TITOLO
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IL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI
Indice
INTRODUZIONE pag. 4
CAPITOLO I: Il licenziamento: dalla libera recedibilità allo Statuto dei lavoratori
1.1 La libera recedibilità dal contratto di lavoro a tempo indeterminato………………………………………………pag. 6
1.2 La legge n. 604/1966 (tramonto del principio della libertà incondizionata di licenziamento)…………………………..pag. 10
1.3 La legge n. 300/1970 (il regime ordinario della tutela reale)……………………………………………………….pag. 12
1.4 La legge n. 108/1990 (estensione della tutela reale)……..pag. 17
1.5 Tipologie di vizio del licenziamento individuale e loro conseguenze……………………………………………….pag. 20
1.5.1 La nullità del licenziamento ( licenziamento discriminatorio e per causa di matrimonio)………………………………pag. 20
1.5.2 L’inefficacia del licenziamento (licenziamento privo di forma scritta ed omessa comunicazione dei motivi)…………pag. 28
1.5.3 L’illegittimità del licenziamento (giusta causa e giustificato motivo, soggettivo ed oggettivo)………………………pag. 34
1.6 L’apparato sanzionatorio del licenziamento e il regime della prescrizione dei crediti di lavoro…………………………pag. 44
CAPITOLO II: La legge Fornero
2.1 La legge n. 92/2012: quadro generale del nuovo sistema di tutele… pag. 47
2.2 A proposito delle diverse fattispecie di licenziamento illecito………………………………………………………….pag. 49
2.3 Sui nuovi requisiti formali e procedurali introdotti dalla L. n. 92/2012………………………………………………………..pag. 52
2.4 La tutela reale “forte”…………………………………….pag. 53
2.5 La tutela reale “attenuata”………………………………..pag. 62
2.6 La tutela obbligatoria “forte”…………………………….pag. 75
2.7 La tutela obbligatoria “debole”…………………………..pag. 78
2.8 La prescrizione dei crediti di lavoro dopo la L. n. 92/2012……………………………………………………….pag. 84
2.9 La decadenza dall’impugnazione del licenziamento…….pag. 87
CAPITOLO III: Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: il D.lgs. n. 23/2015
3.1 La legge n. 183/2014: finalità…………………………….pag. 91
3.2 Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 : profili generali………………………………………………………..pag. 95
3.3 L’ambito di applicazione del D.lgs. n. 23/2015…………pag. 98
3.4 Il licenziamento discriminatorio, nullo ed intimato in forma orale a seguito del D.lgs. n. 23/2015………………………………….pag. 105
3.5 I licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo nel D.lgs. n. 23/2015 pag. 112
3.6 I vizi formali e procedurali nel D.lgs. n. 23/2015……...pag. 121
3.7 La nuova offerta di conciliazione prevista dal D.lgs. n. 23/2015………………………………………………………pag. 127
3.8 La prescrizione dei crediti di lavoro a seguito del D.lgs. n. 23/2015………………………………………………………pag. 133
3.9 Profili di illegittimità costituzionale del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti……………………………..pag. 136
BIBLIOGRAFIA……………………………………………pag. 141
INTRODUZIONE
La disciplina dell’estinzione del rapporto di lavoro, in particolare quella attinente il licenziamento del lavoratore, ha fatto registrare una dinamica evolutiva, che l’ha portata a distaccarsi, in modo progressivo, dal regime disposto dal codice civile, incentrato, per entrambe le parti del rapporto di lavoro, sul principio, di stampo liberale, della libertà di recesso dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Un principio basato sulla necessaria temporaneità delle prestazioni di durata, comportanti un’interazione personale tra le due parti. A seguito di un monito della Corte Costituzionale1, il legislatore introdusse la tutela c.d. “obbligatoria” (L. n. 604/1966) e, quattro anni più tardi, la tutela c.d. “reale” (art. 18 e 35, L. n. 300/1970) contro i licenziamenti individuali, pur mantenendo, tuttavia, un’area residuale di recedibilità ad nutum del datore di lavoro (art. 2118 c.c.). L’introduzione del principio di “giustificazione” del licenziamento individuale, si ritenne, che avesse attuato quelle “doverose garanzie” e quegli “opportuni temperamenti”
1 La Corte Costituzionale fu chiamata a giudicare sulla compatibilità della recedibilità ad nutum con la garanzia costituzionale del diritto al lavoro (art. 4 Cost.). La pronuncia della Corte (n. 45/1965) fu di rigetto, in quanto “l’articolo 4 Cost. , come non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di una occupazione, così non garantisce il diritto alla conservazione del lavoro, che nel primo dovrebbe trovare il suo logico necessario presupposto”. Questa motivazione, comunque portava un monito al legislatore, in quanto “la garanzia costituzionale (art. 4) del “diritto al lavoro”esige che il legislatore, nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale, adegui, sulla base delle valutazioni di sua competenza, la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, al fine ultimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro, e circondi di doverose garanzie- particolarmente per quanto riguarda i principi fondamentali di libertà sindacale, politica e religiosa, immediatamente immessi nell’ordinamento giuridico con efficacia erga omnes, e dei quali, perciò, i pubblici poteri devono tenere conto anche nell’interpretazione ed applicazione del diritto vigente- e di opportuni temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti”.
fatti propri dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 45 del 19652. Con la L. n. 108/1990 si portò a compimento una generalizzazione della giustificazione del licenziamento individuale. L’intensificazione della tutela contro i licenziamenti subisce un “brusco cammino a ritroso”3 con la riforma della tutela reale ad opera della L. n. 92/2012; da un lato, la tutela reale non solo è rimasta immutata per i licenziamenti discriminatori, ma risulta anche estesa ad altri licenziamenti nulli; dall’altro lato, invece, per gli altri “licenziamenti illegittimi”, questa forma di tutela è stata ridimensionata. Questo ridimensionamento risulta, da ultimo, confermato ed intensificato dalla disciplina in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, di cui al D.lgs. 4 marzo 2015, n. 23. Questo decreto, attuativo della legge-delega n. 183/2014, pur essendo intitolato “Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”, non regolamenta, come può far pensare, una nuova e distinta tipologia contrattuale dotata di particolari e “crescenti tutele”, ma si limita, con riguardo a quei lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, a modificare in senso peggiorativo la precedente disciplina del licenziamento relativo al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di cui all’art. 2094 c.c.4 .
2 In proposito si v. X. Xxxxxxx, Commento dell’art. 4 Cost. , in Commentario della Costituzione, (a cura di) X. Xxxxxx, Bologna-Roma, 1975, p. 232
3 X. Xx Xxxx, Riforma della tutela reale contro i licenziamenti al tempo delle larghe intese: riflessioni su un compromesso necessario, in Riv. it. dir. lav. , I, 2013, 1ss
4 Si è parlato, in proposito, di una disciplina che “compie un nuovo giro di boa”. Si v. X. Xxxxxxx, La qualificazione del “fatto” nell’interpretazione di dottrina e giurisprudenza sullo sfondo del “dialogo” aperto dal legislatore delegato, in Contratto a tutele crescenti e Xxxxx. Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, (a cura di) X. Xxxxxxxx- X. Xxxxxxx, Torino, 2015, p. 169 ss
CAPITOLO I
IL LICENZIAMENTO: DALLA LIBERA RECEDIBILITA’ ALLO STATUTO DEI LAVORATORI
1.1. La libera recedibilità dal contratto di lavoro a tempo indeterminato
Il principio della libertà assoluta di recesso e specificatamente di licenziamento rappresentava un classico strumento dello stato liberale. All’epoca, infatti, l’articolo 1628 del codice civile del 1865 stabiliva che nessuno potesse mettersi “ all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa”. Tale principio garantiva una libertà solo illusoria ed una parità tra i contraenti solo formale. Si trattava di una regola che avvantaggiava in modo sproporzionato il datore di lavoro; oltre al vantaggio immediato, per il datore di lavoro, di poter licenziare senza alcuna giustificazione il lavoratore, c’era anche un vantaggio mediato, quello di avere a propria disposizione un lavoratore particolarmente sottomesso (c.d. xxxxxxxxx), per il timore pressante di perdere il proprio posto di lavoro. Successivamente con l’
X.x. x. 0000/00000, xxxxxxxxxxx la regola fissata dall’ articolo 1628 del codice civile del 1865, fu disposta la normale durata indeterminata del contratto di impiego. Il codice civile del 1942 ripresentò, senza
5 L’ articolo 9 del R.d. n. 1825/1924 sanciva che << il contratto di impiego a tempo indeterminato non può essere risolto da nessuna delle due parti senza previa disdetta e senza indennità>>.
particolari variazioni, la precedente disciplina del recesso unilaterale con preavviso (detto ad nutum); il principio, regolato nel codice civile del ’42 all’ articolo 21186, della libertà di recesso per entrambe le parti del contratto, era connesso al bisogno particolare di quel periodo storico, di richiamare, attraverso la regola della temporaneità dei vincoli obbligatori nei rapporti a durata non predeterminata, il divieto del c.d. servaggio, vale a dire il ripristino dei rapporti irresolubili tali da vincolare “ a vita il lavoratore”7. L’assetto normativo proposto dal codice civile del 1942 non cambiò con l’ entrata in vigore della Costituzione, avendo quest’ ultima mostrato il contrasto tra il codice del 1865 ed i nuovi valori introdotti dalla Costituzione stessa, in particolare agli articoli 4 e 41, diretti a riconoscere uguaglianza tra i cittadini ed eliminando gli ostacoli di ordine economico-sociale. Furono compiuti sforzi, da parte della dottrina gius-lavoristica post- costituzionale, diretti a superare il principio della libera recedibilità ad nutum dal rapporto di lavoro. Tali tentativi, tuttavia, non ebbero rilevante fortuna; l’ analisi in chiave costituzionale dell’ articolo 2118
c.c. venne criticata per il significato programmatico della disposizione costituzionale di cui all’ articolo 4 che riconosce il diritto al lavoro, inteso come impegno della Repubblica a garantire tendenzialmente la piena occupazione e di conseguenza la creazione di nuovi posti di lavoro ad esempio attraverso misure di politica industriale. Un passo verso il superamento del principio della recedibilità ad nutum fu compiuto dalla contrattazione sindacale che , con una serie di Accordi
6 L’ articolo 2118 c.c. stabilisce che <<ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando preavviso… >>.
7 X. Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli, 1990, p. 12
interconfederali8, dette risalto alla disparità delle parti propria dello strumento del recesso unilaterale. Attraverso tali accordi la contrattazione collettiva regolò il principio della necessaria giustificazione del licenziamento. E’ solo verso la metà degli anni ’60 che cominciò a manifestarsi un clima in cui veniva percepito come intollerabile il sistema basato su di un’ assoluta libertà di licenziamento tant’è che la questione venne posta alla Corte Costituzionale, sollevando il contrasto tra l’ articolo 2118 c.c. ed i principi contenuti nella Costituzione. In proposito la stessa Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale,con la nota sentenza n. 45 del 26 maggio 1965, ha ritenuto che la disposizione di cui all’ articolo 2118 c.c. non si poneva in contrasto con l’ articolo 4 della Cost. rilevando che tale norma “ come non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di un’occupazione… così non garantisce il diritto alla conservazione del lavoro”. La Corte aveva infatti affermato che “ se è esatto che il diritto al lavoro non può essere configurato come un diritto soggettivo all’ occupazione nei confronti dello Stato o degli imprenditori, ciò non esclude che per i rapporti di lavoro già costituiti si imponga un’ adeguata protezione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro”. Una volta affermato questo principio, la Corte Costituzionale rivolse
8 Un primo Accordo interconfederale, riguardante il settore industriale, fu quello del 7 agosto 1947 sui licenziamenti individuali, il quale ingiungeva di non procedere a licenziamenti ingiustificati ed assegnava ad un collegio arbitrale il potere, in caso contrario, di disporre la continuazione del rapporto. Fece seguito un altro Accordo, quello del 1950, riguardante i licenziamenti collettivi ed esteso erga omnes con d.P.R. n. 1011/1960, il quale sostituì all’ ordine, l’ invito a ripristinare il rapporto, o, in alternativa, a corrispondere al lavoratore una penale risarcitoria rapportata ad un certo numero di mensilità di retribuzione ed alle dimensioni dell’ impresa. L’ ultimo Accordo interconfederale fu quello del 29 aprile 1965, il quale introdusse la previsione che il datore di lavoro poteva licenziare solo in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.
un invito al legislatore ordinario di “adeguare, sulla base delle valutazioni di sua competenza, la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato al fine intimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro” attraverso l’ introduzione di un adeguato sistema di garanzie “particolarmente per quanto riguarda i principi fondamentali di libertà sindacale, politica e religiosa… e dei quali, perciò, i pubblici poteri devono tener conto anche nell’ interpretazione ed applicazione del diritto vigente”, così come “l’approntamento di opportuni temperamenti in casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti”.
1.2 La legge n. 604/1966 (tramonto del principio della libertà incondizionata di licenziamento)
Il passaggio, tracciato dall’ Accordo interconfederale del 1965, dall’ arbitrarietà del licenziamento alla necessaria giustificazione di esso, così come la sollecitazione proveniente dalla Corte Costituzionale attraverso la sentenza n. 45/1965, portarono all’ approvazione della L.
n. 604 del 15 luglio 1966, intitolata “Norme sui licenziamenti individuali”., attraverso la quale “è stato varcato il Rubicone dell’ inviolabilità del potere di recesso datoriale9 “. Attraverso questa legge veniva disposto che, per essere legittimo, il licenziamento dovesse essere sorretto da una giusta causa ( ex art. 2119 c.c. ) o da un giustificato motivo10, oltre al rispetto di alcune regole formali11. La L.
n. 15 luglio 1966, n. 604, sulle orme dell’ Accordo interconfederale del 1965, introduceva nel nostro ordinamento, per la prima volta in modo espresso, il principio della necessaria motivazione dell’ atto di recesso da parte del datore di lavoro ( per giusta causa o giustificato motivo), gravando sul datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo12. La disciplina vincolistica dei licenziamenti di cui alla L. n. 604/1966 presentava, tuttavia, un limite numerico: si estendeva a tutti i datori di lavoro (privati o enti pubblici) che avessero alle proprie dipendenze più di 35
9 X. Xxx Xxxxx, Diritto del lavoro, Milano, 2011, p. 559
10 Art. 1, L. n. 604/1966
11 Ai sensi dell’ articolo 2 della legge n. 604/1966 : “L’ imprenditore deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. Il prestatore può chiedere, entro otto giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso l’ imprenditore deve, nei cinque giorni della richiesta, comunicarli per iscritto… .”
12 Ai sensi dell’ articolo 5 della legge n. 604/1966: “ L’ onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro”.
lavoratori13. Con questo limite numerico il legislatore aveva voluto dare continuità proprio a quegli Accordi del 1950 che, per effetto della L. n. 741/1959 ( c.d. legge Vigorelli), furono recepiti in decreti legislativi14 e divennero applicabili erga omnes sia pur con riferimento al solo settore industriale ed alle aziende con più di 35 dipendenti. Secondo la parte della dottrina più favorevole alla norma in questione15 ( art. 11, L. n. 604/1966) il motivo dell’esclusione delle aziende che occupassero fino a 35 dipendenti risiedeva nel fatto che nelle piccole aziende fosse presente un rapporto reale e concreto di stima e fiducia tra datore di lavoro e lavoratori, cosa che, per circostanze di fatto, non poteva venire a realizzarsi nelle grandi imprese. Per quanto concerne il regime sanzionatorio prospettato dalla
L. n. 604/1966, l’articolo 816 ha introdotto il regime della “ stabilità obbligatoria”, dove viene data facoltà al datore di lavoro, nel caso in cui risulti accertato il difetto di giustificazione, di procedere al ripristino del rapporto ( entro il termine di 3 giorni) o, in mancanza, a corrispondere una penale risarcitoria ( da un minimo di 5 ad un massimo di 12 mensilità) dell’ultima retribuzione.
13 Ai sensi dell’ articolo 11 della L. n. 604/1966: “ Le disposizioni della presente legge non si applicano ai datori di lavoro che occupano fino a 35 dipendenti… “.
14 L’ Accordo interconfederale del 18 ottobre del 1950 sui licenziamenti individuali fu esteso erga omnes con d.P.R. n. 1011/1960; quello del 20 dicembre del 1950 sui licenziamenti collettivi fu esteso con efficacia erga omnes con d.P.R. n. 1019/1960.
15 X. Xxxxx, La dimensione dell’ impresa nel diritto del lavoro, Milano, 1978 p. 52
16 Ai sensi dell’ articolo 8 della L. n. 604/1966: “ Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versando una indennità da un minimo di 5 ad un massimo di 12 mensilità dell’ ultima retribuzione, avuto riguardo alla dimensione dell’ impresa, alla anzianità di servizio del prestatore ed al comportamento delle parti…”.
1.3 La legge n. 300/1970 ( il regime ordinario della tutela reale)
Mentre con la L. n. 604/1966 è stata data vita ad una prima disciplina organica dei licenziamenti individuali, è solo con l’ introduzione dello Statuto dei lavoratori (L. n. 20 maggio 1970, n. 300) , ed in particolare con il suo articolo 1817, che viene a compiersi quel progetto mirato al superamento definitivo del principio della libera recedibilità datoriale. Quest’ultima legge ha rappresentato una svolta radicale, dal momento che non solo ha espressamente disposto l’invalidità del licenziamento ingiustificato (che la L . n. 604/1966 non faceva) ma ha introdotto, anche grazie all’ articolo 18, la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, cioè quella forma di tutela specifica del diritto del lavoratore a riprendere servizio nel posto di lavoro dal quale fosse stato estromesso ingiustamente. In seguito all’ entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori il Mancini18 sottolinea come “la stabilità obbligatoria è solo una forma, un modo d’ essere della libera recedibilità, mentre, dopo lo Statuto, ci troviamo dinanzi a una soluzione legislativa caratterizzata dalla stabilità reale del posto, o,
17 Ai sensi dell’ articolo 18 L. n. 300/1970: “Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’ articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’ articolo 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l’ invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all’ art. 2121 c.c. . Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovute in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’ invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto… “.
18 Vedi G. F. Xxxxxxx, Il nuovo regime del licenziamento, in AA.VV. , L’ applicazione dello statuto dei lavoratori. Tendenze e orientamenti, Milano, 1975, pp. 191-192, citato da X. Xxxxxxxx, Il recesso, la giustificazione del licenziamento e la tutela reale, Milano, 2005, p. 319
meglio, dalla stabilità senza aggettivi”. Il campo di applicazione dell’ articolo 18 della L. n. 300/1970 era definito nell’ articolo 35 della medesima legge. Tale norma, delimitando il campo di applicazione delle disposizioni dell’ art. 18 e del titolo III della L. n. 300/1970, al primo comma stabiliva che: “per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni dell’ art. 18 e del titolo III, ad eccezione del comma 1 dell’ articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio e reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano più di 5 dipendenti”. Il secondo comma proseguiva affermando che: “le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che nell’ ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti”. Proprio la definizione del campo applicativo dell’ art. 18 dello Statuto ( contenuto nell’ articolo 35 della stessa legge) portò la dottrina19 a scontrarsi sul coordinamento delle discipline in materia di licenziamento (L. n. 604/1966 e L. n. 300/1970) e sul loro ambito applicativo. E’ sufficiente ricordare che le difficoltà interpretative portarono alla soluzione nota con il nome della teoria delle “tutele parallele”; secondo questa teoria, la tutela “reale”, regolata dall’ art. 18 della L. n. 300/1970 e la tutela “obbligatoria” agirebbero su due binari, appunto, paralleli e disciplinati rispettivamente nell’ articolo
35 dello Statuto per quanto riguarda la stabilità reale (sede, stabilimento, filiale, ufficio e reparto autonomo che occupa più di 15
19 Per una approfondita ricostruzione dottrinale, si veda X. Xxxxxxxx, Il recesso, la giustificazione del licenziamento e la tutela reale, Milano, 2005, p. 321 ss
dipendenti) e, per quanto riguarda la tutela obbligatoria, nell’art. 11 della L. n. 604/1966 (imprese con più di 35 dipendenti). Questo parallelismo, nello specifico, prevedeva 3 aree (appunto parallele) di disciplina dei licenziamenti: l’area delle unità produttive con più di 15 dipendenti, dove trovava applicazione la tutela “reale” ; l’area delle imprese con più di 35 dipendenti, nelle quali, limitatamente alle unità produttive con meno di 16 dipendenti, trovava ancora applicazione la tutela “obbligatoria”; ed infine, l’area delle imprese minori ( con meno di 35 dipendenti) dove rimaneva operativo il regime della libera recedibilità ex art. 2118 c.c., ma ancora una volta solo nelle unità produttive con meno di 16 dipendenti. La Corte Costituzionale fu chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità delle limitazioni dei campi di applicazione delle discipline dei licenziamenti introdotte, ma, con una serie di sentenze20, salvò la legittimità dell’ articolo 18 dello Statuto; nello specifico le ragioni che avevano condotto il legislatore a differenziare il trattamento tra unità produttive con più o meno di 15 dipendenti furono trovate in primis nell’ elemento fiduciario che pervade il rapporto nelle unità di piccole dimensioni ed, in secondo luogo, nella necessità di non gravare di costi eccessivi le imprese minori. E’ importante ricordare che il concetto di “unità produttiva” è stato messo a punto dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla base delle indicazioni contenute nello stesso art. 35 dello Statuto ( “sede, stabilimento, filiale, ufficio e reparto autonomo” ). Tale nozione è stata sviluppata partendo proprio dall’ unità lavorativa “autonoma”. In relazione al concetto di “autonomia” si individuano due significati; un
20 Corte Cost. , sent. 6 marzo 1974, n.55 in Foro it. 1974, I, p. 959 ; 19 giugno 1975, n.152, in Giur.cost. , III, 402
primo orientamento, sostenuto dalla Corte Costituzionale21 definisce il concetto di “autonomia”, individuando l’esistenza di un’ unità produttiva, intesa come “articolazione di una più complessa organizzazione imprenditoriale, fornita di autonomia dal punto di vista economico-strutturale così come da quello funzionale e del risultato produttivo”. Allo stesso modo la giurisprudenza di merito22 ha ritenuto come l’articolazione aziendale “deve essere idonea ad esplicare, in tutto o in parte, l’ attività di produzione di beni o di servizi dell’ impresa della quale costituisce elemento organizzativo, anche ove non sia presente né il datore di lavoro né un suo alter ego”. Un secondo orientamento23, invece, considera fondamentale “l’esistenza, nell’ organismo decentrato, di un soggetto dotato, in relazione ai soggetti in esso impegnati, dei poteri gerarchici e di gestione propri dell’ imprenditore”. In definitiva, con l’ articolo 18 dello Statuto si riconducono ad un unico trattamento sanzionatorio tre fattispecie in precedenza distinte: l’ inefficacia del licenziamento viziato nella forma (art. 2, L. n. 604/1966); la nullità del licenziamento intimato per rappresaglia (art. 4, L. n. 604/1966); l’annullabilità del licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo (art. 8, L. n. 604/1966). Può adesso parlarsi di un’ unica figura di licenziamento “illegittimo”, dove l’articolo 18 prevede un doppio ordine di conseguenze giuridiche: “per il futuro”24 dispone la reintegrazione del lavoratore nel proprio posto di lavoro; per il periodo intercorrente tra l’estromissione del lavoratore e la sentenza di condanna alla reintegra,
21 Corte. Cost. , sent. 8 luglio 1975, n. 189, in Foro it. , 1975, I, 1578
22 Cass. , Sez.Lav. , sent. 27 novembre 1986, n. 7019, in Mass. Giust. civ. , 1986, 1985
23 Cass. , Sez.Lav. , sent. 16 marzo 1988, n. 2459, in Orient. Giur. lav. , 1988, 571
24 X. Xxxxxxxx, Diritto del lavoro, Milano, 2008, p. 679
invece, un “risarcimento del danno“, in misura non inferiore a 5 mensilità e calcolata secondo i criteri di cui all’ articolo 2121 c.c. .
