza di disposizione aventi il rango di legge o per previsione contrattuale106.
Altra dottrina, invece, capovolgendo il punto di osservazione, ha sostenuto che la funzione della norma sia quella di tipizzare i casi in cui l’amministrazione possa legittimamente recedere dai contratti in cui è parte107, eliminando a monte l’idea che essa goda di prerogative speciali che la legittimino ad esercitare un generale potere di recesso in tutte quelle ipotesi in cui valuti unilateralmente una sopravvenuta non corrispondenza del contratto all’interesse pubblico. Il che, come si avrà modo di approfondire più avanti, consente una ricostruzione dogmatica più attenta, basata su di una necessaria distinzione tra poteri negoziali e poteri provvedimentali del contraente pubblico.
Si osservi, inoltre, che la norma in esame estende il suo spazio di applicazione non solo all’esercizio del diritto di recesso della parte pubblica, ma anche di quella privata: precisazione questa particolarmente densa di implicazioni sistematiche, dal momento che in passato alla pubblica amministrazione era riservato un potere quasi illimitato di recedere dai contratti di durata in virtù della necessità di garantire la permanente aderenza della sua azione al perseguimento del pubblico interesse. Basti pensare, in tal senso, all’art. 345, l. n. 2248, all. F del 1865 (e cioè alla vecchia legge sulle opere pubbliche) il quale prevedeva solo per la pubblica amministrazione la facoltà “di risolvere in qualunque momento il contratto, mediante il
106 X. XXXXX, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, xxxxxxxxx.xx n. 2/2005.
107 Cfr. XXXXXXXX, Il nuovo provvedimento amministrativo (leggi n. 15 e n. 80 del 2005), Padova, 2005;
pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importare delle opere non eseguite”108. Si delineava, per tale via, una forma di recesso c.d. impropria che consentiva alle amministrazioni di sciogliersi dal contratto in essere unilateralmente ed in qualsiasi momento, con un principio del tutto simile a quello fissato dall’art. 1671 c.c.109 La nuova norma, per converso, limitando i casi di recesso e ancorandoli ad un principio di tipicità (legislativa o convenzionale) ha inteso salvaguardare la posizione dei privati che contrattano con la pubblica amministrazione, assicurando un medesimo potere contrattuale di reagire e svincolarsi dal regolamento negoziale.
La titolarità del diritto di recedere, dunque, viene oggi ricondotta alle medesime fonti del recesso civile e il suo esercizio è assoggettato, almeno in linea teorica, ai medesimi presupposti.
Corollario dell’impostazione impressa dal legislatore all’istituto è la scomparsa sia del riferimento all’interesse pubblico (connotato tipico del recesso improprio del passato) sia di ogni richiamo all’indennizzo. Il recesso è un potere connaturato all’autonomia privata delle parti e non è, pertanto, obbligatorio indennizzare la parte nei cui confronti il recesso viene esercitato dell’eventuale pregiudizio subito. Ciò però non esclude che le parti possano pattuire un indennizzo nello stesso contratto: in tal caso, se il corrispettivo è soltanto promesso si applicherà la norma sulla multa penitenziale; se invece il corrispettivo per il recesso viene consegnato ad una parte alla conclusione
108 In arg. v. X. XXXXXX, Rapporti contrattuali e poteri dell’amministrazione: il recesso e la risoluzione del contratto nell’appalto di opere pubbliche, in Foro amm., 2000, p. 297 ss.
109 Art. 1671 c.c.: “il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”. Si osserva comunemente che tramite il diritto di recesso di cui alla richiamata norma, il legislatore abbia voluto consentire uno ius se poenitendi al committente, il quale si accorga che la cosa da produrre o in corso di produzione non risponde più a motivi di sua convenienza. X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXX, Recesso(dir. priv.), edD, XXXIX, 36 ss.
del contratto si evocherà l’istituto della caparra penitenziale di cui all’art. 1386 c.c..110
Ne deriva, in ultima analisi, che l’istituto del diritto di recesso nei contratti ad evidenza pubblica viene svincolato da valutazioni attinenti alla corrispondenza dell’assetto negoziale all’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione e finisce con l’essere attratto nell’orbita squisitamente privatistica che fa, ovvero pretende di fare, dell’amministrazione niente più che una mera parte contrattuale111.
Quanto di tale assunto sia effettivamente riscontrabile fra le pieghe del sistema dei contratti pubblici e soprattutto dell’ordito giurisprudenziale che si è andato stratificando è un dato che occorre analizzare passando per la disamina delle varie ipotesi “speciali” di recesso previste dall’ordinamento ed in particolare dal codice dei contratti pubblici. Oltre alla norma generale di cui alla legge sul procedimento amministrativo, che detta, come anticipato, alcune direttive interpretative soprattutto in termini sistematici, vi sono talune ipotesi di recesso legale previste e disciplinate dal codice dei contratti pubblici che converrà passare in rassegna, onde ricavarne ulteriori spunti di riflessione.
A tal proposito conviene, prima di tutto, richiamare quanto sostenuto dalla più attenta dottrina civilistica in merito alla conformazione del diritto di
110 Com’è noto le parti possono prevedere che il recesso non sia gratuito per il recedente, possono cioè stabilire “la prestazione di un corrispettivo per il recesso” che si chiama, per l’appunto, multa penitenziale; ovvero quando la prestazione per il recesso consiste in denaro o cose fungibili e viene non solo promessa bensì materialmente data al momento della conclusione del contratto, si ha la caparra penitenziale (cfr. X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 517).
111 PERICU – GOLA, L’attività consensuale dell’amministrazione pubblica, in Diritto Amministrativo (a cura di ) Xxxxxxxxxx –Perici – Romano –Roversi – Monaco – Scoca, vol. II, IV ed. Bologna 2005, pag. 348: “le valutazioni relative all’interesse pubblico non rientrano perciò tra i motivi legittimanti l’Amministrazione al recesso del contratto”.
recesso o meglio alla declinazione delle diverse forme e nature dei “recessi” previsti dall’ordinamento giuridico112.
Di là dalla definizione quale “dichiarazione di volontà recettizia”, a veder bene, non esiste un concetto unico di recesso. Si distingue, infatti, tra: a) recesso determinativo, destinato a segnare la fine dei contratti di durata privi di un termine; b) recesso penitenziale, finalizzato a permettere ad una delle parti di pentirsi rispetto ad un vincolo contrattuale volontariamente assunto;
c) recesso impugnativo, diretto ad attribuire alla parte il potere di reagire avverso vizi originari del contratto o sopravvenuti nel corso dell’esecuzione del rapporto113.
Il recesso determinativo, dunque, individua nei rapporti di durata il termine finale del contratto, in precedenza non concordato, costituendo, in altre parole, un criterio di determinazione dell’oggetto del contratto che non è stato definito dai contraenti in uno dei suoi elementi essenziali: la durata. Esso, pertanto, si configura come strumento di integrazione nei contratti di durata privi di termine finale114, nel senso che il contraente, operando il
112 X. XXXXXXXXX, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale (Milano 1985) 1 s.; X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXX, op. cit., 27 ss., secondo i quali “all’unicità della locuzione corrisponda una sicura pluralità di funzioni”.
113 La tripartizione già utilizzata in XXXXXXXXX - XXXXXXXX, Recesso, cit., p. 29 ss., è ora riproposta in modo schematico da X. XXXXXXXX, Risoluzione e recesso, in Obbl. e contr., 2012, 86. Aderisce alla classificazione, G. DE NOVA, Recesso, in Dig. disc. priv., IV (Torino 1997), p. 319. Cfr. X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 518 ss. il quale propone una tripartizione in recessi di liberazione, recessi di autotutela e recessi di pentimento. 1) I primi sono quelli dati alla parte per consentirle di sottrarsi a un vincolo contrattuale che diversamente peserebbe in modo intollerabile sulla sua libertà: come accade, tipicamente, con i contratti di durata a tempo indeterminato (e indeterminabile), es. somministrazione (1569 c.c.), locazione (1596, co. 2, c.c.); 2) I recessi di autotutela rispondono all’esigenza di consentire alla parte di reagire contro eventi sopravvenuti che minacciano i suoi interessi contrattuali, al ricorrere di determinati presupposti previsti dalla legge, che altrimenti renderebbero il recesso ingiustificato: es. recesso legato alla caparra confirmatoria (1385 c.c.); 3) infine i recessi di pentimento sono quelli che la legge dà a una parte, senza vincolarli ad alcun presupposto, ma solo perchè ritiene opportuno – in una logica di speciale protezione della parte – consentire a questa di cambiare idea rispetto al contratto già concluso: es. in favore del committente nell’appalto (1671c.c.) oppure in favore del consumatore, per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali.
114 X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXX, op. cit., p. 27 e ss.
recesso, è come se completasse il regolamento contrattuale introducendo il termine prima non concordato115.
Xxx, come ha affermato autorevole dottrina tale specifica ipotesi di recesso non appare configurabile nella materia dei contratti della pubblica amministrazione. Ed invero, in tal caso, i requisiti di determinatezza e determinabilità della prestazione, anche sotto il profilo temporale, soggiacciono a logiche e a condizionamenti pubblicistici, rinvenienti dalla causa del potere di concludere i contratti, che anche in considerazione dei vincoli di programmazione finanziaria impediscono di prefigurare la stipula di un contratto di durata privo di un termine finale certo116.
Quanto all’ipotesi del recesso come esercizio dello ius poenitendi, nel sistema dei contratti della pubblica amministrazione occorre far riferimento alla disposizione di cui al nuovo art. 109 del codice, che va a sostituire la precedente formulazione dell’art. 134 del d.lgs. n.163/2006.
Com’è noto, nel sistema del diritto dei contratti, i recessi di pentimento vengono predisposti dall’ordinamento in favore di una parte al fine di garantirle la fuoriuscita dal contratto a prescindere dalla sussistenza di alcun presupposto; si tratta cioè dell’esplicazione di una valutazione legata all’opportunità di consentire di cambiare idea rispetto al contratto già concluso in una logica di speciale protezione della parte117.
115 In numerosi contratti tipici di durata è espressamente prevista l’ipotesi del recesso nel contratto a tempo indeterminato. Ci si riferisce, in particolare, al contratto di somministrazione (art. 1569 c.c., utilizzato in via analogica anche nel contratto atipico di concessione di vendita), al mandato, nell'ipotesi di revoca del mandato oneroso a tempo indeterminato (art. 1725 comma 2° c.c.) e di rinunzia del mandatario (art. 1727 c.c.), al contratto di agenzia a tempo indeterminato (art. 1750 c.c.), al comodato (art. 1810 c.c. - dove è previsto un regime particolare in ragione delle caratteristiche del contratto), alla commissione (art. 1734 c.c.), al contratto d’opera (art. 2227 c.c.) ed al contratto d'opera intellettuale (art. 2237 c.c.).
116 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 905.
117 X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 521 ss.. Si v. anche F. P. XXXXX, Il recesso del consumatore: l’evoluzione della normativa, in Eur. dir. priv., 4/2012, p. 1007 ss.
Ebbene, l’art. 109 del nuovo codice, come in precedenza l’art. 134 di quello abrogato, disciplina il potere delle stazioni appaltanti di esercitare il diritto potestativo di recesso dai contratti stipulati all’esito della fase cd. pubblicistica della procedura di scelta del contraente, con l’unica differenza che la previsione si estende oggi anche ai contratti di servizi e forniture. Per il resto viene sostanzialmente confermata la precedente impostazione del legislatore, sicché rimangono pienamente valide le considerazioni svolte in dottrina e giurisprudenza a proposito del vecchio art. 134 del d.lgs. n. 163/2006118.
Dal punto di vista della pubblica amministrazione, si può affermare che tale potere officioso può essere utilizzato nei casi in cui, per effetto di sopravvenienze e nei casi in cui emergano situazioni patologiche della fase di esecuzione del contratto, in ipotesi diverse da quelle indicate per la risoluzione, anche se non è da escludere che il recesso potrebbe far riferimento ad alcune previste dall’art. 108 per la risoluzione portate alle estreme conseguenze ovvero nei casi in cui non si sia attivata la risoluzione ovvero non si sia dato seguito all’avvio della stessa.
L’art. 109, comma 1, peraltro, come è immediatamente intuibile, delinea una modalità di disciplina del rapporto negoziale parzialmente diversa da quella consacrata nell’art. 1671 c.c.119.
118 Nella precedente versione del codice, invero, l’applicazione della disposizione era circoscritta esclusivamente ai contratti di appalto di lavori. Art. 109, comma 1: “fermo restando quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-ter e 92, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque tempo previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell’importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite”. A ben vedere, accanto a questa significativa novità, va messo in rilievo il richiamo presente nella nuova norma agli artt. 88, comma 4 ter e 92, comma 4, del Codice antimafia al fine di precisare che le ipotesi di recesso ivi previste restano disciplinate dalla normativa del d. lgs. n. 159/2011.
119 Art. 1671 c.c.: “il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”.
Con la disposizione del codice civile, in riferimento all’indennizzo spettante nell’ipotesi del recesso del committente, il legislatore ha optato per il ristoro a favore dell’appaltatore delle spese, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno, senza tuttavia prevedere eccezioni a favore dello stesso in termini di onere probatorio relativo alla dimostrazione dell’entità del danno subito. L’art. 109, invece, stabilisce chiaramente che in caso di recesso della stazione appaltante spetta all’appaltatore, quanto al danno emergente il pagamento di quanto eseguito oltre al valore dei materiali; quanto al lucro cessante l’importo del decimo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite, determinato secondo quanto indicato nel secondo comma della norma, ossia sulla base della “differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta e l’ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti”.
Sul piano del rapporto privatistico, quindi, l’art. 109 del nuovo codice dei contratti, oltre ad abilitare la pubblica amministrazione al recesso unilaterale senza limiti di tempo e con efficacia ex nunc, assolve anche alla funzione di stabilire con certezza in che misura dovrà trovare riconoscimento l’affidamento del privato nella esecuzione dell’intero contratto e, d’altro canto, permette alla pubblica amministrazione i predeterminare il costo di scioglimento dello stesso120.
Il recesso, infine, può costituire mezzo di impugnazione del contratto o di autotutela, che consente alle parti di modificare o sciogliere il vincolo già
120 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, La nuova disciplina degli appalti pubblici, Nel Diritto Editore, 2016, p. 749. In dottrina (cfr. X. XXXXXX, op. cit., p. 303) è stato, altresì, notato che “il fatto che l’amministrazione, grazie al calcolo forfettario dell’indennità dovuta all’appaltatore, sappia in anticipo quanto dovrà a questi corrispondere, e sia così resa indenne delle sorprese di liquidazioni eccessive, da indagini probatorie quanto mai delicate e aleatorie e da manovre e pressioni speculative si traduce in una situazione di privilegio a suo favore, tenuto conto invece di quella che è la posizione del committente privato che a tali inconvenienti è soggetto qualora eserciti il recesso di cui all’art. 1671 c.c.”
esistente per la presenza di vizi originari del contratto o di vizi sopravvenuti successivamente alla conclusione di esso121.
