Cinzia De Marco (*)
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Xxxxxx Xx Xxxxx (*)
IL LAVORO A PROGETTO DOPO LA LEGGE N. 92/2012
SOMMARIO: 1. Il contratto a progetto rivisitato. — 2. La ridefinizione della fattispe- cie. — 3. L’ambito di applicazione. — 4. Il corrispettivo. — 5. L’estinzione del contratto a progetto. — 6. Le modifiche all’apparato sanzionatorio. — 7. La pre- sunzione di collaborazione coordinata e continuativa. Il caso delle false partite Iva.
— 8. Che fine faranno il contratto a progetto e le collaborazioni coordinate e con- tinuative? Si andrà verso il «loro superamento»?
1. — Il contratto a progetto rivisitato — La modifica del contratto a pro- getto, operata dalla legge n. 92 del 2012, si inserisce tra le norme che il provvedimento legislativo destina alla regolazione della cd. flessibilità in entrata, nel dichiarato obiettivo di contrastare l’uso improprio o fraudolen- to di alcune tipologie contrattuali (1). Tale parte della legge è fra quelle che più ha risentito delle impostazioni ideologiche degli schieramenti politici: da un lato, la sinistra, sia politica che sindacale, ha pressato il Governo nel tentativo di riconquistare le rigidità all’utilizzazione dei contratti atipici al- lentate dai Governi di centrodestra; dall’altro, invece, il centrodestra, con l’appoggio delle imprese, ha cercato di proteggere e incrementare gli spazi di manovra acquisiti (2).
La scelta del legislatore in ordine a una delle figure contrattuali più con- troverse del diritto del lavoro è stata, comunque, quella di garantirne la so- pravvivenza intervenendo però sulla sua regolazione in maniera talmente stringente da fare ritenere ad alcuni che il fine ultimo sia stato quello di in- canalarlo in una sorta di binario morto (3). Questa, probabilmente, è sta-
(*) Professore associato di Diritto del lavoro presso l’Università di Palermo.
(1) Legge 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, lett. c.
(2) Cfr. X. Xxxx, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in W.P. Csdle «Xxxxxxx X’Xxxxxx».IT, 2012, n. 155, p. 30.
(3) Cfr. X. Xxxxxxx, Complimenti dott. Frankenstein: il disegno di legge governativa in materia di riforma del mercato del lavoro, in Lav. giur., 2012, n. 6, p. 529, a parere del quale «lo scopo perseguito» sembra essere «quello di un suo lento ma inarrestabi- le deperimento».
ta la ragione che ha indotto il legislatore a intervenire, nuovamente, con il
d.l. n. 76 del 2013, convertito nella legge n. 99 del 2013, al fine di intro- durre delle attenuazioni alle rigidità imposte dalla legge oltre che per chia- rire alcuni punti della nuova disciplina prevista dalla riforma Fornero.
In ogni caso, pare potersi affermare che si è trattato di un’opera di ma- nutenzione dell’esistente con l’introduzione di modifiche che hanno appor- tato indubbie maggiori tutele ai collaboratori, senza però delineare un siste- ma più organico di regolamentazione del lavoro economicamente dipen- dente, mantenendo, invece, uno standard protettivo per il quale non è pos- sibile alcuna comparazione con quello proprio del lavoro subordinato (4); è mancato, pertanto, il coraggio di introdurre tutele forti da attribuire tout court al contratto a progetto preferendo aumentare l’alea della sua conver- sione in lavoro subordinato. Non si è voluto creare uno statuto intermedio tra lavoratore subordinato e lavoratore autonomo, nonostante questo fosse auspicato da vari documenti europei (5). Ciò probabilmente si riconduce al- la preoccupazione dei vari Stati dell’Unione che un riconoscimento legisla- tivo del lavoro economicamente debole, con la creazione di uno statuto in- termedio, possa di fatto far confluire verso questa categoria soggetti che fi- no a quel momento erano lavoratori subordinati, ad esempio nel quadro delle strategie di esternalizzazione delle imprese, senza considerare che il ri- conoscimento di uno statuto dei diritti del lavoratore economicamente di- pendente, oltre a conferire a tali lavoratori adeguati sistemi di protezione so- ciale e professionale, potrebbe rappresentare uno strumento per incentivare l’imprenditorialità e l’iniziativa economica consentendo a tali soggetti di raf- forzarsi nella gestione della propria impresa in modo da svilupparla, consen- tendogli così di affrancarsi dalla posizione di dipendenza (6).
(4) A titolo di esemplificazione basti pensare come non sia stato previsto alcun ri- conoscimento dei diritti sindacali in azienda.
(5) Vd., ad es., i pareri del Comitato economico e sociale europeo del 19 gennaio 2011, sul tema «Nuove tendenze del lavoro autonomo: il caso specifico del lavoro au- tonomo economicamente dipendente», in Gazz. Uff. Ue del 19 gennaio 2011, e sull’«Abuso dello status di lavoratore autonomo», in Gazz. Uff. Ue del 6 giugno 2013. L’unico paese a prevedere una regolamentazione del lavoro economicamente dipenden- te è stato la Spagna, in cui, nell’ambito della legge 11 luglio 2007, n. 20 – «Statuto del lavoro autonomo» (Ley del Estatuto del trabajador autonomo - Leta) –, viene configurato il lavoratore autonomo economicamente dipendente (Trabajador autonomo economica- mente dependiente), titolare di una disciplina speciale, vd. X. Xxxxxx Xxx-Xx, X. Xxxxxx Xxxxxx, Lo Statuto del lavoro autonomo nella legislazione spagnola, con particolare riferi- mento al lavoro autonomo economicamente dipendente, in Dir. rel. ind., 2010, pp. 731 ss.
(6) Vd. Parere del Comitato economico e sociale europeo del 29 aprile 2010, sul tema «Nuove tendenze del lavoro autonomo: il caso specifico del lavoro autonomo economicamente dipendente», citato alla nota precedente.
L’interrogativo che si pone, pertanto, e che potrà essere sciolto soltanto verificando l’effettiva utilizzazione dell’istituto da parte delle imprese, è se le modifiche previste determineranno un incremento delle collaborazioni
«genuine» o se, invece, saranno tali da provocare una «fuga», rischiando, così, di diminuire l’offerta lavorativa per coloro che sono alla ricerca di un’occupazione da gestire autonomamente (7).
2. — La ridefinizione della fattispecie — Nella riscrittura del comma 1 dell’art. 61 del d.lgs. n. 276/2003, operata dall’art. 1, comma 23, della leg- ge n. 92/2012, si riscontra un elemento conservatore e uno innovatore. Per quanto riguarda il primo, la norma conferma la necessaria riconduzione «a uno o più progetti specifici» dei rapporti di collaborazione coordinata e con- tinuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione di cui all’art. 409, numero 3, del codice di procedura civile; in riferimento al secondo e rispetto alla originaria formulazione della norma, vi è l’elimina- zione dell’endiadi «programma o fase di esso» (eliminata, ovviamente, an- che in tutte le altre disposizioni in cui era presente), sicché il progetto rima- ne l’unico elemento qualificante della fattispecie. Tale novità trova spiega- zione, come ammesso dallo stesso ministero del Lavoro con circolare n. 29/2012, nella difficile individuazione, in concreto, di tali elementi. E in- fatti dottrina e giurisprudenza, e lo stesso Ministero (8), com’è noto, si so- no affannati per anni alla ricerca di significati forzatamente diversi per le tre nozioni, senza pervenire tuttavia a una soluzione persuasiva e condivisa.
Sebbene non sia più necessario ricercare differenze concettuali tra i ter- mini «progetto» e «programma», rimane sempre aperto il problema del- l’esatto significato da attribuire alla parola «progetto» e, soprattutto, la fun- zione che lo stesso svolge all’interno del contratto (9). Il legislatore ha prov- veduto a effettuare alcune precisazioni al riguardo, arricchendo la nozione di maggiori e più pregnanti caratteristiche. Innanzitutto il progetto viene fortemente ancorato al risultato che il collaboratore è chiamato a realizza- re. Tale rafforzamento trova conferma nel fatto che il risultato finale che si intende conseguire, nella nuova formulazione dell’art. 62 dedicato alla for-
(7) X. Xxxxxxx, Il lavoro autonomo dopo la riforma del governo Xxxxx, in Arg. dir. lav., 2012, n. 4-5, I, p. 875.
(8) Circ. ministero del Lavoro 8 gennaio 2004, n. 1, secondo cui il progetto con- sisteva «in un’attività ben identificabile e funzionalmente collegata a un risultato fina- le cui il collaboratore partecipa», mentre il programma di lavoro o la fase di esso era finalizzato a un risultato solo parziale.
(9) Cfr. X. Xxxxx, Prime chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, in W.P. Csdle «Xxxxxxx X’Xxxxxx».IT, 2012, n. 151, p. 5.
ma, deve essere espressamente indicato nel contratto. Pertanto non è più l’attività del collaboratore che deve essere «in funzione del risultato», ma è lo stesso progetto che deve essere funzionalmente collegato al risultato fi- nale che secondo la circolare ministeriale deve essere «obiettivamente veri- ficabile», nel senso che l’attività del collaboratore deve essere rivolta alla rea- lizzazione di un prodotto compiuto che implichi una modificazione della realtà materiale preesistente alla conclusione del contratto diretta a conse- guire un determinato e circostanziato interesse del committente.
Il risultato finale diventa pertanto elemento qualificante del progetto, di guisa che la sua mancanza comporta l’invalidità del progetto e dunque la sussunzione del contratto nel paradigma giuridico di cui all’art. 2094 del codice civile. Occorre precisare, però, che il termine «progetto» indica in sé la necessità che si pervenga a un risultato, a un opus da realizzare, sicché sembra corretto ritenere che la specificazione del collegamento di questo al risultato sia frutto più che altro dell’eliminazione degli altri due termini (programma o fase di questo) presenti nell’originaria formulazione della norma e per i quali si poteva (forse) prescindere dal conseguimento di un prodotto finale.
