PROTOCOLLO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO DELLA SINDROME DA IPERATTIVITÀ E DEFICIT DI ATTENZIONE
PROTOCOLLO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO DELLA SINDROME DA IPERATTIVITÀ E DEFICIT DI ATTENZIONE
PER IL REGISTRO NAZIONALE DEL METILFENIDATO
INDICE
1 INTRODUZIONE 3
2 PREMESSA 4
3 EPIDEMIOLOGIA 4
4 DIAGNOSI 5
4.1 Interviste diagnostiche 6
4.2 VALUTAZIONE DEI SINTOMI DELL’ADHD 6
4.3 Questionario per i genitori e per gli insegnanti 6
4.4 Valutazione del livello cognitivo 6
4.5 Valutazione delle abilità di lettura e calcolo 6
4.6 Scale di autovalutazione per ansia e depressione 6
5 TERAPIE 6
5.1 Terapie psico-comportamentali 6
5.1.1 La terapia psico-comportamentale 6
5.1.2 Il parent training 6
5.1.3 L’intervento a scuola 6
5.1.4 Ogni terapia va adattata al bambino 6
5.2 Terapie Farmacologiche 6
5.2.1 Farmacologia clinica del metilfenidato 6
5.2.2 Farmacocinetica. 6
5.2.3 Altre terapie farmacologiche 6
5.3 Terapie combinate 6
BIBLIOGRAFIA 6
1 INTRODUZIONE
La Consensus Conference italiana sulla Sindrome da iperattività con deficit di attenzione, svoltasi a Cagliari nel marzo 2003, aveva richiamato l’attenzione sulla necessità di poter disporre di tutti gli strumenti terapeutici esistenti, di comprovato beneficio, per ottimizzare il trattamento dei soggetti affetti da questa sindrome. Nei mesi successivi, la Commissione Unica del Farmaco (CUF), ha riclassificato il Metilfenidato spostandolo dalla tabella I alla tabella IV e ne ha approvato l’uso per il trattamento dell’ADHD mediante predisposizione di piani terapeutici individuali. L’autorizzazione all’immissione in commercio del Metilfenidato in Italia, dispensabile da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), rende necessario il monitoraggio dell’uso di questa sostanza nella popolazione pediatrica affetta dalla Sindrome da iperattività con deficit di attenzione (ADHD), trattata con questo farmaco da solo o in associazione con altri farmaci o con terapie non farmacologiche, al fine di garantirne la sicurezza d’uso. Per soddisfare questa necessità istituito un registro nazionale coordinato dal Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco, la Conferenza permanente degli Assessori alla Sanità delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e con la Direzione Generale dei Medicinali e dei Dispostivi Medici del Ministero della Salute.
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2 PREMESSA
La sindrome da iperattività/deficit di attenzione (ADHD) è uno dei più comuni disordini dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi. La sindrome si manifesta generalmente prima dei 7 anni d’età.
E’ stata descritta clinicamente e definita nei criteri diagnostici e terapeutici soprattutto ad opera degli psichiatri e dei pediatri statunitensi (DSM-IV; DSM-PC) (1-2). Su questi temi si è raggiunto un sufficiente consenso nella comunità scientifica internazionale.
In Italia, l’istituzione del registro nazionale del Metilfenidato è il risultato di un processo le cui tappe principali sono:
🞆 Giugno 2002 pubblicazione delle Linee guida della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza (SINPIA);
🞆 Marzo 2003 Conferenza italiana di consenso a Cagliari;
🞆 Luglio 2003 Decreto CUF di riclassificazione del Metilfenidato e approvazione per la terapia dell’ADHD;
🞆 Febbraio 2004 il Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità e l’Agenzia Italiana del Farmaco attivano il Registro nazionale del Metilfenidato;
🞆 Giugno 2004 decreto che autorizza l’immissione in commercio del Metilfenidato.
Il registro vincola la prescrizione del Metilfenidato alla predisposizione di un piano terapeutico semestrale da parte del Centro clinico accreditato (Centro di riferimento). Questo passaggio è finalizzato a garantire accuratezza diagnostica e ad evitare un uso improprio del farmaco.
3 EPIDEMIOLOGIA
Tra il 1982 e il 1996 sono stati condotti dieci studi che, basandosi sui criteri diagnostici del “Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-III)”, hanno valutato la prevalenza di ADHD. A seconda degli studi, si hanno valori di prevalenza che oscillano tra il 4% e il 12%. Una revisione sistematica di questi studi, ad opera di Xxxxx e colleghi (3), utilizzando il modello degli effetti random per i pool di dati altamente eterogenei, stima una prevalenza del 6,8% (95% C.I. 5-9%) con i criteri del DSM-III e del 10,3% (95% C.I. 7.7-13.4%) utilizzando i criteri del DSM-IIIR.
Esiste un solo studio di prevalenza basato sui criteri del DSM-IV che stima un valore di ADHD del 6.8%.
La prevalenza tra i maschi è tre volte più alta che nelle femmine: 9.2% (95% C.I. 5.8-13.6%) vs 3% (95% C.I. 1.9-4.5%).
In Italia, uno studio condotto in due regioni del centro su un campione di 232 bambini ha evidenziato una prevalenza del 3.6%, in base alla presenza di almeno 8 criteri maggiori del DSM-IIIR. Un ulteriore 6.9% era un caso potenziale (4). Lo studio, condotto nelle scuole di Firenze e Perugia, nel 1993, ha individuato 9 casi su 250 bambini esaminati. Lo studio del 1998, con i pediatri della città di Torino, ha dato una prevalenza del 2,52%. In questo caso la popolazione era di 47,781 assistiti e sono stati individuati 1.203 casi. Uno studio del 2002, in Friuli Venezia Giulia, su 64.800 bambini è risultato suggestivo per ADHD in 280 casi con una prevalenza dello 0,43%. A Roma sono stati condotti due studi, nel 1999 e nel 2003. Nel primo la prevalenza è stata del 1,51% (12 casi su 794 bambini esaminati), nel secondo la prevalenza è stata dello 0,91% (23 casi su 2.511 bambini). Questi due studi sono stati condotti dai pediatri di libera scelta. Lo studio di Cesena del 2003, condotto dai Servizi territoriali su una popolazione di 11.980 soggetti di età compresa tra 7 e 14 anni, ha dato una prevalenza di ADHD del 1.1% (131 casi).