Bisogna distinguere a tal proposito fra le alterazioni della vicenda negoziale riconducibili all’inadempimento di una delle parti dal caso relativo alla sopravvenuta eccessiva onerosità. Di entrambe le forme di recesso troviamo traccia nel codice dei contratti della pubblica amministrazione122.
Quanto alla prima ipotesi si deve fare riferimento all’art. 32, comma 8, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in base al quale “se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, l’aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto”. La norma sostituisce la precedente formulazione di cui all’art. 11, comma 9, secondo periodo del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui “se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, ovvero il controllo di cui all’art. 12, comma 3, non avviene nel termine ivi previsto, l’aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto”.
Tale ipotesi è stata, invero, molto discussa. Una parte della dottrina ha negato che si trattasse di un vero e proprio diritto di recesso. Si tratterebbe piuttosto di un contratto sottoposto a due condizioni concatenate o dipendenti: una sospensiva secondo cui l’approvazione del contratto deve avvenire entro un preciso termine e un’altra risolutiva potestativa secondo cui ove l’approvazione non avvenga entro il detto termine il privato ha la facoltà di recedere dall’impegno123.
121 XXXXXXXXX X. XXXXXXXX, op. cit. pag. 32; Xxx X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 251, si tratterebbe di ipotesi di recesso con funzione di difesa causale, atteso che lo scioglimento del vincolo si atteggia qui come reazione all’assunzione dell’impegno negoziale.
122 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 905.
123 Cfr. X. XXXX, Contratti della pubblica amministrazione, in EdD, IX, 986 ss..
Con la seconda fattispecie, invece, si rientra a pieno titolo nell’alveo degli strumenti di gestione delle sopravvenienze contrattuali, anche se a voler essere più precisi in entrambi i casi ci si ritrova dinanzi ad ipotesi di recesso previste a fronte di sopravvenienze suscettibili di alterare in direzione unilaterale il sinallagma contrattuale124.
Com’è noto, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica (c.d. di durata) ovvero ad esecuzione differita, può accadere che la prestazione di una delle parti divenga, al momento della esecuzione, eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili, comunque non imputabili al contraente, come ad esempio un aumento straordinario dei costi necessari per eseguirla.
Il codice degli appalti conosce una simile ipotesi all’art. 165, rubricato “rischio ed equilibrio economico- finanziario nelle concessioni” ed il cui comma 6 stabilisce che: “il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto. Ai fini della tutela
124 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 907. Un’altra ipotesi di recesso impugnatorio è prevista al di fuori del codice dei contratti e più precisamente dall’art. 1, comma 13, D.L.
n. 95/2012: “le amministrazioni pubbliche che abbiano validamente stipulato un autonomo contratto di fornitura o di servizi hanno diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale comunicazione all’appaltatore con preavviso non inferiore a quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già eseguite oltre al decimo delle prestazioni non ancora eseguite, nel caso in cui, tenuto conto anche dell’importo dovuto per le prestazioni non ancora eseguite, i parametri delle convenzioni stipulate da Consip S.p.a. ai sensi dell’articolo 26, comma 1, legge 23 dicembre 1999, n. 488 successivamente alla stipula del predetto contratto siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche tale da rispettare il limite di cui all’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488. Ogni patto contrario alla presente disposizione è nullo. Il diritto di recesso si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell’articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti”. In giur. x. X.X.X. XXXXXXX, 00 gennaio 2015, n. 49.
della finanza pubblica strettamente connessa al mantenimento della predetta allocazione dei rischi, nei casi di opere di interesse statale ovvero finanziate con contributo a carico dello Stato, la revisione è subordinata alla previa valutazione da parte del Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS). Negli altri casi, è facoltà dell’amministrazione aggiudicatrice sottoporre la revisione alla previa valutazione del NARS. In caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possono recedere dal contratto. Al concessionario spetta il valore delle opere realizzate e degli oneri accessori, al netto degli ammortamenti e dei contributi pubblici”.
La norma chiarisce che nei contratti di concessione l’elemento distintivo è rappresentato dal trasferimento al concessionario del rischio operativo inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni del mercato, che possono derivare da un rischio sul lato della domanda e su quello dell’offerta e che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati o i costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi. Il legislatore, pertanto, ha riconosciuto espressa rilevanza al possibile mutamento di circostanze che può derivare dalla inaspettata crescita dei rischi nell’economia contemporanea e nel nuovo mercato globale125.
125 A proposito di mutamento di circostanze e sopravvenienze v. X. XXXXXXXXXX-X. XXXXXXXXX, Manuale, cit., p. 521 ss. ed in part. p. 522 ove si afferma che: “due sono gli aspetti che sotto questo profilo vengono soprattutto in considerazione: 1) i ritmi e, soprattutto, la radicalità dell’innovazione tecnologica, che accrescono il rischio che l’utilità di una prestazione svanisca nel volgere di un tempo non preventivabile; 2) la mondializzazione del mercato, che espone il sistema dei prezzi e gli stessi flussi commerciali al rischio di imprevedibili flussi delle relazioni politiche”. Cfr. anche M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Eur. dir. priv., 2003, p. 467 ss., il quale aggiunge, tra i fattori appena elencati anche un terzo (p. 469): “i processi di decentramento produttivo, che accrescono le interdipendenze tra imprese e, con esse, il rischio dell’efficienza del rapporto tra investimenti e domanda”.
Orbene, in simili ipotesi il codice degli appalti prevede la possibilità alle parti di recedere dal contratto ove non si raggiunga un accordo economico - finanziario che riequilibri il sinallagma contrattuale.
In prima istanza, quindi, l’apparato rimediale predisposto dall’ordinamento propende sostanzialmente per la rinegoziazione dei termini del piano economico finanziario al fine precipuo di ricomporre le condizioni di equilibrio originario126. Si tratta di una traccia evidente della richiamata incompletezza dei contratti ad evidenza pubblica: poiché è concretamente difficile se non impossibile considerare e regolamentare ex ante tutti i possibili scenari futuri alla stipula del contratto e quindi una efficiente allocazione preventiva dei rischi ad esso connessi, il governo delle sopravvenienze viene rinviato proprio alla fase della loro eventuale insorgenza ed affidato, per l’appunto, alla rinegoziazione delle parti. Ove, invece, il tentativo di riequilibrare il sinallagma dovesse restare inattuato, viene concessa alle parti (in via sussidiaria e facoltativa) la possibilità di
126 Diversa e più complessa la questione relativa alla rinegoziazione dell’offerta dopo l’aggiudicazione della gara. In tal caso, secondo la consolidata giurisprudenza europea e del Consiglio di Stato saremmo dinanzi alla trasformazione “di una originaria selezione aperta (ovvero ristretta) in una procedura negoziata, che trasmoda nello schema della trattativa privata; pertanto è illegittima la decisione di procedere alla suddetta rinegoziazione dopo l’aggiudicazione”. Contra, in dottrina, X. XXXXX, Rinegoziazione del contratto dopo l’aggiudicazione e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2004, p.1160 ss. secondo cui “con l’aggiudicazione la fase pubblicistica è conclusa: tutto ciò che avviene dopo questo momento, compresa la ridefinizione di clausole del negozio, attiene al rapporto tra due soggetti entrambi legittimati a contrarre un fascio di obbligazioni reciproche sebbene a condizioni vincolate. L’alterazione di questi vincoli (che può dare luogo a invalidità del contratto) e dunque del contenuto delle obbligazioni riguarda evidentemente il proprium del rapporto sinallagmatico. L’assetto di interessi posto in essere, cioè il contratto, potrà essere nullo (in tutto o in parte) o inefficace a seconda del vizio cui si voglia ricondurre la pattuizione a condizioni diverse da quelle previste dal bando”. Sul tema di recente X. XXXXXX, Principi in tema di evidenza pubblica e di rinegoziazione successiva del contratto: conseguenze della loro violazione sulla serie pubblicistica e privatistica, autotutela e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2011,
p. 815 ss.
sciogliersi dal vincolo per il tramite dell’esercizio del diritto di recesso, che assume, in tal caso, una valenza fortemente rimediale127.
La ratio della norma, peraltro, si lega idealmente a quella sottesa all’art. 1664 c.c., in tema di appalto privato, il cui comma 1 stabilisce che “qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo”.
Entrambe le disposizioni delineano un modello conservativo di gestione del rischio contrattuale, basato essenzialmente su ragioni di efficiente allocazione delle risorse nel mercato e che 128si contrappone invece ad un modello consensualistico basato sulla disciplina di cui all’art. 1467 c.c., che invece privilegerebbe le ragioni della volontà individuale129. Xx invero, mentre in quest’ultimo caso l’impresa sarebbe sì preservata in ordine alla congruità dello scambio ma non in ordine alla permanenza del rapporto contrattuale (trattandosi di rimedio caducatorio) e dunque in ordine agli investimenti ad esso destinati; nel secondo modello, quello dei c.d. relational contracts, l’impresa sarebbe garantita tanto in ordine alla congruità dello
127 X. XXXXXXX, Xxxxxxx contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti, in Riv. dir. civ., 2002, p. 63 ss..; Id., Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; X. XXXXX, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992; Id., Eccessiva onerosità sopravvenuta e problemi di gestione del contratto, in Dig. disc. priv., VI, 1, Torino, 1991, 246 ss.. M. BARCELLONA, op. ult. cit., p. 469.
128 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 534.
129 M. BARCELLONA, op. cit., p. 7, p. 231. Cfr. Cass. civ., n. 28812/2013 secondo cui l’art. 1664 cod. civ., il quale prevede che “qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo”, costituisce, per le ipotesi in essa contemplate, norma con carattere di specialità rispetto all’art. 1467 cod. civ., del quale impedisce l’operatività.
scambio che in ordine alla permanenza del contratto e dunque all’utilità degli investimenti130.
Il modello tracciato dalla norma in esame, in definitiva, pare approssimarsi, soprattutto dal punto di vista rimediale, a quanto stabilito dall’art. 6:111 dei Principi di Diritto Europeo dei Contratti (PDEC) in materia di mutamento di circostanze. Tale norma dispone, infatti, che: “(1) Ciascuna parte è tenuta ad adempiere le sue obbligazioni anche quando la prestazione sia divenuta più onerosa o perché il costo ne sia aumentato o perché sia diminuito il valore della prestazione alla quale ha diritto. (2) Se però la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per il mutamento delle circostanze, le parti sono tenute a intavolare trattative per modificare o sciogliere il contratto, nel caso in cui21: (a) il mutamento di circostanze si verifichi dopo la conclusione del contratto, (b) il mutamento di circostanze non fosse una possibilità suscettibile ragionevolmente di essere presa in considerazione al momento della conclusione del contratto, e (c) il rischio di mutamento delle circostanze non sia uno di quelli che, in relazione al contratto, la parte che lo subisce possa essere tenuta a sopportare. (3) Se le parti non riescono a raggiungere un accordo in un tempo ragionevole, il giudice può (a) sciogliere il contratto a far data da un termine e alle condizioni che il giudice stesso stabilirà o (b) modificare il contratto in modo da distribuire tra le parti in maniera giusta ed equa le perdite e i vantaggi derivanti dal mutamento di circostanze. Nell’un caso e nell’altro il giudice può condannare al risarcimento dei danni per la perdita cagionata dal rifiuto
130 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 534: “il modello giuridico conservativo, invece, apparirebbe adeguato al modello di scambio integrativo, ossia la cui esecuzione presupponga o comporti una rilevante integrazione delle sfere patrimoniali dei contraenti o un reciproco condizionamento della loro programmazione economica”. I. XXXXXXX, The new social contract: an inquiry into modern contractual relations, Xxx Xxxxx, 0000; ID., Relational contract: what we do pnd we do not know, Wis. L. Rev., 1985, p.483 ss.
di una parte di intavolare trattative o dalla rottura di esse in maniera contraria alla buona fede e alla correttezza”.
Dalla stessa lettura della norma di soft law, invero, si evince quanto la linea tracciata dal legislatore sia sempre più vicina alle tendenze proprie del diritto contrattuale europeo, a riprova (se si vuole) dell’idea già adombrata in precedenza per cui il paradigma del contratto di diritto europeo finisce oggi con il pervadere tutti i settori dell’ordinamento ed in particolare del diritto dei contratti pubblici. La disciplina contenuta nell’art. 6:111, infatti, seguendo il modello della prassi internazionale attribuisce un ruolo privilegiato alla rinegoziazione abbandonando il modello di cui all’art. 1467 c.c., proprio in favore di quel modello conservativo che, invece, si fonda proprio sulle summenzionate disposizioni in materia di appalto (pubblico e privato)131.
È chiaro, infatti, che proprio in materia di appalti (ad es. per grandi opere impiantistiche o infrastrutturali) il rimedio più adeguato avverso il sopraggiungere di ostacoli al buon funzionamento del rapporto contrattuale non è la risoluzione o più in generale i rimedi ablativi, i quali in ultima analisi conducono alla cancellazione degli effetti contrattuali. In tal caso, come chiaramente cristallizzato nell’art. 165 del nuovo codice dei contratti pubblici, sono da prediligersi i rimedi c.d. manutentivi, proprio in quanto puntano a mantenere in vita il contratto ovvero i rimedi c.d. di adeguamento, perché lo salvano adeguandolo alle circostanze ed esigenze sopravvenute132.
131 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 541. La rinegoziazione è prevista come rimedio principe anche nei principi UNIDROIT, ove in caso di Hardship cioè “quando si verificano eventi che alterano sostanzialmente l’equilibrio del contratto, o per l’accrescimento dei costi della prestazione di una delle parti o per la diminuzione del valore della controprestazione…la parte svantaggiata ha diritto di chiedere la rinegoziazione del contratto” (artt. 6.2.1. ss.).