La nuova disposizione normativa prescrive, poi, che il progetto non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committen- te. Qui, invero, per come affermato nella stessa circolare, si ripropone l’in- terpretazione che del «progetto» aveva già fornito la giurisprudenza, secon- do cui, appunto, il progetto non deve risolversi in una mera identificazio- ne con gli obiettivi dell’impresa ma piuttosto deve consistere in un’attività funzionale alla realizzazione di un risultato gestita autonomamente dal col- laboratore (10). Se anche l’attività possa essere ricondotta al cd. core busi- ness aziendale, essa deve, comunque, essere caratterizzata da un quid pluris che giustifichi l’autonomo apporto lavorativo del collaboratore; così, ad esempio, se l’oggetto sociale dell’impresa riguarda la raccolta di dati a fini statistici, il progetto, per potersi considerare genuino, dovrà consistere in una raccolta di dati finalizzati a una specifica ricerca di studio, ovvero, se l’impresa si occupa di software informatici, il progetto dovrà riferirsi non già alla semplice gestione ma all’ideazione e/o creazione di un software aventi particolari caratteristiche.
Infine la norma prescrive che il progetto non possa comportare «lo svol- gimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, che possono essere in-
(10) Cfr., ex multis: Corte d’Appello Brescia 3 febbraio 2011, in Riv. it. dir. lav., 2011, n. 4, II, p. 1159; Corte d’Appello Firenze 22 gennaio 2008, in Arg. dir. lav., 2009, n. 1, II, p. 223; Trib. Milano 8 febbraio 2007, in Orient. dir. lav., 2007, p. 253.
dividuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». La norma, in- vero, è stata «ammorbidita» dall’intervento del cd. Pacchetto lavoro, in ma- niera da ampliarne lo spettro di applicazione; e infatti, l’art. 7, comma 2, lett. c, del d.l. n. 76 del 2013, convertito nella legge n. 99 del 2013, ha tra- sformato la originaria disgiunzione (compiti meramente esecutivi o ripeti- tivi) in congiunzione (compiti meramente esecutivi e ripetitivi). Ciò com- porta il divieto di stipula di contratti di collaborazione che comportino contestualmente compiti sia esecutivi che ripetitivi, mentre sarà ben possi- bile prevedere attività riconducibili all’una o all’altra specificazione. In ef- fetti, la prima versione della norma avrebbe comportato l’impossibilità di ricomprendere in un contratto a progetto tutte quelle attività che, se pur caratterizzate da un contenuto altamente professionale, non necessitino di specifiche direttive di carattere pratico.
Anche qui siamo in presenza del recepimento di un orientamento giu-
risprudenziale secondo cui, qualora la prestazione dedotta in un contratto a progetto sia estremamente elementare e ripetitiva, ricorrendo i consueti indici presuntivi, il rapporto di lavoro intercorso tra le parti dovrà essere qualificato quale rapporto di lavoro subordinato (11). Sul punto la legge prevede come in altri casi che l’individuazione dei suddetti compiti possa essere effettuata dalla contrattazione collettiva. La scelta contrattuale, qua- lora operata, dovrà ritenersi insindacabile da parte del giudice, i cui margi- ni valutativi opereranno soltanto in assenza di questa. Sui concetti di «ese- cutività» e «ripetitività» la circolare è abbastanza esaustiva, definendo i pri- mi come «caratterizzati dalla mera attuazione di quanto impartito, anche di volta in volta, dal committente» e i secondi come quelli rispetto ai qua- li non è necessaria alcuna indicazione da parte del committente, trattando- si di mansioni talmente elementari da non richiedere specifiche indicazio- ni operative da parte del committente.
Tali caratteristiche oggi normativamente previste per il progetto – il ne- cessario collegamento teleologico tra progetto e risultato finale, il divieto di costituire una mera riproposizione dell’oggetto sociale e di comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi – sembrano in de- finitiva rimarcare la necessità dell’autonoma gestione dell’attività del colla- boratore riducendo al minimo, entro i confini del coordinamento, la pos- sibilità di eterodirezione da parte del committente.
L’accresciuta importanza attribuita al progetto ha indotto il legislatore a intervenire con il d.l. n. 76 del 2013 sull’art. 62 del d.lgs. n. 276/2003, eli-
(11) Trib. Bergamo 20 maggio 2010, in Lav. giur., 2010, n. 3, p. 301.
minando la locuzione «ai fini della prova» collegata al requisito della forma scritta. Tuttavia il legislatore non ha espressamente sancito la sanzione del- la nullità per la carenza della forma scritta (ex art. 1325 cod. civ.), ma de- ve ritenersi che l’eliminazione dell’inciso abbia rafforzato la tesi secondo cui la forma scritta costituisce requisito essenziale del contratto in quanto ne- cessaria al fine di individuare esaustivamente il contenuto caratterizzante del progetto e il risultato finale che si intende conseguire (art. 62, lett. b, in combinato disposto con l’art. 69, comma 1). In questo senso si è espressa la circolare ministeriale n. 35 del 29 agosto 2013.
Ulteriore novità è stata apportata nel corpus dell’art. 61 dal d.l. n. 76 del 2013, che ha introdotto il comma 2-bis, prevedendo che, «se il con- tratto ha per oggetto un’attività di ricerca scientifica e questa viene amplia- ta per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automa- ticamente».
La modifica, che rende evidente la stretta correlazione tra la durata del rapporto di collaborazione e la realizzazione del progetto, determina che nell’ambito delle attività di ricerca scientifica la durata «determinata o de- terminabile, della prestazione di lavoro», da indicare nel contratto ai sensi dell’art. 62, comma 1, lett. a, è dunque intimamente collegata all’oggetto della ricerca. Se pertanto tale ricerca «viene ampliata o prorogata nel tem- po», ciò avrà ripercussioni sullo stesso progetto, legittimando l’automatica prosecuzione dell’attività del collaboratore senza necessità di alcuna forma- lizzazione, anche se la circolare n. 35/2013 suggerisce, per ragioni di op- portunità, di dare atto di tale circostanza nella sottoscrizione dell’iniziale contratto di collaborazione o in successive comunicazioni effettuate dal committente ai propri collaboratori.
3. — L’ambito di applicazione — La legge n. 92/2012 conferma quan- to già previsto nella versione precedente dell’art. 61 riguardo alle tipologie di collaboratori esclusi dalla disciplina del lavoro a progetto. Si tratta, co- me è noto, di varie ipotesi molto diverse tra di loro, per le quali risulta dif- ficile individuare un criterio generale, potendo essere articolate a seconda che abbiano riguardo all’attività del committente, a condizioni del collabo- ratore, a particolarità della prestazione (12).
In riferimento alle tipologie non ammesse, l’art. 61, peraltro, era già sta- to integrato da una disposizione speciale contenuta nell’art. 24-bis, comma 7, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, che aveva escluso per i contratti a pro- getto riguardanti le attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate
(12) Cfr. X. Xxxxx, xx.xxx.xxx., x. 00.
attraverso call center «outbound» (13) l’applicazione dei requisiti contenuti nell’art. 61 disponendo, però, che per queste attività «il ricorso ai contrat- ti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo de- finito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento». In sostanza sarà ben possibile stipulare contratti a progetto in tale ambito alla sola con- dizione che il corrispettivo sia definito dalla contrattazione collettiva di set- tore che assume, in tal caso, per come indicato nella circolare del ministe- ro del Lavoro n. 14 del 2 aprile 2013, una funzione autorizzatoria del ri- corso a tale tipologia contrattuale consentendo di prescindere dalla predi- sposizione di uno specifico progetto (14). La norma non chiarisce quali sia- no le conseguenze nel caso in cui il contratto a progetto, stipulato per tali attività, preveda un corrispettivo diverso da quello indicato dalla contrat- tazione collettiva; la soluzione contenuta nella citata circolare ministeriale è quella dell’illegittimità del contratto, riconducendo il rapporto allo sche- ma contrattuale di cui all’art. 2094 cod. civ. Tuttavia tale sanzione sembra eccessivamente gravosa per il committente, per cui in tal caso sarebbe più corretto far discendere la nullità della clausola contrattuale e la sua sostitu- zione con la clausola collettiva violata.
Sulla materia è, altresì, intervenuto il d.l. n. 76 del 2013, convertito nella legge n. 99 del 2013, il cui comma 2-bis dell’articolo 7 ha previsto che l’espressione «vendita diretta di beni e servizi», contenuta nell’artico- lo 61, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003, debba essere interpretata nel senso di comprendere, anche disgiuntamente tra loro, sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi. In tal senso si è posto fi- ne ai dubbi emersi in seguito all’introduzione della locuzione «vendita diretta di beni e servizi», che aveva generato incertezze su quali fossero, realmente, le attività dei call center outbound a cui far fronte con i con- tratti a progetto.
Sulla base della nuova disposizione è intervenuta anche la direzione ge- nerale per l’attività ispettiva del ministero del Lavoro: con lettera circolare
(13) Tali attività sono state definite dalla circolare ministeriale n. 17/2006 come quelle «nell’ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di xxx- xxxxx attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un pro- dotto o servizio riconducibile a un singolo committente».
(14) A tale proposito, il 1° agosto 2013 è stato stipulato un Accordo collettivo per la disciplina delle collaborazioni a progetto nelle attività di vendita di beni e servizi at- traverso call center «outbound» con riferimento al Ccnl del settore delle telecomunica- zioni tra Assotelecomunicazioni-Asstel e Assocontact, da una parte, e Slc-Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil, dall’altra, che, in applicazione dell’art. 24-bis del d.l. n. 83/2012, ha provveduto a determinare il corrispettivo utile per la stipula, in tale ambito, di un contratto a progetto.
del 12 luglio 2013 ha precisato che anche le singole attività di servizi – ad esempio, quelle riferite alle ricerche di mercato, statistiche e scientifiche – possono rientrare da sole in quelle previste per i call center outbound sepa- rando, di fatto, la congiunzione che, nella norma, lega l’attività di vendita a quella dei servizi.