1.4 La legge n. 108/1990 (estensione della tutela reale)
La legge dell’11 maggio 1990, n. 108, intitolata “ Disciplina dei licenziamenti individuali”, nacque dalla necessità, avvertita da alcuni partiti politici italiani ( DC, PCI E PSI), di impedire lo svolgimento di tre distinti referendum, promossi da Democrazia Proletaria, e relativi all’ abrogazione: dell’articolo 35 della L. n. 300/1970, nella parte in cui si limitava l’applicazione della tutela reale a quelle imprese che occupassero più di 15 dipendenti nell’ ambito della stessa unità produttiva o, quantomeno, del territorio dello stesso comune; dell’articolo 11 della L. n. 604/1966, nella parte in cui la tutela obbligatoria riguardava soltanto quei datori di lavoro, imprenditori e non, che avessero alle proprie dipendenze più di 35 dipendenti; ed infine, dell’articolo 8 della L. n. 604/1966, in quella parte in cui era prevista l’alternativa per il datore di riassumere il dipendente estromesso ingiustamente o di corrispondergli un risarcimento. Tuttavia, l’Ufficio centrale per il referendum, con un’ordinanza del 1989, comunicò che solamente il primo, dei tre referendum proposti, aveva riportato un numero di sottoscrizioni tali da poterlo sottoporre alla valutazione dell’ elettorato. La stessa Corte Costituzionale25, sollecitata sul punto, riconobbe l’ammissibilità del primo solamente dei tre referendum, affermando espressamente che il quesito referendario26 possedeva i necessari “requisiti di chiarezza e di univocità” e che la disposizione oggetto del referendum, obiettivamente considerata nella sua struttura e finalità, conteneva
25 Corte Cost. , sent. 18 gennaio 1990, n. 65, in Foro it. 1990, I, 747
26 Il quesito che Xxxxxxxxxx Proletaria voleva sottoporre al parere dell’ elettorato era il seguente: “ Volete che sia abrogato l’ articolo 35, comma 1, limitatamente alle parole << dell’ articolo 18 >> della legge 20 maggio 1970, n. 300 … “.
effettivamente quel “principio la cui eliminazione o permanenza dipende dalla risposta che il corpo elettorale fornirà”. La L. n. 108/1990 costituiva, quindi, una risposta “alla minaccia referendaria”27. Le più importanti novità, introdotte dalla L. n. 108/1990, si trovano racchiuse nell’ articolo 1 della legge. Tale norma ha modificato radicalmente l’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori attraverso un intervento che ha comportato la sostituzione dei primi due commi della disposizione statutaria con cinque nuovi commi aggiuntivi, attraverso i quali viene estesa, in maniera significativa, la tutela reale contro il licenziamento illegittimo. In virtù delle modifiche apportate dalla L. n. 108/1990, l’art. 1 , comma 1, sanziona con la reintegrazione nel posto di lavoro i datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, che abbiano alle proprie dipendenze più di 15 lavoratori (o più di 5 se trattasi di imprenditore agricolo) e, in ogni caso, più di 60 lavoratori. La tutela reale viene altresì prevista in caso di licenziamento discriminatorio, “quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro28 “. Al contempo l’articolo 2, comma 1, della L. n. 108/1990, formulato in termini speculari rispetto all’ articolo 1, dispone la tutela obbligatoria29 nei confronti di quei datori di lavoro privati (imprenditori o meno) “che occupano alle loro dipendenze fino a 15 lavoratori” (o fino a 5 se trattasi di imprenditore
27 Vedi X. Xxxxxxx, Statuto dei lavoratori e piccola impresa, in DLRI, 1990, p. 504, citato da X. Xxxxxxxx, Il recesso, la giustificazione del licenziamento e la tutela reale, Milano, 2005, p. 331
28 Art. 3 , L. n. 108/1990
29 L’art. 2, comma 3, L. 108/1990 dispone che : “ Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’ indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’ impresa, all’ anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti… “.
agricolo) e , in ogni caso, un numero di dipendenti complessivo pari a 60 lavoratori. Ciò che è importante rilevare, quindi, è che la L. n. 108/1990 ha realizzato un ampliamento soggettivo della tutela contro il licenziamento attraverso due operazioni; da una parte, ha esteso il campo di applicazione della tutela forte; dall’ altro ha generalizzato la tutela debole, attraverso la soppressione del limite numerico di cui all’ articolo 11, comma 1 della L. n. 604/1966. Dunque, come è stato giustamente osservato30, “permane il parallelismo delle tutele… assumendo la tutela obbligatoria la configurazione di tutela generale e residuale e, perciò idonea a coprire, senza residui, qualsiasi licenziamento, comunque, non soggetto alla più intensa tutela reale”.
30 X. Xx Xxxx, Tramonto del licenziamento “ ad nutum “ e definizione “novellata delle aree di tutela”, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Atti del Convegno organizzato dalla Sezione di Bari del CNSDL, “D. Napoletano”, Bari, 1-2 marzo, 1991, p. 29-30
1.5Tipologie di vizio del licenziamento individuale e loro conseguenze
1.5.1 La nullità del licenziamento (licenziamento discriminatorio e per causa di matrimonio)
Come sappiamo un negozio giuridico affetto dal nullità è inidoneo a produrre effetti giuridici ai sensi dell’ articolo 1418 c.c. . Lo stesso articolo, nei suoi tre commi, enumera le cause di nullità del negozio giuridico: la contrarietà a norme imperative (salvo che la legge disponga diversamente) , la mancanza di uno dei suoi elementi essenziali, l’ illiceità della causa (ex art. 1343 c.c. ) o per l’ illiceità dei motivi (ex art. 1345 c.c.). Tale vizio risulta insanabile e, di conseguenza non potrà essere convalidato dalle parti né con una dichiarazione espressa di volontà né con una volontaria esecuzione dell’ atto stesso. Preme ricordare che l’ azione di nullità ha una natura meramente dichiarativa dal momento che si limita solo a constatare l’ invalidità radicale dell’ atto. Proprio da tali caratteristiche consegue anche la sua imprescrittibilità ( ex art. 1422 c.c. ). L’azione di nullità può essere altresì promossa da chiunque vi abbia interesse (c.d. legittimazione assoluta) e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. Con riferimento alla materia dei licenziamenti, la nullità riguarda in primo luogo quelli intimati per un motivo di carattere discriminatorio. A tale proposito è stato autorevolmente31 sostenuto che “la struttura del licenziamento discriminatorio consiste in un atto che, pur a fronte eventualmente di una motivazione legittima… si presenta invece caratterizzato da una specifica finalità di
31 X. Xxxxxxxxx, La fine del libero licenziamento, Milano, 1991, p. 130
discriminazione, di regola non esternata, che vale a tipizzare una funzione dell’atto che l’ ordinamento intende invece sanzionare, ai sensi dell’ articolo 1345 c.c. , con la nullità “. L’articolo 432, L. n. 604/1966 riconosce come discriminatorio il licenziamento intimato per motivi politici, religiosi e sindacali. Il quadro dei motivi discriminatori viene rafforzato dalla disposizione di cui all’ art. 15 della L. n. 300/1970, la quale dispone che “è nullo qualsiasi patto o atto diretto a licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero”. Il secondo comma dell’ articolo 15 prevede inoltre che “le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso”33. Con tali disposizioni antidiscriminatorie il legislatore ha voluto quelle norme imperative di natura propriamente costituzionale volte a garantire alla persona, sia individualmente che collettivamente considerata, quella serie di diritti fondamentali di natura civile, etico-sociale, politica ed economica. In seguito all’ entrata in vigore della L. n. 108/1990 si è assistito ad un ampliamento della tutela antidiscriminatoria; l’articolo 3 di tale legge, oltre a ribadire l’operatività degli articoli 4 della L. n. 604/1966 e 15, L. n. 300/1970, ha anche convalidato l’applicazione della “tutela forte” ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori, indipendentemente dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro nell’ impresa, oltre ad
32 L’ art. 4, L. n. 604/1966 stabilisce che: “ Il licenziamento determinato da regioni di credo politico o fede religiosa, dall’ appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali è nullo, indipendentemente dalla motivazione addotta”.
33 Comma così sostituito dall’ articolo 13 della legge n. 903/1977.
estendere tale disciplina ai dirigenti (ex art. 3, L. n. 108/1990) ed ai lavoratori domestici (ex art. 4, L. n. 108/1990). La Corte Costituzionale34 ha inoltre riconosciuto che la disciplina di cui all’ articolo 3 della L. n. 108/1990 debba essere applicata anche ai lavoratori in prova; la Corte ha affermato espressamente che il licenziamento del lavoratore durante il periodo di prova “può efficacemente essere contestato dal lavoratore quando risulti che non è stata consentita , per la inadeguatezza della durata dell’ esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato”. La Corte prosegue ritenendo che il lavoratore stesso, in questo caso, deve essere in grado “di dimostrare il positivo superamento dell’ esperimento nonché l’ imputabilità ad un motivo illecito del licenziamento…”. Un elemento da analizzare è quello riguardante l’area di non applicazione della “tutela reale” , ex art. 18 dello Statuto, nei confronti delle c.d. “ organizzazioni di tendenza35. Il motivo di tale esclusione è stato rinvenuto, da parte della dottrina maggioritaria36, “nella difficoltà concettuale di consentire, attraverso l’ esperibilità della tutela reintegratoria propria della stabilità forte, eventuali interferenze del provvedimento rispetto alle eventuali finalità istituzionali perseguite”. Tuttavia è fondamentale segnalare come nell’ambito delle organizzazioni di tendenza occorra distinguere, in relazione alla tutela da applicarsi, tra quei lavoratori che svolgano mansioni riguardanti la finalità stessa dell’organizzazione e lavoratori,
34 Corte Cost. , sent. 22 dicembre 0000, x. 000, xx Xxxx. Xxxx. , 0000, I, 679, con nota di Xxxx
35 L’ art. 4, comma 1, L. n. 108/1990 prevede espressamente che : “ La disciplina di cui all’ art. 18… non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”.
36 X. Xxxxxxxxx, La fine del libero licenziamento, Milano, 1991, p. 137
invece, che svolgano semplicemente mansioni non ricollegabili agli orientamenti dell’ organizzazione (le c.d. mansioni “ neutre”). In proposito la Corte di Cassazione37 ha ritenuto che il licenziamento ideologico è lecito “nei ristretti limiti in cui esso sia funzionale all’esercizio di altri diritti garantiti costituzionalmente, quali la libertà dei partiti politici e dei sindacati, la libertà religiosa e la libertà della scuola e nelle sole ipotesi in cui l’ adesione ideologica costituisca requisito della prestazione lavorativa”. Di conseguenza il licenziamento discriminatorio intimato nei confronti di quei lavoratori addetti alle “mansioni neutre” ( portinai, addetti alle pulizie) sono nulli; il lavoratore, in questo caso, avrà diritto alla tutela reale ex art. 18 della L. n. 300/1970, sebbene sia dipendente in un organizzazione di tendenza. Ritornando sul concetto di discriminazione, ai fini della configurabilità del licenziamento discriminatorio, la dottrina e la giurisprudenza hanno discusso sulla necessità o meno della sussistenza dell’ elemento soggettivo, vale a dire la volontà discriminatoria da parte del datore di lavoro. L’ orientamento giurisprudenziale38 prevalente riteneva che fosse necessario un “animus” discriminatorio dal momento che l’ atto discriminatorio in sé considerato è sorretto dalla specifica volontà del datore di lavoro di recare danno ai lavoratori per il loro comportamento sindacale, per le opinioni politiche, religiose, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui non sia dimostrata tale volontarietà o sia da escluderla, non potrà essere dichiarata la nullità dell’ atto stesso ex art. 3, L. n. 108/1990. Al contrario la dottrina maggioritaria considera che sia sufficiente la
37 Cass. Sez. Lav. 16 giugno 1994, n. 5832, in Riv. it. dir. lav. , 1995, II, 379, con nota di Santoni
38 Cass. , sent. nn. 5 maggio 1987, n. 4182, in Mass. Giust. civ. , 1987, I, 1179; 1 febbraio 1988, n.
868, in Mass. Giust. civ. , 1988, 310
obiettiva idoneità dell’ atto a ledere il diritto protetto, in quanto è irrilevante la eventuale ricorrenza della specifica volontarietà del datore di lavoro; la dottrina argomenta questa tesi partendo proprio da quei fattori di discriminazione indicati dall’articolo 4 della L. n. 604/1966 e dall’ articolo 15 della L. n. 300/1970 ( “credo politico o fede religiosa, appartenenza ad un sindacato o partecipazione ad attività sindacali”, “ affiliazione o attività sindacale ovvero partecipazione ad uno sciopero… discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso”), che risaltano non come fini illecitamente perseguiti dal datore di lavoro, ma come effettive motivazioni, a prescindere da quelle formalmente addotte ex art. 4 della L. n. 604/1966. Con riferimento ai motivi discriminatori, in passato si è discusso in dottrina se le ipotesi elencate negli articoli 4 della L. n. 604/1966 e 15 della L. n. 300/1970 dovessero essere considerate tassative o meno; è diventata opinione pacifica la tesi secondo la quale sono considerate cause di nullità del licenziamento, oltre ai già citati motivi indicati dalle leggi, anche qualsiasi altro motivo per sé stesso illecito risultato determinante ai fini dell’ assunzione da parte del datore di lavoro dell’ atto di recesso ai sensi del combinato disposto degli articoli 1345 e 1418 c.c. . Pertanto, come autorevolmente sostenuto39, “ l’elencazione delle ipotesi di motivo discriminatorio deve ritenersi non tassativa”. E’ bene ricordare che, attraverso le pronunce relative a quei licenziamenti irrogati sulla base di un motivo illecito determinante, si è formato un principio di diritto secondo il quale la nullità dell’ atto di recesso dovuta ad un motivo illecito si fonda su di una interpretazione estensiva della previsione di
39 X. Xxxxxxxxx, Sub artt. 15-16, Commentario allo Statuto dei lavoratori, Bologna-Roma, 1979, p. 81
nullità per il licenziamento discriminatorio, stabilendo la tutela reale anche nei confronti dei c.d. licenziamenti ritorsivi , posti in essere a seguito di comportamenti ritenuti sgraditi all’ imprenditore40. Sotto l’aspetto probatorio, mentre l’onere della prova della sussistenza della giusta causa e del giustificato motivo grava sul datore di lavoro (ex art. 5, L. n. 604/1966), la dimostrazione della discriminazione incombe invece sul lavoratore alla stregua della regola generale fissata dall’ art. 2697 c.c.41. Si tratta di una prova particolarmente difficile e, proprio per questo motivo, si concede anche il ricorso a presunzioni, comunque dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c.42. La Corte di Cassazione43, ad esempio, ha negato la possibilità di fondare la presunzione dell’illegittimità di un licenziamento di un dipendente sulla base della sola dimostrazione della sua appartenenza ad un sindacato, ad un partito politico o ad un movimento religioso. Come è stato osservato in dottrina44, nell’ipotesi in cui il lavoratore sia certo di non poter provar il carattere discriminatorio del licenziamento, “sarà opportuno proporre in giudizio una domanda principale invocando
40 La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3016/1989, ha ritenuto nullo in quanto discriminatorio quel licenziamento intimato nei confronti del lavoratore come ritorsione per il fatto che questo si sia rivolto al sindacato per avere informazione sulle rivendicazioni economiche da avanzare nei confronti del datore di lavoro. La Corte ha infatti riconosciuto che “ rientra tra le funzioni sindacali riconosciute dall’ ordinamento il sostegno e l’ assistenza anche individuale dei lavoratori, il cui diritto di fruire di tale assistenza e sostegno è tutelato, tra l’ altro dagli articoli 4 della L. n. 604/1966 e 15 della L. n. 300/1970, anche sul piano individuale”.
41 L’ art. 2697 c.c. dispone che: “ Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l’ inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’ eccezione si fonda.
42 L’ art. 2729 c.c. dispone che : “ Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni.
43 Cass. 25 febbraio 1988, n. 2025, in Mass. Giust. civ. , 1988, I, 483
44 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxxxx, Il licenziamento individuale. Analisi della normativa e guida alla sua applicazione dopo la legge 11.5.1990, n. 108, Roma, 1991, p. 116
l’articolo 3 della L. n. 108/1990, ed una subordinata con la quale si lamenta comunque la mancanza di una giusta causa o giustificato motivo”. Per quanto riguarda gli effetti della nullità del licenziamento discriminatorio, anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 108/1990, la declaratoria di nullità del licenziamento intimato per un motivo discriminatorio, nel campo di operatività della tutela reale, comportava l’applicazione del relativo regime. Nello specifico, per i licenziamenti nulli ex art. 4, L. n. 604/1966 operava esplicitamente l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, mentre per le altre ipotesi di nullità previste dall’articolo 15, St.lav. . L’estensione della tutela forte era stata affermata in virtù di un’ ordinanza45 della Corte Costituzionale, con la quale si ritenne che “l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è né speciale né eccezionale ma dotato di forza espansiva” tale da estenderlo anche ad ipotesi diverse da quelle contemplate dallo stesso. Al di fuori dell’ area considerata, la declaratoria di nullità comportava le conseguenze previste dalla nullità di diritto comune, vale a dire la continuazione del rapporto di lavoro come se questo non fosse mai stato interrotto. La L. n. 108/1990, all’articolo 3, ha invece esteso la tutela reale, ex art. 18, a tutti i rapporti di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati. In tema di licenziamento per causa di matrimonio la disciplina originaria era quella prevista dalla L. n. 7/196346; la disposizione di cui all’articolo 1, dopo aver dichiarato “nulli” i licenziamenti delle lavoratrici “ attuati a causa di matrimonio”, “ presume… disposto per
45 Corte. Cost. n. 338/1988 ( ord.)
46 La legge 9 gennaio 1963, n. 7 ( Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio e modifiche alla legge 26 agosto 1950, n. 860: “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri” ) è stata successivamente abrogata dal d.lgs. n. 11 aprile 2006, n. 198, dove all’ articolo 35 è regolato il licenziamento per causa di matrimonio.
causa di matrimonio” il licenziamento intimato nel periodo dal giorno della richiesta delle pubblicazioni ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio. Era sufficiente, pertanto, come sostenne la Corte di Cassazione47, che la richiesta di pubblicazioni fosse avvenuta, secondo le formalità prescritte dal codice civile, perché si presumesse la conoscenza da parte del datore di lavoro del fatto, e non sussistesse quindi nessun obbligo di comunicazione da parte della lavoratrice. Le uniche ipotesi sono quelle disposte tassativamente dall’articolo 1 della L. n. 7/1963, che all’ultimo comma consentiva al datore di lavoro di provare che il licenziamento fosse stato disposto per una delle ipotesi regolate dall’art. 3, comma 2, lettere a), b), e c) della L. n. 860/1950: colpa della lavoratrice stessa, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, per cessazione dell’ attività dell’azienda ovvero per l’ ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta o per il sopravvenire del termine per il quale il rapporto era stato stipulato. La stessa Corte Costituzionale48 ha riconosciuto il carattere assoluto della presunzione; di conseguenza il datore di lavoro non potrà provare che il licenziamento non è stato disposto a causa di matrimonio. Tale divieto, come è stato osservato49, è superabile dal datore di lavoro dalla dimostrazione, “ quale fatto impeditivo dell’ azione della dipendente, della ricorrenza di una delle cause di legittimo recesso individuate dalla legge”.