132 X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 967-968; v. X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 470: “dentro questa logica, al contratto ed alla sua disciplina non va più chiesto di definire ex ante tutte le modalità del successivo rapporto ed ancor meno di prevedere e neutralizzare l’intero spettro delle possibili sopravvenienze. Nella logica collaborativa e solidale, secondo cui
Ed in effetti, la norma in questione può assurgere a parametro di una rinnovata concezione della sanctity of contract e quindi di uno dei principi basilari che definiscono il senso stesso dell’autonomia privata e che, non a caso, si ritrova declamato nell’art. 1372 c.c., cioè quello per cui il contratto, e dunque l’accordo raggiunto dalle parti, costituisce per esse la “legge” dei loro rapporti. Oggi, con maggiore facilità, può infatti affermarsi che talora, soprattutto in corrispondenza di rapporti di durata, a prevalere sono ragioni di opportunità e ragionevolezza che fanno propendere per una maggiore flessibilizzazione delle relazioni contrattuali133. Nella disciplina dell’appalto, l’interesse prioritario dei contraenti alla realizzazione di un determinato risultato dedotto in contratto (alternativamente, il compimento dell’opera, del servizio o della fornitura oggetto dell’appalto) non esclude, infatti, la rilevanza delle vicende che intercorrono fra la conclusione del contratto e la realizzazione del risultato stesso. La tutela di tale interesse è assicurata da diverse regole che, al contempo, tendono a garantire al rapporto la flessibilità funzionale all’attuazione del programma concordato e consentono ai contraenti il controllo del sinallagma durante l’esecuzione. È possibile che,
posteriormente al momento della conclusione del contratto, si verifichino alcuni mutamenti della realtà circostante che non giustifichino più (in tutto o in parte) la permanenza del vincolo sinallagmatico per come esso è stato concordemente determinato dalle parti interessate. È cioè astrattamente possibile che, in virtù di determinati accadimenti (giuridici o naturalistici), non possa più pretendersi, in capo all’uno o all’altro dei contraenti, la permanenza di un vincolo giuridico che si è formato sulla base di circostanze assolutamente diverse da quelle successivamente registratesi.
andrebbero considerati e trattati questi rapporti contrattuali relazionali, la determinazione del programma negoziale ed il suo adattamento ai mutamenti che l’ambiente di riferimento subisca nel tempo andrebbero, invece, assicurati alla rinegoziazione delle parti”.
133 M. BARCELLONA, op. ult. cit., p. 468.
Ad ogni modo, occorre sempre tenere a mente che in materia di contratti della pubblica amministrazione l’eventuale esercizio del diritto di recesso potrà sempre essere valutato alla luce del principio generale per cui tutti gli atti di autonomia privata devono trovare aderenza all’interesse pubblico di cui essa è depositaria.
Se è vero, infatti, che già nei rapporti interprivati, proprio a partire dall’esercizio del diritto di recesso si è affinato il controllo giudiziale sulla discrezionalità contrattuale attraverso la specola del canone di buona fede in executivis, a maggior ragione ciò va tenuto in considerazione nel caso di contratti della pubblica amministrazione, dove la disciplina del recesso per definizione assume una connotazione marcatamente causalistica134.
In linea generale, invero, salvo espresse previsioni normative, l’immanente funzionalizzazione del potere amministrativo al perseguimento dell’interesse pubblico mal si concilia con poteri di scioglimento del vincolo ad nutum ovvero con la previsione contrattuale di un indiscriminato diritto potestativo di recesso esercitabile a prescindere da qualsivoglia giustificazione causale. Si tratta, in definitiva, di valutare la sussistenza di una giusta causa, il che peraltro trova una sua ratio nella posizione della stessa parte pubblica contraente del contratto di appalto: la pubblica amministrazione, infatti, deve rendere noto all’altra parte le ragioni del
134 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 911. Cfr. la nota Cass. Civ. 2009, n. 20106, secondo cui “l’esercizio del potere contrattuale (di recesso) riconosciuto dall’autonomia privata deve essere posto in essere nel rispetto di determinati canoni generali - quali quello della buona fede oggettiva, della lealtà dei comportamenti e della correttezza (alla luce dei quali devono essere interpretati gli stessi atti di autonomia contrattuale. Il fine da perseguire è quello di evitare che il diritto soggettivo possa sconfinare nell’arbitrio. Da ciò il rilievo dell’abuso nell’esercizio del proprio diritto”. In dottrina, più in generale, v. ex multis, M. BARCELLONA, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di X. XXXXXXXXX, Torino, 2002, p. 305; X. XXXXXXX, Il divieto di abuso del diritto, in Eur. dir. priv., 1, 2013, p. 75 ss.; Id. Per una teoria sulla ragionevolezza in diritto civile, in Eur. dir. priv., 4, 2014, p. 1287 ss.
X. XXXXXXX, Ragionevolezza e diritto privato, in Ars interpretandi: rivista di ermeneutica giuridica, 7, 2002, p. 373.
recesso, deve giustificare l’esistenza di un interesse che spinge a derogare l’impegno contrattuale e non vi è dubbio che tale interesse è intrinsecamente connesso all’interesse pubblico che la stessa persegue. Il che non smentisce l’idea che l’esercizio del recesso sia slegato da valutazioni connesse al perseguimento del pubblico interesse, ma conferma, per converso, il suo posizionamento nell’area squisitamente privatistica, dove, come ricordato, proprio in relazione a tale istituto si è affinato il sindacato sulla discrezionalità contrattuale e sul suo eventuale abuso: è chiaro, in definitiva, che nel caso della pubblica amministrazione, trattandosi di autonomia contrattuale “conformata” al perseguimento di un interesse superindividuale il controllo sulla giustificazione causale del esercizio di un diritto potestativo sarà necessariamente parametrato alla permanente aderenza ad esso.
L’esercizio del diritto di recesso, in definitiva, non solo deve essere contestualizzato in un momento di riesame dell’interesse pubblico che aveva determinato alla stipula del contratto di appalto, ma di ciò deve esservi oggettivo riscontro nella nell’impianto motivazionale che lo supporta, al fine di consentire una complessiva valutazione del comportamento negoziale della parte pubblica ed eventualmente tutelare il privato da un possibile esercizio abusivo dello strumento135. Ciò che, tuttavia, va chiarito per una corretta impostazione della dinamica negoziale è che l’interesse pubblico, ai fini della valutazione che la pubblica amministrazione è tenuta a compiere ove intenda recedere dal contratto, non si differenzia ontologicamente dall’interesse del contraente privato (rectius sono posti sullo stesso piano)136.
135 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 750.
136 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 927.
2. ESERCIZIO DI POTERI NEGOZIALI E DI POTERI PROVVEDIMENTALI: IL RECESSO E LA REVOCA A CONFRONTO.
La previsione di una disciplina generale del recesso, quale diritto potestativo esercitabile nelle ipotesi stabilite dalla legge o dal contratto, non solo conduce l’istituto nell’alveo del diritto comune, confermando la tendenza verso quella che è stata definita “privatizzazione” della pubblica amministrazione, ma permette, altresì, di escludere l’esistenza di un immanente ed illimitato potere della parte pubblica di sciogliersi dal vincolo negoziale in virtù di un’asserita supremazia.
Occorre tener in considerazione, tuttavia, che l’amministrazione, come sopra rammentato, non perde i connotati che gli sono propri per il sol fatto di aver scelto la via del contratto come strumento di soddisfacimento dell’interesse pubblico ed è la stessa giurisprudenza, talvolta, a confermare il mantenimento di una posizione di diseguaglianza o, se si vuole, di disparità di potere contrattuale tra contraente pubblico e contraente privato137.
Si tratta di capire, pertanto, quando la pubblica amministrazione si pone su un piano di parità con il privato e quando invece agisce quale autorità, cioè senza il consenso ed il concorso dei titolari degli interessi da disciplinare138.
137 Da ultimo v. Cons. St., sez. IV, 19/08/2016, n. 3653, secondo cui: “fermi i casi di contratti integralmente di diritto privato (per i quali trovano certamente applicazione le disposizioni del codice civile), nei casi invece di contratto ad oggetto pubblico la Pubblica amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale posizione di supremazia; tali contratti non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato, ma meramente dai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, sempre in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente previsto; ciò, ovviamente, non esclude, sussistendone i presupposti, che il giudice possa fare applicazione anche della disciplina dell'inadempimento del contratto, allorché una parte del rapporto contesti alla controparte un inadempimento degli obblighi di fare”.
138 Quanto alla definizione di autorità v. F.G. SCOCA, Autorità e consenso, cit., p. 451: “il termine autorità (o autoritatività) designa una nozione strettamente tecnico-giuridica, alla quale non sono consoni i sovraccarichi ideologici derivanti dal collegamento, ormai definitivamente spezzato, con la nozione di sovranità. La funzione amministrativa ha dismesso da tempo le vesti delle funzioni sovrane, per acquisire il più dimesso (ma aggiornato con l’idea della sovranità popolare) ruolo di (attività di) servizio. L’autorità,
La linea di demarcazione tra i due momenti non è sempre di agevole individuazione139. Ed invero, non si deve incorrere nella erronea convinzione di individuare come punto di snodo tra fase pubblicistica e fase privatistica la stipulazione del contratto. Se è vero, infatti, che al di là della stipula il soggetto pubblico entra all’interno di un rapporto paritetico ove si confrontano posizioni di diritto soggettivo, ciò non toglie che a determinati presupposti possa residuare margine per l’esercizio di poteri pubblicistici che incidano sul vincolo.
Può accadere, in sostanza, che la pubblica amministrazione dopo la stipula di un contratto agisca esercitando non facoltà e poteri connessi all’autonomia privata, bensì potere autoritativo.
Il sorgere del vincolo negoziale, in particolare, non preclude l’esercizio del potere di autotutela avente ad oggetto il provvedimento conclusivo della
tecnicamente intesa, non è altro che eteroregolazione; il potere autoritativo è potere di disciplinare interessi altrui (anche senza il consenso e il concorso dei titolari degli interessi da disciplinare). L’autorità è pertanto attributo del potere; in particolare, per quanto interessa in questa sede, del potere precettivo. Non è attributo dell’atto nel quale (o con il quale) il potere viene esercitato; l’atto può qualificarsi semmai imperativo. Così è per il provvedi- mento amministrativo, almeno secondo una larga parte della dottrina e per la giurisprudenza”.
139 In giur. si veda fra le tante, Xxxx. S.U. n. 19502/2008: “nel caso in cui la pubblica amministrazione, per la realizzazione delle sue finalità, ricorra a strumenti giuridici che sono ordinariamente propri dei soggetti privati, solo l’attività negoziale, per tutto quel che riguarda la disciplina dei rapporti che dalla stessa scaturiscono, rimane assoggettata ai principi e alle regole del diritto comune; mentre restano operanti le regole della disciplina amministrativa attinenti all’organizzazione della pubblica amministrazione ed alla formazione ed estrinsecazione delle sue determinazioni. Pertanto la fase preliminare, caratterizzata dalla formazione della volontà della P.A., resta sul piano del diritto amministrativo, ed è disciplinata dalle regole c.d. dell’evidenza pubblica, poste dalla legge, dai regolamenti nonché da atti generali della stessa amministrazione, e regolanti tra l'altro la tipologia del procedimento rivolto alla scelta del contraente privato; di conseguenza, l’interesse alla legittimità sia dei singoli atti del procedimento interno con cui l’amministrazione manifesta l’intendimento di stipulare il negozio, sia delle scelte di avvalersi dell'uno piuttosto che dell’altro degli strumenti giuridici stabiliti dal legislatore per la ricerca del contraente privato con cui concluderlo, esula dall'ambito dell’interesse semplice, assumendo natura e consistenza di interesse legittimo, come tale tutela bile dinanzi al giudice amministrativo nei confronti di quei soggetti che si trovino in una posizione particolarmente qualificante rispetto all’esito di detto procedimento”.
fase pubblicistica. Secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, infatti, benché nei contratti della pubblica amministrazione l’aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell’incontro della volontà della pubblica amministrazione di concludere il contratto e della volontà del privato manifestata con l’offerta ritenuta migliore (con la conseguenza che da tale momento sorge il diritto soggettivo dell’aggiudicatario nei confronti della stessa pubblica amministrazione), non è precluso all’amministrazione stessa di procedere, con atto successivo, purché adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca ovvero all’annullamento dell’aggiudicazione140.
Con la richiamata legge 11 febbraio 2005, n. 15, invero, è stata profondamente innovata la legge sul procedimento amministrativo aggiungendo, tra l’altro, il Capo IV-bis all’interno del quale è dettata, per la prima volta, una disciplina generale dei provvedimenti amministrativi di secondo grado: il riferimento è all’art. 21 quinquies che si occupa della revoca del provvedimento amministrativo e all’art. 21 nonies, avente ad oggetto l’annullamento d’ufficio141.
Particolarmente fecondo, ai fini delle questioni che si stanno analizzando, risulta l’istituto della revoca ed il suo rapporto con il recesso.
La revoca è il provvedimento che fa venir meno la vigenza degli effetti di un atto a conclusione di un procedimento volto a verificare se i risultati cui
140 Ex multis, C.d.S., sez. IV, 12 settembre 2000, n. 4822; sez. V, 20 settembre 2001, n. 4973; sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244.
141 Per la verità, già prima dell’introduzione dell’art. 21 quinquies, dottrina e giurisprudenza riconoscevano alla pubblica amministrazione il potere di incidere con effetti ex nunc (e quindi non retroattivi come, invece, nel caso di annullamento d’ufficio) su provvedimenti produttivi di effetti permanenti inficiati da vizi di merito (non di legittimità) e non rispondenti (per vizi originari ovvero sopravvenienze) ai criteri di opportunità e convenienza che devono informare l’agire della pubblica autorità ex art. 97 Cost.: cfr. X. XXXXXXXXX, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino, 1999, p. 16 .
si è pervenuti attraverso il precedente procedimento meritino di essere conservati. Essa costituisce, dunque, espressione di un potere generale che si fonda sul principio di inesauribilità dei poteri pubblici, proprio in quanto la cura dell’interesse pubblico può comportare la revisione di precedenti determinazioni amministrative142: ai sensi dell’art. 21 quinquies, infatti, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato per sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Il riesercizio del potere pubblico è, pertanto, giustificato sia nel caso di sopravvenienze (sicché non pare conforme all’interesse pubblico il perdurare della vigenza del provvedimento di primo grado), sia nel caso in cui la pubblica amministrazione valuti nuovamente la stessa situazione già oggetto di ponderazione al momento dell’adozione dell’atto (ius poenitendi)143.
Ora, se revoca e recesso possano apparire prima facie istituti assimilabili, sia sul piano dei presupposti che su quello degli effetti, ad una più attenta analisi risultano fattispecie totalmente distinte.
Anzitutto, mentre, come già precisato, la revoca è promanazione di un potere generale, il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso soltanto nei casi previsti dalla legge o dal contratto: in questo caso, infatti, comunque relativo a contratti e non a provvedimenti, non rilevano i motivi di interesse pubblico e si rinvia ai casi tipizzati dalla legge o dall’autonomia privata delle parti144.
Il tema centrale diventa, a questo punto, quello dell’analisi dell’incidenza dell’una e dell’altra fattispecie sulla vicenda negoziale, premettendo che solo
142 T.A.R. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia), sez. I, 06/04/2016, n. 116, secondo cui “in linea generale, va ricordato come la revoca sia un istituto di carattere generale, immanente alla inesauribilità del potere amministrativo e alla mutabilità della situazione fattuale e delle esigenze che di volta in volta l'Amministrazione è chiamata a tutelare”.
143 X. XXXXXXX, op. cit., p. 552.
144 X. XXXXXXX, op. cit., p. 555.
apparentemente esse comportano lo stesso effetto sul vincolo e cioè la caducazione ex nunc della sua efficacia.