La legge n. 92/2012, poi, introduce una precisazione per quanto ri- guarda i professionisti iscritti agli albi professionali prevedendo l’esclusio- ne unicamente quando questi svolgono (effettivamente) attività lavorati- va per la quale si richieda l’iscrizione in apposito albo. Viceversa l’iscri- zione all’albo di per sé non costituisce condizione atta a escludere l’in- staurazione di un rapporto di collaborazione a progetto. Qui la norma rinvia a un dato di tipicità sociale (15), nel senso che ha riguardo alle pre- stazioni abitualmente riferibili a una determinata professione, in manie- ra da evitare che l’iscrizione a un determinato albo professionale possa es- sere artatamente utilizzata per eludere la disciplina relativa al lavoro a progetto, nell’ipotesi in cui un soggetto svolga un’attività del tutto estra- nea a quella per la quale l’ordinamento gli ha richiesto l’iscrizione a un albo professionale (come nel caso di un architetto chiamato a effettuare indagini di mercato). A tale conclusione era, invero, già pervenuta la giu- risprudenza prevedendo la conversione del rapporto da autonomo a su- bordinato nel caso in cui si costituiscano rapporti di collaborazioni coor- dinate e continuative, privi di progetto nell’erroneo presupposto del- l’inapplicabilità della disciplina del contratto a progetto a causa dell’iscri- zione del collaboratore a un albo professionale quando questi svolga at- tività diverse da quelle per le quali è necessaria l’iscrizione (16).
Per il lavoro pubblico, invece, vale la disposizione di cui all’art. 1, com- ma 2, del d.lgs. n. 276/2003, il quale sancisce la generale inapplicabilità al- le pubbliche amministrazioni dell’intero decreto legislativo, a meno che lo stesso non ne preveda espressamente la possibilità di applicazione (come, ad esempio, in materia di somministrazione a tempo determinato). A tale riguardo vi è chi ha sostenuto che la disposizione sopra richiamata non in- troduca un divieto per la stipula di contratti a progetto nelle pubbliche am- ministrazioni, e ciò sulla base della «perfetta compatibilità di questo sche- ma negoziale e della relativa disciplina con i vincoli sostanziali in materia di conferimento di incarichi di lavoro autonomo imposti dall’art. 7, com-
(15) Cfr. X. Xxxxxxx, Il lavoro autonomo, in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro, Torino, 2013, p. 135.
(16) Trib. Milano 17 maggio 2012, in Riv. crit. dir. lav., 2012, n. 1, p. 113, ri-
guardo a un collaboratore che svolgeva attività di insegnante in materie psicologiche benché iscritto all’albo dei psicologi.
mi 6 ss., d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165» (17). In effetti, la norma prevede, alla lett. a, che «l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle compe- tenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, a obiet- tivi e progetti specifici e determinati»; inoltre, disciplinando l’ipotesi della eventuale proroga dell’incarico, la lett. c, per come modificata dall’art. 1, comma 147, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ne prevede la possibi- lità proprio «al fine di completare il progetto», sicché sarà ben possibile per le pubbliche amministrazioni conferire incarichi professionali per la realiz- zazione di specifici progetti, ma al soggetto interessato non potranno esten- dersi le norme di tutela previste dagli artt. 61 xx. xxx x.xxx. x. 000/0000 xx xxxxxxx della procedura di armonizzazione prevista dall’art. 86, comma 8, del d.lgs. n. 276/2003, la quale, comunque, non potrà in ogni caso dispor- re la conversione del rapporto, a ciò ostando il divieto espressamente san- cito dal citato art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
4. — Il corrispettivo — Nella direzione, stabilita dalla legge n. 92/2012, di un rafforzamento dei diritti e delle tutele del collaboratore a progetto, si colloca la riscrittura dell’art. 63 del d.lgs. n. 276/2003 in materia di crite- ri per la determinazione del corrispettivo. La novella, inserita a seguito di un emendamento proposto al Senato, va incontro all’esigenza di prevede- re per i collaboratori a progetto la determinazione di un salario minimo che si inquadra nelle policies europee dirette alla lotta contro la povertà e l’esclu- sione sociale (18).
(17) Cfr. X. Xxxxx, Prime chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a proget- to, in W.P. Csdle «Xxxxxxx X’Xxxxxx».IT, 2012, n. 151, p. 21, nota 62.
(18) La necessità di un salario minimo garantito è presente anche nelle politiche del Parlamento europeo: vd. Risoluzione del Parlamento europeo del 15 febbraio 2012 sull’occupazione e gli aspetti sociali nell’analisi annuale della crescita 2012 [2011/2320(Ini)]. L’esigenza è stata ribadita dal presidente dell’eurogruppo Xxxx- Xxxxxx Xxxxxxx, in un’audizione di fronte alla Commissione affari economici e mo- netari del Parlamento europeo del 10 gennaio 2013; per il premier lussemburghese
«devono essere definiti salari minimi in tutti i paesi della zona euro, e [bisogna] prov- vedere a colmare “l’elemento carente” dell’unione economica e monetaria, vale a dire la dimensione sociale». La previsione di un salario minimo è presente anche nella leg- ge n. 183 del 2014 in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, di servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rap- porti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in cui l’art. 7, lett. g, prevede, allo scopo di rafforzare le opportu- nità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupa- zione, quale principio da seguire in ordine al riordino delle forme contrattuali l’«in- troduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti aventi a oggetto una prestazione di lavoro subordinato,
L’originaria versione della norma riconosceva al collaboratore a proget- to un corrispettivo commisurato alla quantità e alla qualità del lavoro ese- guito, prevedendo come unico criterio per la sua determinazione il raffron- to con i compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di la- voro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto (19).
Sul corrispettivo del lavoro a progetto il legislatore era, poi, intervenu- to con una norma nascosta nelle pieghe della finanziaria del 2007 (20) con cui, incrementando l’aliquota contributiva per i collaboratori a progetto, ha ancorato i compensi da corrispondere a quelli normalmente corrisposti per prestazioni di analoga professionalità «anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento», prevedendo una sostanziale parificazio- ne con le retribuzioni corrisposte per analoghe prestazioni ai lavoratori su- bordinati (21). In verità la norma, per la sua ambigua formulazione («in ogni caso…»), aveva generato confusione sulla sua capacità abrogativa del- l’art. 63 del d.lgs. n. 276/2003. Dubbi oramai fugati dalla nuova formula- zione dell’articolo che, indubbiamente, realizza un’abrogazione implicita della disciplina sul compenso del lavoro a progetto prevista dalla Finanziaria del 2007 (22).
Nella nuova disposizione, il legislatore, per la determinazione del corri- spettivo, pone accanto alla proporzionalità i criteri della «particolare natu- ra della prestazione» e del «contratto che lo regola». Il primo parametro, in verità, è riconducibile al criterio di proporzionalità attribuendo valore alle caratteristiche tipiche della prestazione dovuta (ad esempio, la sua difficol- tà o la sua pericolosità), e dunque alla «qualità» del lavoro da eseguire (23);
nonché, fino al loro esaurimento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continua- tiva, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sin- dacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, previa consultazio- ne delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
(19) Secondo l’analoga previsione della legge n. 142/2001 per la determinazione del trattamento economico complessivo per i soci di cooperativa con rapporto di la- voro autonomo, il criterio di «normalità» si intendeva come «media» nel senso che il giudice era tenuto a confrontare l’ammontare quantitativo dei compensi utilizzati per prestazioni autonome di analogo contenuto con quella dedotta nel contratto a pro- getto e ad applicare, quale criterio, il compenso risultante dalla media matematica dei valori economici considerati, vd. M.N. Xxxxxxx, Il compenso del lavoro a progetto, in Arg. dir. lav., 2006, n. 4-5, I, p. 1081.
(20) Art. 1, comma 772, legge n. 296/2006.
(21) Cfr. X. Xxxxx, Il lavoro a progetto dopo la finanziaria del 2007, in Arg. dir. lav., 2008, n. 1, I, p. 27.
(22) Cfr. X. Xxxxxxxxx, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, pp. 32-33. Ciò
è, oggi, espressamente indicato nella circolare del ministero del Lavoro n. 29/2012.
(23) Cfr. X. Xxxxx, xx.xxx.xxx., x. 00.
l’altro criterio, invece, richiama il contenuto specifico del contratto consen- tendo di commisurare il compenso anche attraverso eventuali clausole che possano causare uno squilibrio patrimoniale a danno del collaboratore, quale potrebbe essere, ad esempio, l’introduzione nel corpo del contratto di un patto che, ai sensi dell’art. 64 del d.lgs. n. 276/2003, imponga al col- laboratore la monocommittenza.
Di maggiore importanza è, tuttavia, la seconda parte della norma, che stabilisce innanzitutto che il compenso «non può essere inferiore ai mini- mi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmen- te articolati per i relativi profili professionali tipici». Si fa riferimento, per- tanto, in prima battuta ai minimi contrattuali previsti specificatamente dalla contrattazione collettiva intercategoriale, nazionale o, su delega di questa, decentrata, rivolta ai lavoratori a progetto per ciascun settore di at- tività declinando il compenso in relazione ai «profili professionali tipici», richiamando così, per la prima volta, i livelli contrattuali secondo cui sono articolate le mansioni sul versante del lavoro subordinato (24). La disposi- zione prevede poi che, in mancanza di specifica contrattazione collettiva, i compensi non potranno essere inferiori «alle retribuzioni minime previste dai contratti nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto». Tale previsione normativa, pur nel- la sua complessità che potrebbe indurre a incertezze interpretative (25), è stata considerata il veicolo per applicare al compenso del collaboratore a progetto l’art. 36 Cost. (26), finora per giurisprudenza consolidata riserva- to ai soli lavoratori subordinati (27). Va, comunque, messo in evidenza che
(24) Cfr. X. Xxxxxxxxxxx, La nuova disciplina del lavoro autonomo e associato, Torino, 2012, p. 97.