47 Cass. sent. 3 gennaio 1984, n. 10, in Giur. it. , 1985, I, 1292
48 Xxxxx Xxxx. 0 marzo 0000, x. 00, xx Xxxx. xxxx. , 0000, I, 101
49 X. Xxxxxxxx, Sub art. 5, in La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi. Commentario alle leggi 15 luglio 1966, n. 604 e 11 maggio 1990, n. 108, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 1993, p. 112
1.5.2 L’inefficacia del licenziamento (licenziamento privo di forma scritta ed omessa comunicazione dei motivi)
L’articolo 250, comma 2, L. n. 108/1990 ha modificato l’articolo 2 della L. n. 604/196651, estendendo nei confronti di tutti i datori di lavoro l’obbligo di comunicare per iscritto il licenziamento. Prima dell’entrata in vigore della L. n. 108/1990, tale obbligo, in conformità alla previsione di cui all’ articolo 11, comma 1 della L. n. 604/1966, spettava unicamente a quei datori di lavoro che avessero alle proprie dipendenze più di 35 dipendenti. A seguito dell’entrata in vigore della
L. n. 300/1970 e, nello specifico, con l’articolo 18, tale onere riguardava anche le imprese industriali e commerciali che, in ciascuna unità produttiva occupassero più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole con più di 5 lavoratori. L’innovazione apportata dall’articolo 2, L. n. 108/1990 è data dal fatto che al licenziamento viene riconosciuta la qualifica di atto formale per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam in virtù dell’ articolo 1350 c.c. . Essendo un atto recettizio trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 1334 (“Efficacia degli atti unilaterali”) e 1335 (“Presunzione di conoscenza”) del c.c. . In forza di queste norme trova applicazione la presunzione di conoscenza in virtù della quale la comunicazione del
50 L’articolo 2 della L. n. 108/1990 prevede che: “ Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.
Il prestatore può chiedere, entro 15 giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso. In tal caso il datore di lavoro deve, nei 7 giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.
Il licenziamento intimato senza l’ osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.
51 Il testo originario dell’ articolo 2 della L. n. 604/1966 stabiliva: “ L’imprenditore deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.
Il prestatore di lavoro può chiedere, entro 8 giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso l’imprenditore deve, nei 5 giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.
Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai precedenti commi è inefficace.
licenziamento si presume conosciuta nel momento in cui giunge “all’ indirizzo del destinatario”, salva la prova, da parte del lavoratore “ di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia” (art. 1335 c.c.) . E’ bene ricordare che questo principio è stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione52, riunita a Sezioni Unite. Conseguentemente è stata ritenuta valida la comunicazione del licenziamento effettuata via telex, “ove risulti che essa provenga dal datore di lavoro e che sia pervenuta a conoscenza del lavoratore”53. Allo stesso tempo la Cassazione54 ha ritenuto inefficace il licenziamento comunicato al lavoratore mediante affissione nella bacheca dello stabilimento di lavoro. Per quanto attiene l’ambito applicativo dell’ articolo 2 della L. n. 108/1990 si sono formati in dottrina due orientamenti. Il primo è quello che ritiene che le prescrizioni formali dei licenziamenti debbono essere rispettate in tutti i rapporti di lavoro, compresi quindi anche quei rapporti di per sé stessi esenti dalla soggezione ad un criterio limitativo (lavoro domestico, in prova, oppure intercorrenti con anziani aventi i requisiti pensionistici), essendo un “ adempimento intrinsecamente derivante dai principi generali dell’ ordinamento positivo in materia di buona fede e di correttezza contrattuale55“. Il secondo orientamento dottrinale è quello invece che esclude dall’ applicazione della disciplina di cui al presente articolo i lavoratori
52 Cass. S.U. 18 ottobre 1982, n. 5394, in Foro it. , 1983, I, 2206; La Corte di Cassazione, riunita a Sezioni Unite, ha ritenuto che il licenziamento non attuato in forma scritta non è soggetto, per l’ impugnazione, al termine di decadenza di 60 giorni di cui all’ articolo 6 della L. n. 604/1966, potendo sempre il lavoratore proporre l’ ordinaria azione di accertamento dell’ inefficacia del licenziamento “ con il solo vincolo dei termini prescrizionali per i diritti consequenziali”.
53 Cass. 11 aprile 1980, n. 2319, in Notiz. giur. lav. , 1980, 500
54 Cass. 29 aprile 1977, n. 1654, in Mass. Foro it. , 1977, 337
55 X. Xxxxxxxxx, La fine del libero licenziamento, Milano, 1991, p.114
domestici (ovvero quei rapporti di lavoro regolati dalla L. n. 339/1958), secondo l’esplicita esclusione operata dall’articolo 4, comma 1, della L. n. 108/1990, così come i lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto (ex art. 4, comma 2, della L. n. 108/1990). A sostegno di questo orientamento è proprio la previsione di cui al comma 4 dell’ articolo 2 che estende l’obbligo della forma scritta dei licenziamenti “anche ai dirigenti” ; quest’ultima disposizione non avrebbe alcun senso se si ammettesse un’applicazione totale del requisito formale, in quanto non occorrerebbe specificare ulteriormente che tale disciplina si applica “anche ai dirigenti”. A seguito della comunicazione scritta del licenziamento, il lavoratore può chiedere, entro 15 giorni (entro 8 nel testo originario), la motivazione del licenziamento, che il datore è tenuto a fornire per iscritto nei 7 giorni successivi (5 nel testo previgente). In proposito il lavoratore può formulare la richiesta dei motivi di recesso sia oralmente56 , che per iscritto57. La norma lascia al lavoratore la scelta di chiedere o meno i motivi che hanno indotto il datore a licenziarlo, non essendo necessaria la contestuale motivazione del licenziamento all’atto dell’intimazione. Come detto la richiesta dei motivi del licenziamento deve essere effettuata entro 15 giorni dalla comunicazione dello stesso. Una parte della dottrina ritiene che tale
56 In tal caso il termine, a carico del datore di lavoro, di esplicitare i motivi di recesso comincia a decorrere dalla data di richiesta orale. Resta fermo per il lavoratore l’ onere di dimostrare la tempestività e la data della richiesta.
57 In questo caso il termine per la comunicazione scritta dei motivi comincerebbe a decorrere, se spedita per posta, dalla data di spedizione e non da quella di ricezione da parte del lavoratore. Tuttavia, avendo parlato di atto recettizio e di conseguente applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c. , il termine comincia a decorrere dal momento in cui la motivazione giunge all’ indirizzo del destinatario in base alla “ presunzione di conoscenza” disposta dall’ articolo 1335 c.c. .
termine abbia carattere “perentorio58, comportando, in caso di mancato rispetto dello stesso, la possibilità di impugnarlo ex articolo 6 della L. n. 604/1966. Tuttavia la giurisprudenza59 ha ritenuto che il mancato esercizio, da parte del lavoratore, della facoltà di chiedere i motivi nel termine di 15 giorni non gli preclude la successiva impugnazione, “mancando all’ uopo un’ esplicita esclusione in tal senso”. La motivazione addotta dal datore di lavoro non deve essere generica ma specifica e circostanziata, “tale da consentire al destinatario dell’ atto di preparare un’adeguata linea di difesa giudiziaria60 “.Da ciò consegue che, una volta rese note le ragioni che hanno indotto il datore a licenziare il lavoratore, i motivi non potranno più essere modificati (c.d. principio di immutabilità dei motivi), con la conseguenza che le ulteriori motivazioni addotte dal datore non possono prese in considerazione dal giudice come cause autonome di recesso ma solo come, eventualmente, circostanze confermative del fatto contestato61. L’articolo 2, comma 3, della L. n. 604/1966 dispone che “il licenziamento intimato senza l’ osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace”. Secondo l’opinione ormai consolidata in dottrina, “l’inefficacia costituisce una sostanziale nullità62“, intesa come incapacità dell’atto di recesso di produrre i
58 X. Xxxxxxxxxx, Il licenziamento dei lavoratori, Torino, 1966, p. 54
59 Cass. 1 giugno 1987, n. 4824, in Notiz. giur. lav. , 1987, 540
60 X. Xxxxxx- X. Xxxxxxxxx, Il rapporto di lavoro, Bologna, 1987, p. 297, citato da X. Xxxxxxxx, I fondamenti della disciplina protettiva, la tutela obbligatoria e i licenziamenti collettivi, Milano, 2005, p. 53
61 Cass. 9 febbraio 1988, n. 823, in Notiz. giur. lav. , 1989, 167; La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2590/1989, ritenne che un licenziamento intimato per eccessiva morbilità non potesse essere dichiarato legittimo dal giudice per una sopravvenuta inidoneità psico-fisica del lavoratore a svolgere le sue mansioni, dal momento che tale motivazione non era stata originariamente addotta e ciò avrebbe comportato un mutamento dei fatti originariamente posti a base del recesso datoriale.
62 X. Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli, 1990, p. 97, nota n. 29
propri effetti, in quanto nullo per mancanza di un requisito essenziale ex art. 1325 c.c. . Sul punto la stessa Corte di Cassazione, riunita a Sezioni Unite, ha configurato il licenziamento intimato senza il rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 2, comma 3, della L. n. 604/1966 come “tamquam non esset63” , insuscettibile quindi di produrre qualunque effetto. La stessa Corte Costituzionale64, inoltre, ha assimilato il licenziamento adottato irritualmente a quello privo dei requisiti di forma sulla base della natura formale di entrambi. Analizzando ora le conseguenze dell’inefficacia si nota subito come lo stesso articolo 2 della L. n. 604/1966 nulla dispone in ordine alle sanzioni conseguenti all’inefficacia del licenziamento. La situazione non pone particolari problemi nel caso dell’applicazione della tutela forte ( ex art. 18, L. n. 300/1970); la norma, parificando tutte le ipotesi di nullità, annullabilità ed inefficacia, dispone la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno per il licenziamento illegittimo. Un discorso diverso va fatto quando si incorra nella zona di applicazione della tutela debole, poiché l’articolo 8 della L. n. 604/1966 regola il regime della stabilità obbligatoria riferendosi unicamente all’ ipotesi del licenziamento ingiustificato. In proposito si sono formati due orientamenti. Il primo, data l’assenza di specifiche indicazioni normative, ritiene che debbano essere applicati i principi generali in materia di nullità dell’ atto di recesso, considerando il rapporto di lavoro come “mai interrotto ”, secondo il principio confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione65, con il conseguente obbligo da parte del datore di lavoro
63 Cass. S.U. , 21 febbraio 1984, n. 1236, in Riv. it. dir. lav. , 1984, II, 682, con nota di Xxxx Xxxxxxxx
64 Corte Cost. , 30 novembre 1982, n. 204, in Foro it. , 1983, I, 855, con nota di Xx Xxxx
65 Cass. Sez. Lav. , 1 marzo 1996, n. 1596, in Riv. it. dir. lav. , 1996, II, 881, con nota di Xxxxxxx
di corrispondere al lavoratore le retribuzioni perdute a causa del licenziamento illegittimo. Il secondo orientamento, sostenuto da una parte della dottrina e della giurisprudenza, ritiene applicabile la tutela risarcitoria ex articolo 8 della L. n. 604/1966 sulla base di valutazioni sistematiche. Come è stato osservato66, “il legislatore ha consapevolmente voluto… fare un trattamento di favore ai piccoli datori di lavoro, adottando un più blando regime sanzionatorio”. Secondo questo orientamento l’applicabilità dell’ articolo 8 ( riassunzione o pagamento di una penale risarcitoria), pur non riferendosi espressamente al licenziamento viziato nella forma, deriva da un’ esigenza di protezione nei confronti del piccolo imprenditore, dal momento che, se operasse un regime sanzionatorio unico, per l’imprenditore che non raggiunge i requisiti dimensionali previsti dall’ articolo 18 della L. n. 300/1970, sarebbe più oneroso un licenziamento inefficace di uno illegittimo.
66 X. Xxxx, Le novità nella disciplina dei licenziamenti, Padova, 1993, p. 68
1.5.3 L’illegittimità del licenziamento (giusta causa e giustificato motivo, soggettivo ed oggettivo)
L’articolo 1 della L. n. 604/1966 prevede che “nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato… il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile o per giustificato motivo”. La giusta causa di licenziamento, secondo quanto stabilito dall’ articolo 2119 c.c. , rappresenta una “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto”. L’articolo 3 della L. n. 604/1966 definisce il concetto di giustificato motivo, sia soggettivo (“notevole inadempimento degli obblighi contrattuali “ ) che oggettivo (“ragioni inerenti l’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”). Merita di essere segnalato, in proposito, il fatto che il legislatore del 1990 non ha modificato il quadro normativo appena menzionato. Da ciò ha conseguito che, come acutamente osservato dal Garofalo67, “ l’interpretazione di queste clausole generali rimane consegnata alla giurisprudenza” elaborata in data anteriore alla L. n. 108/1990. Prima dell’ emanazione della L. n. 604/1966, in relazione al concetto di “giusta causa“ si sono formati in dottrina due orientamenti diversi ai fini della configurabilità della stessa. Un primo orientamento ha sostenuto la c.d. “teoria oggettiva68”, ritenendo che la giusta causa possa consistere anche in fatti e comportamenti che, pur essendo estranei al rapporto lavorativo in senso stretto, siano tali da far venir meno il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore. Un secondo orientamento, invece, è
67 M. G. Xxxxxxxx, Le sanzioni contro il licenziamento illegittimo, in La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Bari, 1991, p. 56
68 X. Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli, 1990, p.114 ;
quello che professa la c.d. “teoria contrattuale69” (o soggettiva) della giusta causa, secondo la quale, ai fini della configurabilità della stessa, devono essere prese in considerazione soltanto quelle violazioni, inerenti gli obblighi contrattuali, posti in essere dal prestatore di lavoro. A sostegno di questo secondo orientamento la dottrina ha richiamato la disposizione di cui all’articolo 8 della L. n. 300/1970, la quale vieta al datore di lavoro “di effettuare indagini… su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’ attitudine professionale del lavoratore”. A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 604/1966 la dottrina prevalente sostenne, con ancor più vigore, la teoria “contrattuale” dell’ inadempimento del lavoratore, ritenendo che la giustificazione del licenziamento non può fondarsi su comportamenti del lavoratore che attengono alla sua vita privata, “ma può aver riguardo esclusivamente agli obblighi direttamente ed immediatamente funzionalizzati alla posizione assunta dal prestatore di lavoro70 “. Altresì è stata unanime la dottrina nel ritenere che tra la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo non sussistono differenze qualitative del comportamento posto in essere dal lavoratore ma solamente differenze quantitative71, dal momento che la giusta causa è costituita da fatti ancora più gravi di quelli che sono suscettibili di rientrare nel concetto di giustificato motivo soggettivo. Al contrario, la giurisprudenza72 ha dato particolare rilevanza
69 X. Xxxxxxxxx, Il licenziamento illegittimo, Napoli, 1982, p. 123
70 X. Xxxxxxxx, La tutela dell’ interesse del lavoratore alla conservazione del posto, in Nuovo Trattato di diritto del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Padova, 1971, 685
71 Merita di essere segnalata la definizione che X. Xxxx, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1980, p. 70, fornisce sulla giusta causa identificandola come un “ giustificato motivo particolarmente caratterizzato dal fatto che, per la sua entità e gravità, rende improseguibile il rapporto; è un plus rispetto alla situazione base determinante e giustificante”.
72 Cass. , 14 ottobre 1988, n. 5583, in Rep. Foro. It. , 1988, Voce Lavoro-rapporto, n. 2017ha ritenuto che per stabilire in concreto l’ esistenza di una giusta causa di licenziamento, che “ deve
all’elemento fiduciario del rapporto, sulla base della considerazione che la violazione, posta in essere dal lavoratore, deve essere tale da comportare il venir meno della fiducia, quale “presupposto essenziale della collaborazione73. Tuttavia merita di essere segnalato un certo indirizzo giurisprudenziale74 che ha rinvenuto la sussistenza di una giusta causa di licenziamento anche in relazione a fatti o comportamenti riguardanti la sfera privata del lavoratore ma contraddistinti da una gravità tale da riflettersi anche su quel particolare rapporto di lavoro che, per le sue caratteristiche, richiede al lavoratore un’ampia fiducia estesa anche alla sua sfera privata. Per quanto concerne il concetto di giustificato motivo (soggettivo), la L. n. 604/1966 lo qualifica espressamente come un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”. Merita di essere segnalato il fatto che, inizialmente, la dottrina ha posto attenzione al rapporto tra il concetto di inadempimento di non scarsa importanza75 ( ex art. 1455 c.c.) ed inadempimento notevole (ex art. 3, L. n. 604/1966). E’ stato così osservato come “l’articolo 1455
rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un canto, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore subordinato, in relazione alla portata soggettiva ed oggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e l’ intensità dell’ elemento intenzionale, dall’ altro la proporzionalità tra tali fatti e l sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la più grave delle sanzioni disciplinari”.
73 X. Xx Xxxxx, Sub art. 3, L. n. 604/1966, in La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 1993, p. 47
74 Con la sentenza del 22 novembre 1996, n. 10299, in Rep. Foro it. , 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1432, la Cassazione ritenne giustificato il licenziamento di un dipendente di una banca, inquadrato come commesso, motivato con il fatto che era stato elevato un protesto ad effetti cambiari nei suoi confronti per una cifra di circa 30.000.000 di lire. Il fatto è stato considerato di una gravità tale da far ritenere il lavoratore in questione “ professionalmente inidoneo alla prosecuzione del rapporto in relazione all’ ampio margine di fiducia richiesto”.
75 L’articolo 1455 c.c. dispone che: “ Il contratto non si può risolvere se l’ inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’ interesse dell’ altra”.
c.c. pone in relazione la non scarsa importanza dell’inadempimento con l’interesse dell’ altra parte, mentre tale riferimento è del tutto assente nell’articolo 3 della L. n. 604/1966, e debba pertanto escludersi ogni residua rilevanza dell’interesse creditorio nella valutazione della legittimità del licenziamento76 “. Secondo la dottrina prevalente, il “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali” rappresenta quella soglia minima che legittima il datore a porre in essere il licenziamento77. Quindi, mentre la giusta causa viene a coincidere con “la colpa gravissima ed il dolo”78 del lavoratore, il giustificato motivo ( soggettivo) richiede la “colpa grave79”, quale presupposto che legittima un “notevole inadempimento”. E’ proprio sulla base di queste considerazioni che viene rafforzata quanto sostenuto in precedenza; tra la giusta causa e il giustificato motivo non sussistono differenze qualitative ma soltanto quantitative. Così, anche nella giurisprudenza, si è formato un orientamento prevalente, secondo il quale la specifica mancanza del dipendente deve essere valutata non solo dal punto di vista oggettivo, ma anche soggettivo, in relazione al contesto in cui è stata posta in essere ed al grado del dolo o della colpa80. Accanto al licenziamento per giustificato motivo
76 M.V. Gentili Ballestrero, I licenziamenti, Milano, 1975, p. 330
77 Come ha osservato M. Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1980, p. 228- 229, non può interpretarsi il giustificato motivo come inadempimento di media gravità posto tra lo spazio riservato alle sanzioni disciplinari e quello occupato dalla giusta causa: raggiunta la soglia del notevole inadempimento “ l’ unico problema che si porrà è come fare il salto, se cioè il licenziamento debba produrre l’ effetto estintivo immediatamente o al termine del preavviso”.
78 X. Xxxxxxxxx, Il licenziamento illegittimo, Napoli, 1982, p. 124
79 M. Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1980, p. 227
80 La Corte di Cassazione,con sentenza del 1 febbraio 1990, n. 659, in Notiz. giur. lav. , 1990, 602, sostenne che l’ accertamento della gravità e dell’ entità della violazione posta in essere dal lavoratore dovesse essere compiuta tenendo in considerazione “ l’ incidenza sull’ elemento fiduciario” sussistente tra le parti e valutando gli “ aspetti concreti dei fatti addebitati al lavoratore”, con riguardo allo specifico rapporto ed all’ intensità dell’ elemento soggettivo ( dolo o colpa).
(soggettivo), l’ articolo 3 della L. n. 604/1966 regola il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, vale a dire quello determinato “da ragioni inerenti l’ attività produttiva, all’ organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Si tratta di una specifica fattispecie di licenziamento, non riguardante il lavoratore considerato nella sua soggettività, quanto piuttosto l’organizzazione aziendale in cui il lavoratore si inserisce ed esplica la propria attività. Proprio come avviene nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, anche quello disposto per giustificato motivo oggettivo deve essere posto in essere con preavviso ai sensi dell’articolo 2118 c.c. . Dal dato testuale si evince che siamo in presenza di una disposizione che consente di far riferimento a quegli eventi inerenti “l’impresa in senso oggettivo81“. Fin dagli anni ’80 la dottrina si è interrogata su come dovevano essere definiti i concetti espressi nell’ articolo 3 in commento, ipotizzando, alcuni Autori82, la necessità di indagare il significato di ogni singola espressione. Tuttavia l’opinione dottrinaria prevalente preferì ricorrere all’ espressione universale di licenziamento “nell’interesse dell’ impresa83”. Come espresso
81 X. Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli, 1990, p. 129
82 D. Xxxxxxxxxx, I licenziamenti dei lavoratori, Torino, 1966,p. 50-51, sostenne che “ le ragioni inerenti all’ attività produttiva sono quelle che attengono all’ impiego delle energie di lavoro e dei mezzi strumentali, quelle inerenti all’ organizzazione del lavoro attengono, invece, alla programmazione, alla divisione e all’ impiego del lavoro e, infine, le ragioni inerenti al regolare funzionamento dell’ organizzazione del lavoro attengono, più propriamente, alla disciplina e alla direzione del lavoro”. Allo stesso modo, M. Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1980, p. 284 e ss. , ritenne che in relazione all’ attività produttiva può rilevare solo il “ se” dell’ impresa e, pertanto, la sola evenienza della cessazione effettiva e definitiva dell’ impresa; mentre, per quanto attiene l’ organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento, risaltano, come ragioni risolutive del rapporto, la trasformazione dell’ azienda ( ristrutturazione e riconversione) e la riduzione dell’ azienda ( riorganizzazione aziendale o mutamento del suo funzionamento), purchè “oggettive”, “ definitive” ed “effettive”.