Si osservi, fra l’altro, che la delimitazione degli spazi rispettivamente ascrivibili alla revoca e al recesso, è strettamente connessa ai profili attinenti al riparto di giurisdizione. In base a quanto fin qui argomentato, la disciplina introdotta dall’art. 21sexies comporta la devoluzione delle controversie alla giurisdizione competente secondo il normale criterio di riparto (basato com’è noto sulla causa petendi145): l’esercizio del diritto potestativo di recesso in un rapporto paritetico è devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo la giurisdizione esclusiva circoscritta solo alla procedura di affidamento; se invece la pubblica amministrazione revoca il provvedimento di aggiudicazione, esercita un potere autoritativo di autotutela che porta alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Xx xxxxxx, il recesso contrattuale va tenuto distinto dal potere pubblicistico di revoca: il potere di revoca della procedura di affidamento di un servizio pubblico si colloca nell’ambito dell’azione amministrativa di tipo pubblicistico mentre il recesso contrattuale, lasciando impregiudicata la serie pubblicistica degli atti, incide solo sul vincolo contrattuale. È quindi differente la qualificazione della posizione giuridica vantata dal privato nei confronti della revoca pubblicistica (interesse legittimo) e del recesso contrattuale (diritto soggettivo)146.
145 Cfr. X. XXXXXXX, op. cit., p. 684 ss. Come è noto è la posizione giuridica azionata che determina l’individuazione del giudice competente a decidere della controversia: si tratta di un principio costantemente riconosciuto in sede interpretativa ove si afferma che “la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione (ex multis, Xxxx. Civ. S.U., 27 febbraio 2012, n. 2923)”
146 T.A.R. Catania, (Sicilia), sez. III, 23/06/2016, n. 1691.
Il generale potere di autotutela che compete alla pubblica amministrazione, dunque, può essere esercitato anche con riferimento agli atti amministrativi costituenti il presupposto di un contratto di diritto privato, giacché in tale ipotesi l’autotutela ha ad oggetto non certo il contratto, ma i provvedimenti adottati nel corso dell’iter procedimentale prodromico alla stipulazione147.
Ciò ha trovato formale cristallizzazione proprio nel comma 1 bis dell’art. 21 quinquies in cui il legislatore ha stabilito che: “ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale
147 Cass. S.U. n. 13296/2005. In argomento Consiglio di Stato, VI, 14 gennaio 2000, n. 244,; Consiglio di Stato, IV, 17 luglio 2002, n. 3997: “è fuor di dubbio la sussistenza, in astratto, del potere di annullamento d’ufficio in autotutela dell’aggiudicazione, pur se in epoca successiva alla stipulazione del contratto di appalto con l’aggiudicatario e quando siano in corso i lavori da parte di questo”; Consiglio di Stato, V, 18 ottobre 2001, n. 5516: “In materia di contratti di evidenza pubblica, del resto, che il provvedimento di aggiudicazione sia suscettibile di revisione costituisce pacifico principio generale, il quale trova fondamento nel principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa che impegna l’amministrazione ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire e autorizza, quindi, anche il riesame di atti già adottati, ancorché con l'obbligo di dare esplicita e puntuale motivazione del potere esercitato (Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 1998 n. 900; id., Sez. V, 3 febbraio 2000 n. 661). Questo essendo il fondamento del potere generale di autotutela, anche il principio secondo il quale l’aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di individuazione del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà dell’amministrazione di concludere il contratto e della volontà del privato manifestata con l’offerta accertata migliore, non esclude la possibilità per l’amministrazione di procedere, con atto successivo, adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d'ufficio ovvero alla non approvazione del relativo verbale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 dicembre 2000 n. 6838). Non costituisce di per sé un ostacolo all'esercizio del generale potere di riesame in un momento successivo alla conclusione del procedimento neppure la presenza, nel procedimento di aggiudicazione degli appalti pubblici, di strumenti tipici di verifica immediata dell'attività compiuta l’amministrazione, come, ad es., l’approvazione degli atti di gara e l'eventuale controllo (cfr. Cons. Stato, 3 febbraio 2000 n. 661 cit.)”.
concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.
È chiaro, pertanto, che, seguendo tale prospettiva, la revoca rimuove ex nunc il titolo giuridico del rapporto incidendo direttamente sull’atto e solo indirettamente sul rapporto negoziale che è retto dall’atto.
La giurisprudenza amministrativa, anche sulla base di tale novità legislativa, ha ritenuto ammissibile la revoca degli atti della procedura di evidenza pubblica con effetti diretti sugli atti negoziali148: l’amministrazione, in tali casi, non interviene sull’esecuzione del rapporto contrattuale ma solo sul suo presupposto provvedimentale e lo fa esprimendo potere autoritativo e non un potere negoziale. Detto potere, infatti, non trova la sua causa in vicende ascrivibili all’esecuzione del contratto, ma quale contrarius actus nell’esercizio del potere di stipulare il contratto e di individuare il contraente e nel connesso interesse pubblico, che in definitiva costituisce il parametro cui condizionare la valutazione di tutta l’attività amministrativa149.
148 Di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 27 novembre 2012, n. 5993 secondo cui: “ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241/1990, la legittimità della revoca è ancorata a tre presupposti tra loro alternativi: a) la sopravvenienza di motivi di pubblico interesse; b) il mutamento della situazione di fatto; c) una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Il mutamento della situazione da regolare, determinato dallo scorrere del tempo e dalla connessa nuova valutazione dell’interesse pubblico originario o sopravvenuto, è quindi elemento che l’Amministrazione può motivatamente e legittimamente prendere in considerazione per addivenire ad una nuova determinazione con effetti anche su atti negoziali, rispetto ai quali le conseguenze sono di carattere meramente indennitario, secondo le regole poste dalla norma citata e nei limiti del solo danno emergente. In specie, l’indennizzo per atto legittimo deve essere commisurato al solo danno emergente: vengono così in evidenza i costi sostenuti fino al momento della revoca, sia per la partecipazione alla gara, sia per le lavorazioni preliminari eventualmente effettuate; peraltro, trattandosi di indennizzo, l’importo non deve coincidere con l’effettivo esborso sopportato, ma può essere equitativamente liquidato”. Ed ancora: “la riconsiderazione dell’interesse pubblico, operata dall’amministrazione in relazione a diverse e sopravvenute esigenze connesse al progetto dell’opera appaltata, rende legittima la revoca, a nulla rilevando che dette esigenze siano il frutto anche di una inesatta valutazione dell’interesse pubblico e della incongruenza del progetto originario da parte dell’amministrazione appaltante”.
149 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 917.
Ciò non esclude, peraltro, che la tutela dell’interesse pubblico tenga in debita considerazione gli interessi del privato che ha stipulato il contratto con la pubblica amministrazione: il comma 1 bis dell’art. 21 quinquies, infatti, individua la misura dell’indennizzo spettante al privato, parametrandola al danno emergente e ciò risponde ai principi generali in tema di obbligo di indennizzo da parte della pubblica amministrazione per pregiudizio derivante da sua attività legittima o lecita150.
Non sempre, tuttavia, la giurisprudenza del giudice del riparto si è mostrata in linea con quella del Consiglio di Stato. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, invero, hanno talora ricostruito la fattispecie di revoca qualificandole come recesso con la conseguenza di attribuirne la giurisdizione al giudice ordinario. Si è sostenuto, ad esempio, che il provvedimento di revoca della delibera a contrarre per sopravvenuti motivi di interesse pubblico “allorquando sia successivo alla conclusione del contratto di opera professionale, non integra un provvedimento amministrativo riconducibile a poteri di supremazia dell’ente, ma configura
150 cfr. Cons. St. n. 662/2012. La dottrina ha, pertanto, considerato l’ipotesi di revoca del provvedimento legittimante la stipula del contratto come fattispecie di responsabilità da atto lecito, assimilandola, in sostanza, alla fattispecie di cui all’art. 1328 c.c. In altri termini, la revoca dell’aggiudicazione prodromica al contratto sarebbe da assimilare alla revoca della proposta contrattuale prodromica al contratto stesso. Applicando tale orientamento la giurisprudenza individua una ulteriore prova della tesi secondo cui il potere di revoca è soggetto al limite temporale della stipulazione del contratto. Proprio la previsione dell’indennizzo (fonte di responsabilità da atto lecito) e l’analogia con l’art. 1328 c.c. portano a ritenere che la revoca del provvedimento di aggiudicazione, come la revoca della proposta, deve avvenire – per essere valida e per rimanere nei limiti di una responsabilità da atto lecito – prima della conclusione del contratto.
In tema di c.d. atto lecito dannoso cfr. Cass. Civ., sez. II, 16/12/2015, n. 25292, secondo cui “la responsabilità per fatto lecito dannoso non ha carattere eccezionale poiché l’espressione ordinamento giuridico che accompagna, nell’art. 1173 c.c., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, ossia quelle che derivano “da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”, non si risolve in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti nominate (diverse dal contratto o dal fatto illecito), ma consente un’apertura all’analogia, ovvero alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall’ordinamento considerato nella sua interezza, complessità ed evoluzione”.
un atto negoziale di recesso, nell’ambito di un rapporto contrattuale nel quale l’amministrazione agisce come soggetto di diritto privato”151. Secondo tale impostazione, quindi, la revoca viene ricostruita come un recesso, negando che superiori ragioni d’interesse pubblico possano legittimare una modificazione del rapporto sia pure come effetto dell’esercizio di autotutela sull’atto amministrativo che costituisce presupposto del negozio152.
Tale impostazione, a veder bene, nascerebbe dall’idea che il sorgere del vincolo negoziale determini la costituzione di un autonomo rapporto, indifferente alle sorti della fase pubblicistica retrostante: una volta stipulato il contratto, dunque, le vicende del provvedimento non potrebbero refluire su tale rapporto, ormai proiettato in un’ottica puramente paritetica. In questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente e ad essa consequenziale, i contraenti si troverebbero in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive sarebbero connotate del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto.
Per il giudice ordinario, quindi, la stipula del contratto farebbe perdere alla pubblica amministrazione lo jus poenitendi (quantomeno di natura pubblicistica), poiché segna il confine ultimo oltre il quale la revoca non può più essere lo strumento per mettere in discussione il vincolo negoziale. Xxxx, perfezionato il rapporto contrattuale, il potere di sciogliersi dal vincolo viene confermato lo stesso in capo all’amministrazione, ma muta geneticamente,
151 Cass., II, n. 17697/2005.
152 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 914 ove in particolare afferma: “la giurisprudenza delle SU sulla revoca dell’aggiudicazione, che cozza contro la chiara natura giuridica del provvedimento di revoca come esercizio di autotutela, potrebbe esser dettato dalla finalità di assicurare al contraente una maggiore e più intensa tutela: ricostruire in chiave paritetica il rapporto tra le parti a seguito della stipulazione del contratto, significa porre il contraente privato al riparo dall’esercizio del potere di autotutela sull’atto”.
in quanto da potere pubblicistico di revoca si trasforma in un diritto potestativo di recesso153.
Anche parte della dottrina ha optato per tale via interpretativa evidenziando come il contratto, una volta stipulato, venga attratto, nell’alveo del diritto civile, seppure in un regime speciale dettato dal codice dei contratti pubblici e dalla specifica normativa, di modo che la sua efficacia non potrebbe essere incisa da mere rivalutazioni di opportunità della pubblica amministrazione154: se, infatti, può riconoscersi all’annullamento d’ufficio la possibilità di incidere sull’efficacia del contratto poiché condivide con la funzione giurisdizionale il fine di risolvere conflitti e di far rispettare il principio di legalità, di contro, la revoca appare del tutto estranea a tale funzione (non presupponendo l’illegittimità del provvedimento da revocare) e non consente l’applicazione degli esiti dell’ampia elaborazione della dottrina e della giurisprudenza in ordine alla sorte del contratto stipulato da una pubblica amministrazione a seguito dell’annullamento della procedura di evidenza pubblica155.
153 Cfr. ex multis, Xxxx. S.U. 27169/2007, secondo la quale il sorgere del vincolo negoziale determina di fatto la perdita della specialità pubblicistica della fattispecie: “in questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, che ha inizio con l’incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto, e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione, infatti, i contraenti - p.a. e privato - si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto”; nonché Cass. S.U., n. 10160/2003 e n. 29425/2008, secondo cui, in particolare, “una volta stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità rientra nell’ambito del generale potere contrattuale di recesso (previsto, per i contratti di appalto di opere pubbliche), sul cui esercizio sussiste la giurisdizione del giudice ordinario”.
154 G. LA ROSA, La revoca del provvedimento amministrativo, Milano, 2013, p. 239.
155 Sulla questione della sorte del contratto e della qualificazione della conseguente patologia contrattuale vedi infra cap. III.
3. I RECENTI APPRODI DELLA GIURISPRUDENZA IN TEMA DI RAPPORTO TRA REVOCA E RECESSO NEI CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA: L’ADUNANZA XXXXXXXX X. 00 XXX 0000.
La delimitazione del campo applicativo del recesso, come si è visto, diventa particolarmente complessa, e al tempo stesso interessante, in corrispondenza del segmento dell’operazione contrattuale successivo alla stipulazione, in una fase, cioè, in cui secondo l’impalcatura ormai chiaramente delineata dallo stesso codice dei contratti, l’amministrazione ed il privato dovrebbero rapportarsi in termini paritetici.
Eppure sia la giurisprudenza (soprattutto amministrativa) che lo stesso impianto normativo (art. 21 quinquies, l. 241/90), come visto, sembrerebbero concedere alla stazione appaltante anche il potere (autoritativo) di revoca, con notevoli dubbi e ripercussioni non solo sotto il profilo del riparto di giurisdizione. Ed invero, ammettere sempre la possibilità di ricorso da parte della pubblica amministrazione alla revoca per incidere sul contratto già stipulato ha l’effetto di rendere apparentemente inutile la previsione di un’apposita facoltà di recesso a favore di questa disposto dall’art. 21sexies,
l. n. 241/1990 e soprattutto determina un ingiustificato vantaggio per la parte pubblica del rapporto negoziale sul versante economico (la revoca determinerebbe un obbligo di indennizzo, meno oneroso del ristoro imposto in caso di recesso) e dei risultati (la revoca permetterebbe all’amministrazione di ottenere con facilità risultati superiori a quelli che la parte privata potrebbe conseguire in sede giurisdizionale, attraverso il ricorso agli artt. 121 e 122 c.p.a.)156.
156 X. XXXXXXXX, L’autotutela interna e l’autotutela esterna nei contratti pubblici, in
Giornale di diritto amministrativo, 1/2015, p. 80.