(25) Cfr. X. Xxxxxxx, Lavorare per progetti. Uno studio su contratti di lavoro e nuo- ve forme organizzative d’impresa, Milano, 2012, p. 142.
(26) Cfr. X. Xxxxxxx, Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma Monti, in Lav. dir., 2012, n. 3-4, p. 560, che ritiene applicabile per il compenso del collabora- tore a progetto l’art. 36 Cost. «con riferimento al duplice criterio della proporziona- lità e della sufficienza e quindi al principio di giustizia distributiva tipica del lavoro subordinato»; contra, M. Xxxxxxx, Il lavoro economicamente dipendente, Milano, 2013, p. 195.
(27) Cfr., tra le tante, ad es., Xxxx. 23 marzo 2004, n. 5807, in Mass. giust. civ., 2004, fasc. 7, p. 541. Nella direzione di un avvicinamento alla disciplina dei lavora- tori subordinati si inserisce una sentenza del Tribunale di Bergamo del 12 dicembre 2013, in xxx.xxxx.xx, secondo cui il principio dell’automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 cod. civ. ha valore generale, a fronte del quale non può ritenersi ammis- sibile una deroga che non sia in forma esplicita. Inoltre, diversamente da quanto pre- visto per i lavoratori autonomi, nei rapporti di collaborazione «il sistema di pagamen-
il legislatore ha fornito al collaboratore a progetto, per la determinazione del «giusto» compenso, una tutela per certi versi maggiore rispetto a quel- la riconosciuta al lavoratore subordinato laddove ha espressamente sancito il principio per cui la fonte normativa per la determinazione del compen- so minimo è la contrattazione collettiva. Fino a questo momento, infatti, i contratti collettivi sono stati utilizzati indirettamente quale parametro di riferimento per il giudice adìto dal lavoratore subordinato per la determi- nazione della giusta retribuzione sulla base del combinato disposto degli artt. 36 Cost. e 2099 cod. civ. La disposizione in commento richiama il meccanismo utilizzato dal legislatore in materia di retribuzione da utilizza- re come base di calcolo per la contribuzione previdenziale, che ai sensi del- la legge n. 389 del 1989 non può essere inferiore alla retribuzione stabilita da leggi, regolamenti o contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sin- dacali più rappresentative su base nazionale. Tuttavia, nel caso del lavoro a progetto potrebbero sollevarsi problemi di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 39 Cost., in quanto in tal caso si realizza, sebbene solo per la parte economica, un’estensione erga omnes del contratto collettivo di diritto comune; violazione costituzionale che, com’è noto, sulla base dei princìpi stabiliti dalla Corte costituzionale con sentenza n. 342 del 1992 (28), è stata esclusa per la disposizione concernente la retribuzione impo- nibile ai fini previdenziali sulla base dell’autonomia strutturale e funziona- le del rapporto previdenziale dal rapporto di lavoro (29).
to dei contributi è speculare a quello esistente nell’Ago per i lavoratori dipendenti» e il collaboratore «non ha alcun sistema per costringere il committente a versare i con- tributi dovuti in favore dell’Inps, come non lo ha il lavoratore dipendente»; ne con- segue che «la mancata applicazione del principio dell’automaticità delle prestazioni potrebbe costituire una violazione dell’art. 3 della Costituzione, trattando situazioni che allo stesso modo meritano tutela in modo irragionevolmente diverso».
(28) Invero la Corte costituzionale, investita della questione di legittimità costitu- zionale dell’art. 28, d.P.R. n. 488 del 1968 (che faceva riferimento, per la determina- zione della base imponibile dei contributi agricoli unificati, alle retribuzioni risultan- ti dai contratti collettivi), in relazione all’art. 39 Cost., ha rigettato la questione di co- stituzionalità sollevata sulla norma «in combinato disposto con l’art. 1, comma 1, d.l.
n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989», in quanto «il sistema seguìto consente di effettuare un bilanciamento di interessi assicurato dalla utilizzazione di contratti collettivi come modelli generali o parametri validi per la generalità dei dato- ri di lavoro, senza peraltro conferire ai contratti collettivi medesimi efficacia erga om- nes per quanto attiene al rapporto di lavoro, distinto da quello previdenziale», in q. Riv., 1992, II, p. 731.
(29) Pertanto, in quest’ultimo caso, la fonte collettiva funge da parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo minimo e, per scelta legislativa, questo pa- rametro viene ritenuto il più idoneo ad adempiere alla funzione di tutela assicurativa,
La regolamentazione del corrispettivo del collaboratore presenta, inol- tre, alcune lacune non colmate dalle circolari ministeriali. Infatti, nel gio- co degli interessi contrapposti delle parti ma considerando la debolezza economica del collaboratore si sarebbe potuto intervenire in funzione rie- quilibratrice, prevedendo delle garanzie ulteriori per il ritardo nel paga- mento da parte del committente, così come è previsto dalla disciplina sul- la subfornitura che in caso di ritardo di pagamento introduce una nuova ipotesi di mora ex re rispetto a quelle previste dall’art. 1219, comma 2, cod. civ., nonché la possibilità di ottenere un’ingiunzione di pagamento provvi- soriamente esecutiva (30). Infine nulla è detto sul diritto del collaboratore a ricevere il corrispettivo qualora non avesse potuto eseguire il progetto a causa della mancata cooperazione del committente: in tal caso si dovrà ri- correre all’art. 1217 cod. civ., che disciplina la mora credendi nelle obbliga- zioni di fare e costituire in mora il committente mediante l’intimazione di compiere gli atti che sono necessari, da parte sua, per rendere possibile la realizzazione del progetto.
5. — L’estinzione del contratto a progetto — Caratteristica ontologica del lavoro a progetto è la sua durata, determinata o determinabile, e, dun- que, la sua temporaneità, in quanto lo stesso presuppone il raggiungimen- to di un obiettivo. Il vincolo della temporaneità è desumibile dall’espres- sa richiesta di «indicazione della durata, determinata o determinabile, del- la prestazione di lavoro» (art. 62 lett. a) nonché, implicitamente, dal rife- rimento «a uno o più progetti specifici» (art. 61), che esclude una colla- borazione priva di un predeterminato risultato e termine finale. D’altro canto anche negli studi di organizzazione aziendale il progetto si configu- ra per la sua dimensione temporanea, ovvero per il fatto che la sua attivi- tà deve svolgersi in un determinato lasso di tempo essendo finalizzata alla sua realizzazione (31).
nonché a garantire l’equilibrio finanziario della gestione previdenziale, vd. Cass., Ss.Uu., 29 luglio 2002, n. 11199, in Dir. lav., 2002, n. 6, p. 602.
(30) Cfr. X. Xxxxxxx, op.ult.cit., p. 561. Invero, per quanto riguarda la subfornitu-
ra, sono state avanzate in dottrina delle critiche sulla rigidità dei tempi di pagamen- to, che potrebbe addirittura rivelarsi in danno dello stesso subfornitore ponendosi co- me ostacolo alla conclusione di accordi potenzialmente vantaggiosi nei quali si po- trebbe concordare un maggiore prezzo a fronte del riconoscimento di tempi di paga- mento maggiori: cfr., da ultimo, X. Xxxxxxxxx, La subfornitura, in X. Xxxxxx (a cura di), Il mercato del lavoro, in X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, vol. VI, Padova, 2012, p. 1660.
(31) Cfr. X. Xxxxxxxxx, Organizzazione d’impresa, Milano, 1979, p. 305, secondo
cui «per progetto si intende: un insieme di attività di progettazione e/o di produzio-
È evidente che l’estinzione fisiologica del contratto avvenga al momen- to della realizzazione del progetto (art. 67, comma 1); ci si può interroga- re se il compimento anticipato del progetto comporti l’automatica estin- zione del rapporto indipendentemente dal raggiungimento del termine prefissato nel contratto. A tale proposito c’è stato chi ha considerato l’ap- posizione del termine funzionalizzata a stabilire la durata massima per l’ese- cuzione del progetto, potendosi estinguere la collaborazione nel momento della realizzazione del progetto, «e cioè quando è compiuto l’opus o il ser- vizio, e quindi teoricamente anche prima della scadenza del termine» (32). In tal senso la realizzazione del progetto farebbe venir meno la ragion d’es- sere della relazione negoziale (33). Tuttavia detta interpretazione non tiene conto del forte legame che c’è nella fattispecie contrattuale tra progetto e sua durata, nel senso che l’interesse del committente non si esaurisce nella realizzazione del progetto ma nel fatto che quel progetto venga compiuto nel termine stabilito (34) – in tal senso il termine deve intendersi come ne- cessario; prova ne sia la circostanza che il recesso ante tempus può essere esercitato dal solo collaboratore unicamente quando le parti abbiano espressamente previsto nel contratto detta facoltà. Tale ultima prescrizione induce a ritenere che l’indicazione della durata, prevista dall’art. 62, lett. a, possa avere il significato di un termine minimo e non massimo di scaden- za posto a favore del collaboratore, in linea con la disciplina delle obbliga- zioni contrattuali per le quali l’art. 1184 cod. civ. prevede che l’indicazio- ne del termine si presume a favore del debitore. D’altro canto, la circostan- za che la durata del contratto possa essere indicata come «determinata o de- terminabile» induce a ritenere che è lasciata all’autonomia delle parti repu- tare necessaria l’apposizione di un termine di scadenza al contratto o, vice- versa, indicare la durata del rapporto per relationem, cioè rapportare il ter-
ne di unità o lotti specifici di un dato prodotto, che per loro complessità o rilevanza richiedono l’impiego di operatori con diversa qualificazione inseriti abitualmente nel- l’ambito di vari organi permanenti in una logica funzionale…».