83 X. Xxxxxxxx, La tutela dell’ interesse del lavoratore alla conservazione del posto, in Nuovo Trattato di diritto del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Padova, 1971, p. 686
dall’articolo 5 della L. n. 604/1966, “l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo spetta al datore di lavoro”. Con riferimento alla questione dei limiti del controllo giudiziale sull’effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo si sono formati, in dottrina, quattro orientamenti diversi, data la difficoltà di attribuire un preciso significato alla garanzia costituzionale della libertà di iniziativa economica di cui all’ articolo 41 della Costituzione. Un primo orientamento ritiene che al giudice sia interdetto il controllo in merito alle scelte tecnico-produttive dell’imprenditore dovendosi limitare a valutare la congruità tra la motivazione addotta ed il licenziamento84. Un secondo orientamento minoritario considera legittimo il controllo giudiziale sulle scelte imprenditoriali al fine di verificarne la loro conformità all’“utilità sociale”85 imposta al libero svolgimento dell’ iniziativa economica privata dall’ articolo 41, comma 2 della Costituzione. Un terzo orientamento invece, pur non riconoscendo al giudice la possibilità di indagare sulle scelte a carattere tecnico-produttivo dell’ imprenditore, ritiene che sia legittimo un controllo da parte del giudice sull’adeguatezza e la razionalità tecnica del licenziamento86. Il quarto ed ultimo orientamento, considerato prevalente, è quello che, fermo restando l’insindacabilità sul merito, configura il licenziamento per giustificato motivo come “extrema ratio87”. La stessa giurisprudenza,
84 In dottrina si v. X. Xxxx, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1980, p. 49 ss; in giurisprudenza si x. Xxxx. 00 marzo 1987, n. 2738, in Rep. Foro It. , 1987, voce Lavoro-rapporto, n. 2320, la quale stabilisce che il controllo del giudice non può estendersi fino a sindacare “ l’ opportunità e la congruità delle scelte imprenditoriali”.
85 Su questo orientamento si v. M.V. Ballestrero, I licenziamenti, Milano, 1975, p. 248 ss
86 In questo senso, si v. X. Xxxxxxxx, La tutela dell’ interesse del lavoratore alla conservazione del posto, in Nuovo Trattato di diritto del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Padova, 1971, p. 690
87 In tal senso si v. X. Xxxxxx, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1980, p. 256 ss
soprattutto quella di legittimità, è particolarmente concorde nel ritenere che il controllo giudiziale non possa riguardare, per il principio di cui all’articolo 41, Cost. ( libertà di iniziativa economica), la validità dei criteri gestionali dell’ impresa e l’ opportunità e la congruità delle scelte imprenditoriali88. In giurisprudenza si è inoltre affermato che il controllo giudiziale deve riguardare non solo la veridicità delle ragioni addotte dal datore di lavoro che vuol procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma anche l’inutilizzabilità del lavoratore in altre mansioni compatibili con la sua qualifica89. Nel caso di ristrutturazione aziendale, il giustificato motivo oggettivo non deve essere costituito da un generico ridimensionamento dell’attività, ma dalla specifica necessità di operare una soppressione di quel posto di lavoro o di quel reparto cui è addetto quel singolo lavoratore; in tal caso incombe sul datore di lavoro l’onere di dimostrare non solo la concreta riferibilità di quello specifico licenziamento a ragioni di carattere produttivo-organizzative ma anche l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni equivalenti e comunque compatibili con la qualifica rivestita e con il contenuto professionale dell’ attività cui il lavoratore era precedentemente adibito (c.d. “obbligo di repechage90”). Ancora si ritiene legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato dall’ultimazione di un cantiere edile, accompagnato
88 Cass. 1 febbraio 1989, n. 618, in Giust.civ.mass. 1989, secondo la quale il giudice deve limitarsi ad accertare se il ridimensionamento sia stato effettivo e se sia dimostrata l’ esistenza del nesso di causalità tra il ridimensionamento ed il singolo licenziamento. Stabilisce inoltre che il giudice non può sindacare nel merito le ragioni delle scelte tecniche operate dal datore di lavoro ed i criteri economici-produttivi seguiti dallo stesso nel ridimensionamento dell’ azienda.
89 Cass. 2 febbraio 1988, n. 986, in Giust.civ.mass. 1988, in cui viene ribadita l’ insindacabilità della congruità e dell’ opportunità delle scelte datoriali.
90 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxxxx, Il licenziamento individuale. Analisi della normativa e guida alla sua applicazione dopo la legge 11.5.1990, n. 108, Roma, 1991, p. 76
sempre dalla prova dell’impossibilità di utilizzare in altri cantieri della stessa impresa il lavoratore licenziato91. Ancora è considerato legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto all’installazione di un impianto sostitutivo92. Per quanto riguarda il regime sanzionatorio conseguente all’accertamento della insussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, occorre, in primo luogo, far riferimento all’articolo 8 della L. n. 604/196693, come modificato dall’ articolo 2 della L. n. 108/1990. La tutela accordata dall’articolo 8 si applica in tutti i casi in cui non sia operante la c.d. tutela reale ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (datori di lavoro con più di 15 dipendenti nell’ unità produttiva ovvero con più di 60 complessivamente). La tutela c.d. obbligatoria, prevista dal citato articolo 8, si caratterizza per il fatto che, nei rapporti regolati dalla stessa, il licenziamento è comunque, anche se privo di una giusta causa o di un giustificato motivo, idoneo ad interrompere il rapporto di lavoro. La sua caratteristica fondamentale risiede nell’alternativa che il datore di lavoro ha di optare per la riassunzione o per il pagamento di un’indennità (tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità) “liquidata ad hoc in sentenza”94. Merita di essere segnalato il fatto che in dottrina si sia dibattuto circa il rapporto che
91 Cass. 18 maggio 1989, n. 2364, in Giust.civ.mass, 1989, fasc. 5
92 Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxx, 00 gennaio, 1975, in Segnal.x. xxx. , II, 22a, 195
93 L’ articolo 8 della L. n. 604/1966 dispone : “ Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’ indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’ impresa, all’ anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai 10 anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai 20 anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di 15 prestatori di lavoro”.
94 X. Xxxxxxxxx, La fine del libero licenziamento, Milano, 1991, p. 107
intercorre tra l’obbligazione della riassunzione e quella del risarcimento del danno. Secondo un primo orientamento, peraltro minoritario, questo rapporto dovrebbe costituirsi secondo lo schema delle obbligazioni facoltative, in cui l’obbligazione principale è costituita dalla riassunzione e, nel caso in cui l’adempimento di tale obbligo divenga impossibile per fatto non imputabile al datore o per rifiuto del lavoratore a riprendere servizio, “il lavoratore si libererebbe completamente anche dell’ obbligo risarcitorio”95. Secondo un altro orientamento, peraltro prevalente, invece il rapporto tra la riassunzione e la penale risarcitoria si configurerebbe come un’obbligazione alternativa; in tal caso la facoltà di scelta sarebbe rimessa completamente al datore di lavoro, con la conseguenza che, nell’ ipotesi in cui non sia possibile adempiere con una, l’obbligazione si concentrerebbe sull’altra96. Tale orientamento è stato confermato anche dalla Corte Costituzionale, la quale ha affermato che “il pagamento dell’ indennità, qualora il rapporto non si ripristini, sia sempre dovuto e lo sia per il solo fatto del mancato ripristino dello stesso, senza che a nulla rilevi quale sia il soggetto e quale la ragione per cui ciò abbia a verificarsi”97. Per quanto attiene invece il l’ambito di applicazione della tutela reale ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la L. n. 108/1990 ha modificato questo articolo, considerando rilevante, ai fini risarcitori, un unico periodo di tempo che va dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva
95 Per tale orientamento dottrinario si v. X. Xxxxxxxx, Riassunzione o risarcimento del danno, in I licenziamenti individuali, a cura di X. Xxxxxxx, Napoli, 1990, p. 100 ss ; R. De Xxxx Xxxxxx- X. Xxxxxxxx, Sub art. 8 l. n. 604/1966, in Commentario breve alle leggi sul lavoro, Milano, 2013, p. 935; X. Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli, 1990, p. 172
96 Per tale orientamento si v. D. Napoletano, Il licenziamento dei lavoratori, Torino, 1966, p. 76
97 Corte Cost. 28 dicembre 1970, n. 194, in Xxxx.xx, 1971, I, p. 3
reintegrazione98. Il legislatore del 1990 non è intervenuto sulla tripartizione delle categorie di illegittimità del licenziamento. Resta ferma quindi la precedente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale riguardante: il licenziamento inefficace perché intimato senza l’osservanza della forma scritta (ex art. 2, L. n. 108/1990), il licenziamento considerato nullo in quanto discriminatorio (ex art. 3, L.
n. 108/1990) ed, infine, il licenziamento annullabile in quanto intimato senza giusta causa o giustificato motivo (ex art. 3, L. n. 604/1966).
98 L’art. 18 della L. n. 300/1970, come modificato dall’ articolo 1 della l. n. 108/1900, dispone: “Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’ articolo 7 della L. n. 604/1966, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’ articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, … ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ( primo comma dell’ art. 1 della L. n. 108/1990).
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il lavoratore al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione,… in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto” ( quarto comma del predetto articolo).
1.6 L’apparato sanzionatorio del licenziamento e il regime della prescrizione dei crediti di lavoro
Come è noto, sussiste un rapporto di stretta correlazione tra il campo di applicazione della disciplina vincolistica in materia di licenziamenti individuali e la questione della decorrenza o meno, in corso di rapporto, del termine di prescrizione breve dei crediti retributivi del prestatore di lavoro subordinato. Quando si parla di prescrizione, occorre distinguere tra prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.), che trova applicazione in casi eccezionali e, la prescrizione ordinaria quinquennale ( art. 2948 c.c.), che opera nella generalità dei casi. Secondo quanto disposto dal codice civile, i diritti del prestatore di lavoro sono sottratti, di norma, alla prescrizione ordinaria decennale e sottoposti, in quanto crediti retributivi, alla prescrizione quinquennale regolata dall’articolo 2948, nn. 4 e 599. Si segnala inoltre che la prescrizione non è rilevabile d’ufficio dal Giudice (art. 2938 c.c.), è inderogabile, dal momento che “è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione” (art. 2936 c.c.) ed è irrinunciabile (art. 2937 c.c.). L’ aspetto che interessa maggiormente è quello riguardante il dies a quo della decorrenza della prescrizione. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la storica sentenza del 10 giugno 1966, n. 63100, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 2948, n.4, 2955 n. 2 e 2956, n. 1 del c.c. “limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro”. Alla
99 L’ articolo 2948 n. 4 c.c. dispone che: “ Si prescrivono in 5 anni gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.
L’ articolo 2948 n. 5 c.c. dispone che: “ Si prescrivono in 5 anni le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro”.
100 Xxxxx Xxxx., 00 giugno 1966, n. 63, in Xxxx.xx ,1966, I
base della pronuncia la Corte ha richiamato l’articolo 36 della Costituzione in materia di retribuzione; da tale norma è stato ricavato il principio della irrinunciabilità del diritto di credito alla retribuzione durante il rapporto di lavoro. La ratio della sentenza della Corte si comprende se si osserva il contesto socio economico dell’epoca: in un sistema lavorativo basato sulla libera recedibilità, diventava fondamentale proteggere il lavoratore, il quale, trovandosi in una posizione concreta di pericolo (“timore del recesso”, secondo la sentenza) di essere licenziato, poteva essere indotto a non esercitare i propri diritti, rinunciandovi. Questo costituiva un pericolo particolarmente concreto in quei rapporti di lavoro di tipo privatistico, non aventi quella particolare “ forza di resistenza”101 che caratterizza, per esempio, i rapporti di lavoro pubblicistici. E’ proprio alla luce di queste considerazioni che la Corte Costituzionale si è sentita in dovere di riconoscere il differimento del termine di prescrizione dei crediti di lavoro alla fine del rapporto. Successivamente la Corte Costituzionale, sulla scorta del mutato contesto economico-normativo rispetto a quello che caratterizzava la sentenza del 1966, intervenne nuovamente nell’ ambito della decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro. In proposito la Corte ha escluso l’ applicazione del principio della non decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto nei confronti di quei rapporti caratterizzati dalla stabilità prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La Corte ritenne che il principio sul quale si basava la parziale illegittimità dell’ articolo 2948, n. 4 del c.c. “non dovesse trovare applicazione tutte le volte che il rapporto di lavoro subordinato sia caratterizzato da una particolare forza di resistenza, quale deriva da una disciplina che assicuri normalmente la stabilità del
101 Corte Cost. 20 novembre 1969, n. 143, in Giust.civ, 1969, I, 319
rapporto e fornisca la garanzia di appositi rimedi giurisdizionali contro ogni illegittima risoluzione”102. In definitiva dunque, la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto “è collegata alla stabilità reale che garantisce il dipendente e gli consente di invocare, nel caso di illegittimità del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall’ articolo 18 dello Statuto”103. Di contro, nei rapporti di lavoro ai quali trova applicazione la tutela “debole”, ex art. 8, L. n. 604/1966, il dies a quo della prescrizione dei crediti di lavoro è quello della cessazione del rapporto di lavoro.
102 Corte Cost. 21 dicembre 1972, n. 174, in Giust.civ. 1973, III, 37
103 X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. It. Dir. Lav. , 2012, II, p. 436
CAPITOLO II
LA LEGGE FORNERO
2.1 La legge n. 92/2012: quadro generale del nuovo sistema di tutele
Con la legge 28 giugno 2012, n. 92 (cd "Legge Fornero" dal nome del Ministro del Lavoro in carica al momento della sua approvazione), intitolata “ Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, il legislatore ha perseguito le seguenti finalità.
In primo luogo ridimensionare il fenomeno del lavoro irregolare rendendo più flessibile e, quindi, più "appetibile" per il datore di lavoro, il mercato del lavoro.
In secondo luogo aumentando la flessibilità in uscita, anche e soprattutto alleggerendo e rendendo prevedibili e, quindi, calcolabili i costi del licenziamento per le imprese.
Fino al 2012 il legislatore ha accresciuto la c.d. flessibilità in entrata, rendendo possibile il ricorso reiterato a rapporti di durata temporanea. Con la nuova legge, specialmente con il suo articolo 1, comma 42, che ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si è rafforzata la c.d. flessibilità in uscita, intervenendo sulla materia dei licenziamenti104.
Intanto va evidenziata la diversa rubrica del "nuovo" art. 18 St.lav.
104 Sull’ analisi delle finalità della L. n. 92/2012, si v. X. Xxxxxxxx, I molti nodi irrisolti nel nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 235 ss. L’ Autore sottolinea come, a suo giudizio, non tutti gli scopi, che tale legge si prefiggeva, siano stati perseguiti con mezzi idonei.
Mentre lo "storico" art. 18 dello Statuto dei lavoratori era intitolato “Reintegrazione nel posto di lavoro”, il nuovo art. 18 significativamente si intitola: "Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”.
Prima della riforma del 2012, l’art. 18 St. lav. stabiliva che, accertata l'illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro era tenuto a reintegrare il lavoratore nel proprio posto di lavoro e a risarcirgli il danno commisurato alla retribuzione (globale di fatto) che il lavoratore avrebbe percepito dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegra, con un "minimum" di danno pari a 5 mensilità.
Si assiste ad un incremento “quantitativo” dei precetti che compongono l’art. 18 St.lav. attraverso l'introduzione di una pluralità di tutele che si affiancano a quella tradizionale della reintegrazione nel posto di lavoro.
Il legislatore realizza infatti una graduazione del sistema sanzionatorio sulla base dello specifico vizio che colpisce l’atto di recesso, limitando la sanzione più "afflittiva" della reintegra ai casi di maggiore gravità e prevedendo, negli altri casi, un risarcimento del danno, seppur diversamente misurato105.
105 X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , fasc. 2, 2012, p. 437; l’Autore sottolinea come sia opinione generalizzata il fatto che nel nuovo sistema sanzionatorio l’ indennità risarcitoria rappresenta la regola, mentre la reintegrazione nel posto di lavoro è l’ eccezione “in quanto l suddetta norma (art. 18, St.lav.) attribuisce prevalenza alla prima sanzione rispetto alla seconda”.
2.2 A proposito delle diverse fattispecie di licenziamento illecito
Il nuovo art. 18 St.lav. fa riferimento a quattro differenti fattispecie di licenziamento illecito, a ciascuna delle quali corrisponde un diverso tipo di tutela.
La "prima" forma di tutela, disciplinata dai primi due commi del nuovo art. 18 St.lav. , è quella che viene definita “reintegrazione ad effetti risarcitori pieni106”.
Essa dispone la reintegrazione nel posto di lavoro (primo comma) e l’integrale risarcimento dei danni medio tempore subiti, con un minimo di danno stabilito in cinque mensilità della retribuzione globale di fatto del lavoratore (secondo comma).
Questa forma di tutela è prevista nei seguenti casi:
- licenziamento discriminatorio ai sensi dell’art. 3 della L. n. 108/1990;
- licenziamento in concomitanza col matrimonio ex art. 35 del D.lgs. n. 198/2006;
- licenziamento per violazione dei divieti posti a tutela della maternità e paternità ai sensi dell’art. 56, commi 1, 6, 7 e 9 del D.lgs. n. 151/2001;
- licenziamento adottato sulla base di un motivo illecito determinante ai sensi dell’ art. 1345 c.c.;
- licenziamento riconducibile agli altri casi di nullità previsti dalla legge;
- licenziamento orale.
Questa prima forma di tutela ricomprende tutti i lavoratori subordinati (compresi i dirigenti) “quale che sia il numero dei dipendenti occupati
106 X. Xxxxxxx, L’art. 18, nuovo testo dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 4/06/2012, p. 2
dal datore di lavoro” (art.18, comma 1, come modificato dalla L. n. 92/2012).
Una seconda forma di tutela è quella prevista dall’art. 18, commi 4 e 7, primo periodo e prima parte del secondo periodo, che regola la “reintegrazione ad effetti risarcitori limitati” (c.d. “reintegrazione depotenziata)107>: alla reintegrazione nel posto di lavoro si somma un’indennità che in ogni caso non può superare le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Questa tutela è prevista in caso di:
- insussistenza, giuridica o di fatto, del "fatto tipico" contestato al lavoratore, fondante il licenziamento disciplinare dello stesso per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo;
- contestazione di un "fatto tipico" disciplinarmente rilevante che, secondo il contratto collettivo o il codice disciplinare applicabili, è punibile con una sanzione conservativa;
- manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
- mancanza di giustificatezza del licenziamento intimato, anche ai sensi degli artt. 4, comma 4, e 10, comma 3, della L. n. 68/1999, per inidoneità fisica o psichica del lavoratore;
- licenziamento intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, c.c.
La terza forma di tutela (c.d. “tutela indennitaria forte”), disciplinata dal comma 5 e dal comma 7, seconda parte del secondo periodo e del terzo periodo, prevede a favore del lavoratore illegittimamente
107 Sul punto si v. X. Xxxxxx, La riforma Fornero: la (in)certezza del diritto e le tutele differenziate del licenziamento illegittimo, in Riv. it. dir. lav. , fasc. 4, 2012, p. 620 ss
licenziato la corresponsione di un’indennità compresa tra le 12,5 e le 24 mensilità della sua ultima retribuzione globale di fatto.
Tale tutela è prevista in tutti i casi di mancanza di giusta causa o di giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) diversi da quelli cui si applica la reintegrazione “depotenziata”, sopra indicati.
L’ultima forma di tutela, contemplata dal comma 6 dell’ art. 18 St.lav.
, è quella della c.d. “ tutela indennitaria debole”108.
Essa dispone a favore del lavoratore illegittimamente licenziato un’indennità compresa tra le 6 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Tale tutela si applica nelle ipotesi di licenziamento ingiusto per il mancato rispetto:
- del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della L. n. 604/1966;
- della procedura di contestazione disciplinare di cui all’ art. 7 della L. n. 300/1970;
- della procedura di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966.
108 Sul punto si v. P. Albi, Il campo di applicazione della nuova disciplina dei licenziamenti. Diversificazione del sistema rimediale ed effetti sulle garanzie dei diritti, in Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, (a cura di) X. Xxxxxx, Xxxx, 0000, p. 384 e ss; si v. anche X. Xxxxxxx, Il licenziamento inefficace, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, ( a cura di) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013,
p. 299 e ss; l’ Autore parla, di “ un’indennità risarcitoria dimidiata” nelle ipotesi di inefficacia previste dall’ art. 18, comma 6, St.lav. .
2.3 Sui nuovi requisiti formali e procedurali introdotti dalla L. n. 92/2012
La legge Fornero ha apportato alcune modifiche (introdotte dall’art. 1, commi 37, 38, 39, 40, 41 e 42, lett. b), cpv. 10) che attengono ai requisiti formali e procedurali del recesso.
Quanto alla comunicazione obbligatoria e contestuale dei motivi del recesso per giustificato motivo oggettivo l’art. 1, comma 37, dispone che “la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”;
La legge prevede poi un nuovo più ridotto termine per la proposizione dell'azione giudiziaria volta alla dichiarazione di illiceità del licenziamento, che da 270 giorni passa a 180 giorni.
La legge prevede inoltre un meccanismo di conciliazione obbligatoria preventiva per i soli licenziamenti economici nelle aziende con più di
15 dipendenti e, infine, la possibilità per il datore di revocare il licenziamento entro i 15 giorni successivi alla sua irrogazione109.
109 Sul punto si v. X. Xxxxxxxx, La riforma del licenziamento individuale tra diritto e economia, in Riv. It. dir. lav. , 2012, I, p. 521 ss ; l’ Autore sebbene osservi come la nuova regolamentazione “ sembri enfatizzare” queste modifiche, subito dopo ne mette in luce le criticità.
2.4 La tutela reale “forte”
I primi tre capoversi della lettera b) dell’articolo 1, comma 42, della L.
n. 92/2012 hanno sostituito i commi 1, 2 e 3 del "vecchio" articolo 18 della L. n. 300/1970 e contengono la disciplina sanzionatoria delle varie ipotesi di nullità del licenziamento.
Come detto, a seguito delle modifiche apportate dalla legge Fornero, la reintegrazione nel posto di lavoro (o, in alternativa, un'indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto del lavoratore) e il risarcimento integrale del danno subito operano nei casi di licenziamento nullo o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’ articolo 1345 c.c. o inefficace perché intimato in forma orale.
Tale disciplina rappresenta “l’ultimo baluardo della vecchia tutela reale ex art. 18 della L. n. 300/1970”110.
Tale disciplina trova applicazione ogniqualvolta il licenziamento sia conseguenza di un motivo discriminatorio o di una delle altre ragioni indicate nel comma 1 dell'art. 18 St.lav. e ciò "indipendentemente dal motivo formalmente addotto”.