Ebbene, sulla questione, da tempo ampiamente dibattuta, è intervenuta di recente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 14 del 2014, la quale, sulla base di una rilettura della normativa più recente è pervenuta ad un revirement del precedente orientamento che riconosceva la legittimità, anche successivamente alla stipula del contratto, dell’esercizio del potere di revoca degli atti amministrativi (nel caso specifico l’aggiudicazione) adottati nel corso del procedimento ad evidenza pubblica e ha affermato il principio di diritto secondo cui “nel procedimento affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità
della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006”157.
L’arresto è talmente importante e denso di soluzioni interpretative, anche in tema di rapporti tra la fase pubblicistica di scelta del soggetto cui affidare l’appalto e la successiva negoziale, che converrà soffermarvisi, almeno nei passaggi salienti.
La controversia aveva avuto origine dalla scelta di una stazione appaltante, a sei anni dalla stipula di un contratto pubblico, di revocare tutti gli atti di gara, compreso il provvedimento di aggiudicazione definitiva. A supporto di tale provvedimento, l’amministrazione indicava diversi motivi di interesse pubblico sopravvenuti e, pertanto, preferiva ricorrere allo strumento di autotutela pubblicistico previsto dall’art. 21quinquies, l. n. 241/1990, rinviando ad un provvedimento successivo la definizione dell’indennizzo da riconoscere all’appaltatrice. Il giudice di prime cure, accogliendo il ricorso
157 Cons. St., Ad. Plen., 20/06/2014, n. 14, Foro it. 2015, 12, III, 673 (nota di: TRAVI)
sul punto sollevato dalla appaltatrice che aveva subito gli effetti negativi del provvedimento, aveva censurato l’uso del potere pubblicistico di revoca da parte dell’amministrazione pubblica, in quanto questa avrebbe dovuto ricorrere all’istituto del recesso ex art. 134 del Codice per potersi validamente liberare del vincolo contratto con l’aggiudicatario158.
Considerato che la posizione interpretativa espressa dal Tar non era del tutto condivisa in giurisprudenza, in sede di appello, la Sezione del Consiglio di Stato ha preferito rimettere all’Adunanza plenaria la questione di merito sulla facoltà dell’amministrazione pubblica di poter revocare per via di autotutela pubblicistica gli atti di gara dopo avere stipulato il contratto e dato avvio all’esecuzione dello stesso159.
Ebbene, il giudice amministrativo ha stabilito che una volta stipulato il contratto e quindi apertasi la fase essenzialmente esecutiva, la pubblica amministrazione, in presenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico e al fine di sciogliersi dal vincolo negoziale, non può più esercitare il potere pubblicistico di revoca, ma deve far ricorso esclusivamente al diritto potestativo di recesso previsto adesso dall’art. 109 del codice dei contratti.
L’Adunanza Plenaria, in sostanza, ha deciso di far prevalere la specialità della disciplina prevista per il settore dei lavori pubblici piuttosto che la specialità riconducibile alla natura pubblicistica del soggetto che, in virtù di essa, avrebbe potuto rivendicare i suoi poteri pubblicistici anche successivamente alla stipula del contratto. Chiarissimi, in tal senso, i passaggi della sentenza: “la posizione dell’amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando
158 Cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 6 marzo 2013, n. 2432.
159 Cfr. Cons. St., sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786.
l’amministrazione, in forza di quest’ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono. Ciò rilevato ne consegue che deve ritenersi insussistente, in tale fase, il potere di revoca, poiché: presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità; la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca”.
La scelta operata dal Consiglio di Stato, dunque, si pone in linea con l’indirizzo maggioritario del giudice del riparto e che si basa essenzialmente sul principio per cui in materia di contratti della pubblica amministrazione la giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene pienamente operativa nella successiva fase contrattuale afferente l’esecuzione del rapporto, fase aperta dalla stipula, nella quale si è entrati a seguito della conclusione mediante aggiudicazione della fase pubblicistica. Da questo punto di vista, invero, il primo atto appartenente alla giurisdizione ordinaria è costituito dalla stipula del contratto, in base all’art. 1321 e ss. c.c., che diviene competente pertanto riguardo la disciplina dei requisiti, gli effetti, nonché l’intero spettro delle patologie negoziali, anche sopravvenute160.
160 Cass. Civ., sez. un., 11/01/2011, n. 391. Più in particolare si afferma che “una volta stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità rientra nel generale potere contrattuale di recesso, su cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Qualora invece la revoca dell’aggiudicazione intervenga prima che sia stato stipulato il contratto, la competenza ricade sul giudice amministrativo, atteso che in tal caso la revoca non rientra nell’ambito del generale potere contrattuale di recesso della p.a., ma costituisce tipica espressione di potestà autoritativa a carattere di autotutela in presenza di interesse pubblico. La posizione dell’aggiudicatario, in questo caso, rimane di interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo”.
Ne deriva, ad ogni modo, che nella fase successiva alla stipulazione del contratto il margine di azione concesso alla pubblica amministrazione non è riconducibile all’esclusivo dominio del diritto privato. Infatti, la necessità di orientare sempre l’azione amministrativa alla realizzazione degli interessi pubblici può giustificare l’introduzione di regole ad hoc per configurare in una logica di specialità il ruolo negoziale della pubblica amministrazione, anche se svolto secondo moduli privatistici161.
È agevole comprendere, pertanto, il motivo per il quale la Corte Costituzionale, oltre alla stessa giurisprudenza amministrativa, parla di posizione di parità “tendenziale” con riferimento ai rapporti tra parte pubblica e privata, una volta apertasi la fase privatistica: ciò in quanto, a veder bene, l’attività dell’amministrazione, pur se esercitata con moduli privatistici, è sempre rivolta al fine primario dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione di regole talvolta specifiche e distinte. Ed è il legislatore, in definitiva, a confermare tale relazione non paritetica con disposizioni di carattere speciale destinate a rendere asimmetrico il rapporto negoziale tra amministrazione ed operatori privati162.
D’altro canto, come sottolineato dalla stessa Xxxxxxxx, escludere l’applicabilità dell’istituto della revoca nella fase post stipula del contratto, consente una più completa tutela della posizione del contraente privato: “il divieto di revoca quando sia stato stipulato il contratto si fonda sulla fondamentale ragione dell’affidamento del privato negli impegni reciproci
161 Interessante a tal proposito il passaggio della sentenza secondo cui “ne emerge sul piano normativo la categoria dei contratti di diritto pubblico (o ad oggetto pubblico) che, fermo il ricorso alle regole civilistiche per la disciplina generale del rapporto contrattuale tra amministrazione e privati, si distingue da quella dei contratti di diritto privato per il mantenimento di una posizione di supremazia dell’amministrazione”.
162 Così Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 2011, n. 43 e n. 53. In dott. v. anche X. XXXXXXXXXX, Le guarentigie amministrative e giurisdizionali della giustizia nell’amministrazione, III ed., Milano, 1930, p. 161: “nell’esplicamento della sua attività privata (...) l’amministrazione si pone sul piede di uguaglianza coi singoli ed è sottoposta allo stesso regime giuridico, salve eccezionali disposizioni positive, che le consentano forme potestative di agire”.
consacrati nell’accordo, sulla cui base egli ha maturato aspettative di profitto e assunto impegni organizzativi che l’art. 21 quinquies non impone di considerare (a differenza dell’art. 21 nonies per l’annullamento d’ufficio) e il cui ristoro è ivi previsto soltanto con l’indennizzo, mentre, ad esito del recesso consentito per i contratti di diritto privato, l’amministrazione è obbligata, come visto, ad una più adeguata compensazione del pregiudizio sofferto dalla controparte; ciò non comporta, peraltro, un’automatica svalutazione dell’interesse pubblico, di cui la pubblica amministrazione è sempre portatrice, al quale è comunque strumentale il diritto di recesso nell’ampia configurazione dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici, potendo l’amministrazione valorizzare, ai fini del recesso, circostanze che porterebbero alla revoca, con il corollario di non dover assicurare il contraddittorio procedimentale né esternare compiutamente le motivazioni della scelta, essendo ciò bilanciato dal maggiore onere economico che ne consegue”.
Come si evince dalla lettura del principio di diritto le considerazioni in merito alla delimitazione dello spazio di operatività tra recesso e revoca svolte dall’adunanza plenaria riguardano essenzialmente gli appalti di lavori. Tuttavia, è possibile ritenere, con parte della dottrina e della giurisprudenza, che le stesse conclusioni possano essere estese anche agli appalti di servizi e forniture. Ed invero, in primo luogo varrebbe sempre il principio generale per cui una volta stipulato il contratto, non vi è più spazio per alcuna manifestazione del potere pubblicistico di autotutela, considerato che lo strumento del diritto amministrativo non può più incidere su atti o rapporti oramai disciplinati dal diritto privato163; in secondo luogo, secondo parte della giurisprudenza, per i contratti di servi e forniture, ove non siano state
163 Cfr. A. SCOGNAMIGLIO, Autotutela pubblicistica e contratti in corso, in Dir. amm. 2013,
p. 240 secondo cui “con la stipula del contratto, l’ambito spaziale di applicabilità del potere di autotutela si esaurisce”.
previste delle norme speciali come in tema di lavori, troverebbe applicazione, in alternativa alle disposizioni pubblicistiche sulla revoca, l’art. 1671 c.c., ove viene cristallizzata una generale facoltà di recesso unilaterale in capo al committente di un appalto, salvo il pagamento integrale delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno dell’appaltatore164.
Il fondamento della pronuncia dell’Adunanza Plenaria, dunque, verte sul criterio interpretativo della specialità del regime, che finisce con l’incrinare il rapporto di parità negoziale tra le parti e consente all’amministrazione di sciogliersi dal vincolo unilateralmente.
Dal punto di vista normativo, il ragionamento si basa sugli artt. 21 sexies
l. n. 241/1990 e 134 (adesso 109) del codice dei contratti, che sono appunto le fonti di questa specialità: sono le due disposizioni che permettono all’amministrazione di decidere indipendentemente dalla volontà del privato di interrompere il rapporto contrattuale, ma non attraverso un intervento pubblicistico di revoca o di annullamento, bensì attraverso un atto privatistico di recesso. L’Adunanza Plenaria ammette, pertanto, che la pubblica amministrazione possa intervenire sul contratto stipulato con un atto di revoca ed esclude tale possibilità soltanto nel caso in cui la norma riconosca
164 Da segnalare Cass. Civ., sez. I, 20 marzo 2013 n. 6873, la quale ha affermato che “anche nell’appalto continuativo o periodico di servizi, sia pubblico che privato, trova applicazione l’art. 1671 cod. civ., in tema di recesso unilaterale del committente, recesso che costituisce esercizio di un diritto potestativo e che, come tale (...) non richiede la ricorrenza di una giusta causa e può essere esercitato per qualsiasi ragione, ponendosi in relazione all’esigenza di evitare che il medesimo committente resti vincolato pure quando sia venuto meno il suo interesse alla prestazione dei servizi appaltati e quindi anche se, come nella specie, ritenga il relativo costo eccedente le proprie disponibilità e previsioni di spesa. Il diritto (del committente) di recedere dal contratto di appalto in ogni momento, ai sensi dell’art. 1671 cod. civ., obbliga il recedente a tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno ossia del danno emergente e del lucro cessante, da liquidare secondo i principi regolatori del risarcimento del danno anche in via equitativa”.
alla pubblica amministrazione il potere di recesso, applicandosi nel caso la disciplina di settore165.
Non mancano, tuttavia, pronunce che si spingono più avanti, valorizzando esclusivamente la natura privatistica del potere esercitato dalla pubblica amministrazione in caso di scioglimento unilaterale dal programma negoziale, ora in ragione della posizione paritaria delle parti166, ora in ragione dell’impossibilità per l’amministrazione pubblica di far valere unilateralmente il vizio del contratto stipulato167.
165 C. COMMANDATORE, Autotutela e recesso contrattuale della P.A., commento a Cga Sicilia n. 49/2015, in Urb. app., 6/2015, p. 695.
166 Ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., 5 maggio 2014, n. 13, in Giornale di diritto amministrativo, 8-9/2014, con nota di X. XXXXXXX, Enti territoriali e contratti derivati finanziari: un rapporto travagliato. La sentenza richiamata è intervenuta su una questione molto dibattuta in giurisprudenza relativa alla natura degli adottati dall’amministrazione pubblica destinati ad incidere in via mediata o immediata sui contratti di finanza derivata stipulati da un ente locale con un istituto di credito. Per i giudici “allorché non sia ravvisabile una determinazione autoritativa con riferimento alla stipula di contratti derivati a corredo di un’emissione obbligazionaria, le decisioni assunte dall’ente territoriale (Regione) che abbia stipulato i contratti di swap hanno natura privatistica in ragione della posizione paritaria rivestita dall’ente pubblico che si sia vincolato contrattualmente al soggetto privato (art. 1, comma 1-bis l. n. 241 del 1990). Ne consegue che la controversia proposta avverso atti che abbiano inteso annullare in autotutela tali decisioni, puntando sull’effetto caducante (o viziante) che può prodursi a carico del contratto per effetto dell’annullamento dell’atto presupposto, esula dalla giurisdizione amministrativa. Invero, perché possa darsi corso ad autotutela, con conseguente produzione dell’effetto caducante del contratto a valle, occorre che l’atto presupposto assuma il carattere dell’atto realmente prodromico rispetto alla successiva contrattazione, ossia si configuri come determinazione autoritativa procedimentalizzata e riferita ai contenuti essenziali del- l’operazione da porre in essere, il che non si verifica quando l’atto di annullamento impugnato rechi l’imputazione dei vizi dei contratti alle delibere che si pretende autoannullare, risolvendosi tale operazione in un mero artificio, poiché in tal caso la materia del contendere è costituita non dal sindacato sulla legittimità di un atto di imperio, ma dal giudizio sulla fondatezza dei vizi addebitati ai contratti, che, secondo il fondamentale principio affermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 204 del 2004, esula dalla giurisdizione amministrativa”. Sul tema si è espressa anche la Corte di Cassazione, S.U. Ord., n. 8515/2012, in Giur. it., 2012, 11 con nota di S.S. SCOCA, Provvedimenti di autotutela e loro qualificazione: nuovo conflitto sulla giurisdizione?. In arg. v. anche X. XXXXXXXX, Giudice amministrativo, crisi finanziaria globale e mercati, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2010, p. 451 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Profili di costituzionalità dei limiti all’utilizzo degli strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali, in Banca Borsa, 2011, p. 18 ss.
167 Cass., S.U., ord. n. 22554/2014 secondo cui, in particolare, “l’amministrazione, una volta concluso il contratto è del tutto carente del potere di sottrarsi unilateralmente al
La tesi dell’Adunanza Plenaria, in ultima analisi, seppur in linea con la tradizione del giudice amministrativo, dovrà probabilmente essere rimeditata, non solo alla luce di quanto fin qui esposto, ma anche in ragione della possibilità, espressamente contemplata dall’art. 21 sexies, di forme di recesso convenzionale dal contratto. Tale previsione non avrebbe, invero, alcun senso se l’amministrazione potesse sempre sciogliersi unilateralmente dal contratto in presenza dei presupposti di cui all’art. 21 quinquies che coprono non solo tutte le possibili sopravvenienze di fatto e diritto rispetto alla conclusione del contratto, ma anche la mera rivalutazione dell’originario interesse pubblico168.