4 DIAGNOSI
Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività è “una situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo” (DSM-IV). La disattenzione, l'iperattività e l’impulsività sono comunemente noti come i sintomi chiave di questa sindrome. Essi devono essere presenti per almeno 6 mesi ed aver fatto la loro comparsa prima dell'età di 7 anni. La International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-10) dell'Organizzazione mondiale della sanità utilizza il termine “disturbo ipercinetico” per una diagnosi definita più restrittivamente (5). Essa differisce dalla classificazione del DSM-IV in quanto tutti e tre i problemi di attenzione, iperattività e impulsività devono essere contemporaneamente presenti e deve essere soddisfatto il criterio più rigoroso della loro presenza in una molteplicità di setting, mentre la presenza di un altro disturbo costituisce un criterio di esclusione. In base ai criteri diagnostici sistematizzati nel Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-III; DSM-IIIR; DSM-IV) e nel Diagnostic and statistical manual for primary care, child and adolescent version (DSM-PC). la diagnosi di ADHD si basa sulla presenza di:
⮚ 6 o più dei 9 sintomi di disattenzione
oppure
⮚ 6 o più dei 9 sintomi di iperattività\impulsività.
La Consensus Conference italiana ha definito i criteri e gli strumenti necessari per una corretta diagnosi di ADHD. Questi criteri sono esposti in dettaglio nelle linee guida SINPIA “ADHD: Diagnosi & terapia farmacologi che”. Di seguito si sintetizzano gli aspetti salienti del processo diagnostico.
4.1 Interviste diagnostiche
La Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia-Present and Lifetime version (K- SADS-PL) e’ stata adattata da Xxxxxxx et al. (1997) dalla versione originale di Xxxx- Xxxxxx et al (1980). Essa e’ costituita da un’intervista semi-strutturata che registra informazioni sui sintomi psichiatrici e sul funzionamento sociale degli adolescenti al momento della somministrazione e raccoglie informazioni relative agli anni precedenti. Sebbene il nome includa soltanto i Disturbi Affettivi e la Schizofrenia, la K-SADS-PL codifica tutti i maggiori sintomi psichiatrici dell’infanzia ed adolescenza e permette di formulare diagnosi secondo i criteri del DSM-IV. La K-SADS- PL comprende inoltre un sommario delle informazioni diagnostiche riguardanti tutta la vita del paziente e la Children’s Global Assessment Scale (C-GAS; Xxxxxxx et al. 1983), per una valutazione sintetica del funzionamento adattivo.
La Parent Interview for Children Symptoms, revised for DSM-IV (PICS IV, Xxxxxxxx et. al. 2002), può essere considerata lo strumento diagnostico nordamericano più vicino alla realtà europea ed italiana in particolare. Lo strumento e’ stato standardizzato (sebbene senza differenziazione “ etnica”) a Toronto, Canada, dove circa in un quinto della popolazione ha origine italiana (immigrazione in gran parte tra il 1945 ed il 1965), e ancora parla la lingua od un dialetto italiano. La PICS-IV e un’intervista semistrutturata specificamente sviluppata per la diagnosi dei disturbi dirompenti del comportameto (ADHD, Disturbo oppositivo-provocatorio e Disturbo di condotta) e per lo screening di altri disturbi psichiatrici. E stata derivata dal Kiddie SADS e dalla PACS (Xxxxxxxx 1989; Xxxxxx 1986). All’intervistato viene richiesto non di quantificare ma di descrivere il comportamento del bambino, che viene poi valutato in maniera quantitativa dell’intervistatore. L’intervistatore incoraggia i genitori a descrivere il bambino con un dettaglio sufficiente a stabilire se uno specifico sintomo (comportamento) e’ clinicamente significativo, anche considerando fattori che possano modulare la percezione da parte del genitore, quali ambiente sociale, livello culturale, pregiudizi, etc.
4.2 Valutazione dei sintomi dell’ADHD
Scala di valutazione dei sintomi dell’ADHD e dei sintomi dei disturbi dirompenti del comportamento: E’ possibile usare sia l’ADHD Rating Scale (DuPaul; 18 items che corrispondono ai sintomi riportati dal DSM-IV) che la SNAP–IV (Xxxxxxx, Xxxxxx, and Xxxxxx) simile alla precedente ma con in più gli 8 items relativi al disturbo oppositivo provocatorio ed i 15 relativi al disturbo di condotta.
La gravità dei sintomi è misurata con il Clinical Global Impression – ADHD- Severity (CGI- ADHD-S; Guy 1976; NIMH 1985)
4.3 Questionario per i genitori e per gli insegnanti
Sono generalmente utilizzate le Conner’s Rating Scale o la CBCL .
Delle Conner’s Parent & Teacher Rating Scale-revised [CPRS-R; CTR-R; Xxxxxxx 1997] esistono una versione lunga (CPRS-R-L 80 items; XXXX-X-X 00 items) ed una breve (CPRS-R-S 27 items; CTRS- R-L 28 items). Esiste inoltre una scala di autovalutazione per adolescenti, sia in forma lunga (CASS:L 87 items) che breve (CASS:S 27 items). Utilizzare per genitori ed insegnanti le forme lunghe di cui esiste una traduzione autorizzata italiana con ritraduzione dall’italiano all’inglese, ed e’ in corso una validazione italiana. Le scale di Xxxxxxx sono state utilizzate in centinaia di studi riportati nella letteratura anglosassone (Xxxxxxxxxx et al. 1996). Esse permettono di rilevare importanti informazioni sul comportamento sociale, accademico ed emotivo dei bambini di età compresa tra i 3 17 anni. Composta da 8 items, la versione rivista (1997) permette non solo di misurare gli aspetti dimensionali, valutando Oppositivita’, Problemi cognitivi, Iperattivita’, Ansieta’-timidezza, Perfezionismo, Problemi di socializzazione, Problemi di natura psicosomatica, ma anche di definire una diagnosi categoriale di alcuni disturbi dirompenti del comportamento, ed in particolare il Disturbo da deficit attentivo con iperattività.