Tale precisazione ha come finalità quella di evitare che sia la motivazione formalmente addotta dal datore di lavoro a vincolare il giudice nell'indagine sulla "illegittimità" dell'atto di recesso. Spetta pertanto sempre al giudice, a prescindere dalle motivazioni addotte dal datore di lavoro nella lettera di licenziamento, indagare sulla vera ragione che ha determinato il licenziamento e applicare la tutela corrispondente.
110 X. Xxxxx, Il nuovo articolo 18 dopo un anno di applicazione giurisprudenziale: un bilancio provvisorio, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’Xxxxxx”. IT- 181/2013, p. 10
La prima ipotesi di licenziamento nullo, contenuta nel nuovo articolo 18, è quella del licenziamento discriminatorio.
Il legislatore fa espresso rinvio all’articolo 3 della L. n. 108/1990, il quale, a sua volta, richiama i motivi discriminatori di cui all’articolo 4 della L. n. 604/1966 e all’art. 15 dello St.lav.111.
Vi sono poi altri motivi discriminatori, non espressamente menzionati nel comma 1 dell’ art. 18 St. Lav., ma che ricadono nell’applicazione del regime di tutela della “reintegrazione ad effetti risarcitori pieni112” in virtù del rinvio, operato dal nuovo art. 18, “agli casi di nullità previsti dalla legge”113.
In primis il riferimento è all’ipotesi di “accertata infezione da HIV che non può costituire motivo di discriminazione, in particolare…per l’ accesso o il mantenimento di posti di lavoro” ( art. 5, comma 5, L. n. 135/1990).
C'è poi l’ipotesi secondo cui “costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose”, con la precisazione che “compie un atto di
111 E’ discriminatorio il licenziamento “ determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’ appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali” ( art. 4, L. n. 604/1966) nonché quello adottato nei confronti del lavoratore “ a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero” e ancora “ a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’ orientamento sessuale o sulle convinzioni personali” ( art. 15, L. n. 300/1970, come modificato dall’ art. 4, comma 1, D.lgs. 9 settembre 2003, n. 216).
112 X. Xxxxxxx, L’art. 18, nuovo testo dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 4/06/2012, p. 2
113 Sul punto si v. X. Xxxxx, Il nuovo articolo 18 della L. n. 300/1970, in La riforma del lavoro. Primi orientamenti giurisprudenziali dopo la legge Fornero, Milano, 2013, p. 254 ; X. Xxxxxxxx, I licenziamenti discriminatori, in Il nuovo mercato del lavoro; dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, (a cura di) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 253 ss ;
discriminazione […] e) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell’art. 15 dello Statuto dei lavoratori […] compiono qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza a una razza, a un gruppo etnico o linguistico, a una confessione religiosa, a una cittadinanza” (così l'art. 43, D.lgs. n. 286/1998).
Neppure con la L. n. 92/2012 è stata risolta la questione, oggetto di un acceso dibattito dottrinale, in merito al carattere tassativo o meno dell’elenco dei motivi discriminatori.
Mentre una parte della dottrina ha sostenuto la tassatività delle ipotesi di discriminazione114, un'altra parte della dottrina, e, con essa, la giurisprudenza di merito maggioritaria, ritiene invece che l’elenco dei motivi discriminatori abbia carattere solamente esemplificativo in quanto la dilatazione degli interessi vietati è tale da ricomprendervi “qualunque finalità, oggettivamente perseguita, diversa da quelle positivamente ammesse nell’ ordinamento”115.
La seconda ipotesi di vizio, regolata dal nuovo articolo 18 St. lav., è rappresentata dalla nullità del licenziamento intimato: "in concomitanza col matrimonio” (articolo 35 del D.lgs. n. 198/2006),
114 Sul punto si v. X. Xxxxxxxx, Manuale di diritto del lavoro, Padova, 2011, p. 520 ; A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, 51 ; a favore del carattere tassativo si è espressa anche la Corte di Giustizia la quale, con la sentenza Xxxxxx Xxxxx dell’ 11 luglio del 2006, C- 13/05, riferendosi alla direttiva 200/78 ha respinto chiaramente l’ estensione analogica dell’ ambito di applicazione della normativa comunitaria “ al di là delle discriminazioni fondate su motivi enunciati in modo esaustivo nell’ articolo 1 di quest’ ultima”, negando, nello specifico, che la malattia, diversamente dall’ handicap, rappresenti un fattore di differenziazione vietato.
115 M. T. Xxxxxxx, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi, in xxx.xxxxxxx.xx , 2012, p. 23; in giurisprudenza si x. Xxxx. , 8 agosto 2011, n. 17087, in Riv. giur. lav, 2012, II, 326, ove si parla di una possibile interpretazione estensiva del divieto di licenziamento discriminatorio, tale che l’ area dei motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione inteso come “ ingiusta o arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e, pertanto, accomunata nella reazione”.
per la maternità, l’adozione o l'affidamento, per la domanda o la fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore (art. 54, commi 1, 6, 7 e 9, D.lgs. n. 151/2001).
Le suindicate ipotesi non sono state modificate dall’intervento del legislatore del 2012.
L’art. 35 del D.lgs. n. 198/2006 prevede la nullità del licenziamento intimato a causa di matrimonio. Al riguardo il legislatore prevede una presunzione di nullità per causa di matrimonio di quei licenziamenti di lavoratrici (ma non anche di lavoratori) intimati nel periodo che va dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio sino ad un anno dopo le nozze116.
L’altra forma di vizio regolata dall'articolo 18 è quella “riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge”.
In merito una parte della dottrina ha ritenuto che il concetto di “legge” possa essere esteso fino a farci rientrare anche la Costituzione “quale autentica miniera di diritti giurisprudenziali”117.
116 Sul punto si v. X. Xxxxxx, Il licenziamento nullo, in Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari, 2013, p.279; X. Xxxxxxxxxxx, Licenziamenti nulli: tutela reintegratoria rafforzata, in Commentario alla Riforma Fornero. Licenziamenti e rito speciale, contratti, ammortizzatori e politiche attive, ( a cura di ) X. Xxxxxxx- X. Xxxxxxxx, Dir. prat. Lav, 2012, n. 33, p. 46: l’Autrice sottolinea come una parte della giurisprudenza abbia sostenuto l’ estensibilità della tutela in caso di matrimonio anche nei confronti dei lavoratori e non solo delle lavoratrici; in proposito l’ Autrice segnala alcune sentenze, tra le quali Pret. Salerno, 26 luglio 1989, in Giur. mer. , 1991, 47; Pret. Buccino, 11 luglio 1989, in Lav. prev. Oggi, 1990, 144
117 X. Xxxxxxx, Complimenti dottor Xxxxxxxxxxxx: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”, 2012, p. 21; dello stesso avviso è anche X. Xxxxxx, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav. , 2012, p. 546, il quale ritiene che il concetto di “ altre ipotesi di nullità previste dalla legge” abbia natura di “ norma di natura onnicomprensiva”, secondo la quale sarebbero compresi non solo le ipotesi di frode alla legge, ma anche le ipotesi in cui sarebbero coinvolti “ beni costituzionalmente garantiti”.
Resta fermo che sono sanzionati con il regime della “tutela forte” quei licenziamenti che sono stati adottati in violazione di norme imperative (art. 1418 c.c.) oppure in frode alla legge (art. 1344 c.c.).
L’ultima fattispecie di licenziamento nullo prevista dall’art. 18 St. Lav., come modificato dalla L. n. 92/2012, è quella del recesso causato da “un motivo illecito determinante ai sensi dell’ articolo 1345 del codice civile”.
In proposito una parte della dottrina ha ritenuto che, per come è formulata la norma statutaria, non sia richiesto il requisito dell’“esclusività" del motivo illecito determinante, prevedendo conseguentemente la nullità del licenziamento - e, quindi, il regime sanzionatorio della “tutela forte” a esso conseguente - anche nell’ipotesi in cui il recesso si basi su uno o più motivi legittimi concorrenti118.
Xxxxx dottrina ha ritenuto invece poco convincente la tesi sul presupposto che l’art. 1345 c.c. espressamente stabilisce che “il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe”. Di conseguenza il rinvio operato dalla disposizione statutaria all’art. 1345
c.c. deve esser letto nel senso che il datore di lavoro si è determinato al licenziamento del lavoratore “esclusivamente” per un motivo illecito119.
118 Per tale dottrina, si v. X. Xxxxxxx, L’art. 18, nuovo testo dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 4/06/2012, p. 5;
119 Per tale dottrina, si v. X. Xxxxxxxxx, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, 51-52; X. Xxxxxx, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav. , 2012, p. 556- 557; X. Xxxxxxxxxxx, Licenziamenti nulli: tutela reintegratoria rafforzata, in Commentario alla Riforma Fornero. Licenziamenti e rito speciale, contratti, ammortizzatori e politiche attive, ( a cura di ) X. Xxxxxxx- X. Xxxxxxxx, Dir. prat. Lav, 2012, n. 33, p.45-46
La Suprema Corte di Cassazione ha fatto rientrare in quest’ambito di tutela la fattispecie del licenziamento per ritorsione (diretta o indiretta) sul presupposto che è nullo il licenziamento “quando il motivo ritorsivo, come tale illecito, sia stato l’unico determinante dello stesso, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418, comma 2, c.c., 1345 e 1324 c.c.” .
La Cassazione ha affermato che il licenziamento per ritorsione costituisce ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore (ritorsione diretta) o di altra persona a esso legata (ritorsione indiretta), che attribuisce al licenziamento il connotato dell’"ingiustificata vendetta”120.
L’ultima ipotesi prevista dal comma 1 dell’articolo 18 della L. n. 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012, è quella del licenziamento “dichiarato inefficace perché intimato in forma orale”.
Passando ad analizzare il contenuto della "tutela reale forte”, si nota come la sanzione della reintegrazione con effetti risarcitori pieni applicabile ai licenziamenti nulli di cui al novellato art. 18 St.lav. sia sostanzialmente sovrapponibile a quella prevista ante Riforma Fornero.
Così dalla declaratoria di nullità del licenziamento scaturisce non solo la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (art. 18, comma 1), ma anche il risarcimento del danno commisurato “all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quella della effettiva reintegrazione, dedotto quanto eventualmente percepito nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altra attività lavorativa, fermo restando che “ la misura
120 Cass. ,8 agosto 2011, n. 00000, Xxx. giur. lav, II, 2012, 326 ss. , con nota di Xxxxxxx
del risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto” del lavoratore (art. 18, comma 2).
In merito al concetto di “ultima retribuzione globale di fatto” non si può menzionare sia pure brevemente la disputa dottrinale sul punto.
Una parte della dottrina considera, come base di calcolo, la retribuzione percepita prima del licenziamento con esclusione degli eventuali aumenti economici che siano nel frattempo intervenuti nel periodo successivo al licenziamento121.
Un’altra parte della dottrina fa invece riferimento al concetto di “ultima retribuzione” - come del resto è espressamente disposto nel nuovo art. 18 - intesa come comprensiva di tutti quegli emolumenti che il lavoratore avrebbe ricevuto nello specifico arco temporale che va dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione.
Da ciò discende che con l'espressione “ultima retribuzione” non ci si può che riferire a quella retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito “prima del momento di effettiva riammissione in servizio", comprensiva dunque degli eventuali aumenti contrattuali nel frattempo intervenuti122.
Il comma 2 del nuovo art. 18 St.lav. prosegue affermando che dall’indennità deve essere “dedotto quanto percepito, nel periodo di
121 In questo senso si v. X. Xxxxxx, La riforma Fornero: la (in)certezza del diritto e le tutele differenziate del licenziamento illegittimo, in Riv. it. dir. lav. , fasc. 4, 2012, p. 622; X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 8 ; X. Xxxxxxx, Fatto e valutazione giuridica del fatto nella nuova disciplina dell’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ratio ed aporie dei concetti normativi, in Arg. dir. lav. , 2012, p. 786
000 X. Xxxxxxxx, Xxxxxx causa e giustificato motivo dopo la riforma dell’ art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT- 165/2012, p. 55-56 ; nello stesso senso anche
X. Xxxxxx, Il licenziamento nullo, in Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari, 2013, p. 301
estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative” (il c.d. aliunde perceptum), confermando, per contro, l’esclusione della detraibilità del c.d. aliunde percipiendum, vale a dire quello che il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione123 .
L’ ultimo aspetto da analizzare del regime della "tutela reale forte” è quello contenuto nell’art. 18, comma 3, che prevede la facoltà del lavoratore di “chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro”.
Quindi, secondo questa disposizione, la cessazione del rapporto di lavoro, è collegata alla sola dichiarazione, da parte del lavoratore, di optare per l’indennità monetaria, pari a 15 mensilità non assoggettate a contribuzione, senza essere in alcun modo ricondotta all’effettivo pagamento della stessa da parte del datore di lavoro, come era ritenuto dalla giurisprudenza124.
123La detraibilità dell’ aliunde percipiendum è per legge circoscritta alla sola sanzione della reintegraizione ad effetti risarcitori limitati di cui all’ art. 18, comma 4, L. n. 300/1970. In merito alle conseguenze della detraibilità dell’ aliunde perceptum si v. X. Xxxxxx, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav. , 2012, p. 556; X. Xxxxxx, Il licenziamento nullo, in Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari, 2013, p.299 ss.
124 In passato si è discusso a proposito del momento in cui doveva considerarsi estinto il rapporto in seguito all’ opzione indennitaria. La stessa Corte Costituzionale aveva riconosciuto che il momento estintivo del rapporto non dovesse essere ricollegato alla ricezione, da parte del datore di lavoro, della manifestazione della volontà, bensì al pagamento dell’ indennità sostitutiva ( Corte Cost. 92/1981, in Foro. It. , 92, I, 2044, con nota di D’ Xxxxxx). Conseguenza di questa impostazione fu che permaneva in capo al datore di lavoro l’ obbligo contributivo fino a quando non fosse stata pagata la somma dovuta. Xxxxx stesso avviso fu anche la giurisprudenza, la quale ritenne che, xxxxxx il datore di lavoro non avesse compiuto il pagamento dell’ indennità sostitutiva, permanesse in capo allo stesso non solo l’ obbligo ma anche il diritto del lavoratore a far valere come titolo esecutivo la sentenza che, nel riconoscere la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, ha attribuito a titolo risarcitorio le retribuzioni globali di fatto dalla
Da ultimo il comma 3 dell’ art. 18 St. lav. precisa che “la richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’ invito da parte del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione”125
data del licenziamento a quella della riassunzione ( Cass. 23 dicembre 2009, n. 27147, in Riv. it. dir. lav. , 10, II, 544 ; Cass. 21 dicembre 2009, n. 26890, in Mass. Giur. lav. , 10, 302, con nota di
Menghini ; Cass. 28 luglio 2003, n. 11609, in Lav. giur. , 2003, 6829).
125 Quest’ ultima disposizione è stata particolarmente criticata da una parte della dottrina per il fatto che la facoltà di opzione, concessa al lavoratore, è preordinata alla comunicazione del deposito della sentenza e, quindi alla conoscenza delle motivazioni della dichiarazione di nullità del licenziamento. L’ anticipazione del suo esercizio ( rispetto al deposito della sentenza), a seguito dell’ invito del datore di lavoro a riprendere servizio, potrebbe pregiudicare il lavoratore, costringendolo ad optare per l’ indennità sostitutiva, senza nemmeno avere conoscenza delle ragioni del decisum del Giudice e quindi di tutti quegli elementi che gli consentirebbero una valutazione attenta e ragionata sulla convenienza dell’ opzione facoltativa. In tali termini si v. X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 9.
2.6 La tutela reale “attenuata”
La tutela reale “ attenuata” ( o debole), regolata dall’ articolo 18, come modificato dalla L. n. 92/2012, è prevista, in primo luogo, in caso di assenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo “per insussistenza del fatto contestato” (art. 18, comma 4) o nel caso in cui il fatto rientri “ tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” ( art. 18, comma 4). Deve essere fin da subito segnalato il fatto che il regime sanzionatorio, disposto dall’ articolo 18, comma 4, (reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno non superiore a 12 mensilità di retribuzione globale di fatto, dedotto l’ aliunde perceptum e percipiendum) si applica ai datori di lavoro con più di 15 dipendenti ( o più di 5, nel caso di impresa agricola) nell’ unità produttiva e, in ogni caso, ai datori che occupino alle proprie dipendenze più di 60 dipendenti126. La riforma del 2012 non ha apportato modifiche al concetto di giusta causa e giustificato motivo, per i quali continuano ad operare, rispettivamente, le disposizioni di cui all’ articolo 2119 c.c. e all’ articolo 3 della L. n. 604/1966127. Pertanto, per integrare gli estremi del giustificato motivo soggettivo, occorre che il fatto (l’inadempimento) del lavoratore debba essere “ notevole” (art. 3, L. n. 604/1966), mentre, ai fini della sussistenza della giusta causa, occorre che lo stesso debba essere tale
126 L’ articolo 18, comma 8, della L. n. 92/2012, stabilisce espressamente i necessari requisiti numerici che devono sussistere affinchè operi il regime sanzionatorio previsto dalle disposizioni dei commi dal quarto al settimo dello stesso articolo.
127 Sul punto sono concordi vari Autori; X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav.
, fasc. 2, 2012, p. 439 ; X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 13 ; X. Xxxxxxxx, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 552
da “ impedire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” (art. 2119, c.c.). Uno degli aspetti che ha suscitato più discussioni in dottrina attiene all’ espressione di “insussistenza del fatto contestato”. In proposito una parte della dottrina ha ritenuto che il concetto di “fatto” dovesse essere inteso in senso oggettivo, “materiale”, valutato nei suoi elementi oggettivi (azione/omissione, nesso di causalità, evento) e privo di qualunque connotazione legata alla condotta del lavoratore (dolo, grado della colpa, ecc…)128. In base a questa prospettiva il “fatto” deve essere analizzato nella sua storicità materiale, quale evento concreto, e la sua sussistenza deve essere accertata senza margini per valutazioni discrezionali. Un’altra parte della dottrina, invece, ha qualificato il concetto di “ fatto” come “ fatto giuridico”, comprensivo non solo della pura e semplice condotta tenuta dal lavoratore ma anche degli aspetti connessi al comportamento del lavoratore sotto il profilo dell’ elemento soggettivo (dolo, grado della colpa, ecc…)129. Come è stato osservato, se si prescindesse dalla valutazione del comportamento alla luce della sua qualificazione giuridica, dovrebbero ammettersi anche le
128 Per un’adeguata ricostruzione sul punto, si v. X. Xxxxxxxxx, Il licenziamento disciplinare nell’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Commentario alla Riforma Fornero. Licenziamenti e rito speciale, contratti, ammortizzatori e politiche attive, ( a cura di ) X. Xxxxxxx- X. Xxxxxxxx, Dir. prat. Lav, 2012, n. 33, p.53. Allo stesso modo si sono espressi anche : X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 438 ss. ; X. Xxxxxx, L’ingiustificatezza qualificata del licenziamento: fattispecie ed oneri probatori, in Mass. Giur. lav. , 2012, 744
129 Sul concetto di fatto come “ giuridico” sono concordi vari Autori: X. Xxxxxxxx, I molti nodi irrisolti nel nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 248 ; X. Xxxxxxx, Il licenziamento disciplinare, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 291 ss , il quale ritiene che “ il fatto contestato non può prescindere dalla valutazione dei profili soggettivi della condotta del lavoratore”. ; X. Xxxxxxx, Alla ricerca del fatto nel licenziamento disciplinare, in xxxxx.xxx.xxxxx.xx ,
contestazioni di fatti di scarso o inesistente rilievo130. Opinioni unanimi non si sono registrate neanche nella giurisprudenza. In primis, dopo pochi mesi dall’ entrata in vigore della L. n. 92/2012, si è avuta una prima puntualizzazione sul significato dell’espressione “insussistenza del fatto contestato”, ad opera di un’ Ordinanza del Tribunale di Bologna del 15 ottobre 2012131; in proposito si è affermato che, parlando di fatto, la norma dovesse far necessario riferimento al “c.d. Fatto Giuridico, inteso come globalmente accertato nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l’elemento soggettivo”, quindi non solo al fatto materiale, ma anche all’ elemento psicologico. In secondo luogo, merita di essere segnalata la posizione assunta dalla Suprema Corte di Cassazione nel 2014132, la quale ha voluto precisare che l’ art. 18, L. n. 300/1970, nella sua nuova formulazione, opera una distinzione tra l’ esistenza del fatto materiale e la sua qualificazione come giusta causa o giustificato motivo soggettivo e che, ai fini della tutela reintegratoria, rileva la sola verifica “della sussistenza/insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento”, senza margini per valutazioni discrezionali in proposito. Passando ora
130 Lo stesso X. Xxxxxxxx, I molti nodi irrisolti nel nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 248, ritiene che la lettura del concetto di “ fatto” come fatto prettamente materiale sia “ del tutto priva di ogni, sia pur minimo, barlume di ragionevolezza”. Lo stesso Autore, infatti, si pone una domanda: “ come è possibile che possa essere sufficiente a giustificare il licenziamento l’ allegazione e la successiva prova di un mero fatto materiale del tutto irrilevante dal punto di vista disciplinare?”.