3.1. L’AUTOTUTELA AUTORITATIVA: IL RECESSO “ANTIMAFIA”.
Una particolare ipotesi di recesso nei contratti con la pubblica amministrazione è quella prevista dall’art. 94, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 riguardante il caso di contratto stipulato con un’impresa sospettata di infiltrazioni mafiose o versante nelle ipotesi di incapacità di cui all’art. 67, d.lgs. n. 159/2011.
In particolare, il comma 2 della disposizione richiamata stabilisce che “qualora il prefetto non rilasci l’informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all’articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto
vincolo che dal contratto medesimo deriva: ipotizzare che essa abbia la possibilità di far valere unilateralmente eventuali vizi del contratto, semplicemente imputando quei medesimi vizi agli atti prodromici da essa posti in essere in vista dell’assunzione del predetto vincolo negoziale, equivarrebbe a consentire una sorta di revoca del consenso contrattuale, sia pure motivato con l’esercizio del potere di annullamento in via di autotutela, che la pariteticità delle parti negoziali esclude per il contraente pubblico non meno che per il contraente privato”.
168 C. COMMANDATORE, op. cit., p.695
indicata nell’art. 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84, comma 4, ed all’art. 91 comma 6, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.
Si tratta, in estrema sintesi, del caso in cui il Prefetto invii, dopo la stipula del contratto, alla stazione appaltante informative (c.d. antimafia) circa eventuali relazioni tra l’impresa aggiudicataria e ambienti potenzialmente o realmente criminali, proprio ai fini di attivare i poteri di autotutela. Può accadere, infatti, che l’informativa sopraggiunga dopo la stipula del contratto: ciò può verificarsi perché la Prefettura non ha adottato entro i termini previsti l’informativa, oppure nel caso di appalti urgenti, oppure ancora nel caso in cui gli elementi per l’informativa siano stati accertati successivamente al contratto, per esempio in seguito agli accessi nei cantieri disposti ai sensi dell’art. 93.
In questa ipotesi l’art. 94, comma 2, fissa, con maggiore rigore che in passato, la regola dell’obbligo di recedere dal contratto (o di revoca delle concessioni, autorizzazioni, etc.)169.
169 V. G. X’XXXXXX, La documentazione antimafia nel d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159: profili critici, in Urb. app., 3/2013, p. 256 ss. L’A. si sofferma, in particolare, su alcune delle disposizioni del cd. codice antimafia più rilevanti nel campo del diritto amministrativo e sul problematico coordinamento con il codice dei contratti. Sostiene a tal proposito che “i profili critici, le smagliature, il mancato coordinamento con il codice degli appalti trovano la loro ragione più profonda in un’impostazione generale nella redazione del codice antimafia nella quale è mancata, se non nell’intento almeno nei risultati, la doverosa centralità del diritto amministrativo per la lotta contro la criminalità organizzata. In questo contesto il legislatore dovrebbe superare la logica di una mera trasposizione e raccolta di disposizioni antimafia, rendere effettivamente centrale e organico il codice, adeguare le discipline di settore (ivi compresa quella in materia di appalti) al codice”. Fa il punto sulle varie forme di informative Cons. Stato, n. 396/2011. In dott. v. ex multis X. XXXXXXX, Notazioni in tema di efficacia interdittiva delle informative antimafia, in Foro Amm. CdS, 2011, p. 321 ss.
È la stessa Adunanza Plenaria a delineare un particolare margine di operatività della richiamata norma ascrivendola alla categoria dell’autotutela autoritativa: “così come, pure nel caso di contratto stipulato, sussiste la speciale previsione in ordine al recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza (Cass. civ., n. 391 del 2011 cit.) ha riferito alla nozione dell’autotutela autoritativa, poiché potere “del tutto alternativo a quello generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F” (oggi art. 134 del codice dei contratti pubblici); qualificazione questa che può ritenersi tuttora valida poiché le stazioni appaltanti, pur nel quadro della normativa oggi vigente in materia, devono comunque valutare l'esistenza delle eccezionali condizioni non comportanti l'altrimenti vincolato esercizio del diritto di recesso (art. 94, commi 2 e 3 del D.Lgs. n. 159 del 2011)”.
La Corte di cassazione, del pari, esclude che tale tipo di recesso possa essere assimilato alle altre ipotesi speciali di scioglimento unilaterale dal contratto previste in favore della pubblica amministrazione poiché espressione di uno specifico potere autoritativo, ampiamente discrezionale, attribuito alla pubblica amministrazione e, in quanto tale, sindacabile solamente dinnanzi al giudice amministrativo (competente a conoscere, ex art. 30 c.p.a., anche l’eventuale domanda risarcitoria così connessa a situazioni di interesse legittimo)170.
A ben vedere, tuttavia, il legislatore, nell’imporre all’art. 94, d.lgs. n. 159/2011, alle pubbliche amministrazioni e alle stazioni appaltanti di recedere dai contratti stipulati con le imprese o società interessate dall’informativa antimafia richiama l’istituto del recesso solo quoad effectum stante l’assoluta doverosità e vincolatività di tale rimedio.
170 Cass. S.U., 17 dicembre 2008, n. 29425, in Giust. Civ., 2009, 7-8, I, p. 1632
Secondo parte della dottrina si tratta, invero, di un’ipotesi di originaria o sopravvenuta carenza di legittimazione a contrarre con la pubblica amministrazione delle imprese aggiudicatarie, ossia di originaria o sopravvenuta carenza di un presupposto del negozio la cui assenza importa automaticamente l’inefficacia originaria o sopravvenuta del contratto171.
Ciò che emerge è, senz’altro, che il recesso previsto dal codice antimafia rappresenta un mezzo di autotutela che non condivide con quello di cui all’art. 109 del codice dei contratti la natura privatistica: tale mezzo di autotutela del contratto non ha, invero, natura negoziale in quanto è conseguenza diretta di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente. I casi di recesso, in altri termini, non trovano fondamento in inadempienze verificatesi nella fase di esecuzione del contratto, ma sono consequenziali all’informativa del Prefetto, sicché devono ritenersi espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica diretto a soddisfare l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali con soggetti e imprese nei confronti dei quali emergono sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata172.
171 C. COMMANDATORE, op. cit., p. 697. Cfr. X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Xxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 225. Di recente in giur. v. anche Xxxx. S.U., 27 dicembre 2014, n. 1530, in Foro amm., 2014, 6,
p. 1669 secondo cui “a deliberazione di un ente pubblico di recesso dal contratto di appalto, consequenziale all’informativa del Prefetto, resa ai sensi del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, art. 10 è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali, fra i soggetti indicati nell’art. 1 del medesimo D.P.R. e le imprese, nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata. Conseguentemente, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto ai sensi dell’art. 11, comma 2 del cit. D.P.R., la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo”.
000 Xx xxxxxx, xxx. X.X.X. Xxxxxx Xxxxxxxx, (Xxxxxxxx), sez. I, 24/02/2016, n. 220.
4. OSSERVAZIONI SUL RAPPORTO TRA AUTOTUTELA PUBBLICA E AUTOTUTELA PRIVATA.
Come dovrebbe evincersi dall’esame delle normative richiamate, benché l’autotutela amministrativa condivida con l’omologa categoria privatistica il fatto di essere una tutela attuata dallo stesso interessato, bisogna considerare che la natura e la funzione di entrambe sono totalmente differenti. Lo steccato dogmatico entro il quale possono essere esercitate, da un lato, riflette, ancora una volta, la duplice veste che la pubblica amministrazione assume allorquando contratta con il privato, dall’altro, permette di poter mettere a fuoco e distinguere le ipotesi in cui viene da essa esercitato un potere discrezionale da quelle in cui ad essere azionato è un diritto o un potere di natura essenzialmente privatistica.
Nella definizione delle relazioni tra privati l’autotutela si presenta come una reazione al fatto ingiusto altrui ove venga in considerazione l’illegittimità di un comportamento e dunque la lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Essa, quindi, si atteggia quale rimedio a disposizione del contraente che si trovi a dover contrastare l’illegittimo comportamento della propria controparte contrattuale. Per autotutela, invero, si intende in generale una forma di reazione da parte del soggetto privato sia a un altrui fatto illecito, tanto di natura extracontrattuale quanto integrante un inadempimento, sia a un fatto che in ogni caso produca o possa produrre la lesione di un suo interesse giuridicamente rilevante. In presenza di un principio che vieta ai privati di farsi giustizia da sé medesimi (art. 392-393 c.p.), le ipotesi di autotutela sussistono, infatti, esclusivamente in quanto previste e tassativamente determinate. Si pensi, ad esempio, alla clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., all’eccezione di inadempimento di cui
all’art. 1460 c.c., l’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 x.x., xxxx xxx xxxxxx xxxxxx xxxxxx000.
Diversa, invece, la funzione dell’autotutela pubblica.
In tal caso, infatti, lungi dal configurare una reazione di una delle due parti al turbato equilibrio contrattuale, l’intervento prescinde da potenziali conflittualità tra le parti legate dal provvedimento: non v’è alcun equilibrio turbato cui porre rimedio, bensì un equilibrio destinato a mutare per sopravvenuti motivi di interesse pubblico174.
Più in generale, l’autotutela pubblica è identificata nel potere dell’amministrazione di rimuovere unilateralmente ed autonomamente gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dell’interesse pubblico concreto per cui il potere è stato conferito dalla legge.
Per quanto maggiormente interessa la materia trattata, poi, si deve fare riferimento alla c.d. autotutela decisoria necessaria, cioè al potere che si sostanzia nella verifica del rispetto dei requisiti di legittimità e di merito degli atti amministrativi175.
173 In tema di autotutela privata, fra gli altri, X. XXXXX, Autotutela (dir. priv.), Enc. dir., IV,
p. 529 ss.
174 Cfr. Cons. St., n. 136/2009: “alla base dell'esercizio dell'autotutela amministrativa, quale che ne sia la forma giuridica (revoca, auto-annullamento, ritiro, etc.) v’è sempre un errore sugli originari presupposti di fatto o giuridici, ovvero un nuovo apprezzamento di elementi già sussistenti. Non per questo, però, si può escludere la legittimità dell’esercizio del jus se poenitendi in capo all'amministrazione. Al contrario, un errore iniziale, ovvero il mutato apprezzamento di presupposti di fatto, o, addirittura, il mutato convincimento circa l’interesse pubblico sotteso al provvedimento ab origine adottato, legittima l’esercizio dell’autotutela. Il limite all’esercizio di tale potestà riposa nella non irragionevolezza dell’esercizio del potere”.
175 V. anche la recente Cons. St. n. 5026/2016 secondo cui “in xxx xxxxxxxx, xx xxxxxx dei provvedimenti amministrativi, disciplinata dall’art.21-quinquies della legge n.241 del 1990 (e introdotta dall’art.14 della legge n.15 del 2005), si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc (e, quindi, non retroattiva), di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia. I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art.21-quinquies (per come modificato dall’art.25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n.133 del 2014) con formule lessicali (volutamente) generiche e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione
La pubblica amministrazione esercita il potere di autotutela per garantire un controllo permanente sull’aderenza della propria azione all’interesse pubblico perseguito. Ed invero, basta scorrere la nuova disciplina dell’annullamento d’ufficio (art. 21 nonies) e della revoca dell’atto amministrativo (art. 21 quinquies) contenuta nella legge sul procedimento amministrativo, per accorgersi che le condizioni dettate dal legislatore per la legittimità dei relativi provvedimenti amministrativi siano di gran lunga diverse dai presupposti su cui si regge l’autotutela privata.
Il procedimento di revoca, pertanto, si spiega riconducendo le forme di autotutela all’esercizio di un potere necessariamente autoritativo e come tale unilaterale e coercitivo176.
Ciò non significa, tuttavia, che l’autotutela privata non interessi mai la sfera giuridica dell’amministrazione. Quando essa, spogliatasi della veste di pubblica autorità, agisce in condizione di parità con il privato o, meglio, di tendenziale parità, è possibile, infatti, che i due profili dell’autotutela possano incrociarsi o quantomeno affacciarsi su un terreno comune. La pubblica amministrazione, in sostanza, potrà adottare provvedimenti amministrativi di autotutela inquadrabili sotto gli schemi del diritto amministrativo e, al contempo, porre in essere atti di autotutela collocabili all’interno del diritto privato.
del provvedimento) e in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici). Ora, ancorchè l’innovazione del 2014 abbia inteso accrescere la tutela del privato da un arbitrario e sproporzionato esercizio del potere di autotutela in questione (per mezzo dell’esclusione dei titoli abilitativi o attributivi di vantaggi economici dal catalogo di quelli revocabili in esito a una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario), il potere di revoca resta connotato da un’ampia (e, forse, eccessiva) discrezionalità (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 6 maggio 2014, n.2311)”
176 X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 913: “questa impostazione trova oggi significative conferme sul piano del diritto positivo, e segnatamente negli artt. 19 e 20 della legge n. 241 del 1990 che, in materia di silenzio-assenso e di dichiarazione di inizio attività, prevedono la possibilità di “assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies”, qualificando così espressamente la revoca, al pari dell’annullamento, come atto di esercizio del potere di autotutela”.
È quanto emerge evidentemente proprio dalla previsione dell’art. 21 sexies legge 1990 n. 241. Questa norma, come visto, disciplina il recesso unilaterale dal contratto della pubblica amministrazione, subordinandolo al principio di legalità o all’esplicita previsione pattizia. Qui, il motore dell’azione amministrativa non è l’autoritatività che connota il potere del soggetto pubblico, poiché ci si trova al cospetto di una facoltà collegata alla posizione contrattuale, la quale, per definizione, si regge su un rapporto di natura paritetica ed ha come confine quello tracciato dall’ordinamento in tema di autonomia privata.
Nell’ambito dell’attività negoziale dell’amministrazione pubblica, dunque, l’autotutela assume un carattere poliedrico, poiché può avere natura autoritativa o contrattuale, oltre che differenziarsi per presupposti, strumenti e conseguenze177; ciò che talora espone il vincolo negoziale all’incertezza derivante dalla possibile sovrapposizione del regime pubblicistico a quello privatistico nella definizione del modello di azione della pubblica amministrazione. In taluni casi la pubblica amministrazione potrebbe invocare il generale potere di revoca per sopravvenute ragioni di interesse pubblico in virtù di alcuni tratti di specialità che le sono ancora riconosciuti; per i contratti di lavori pubblici, invece, grazie ad una previsione del codice dei contratti, ha un diritto potestativo di recesso ad nutum da potere esercitare se decide di sciogliersi dal vincolo contrattuale.