(32) Xxx. X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Prime chiose alla disciplina del lavoro a progetto, in
Arg. dir. lav., 2004, n. 1, I, p. 37.
(33) Così X. Xxxxxxxx, Il recesso del lavoro a progetto tra volontà delle parti e dirit- to dei contratti, in Arg. dir. lav., 2004, I, p. 902, secondo cui la realizzazione del pro- getto «in qualche maniera prevale anche sull’estinzione del contratto per raggiungi- mento del termine della prestazione; la realizzazione del progetto infatti priva il nego- zio della sua funzione essenziale, della ragione giustificativa dell’operazione economi- ca voluta (e dedotta in contratto) dalle parti, indipendentemente dal raggiungimento del termine apposto a essa».
(34) Cfr. X. Xxxxxxxxxxx, La nuova disciplina del lavoro autonomo e associato, Torino, 2012, p. 113.
mine medesimo a un avvenimento futuro il cui verificarsi sia certo, quale, appunto, la realizzazione del progetto.
A ciò si aggiunga una considerazione attinente alla copertura previden- ziale dei collaboratori a progetto. Infatti, essi, come è noto, sono tenuti a iscriversi alla gestione separata o «quarta gestione» dell’Inps, con onere con- tributivo per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del collabora- tore. Il legislatore ha dettato una disciplina di progressivo innalzamento delle aliquote contributive – in origine pari al 10 per cento del reddito – progressivamente elevate al 26 per cento per il 2012, al 28 per cento per il 2013 fino ad arrivare al 33 per cento nel 2018. Orbene, come per i contri- buti del lavoratore dipendente, il versamento alla gestione separata compe- te al committente anche per la parte cui è tenuto il collaboratore. Ciò av- viene a mezzo di una trattenuta dal compenso effettuata ogni mese, entro il giorno 16 del mese successivo a quello di pagamento del corrispettivo, sicché una risoluzione del contratto prima della scadenza del termine pre- fissato, pur con l’integrale pagamento del compenso previsto, non potrà non determinare un deficit contributivo in danno al collaboratore, essen- do difficilmente ipotizzabile il versamento di contributi in assenza di svol- gimento di attività lavorativa. Diversa è l’ipotesi di un recesso «patologico» prima della scadenza termine, effettuato per giusta causa dichiarata poi giu- dizialmente infondata; in tal caso competeranno al collaboratore, a titolo risarcitorio, il restante compenso pattuito dal momento del recesso (dichia- rato illegittimo) fino al termine convenuto di durata del lavoro a progetto nonché il versamento dei contributi previdenziali calcolati per lo stesso pe- riodo. Sembra più logico ritenere, pertanto, che nel rispetto dell’autonomia delle parti, qualora le stesse abbiano previsto un termine al contratto, sarà possibile risolvere il rapporto prima della scadenza convenuta soltanto al- lorquando tale possibilità sia espressamente prevista nel regolamento con- trattuale, considerando altresì che, se è vero che il collaboratore svolge la sua attività in autonomia, è anche vero che elemento tipico della fattispe- cie è il coordinamento del committente, sicché la previsione di un termine ha anche la funzione di armonizzare la prestazione lavorativa del collabo- ratore con l’organizzazione del committente.
In riferimento al recesso delle parti, la nuova disciplina è intervenuta con una riscrittura dell’art. 67. Tale articolo, nel ribadire, come in prece- denza, che le parti possono recedere prima della scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa, prevede una causa tipica di recesso a favo- re del committente qualora nell’esecuzione del rapporto affiorino «profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto». Il legislatore non chiarisce cosa si debba inten-
dere per «giusta causa», ma come avviene per altri contratti di durata (ad es. in materia di recesso del prestatore dal contratto d’opera intellettuale, ex art. 2237, comma 2, cod. civ.) essa si può identificare in tutti quei fatti ri- conducibili alla violazione di obblighi contrattuali, di fedeltà, di diligenza e correttezza, incidenti sulla natura fiduciaria del rapporto. Il recesso diven- ta quindi una giustificata reazione a un comportamento illegittimo del col- laboratore; condotta che viene a minare il rapporto fiduciario sul quale si basa il rapporto contrattuale.
Viene meno la possibilità prevista dalla normativa ante riforma di intro-
durre nel contratto «diverse causali o modalità» di recesso, che aveva por- tato a ritenere consentito di avvalersi del recesso ad nutum. Tale elimina- zione permette di riconoscere al collaboratore la stessa garanzia di stabilità del rapporto contrattuale riconosciuta al lavoratore subordinato a tempo determinato. È rimessa, invece, alla volontà delle parti la possibilità di pre- vedere nel contratto la facoltà di recedere con preavviso ad nutum in capo al collaboratore; xxxxxxxx, invero, di difficile inserimento e che dipenderà dalla distribuzione del potere contrattuale tra le parti.
In riferimento, invece, alla nuova ipotesi di recesso prevista a favore del committente che abbia rilevato profili oggettivi di inidoneità professiona- le, va rilevato come questa si realizzerà tutte le volte in cui comportamen- ti del collaboratore ovvero situazioni estranee al rapporto inducano a pre- sentire l’impossibilità di realizzazione del progetto a causa della mancanza della dovuta perizia e/o abilità professionale. È evidente che debba trattar- si di circostanze sopravvenute alla conclusione del rapporto che, pertanto, non erano conosciute o conoscibili dal committente. Si pensi, ad esempio, a un contratto di collaborazione avente a oggetto la realizzazione di un pro- getto altamente complesso che sia stato affidato dal committente a uno specifico soggetto sulla base di asserite competenze acquisite in precedenti esperienze professionali poi rivelatesi non veritiere (35).
(35) Cfr., ad es., l’Accordo collettivo nazionale per le collaborazioni a progetto nel settore non profit sottoscritto il 24 aprile 2013 tra Aoi (Associazione Ong italiane), e Link 2007 (Cooperazione in rete) per la parte datoriale e Felsa Cisl, Nidil Cgil e Uiltemp per la parte dei collaboratori a progetto, in cui le parti hanno individuato al- cune ipotesi, in via esemplificativa, in cui possa ritenersi integrata la fattispecie: man- cata presenza di elementi di qualificazione professionale considerati come essenziali per lo svolgimento del contratto (ad esempio: mancata conoscenza degli standard ri- chiesti della lingua straniera; mancata conoscenza delle necessarie procedure informa- tiche e telematiche; mancata conoscenza delle regole basilari della rendicontazione; incapacità o scarsa attitudine a rapportarsi agli enti istituzionali secondo criteri di di- plomazia adeguati al contesto; incapacità di relazionarsi con il personale locale nei progetti all’estero).
Sul recesso delle parti occorre mettere in evidenza come la legge nul- la dica a proposito della forma. Invero, indirettamente, la necessità della forma scritta per il recesso almeno del committente si può ricavare dalla disciplina dell’impugnazione dell’atto. E infatti, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010, ai rapporti di collaborazione coordinata e conti- nuativa anche nella modalità a progetto sono stati estesi i termini per l’impugnazione del recesso, che dovrà essere effettuata, a pena di deca- denza, entro sessanta giorni dalla comunicazione dello stesso in forma scritta.
Un’ultima novità è stata aggiunta dal d.l. n. 76 del 2013 in ordine alla risoluzione consensuale del lavoro a progetto. È stato, infatti, inserito nel- l’art. 4 della legge Fornero un comma 23-bis che ha esteso l’applicazione dei commi precedenti – dal 16 al 23 – sia al contratto a progetto che all’as- sociazione in partecipazione. Da oggi, pertanto, viene estesa ai lavoratori a progetto la normativa generale riguardante la convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale (oltre a quella specifica prevista per la lavora- trice in gravidanza o per lavoratore/lavoratrice nel caso di minore adottato o affidato) (36). L’operata estensione, per quanto possa comportare un og- gettivo carico burocratico, stante la farraginosità della procedura, si inseri- sce nell’alveo delle tutele accordate a ogni lavoratore indipendentemente
(36) La legge n. 92 del 2012 ha introdotto una sorta di diritto di ripensamento che viene esteso anche a tutte le ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. L’art. 4, comma 16, conferma il procedimento di convalida presso il servizio ispettivo per le ipotesi di dimissioni e di risoluzione consensuale nei casi di maternità e paterni- tà estendendone l’ambito di applicazione fino ai tre anni di vita del bambino. Per tut- ti gli altri casi, le dimissioni e la risoluzione consensuale sono sospensivamente condi- zionate a una procedura che può svolgersi alternativamente in due forme: 1) presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso altra sede individuata dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle or- ganizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; 2) sottoscrivendo un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della co- municazione di cessazione del rapporto inoltrata dal datore di lavoro al Centro per l’impiego. In mancanza di convalida o di sottoscrizione, il datore di lavoro ha l’onere entro trenta giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale, se non vuole evitare l’inefficacia delle stesse, di inoltrare un invito al lavoratore a presentarsi presso le sedi sopra indicate per perfezionare la procedura. Nei successivi sette giorni dal ricevimento dell’invito, il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni o la riso- luzione consensuale anche con una semplice comunicazione scritta, ferma restando la perdita delle retribuzioni per il periodo non lavorato tra il recesso o la risoluzione e la revoca. L’inattività del lavoratore nel termine indicato comporta la risoluzione del rap- porto di lavoro. Infine per il caso più grave di dimissioni in bianco la legge introduce una sanzione amministrativa nella misura variabile tra 5.000 e 30.000 euro, ferma re- stando l’applicazione delle eventuali sanzioni penali.
dalla qualificazione formale del rapporto e si spiega con la circostanza che il mutato regime del recesso nel contratto a progetto (che prevede la possi- bilità per il committente di recedere da un rapporto prima della scadenza del termine soltanto in ipotesi di oggettiva inidoneità professionale del col- laboratore) potrebbe, probabilmente, rendere il lavoratore maggiormente esposto alla richiesta da parte del committente di dimissioni o risoluzioni consensuali in bianco.