131 Trib. Bologna (ord.) 15 ottobre 2012 ( Xxxxxxx Xxxxxxxxxx), in Riv.it.dir.lav. , 2012, II, 1049 (nota).
132 Cass. Civ. 6 novembre 2014, n. 23669, in Xxxx.xx. , 2015, 2183; nel caso di specie la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte di Appello di Venezia del 18/12/2013, la quale, in riforma della sentenza impugnata, aveva annullato il licenziamento intimato ad un direttore di una filiale di una Banca ai sensi dell’ art. 18, comma 4, L. n. 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012.
all’altra ipotesi, prevista dall’ art. 18, comma 4, della L. n. 300/1970, del fatto che rientra “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”, deve essere fin da subito specificato che, in questo caso, pur sussistendo gli estremi dell’inadempimento imputabile al lavoratore (il fatto, quindi, “sussiste”), è però presente l’ espressa previsione, nel codice disciplinare applicabile a quel rapporto, della condotta addebitata al dipendente licenziato come comportamento punibile con una sanzione conservativa. L’interpretazione dottrinaria del “fatto”, inteso come “fatto giuridico” (nell’ unicum della sua componente oggettiva e soggettiva) sembra che debba trovare conferma proprio alla luce di quest’ ultima fattispecie133. Nella versione precedente all’ approvazione della L. n. 92/2012 si ricollegava l’applicazione della reintegrazione nella sua forma “attenuata” non solo a quelle ipotesi in cui il fatto fosse sanzionato con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari, ma anche sulla base “delle previsioni di legge”, in primis con riferimento al principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’infrazione di cui all’articolo 2106 c.c.134 . Con la formulazione
133 X. Xxxxxxx, Il licenziamento disciplinare, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 292 ss. L’ Autore osserva infatti come la “ riprova matematica dell’identificazione tra fatto ed inadempimento” ( inteso come inadempimento a lui imputabile) risieda proprio nella seconda parte del comma 4, in ragione del fatto che i codici disciplinari ed i contratti collettivi non disciplinano fatti nella loro nuda materialità ma “ inadempimenti che, a seconda della loro gravità, ricevono un diverso trattamento sanzionatorio” ; Xxxx stesso modo è concorde X. Xxxxxxxx, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv.it.dir.lav. , 2012, I, 553
134 Nella prima versione dell’articolo 18, comma 4, approvata dal Consiglio dei Ministri il 23 marzo 2012, la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato per motivi disciplinari poteva essere disposta solo nelle ipotesi di: a) insussistenza del fatto; b) o perché “il fatto rientra tra le
definitiva dell’articolo 18, comma 4, pur mancando il riferimento espresso alle “previsioni di legge”, non si può prescindere dal giudizio di proporzionalità della sanzione (come disposto dall’ art. 2106 c.c.), non essendo abrogato né implicitamente né esplicitamente135. In definitiva, in queste ipotesi, il giudice, per dichiarare l’illegittimità del recesso e disporre così la reintegrazione, dovrà valutare non solo che il fatto risulti esistente, ma abbia anche una portata tale da poter comportare l’applicazione di una sanzione conservativa sulla base del contratto collettivo (applicabile a quel rapporto), del codice disciplinare e della legge136. L’articolo 18, comma 7, secondo periodo, della L. n. 300/1970, dispone che la tutela reintegratoria “attenuata” “possa” essere prevista nel caso in cui il giudice accerti “la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”137. Merita di essere segnalato il fatto che con la
condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili”. Nella versione dello stesso articolo, trasmessa il 5 aprile 2012 al Senato, veniva modificata la seconda condizione, consentendo di procedere alla reintegrazione se “il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della legge, dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”. A tale proposito, X. Xxxxxxx, Ripensando il “nuovo” articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Antona”.IT- 172/2013, p. 43, osserva come la “ Confindustria credeva di aver chiuso una volta per tutte la battaglia interpretativa coll’ottenere che venisse soppresso il riferimento alla “previsione di legge”.
135 X. Xxxxxxx, Complimenti dottor Xxxxxxxxxxxx: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”, 2012, p. 21, ritiene che l’ articolo 2106 c.c. costituisca “l’elemento caratterizzante dello stesso esercizio del potere disciplinare, che come tale lo connatura e lo condiziona nel suo stesso esistere”. Dello stesso avviso è anche X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 12
136 Come ha affermato X. Xxxxxxxx, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv.it.dir.lav. , 2012, I, 555, “ il giudizio di proporzionalità è confermato come elemento essenziale dell’ accertamento del giudice, seppur delegato ad atti esterni, contrattuali o unilateralmente predisposti dal datore di lavoro”.
137 L’articolo 18, comma 7, della L. n. 300/1970, dispone che : “ Il giudice… può altresì applicare la predetta disciplina nell’ ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
riforma del 2012 è stata introdotta un’apposita procedura preventiva ed obbligatoria di conciliazione, disciplinata dal nuovo testo dell’ art. 7 della L. n. 604/1966, da esperire nel caso in cui il datore di lavoro, in possesso dei requisiti dimensionali di cui all’ ottavo comma dell’articolo 18, intenda procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo138. Prima di analizzare il contenuto della normativa predisposta dal novellato articolo 18, comma 7, è opportuno richiamare gli estremi che configurano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’ articolo 3 della L. n. 604/1966, secondo il quale esso dovuto a “ ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Da questa definizione la giurisprudenza ha colto l’occasione, più di una volta, di specificare i requisiti che occorrono per integrare gli estremi del giustificato motivo oggettivo. In primo luogo il giustificato motivo oggettivo si deve basare su delle modifiche strutturali nell’organizzazione aziendale dovute a situazioni non contingenti, comportanti una riduzione della forza lavoro impiegata139 (ad esempio un’esternalizzazione di un segmento produttivo dell’azienda). In tale tal caso è consentito al giudice solo un controllo sulla effettiva sussistenza e veridicità di tali motivi, mentre è fatto divieto di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”.
138 Per un’ approfondita disamina di questa procedura preventiva obbligatoria di conciliazione, si
v. P. Albi, Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 263 ss
139Tra le tante, si x. Xxxx. 14 maggio 2012, n. 7474, in Mass.Giust.civ. , 2012, n. 5, 608; Cass. 28 settembre 2011, n. 19616, in Mass. Giust. civ. , n. 9, 1345. Secondo la giurisprudenza il licenziamento per g.m.o. , per essere legittimo, occorre una crisi non contingente che comporti una soppressione del posto di lavoro e legata a situazioni sfavorevoli dotate di una “ certa stabilità”.
sindacare sul merito delle scelte imprenditoriali (in quanto espressione della libertà di iniziativa economica ai sensi dell’art. 41 Cost.). In secondo luogo, l’altro requisito che serve per configurare il giustificato motivo oggettivo è quello riguardante la sussistenza del nesso causale tra i motivi che hanno comportato la soppressione del posto di lavoro ed il licenziamento del prestatore di lavoro addetto proprio a quel posto140. Il terzo requisito richiesto è quello riguardante la prova (a carico del datore di lavoro) dell’impossibilità di repechàge141, ovverosia l’impossibilità di adibire il lavoratore non solo ad altre mansioni equivalenti, ma anche a mansioni inferiori142 in altre sedi aziendali143. Perché possa essere accordata la tutela reale, seppur nella sua forma “attenuata”, occorre, ai sensi del nuovo articolo 18, comma 7, della L. n. 300/1970, che la mancanza del giustificato motivo oggettivo sia “ manifesta”. Questo aggettivo, in dottrina, ha suscitato notevole perplessità e discussioni in ragione della sua formulazione. Una parte della dottrina ha ritenuto che il concetto di “manifesta insussistenza” dovesse essere inteso come “evidente”144
140 Cass. 26 marzo 2010, n. 7381, in Orient. Giur. lav. , 2010, n. 2, 469 ; Cass. 15 luglio 0000, x. 00000, in Dir. prat. Lav. , 2010, 857, con nota di Xxxxxxx.
141 Sul punto si x. Xxxx. Sez. lav. 4 settembre 2014, n. 18678, in xxxxxxx.xxx, la quale ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, pur non essendo provato tuttavia l’adempimento dell’ obbligo di repechage, di un lavoratore a seguito di numerose assenze qualificate, dalla Suprema Corte, “ a macchia di leopardo” e comunicate all’ ultimo momento dal lavoratore, “ con conseguente mancanza di continuità e proficuità… , da cui derivava una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile da parte della società, risultando la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo, e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale”.
142 Cass. Sez. lav. 1 luglio 2011, n. 14517; Cass. 18 marzo 2009, n. 6552, in Dir. prat. Lav. , 2009, n.
2, 507
143 Secondo un orientamento della Cassazione il datore di lavoro deve fornire la prova di non poter adibire il lavoratore neppure in una sede situata all’ estero; Cass. 15 luglio 2010, n. 16579, in Orient. Giur. lav. , 2011, I, 182
144 X. Xxxxxxxxx, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, p. 58; allo stesso modo, si v anche X. Xxxxxxxxx, La nuova disciplina in tema di licenziamenti, in Riv. it. dir. lav. , 2012, I, 666, il quale
insussistenza, da ravvisarsi nel c.d. “torto marcio”145 del datore di lavoro. Altra parte della dottrina ritiene, forse più correttamente, che “manifesta” debba essere intesa come “ evidente e facilmente verificabile assenza di presupposti giustificativi”146. Ad ogni modo, il novellato articolo 18comma 7, della L. n. 300/1970, dispone letteralmente che, una volta accertata la “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, il giudice “può” applicare la tutela reale attenuata di cui al comma 4 dell’articolo 18. Anche su questo punto si sono registrate delle discussioni in dottrina. Attenendosi al dettato normativo, una parte della dottrina ha affermato che quel “può” deve essere letto come espressione di un potere discrezionale del giudice di ordinare, in caso di “manifesta insussistenza”, la reintegrazione nel posto di lavoro
ritiene che il concetto di “ manifesta” debba essere riferito “ alla maggiore o minore evidenza delle circostanze invocate dal datore di lavoro a fondamento dell’ addotto giustificato motivo oggettivo di licenziamento.” Secondo X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 16, la differenza tra insussistenza semplice e “ manifesta” insussistenza può essere ricercata nel grado di coincidenza “ tra i fatti descritti nella lettera di licenziamento e quelli provati in giudizio ( con onere a carico del datore di lavoro) “ a seguito dei quali può risaltare una “ maggiore o minore coincidenza tra il fatto descritto ed il fatto concreto dal quale ricavare l’ accertamento della “ manifesta” insussistenza “ , quindi l’ applicazione della tutela reale attenuata.
145 X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 443
146 X. Xxxxxxxx, I molti nodi irrisolti nel nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 252. Lo stesso Autore configura come ipotesi di “ manifesta” insussistenza il caso di un lavoratore che viene licenziato perché sostituito da una macchina e la macchina non c’è.; dello stesso avviso anche X. Xxxxxxxx, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. it. dir. lav. , 2012, I, p. 563, ritiene che la “ manifesta insussistenza” debba identificarsi con “ la carenza della ragione organizzativa o quando essa, pur presente, non ha un rapporto causale con il recesso” ( ad esempio in caso di licenziamento per riorganizzazione aziendale inesistente o di scarsissima consistenza, soppressione di un posto di lavoro che in realtà non è stato eliminato, ecc… ). Xxxxx stesso avviso anche X. Xxxxxxx, Ripensando il “nuovo” articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 172/2013, p. 48 ss.
ed il risarcimento del danno, sia pure nella sua forma attenuata147. A tale impostazione se ne è opposta un’altra, da ritenersi preferibile, secondo la quale quel “può” deve essere interpretato come un “deve”, sul presupposto della “tassatività delle condizioni nelle quali la reintegrazione opera”148. L’ultimo gruppo di ipotesi, per le quali è prevista la tutela reale “ attenuata”, è quello regolato dal primo periodo del comma 7 del novellato articolo 18 St. Lav. , il quale dispone l’applicabilità del regime di cui al comma 4 “nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della L. n. 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’ articolo 2110, secondo comma, del codice
147 Il carattere facoltativo della reintegra è sostenuto, tra gi altri, da: X. Xxxxxx, La riforma dei licenziamenti e i diritti fondamentali dei lavoratori, in Relazione di X. Xxxxxx al Convegno del Centro Nazionale Studi di Diritto del lavoro “ Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx”- Pescara, 11 maggio 2012, p. 17, secondo il quale il giudice può valutare, in ciascun caso concreto, “ se la mancanza di alcuna evidenza della perdita attesa indicata dall’ imprenditore possa o no considerarsi indizio di un motivo illecito del licenziamento”. Dello stesso avviso anche X. Xxxxxx, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav. , 2012, p. 577; si v. anche X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p.14; da ultimo anche, X. Xxxxxxxx, Xxxxxx causa e giustificato motivo dopo la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”.IT- 165/2012, p. 50
148 Così X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 443; nello stesso senso si v. anche, X. Xxxxxxxx, I molti nodi irrisolti nel nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx,
X. Xxxxxxx x X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 252 ; X. Xxxx, Riequilibrio delle tutele e flexicurity, in La nuova riforma del lavoro- Commentario alla legge 18 giugno 2012, n. 92, ( a cura di) X. Xxxxxxx,
X. Xxxxxxxxxx, Milano, p. 34; X. Xxxxxxx, Ripensando il “nuovo” articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 172/2013, p. 47, il quale ritiene che, se quel “può” fosse interpretato come un libero esercizio discrezionale da parte del giudice, esso potrebbe configurare anche un’ ipotesi di illegittimità costituzionale per “ manifesta irragionevolezza” dovuta all’ assenza di criteri che limitino la scelta del magistrato se procedere o meno alla reintegrazione. ; in giurisprudenza si x. Xxxx. Xxxxxx, 00 novembre 2012, Est. Xxxxxxx, in xxx.xxxxxxxxx.xx
civile” (c.d. superamento del periodo di comporto). Tale previsione rinviene la propria legittimazione in tre norme costituzionali: l’articolo
2 Cost. nell’ ambito dei doveri inderogabili di solidarietà; nell’ articolo 32 Cost. che tutela specificatamente il diritto alla salute; ed infine nell’articolo 38, comma 3, Cost. che tutela il diritto all’ educazione ed all’avviamento professionale dei soggetti inabili e minorati149. Per quanto riguarda la prima ipotesi si fa riferimento al licenziamento intimato per “l’inidoneità” sopravvenuta “fisica o psichica del lavoratore”. A titolo puramente esemplificativo possono essere richiamati, nella disposizione, i casi regolati nell’ art. 4, comma 4, della L. n. 68/1999 (“ Norme per il diritto al lavoro dei disabili”): i lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni a seguito di infortunio o malattia; i lavoratori divenuti inabili a causa dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro. Vengono inoltre ricondotti in questa disciplina anche quei lavoratori che rientrano nell’ambito dell’ articolo 10, comma 3, della
L. n. 68/1999: lavoratori assunti in quota disabili nell’ipotesi di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro. L’altro riferimento, contenuto nel comma 7 dell’articolo 18 St.lav. , è quello riguardante il licenziamento intimato in violazione dell’articolo 2110, comma 2, c.c. . L’ipotesi è quella attinente la malattia del lavoratore che si protragga oltre il c.d. periodo di comporto, oltre cioè quel lasso di tempo che la legge
149 Per un’interessante ricostruzione giurisprudenziale riguardante questa tipologia di licenziamento, si v. X. Xxxxx, Il nuovo articolo 18 della legge n. 300/1970, in La riforma del lavoro. Primi orientamenti giurisprudenziali dopo la legge Fornero. , Milano, 2013, p. 295 ss ; P. Albi, Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 267 ss.
pretende trascorra, prima che il datore possa recedere dal rapporto, lasso di tempo durante il quale rimane a carico del datore di lavoro il rischio relativo all’ impossibilità di ottenere la prestazione da parte del lavoratore150. Infine, in merito al contenuto della tutela reale “attenuata”, esso risulta descritto nel comma 4 del novellato articolo 18 St.lav.151. Essa stabilisce che il giudice annulli il licenziamento e condanni il datore alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di un’ indennità risarcitoria (fino ad un massimo di 12 mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto) dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto non solo l’aliunde perceptum (come avviene nei casi di licenziamento nullo), ma anche l’aliunde percipiendum (vale a dire quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione). La differenza principale rispetto alla tutela reintegratoria piena risiede nel fatto che in quella “attenuata” non è contemplato un risarcimento totale della perdita
150 Sul punto si x. Xxxx. Sez. lav. , 31 gennaio 2012, n. 1404, in Rep. Foro it. , voce Lavoro ( rapporto), n. 513, la quale ritiene che le regole dettate dall’ articolo 2110 c.c. , per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, prevalgano, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali sia su quella degli articoli 1256, 1463 e 1464 c.c. , e si sostanziano nell’ impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto fino al superamento del limite di tollerabilità dell’ assenza ( c.d. comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel ritenere tale superamento unica condizione di legittimità del recesso.
151 Il comma 4 dell’ art. 18, L. n. 300/1970 dispone che : “ Il giudice… annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’ indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione… “.
economica subito a seguito del licenziamento illegittimo, ma un’ “indennità risarcitoria” con due limiti: il primo è quello della detraibilità non solo dell’aliunde perceptum, anche dell’aliunde percipiendum; il secondo è dato dal fatto che l’indennità, non potendo superare le 12 mensilità, potrebbe essere tale da minimizzare il costo del licenziamento illegittimo posto in essere dal datore di lavoro, e tale da compromettere l’ interesse del lavoratore152. Nelle ipotesi coperte dalla tutela reale “attenuata” il licenziamento è annullato e viene ordinata la reintegrazione; il recesso non è idoneo ad estinguere il rapporto di lavoro che si considera come “mai interrotto”153 ed, a seguito del provvedimento giudiziale, il lavoratore ha diritto alla ricostituzione della propria situazione giuridica in precedenza esistente. Il comma 4, come detto, prevede che l’ indennità risarcitoria debba essere commisurata “all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione”. Così come formulato, quindi, sembrerebbe coprire anche il periodo successivo alla sentenza154. Questo aspetto è stato giudicato diversamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza: la dottrina maggioritaria tende a ritenere che l’indennità risarcitoria debba coprire il c.d. “periodo intermedio”155 (vale a dire quello che intercorre tra il licenziamento sino a quello della decisione del giudice che ordina la
152 Sul punto è particolarmente critico X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 19
153 X. Xxxxxxxxx, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, p. 54
154 Sul punto si v. X. Xxxxx, Il nuovo articolo 18 della legge n. 300/1970, in La riforma del lavoro. Primi orientamenti giurisprudenziali dopo la legge Fornero. , Milano, 2013, p. 307, il quale ritiene che se l’indennità risarcitoria fosse commisurata fino al “ giorno della effettiva reintegrazione”, essa “produrrebbe l’ inaccettabile conseguenza” secondo la quale nessuna conseguenza economica graverebbe sul datore di lavoro che rifiutasse di eseguire l’ordine di reintegrazione.
155 In questo senso, si v. X. Xxxxxxxxx, La nuova disciplina in tema di licenziamenti, in Riv. it. dir. lav.
, IV, 2012, p. 677 ; X. Xxxxxx, La riforma Fornero: la (in)certezza del diritto e le tutele differenziate del licenziamento illegittimo, in Riv. it. dir. lav. , IV, 2012, p. 636
reintegrazione del lavoratore) ; al contrario, la giurisprudenza di merito, in alcune sentenze, ha quantificato l’ indennità rapportandola dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione156.
156 Tra le tante si v. Trib. Roma ( ord.) 8 aprile 2013, Est. Armone- R.G. 32596/2012, in Lav. giur. , 2013, 7, 747 ; Trib. Roma ( ord.) 14 gennaio 0000, Xxx. Xxxxx- X.X. 35289/2012, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx
2.6 La tutela obbligatoria “forte”
L’ ambito di operatività della tutela obbligatoria (c.d. indennitaria) “forte” è definito in via residuale, nel senso che si riferisce a quei casi di insussistenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo o oggettivo per i quali non opera la tutela reale “attenuata”157. E’ previsto che quando sussistono “le altre ipotesi” regolate dai commi 5 e 7 dell’ articolo 18 St.lav. , il giudice “dichiara risolto il rapporto di lavoro” e condanna il datore di lavoro al pagamento di una “indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata da un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”, liquidata secondo criteri fissati dalla legge. Come si è avuto modo di osservare, lo scopo del legislatore è stato quello di voler confermare che, in queste ipotesi, il recesso, sebbene illegittimo, comunque “estingue il rapporto di lavoro”158. Allo stesso tempo è stato riconosciuto come la dichiarazione di risoluzione del rapporto di lavoro non abbia carattere giudiziale, tanto meno con effetto
157 L’ articolo 18, comma 5, della L. n. 300/1970 dispone così: “ Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’ anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo”.
L’ articolo 18, comma 7, della L. n. 300/1970 dispone allo stesso modo che: “… nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo ( oggettivo), il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma…”.
158 X. Xxxxx, Il nuovo articolo 18 della legge n. 300/1970, in La riforma del lavoro. Primi orientamenti giurisprudenziali dopo la legge Fornero. , Milano, 2013, p. 302; sullo scopo delle norme in commento, si v. anche, X. Xxxxxxxx, Giusta causa e giustificato motivo dopo la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”.IT- 165/2012, p. , il quale sostiene che l’ indennizzo economico rispecchi un approccio di “ law and economics” che consente un’ esatta quantificazione del costo del recesso. L’ Autore continua affermando, tuttavia, che questo indennizzo conduce soltanto ad una “mera monetizzazione del licenziamento” come se il bene lavoro “ fosse una qualsiasi merce, traducibile in un prezzo”.
costitutivo, dal momento che l’ estinzione del rapporto di lavoro non può essere ricondotta alla pronuncia del giudice, “ma alla volontà, per quanto non sorretta da giustificazione, del datore di lavoro”159. Il recesso risolve il rapporto di lavoro dalla “data del licenziamento”160. Con riferimento all’ indennità (compresa tra 12 e 24 mensilità), il legislatore prevede espressamente che, per carenza di motivi soggettivi in cui è possibile applicare questa forma di tutela, essa debba essere commisurata, in primo luogo, “all’anzianità del lavoratore” , presumibilmente “di servizio”161, e tenuto conto di altri fattori, quali: il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro; dimensioni dell’attività economica; comportamento e condizioni delle parti162 (art. 18, comma 5, della L. n. 300/1970). Viceversa, nelle ipotesi di licenziamento illegittimo per carenza di giustificato motivo oggettivo i cui è possibile applicare questa forma di tutela, il giudice determina la medesima indennità risarcitoria tenendo conto, oltre che dei parametri già indicati, anche delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento tenuto dalle parti nell’ambito della procedura obbligatoria preventiva di
159 X. Xxxxxx, Licenziamenti: la metamorfosi della tutela reale, in Commentario alla Riforma Fornero. Licenziamenti e rito speciale, contratti, ammortizzatori e politiche attive, ( a cura di ) X. Xxxxxxx- X. Xxxxxxxx, Dir. prat. Lav, 2012, n. 33, p. 37, il quale, a sostegno di questa considerazione, l’ Autore evidenzia come il giudice “dichiari risolto il rapporto, non a caso con effetto dalla data di licenziamento.