In alternativa si possono utilizzare le diverse versioni della Child Behaviour Check list (CBCL 6-18;
113 Items, Xxxxxxxxx 2001) e Teacher Report Form (TRF; Xxxxxxxxx 2001). Anche di tali questionari è in corso la validazione italiana. Lo svantaggio principale e’ costituito dal maggior numero di Items.
4.4 Valutazione del livello cognitivo
E’ pratica comune utilizzare la classica Scala di Intelligenza Xxxxxxxx per bambini Riveduta (WISC-R, OS, Firenze , 1994). Sebbene la compilazione di tutte le prove che compongono la scala permetta, oltre che valutare il livello cognitivo complessivo del bambino, anche di raccogliere numerose informazioni utili sul funzionamento cognitivo del soggetto, nella gran parte dei casi può essere opportuno utilizzare i soli items Aritmetica, Vocabolario, Cubi e Storie figurate. Utilizzando la taratura italiana di Xxxxxx, e’ possibile convertire il punteggio ottenuto per queste prove ottenendo valori di Q.I. totale, verbale e di performance, corrispondente a quelli ottenibili con l’esecuzione della batteria completa. Tale procedura ridotta è quella da utilizzare per la valutazione dei bambini afferenti al Registro nazionale ADHD.
4.5 Valutazione delle abilità di lettura e calcolo.
Uno dei più frequenti motivi d’invio dei bambini con ADHD alle strutture sanitarie è costituito dalle difficoltà scolastiche. E’ necessario eseguire sui bambini in età scolare una rapida prova di screening delle abilità di lettura e comprensione del testo, ed alcune semplici prove di calcolo aritmetico,utilizzando le Prove MT (Xxxxxxxx & Colpo) per la valutazione delle abilità di lettura e comprensione del testo, integrate, nei casi dubbi, dalle Prove 4, 5 e 6 della Batteria per la valutazione della dislessia di Xxxxxxx, Tressoldi e Job.
Per le prove di calcolo si usano le prove della batteria AC-MT (Cornoldi) per le Abilità del Calcolo. Queste ultime vanno ripetute nel corso del test da singola dose di metilfenidato (vedi oltre). In alternativa possono essere utilizzate le prove della Batteria per la valutazione delle abilità matematiche di Xxxxxxxx & Xxxxxxxxxx Xxxxx (vedi oltre).
Diverse figure professionali possono somministrare tali prove: medico, psicologo, logopedista, educatore professionale, (psico) pedagogista. Questa figura professionale va utilizzata anche per la gestione dei rapporti con le istituzioni scolastiche, cruciali nella vita del bambino.
4.6 Scale di autovalutazione per ansia e depressione.
Bambini ed adolescenti sono gli informatori migliori per i propri sintomi internalizzanti, più attendibili di genitori ed insegnanti. Le informazioni dirette devono essere integrate dalla compilazione della Scala di Auto-Valutazione dell’ansia per Bambini (Multidimensional Anxiety Scale for Children [MASC]; March, 1997; 39 items) e dal Questionario per la Depressione nei Bambini (Children Depression Inventory, [CDI], Xxxxxx 1992; 27 items).
5 TERAPIE
I soggetti affetti da ADHD possono essere sottoposti a terapie: Psico-comportamentali
Farmacologiche (Metilfenidato)
Combinate (Psico-comportamentali+farmacologiche).
5.1 Terapie psico-comportamentali
5.1.1 La terapia psico-comportamentale
La terapia psico-comportamentale include un ciclo di incontri di Parent Training (svolto in gruppo o singolarmente in base alle caratteristiche dei genitori) e la consulenza sistematica agli insegnanti. Il Parent Training è composto di 10 sedute semi-strutturate secondo il manuale di Vio, Xxxxxxxxx e Offredi (1999) che include una serie di informazioni sul ADHD e altre attività formative relative alla comprensione del problema e l’applicazione di strategie comportamentali. La consulenza sistematica agli insegnanti include 4 incontri con gli insegnanti secondo le indicazioni del testo di Xxxxxxxx e collaboratori (Xxxxxxxx, De Meo, Offredi e Vio, 2001); consiste in una serie di attività di osservazione e comprensione delle caratteristiche del bambino per diventare capaci di modulare le richieste degli insegnanti e ridurre i comportamenti disfunzionali del bambino con ADHD.
5.1.2 Il parent training
Dalla fine degli anni Sessanta hanno cominciato a comparire una serie di progetti di “Parent Education” e di “Parent Training” in particolare nei Paesi di cultura anglosassone, finalizzati all’incremento delle abilità genitoriali nel gestire i problemi che quotidianamente possono insorgere nell’educazione, anche a prescindere dall’eventuale presenza di figli particolarmente “difficili” o con diagnosi di ADHD. La necessità di operare in modo attento e sistematico anche con i genitori di questi bambini nasce da almeno quattro considerazioni: 1) la famiglia è una risorsa importante per cercare di favorire i comportamenti positivi del bambino, soprattutto nell’età prescolare; 2) il lavoro con il bambino, a volte non è sufficiente per osservare l’apprendimento di adeguati comportamenti a casa e a scuola; 3) l’istinto materno e paterno, ovvero la disponibilità dei genitori ad affrontare le problematiche sollevate dal figlio con ADHD, non sono sufficienti a modificare i comportamenti iperattivi e/o la disattenzione; 4) la frequente presenza di relazioni disfunzionali dei membri della famiglia con il bambino ne aggravano il suo profilo psicologico.
Il parent training è stato suggerito come una via per migliorare il comportamento di bambini con ADHD aiutando i genitori a riconoscere l’importanza delle relazioni con i coetanei, ad insegnare, in modo naturale e quando ve n’è il bisogno, le abilità sociali e di crescita, ad acquisire un ruolo attivo nell’organizzazione della vita sociale del bambino, e a facilitare l’accordo fra adulti nell’ambiente in cui il bambino si trova a vivere. I parent training sono piuttosto mirati e tendono a distinguere le problematiche coniugali dagli aspetti relativi all’educazione dei figli. Gli incontri si possono svolgere a gruppi di 5-6 coppie, oppure singolarmente. Il clinico è in grado di valutare se i genitori possono trarre giovamento dal gruppo, perché riescono ad integrarsi e a dialogare con gli altri, oppure necessitano di un confronto diretto perché la complessità della situazione lo richiede, oppure perché hanno difficoltà nel comprendere le interazioni e le consegne.