Per la più recente giurisprudenza, come anticipato, i due regimi non sono intercambiabili, poiché la specialità della regolamentazione codicistica
177 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 84. Cfr. X. XXXXXXXXX, Il recesso, cit., p. 925 il quale con particolare chiarezza afferma che gli istituti di diritto pubblico “a differenza del recesso dai contratti, consentono alla pubblica amministrazione di incidere unilateralmente (non sul negozio, ma) sulla cessazione degli effetti del negozio, in ragione di vicende relative non ad alterazioni della causa negoziale, ma della causa del potere di scelta del contraente e di conclusione del contratto (quest’ultima evidentemente espressiva della cura degl’interessi non di una delle parti contraenti, ma dell’interesse superindividuale della collettività, di cui l’amministrazione è attributaria)”.
impone all’amministrazione che ha stipulato il contratto con l’appaltatore di opere pubbliche di sciogliersi dal vincolo negoziale solo con un atto privatistico di recesso e non con un provvedimento autoritativo.
L’affermazione della specialità del regime non permette, tuttavia, di risolvere tutte le ambiguità che presentano la natura e le modalità di esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del potere di autotutela per ragioni di opportunità sopravvenute rispetto ad un contratto di appalto in corso di esecuzione. Trova così conferma l’idea che il regime dei contratti della pubblica amministrazione si colloca per definizione su di un piano normativo, o se si vuole sistematico, che genera di per sé ambiguità così come accade in corrispondenza di tutte quelle disposizioni che, come l’art. 21 sexies, tendono a sottoporre a regime privatistico l’azione dei pubblici poteri al fine di consentire all’amministrazione di agire come i privati178.
178 X. XXXX, Autonomia privata ed applicazione delle norme civilistiche ai contratti pubblici, in Il diritto privato della pubblica amministrazione, a cura di X. XXXXXXXXX E X. XXXXXXX, Padova, 2006, p. 78, il quale fa riferimento alle disposizioni che “nate per semplificare l'azione amministrativa, per coordinare in modo sistematico gli atti della p.a., per “liberalizzare” le modalità di esercizio della funzione pubblica consentendo alla p.a. di agire “come agiscono i privati” (...) prestano il fianco ad una pluralità di interpretazioni che creano incertezza proprio in quei rapporti che vorrebbero liberare dal giogo dei procedimenti burocratizzati”.
CAPITOLO 3
CATEGORIE CONTRATTUALI E CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA: LA QUALIFICAZIONE DELLA PATOLOGIA DEL CONTRATTO A SEGUITO DI ANNULLAMENTO DELL’AGGIUDICAZIONE
SOMMARIO: 1. Inquadramento del problema della “sorte del contratto”; 1.1. Tesi dell’annullabilità del contratto; 1.2. Tesi della caducazione automatica del contratto; 1.3. Tesi dell’inefficacia sopravvenuta del contratto; 1.4. Tesi della nullità del contratto; 2. L’attuale assetto normativo: l’inefficacia di cui agli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo; 3. I poteri del giudice e le sanzioni alternative. Il controllo giurisdizionale sull’autonomia negoziale nei contratti ad evidenza pubblica; 4. La natura dell’inefficacia: dalla caducazione automatica del contratto ad un’ipotesi di nullità speciale.
1. INQUADRAMENTO DEL PROBLEMA DELLA “SORTE DEL CONTRATTO”.
L’area grigia su cui si muove la disciplina dei contratti ad evidenza pubblica rappresenta, come visto, un’angolazione prospettica particolarmente feconda per l’analisi dell’evoluzione dei rapporti tra pubblico e privato, soprattutto alla luce delle principali linee direttive in materia contrattuale provenienti dall’Europa.
Il tentativo di “privatizzare” la pubblica amministrazione, più volte intrapreso da dottrina e giurisprudenza con l’avallo del legislatore (si pensi a quanto detto a proposito dell’art. 21 sexies, l. n. 241 del 1990), porta con sé la necessità di mettere ancora più a fuoco, sul piano oggettivo, i rapporti tra fase pubblicistica e privatistica onde poterne ricavare un quadro più chiaro circa la posizione che le parti assumono nella vicenda contrattuale.
Il dovere per la pubblica amministrazione di tendere alla migliore cura degli interessi pubblici, come si è avuto modo di osservare in più occasioni,
si traduce nell’inesauribilità e nella relativa irrinunciabilità del potere amministrativo anche oltre la stipula del contratto, al fine di poter garantire la costante corrispondenza della sua azione agli obiettivi stabiliti dalle leggi: l’amministrazione, infatti, può riesaminare, annullare e rettificare gli atti mediante provvedimenti di secondo grado così come può anche accadere che gli atti della serie pubblicistica ed in particolare l’aggiudicazione (definitiva) vengano travolti a seguito di un giudizio.
Si è vista la gamma di problematiche che solleva l’esercizio del potere di revoca post stipula ed i suoi rapporti con il diverso (ma contiguo) istituto delrecesso: converrà analizzare, adesso, i riflessi che ha sul vincolo negoziale l’annullamento (d’ufficio o giurisdizionale) del provvedimento di aggiudicazione179.
179 Sull’annullamento d’ufficio, ex multis: Xxxx. Xx., XX, 00 luglio 2002, n. 3997 secondo cui: “è fuor di dubbio la sussistenza, in astratto, del potere di annullamento d’ufficio in autotutela dell’aggiudicazione, pur se in epoca successiva alla stipulazione del contratto di appalto con l’aggiudicatario e quando siano in corso i lavori da parte di questo”; Cons. St., V, 18 ottobre 2001, n. 5516: “in materia di contratti di evidenza pubblica, del resto, che il provvedimento di aggiudicazione sia suscettibile di revisione costituisce pacifico principio generale, il quale trova fondamento nel principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa che impegna l’amministrazione ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire e autorizza, quindi, anche il riesame di atti già adottati, ancorché con l’obbligo di dare esplicita e puntuale motivazione del potere esercitato”; da ultimo T.A.R. Roma, (Lazio), sez. II, 21/07/2016, n. 8380 secondo cui “sussiste in capo all’amministrazione appaltante il potere di disporre l’annullamento d’ufficio in autotutela dell’affidamento di una gara, pure se in epoca successiva alla stipulazione del contratto di appalto con l’aggiudicatario, e persino quando siano in corso i lavori. Né costituisce di per sé un ostacolo all’esercizio del generale potere di riesame in un momento successivo alla conclusione del procedimento la presenza, nel procedimento di aggiudicazione degli appalti pubblici, di strumenti tipici di verifica immediata dell’attività compiuta dall’amministrazione (come, ad esempio, la verifica dei requisiti effettuata ai sensi dell’art. 11, d.lgs. n. 163 del 2006 oppure l’approvazione degli atti di gara e/o l’eventuale controllo)”.
Occorre, altresì, precisare che il ragionamento sulle conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto medio tempore stipulato riguarda al contempo sia l’annullamento giurisdizionale che quello in autotutela. In realtà in giurisprudenza non sono mancate delle letture restrittive secondo cui in caso di annullamento d’ufficio, l’art. 133 del c.p.a. non opererebbe, essendo all’uopo necessario esperire un’azione specifica tesa all’inefficacia del contratto innanzi al giudice ordinario. La norma di cui al citato art. 133 sarebbe, infatti, secondo tale interpretazione, norma strettamente connessa con il dettato normativo di cui agli artt. 121 e 122 secondo cui è conferito al giudice amministrativo il
Si pone, cioè, la questione relativa alla qualificazione della patologia che investe il contratto a valle, allorquando il provvedimento amministrativo prodromico alla stipula venga annullato poiché illegittimo.
Ci si riferisce, in sostanza, al tema della c.d. sorte del contratto, tema che, pur non essendo nuovo alle pagine della dottrina e della giurisprudenza, si connota oggi di particolari valenze sistematiche anche alla luce dei più recenti approdi legislativi ed interpretativi e che comporta un’indubbia portata sulle dinamiche del mercato attesa la necessità di garantire che i contratti pubblici non rimangano preda di un’incertezza che ne insidierebbe l’appetibilità nel mercato180.
potere di dichiarare l’inefficacia unicamente come conseguenza dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione (cfr. T.A.R. Toscana, 27 gennaio 2011 n. 154). Secondo l’impostazione preferibile, tuttavia, “anche a non voler condividere la tesi dell’effetto immediatamente caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto successivamente stipulato, così che l’inefficacia conseguirebbe solo all’esito di una specifica decisione dell’organo giurisdizionale competente, deve osservarsi che i ricordati articoli 121 e 122 attribuiscono esclusivamente al giudice amministrativo tali poteri di decisione (e valutazione) dell’efficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione; né può ammettersi una (peraltro) irragionevole diversificazione della disciplina in esame, con la reviviscenza del potere del giudice ordinario sulla sorte del contratto, allorquando l’annullamento dell’aggiudicazione (o degli atti ad essa presupposti) sia effetto dell’esercizio del potere di autotutela” (così Cons. St., n. 5032/2011. Nello stesso senso v. anche Xxxx. S.U. ord. n. 14260/2012).
180 La letteratura al riguardo è davvero imponente. Tra i contributi relativamente più recenti e significativi si vedano, senza pretesa di completezza: X. XXXXXX, Annullamento dell’atto amministrativo e caducazione del contratto, in Foro amm.-TAR, 2004, 3, p. 569; F.G. XXXXX, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, in Foro amm.-TAR, 2007, 5, p. 797 ss.; X. XXXXX, La direttiva 2007/66/CE: illegittimità comunitaria, sorte del contratto ed effetti collaterali indotti, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, 1029 ss.; ID., Illegittimo affidamento dell’appalto, sorte del contratto e sanzioni alternative nel d.lgs. 53/2010, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 7/2010, § 3 ss., e in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2010, 731 ss.; X. XXXXX, Annullamento dell’aggiudicazione: la fine di un problema, in Dir. amm., 2009, p. 123 ss.; X. XXXXXXX, La sorte del contratto dopo l’annullamento dell’aggiudicazione: poteri del giudice e domanda di parte, in Riv. trim. app., n. 4/2010, 977 ss.; X. XXXXXXX XXXXXXX, La “caducazione” del contratto per annullamento dell’aggiudicazione alla luce del codice degli appalti, in Foro amm.-TAR, 2006, 719 ss.; ID., Annullamento dell’aggiudicazione e inefficacia funzionale del contratto, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 3/2011, e in Dir. proc. amm., 2011, 240 ss.; I. XXXXXX, Giurisdizione sulle controversie in materia di contratti pubblici: incidenza della direttiva ricorsi e del decreto di recepimento, in Urb. app., 2010, 1391 ss.; X. XXXXXX, Annullamento dell’aggiudicazione ed effetti del contratto: la parola al diritto comunitario, in
Da un punto di vista di teoria generale si può subito sostenere che il contratto non può che reagire alla violazione delle norme di diritto pubblico che regolano il procedimento prodromico alla stipula, attraverso la traduzione secondo qualificazioni privatistiche degli atti che intervengono nella sfera pubblicistica: se, dunque, sul piano delle conseguenze patologiche va rilevato che l’annullamento dell’aggiudicazione fa venir meno il vincolo negoziale, bisogna poi verificare attraverso quali meccanismi giuridici ciò avvenga e in che misura gli istituti di riferimento siano influenzati dalla evoluzione dell’interesse pubblico e della causa del potere181.
In mancanza di una espressa regolamentazione normativa dei rapporti tra provvedimento e contratto resta, dunque, il problema di verificare quale sia l’incidenza della violazione dell’interesse pubblico sul regolamento contrattuale.
Le questioni, in realtà, sono due: la prima, di ordine sostanziale, avente ad oggetto la qualificazione della patologia contrattuale a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione; la seconda, di carattere processuale, riguardante il giudice competente.
xxx.xxxxxxxx.xx., n. 4/2008; ID., L’annullamento dell’aggiudicazione e gli effetti sul contratto: poteri del giudice, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 11/2010; R. DE NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx, n. 7/2010; X. XXXXXXXXXXX, Sorte del contratto, cit., p. 664 ss.; X. XXXXXXXX, Il rito speciale sugli appalti e la sorte del contratto: un giudizio a geometria variabile e a oggetto necessario nel contesto della concorrenza, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 4 /2008; X. XXXXXXX, Appunti sulla tutela processuale e sui poteri del giudice nel decreto legislativo n. 53 del 2010, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 6/2010; F. XXXXXXXX, In difesa del processo di parti (Note a prima lettura del parere del Consiglio di Stato sul “nuovo” processo amministrativo sui contratti pubblici), in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 3/2010; ID., Le innovazioni del processo amministrativo sui contratti pubblici (ancora in difesa del processo di parti), in Dir. proc. amm., n. 1/2012, 3 ss.; X. XXXXXX, Aggiudicazione illegittima e inefficacia del contratto: la questione è davvero risolta?, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxx, Napoli, 2011, vol. II, 1529 ss.; X. XXXXXXXXX, Vizi del procedimento e invalidità o inefficacia del contratto, in Dir. proc. amm., 3/2004.
181 Cfr. X. XXXXXXXXX, Vizi del procedimento di evidenza pubblica e regime dei contratti della pubblica amministrazione, in Foro Amm.- Consiglio di Stato, 2003, p. 3320.
In realtà, entrambe sono state oggi per lo più risolte dal d.lgs. 53/2010 e poi dal Codice del Processo Amministrativo (d.lgs. 104/2010): giurisdizione esclusiva dal punto di vista processuale, mentre sul piano sostanziale è stata prevista la dichiarazione di inefficacia del contratto182.
Prima di entrare nel merito della nuova disciplina e dei suoi risvolti interpretativi occorre considerare che, nel tempo e ancor prima dell’attuale quadro normativo, diverse sono state le tesi che si sono succedute nel tentativo di qualificare in modo sistematico il complesso fenomeno contrattuale in analisi.
1.1. TESI DELL’ANNULLABILITÀ DEL CONTRATTO.
Un primo orientamento riconnetteva all’annullamento dell’aggiudicazione l’annullabilità del contratto a valle, con la conseguenza di attribuire al giudice ordinario il potere di verificarne la validità al fine di tutelare posizioni di diritto soggettivo.
In giurisprudenza183, sia ordinaria sia amministrativa, era predominante l’opinione che i vizi del procedimento di ricerca del contraente privato dessero luogo ad una situazione patologica riconducibile alla categoria dell’annullabilità; di un’invalidità, cioè, inerente alla struttura intrinseca della
182 Al riguardo si vedano, tra le altre, in giurisprudenza: T.a.r. Toscana, sez. I, n. 6579/2010, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; Cons. St., sez. III, n. 6838/2011, xxx, che parla di “accertamento costitutivo dell inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione”; nonché Cons. St., sez. III, 11 marzo 2011, n. 1570, in Guida dir., 2011, n. 16, 74, con nota di X. XXXXX. X. XXXXXX, Interesse pubblico, contratti delle pubbliche amministrazioni e tutela giurisdizionale: la prospettiva comunitaria (e quella interna, dopo il recepimento della direttiva ricorsi ed il Codice del processo amministrativo), in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxx, Napoli, 2011, vol. III, 1765 ss., spec.1831-32. Considerazioni su sorte del contratto di appalto pubblico Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 1/2012.