6. — Le modifiche all’apparato sanzionatorio — La legge n. 92 del 2012 è intervenuta in maniera corposa anche sulle norme destinate ai profili san- zionatori della disciplina del lavoro a progetto. Come è noto, l’art. 69 del d.lgs. n. 276/2003 aveva previsto la riconduzione nell’alveo dei rapporti di lavoro subordinato, e fin dalla data della costituzione, di tutti i rapporti di collaborazione privi del progetto (e, prima dell’abrogazione dei termini), programma e fase di esso.
L’intervento del legislatore sembra porre fine all’annosa querelle che ha
appassionato dottrina e giurisprudenza sulla natura, relativa o assoluta, del- la presunzione introdotta (37). Esso, infatti, con norma di interpretazione autentica chiarisce la natura di elemento essenziale del progetto, la cui mancanza comporta l’invalidità del contratto e la costituzione di un rap- porto di lavoro subordinato a tempo indeterminato senza la possibilità per il committente di fornire la prova contraria relativa alla natura autonoma del contratto (38).
La precisazione del legislatore della novella, in effetti, cancella un’an- tinomia presente nella originaria formulazione della disciplina laddove coesistevano due norme in apparente contraddizione: e infatti, l’art. 69 prevedeva una sanzione severa a fronte della mancanza del progetto che,
(37) Sulle motivazioni poste alla base dei due orientamenti vd. la ricostruzione di
X. Xxxxxxx, Lavorare per progetti. Uno studio su contratti di lavoro e nuove forme orga- nizzative d’impresa, Milano, 2012, pp. 143 ss.
(38) La norma, invero, per come è congegnata, sembra andare oltre la tradiziona- le tecnica dichiarativa tipica delle leggi di interpretazione autentica in quanto innova il corpus legislativo. Cfr. X. Xxxxxxx, Lavoro autonomo tradito e l’equivoco del «lavoro a progetto», in Dir. rel. ind., 2013, n. 1, p. 30; X. Xxxxxxx, Autonomia, subordinazio- ne, coordinazione nel gioco delle presunzioni, in W.P. Csdle «Xxxxxxx X’Xxxxxx».IT, 2013, n. 174, p. 11. Cfr. Corte d’App. Milano 14 maggio 2013, n. 511, in Dir. rel. ind., 2013, n. 4, p. 1125, secondo cui la circostanza che la legge n. 92 del 2012 pre- veda che le modifiche al contratto a progetto si applichino ai contratti di collabora- zione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della legge comporta la conferma della natura relativa della presunzione per i contratti stipulati precedente- mente.
però, l’art. 62, lett. b, indicava quale mero elemento del contenuto del contratto richiesto ai fini della prova (39).
La norma non chiarisce se per mancanza del progetto debba intendersi una mancanza concreta dello stesso nello svolgimento dell’attività lavorati- va – e, dunque, un vizio sostanziale –, ovvero che, pur esistendo in concre- to un progetto, esso non risulti adeguatamente specificato nel contratto – e, dunque, un vizio formale. Invero, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza ante riforma, per mancata individuazione del proget- to si deve intendere sia la «mancata indicazione formale del contenuto del progetto» (40), sia «l’indicazione o descrizione di un progetto generico e indeterminato» (41). Il Ministero sembra far proprio tale orientamento, precisando, nella circolare n. 29/2012, che si dovrà ritenere assente il pro- getto qualora lo stesso sia carente dei requisiti caratterizzanti quali «colle- gamento a un determinato risultato finale, autonoma identificabilità nel- l’ambito dell’oggetto sociale del committente, non coincidenza con l’og- getto sociale del committente, svolgimento di compiti non meramente ese- cutivi o [oggi: “e”] ripetitivi», sicché si dovrà qualificare come rapporto di lavoro subordinato quel rapporto di collaborazione nel cui contratto non si ravvisi uno specifico progetto ovvero in cui «l’individuazione del proget- to si traduce in un insieme di clausole di stile».
In verità che la «semplice» mancanza del progetto possa determinare la costituzione in forma subordinata del contratto continua a destare perples- sità: e infatti, il rapporto contrattuale convertito a causa dell’assenza del pro- getto potrebbe, in astratto, non presentare alcun elemento di subordinazio- ne. Si potrebbe, allora, determinare l’esistenza di un rapporto di lavoro su- bordinato senza eterodirezione, ovvero in cui l’eterodirezione sia sostituita dal più attenuato coordinamento: ecco perché sarebbe, forse, più corretto parlare non di presunzione ma di riqualificazione obbligatoria della fattispe- cie, che integrerebbe, a sua volta, la cd. disponibilità del tipo stigmatizzata dalla Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di disposizioni di legge predeterminanti a priori la natura del rapporto (42). Il legislatore, per- tanto, non può limitare la libertà del giudice nel procedimento valutativo inerente la qualificazione del rapporto di lavoro, imponendogli di ricondur- re una fattispecie concreta alla fattispecie astratta contenuta nell’art. 2094
(39) Cfr. X. Xxxxxxx, Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma Monti, in
Lav. dir., 2012, n. 3-4, p. 552.
(40) Trib. Milano 13 marzo 2006, in Riv. it. dir. lav., 2007, II, p. 890.
(41) Trib. Milano 18 agosto 2006, in Riv. crit. dir. lav., 2007, p. 115.
(42) Xxxxx xxxx. 00 xxxxx 0000, x. 000, xx Xxx. xx. dir. lav., 1995, II, p. 227; 29 marzo 1993, n. 121, in Foro it., 1993, I, c. 2432.
cod. civ., prescindendo dalla sussistenza degli elementi tipici della subordi- nazione (43). Tale sanzione è senz’altro pesante ove si pensi che potrebbe comportare una disparità di trattamento tra due collaboratori a progetto che svolgono la medesima attività nell’ambito del coordinamento del commit- tente, e per cui soltanto uno si trovi ad avere convertito il rapporto in for- ma subordinata a causa di un’indicazione carente del progetto all’interno del contratto e in astratto anche contro la sua effettività volontà, integrando, co- sì, una violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Una vera e propria presunzione iuris tantum è stata inserita dal legisla-
tore della riforma nell’ambito del comma 2 dell’art. 69, che nel primo pe- riodo prevede la conversione del contratto che presenti indici sufficienti di subordinazione nella corrispondente tipologia negoziale di fatto realizzata- si tra le parti. In proposito la norma oggi prevede che, pur ammettendo la prova contraria da parte del committente, tutti i rapporti di collaborazio- ne, ivi compresi quelli a progetto, siano convertiti, con efficacia ex tunc, in rapporti di lavoro subordinato, qualora l’attività sia resa «con modalità ana- loghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente». La norma è stata criticata in quanto si è detto che, se la prestazione del col- laboratore è resa con «modalità analoghe» a quelle dei dipendenti in regi- me di subordinazione del committente, vuol dire che la stessa è resa sulla base di direttive e ordini che vanno al di la del semplice coordinamento, e cioè con caratteristiche tipiche della subordinazione. Sicché, casomai, sa- rebbe stato più appropriato prevedere una presunzione assoluta (44).
Tuttavia, pare più corretto ritenere, a voler dare un significato alla nor- ma che altrimenti sarebbe inutiliter data, che la disposizione faccia riferi- mento alla circostanza in cui i dipendenti del committente, pur essendo in-
quadrati come subordinati, svolgano la prestazione con modalità organiz- zative di incerta qualificazione – le cd. zone grigie (si pensi al caso degli in- formatori scientifici) (45) –, sicché qualora si stipulino contratti di colla-
(43) Cfr. X. Xxxx, L’improbabile equilibrio tra rigidità «in entrata» e flessibilità «in uscita» nella legge n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, in Arg. dir. lav., 2012,
n. 4-5, I, p. 824, il quale parla di qualificazione coattiva della fattispecie.
(44) Cfr. X. Xxxxxxx, Lavoro autonomo tradito e l’equivoco del «lavoro a progetto», in
Dir. rel. ind., 2013, n. 1, p. 24; X. Xxxxxxx, op.ult.cit., p. 11.
(45) Cfr. Trib. Milano 10 novembre 2005, in Giust. civ., 2006, p. 1605, secondo cui «l’attività di verifica della conoscenza, della diffusione e del posizionamento sul mercato dei farmaci prodotti dall’impresa committente, con conseguente necessità di realizzare uno studio che comporti la rilevazione, l’analisi e l’elaborazione dei dati re- lativi alle specialità farmaceutiche sul territorio nazionale integra di per sé un proget- to dotato di sufficiente specificità, così che non possano ricorrere, nel caso di specie, gli estremi per l’applicazione dell’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003».
borazione aventi analoghe modalità di espletamento della prestazione con tali dipendenti si presumerà la subordinazione del rapporto ammettendo, però, il committente alla prova contraria. Questi, cioè, potrà dimostrare che indipendentemente dall’inquadramento dei propri dipendenti come lavoratori subordinati, le caratteristiche dello specifico rapporto, nel quale, ad esempio, potrà essere presente un elevato grado di flessibilità e di auto- nomia di gestione, non siano sussumibili nel paradigma giuridico di cui al- l’art. 2094, potendosi inquadrare nell’ambito del lavoro autonomo o para- subordinato (46).