I più efficaci programmi di parent training utilizzano una combinazione di materiale scritto e di istruzioni verbali. Ai genitori viene insegnato a dare chiare istruzioni, a rinforzare positivamente i comportamenti accettabili, a ignorare alcuni comportamenti problematici, e a utilizzare in modo efficace le punizioni. Accanto all’insegnamento di tecniche comportamentali, un passaggio molto importante riguarda l’interpretazione che i genitori fanno dei comportamenti negativi del figlio. Come nel training con il ragazzo, è fondamentale lavorare sulle attribuzioni perché da queste dipende il loro vissuto e benessere, e di conseguenza il modo di porsi nei confronti del figlio.
La prima sezione di introduzione prevede la comprensione del problema, la preparazione al cambiamento e la definizione del problema. Durante gli incontri mirati alla comprensione del problema vengono fornite delle informazioni corrette sul ADHD, si creano delle aspettative realistiche riguardo all’intervento, si raccolgono delle informazioni dai genitori rispetto all’attuale situazione e si danno informazioni sul training. Gli incontri che servono a preparare i genitori al cambiamento hanno l’obiettivo di rendere espliciti i pensieri e i comportamenti dei genitori nei confronti del figlio. Infine, durante i colloqui che servono a definire in modo più preciso il problema, ai genitori viene insegnato un metodo per analizzare le situazioni, allo scopo di identificare i fattori che favoriscono l’instabilità del bambino: gli antecedenti (eventi che predicono l’insorgenza di comportamenti negativi), i comportamenti-problema (analisi precisa di quello che il bambino compie) e le conseguenze (cosa succede dopo che il bambino ha manifestato un comportamento problematico). Già durante questi primi incontri si analizza lo stretto rapporto tra le caratteristiche del bambino, quelle dei genitori e quelle delle situazioni contingenti.
La seconda fase serve ad introdurre alcune tecniche educative per la gestione del comportamento del bambino. Durante questi incontri viene fornito un aiuto ai genitori per strutturare la loro vita familiare in modo da aiutare il bambino a prevedere ciò che accadrà in famiglia, tramite la creazione di abitudini, routine, regole, e soprattutto fornendo delle informazioni di ritorno (i genitori informano il bambino su come si sta comportando). Sempre durante la seconda sezione si cerca di insegnare ai genitori ad individuare in modo più preciso i comportamenti negativi del bambino. In queste occasioni il genitore dovrebbe cercare di tentare una soluzione al problema mostrandosi come modello positivo; ovvero sottolineando la fatica e gli sforzi che ciascuna persona compie per migliorarsi. Il bambino osserva e imita i genitori, se questi sono modelli positivi, credibili e non troppo lontani da se. Con l’aiuto di un consulente, i genitori possono auto-osservarsi su come si propongono ai loro figli di fronte alle situazioni complesse e come applicano le strategie di soluzione dei problemi. Uno degli obiettivi delle terapie psicosociali è proprio quello di trasmettere al paziente buone abilità di soluzione dei problemi; per questo si utilizza il modellamento del comportamento dei genitori per trasferire queste abilità anche ai bambini. Sempre all’interno della seconda sezione, durante gli incontri successivi vengono insegnate tecniche specifiche, come ad esempio il costo della risposta, o il time-out (già accennati in precedenza) per far fronte a comportamenti gravemente disturbanti.
La terza e ultima sezione si concentra sull’uso flessibile di tutto ciò che è stato appreso durante gli incontri precedenti. In questi ultimi incontri i genitori devono imparare anche a riconoscere gli eventi “premonitori” di comportamenti problematici del bambino per riuscire ad agire con un certo anticipo ed evitare i soliti inconvenienti.
5.1.3 L’intervento a scuola
Il coinvolgimento degli insegnanti fa parte integrante ed essenziale di un percorso terapeutico per il trattamento del bambino con ADHD. La procedura di consulenza sistematica, prevede incontri regolari durante tutto l’anno scolastico, con una frequenza quindicinale per i primi tre mesi e mensile nel periodo successivo. A questi incontri sarebbe auspicabile partecipasse l’intero team di insegnanti, per quanto riguarda le scuole elementari e i docenti col maggior numero di ore settimanali, nel caso delle scuole medie inferiori.
La consulenza sistematica agli insegnanti deve avere diversi obiettivi: 1) informare sulle caratteristiche del ADHD e sul trattamento che viene proposto; 2) fornire appositi strumenti di valutazione (questionari e tabelle di osservazione) per completare i dati diagnostici; 3) mettere gli insegnanti nella condizione di potenziare le proprie risorse emotive e migliorare la relazione con l’alunno; 4) spiegare come utilizzare specifiche procedure di modificazione del comportamento all’interno della classe; 5) informare su come strutturare l’ambiente classe in base ai bisogni e alle caratteristiche dell’alunno con ADHD; 6) suggerire particolari strategie didattiche, per facilitare l’apprendimento dell’alunno con ADHD; 7) spiegare come lavorare, all’interno della classe, per migliorare la relazione tra il bambino con ADHD e i compagni.