160 A tale proposito X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 425, osserva che questa data identifica il momento in cui “ si estingue il rapporto di lavoro anche nel caso di accertata illegittimità del licenziamento”.
161 X. Xxxxxxx, Il licenziamento disciplinare, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 282
162 A tale proposito lo stesso X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p.
425 osserva come “all’anzianità del lavoratore” debba essere riconosciuto un “peso preponderante” rispetto agli altri criteri indicati dal legislatore.
conciliazione di cui all’ articolo 7 della L. n. 604/1966 (art. 18, comma 7, secondo periodo, della L. n. 300/1970). Come espressamente previsto dal legislatore l’ indennità è definita come “onnicomprensiva” e, secondo la dottrina maggioritaria, ha carattere “puro” e, come tale, coprirebbe qualsiasi danno, incluso quello di carattere previdenziale163.
163In questo senso X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 425; M.T. Carinci, Il rapporto del lavoro al tempo della crisi, in xxx.xxxxxxx.xx. p. 21. ; X. Xxxxxxxxx, Il licenziamento individuale e collettivo, Padova, 2012, p. 453 ; X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 16-17
2.7 La tutela obbligatoria “debole”
La quarta ed ultima forma di tutela, disciplinata nel nuovo articolo 18, comma 6, della L. n. 300/1970, come modificato dalla Legge Fornero, si applica nelle ipotesi di “inefficacia del licenziamento”, quali: violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della L. n. 604/1966; violazione della procedura di cui all’articolo 7 della L. n. 300/1970; ed infine, nei casi di violazione della procedura di cui all’articolo 7 della L. n. 604/1966. Questa forma di tutela obbligatoria viene qualificata come “debole” dal momento che riconosce al lavoratore un’ indennità risarcitoria onnicomprensiva “tra un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, determinata in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro”. In dottrina è pacifico che, in tali casi, sebbene non sia espressamente previsto, l’atto di recesso risulta comunque idoneo a produrre l’effetto estintivo del rapporto, comportando il pagamento della predetta indennità risarcitoria164. Lo stesso comma 6 della L. n. 300/1970 ha cura di precisare che tale forma di tutela trova applicazione nelle ipotesi elencate “a meno che il Giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal
164 Sul punto si v. X. Xxxxxxx, Il licenziamento inefficace, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 300; l’ Autore fa notare come nel comma 6 non sia indicato il momento in cui deve considerarsi estinto il rapporto di lavoro. Come affermato dallo stesso “l’apparente lacuna è parzialmente colmata dall’ articolo 1, comma 41, L. n. 92/2012, secondo la quale << il licenziamento intimato all’esito della procedura disciplinare di cui all’articolo 7 della legge 300/1970, oppure all’ esito del procedimento di cui all’articolo 7 della L. n. 604/1966… produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitututiva>>”. ; dello stesso avviso anche X. Xxxxx, Il nuovo articolo 18 dopo un anno di applicazione giurisprudenziale: un bilancio provvisorio, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 181/2013, p. 41
presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo”165. Come è possibile notare nel nuovo sistema il vizio della inefficacia riceve un trattamento diversificato, in ragione del fatto che occorre distinguere, da un lato, tra inefficacia causata dalla comunicazione del licenziamento in forma orale e, dall’altro inefficacia determinata dalla violazione delle norme indicate nel comma 6 dell’ articolo 18 St.lav. . Nel primo caso, l’articolo 18, comma 1, della L. n. 300/1970 dispone che “al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale” (ed indipendentemente dal numero dei lavoratori occupati dal datore di lavoro) debba essere applicata la tutela reintegratoria “ forte” ( reintegrazione più risarcimento del danno non inferiore nel minimo a 5 mensilità)166. Nel secondo caso, invece, è previsto unicamente il pagamento di una indennità dimezzata (da 6 a 12 mensilità). Partendo dall’ ipotesi della “violazione del requisito di motivazione”, una parte della dottrina ha ritenuto che essa debba essere ravvisata nella
165 Il riferimento è rivolto alla reintegra accompagnata da un indennizzo con un massimo di 12 mensilità, alla risoluzione del rapporto con indennizzo compreso tra 12 e 24 mensilità ovvero alla reintegra con indennizzo massimale di 12 mensilità per il caso in cui il difetto di giustificazione riguardi l’addotta incapacità psico-fisica del lavoratore licenziato o relativo al presunto superamento del periodo di comporto per malattia o infortunio; mentre, per il difetto di giustificazione nelle “altre ipotesi” più marginali, ci si riferisce alla risoluzione del rapporto con indennizzo compreso fra 12 e 24 mensilità ( commi 4, 5 e 7 dell’ articolo 18, L. n. 300/1970).
166 La Legge n. 92/2012 ha inciso sui requisiti di forma. La prima modifica è contenuta nell’ articolo 1, comma 37, che, sostituendo il comma 2 dell’articolo 2 della L. n. 604/1966, dispone che “la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. La forma scritta ad substantiam della comunicazione del licenziamento deve essere integrata con la “specificazione” dei motivi e quindi, con la nuova legge viene meno la precedente procedura relativa alla semplice facoltà concessa al lavoratore di richiedere i motivi del recesso al datore. L’uso del termine “specificazione” rende l’obbligo del datore di lavoro più stringente, dal momento che i motivi del licenziamento non devono essere solo indicati, ma anche specificati e quindi non può essere ammessa una generica indicazione. In questo caso il licenziamento è del tutto inidoneo ad estinguere il rapporto, alla stregua del licenziamento nullo perché discriminatorio, con conseguente diritto alla reintegra.
mancanza di motivazione167. Un’altra parte della dottrina, più correttamente, invece, tende a far rientrare nel concetto di “violazione del requisito di motivazione” oltre alla assoluta mancanza di quest’elemento anche la sua difformità rispetto ai requisiti richiesti dallo stesso articolo 2, comma 2, della L. n. 604/1966168. Per quanto riguarda invece le altre due ipotesi regolate dal comma 6 dell’articolo
18 St.lav. , come modificato dalla L. n. 92/2012, occorre far riferimento alla “violazione” della procedura preventiva di conciliazione obbligatoria169 a seguito di un licenziamento per
167 Si v. X. Xxxxxxx, Il licenziamento inefficace, in Commentario alla Riforma Fornero. Licenziamenti e rito speciale, contratti, ammortizzatori e politiche attive, ( a cura di ) X. Xxxxxxx- X. Xxxxxxxx, Dir. prat. Lav, 2012, n. 33, p. 73; l’ Autore sottolinea che, nel caso in cui la motivazione risulti imprecisa, incompleta o insufficiente, si realizzerebbe una violazione non più formale ( e quindi soggetta alla disciplina di cui all’ articolo 18, comma 6, St.lav.), ma sostanziale e quindi no sanabile dal datore di lavoro in virtù del principio della immodificabilità della motivazione.
168 In tal senso, si v. X. Xxxxxxx, Il licenziamento inefficace, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx x X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 302 ; X. Xxxxx, Il nuovo articolo 18 della legge n. 300/1970, in La riforma del lavoro. Primi orientamenti giurisprudenziali dopo la legge Fornero. , Milano, 2013, p. 323.
169 Una delle novità apportate dalla legge Fornero consiste nella previsione di un procedimento preventivo obbligatorio a seguito di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Occorre innanzitutto segnalare che tale procedura conciliativa si applica solo a quei datori di lavoro che abbiano i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, comma 8, St.lav. . Il comma 1 dell’ articolo 7 della L. n. 604/1966 dispone che “ il licenziamento per giustificato motivo oggettivo… deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore”. Il comma 2 dello stesso articolo prosegue affermando che in tale comunicazione “il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo… nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato”. A questo punto, entro il termine perentorio di 7 giorni, decorrenti dalla ricezione della richiesta, la DTL deve convocare le parti ( le quali possono essere assistite, come disposto dal comma 5 dell’ art. 7 della L. n. 604/1966, dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o da un consulente del lavoro) davanti alla Commissione di conciliazione. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro, la procedura può essere sospesa fino ad un massimo di 15 giorni. Una volta avviata questa procedura deve concludersi entro 20 giorni, fatta salva l’ ipotesi in cui le parti, di comune accordo, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se le parti risolvono consensualmente il rapporto, è prevista l’applicabilità dell’indennità di disoccupazione dell’ ASpI ed un’assistenza alla ricollocazione. Se
giustificato motivo oggettivo (ex art. 7, L. n. 604/1966) ed alla violazione della procedura per l’irrogazione di una sanzione disciplinare (ex art. 7, L. n. 300/1970). Come è stato osservato, il vocabolo “violazione” risulta ampio e generico, “poiché potenzialmente riferibile a tutta la gamma che va dall’omissione della procedura alla sua tenuta irregolare, senza distinzione alcuna circa la rilevanza della irregolarità, considerata a sé o nell’economia complessiva”170. Dunque, per il caso di “violazione” del nuovo tentativo obbligatorio di conciliazione, la disciplina di cui all’ art. 18, comma 6, L. n. 300/1970 (c.d. tutela obbligatoria “debole”) trova applicazione non solo quando la procedura in questione sia stata omessa completamente o non siano state rispettate le prescrizioni contenute nell’articolo 7 della L. n. 604/1966 , ma anche in caso di difformità tra i motivi indicati nella procedura conciliativa e quelli indicati nella comunicazione del licenziamento171. Deve essere segnalato il fatto che il dottrina si è assistito ad un vivace dibattito riguardante i confini dell’obbligo procedurale anteriore all’irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo; da un lato, una parte della dottrina ha ritenuto che la procedura preventiva di
invece fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine perentorio di 7 giorni entro il quale la DTL deve convocare l’ incontro, il datore può comunicare il licenziamento al lavoratore.
170 X. Xxxxxxx, Il licenziamento inefficace, in Commentario alla Riforma Fornero. Licenziamenti e rito speciale, contratti, ammortizzatori e politiche attive, ( a cura di ) X. Xxxxxxx- X. Xxxxxxxx, Dir. prat. Lav, 2012, n. 33, p. 74
171 Sul punto la dottrina è concorde. Si v. , tra gli altri, X. Xxxxxxx, Il licenziamento inefficace, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx,
X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 308, il quale osserva come la “ violazione della procedura non impedisce al recesso di produrre i suoi effetti”. L’Autore mette in luce anche il fatto che non si comprende il motivo per il quale tale procedura trovi applicazione unicamente nei confronti dei datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti. ; M. D’Onghia, I vizi formali e procedurali del licenziamento, in Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, ( a cura di) X. Xxxxxx, Xxxx, 0000, p. 365.
conciliazione obbligatoria debba essere esperita solo con riferimento ai licenziamenti “economici”, vale a dire intimati (o intimandi) per un motivo inerente strettamente la sfera dell’impresa, con esclusione, quindi, di quei licenziamenti disposti non solo per sopravvenuta inidoneità psico-fisica del lavoratore, ma anche per superamento del periodo di comporto172; dall’altro lato, è stato sostenuto, invece, che l’obbligo procedurale dovrebbe essere esteso a tutte le ipotesi di giustificato motivo oggettivo, comprese quelle attinenti la sfera personale del lavoratore173. L’ultima ipotesi, regolata dall’art. 18, comma 6, St.lav. , per la quale è prevista l’applicazione della tutela obbligatoria (o indennitaria) “ debole” è quella riguardante la “violazione della procedura di cui all’articolo 7 della L. n. 300/1970”. Come è stato autorevolmente osservato “la disposizione non allude genericamente alla violazione della procedura disciplinare né alla violazione dell’ articolo 7 St.lav. ma solo <<alla violazione della procedura dell’ articolo 7 St.lav.>>”174. Pertanto le possibili violazioni si riferiscono non solo alle ipotesi in cui rilevi la mancanza o
172 In tal senso si veda, tra gli altri, X. Xxxxxxxx, I licenziamenti con vizi di forma e di procedura, in La legge n. 92 del 2012 (Riforma Fornero): un’analisi ragionata, ( a cura di) X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxxx, p. 182
173 In tale direzione si veda, tra gli altri, D. Borghesi- X. Xxxxxxxxx, La procedura preventiva in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, (a cura di) X. Xxxxxxxxx, I licenziamenti individuali e collettivi, Torino, 2013, p. 254 ; X. Xxxxx, Le modifiche alla disciplina dei licenziamenti individuali, in La riforma del lavoro. Primi orientamenti giurisprudenziali, (a cura di) AA.VV. , Milano, 2013, p. 235-236.
174 X. Xxxxxxx, Il licenziamento inefficace, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 305: l’Autore sottolinea, infatti, che non rilevano le violazioni riconducibili al vincolo della necessaria predeterminazione e pubblicità del codice disciplinare ( ex art. 7, L. n.300/1970); in giurisprudenza si segnala Cass. 20 maggio 2011, n. 1119, in Lav. giur. , 2011, 8, 8450, ove si ribadisce l’indirizzo consolidato secondo il quale non è necessaria la pubblicazione in ordine ai comportamenti punibili con il licenziamento ove essi integrano una violazione di obblighi del lavoratore derivanti dalla legge o riconducibili alle regole fondamentali del vivere civile.
l’insufficienza della contestazione disciplinare preventiva175, ma anche con riferimento alle ipotesi di mancata audizione del lavoratore ed, infine, alle violazioni riguardanti i termini stabiliti dalla legge nell’interesse del lavoratore176. Per tutte le ipotesi di “inefficacia” previste dal comma 6 del novellato articolo 18 della L. n. 300/1970, si applica il “regime di cui al quinto comma”, ma con due varianti; la prima riguarda l’indennità risarcitoria “onnicomprensiva” compresa tra 6 e 12 mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto; la seconda attiene, invece, ai criteri di quantificazione dell’ indennità, la quale deve essere rapportata alla “gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro”.
175 Xxxx X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 426 ;
176 L’art. 7, comma 5, L. n. 30/1970, dispone che: “ In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale, non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”. In dottrina, X. Xxxxxxx, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav. , II, 2012, p. 426 ritiene che debbono essere ricomprese anche le violazioni delle procedure disciplinari regolate dai contratti collettivi nazionali di categoria sul presupposto che “ le eventuali procedure contrattuali partecipano della stessa natura di quella legale e, quindi, possono ritenersi ricomprese nel comma 6 dell’ art. 18, secondo un’interpretazione estensiva”.
2.8 La prescrizione dei crediti di lavoro dopo la L. n. 92/2012
Le modifiche, che la L. n. 92/2012 ha apportato alla normativa concernente i licenziamenti individuali, hanno avuto un’inevitabile ricaduta sulla disciplina della prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore, con particolare riferimento al dies a quo della sua decorrenza. Come si rammenta, a seguito degli interventi della Corte Costituzionale sull’argomento, la prescrizione dei crediti di lavoro non decorre in costanza di rapporto177, ad eccezione nell’ipotesi in cui questo rapporto non fosse caratterizzato da una “particolare forza di resistenza, quale deriva da una disciplina che assicuri normalmente la stabilità del rapporto e fornisca la garanzia di appositi rimedi giurisdizionali contro ogni illegittima risoluzione”178. Nello specifico, prima della Riforma Fornero, la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto era legata alla garanzia della stabilità reale del posto di lavoro (ex art. 18, St.lav.); di contro, nei confronti di quei rapporti di lavoro per i quali trovava applicazione solo la tutela “obbligatoria” (ex art. 8, L. n. 604/1966), il dies a quo della prescrizione dei crediti coincideva con il giorno della cessazione del rapporto di lavoro. Questo sistema, tuttavia, è entrato in crisi a seguito della L. n. 92/2012, la quale ha diversificato le tutele previste in caso di licenziamento illegittimo179. Come è stato autorevolmente osservato, la tutela reintegratoria, a seguito della L. n. 92/2012, viene messa “palesemente in discussione”180 dalle modifiche apportate all’
177 Cosi Xxxxx Xxxx., 00 giugno 1966, n. 63, in Xxxx.xx ,1966, I
178 Così Xxxxx Xxxx. 00 novembre 1969, n. 143, in Giust.civ, 1969, I, 319
179 Critico su questo aspetto è X. Xxxxx, Prescrizione dei crediti di lavoro: recenti profili problematici, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 15/12/2015
180 X. Xxxxxxxxx, La riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi: le modifiche all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, in Riforma del lavoro, (a cura di) X. Xxxxxxxxx, Milano, 2012, 265
art. 18 St.lav. . In particolare, la tutela indennitaria diviene la regola ordinaria in caso di licenziamento ingiustificato anche con riferimento a uei rapporti di lavoro che ricadono nell’ambito di applicazione del novellato articolo 18. A tale proposito, è stata sostenuta la necessità di un intervento chiarificatore da parte della Corte Costituzionale181. Da parte della giurisprudenza, inoltre, è stato enucleato un altro principio che può ritenersi incontroverso; si intende far riferimento all’affermazione secondo la quale il requisito della tutela reale del rapporto di lavoro, che ammette la decorrenza della prescrizione della quinquennale dei crediti retributivi in costanza di rapporto, debba essere valutata con riguardo al “concreto atteggiarsi del rapporto medesimo” nel corso del suo svolgimento, e non già alla stregua della qualificazione ad esso attribuita dal giudice all’esito del processo, con un giudizio necessariamente ex post182. In dottrina, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 92/2012, si è discusso se la prescrizione potesse decorrere anche in corso di svolgimento del rapporto di lavoro. La soluzione che sembra debba essere preferita è quella che, a partire dal 18 luglio del 2012 (data di entrata in vigore della legge Fornero), la prescrizione dei crediti retributivi del
181 In questo senso, si v. X. Xxxxxxx, L’ articolo 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’ Xxxxxx”. IT, 4/06/2012, p. 11; in senso contrario, si v. X. Xxxxx, I possibili effetti della Riforma Fornero sul regime di prescrizione dei crediti retributivi, in QFMB Saggi/Ricerche, p. 8-9, il quale ritiene che non sia necessario un intervento della Corte costituzionale per due motivi; il primo riguarda il fatto che, a parere dell’ Autore, il cambiamento del contesto normativo non sembra incidere sul fondamento della sentenza della Corte Costituzionale n. 63/1966, in quanto non si ravvisa in questa pronuncia alcun collegamento tra la stabilità del rapporto e la decorrenza della prescrizione.; il secondo motivo riguarda il fatto che la Corte costituzionale si è “ sempre rifiutata di attribuire valore vincolante alle proprie interpretazioni, attribuendo invece al giudice ordinario l’esclusiva competenza <<a conoscere>> gli eventuali effetti sulla norma derivanti dal mutato contesto normativo”.
182 Cosi Cass. Sez. Un. 28 marzo 2012, n. 4942; in dottrina si v. sul punto, X. Xxxx, Stabilità e prescrizione del lavoro c.d. a tutele crescenti, in I licenziamenti nel contratto <<a tutele crescenti>>, ( a cura di) X. Xxxxxxx, Milano, 2015, p. 174
lavoratore non decorra in pendenza del rapporto di lavoro, neppure se a questo si applichi l’art. 18 della L. n. 300/1970183.
183 In questo senso, in dottrina, si v. P. Albi, Il campo di applicazione della nuova disciplina dei licenziamenti. Diversificazione del sistema rimediale ed effetti sulle garanzie dei diritti, in Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, ( a cura di) X. Xxxxxx, Xxxx, 0000, x. 000 xx ; X. Xxxxxxx, Il licenziamento disciplinare, in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 285, il quale aggiunge che “ il termine di prescrizione decorre in costanza di rapporto in caso di licenziamento nullo in virtù della reintegrazione integrale prevista dall’ art. 18, comma 1, St.lav.”. ; X. Xxxxxxxx, I molti nodi irrisolti nel nuovo art. 18 St.lav. , in Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013 ( a cura di ) X. Xxxxxxx,
X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2013, p. 244, il quale osserva come “ il rapporto di lavoro ha perduto con la riforma del 2012 i rigorosi requisiti di stabilità prefigurati dalla giurisprudenza…”. ;
X. Xxxxxxxxx, La nuova disciplina dei licenziamenti, in Riv.it.dir.lav. , IV, 2012, 656
2.9 La decadenza dall’impugnazione del licenziamento
In origine l’impugnazione del licenziamento era sottoposta ad un termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla ricezione della comunicazione scritta del recesso o, nell’ ipotesi in cui questa non fosse stata contestuale, dei motivi del licenziamento, secondo quanto disposto dall’ articolo 6 della L. n. 604/1966184 . Questo termine di decadenza era stato introdotto a protezione della parte datoriale, al fine di non lasciarla esposta ad eventuali impugnazioni proposte, da parte del lavoratore, a notevole distanza di tempo dall’ avvenuto recesso. Per quanto attiene la forma dell’impugnazione, il licenziamento può essere impugnato con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, tale da manifestare al datore di lavoro la volontà specifica del lavoratore la legittimità del licenziamento, “indipendentemente dalla terminologia usata e senza necessità di formule sacramentali”185. La stessa Corte Costituzionale ha escluso l’illegittimità dell’ articolo 6 della L. n. 604/1966, con specifico riferimento agli articoli 3, 24 e 101 della Costituzione, nella parte in cui prevedeva, con eccessiva genericità, che il licenziamento potesse essere impugnato con qualsiasi “atto scritto”, nel termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, ritenendo che la disposizione
184 L’ articolo 6 del testo originario della L. n. 604/1966 disponeva che: “ Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’ intervento dell’ organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.
Il termine di cui al comma precedente decorre dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento.
A conoscere delle controversie derivanti dall’ applicazione della presente legge è competente il pretore.