La presunzione, però, non opera qualora l’attività del collaboratore ri- guardi «prestazioni di elevata professionalità» che «possono essere indivi- duate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali compa- rativamente più rappresentative sul piano nazionale». La ratio dell’eccezio- ne sembra essere l’associazione, peraltro non sempre vera e certamente in- fondata in diritto, tra lavoro autonomo e lavoro professionalizzato (47), in linea con la nuova previsione secondo cui il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, ritenuti indica- tori pericolosi della effettiva presenza di una fattispecie di lavoro subordi- nato. Tuttavia la formulazione della norma non è delle più felici, prestan- dosi a due interpretazioni: secondo una prima lettura sembrerebbe che la prevista eccezione sia destinata a operare anche in assenza di una tipizza- zione operata dalle parti sociali delle prestazioni di elevate professionalità (48), e in tal caso spetterebbe al giudice stabilire in concreto il livello mi- nimo per cui l’attività del collaboratore sia qualificabile come di «elevata professionalità»: compito non facile, considerata la vaghezza della norma, e che attribuirebbe al giudice un potere in ordine alla classificazione dei la- voratori, finora non previsto dall’ordinamento. Sembra preferibile, allora (e questa è l’interpretazione indicata nella circolare ministeriale n. 29/2012), ritenere che il legislatore abbia previsto la facoltatività dell’intervento delle parti sociali nella declinazione delle attività di elevata professionalità a cui
(46) Sul punto, cfr. X. Xxxxxxx, Il lavoro autonomo, in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Il nuovo mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Torino, 2013, p. 138, il quale rinviene nella norma una «valenza meramente proces- suale», nel senso che al collaboratore spetterà di provare in giudizio le analoghe mo- dalità di lavoro, e al committente di dimostrare che quelle modalità di lavoro sono compatibili con la configurazione di un lavoro autonomo.
(47) Cfr. X. Xxxxx, La nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, in X. Xxxxxx (a cura di), Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari, 2013, p. 208.
(48) Ibidem. X. Xxxxxxxxxxx, La nuova disciplina del lavoro autonomo e associato,
Torino, 2012, p. 145.
non applicare il comma 2 dell’art. 69, al fine di rimettere loro la decisione sull’operatività o meno della presunzione per tali figure contrattuali.
7. — La presunzione di collaborazione coordinata e continuativa. Il caso delle false partite Iva — Di seguito all’art. 69, la riforma Fornero ha aggiun- to nel corpus del d.lgs. n. 276/2003 un nuovo art. 69-bis sotto il titolo:
«Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo». In verità qui la rubrica è fuorviante in quanto il contenuto della norma fa riferimen- to unicamente alle prestazioni lavorative rese dai titolari di partite Iva e, dunque, dai soggetti che ai sensi dell’art. 00 xxx x.X.X. x. 000/0000 «xxxxx- prendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione» (49).
In riferimento alle prestazioni rese da questi soggetti, la riforma fa ope- rare una presunzione relativa di ricorrenza di un rapporto di collaborazio- ne coordinata e continuativa in presenza di alcune condizioni (in seguito modificate dall’art. 46-bis, comma 1, lett. c, del d.l. n. 83/2012, converti- to in legge n. 134/2012).
In particolare la presunzione si realizza quando ricorrono almeno due dei requisiti indicati: collaborazione con il medesimo committente di du- rata superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi; corrispettivo che superi l’ottanta per cento dei ricavi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi; postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
In relazione al requisito temporale – otto mesi annui per due anni con- secutivi –, essendo scomparso il riferimento all’anno solare contenuto nel- la versione originaria dell’articolo, questo va oggi a identificarsi con l’anno civile, sicché la condizione che ha cominciato a verificarsi soltanto dal 1° gennaio del 2013 potrà perfezionarsi solo alla fine del 2014. Si tratta, per- tanto, di un criterio destinato a rimanere inoperativo almeno per tutti i committenti «attenti», che si guarderanno bene dal conferire incarichi di durata superiore agli otto mesi in maniera da impedire la realizzazione di tale condizione.
In merito al requisito reddituale il legislatore ha disposto che nell’ambi- to del fatturato, la cui soglia costituisce il limite superato il quale si verifi-
(49) Contra, X. Xxxxxxx, Il lavoro economicamente dipendente, Milano, 2013, p. 88, secondo cui, nonostante la lettera della legge, la disposizione ha efficacia generalizza- ta per tutti i tipi di rapporto, non potendo ritenersi preclusivo dell’utilizzazione della presunzione il dato formale della scelta di un determinato regime fiscale.
ca la presunzione, vadano calcolati i corrispettivi relativi a persone fisiche o giuridiche «riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi». L’espressione richiama la nozione utilizzata dalla giurisprudenza in caso di società collegate al fine dell’applicazione delle discipline lavoristiche (50); tuttavia la finalità di individuare la fonte effettiva da cui il collaboratore trae il suo reddito induce a sposare un’interpretazione estensiva della for- mula prescindendo dall’esistenza di un collegamento funzionale più o me- no intenso tra i soggetti (51).
Infine, per quanto riguarda l’indicatore della «postazione fissa», qui pare che la norma faccia riferimento a una necessaria postazione assegnata in via esclusiva al collaboratore. Non è, pertanto, sufficiente che la prestazione sia resa all’interno della sede del committente, diversamente da quanto previsto per l’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza, per la qua- le l’art. 66 richiede unicamente che «la prestazione si svolga nei luoghi di la- voro del committente». Non si concorda, pertanto, con l’indicazione data dal Ministero per cui il requisito è presente qualora il collaboratore possa utiliz- zare una postazione all’interno dei locali del committente anche in condivi- sione con altri soggetti, interpretando, così, l’aggettivo «fissa» con «non mo- bile», in quanto è frequente che un’impresa che si avvalga di genuini contrat- ti d’opera professionale (si pensi agli informatori medico-scientifici) metta a disposizione una o più postazioni per l’espletamento dell’incarico.
(50) Vd. Trib. Milano 14 ottobre 2011, in Il giurista del lavoro, 2012, n. 1, p. 4, secondo cui l’unicità del centro di imputazione è ravvisabile in presenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le at- tività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) co- ordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico sog- getto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in mo- do indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.
(51) Cfr. X. Xxxx, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in W.P. Csdle «Xxxxxxx X’Xxxxxx».IT, 2012, n. 155, pp. 37-38, il quale sottolinea come si dovrebbe «guar-
dare oltre le forme giuridiche delle aggregazioni e dei loro rapporti interni, come han- no fatto in altri casi dottrina e giurisprudenza, per ricercare se la fonte di reddito del collaboratore sia o meno riconducibile ad unum, appunto al fine di accertare la di- pendenza economica del soggetto», e anche X. Xxxxx, Prime chiose sulla nuova discipli- na delle collaborazioni a progetto, in W.P. Csdle «Xxxxxxx X’Xxxxxx».IT, 2012, n. 151,
p. 18, secondo cui l’espressione va interpretata «in modo da ricomprendere nell’“uni- co centro di interessi” tutti i soggetti giuridici che, pur essendo titolari di attività eco- nomiche sostanzialmente e non solo formalmente distinte, operino stabilmente in modo tra loro coordinato (per effetto, ad esempio, di assetti proprietari sostanzial- mente coincidenti)».
Si tratta a ben vedere di indici che, se considerati singolarmente, non hanno una forte connotazione qualificatoria: vedi, ad esempio, il criterio reddituale non utilizzato da alcun sistema giuridico europeo per escludere l’autonomia del rapporto (52), e che potrebbe essere dipeso dall’importan- za dell’opera o dal costo dei materiali impiegati (53), ma che il legislatore utilizza al fine di operare una qualificazione del rapporto attraverso il cd. metodo tipologico utilizzato dalla giurisprudenza per la qualificazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Ma vi è di più. La norma non si limita a stabilire le conseguenze che derivano dalla presenza degli indicatori, ma prescrive la disciplina appli- cabile prevedendo al comma 4 che la presunzione determina «l’integrale applicazione della disciplina di cui al presente capo, ivi compresa la di- sposizione dell’art. 69, comma 1». Ciò comporterà che, trattandosi di rapporti contrattuali stipulati con titolari di partite Xxx, molto difficil- mente sarà presente un progetto e, pertanto, tutti i rapporti saranno a lo- ro volta riconvertiti in forma subordinata, con l’aberrante conseguenza che saranno qualificate come subordinate anche fattispecie che non vi sa- rebbero rientrate neanche con il più disinvolto utilizzo degli indici elabo- rati dai giudici a quel fine. Avverrà, pertanto, che un rapporto di lavoro con un titolare di partita Iva, tramite l’intreccio di presunzioni, potrà es- sere trasformato, attraverso il breve transito nelle collaborazioni coordi- xxxx e continuative, in un rapporto di lavoro subordinato (54). A nulla vale obiettare che tale percorso non è necessitato ma rappresenta l’effet- to di una presunzione semplice (55) che ammette la prova contraria da
(52) Secondo X. Xxxxxxx, Lavoro autonomo tradito e l’equivoco del «lavoro a proget- to», in Dir. rel. ind., 2013, n. 1, p. 24, tale previsione allontana l’Italia dai paesi euro- pei, come Spagna o Germania, che hanno disciplinato il lavoro autonomo economi- camente dipendente e che impiegando i medesimi criteri (durata del rapporto, mo- nocommittenza, fatturato) hanno ricondotto quei rapporti nell’alveo del lavoro auto- nomo genuino.
(53) Cfr. X. Xxxxxxxx, Sulla nuova disciplina delle collaborazioni non subordinate, in Riv. it. dir. lav., 2013, n. 4, I, p. 838.
(54) Così X. Xxxxxxx, Complimenti dott. Frankenstein: il disegno di legge governati- va in materia di riforma del mercato del lavoro, in Lav. giur., 2012, n. 6, secondo cui
«il treno previsto dall’art. 9 parte dalla stazione delle partite Iva, passa attraverso quel- la fantasma del lavoro a progetto, e ferma solo a quella terminale del contratto di la- voro subordinato a tempo indeterminato», p. 542.