Solamente l’ausilio di una serie di informazioni dettagliate sulle caratteristiche del disturbo consente all’insegnante di assumere un atteggiamento più costruttivo nel rapporto con il bambino. Anche nel caso degli insegnanti, le informazioni sul ADHD permettono di ridefinire le attribuzioni: l’alunno iperattivo non si comporta così perché vuol fare impazzire le maestre, ma perché soffre di un disturbo specifico. Spesso, infatti, il docente può sentirsi minacciato nella propria immagine e nella propria autostima per le difficoltà che incontra nel contenere il comportamento dell’alunno. Questa tentazione può portare ad una progressiva diminuzione della capacità di controllare le proprie reazioni nei confronti del bambino e quindi, ad aumentare gli atteggiamenti punitivi. Se poi l’alunno manifesta frequenti comportamenti aggressivi verso i compagni, l’insegnante vivrà uno stato continuo di ansia riguardo alla sicurezza degli altri alunni. E’ quindi importante che lo psicologo destini parte dei primi incontri di consulenza al potenziamento delle capacità di autocontrollo emotivo degli insegnanti, prima ancora di collaborare con loro per far acquisire un maggior autocontrollo al bambino. La parte più importante della consulenza sistematica alla scuola è comunque quella dedicata a far apprendere all’insegnante alcune tecniche di modificazione del comportamento da applicare con l’alunno con ADHD. L’apprendimento di queste procedure richiede uno stretto contatto con lo psicologo o il
pedagogista ed una frequente supervisione; infatti, se applicate con costanza e precisione, le tecniche di modificazione del comportamento non tarderanno a dare i loro frutti ed il tempo impiegato per la loro attuazione risulterà un buon investimento per l’intera classe. È necessario sottolineare che la consulenza sistematica agli insegnanti ha una certa utilità se tutti gli operatori sentono di formare un team per aiutare il bambino e non si fermano ad uno sterile, quanto improduttivo, gioco di sapere e potere. Un’altra area d’intervento da considerare nell’ambito della consulenza scolastica, è quella riguardante il rapporto tra il bambino e i compagni di classe. Le strategie attuabili dagli insegnanti a questo riguardo si dovrebbero integrare con un training d’addestramento alle abilità sociali. Alcuni accorgimenti per aiutare l’alunno con ADHD a migliorare il rapporto coi compagni consistono nel: 1) rinforzare gli altri alunni quando includono il bambino con ADHD nelle loro attività; 2) programmare attività in cui il bambino con ADHD possa dare il suo contributo; 3) programmare attività nelle quali la riuscita dipende dalla cooperazione tra gli alunni; 4) quando è possibile, assegnare al bambino con ADHD incarichi di responsabilità; 5) rompere i raggruppamenti fissi tra i bambini.
5.1.4 Ogni terapia va adattata al bambino
Programmare un trattamento significa soprattutto adattare la terapia in base alla situazione sociale in cui si trova inserito il paziente. Il clinico deve tenere in considerazione diversi fattori che determinano una certa scelta terapeutica, tra cui la comorbidità del bambino, la situazione familiare (in particolare il livello socio-economico e il vissuto dei genitori stessi), la collaborazione con la scuola, la possibilità per i genitori di recarsi frequentemente presso il servizio di riferimento.
Per quanto riguarda il problema della comorbidità, è necessario suddividere le problematiche emotive (ansia o depressione) da quelle cognitive (disturbi di apprendimento, livello intellettivo ai limiti della norma) o comportamentali (compresenza di aggressività o disturbi della condotta). Se il problema riguardasse “solo” i sintomi (e anche in misura non troppo severa) un modesto uso del farmaco supportato da una consulenza sistematica a genitori e insegnanti probabilmente riuscirebbe ad arginare la situazione. Il bambino potrebbe avere un buon inserimento nel proprio ambiente di vita e gli adulti non vivrebbero più forti situazioni di stress. Questo è il caso meno problematico, e anche il meno frequente. Molto più frequenti sono le situazioni in cui oltre ai sintomi del ADHD si presentano associati altri disturbi. Se i problemi riguardano soprattutto la sfera emotiva è opportuno integrare il trattamento con un percorso terapeutico per il bambino, lavorando in particolare sulla gestione delle emozioni e sullo sviluppo di risposte comportamentali alternative a vissuti negativi di ansia o di depressione. Contemporaneamente i genitori e gli insegnanti dovrebbero essere formati in modo più specifico sulle problematiche emotive del ragazzo. Se, oltre al ADHD, invece si osservano comportamenti oppositivi o aggressivi, la formazione dei genitori e degli insegnanti diventa prioritaria visto che questi si trovano spesso nella condizione di non saper affrontare le infrazioni alle regole e reagire alle frequenti provocazioni. Nel caso, infine, di compresenza di altri disordini cognitivi (disturbi
di apprendimento o livelli intellettivi ai limiti inferiori della norma) è necessario accompagnare un training specifico su alcune abilità scolastiche (lettura, scrittura, soluzione di problemi aritmetici, comprensione del testo, studio). Non si tratta semplicemente di fare lezioni di ripasso ma di proporre modalità alternative per affrontare compiti cognitivi che per il bambino sono di difficile esecuzione. In ambito psicopedagogico ci sono numerose proposte di training riabilitativi su specifici aspetti cognitivi che causano ritardi di apprendimento scolastico.
Anche le caratteristiche genitoriali determinano la tipologia di intervento multimodale. Spesso i familiari presentano problemi relazionali non direttamente conseguenti alle difficoltà create dal figlio ADHD, in questo caso non è opportuno confondere il parent training con una terapia familiare: il primo mira esclusivamente a fornire ai genitori gli strumenti per la gestione e l’educazione del bambino, la seconda, invece, può prendere in esame tutte le problematiche derivanti da un rapporto coniugale conflittuale. Il grado di coinvolgimento dei genitori nel trattamento dei bambini con ADHD dipende anche dal livello di comprensione: genitori di basso livello socio-culturale non riusciranno ad usufruire pienamente di un parent training; perciò diventa molto più utile lavorare più direttamente con la scuola, ed eventualmente con il ragazzo, se anch’egli non presenta livelli intellettivi ai limiti inferiori della norma. Proprio nei casi in cui la famiglia non ha le risorse per usufruire di un intervento psico-educativo, l’uso dei farmaci può essere di notevole aiuto, visto che questi richiedono una partecipazione ridotta della famiglia, dal punto di vista psicologico.
Come già accennato, anche la scuola ha un ruolo fondamentale in questo processo terapeutico; molto spesso insegnanti comprensivi e sensibili sono in grado di favorire un buon esito del trattamento. Il terapeuta deve essere in grado di riconoscere la qualità di questo rapporto e lavorare sensibilmente per fare in modo che si evitino reciproche colpevolizzazioni tra insegnanti e genitori e si strutturi almeno un clima di collaborazione e reciproco rispetto. Nel caso in cui questo obiettivo sembra molto difficile da raggiungere è necessario considerare la possibilità di fare riunioni con la contemporanea presenza dei genitori e degli insegnanti, al fine di stabilire e concordare obiettivi comuni, prima di procedere con interventi specifici.