185 R. De Xxxx Xxxxxx- X. Xxxxxxxx, Sub art. 6, L. 15 luglio 1966, n. 604, in Commentario breve alle leggi sul lavoro, Milano, 2013, p. 930 ; in giurisprudenza si x. Xxxx. 30 maggio 1991, n. 6102, la quale, nello specifico, ha ritenuto che la lettera, con cui il lavoratore si riservi di adire le vie legali nei confronti del datore di lavoro, costituisca idonea impugnazione del licenziamento.
impugnata, più che imporre una forma vincolata, ha inteso assicurare il controllo in sede giudiziaria sull’osservanza del termine stabilito e l’idoneità a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento186. Una volta che fosse stata impedita la decadenza, anche in via stragiudiziale, l’azione giudiziale (necessaria per far valere l’illegittimità del licenziamento) poteva essere proposta dal lavoratore entro il lungo termine di prescrizione di 5 anni, valevole per le azioni di annullamento e, senza alcun termine, nel caso di licenziamento nullo187. Proprio al fine di porre rimedio a questa situazione, e costringere i lavoratori a proporre l’ impugnazione del licenziamento entro un termine ragionevole, si sono avuti, in successione, due interventi legislativi. Il primo è stato compiuto con la
L. 4 novembre 2010, n. 183188. Ai nostri fini interessa specificatamente la disposizione di cui all’articolo 32 della legge, la quale ha innovato l’articolo 6 della L. n. 604/1966, lasciando invariato il regime dell’ impugnazione stragiudiziale, ma introducendo un ulteriore termine di decadenza per la proposizione dell’ impugnazione giudiziale. L’articolo 6, comma 2, così come modificato dall’ articolo 32 della L. n. 183/2010, prevede che “l’ impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di
000 Xxxxx Xxxx. xxx. 13 maggio 1987, n. 161, in Xxx.xx, 88, I, 1374
187 Sul punto si v. X. Xxxx, Sub art. 6, L. 15 luglio 1966, n. 604, in La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 1993, p. 122
188La Legge n. 183/2010 è intitolata “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’ occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.
tentativo di conciliazione o arbitrato… . Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”. Quindi, dal momento in cui è stata proposta (entro il termine di 60 giorni, a norma dell’ art. 6, comma 1) impugnazione in via stragiudiziale, il lavoratore ha a disposizione 270 giorni per proporre quella giudiziale, tramite deposito del ricorso in giudizio. Infine deve essere segnalato il fatto che il termine di decadenza di 60 giorni è esteso dall’ articolo 32, comma 2, della L. n. 183/2010 “a tutti i casi di invalidità di licenziamento”189. Il secondo intervento legislativo in materia è stato realizzato con la L. n. 92/2012, la quale, con l’articolo 1, comma 38, è intervenuta sul secondo comma dell’art. 6 della L. n. 604/1966, riducendo da 270 a 180 giorni il termine entro il quale il lavoratore, che ha impugnato stragiudizialmente il licenziamento,190 deve proporre il ricorso giudiziale. Il comma 39 dell’articolo 1 prosegue affermando che il nuovo termine di 180 giorni vale per le impugnazioni dei licenziamenti intimati dopo l’entrata in vigore della L. n. 92/2012 (quindi, a partire dal 18 luglio 2012). Infine, per quanto riguarda il dies a quo del termine stabilito per la proposizione del ricorso giudiziale, il comma 2 dell’articolo 6 della L.
n. 604/1966 dispone che “l’impugnazione inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni…” . La dottrina ha interpretato tale norma in modo differente; una parte ha ritenuto che tale termine comincia a decorrere dalla scadenza del termine di 60
189 Sul punto si v. M.V. Ballestrero- X. Xx Xxxxxx, Diritto del lavoro, Torino, p. 513 ss
190 Il comma 38 della L. n. 92/2012 dispone che: “ Al secondo comma dell’articolo 6 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, la parola <<duecentosettanta>> è sostituita dalla seguente <<centottanta>>.”
giorni stabilito per l’impugnazione stragiudiziale191; un’altra parte della dottrina ritiene, invece, che il termine cominci a decorrere dalla data di spedizione di tale impugnazione192; da ultimo, dalla data della sua ricezione da parte del datore di lavoro193.
191 In tal senso si v. X. Xxxxxx, La decadenza nel diritto del lavoro dopo la L. n. 92 del 2012, in GM, 2012, 1862
192 In tal senso si v. X. Xxxxxxxxxxxx, Le regole per le impugnazioni nel c.d. Collegato lavoro, in Mass. Giur. lav. , 2010, 889
193 Così, si v. D. Xxxxxxxx, Licenziamento (aspetti processuali), in I licenziamenti individuali e collettivi, (a cura di) X. Xxxxxxxxx, Milano, 2013, 861
CAPITOLO III
IL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI
3.1 La legge n. 183/2014: finalità
Nel nome della flexsecurity194 il Governo Xxxxx ha portato avanti l’intenzione di rendere più semplici i licenziamenti nel rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, da un lato portando questo contratto in una posizione di centralità, a discapito delle forme di lavoro più flessibili, dall’altro cercando di assicurare ai lavoratori privi di occupazione un’adeguata protezione. Un primo provvedimento è rappresentato dal D.l. 20 marzo 2014, n. 34, ( c.d. Decreto Xxxxxxx, dal nome del ministro che ne è stato il regista), intitolato “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”, successivamente convertito con la legge 16 maggio 2014, n. 78. Questo testo ha eliminato la “causale”, alla quale era condizionata la valida apposizione del termine finale nel contratto di lavoro subordinato: ciò comportando un’importante modificazione del sistema precedente195. Il nuovo “contratto di lavoro a tempo
194 Su questa espressione, si v. il contributo offerto da X. Xxxxxxx, Il contratto a tutele crescenti e la Naspi: un mutamento di “paradigma” per il diritto del lavoro?, in Contratto a tutele crescenti e Xxxxx Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, X. Xxxxxxxx- X. Xxxxxxx ( a cura di), Torino, 2015,
p. 22 ss
195 In data 20 maggio 2014 è entrata in vigore la legge di conversione n. 78 del decreto legge n. 34/2014. A seguito della nuova normativa viene meno la necessità delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo per la stipulazione del contratto a tempo determinato. Pertanto, si libera in modo pressoché generalizzato il contratto a termine dal vincolo delle causali; attualmente, nell’ambito dei 36 mesi, è possibile stipulare rapporti a termine privi di causale che, nel rispetto degli intervalli tra un contratto e l’altro ed utilizzando le
5 proroghe a disposizione, consentono al datore di lavoro di avere una certa flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro per un periodo di 3 anni. Con questo primo provvedimento viene
indeterminato a tutele crescenti” trova un suo primo riconoscimento proprio nell’articolo 1 della L. n. 78/014, dove viene richiamata la “perdurante crisi occupazionale e l’incertezza dell’attuale quadro economico nelle quali le imprese devono operare, nelle more dell’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l’attuale articolazione delle tipologie di contratti di lavoro…”. Il secondo passaggio, riguardante il processo di formazione di questo “contratto a tutele crescenti”, si è avuto con il c.d. “Jobs Act, atto II196”, vale a dire con la legge 10 dicembre 2014, n. 183, recante “ Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”197. La L. n.
soppressa quella che è stata definita da vari Autori, tra i quali X. Xxxxxxx, Ricerche le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act, atto I: la legge n. 78/2014 fra passato e futuro, in Dir. rel. ind. , 2015, I, 26, il “ causalone”. Stesso intervento è stato realizzato anche per il contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato. Mentre nel contratto di apprendistato sono stati solo in parte ridotti gli obblighi formativi gravanti sul datore di lavoro, all’ interno della figura denominata “ apprendistato professionalizzante”. In dottrina si v. X. Xxxxxxxxx, Le disposizioni in tema di servizi per il lavoro e di regolarità contributiva, in Riv. giur. lav.
, 2014, I, 679; X. Xxxxxxxx, L’ultima regolazione del contratto a tempo determinato. La libera apposizione del termine, in Lav. giur. , 2014, 429
196 X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, Legislazione in materia di lavoro il Jobs Act, atto secondo: la legge n. 183/2014, in Xxx.xx. dir. lav. , 2015,I, 2; sul punto si v. anche X. Xxxxxxxx, Le politiche del lavoro del Governo Xxxxx: il Jobs Act e la riforma dei contratti e di altre discipline del rapporto di lavoro, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”. IT- 233/2014, p. 2, il quale ritiene che “la legge delega approvata dal Parlamento ( L. n. 183/2014) è l’atto secondo del Jobs Act, da leggere in connessione con la prima essenziale riforma del contratto a tempo determinato e sull’apprendistato realizzata con il
d.l. 20 marzo 2014, n. 34 ( convertito poi nella L. n. 78/2014)”.
197 Questa legge raggruppa in un solo articolo ( per esigenze di voto di fiducia) un insieme di deleghe che variano dal mercato al rapporto di lavoro, dagli ammortizzatori sociali fino ai servizi ispettivi. I primi due commi raffigurano una riforma della CIG e dell’ ASpI, con lo scopo di “ razionalizzare e uniformare ulteriormente il quadro”, di favorire il “coinvolgimento attivo dei
183/2014 è collegata alla già richiamata flexsecurity, vale a dire ad un modello tipico di alcuni paesi del Nord Europa (in particolare scandinavi), secondo il quale la tutela del lavoratore non dovrebbe essere più garantita ed assicurata nel rapporto di lavoro, bensì nel mercato del lavoro198. Tutto questo deve essere affiancato non solo ad un irrobustimento della gestione unilaterale del rapporto di lavoro da parte datoriale, a cominciare dai licenziamenti (c.d. flessibilità in uscita), ma anche ad una serie di misure che garantiscano un sostegno a quei lavoratori che hanno perso il lavoro e rendano più facile la ricerca di una nuova occupazione, attraverso servizi che offrano un’adeguato orientamento formativo al lavoratore (c.d. sicurezza). E’ solo con l’ articolo 1, comma 7, lettera c), della L. n. 183/2014, che viene nominato espressamente il “contratto a tutele crescenti”199,
percettori” e di “ ridurre gli oneri contributivi”. I commi 3 e 4 contengono le deleghe finalizzate al “riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive”. I commi 5 e 6 riconoscono, invece, al Governo la delega per l’adozione di decreti legislativi di “semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro”.
198 Sul punto si v. la ricostruzione offerta da X. Xxxxxxx, Il contratto a tutele crescenti e la Naspi: un mutamento di “paradigma” per il diritto del lavoro?, in Contratto a tutele crescenti e Naspi Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, X. Xxxxxxxx- X. Xxxxxxx ( a cura di), Torino, 2015, p. 17 ss, il quale analizza il modello di contratto a tutele crescenti prospettato dall’Unione Europea, definendolo come “un contratto caratterizzato da una entry phase piuttosto lunga (aumento graduale dei diritti in base all’anzianità di servizio), seguita da una stability phase, volto a rappresentare una valida ed effettiva alternativa rispetto all’uso dei contratti temporanei”. Un’interessante ricostruzione dei vari modelli di flexsecurity è compiuta anche da M.T. Xxxxxxx, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi: modelli europei e flexsecurity all’italiana a confronto, in xxx.xxxxxxx.xx .
199 L’articolo 1, comma 7, della legge n. 183/2014, dispone che: “ Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi… nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi…”:
disponendo una sostanziale svalutazione della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Allo stesso tempo, il mandato di “promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti”(art. 1, comma 7, lettera b, L. n. 183/2014), ricomprende, come è stato osservato, “la formula dell’articolo 1, comma 01, del D.lgs. n. 368/2001200… già ripresa, non senza un tocco di enfasi, dall’articolo 1, comma 1, L. n. 92/2012, col qualificarlo “cosiddetto contratto dominante, quale forma comune del rapporto di lavoro”201.
c)”previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento”.
200 L’articolo 1, comma 01, del D.lgs. n. 368/2001 dispone che: “ Il contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
201 X. Xxxxxxx, Un contratto alla ricerca di una sua identità: il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ( ai sensi della bozza del d.lgs. 24 dicembre 2014), in WP CSDLE “ Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- p. 2 ; X. Xxxxxx, I licenziamenti nel Jobs Act, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 273/2015, p. 4, è critico su questo punto. Egli osserva come,anche rispetto alla legge Fornero, la nuova disciplina del contratto a tutele crescenti comporti un’ulteriore “marginalizzazione della tutela reale,e nella generalizzazione della sua monetizzazione, peraltro, predeterminata e decisamente al ribasso…”.
3.2 Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23: profili generali
Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, primo decreto di attuazione della Legge-delega n. 183/2014( nello specifico quelle di cui all’art.1, comma 7, lettera c), è intitolato “Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”. Esso non costituisce tecnicamente una nuova tipologia contrattuale, bensì una nuova regolamentazione del comune contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in particolare per quanto riguarda gli aspetti relativi al recesso datoriale (licenziamento individuale e collettivo). Nello specifico, con questo decreto legislativo è stata realizzata una vera e propria revisione della regolamentazione dei licenziamenti, operante per i lavoratori (“operai, impiegati e quadri”, come disposto dall’art. 1, D.lgs. n. 23/2015), assunti con contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015 (vale a dire dal giorno dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale). In questo testo normativo si fa riferimento, come detto, ai licenziamenti individuali, non solo nei confronti dei datori di lavoro per i quali trova applicazione l’articolo 18 della L. n. 300/1970, ma anche nelle “piccole imprese” come nelle “organizzazioni di tendenza” (art. 9, D.lgs. n. 23/2015) ; ai licenziamenti collettivi (art. 10, D.lgs. n. 2015) ; finanche, secondo xxxxxx000, ai licenziamenti effettuati dalla generalità dei datori di lavoro pubblici. Le novità introdotte dal d.lgs. n. 23/2015 assumono una grandissima rilevanza, stravolgendo un assetto che si era formato solo 3 anni prima con la legge Fornero, soprattutto per quei datori di lavoro soggetti all’art. 18
202 E’ questa l’ opinione di X. Xxxxxxx, Il regime sanzionatorio dei licenziamenti nel Jobs Act (un commento provvisorio, dallo schema al decreto), in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 236/2015,
p. 10, secondo il quale “la lettura coordinata della Legge-delega n. 183/2014 e del decreto attuativo non offre riferimenti testuali diretti per concludere nel senso dell’esclusione del pubblico impiego dal nuovo regime sanzionatorio dei licenziamenti”.
St.lav. nonché per coloro che lo sarebbero divenuti “in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto” (art. 1, comma 3, D.lgs. n. 23/2015). Una prima caratteristica della nuova disciplina del “ contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è la marginalizzazione della reintegrazione nel posto di lavoro, che, da regola, diventa eccezione203. Essa è limitata ai casi di nullità espressamente previsti dalla legge: licenziamento discriminatorio ovvero riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge e nell’ipotesi di licenziamento intimato in forma orale (art. 2, comma 1, D.lgs. n. 23/2015) ; nel caso in cui “il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore (art. 2, comma 4, D.lgs. n. 23/2015). L’assenza della giusta causa e del giustificato motivo viene, a seguito del decreto in commento, sanzionata esclusivamente con un risarcimento economico, fuorchè la fattispecie del “licenziamento disciplinare” (anche essa circoscritta) nel caso in cui “sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore” (art. 3, comma 2, D.lgs. n. 23/2015). Come è stato osservato, si tratta di una “svolta di tipo copernicano… che innesca un processo di superamento della normativa originariamente prevista
203 In questo senso, si v. X. Xxxxxxx, Il contratto a tutele crescenti e la Naspi: un mutamento di “paradigma” per il diritto del lavoro?, in Contratto a tutele crescenti e Naspi Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, X. Xxxxxxxx- X. Xxxxxxx ( a cura di), Torino, 2015, p. 30-31 ; X. Xxxxxxxx, La tutela del lavoratore in caso di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, in Contratto a tutele crescenti e Naspi Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, X. Xxxxxxxx- X. Xxxxxxx ( a cura di), Torino, 2015, p. 128; X. Xxxxxxxx, Profili costituzionali del contratto di lavoro a tutele crescenti, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 246/2015, p. 4
dall’art. 18 della legge n. 300/1970”204. Un secondo aspetto da sottolineare riguarda l’introduzione di una forma di conciliazione volontaria per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti illegittimi, disciplinata all’articolo 6 del D.lgs. n. 23/2015; il datore di lavoro ha la possibilità di offrire al lavoratore, entro il termine di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni dalla ricezione del recesso), un importo pari ad una mensilità di retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, per ogni anno di servizio (in misura non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità), che non costituisce reddito imponibile e non è assoggettato a contribuzione previdenziale,e la cui accettazione da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento (anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta). In ultima analisi l’articolo 10 del decreto legislativo n. 23/2015 disciplina la materia dei licenziamenti collettivi in una linea di continuità rispetto a quella dei licenziamenti individuali; in caso di licenziamento collettivo “intimato senza l’osservanza della forma scritta”, esso è assoggettato al regime della reintegrazione, mentre in caso di violazione dei criteri di scelta di cui alla L. n. 223/1991 consegue l’applicazione di una sanzione economica, come definita dall’ art. 3, comma 1, D.lgs. n. 23/2015 (in misura non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità).
204 Così X. Xxxxxxxx, La tutela del lavoratore in caso di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, in Contratto a tutele crescenti e Naspi Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, X. Xxxxxxxx- X. Xxxxxxx ( a cura di), Torino, 2015, p. 104
3.3 L’ambito di applicazione del D.lgs. n. 23/2015
Gli articoli 1 e 9, D.lgs. n. 23/2015, approvati in attuazione della legge-delega n. 183/2014, disciplinano l’ambito di applicazione del contratto a tutele crescenti. L’articolo 1, comma 1, D.lgs. n. 23/2015, stabilisce che il nuovo regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo trovi applicazione nei confronti dei “lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati e quadri assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto” (vale a dire a partire dal 7 marzo 2015). Il contratto a tutele crescenti sostituisce il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato limitandosi ad introdurre un nuovo modello di statuto protettivo contro i licenziamenti, la cui sfera di applicazione, ratione temporis, resta esclusivamente condizionata dalla data di costituzione del vincolo obbligatorio (ante o post d.lgs. n. 23/2015). Il provvedimento in esame esclude dal suo campo di applicazione i “dirigenti”, nei confronti dei quali rimane ferma non solo la disciplina previgente del licenziamento di cui all’articolo 2118 e 2119 c.c. , ma anche la tutela che riconosce al dirigente, licenziato ingiustificatamente, un’indennità supplementare collegata ad un certo numero di mensilità della retribuzione globale di fatto tra un minimo ed un massimo prestabiliti205. In ogni caso rimane ferma, nei confronti
205 Sull’esclusione della categoria dei “dirigenti” dal campo di applicazione dell’art. 1 del D.lgs. n. 23/2015, si v. X. Xxxxxxx, Il regime sanzionatorio dei licenziamenti nel Jobs Act (un commento provvisorio, dallo schema al decreto), in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 236/2015, p. 12; X. Xxxxxxx, Il campo di applicazione della disciplina dei licenziamenti nel d.lgs. n. 23/2015, in I licenziamenti nel contratto <<a tutele crescenti>>, X. Xxxxxxx (a cura di), Milano, 2015, p. 116- 117, mette in luce il fatto che la scelta di esclusione della categoria dirigenziale “appare in parziale controtendenza rispetto all’articolo 16 della L. n. 161/2014 (c.d. legge europea 2013- bis)”, la quale include i dirigenti nel novero delle categorie dei lavoratori da conteggiare fra gli esuberi di personale ai fini dell’applicabilità della procedura collettiva. ; X. Xxxxx, Il dilemma
della categoria dirigenziale, l’applicazione della disciplina di cui all’articolo 18, commi 1, 2 e 3, St.lav. , come modificato dalla L. n. 92/2012206. Per come è formulato l’articolo 1 del D.lgs. n. 23/2015, le nuove disposizioni non sembrano possano essere applicate all’apprendistato207, dal momento che tale disciplina è riservata “agli operai, impiegati e quadri”. Ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.lgs. n. 23/2015, “le disposizioni del predetto decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva (al 7 marzo 2015) all’entrata in vigore del presente decreto… di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”. In tal caso si avrà un contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Quindi, per come risulta formulato il comma 2, l’applicazione della disciplina delle “tutele crescenti” trova applicazione unicamente nell’ipotesi della trasformazione (successiva al 7 marzo 2015) del contratto di apprendistato in un normale di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato208. Si ritiene che
delle tutele nel nuovo diritto del lavoro: i campi esclusi dalla riforma del Jobs Act, in Arg. dir. lav. , II, 2015, 292
206 Ai sensi dell’art. 18, comma 1, L. n. 92/2012, la reintegrazione “piena” si applica anche ai dirigenti in caso di licenziamento discriminatorio, nullo ed intimato in forma orale.
207 Categorico sull’esclusione degli “apprendisti” è X. Xxxxxxx, Il campo di applicazione della disciplina dei licenziamenti nel d.lgs. n. 23/2015, in I licenziamenti nel contratto <<a tutele crescenti>>, X. Xxxxxxx (a cura di), Milano, 2015, p. 115- 116; si v. anche X. Xxxxxxx, L’ambito di applicazione della nuova disciplina, in Contratto a tutele crescenti e Naspi, X. Xxxxxxxx- A. Perulli ( a cura di), Torino, 2015, p. 62, secondo il quale all’apprendistato non si applicano, al momento della stipulazione, le tutele crescenti. ; X. Xxxxxxxxxx, La disciplina dei licenziamenti dopo il Jobs Act, in Guida lav./ Il sole 24Ore , 18/2015, p. 3-4, il quale mette in evidenza il fatto che gli apprendisti acquisiscono la qualifica solo alla fine del periodo di formazione, essendo il contratto di apprendistato costituito da una prima fase di formazione, in cui entrambe le parti possono recedere solo motivatamente, ed una seconda fase eventuale a regime ordinario, che si svolge solo nel caso in cui le parti non si siano avvalse del diritto di recesso.
208 X. Xxxxxxxxxx, Il contratto a tutele crescenti: spazi di applicabilità in caso di apprendistato e somministrazione di lavoro, in I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Adapt Labour Studies, e-book series, n. 37 p. 111, il quale sottolinea come il contratto di apprendistato, solo al termine del periodo di formazione, “là dove non venga esercitata la facoltà di recesso, <<il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato>>, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera m, del d.lgs. n.