(55) Cfr. X. Xxxxxxx, op.ult.cit., p. 94, secondo cui il committente può paralizzare
l’operatività della presunzione «offrendo la prova che alla dipendenza reddituale rile- vata o alla continuità temporale del rapporto intercorso con il lavoratore non è asso- ciato alcuno stringente vincolo organizzativo nella prestazione dell’attività professio- nale richiesta».
parte del committente, in quanto, dovendo quest’ultimo dimostrare l’as- senza di continuità e di coordinamento del rapporto con il prestatore di lavoro, stante l’estrema evanescenza di tali termini, l’esito di detta prova si pone come altamente aleatorio rendendo in concreto poco probabile il superamento della presunzione di cui all’art. 69-bis (56).
La norma prevede l’inoperatività della presunzione in due casi indivi- duati rispettivamente nel comma 2 (lett. a e b) e nel comma 3. In virtù di detta collocazione si deve intendere che i primi due requisiti debbano esse- re compresenti.
Il primo requisito necessario per determinare la neutralizzazione della presunzione si realizza quando la prestazione lavorativa sia caratterizzata
«da competenze teoriche di grado elevato o acquisite attraverso significati- vi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraver- so rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto dell’attività». Si trat- ta, come è evidente, di un criterio abbastanza indefinito che lascia al giu- dice l’arduo compito e l’ampia discrezionalità di stabilire in concreto il gra- do delle competenze tecniche, la significatività dei percorsi formativi e la ri- levanza delle esperienze maturate nell’esercizio dell’attività (57): non è dif- ficile, pertanto, ipotizzare che vi potranno essere valutazioni diverse di per- corsi formativi analoghi.
L’altro presupposto si configura quando la prestazione lavorativa «sia svolta da un soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali». Qui sembra che il legislatore abbia fatto pro- pria la convinzione che i collaboratori coordinati e continuativi siano (ol- tre che poco qualificati) anche scarsamente remunerati sicché, in tali casi, i lavoratori, che non potranno beneficiare delle presunzioni, per ottenere la riqualificazione del loro rapporto di lavoro avranno l’onere di provare in giudizio la continuità e il coordinamento.
L’altra eccezione si verifica quando la prestazione lavorativa costituisca
(56) Cfr. X. Xxxx, Il «popolo delle partite Iva» all’ombra del lavoro a progetto, in Lav. dir., 2013, n. 2, p. 206.
(57) Secondo la circolare ministeriale n. 32/2012, l’elevato grado di competenze e le rilevanti esperienze potranno essere provati attraverso il possesso di un titolo rila- sciato al termine del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione; il possesso di un titolo universitario; il possesso di qualifiche o diplomi conseguiti al termine di una qualsiasi tipologia di apprendistato; il possesso da almeno dieci anni di una qualifica o specializzazione attribuita da un datore di lavoro in forza di un rap- porto di lavoro subordinato e in applicazione del contratto collettivo di riferimento; lo svolgimento dell’attività autonoma in via esclusiva o prevalente sotto il profilo red- dituale da almeno dieci anni.
«esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscri- zione a un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni». Il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al cui decreto la legge ha rin- viato per individuare le suddette professioni, ha, poi, specificato che que- ste sono quelle il cui esercizio è subordinato al superamento di un esame di Stato o alla necessaria valutazione, da parte di uno specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento dell’attività per la quale è richiesta l’iscrizione in uno specifico albo o registro o elenco tenuto da una ammi- nistrazione pubblica o federazione sportiva, specificando che, comunque, l’iscrizione ai soli fini di pubblicità dichiarativa di un’impresa individuale al registro delle imprese non costituisce elemento di esclusione della pre- sunzione (58).
Anche tale criterio appare contestabile sia perché l’iscrizione a un albo professionale è indice dello svolgimento di una particolare attività, ma nul- la dimostra circa le modalità di espletamento della stessa, sia perché ogni attività umana ben può essere svolta in maniera autonoma, subordinata, o coordinata e continuativa.
In conclusione, la comprensibile esigenza del legislatore di «smaschera- re» le cd. false partite Iva che nei fatti celano rapporti di lavoro non subor- dinato si scontra con l’utilizzazione di criteri affatto idonei a tale operazio- ne, potendo, altresì, determinare un’indebita ingerenza nell’autonomia pri- vata (59). E infatti, in assenza di elementi validi a far ritenere l’esistenza nel rapporto di un coordinamento, non può legittimamente imporsi la sua tra- sformazione in un contratto a progetto e, per il tramite di questo, in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Anche in questo campo si registra l’assenza di un assetto regolativo di tipo promozionale che, ponendosi come obiettivo il contrasto alla falsa au- tonomia, costruisca un sistema equilibrato e razionale di quello che è stato chiamato «lavoro autonomo di seconda generazione» (60).
8. — Che fine faranno il contratto a progetto e le collaborazioni coordi- xxxx e continuative? Si andrà verso il «loro superamento»? — Dal 16 dicem-
(58) D.m. 20 dicembre 2012.
(59) Inoltre interventi repressivi rischiano di travolgere i lavori autonomi libera- mente scelti; e infatti, a quanto risulta da un’indagine effettuata dalla Cgia di Mestre dal 2008 al giugno del 2013, hanno cessato l’attività ben 400.000 lavoratori indipen- denti, con una contrazione del 6,7%.
(60) X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazio- ne. Scenari del postfordismo in Italia, Feltrinelli, 1997.
bre 2014 è in vigore la legge n. 183, contenente «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro», e, in attuazione della stessa, il 24 di- cembre il Governo ha approvato due schemi di decreti attuativi: uno re- cante la «disciplina della nuova prestazione di Assicurazione sociale per l’impiego» e l’altro disposizioni in materia di contratto di lavoro a tem- po indeterminato a tutele crescenti. Ci si chiede, pertanto, se la comple- ta revisione della normativa delle varie tipologie di contratti di lavoro possa comportare un’ulteriore modifica delle prestazioni di lavoro econo- micamente dipendente, e perfino una loro eliminazione (61). È quanto dichiarato dal ministro del Lavoro Xxxxxxxx Xxxxxxx in vari interventi (62) anche prima dell’approvazione della legge delega. In questa, invero, un elemento da cui emerge la volontà in tal senso del Governo è rappresen- tato da quanto previsto dal citato art. 7, lett. g (63), che collega il salario minimo anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
«fino al loro superamento». In verità le parole del Ministro sono state, in
parte, smentite da un successivo intervento al senato nella seduta del 2 dicembre 2014 sul disegno di legge A.S. n. 1428/2014 del sen. Xxxxxx (64), secondo cui le parole «fino al loro superamento» non alludono «a un divieto attuale o futuro dei contratti di lavoro autonomo aventi per oggetto un’attività continuativa nel tempo», ma, invece, devono «inten- dersi come richiamo al riordino e semplificazione della disciplina dei contratti e rapporti di lavoro, oggetto della delega contenuta nel comma 7, da compiersi nel nuovo Testo Unico della materia: in questa sede, nel quadro di una generale ridefinizione dei confini dell’area del lavoro di- pendente, potrà essere disposto il “superamento”, appunto, del tipo con- trattuale particolare della collaborazione coordinata e continuativa, costi- tuito dal contratto di lavoro a progetto, e l’attrazione di tutti i casi di col- laborazione continuativa caratterizzati dai tratti essenziali della dipen-
(61) Cfr. X. Xxxxxx, Contro la leggenda metropolitana di 50 tipi di contratto di lavo- ro, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, il quale considera «sensato» far discendere l’eliminazione del lavoro a progetto dall’introduzione del contratto di lavoro a tempo indetermina- to a tutele crescenti.
(62) Vedi, ad. es., la sua partecipazione alla trasmissione televisiva In mezz’ora, in
onda su Rai3 il 12 ottobre 2014, in cui ha considerato «prevedibile che i contratti a progetto e le collaborazioni coordinate e continuative vadano via», nonché una mo- difica delle disciplina delle false partite Iva.
(63) Vedi supra, nota 18.
denza economica dal creditore in un’area dove alcune norme di diritto del lavoro trovino applicazione selettiva».
In effetti, espungere ex abrupto dal panorama normativo il contratto a
progetto e le collaborazioni coordinate e continuative comporta il rischio di non potere più assicurare l’esistenza di tutte quelle forme genuine di pre- stazioni che si collocano in limine tra lavoro subordinato e autonomo, e che rispondono a esigenze reali ed effettive strettamente collegate con un’orga- nizzazione produttiva e gestite in maniera autonoma dal prestatore, sicché un’eventuale eliminazione di tali forme contrattuali potrà essere effettuata soltanto nell’ottica di una riforma complessiva che preveda l’introduzione e la regolamentazione del lavoro economicamente dipendente (65).
ABSTRACT
Il saggio esamina gli aspetti di cambiamento apportati dalla riforma del mercato del lavo- ro del 2012 alle diverse forme di lavoro economicamente dipendente in assenza di una con- figurazione unitaria della fattispecie. In particolare, costituiscono oggetto di indagine il contratto a progetto e le cd. false partite Iva. L’analisi è volta a mettere in evidenza aspetti favorevoli e sfavorevoli attraverso una valutazione critica della dottrina e della giurispru- denza, tentando di pervenire a soluzioni equilibrate che contemperino la tutela del presta- tore di lavoro con le esigenze di flessibilità dell’impresa.
«Project contract» after law n. 92/2012
The essay examines the changes brought by the 2012 Italian labour law market reform to the different forms of economically dependent work which do not have a unified legal de- finition. In particular, it is focused on the «project contract» and on the so called «false au- tonomous work». The analysis proposes a critical evaluation of the contribution given by doctrine and case law, trying to suggest balanced solutions to ensure workers’ protections and the needs of flexibility for companies.
(65) Cfr. X. Xxxxxxxx, Le politiche del lavoro del governo Xxxxx. Il Jobs Act e la rifor- ma dei contratti e di altre discipline del rapporto di lavoro, in W.P. Csdle «Xxxxxxx X’Xxxxxx».IT, 2014, n. 233, pp. 23-24.