5.2 Terapie Farmacologiche
Il farmaco di scelta è il Metilfenidato somministrato in base al peso corporeo, mediamente 0,3-0,6 mg/kg/dose in due – tre dosi die.
5.2.1 Farmacologia clinica del metilfenidato
Il metilfenidato, appartiene alla classe degli psicostimolanti, e risulta uno dei farmaci attivi sul Sistema Nervoso Centrale maggiormente studiati ed utilizzati in età evolutiva. E’ considerato a tutt’oggi una delle terapie più efficaci per bambini, adolescenti ed adulti con ADHD. Tutti gli psicostimolanti inibiscono la ricattura (reuptake) sinaptica delle monoamine bloccando il trasportatore presinaptico; alcuni ne stimolano anche il rilascio dalle terminazioni sinaptiche.
Meccanismi d’azione.
1. Blocco del reuptake delle monoamine. A differenza dell’amfetamina, il metilfenidato inibisce in maniera specifica i trasportatori sinaptici per la dopamina (DAT) e la noradrenalina e, come la cocaina, presenta minimi effetti sul rilascio sinaptico di monamine e sui meccanismi di accumulo e rilascio dalle vescicole sinaptiche. Il metilfenidato tende a rimanere legato al DAT più a lungo (ore anziché di minuti) rispetto alla cocaina: tale meccanismo e’ stato invocato per spiegare la minore potenzialità di dipendenza tra i due farmaci (vedi oltre). Si e’ comunemente ritenuto che il metilfendato, come la cocaina e differentemente dall’amfetamina, mostrasse una maggiore affinità per il sistema dopaminergico rispetto al sistema noradrenergico. Studi recenti, condotti nell’animale da esperimento utilizzando tecniche di microdialisi cerebrale, hanno dimostrato che, in alcune aree cerebrali quali l’ippocampo, il metilfenidato a basse dosi (inefficaci a modulare la funzione dopaminergica nel nucleo accumbens) e’ in grado di modulare i livelli extraneuronali di noradrenalina. A dosi terapeutiche il metilfenidato e la destroamfetamina, non mostrano pressoché alcun effetto sul sistema serotoninergico. L’amfetamina, ma non il metlfenidato, e’ anche in grado di inibire l’attività’ delle monoaminossidasi (MAO), principali enzimi catabolici per le monoamine, aumentando così ulteriormente i livelli sinaptici di neurotrasmettitore.
2. Modulazione dei livelli sinaptici di dopamina. Fisiologicamente il rilascio di dopamina nello spazio sinaptico avviene sia in maniera pulsatile o “fasica” durante l’impulso nervoso che in maniera “tonica”, non-pulsatile durante l’intervallo tra impulsi nervosi. I livelli extracellulari di dopamina sono regolati inoltre dalla ricattura della dopamina mendiante DAT e dai recettori presinaptici (autorecettori) che, quando stimolati, bloccano l’ulteriore rilascio della dopamina da parte del neurone. Il rapido aumento dei livelli di dopamina extracellulari determinato dal rilascio fasico correlato all’impulso nervoso viene controbilanciato attraverso tre meccanismi: a) rapida diffusione della dopamina dalla spazio sinaptico (e successiva degradazione da parte di XXX e COMPT extra neuronali), b) ricattura della dopamina da
pare del DAT situato sulla membrana presinaptica, c) inibizione dell’ulteriore rilascio dovuto all’azione della dopamina sull’autorecettore.
Basse dosi di psicostimolanti sono in grado di aumentare i livelli tonici di dopamina bloccando la ricattura del neurotrasmettitore mediato da DAT. Durante il rilascio fasico impulso-dipendente, la persistenza di livelli elevati di dopamina dovuti Il blocco del DAT fa si che si attivino gli autorecettori presinaptici impedendo un ulteriore rilascio. La differenza tra livelli di dopamina basali e quali misurabili nei millisecondi successivi allo stimolo nervoso risulta cosi di circa 60 volte negli animali di controllo (4 vs 250mM) ma solo di 20 volte negli animali trattati con basse dosi (0.5 mg/kg) di amfetamina (25 vs 500mM). L’effetto comportamentale netto, dovuto a tale differenza, e’ quindi una diminuzione dell’attività’ motoria e piuttosto che un aumento. Animali da laboratorio in cui sia stata disunita la sintesi di DAT di circa l’08% animali (knock-down per il DAT) mostrano livelli extracellulari di dopamina più elevati, normale attività motoria in ambiente conosciuto ma iperattivita’ motoria e deficit dell’adattamento (mancata diminuzione dell’attività’ motoria per esplorare l’ambiente) in ambienti nuovi e sconosciuti. In questi animali la somministrazione di psicosimolanti (amfetamina) e’in grado di diminuire l’iperattivita’ motoria: tale effetto permane anche a dosi che provocano iperattivita’ e stereotipe negli animali di controllo. Ciò indica che psicostimolanti possono modulare un sistema neurotrasmettitoriale in maniera pressoché opposta a seconda dello stato funzionale del sistema. Sono in pratica in grado di attivare un sistema ipofunzionante e di deprimerlo quando risulti iperfunzionante.