183 Fra le altre, Cass. Civ., 10 aprile 1978, n. 1668, in Foro it., 1978, I, 2814; Cass. Civ.,
24 maggio 1979, n. 2996.
fattispecie contrattuale ma, in quanto comminata a tutela degli interessi di una sola delle parti, rilevabile soltanto se ed in quanto invocata da quella stessa parte184.
Secondo tale tesi, quindi, poiché la disciplina sugli appalti pubblici era posta all’interno delle norme sulla contabilità di Stato ne derivava che la stessa fosse diretta esclusivamente alla tutela dell’interesse della pubblica amministrazione, ciò che avrebbe comportato la deducibilità dell’annullabilità, in via di azione o di eccezione, da parte della sola amministrazione ex art. 1441 c.c.: secondo tale impostazione, si tratterebbe, in definitiva, di violazione di norme poste a tutela dell’interesse pubblico a che sia scelto il miglior offerente.
Altri, pur propendendo per la tesi dell’annullabilità, hanno optato per una diversa declinazione del vizio.
Secondo una prima impostazione, l’invalidità nel caso di specie sarebbe riconducibile ad un vizio del consenso ex artt. 1427 e 1429 n. 3 c.c. della pubblica amministrazione, incorsa in un errore essenziale e riconoscibile circa la qualità di legittimo aggiudicatario della controparte privata185.
Per una seconda, invece, l’invalidità atterrebbe ad una sopravvenuta carenza di legittimazione negoziale della pubblica amministrazione, intesa quale capacità di contrattare ex art. 1425 c.c., essendo gli atti della procedura di evidenza pubblica (deliberazione a contrarre, bando, aggiudicazione) mezzi d’integrazione della capacità e della volontà della stazione appaltante186.
184 Cfr. L. V. XXXXXXXXX, Vizi del procedimento e invalidità, cit., 3, p. 600.
185 X. XXXXXXXXX, Illegittimità del procedimento ad evidenza pubblica e nullità del contratto d’appalto ex art. 1418,comma 1 c.c.: una radicale “svolta” della giurisprudenza tra luci ed ombre, in Foro Amm. TAR, 2002, 2591. In giurisprudenza segue questa tesi anche Xxxx. St., Sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465, in Giust. civ., 2005, I, 2205.
186 v. M.S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, 2ª ed., Milano, 1988, p. 846.
Altra tesi, rimasta per la verità isolata, ritiene che l’illegittimità degli atti del procedimento di evidenza pubblica comporterebbe un difetto di potere rappresentativo in capo alla stazione appaltante riconducibile alla disciplina del falsus procurator ex art. 1398 cc.187.
Tale ricostruzione dottrinaria, nelle sue diverse articolazioni, è stata destinataria di numerose critiche188.
Secondo alcuni, infatti, questa tesi è oltremodo svantaggiosa per l’impresa che originariamente si è aggiudicata l’appalto la quale, per poter ottenere una tutela effettiva, dovrebbe auspicarsi che la pubblica amministrazione esperisca un’azione di annullamento del contratto189.
La predetta teoria, inoltre, sarebbe frutto di una concezione verticistica della pubblica amministrazione ormai superata anche in ragione dell’evoluzione della normativa sugli appalti pubblici sotto la costante spinta del diritto europeo, portatore di un interesse legato al valore imperativo della libera concorrenza e del mercato190: non si assiste più, infatti, ad una
187 A. M. XXXXXXXX, Deliberazione di negoziare e negozio di diritto privato della P.A., in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, p. 1 ss.
188 In dottrina, ex multis, v. X. XXXXXXXXXX, Annullamento della procedura di evidenza a monte e sorte del contratto a valle: patologia o inefficacia, in Corr. giur., 2004, pp. 670- 671; X. XXXXXXX, Illegittimità della procedura di evidenza pubblica e sorte del contratto privatistico medio tempore stipulato, in Giur. It., 2006, I, 415; v. in particolare L.V. MOSCARINI, Profili civilistici, cit., secondo cui “siffatta soluzione contrastava con le considerazioni suggerite dalla logica civilistica elementare, secondo la quale il contratto affetto da un vizio intrinseco alla sua struttura può essere nullo o soltanto annullabile, ma di queste due opzioni la regola è rappresentata dalla nullità, come tale invocabile da chiunque e in qualunque tempo, rispetto alla quale i casi di annullabilità, ristretti alle ipotesi di incapacità di agire (legale o naturale) di una delle parti, di vizi della volontà e di conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato, sono invocabili solo dalla parte incisa dalla incapacità, o dalla viziata formazione della sua scelta volitiva, o dal conflitto di interessi: ipotesi che costituivano tendenzialmente un’eccezione, soggetta ad un criterio di tassatività, ossia limitata ai soli casi espressamente assoggettati a tale trattamento”.
189 Al fine di ovviare alla carenza di tutela del soggetto illegittimamente escluso dalla gara, alcune pronunce (tra le quali, v. TAR Piemonte, 30 gennaio 2007, n. 464, in Foro amm. TAR, 2007, 14) hanno prospettato la tesi dell’annullabilità “assoluta” del contratto, per cui la titolarità della relativa azione andrebbe estesa anche al soggetto che ha interesse all’aggiudicazione dell’appalto.
190 Cfr. la già richiamata Corte cost., 23 novembre 2007, n. 401.
posizione di privilegio della pubblica amministrazione, i cui interessi sono mediati con quelli del privato a partecipare alla gara pubblica in condizioni di par condicio.
La nuova concezione dell’evidenza pubblica, infatti, mette in campo un rapporto complesso in cui la pubblica amministrazione aggiudicatrice è soggetta all’osservanza di regole che mirano da un lato all’efficienza e al buon andamento della propria azione attraverso la scelta del miglior contraente unitamente al maggior risparmio, dall’altro (e potremmo dire principalmente) a garantire la libertà di competizione delle singole imprese poste in situazione di par condicio all’interno di una procedura trasparente. E per tali ragioni è stato ritenuto riduttivo qualificare sul piano civilistico la procedura di gara come manifestazione complessa della volontà negoziale della parte pubblica, sì da dar luogo ad un contratto annullabile su iniziativa della sola pubblica amministrazione191.
I sostenitori di questa impostazione, invece, ritenevano tale soluzione la più idonea a garantire la certezza dei rapporti giuridici atteso che, laddove si fosse concepita la fattispecie in esame come ascrivibile ad un’ipotesi di nullità assoluta si avrebbe avuto l’inconveniente di porre a disposizione di qualunque terzo ed in qualunque tempo la sorte del rapporto contrattuale, con evidenti ripercussioni negative sul sistema dei traffici economici.
1.2. TESI DELLA CADUCAZIONE AUTOMATICA DEL CONTRATTO.
Secondo tale teoria, l’annullamento dell’aggiudicazione travolge il contratto poiché il primo costituisce un presupposto del secondo, senza che
191 Per tali considerazioni, v. Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, in Urb. e app., 2003, 999, con nota di Xxxxxxxxx, I rapporti tra evidenza pubblica e contratto di appalto.
ciò conduca alla necessità di una pronuncia costitutiva sulla sorte del contratto: in questo caso, in sostanza, troverebbe applicazione il principio generale del collegamento necessario fra negozi giuridici192.
A tal proposito, in giurisprudenza si è affermato che “non osta al meccanismo dell’efficacia caducante la circostanza che il rapporto di presupposizione riguardi una fattispecie mista di collegamento tra provvedimento amministrativo e contratto di diritto privato piuttosto che l’ipotesi paradigmatica di correlazione tra atti amministrativi”193.
L’annullamento dell’aggiudicazione, pertanto, farebbe venir meno uno dei presupposti di efficacia del contratto, privandolo della capacità di produrre effetti giuridici: il contratto, in questo modo, perde la sua autonomia strutturale e funzionale, vincolando la sua sorte all’annullamento dell’aggiudicazione. In altri termini, così inteso, il contratto di appalto non costituisce più la fonte dei diritti e obblighi tra le parti, ma assume
192 Cfr. L.V. XXXXXXXXX, in Profili civilistici, cit., p. 205 laddove l’A. sostiene che “quest’ultima soluzione sembrava allo scrivente, pur con il più profondo rispetto delle idee del suo Maestro, da condividere per le ipotesi di vizi procedimentali afferenti alla fase di approvazione del contratto, nelle quali la mancanza del provvedimento autoritativo di approvazione, o la sua illegittimità e il suo conseguente annullamento, potevano appunto rendere inefficace il contratto”. V. anche X. XXXXXXXXX, Vizi del procedimento di evidenza pubblica e regime dei contratti della pubblica amministrazione (nota a sent. Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2003 n.6666) in Foro Amm. – C.d.S. (Il), fasc. 1, 2003, pag. 3320. Sul collegamento negoziale x. xx xxxxxx Xxxx. X.X. x. 00000/00 secondo cui il collegamento si realizza attraverso la creazione di un vincolo tra contratti che, nel rispetto della causa e dell’individualità di ciascuno li indirizza al perseguimento di una funzione unitaria che trascende da quella dei singoli contratti e investe la fattispecie negoziale nel suo complesso. La fonte nel collegamento volontario è costituita dall’autonomia contrattuale delle parti e l’esistenza del collegamento va verificata non solo sulla base dei dati di natura soggettiva, bensì anche mediante ricorso a indici oggettivi.
193 Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 5 maggio 2003, n. 2332 secondo cui, inoltre, “La violazione delle norme attinenti alla fase di scelta dei contraenti nei procedimenti di formazione di contratti ad evidenza pubblica, con conseguente annullamento della procedura di gara, determina la caducazione del contratto di appalto, per sopravvenuta carenza retroattiva di un presupposto pubblicistico di efficacia, e non già la sua annullabilità. Il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 6, comma 1, l. n. 205 del 2000, è competente ad accertare tale caducazione, con pronuncia idonea a divenire cosa giudicata, trattandosi di effetti automaticamente prodottisi sul contratto, in seguito all'annullamento della procedura amministrativa”.
unicamente valore di mero atto formale e riproduttivo dell’accordo già concluso tra le parti e destinato a subire gli effetti del vizio che inficia il provvedimento cui è inscindibilmente collegato così restando automaticamente ed immediatamente caducato, senza necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto o di atti di ritiro della pubblica amministrazione: l’autorità giudiziaria dovrebbe semplicemente prendere atto della sopravvenienza caratterizzata dalla sentenza di annullamento e dichiarare il contratto inefficace.
In questa prospettiva, si riteneva che il contratto, non coinvolto direttamente dal giudizio di validità imposto dalle norme di tutela di interesse pubblico (poste, dunque, a presidio dell’evidenza pubblica), poteva ritenersi valido ma inefficace, realizzando quella che in dottrina si definisce inefficacia in senso stretto. Tale tipologia di inefficacia, come si vedrà meglio in seguito, presuppone che gli effetti del contratto vengano meno a causa dell’incidenza di un fattore esterno in grado di privare il regolamento contrattuale della sua idoneità a realizzare quanto programmato dalle parti194.
A sostegno di questa tesi sono state addotte varie argomentazioni.
Parte della dottrina ha sostenuto che l’art. 246, comma 4, d.lgs. 163/2006, nella parte in cui affermava che “la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”, sembrava che avesse voluto prevedere un’eccezione a quella che secondo i sostenitori della tesi parrebbe essere una regola generale consistente nella caducazione automatica195.
194 X. XXXXXXXX, Categorie contrattuali, cit., p. 4.
195 X. XXXXXXXX, La figura legislativa della caducazione del contratto, in Urb. app., 2008,
p. 1032 esclude espressamente la caducazione del contratto quale conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione limitatamente agli appalti relativi alle infrastrutture strategiche, ammettendo in tali casi che il risarcimento del danno avvenga solo per equivalente. Dal carattere eccezionale di tale norma, dettata unicamente per gli appalti di grandi opere, la giurisprudenza amministrativa ricava a contrario che la caducazione
La stessa giurisprudenza civile, in diverse occasioni, ha dimostrato di accogliere favorevolmente questa tesi, ritenendo che la caducazione ex tunc degli atti attraverso i quali il contraente pubblico forma la propria volontà contrattuale, priva il contraente stesso della legittimazione a negoziare196.
Altra parte della dottrina, tuttavia, ha posto l’accento su uno dei limiti di operatività della tesi in questione che risiede, in particolare, nell’ambito applicativo dell’art. 16 comma 4 r.d. n. 2440 del 1923, in quanto, così facendo, vi rimarrebbero estranee tutte quelle ipotesi in cui per volontà della stazione appaltante, o per il concorso di altre norme, non vi sia coincidenza tra provvedimento di aggiudicazione e contratto, venendo in concreto rinviata la genesi del rapporto negoziale alla formale stipulazione dell’appalto197.
Altre critiche, poi, hanno fatto notare come la tesi in questione non faccia altro che descrivere un accadimento che consiste nel travolgimento di un atto
automatica del contratto debba considerarsi la regola valevole per tutti gli appalti ordinari, configurando la stessa quale “nuovo istituto descrivente una situazione di inefficacia successiva del contratto, discendente ipso iure da un fatto posteriore alla sua conclusione”. Anche in dottrina vi è chi aderisce a detta impostazione, ritenendo che il legislatore, sia pur con tecnica discutibile, ha inteso introdurre una nuova categoria, quella appunto del contratto caducabile, stipulato in forza di un’aggiudicazione illegittima, i cui effetti sarebbero dotati di una stabilità relativa, essendo destinati a venire retroattivamente meno, ove la loro fonte venga travolta a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, potendo viceversa consolidarsi a partire dal momento in cui l’aggiudicazione diventi appalto. Ne consegue la necessità di un’attenta revisione della tesi della caducazione automatica del contratto, onde verificare se i fondamenti su cui poggia non risultino ormai privi di attualità. Un’operazione simile sembra essere stata compiuta da alcune recenti pronunce, le quali hanno fondato la tesi della caducazione automatica su un’interpretazione a contrario dell’art. 246 comma 4 d.lgs. n. 163 del 2006.
196 Cass. Civ., SS.UU., 28 novembre 2007, n. 24658; Cass. Civ., I, 15 aprile 2008, n. 9906; Cass. Civ., I, 26 maggio 2006, n. 12629 e soprattutto Xxxx. Civ., SS.UU., 28 dicembre 2007, n. 27169, che ha ritenuto compatibile la tesi della caducazione automatica con la giurisdizione del giudice ordinario.
197 X. XXXX, La Cassazione torna sul tema della sorte del contratto di appalto per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione: la teoria della caducazione automatica e la tutela del contraente “illegittimo”, in Riv. trim. app., 2007, p. 233.