3. Effetti sulle funzioni esecutive. Negli ultimi 10 anni numerosi studi neuropsicologici e di neuroimaging hanno permesso di definire le caratteristiche anatomiche e funzionali dei circuiti neuronali dell’attenzione che possono essere suddivisi in tre sottosistemi: di allerta, di orientamento e di controllo esecutivo. Il sistema di controllo esecutivo coordina le risposte multiple e specifiche necessarie per identificare la presenza di un obbiettivo, e dirigere le azioni necessarie al suo raggiungimento, attivando e inibendo specifiche attività mentali, ordinando risposte multiple e verificandone l’appropriatezza per il raggiungimento dell’obbiettivo stesso. Il sistema di controllo esecutivo e’ localizzato in diverse aree della corteccia prefrontale, nella circonvoluzione anteriore del cingolo e comprende i nuclei della base: permette di programmare ed eseguire comportamenti indipendenti e finalizzati. Modulandoli sulla base del “quando” e “se” , piuttosto che sul “che cosa” o “come”. Le catecolamine modulano le funzioni di tutti questi sistemi: nell’animale da laboratorio sia dopamina che noradrenalina diminuiscono l’attività’ spontanea dei neuroni della corteccia frontale e la risposta a nuovi stimolazioni aspecifiche, aumentando la capacità di risposta a stimoli specifici. Nella corteccia prefrontale gli effetti della stimolazione sia noradrenergica (attivazione dei recettori alpha 1) che dopaminergica (attivazione dei recettori D1, ed in parte dei D2) mostrano un andamento a “U rovesciata”. Sia una stimolazione molto bassa che una troppo elevata (come ad esempio quella noradrenergica durante lo stress intenso) compromettono la modulazione dell’attenzione sostenuta, della inibizione delle risposte automatiche e più in generale della memoria di lavoro. La capacita degli
psicostimolanti di attivare sistemi catecolaminergici ipofunzionanti, inibendo, al contrario, sistemi iperfunzionanti spiegherebbe come tali farmaci possono modulare le capacità di attenzione, autoregolazione e memoria di lavora in individui in cui tali funzioni siano compromesse come i bambini adolescenti ed adulti con ADHD, indipendentemente dal sottotipo clinico e dalle cause che abbiano determinato il disturbo.
5.2.2 Farmacocinetica.
1. Assorbimento ed emivita. L’assorbimento gastrointestinale metilfenidato, e’ rapido e pressoché completo. La somministrazione orale di metilfenidato induce un picco plasmatico dopo una-due ore con emivita di eliminazione di 3-6 ore: il farmaco inizia a mostrare la sua attività clinica dopo circa mezz’ora dalla somministrazione orale, raggiunge il picco di attività dopo un’ora, per una durata terapeutica dura circa 2-5 ore. Il metilfenidato viene quindi solitamente somministrato 2-3 volte al giorno. Esiste peraltro un a notevole variabilità di risposta clinica tra i singoli individui e l’efficacia non appare correlata con i livelli plasmatici del farmaco.
2. Metabolismo. Il metilfenidato presenta invece un significativo metabolismo epatico (effetto di prima passaggio) dove viene idrolizzato a livello epatico prima di raggiungere il circolo. La maggior parte del farmaco viene de-esterificato ad acido ritalinico ed in misura minore metabolizzato a paraidrossi- metilfenidato. Il significativo effetto da primo passaggio spiega perché la somministrazione parenterale (endovenosa o inalatoria) modifica significativamente gli effetti clinici del farmaco che divengono simili a quelli della cocaina. Non sono state messe in evidenza interazioni tra amfetamina o metilfenidato ed i farmaci che interferiscono con il sistema degli enzimi microsomiali epatici quali gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina.
3. Enantiomeri
Il metilfenidato e’ una amina secondaria con due atomi di carbonio asimmetrici. Può quindi esistere in quattro forme isomeriche: d-treo, l-treo, d-eritro ed l-eritr. Inizialmente il metilfenidato in commercio era costituito per l’80% da dl-eritro e per il 20 % da dl-treo. Poiché solo gli isomeri treo sono attivi, le preparazioni attualmente in commercio non contengono più forme eritro- responsabili invece degli effetti cardiovascolari. Poiché il metilfenidato subisce un intenso metabolismo al primo passaggio epatico, i derivati idrossilati potrebbero presentare una significativa stereospecificita’ nel modulare sia efficacia clinica che gli effetti indesiderati. Nel ratto l’isomero d-treo risulta più potente rispetto alla forma l-treo nell’indurre iperattivita’motoria e inibizione del reuptake di dopamina e noradrenalina. Recentemente e’ stata presentata alla Food and Drug Administration degli Stati Uniti la richiesta di autorizzazione alla commercializzazione di una preparazione di d-treo metilfenidato. Studi preliminari indicano che tale preparazione mostra una durata d’azione di 8-12 ore e non presenta effetto – rebound da fine dose.
4. Effetti collaterali e controindicazioni degli psicostimolanti
Gli effetti collaterali degli psicostimolanti sono in genere modesti e facilmente gestibili. I più comuni sono diminuzione di appetito, insonnia ed epigastralgie: l'insonnia può essere prevenuta evitando le somministrazioni serali, la mancanza di appetito e i disturbi gastrointestinali somministrando il farmaco dopo i pasti. Quando il farmaco è somministrato correttamente, perdita di peso o ritardo dell'accrescimento, cefalea e dolori addominali sono rari, temporanei e raramente impongono la modifica o la sospensione della terapia. Il ritardo della crescita (sia in peso che in altezza), rilevabile in alcuni soggetti, viene generalmente considerato come temporaneo, nella gran parte dei casi. Recenti studi di decorso suggeriscono, però, differenze significative nelle curve di crescita di bambini ADHD trattati con psicostimolanti per almeno 24 mesi rispetto a quelli che non avevano mai assunto psicostimolanti, suggerendo l’opportunità di un attento controllo degli indici di crescita dei bambini in terapia cronica con metilfenidato. Gli psicostimolanti possono anche indurre o peggiorare movimenti involontari, tic ed idee ossessive: occorre peraltro considerare che in numerosi studi l’incidenza di insonnia e tic non e’ risultata superiore a quella riscontrata con placebo.
Gli psicostimolanti possono indurre variazioni rapide del tono dell’umore (disforia) con aumento o diminuzione dell’eloquio, ansia, irritabilità, talvolta appiattimento affettivo. Questi sintomi sono più frequenti negli adulti che assumono psicostimolanti; nei bambini, dosi elevate di farmaco possono indurre, paradossalmente, sedazione e diminuzione delle capacità d’apprendimento. Occorre peraltro considerare che tale bassa incidenza di effetti collaterali emerge da studi a breve termine anche se su un elevato numero complessivo di bambini: gli studi di tossicità a lungo termine (anni) sono ancora limitati.
5. Tossicologia
Studi di tossicità animale hanno mostrato come alte dosi di stimolanti (25 mg/kg di amfetamine s.c. nel ratto vs 0.3- 0.5 mg/kg nel bambino) possono indurre alterazioni dei terminali serotoninergici e dopaminergici in aree specifiche del Sistema Nervoso Centrale. Altre evidenze mostrano che, almeno negli animali adulti, tali alterazioni sono rapidamente reversibili. Recentemente e’ stato dimostrato che dosi simili a quelle utilizzate in clinica (2 mg/kg) di metilfenidato somministrate cronicamente per via orale possono causare in animali molto giovani (prepuberi), ma non in animali adulti, una diminuzione persistente (mesi) e selettiva della densità dei DAT a livello striatale. Il significato clinico di questo dato e’ ancora controverso.
Altri studi mostrano che dosi elevate (oltre 40mg/kg per due anni) di metilfenidato possono indurre tumori epatici nei roditori (Xxxxxxx & Xxxxxx 1995), ma tale evenienza non e’ mai stata riferita nell’uomo. Il NIH Consensus Statement sull’ADHD suggerisce cautela nell’uso di dosi estremamente alte di psicostimolanti indicando peraltro che dosi circa trenta volte superiori a quelle utilizzate nei bambini (intossicazione grave) potrebbero produrre tali effetti tossici (NIH 1998).
6. Potenziale d’abuso
Nei bambini, gli effetti terapeutici degli psicostimolanti non diminuiscono con l’uso prolungato, l'abuso e la dipendenza sono praticamente inesistenti. Ciononostante, il numero elevato di bambini ed adolescenti con ADHD che assumono psicostimolanti per periodi prolungati ha stimolato numerosi studi per verificarne, nell’animale da esperimento, il potenziale di abuso.
Nei roditori, una delle conseguenze della somministrazione ripetuta di sostanze amfetamino-simili e’ costituito dall’incremento di alcuni comportamenti indotti da stimolanti (attività motoria, attività esploratoria anche in ambiente conosciuto, stereotipie) in risposta a somministrazioni ripetute. Tale aumento, che tende a persistere anche dopo periodi prolungati di astinenza, viene definita sensibilizzazione comportamentale ed e’ stato suggerito che tale processo possa essere implicato nello sviluppo della dipendenza. Lo sviluppo della sensibilizzazione comportamentale e’ stato estensivamente dimostrato per somministrazioni di dosi medio-alte di amfetamina e cocaina; al contrario pochi studi hanno misurato gli effetti di somministrazioni ripetute di metilfenidato ed i risultati di questi studi appaiono controversi.
La comparsa della sensibilizzazione da metilfenidato appare modulata da diversi fattori quali le dosi del farmaco, la via di somministrazione (orale o parenterale: si veda il paragrafo sul metabolismo), il pattern e la durata delle somministrazione, il contesto ambientale in cui la somministrazione avviene: gabbia abituale o ambiente sconosciuto (open-field), stato di attività dell’animale (es. correlata al ciclo luce o buio). Somministrazioni parenterali ripetute di basse dosi di metilfenidato (0.5 mg/kg) possono indurre nel ratto sensibilizzazione comportamentale cui corrisponde un aumento significativo di release di noradrenalina nell’ippocampo (ma nessuna modificazione dei livelli extacellulari di dopamina nell’accumbens): tali effetti sono stati misurati in animali adulti, mentre non esistono studi che utilizzino la somministrazione orale in animali molto giovani.
L’estrapolazione di questi dati all’uomo, ed al bambino in particolare, e’ difficile: esistono pochissimi studi su animali molto giovani e nessuno sui fenomeni di sensitizzazione comportamentale in modelli animali di ADHD. Sebbene sia Metilfenidato che Cocaina bloccano il trasportatore per la dopamina ed il metilfenidato risulti più potente della cocaina in tale azione farmacologia, studi effettuati nell’uomo mediante Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), mostrano importanti differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche tra i due composti: quando il metilfenidato viene assunto con dosi e modalità (via orale) “terapeutiche” presenta una cinetica marcatamente differente da cocaina ed amfetamina assunte per via parenterale e mostra minore o nessuna capacità di indurre euforia con potenziale d’abuso significativamente inferiore (Xxxxxx & Xxxxxxx 2003). Sebbene esistano alcune evidenze (rapporti di polizia) che modeste quantità di metilfenidato possano essere utilizzate in maniera illecita, i tassi di uso illegale di metilfenidato sono molto bassi e, in tal caso, l’uso avviene per via parenterale.
Una metanalisi dei dati di letteratura a tutt’oggi disponibili, indica che, indipendentemente dall’eventuale sensibilizzazione al metilfenidato, l’esposizione precoce al trattamento farmacologico di bambini con ADHD, piuttosto che favorire, previene l’abuso di sostanze psicotrope in adolescenza o in giovane età adulta (Xxx Xxxxx 1.9; Xxxxxx et al. 2003). Possibili meccanismi di tale effetto protettivo includono: riduzione dei sintomi dell’ADHD, sopratutto dell’impulsività, miglioramento del rendimento scolastico e delle relazioni con coetanei e adulti di riferimento, possibile riduzione della evoluzione verso il disturbo di condotta e successivamente verso il disturbo antisociale di personalità (Xxxxxx et al. 2004).
5.2.3 Altre terapie farmacologiche
Gli antidepressivi triciclici, gli SSRIs, gli antipsicotici, i neurolettici, le benzodiazepine e altri farmaci ad azione sul SNC vengono talora utilizzati nella terapia farmacologica di soggetti affetti da ADHD. In genere si tratta di casi di comorbidità in cui è necessario associare agli psicostimolanti, farmaci elettivi per l’ADHD, altre sostanze specifiche per le patologie associate all’ADHD.
5.3 Terapie combinate
Lo studio MTS condotto dal NIH ha dimostrato che i migliori risultati nella terapia dell’ADHD si ottengono con la terapia combinata (psico-comportamentale e farmacologica). Quindi, qualora la sola terapia psico-comportamentale non fosse sufficiente per il trattamento della sindrome, andrebbe attuata la terapia combinata, farmacologica e non farmacologica.
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