INVALIDITÀ DEL CONTRATTO E RESTITUZIONI.
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INVALIDITÀ DEL CONTRATTO E RESTITUZIONI.
Di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Le disposizioni del Codice Civile. – 3. Il concor- so tra la ripetizione dell’ indebito e la rivendicazione. – 4. Indebito e azione di arricchimento. –
5. I limiti alla restituzione posti dall’ art. 2035.
I n v a l i d i t à d e l c o n t r a t t o e r e s t i t u z i o n i ( G i o v a n n i P a s s a g n o l i )
1. Considerazioni introduttive
Un discorso sulle restituzioni conseguenti alla invalidità del contratto coinvolge i distinti piani di disciplina del rapporto tra le parti e della posizione dei terzi aventi causa.
Con riferimento a questi ultimi, i criteri normati- vi risolvono il conflitto circolatorio graduando la opponibilità della invalidità del contratto, nelle dif- ferenti ipotesi di nullità, annullabilità e rescindibili- tà. Il quadro di disciplina diviene ancora più artico- lato per quanti riconducano alla sfera dell’invalidità il fenomeno simulatorio.
Al profilo dell’opponibilità e dell’invalidità nei confronti dei terzi, si affianca il piano, evidente- mente distinto, della tutela obbligatoria del solvens sine causa, nei confronti dell’accipiens, tramite la ripetizione dell’indebito e, secondo una opinione, l’arricchimento senza causa.
Assumono, poi, rilevanza le fattispecie nelle quali la ripetizione viene positivamente esclusa: da quella, di portata generale, posta dall’art. 2035 per le prestazioni contrarie al buon costume, alle presta-
zioni di fatto con violazione di legge (art. 2126), si- no ad ipotesi recenti ma significative quale l’art. 2 della legge 18 giugno 1998, n.192, in materia di nullità formale del contratto di subfornitura.
L’ampiezza delle tematiche e la complessità dei problemi che esse sollevano, impongono una deli- mitazione del discorso.
Escludo perciò e subito dall’orizzonte di queste riflessioni le restituzioni conseguenti ad annullabili- tà, rescindibilità e simulazione, concentrando l’attenzione sulle conseguenze restitutorie della sola nullità.
2. Le disposizioni del Codice Civile.
Le conseguenze tra le parti della nullità del con- tratto sono date, in larga misura, per scontate nella disciplina codicistica, tanto è forte la suggestione che, anche sul legislatore, ha esercitato l’idea della irrilevanza del contratto nullo, la cui radicale ed o- riginaria inefficacia costituirebbe un corollario logi- co, ancor prima che giuridico della figura.
Non stupisce, allora, che il Codice si riferisca al- le pretese restitutorie solo in modo implicito all’art. 1422, ove, nel disciplinare la imprescrittibilità dell’azione di nullità, fa salvi gli effetti dell’usu- capione e della prescrizione delle azioni di ripeti-
Come sappiamo, nel diritto romano si contrap- ponevano le nullità iure civili, operanti ipso iure, alle ipotesi di inefficacia officio iudicis dell’atto. Le prime erano riconducibili al difetto degli essentialia del contratto tipico1; le seconde alle exceptiones e
zione. condictiones esperibili riguardo all’atto integro, va-
In tal modo, il legislatore presuppone la esperibi- lità della tutela restitutoria, correlandola, in negati- vo, alle circostanze che potrebbero ostare al suo ac- coglimento: estensivamente, l’acquisto della pro- prietà a titolo originario da parte dell’avente causa, oppure la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito. Certo, la disposizione rinvia a piani di rilevanza ben distinti.
Quello della relazione proprietaria, cui è perti- nente il riferimento all’usucapione; quello obbliga- torio, della azione di ripetizione e della prescrizio- ne.
Il carattere implicito, ancorchè inequivoco, della normativa consiglia di ricercare altrove indici nor- mativi che consentano di dar più sicura risposta al problema del concorso, a favore dell’alienante, della azione di rivendicazione (art. 948) con quella di ri- petizione dell’indebito (art. 2033), nei confronti dell’accipiens sine causa.
Anche con riferimento alla posizione dei terzi - diversamente da quanto dispongono gli artt. 1445 e 1452, rispettivamente per il contratto annullato e per quello rescisso – manca una espressa disciplina nel capo della nullità.
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La si deve ricavare dal sistema, attraverso la in- terpretazione di disposizioni che, almeno ad una prima lettura, appaiono tra loro profondamente con- traddittorie.
Dagli artt. 2652, n. 6 e 2690, n. 3, si ricava con chiarezza, benché a contrario, che la sentenza che accolga la domanda diretta a far dichiarare la nullità pregiudica i diritti dei terzi aventi causa a qualsiasi titolo dal primo acquirente; con la sola deroga della circoscritta fattispecie della c.d. pubblicità sanante, enunciata nelle anzidette disposizioni.
Sempre con riferimento ai terzi, l’art. 2038 di- sciplina le conseguenze - sul piano obbligatorio del- la ripetizione dell’indebito - della alienazione della cosa ricevuta indebitamente, assicurando, invece, una ampia e sostanziale intangibilità dell’acquisto del terzo.
3. Il concorso tra la ripetizione dell’ indebi- to e la rivendicazione.
Prima di procedere oltre sembra dunque oppor- tuno soffermarsi su questo aspetto del problema, che ha radici antiche.
lido de iure civili e però malus in effectu, per l’incidenza di circostanze esterne all’atto stesso: principalmente i vizi del volere e della causa2.
Il fenomeno, gradatamente attuato con le codifi- cazioni e portato al suo estremo dal codice italiano vigente, dell’assorbimento all’interno della fattispe- cie del requisito causale, muta i termini del discor- so3.
La mancata integrazione del requisito non costi- tuisce più il presupposto, a posteriori, di semplici exceptiones e condictiones, ma incide direttamente sulla validità dell’atto. Ciò diviene tanto più rilevan- te in quanto, grazie alla efficacia reale del consenso ed alla moderna commistione tra titulus e modus adquirendi, il fenomeno investe anche l’atto trasla- tivo, trascendendo l’ambito del contratto obbligato- rio nel quale era sorto4.
Questo fenomeno, già nella elaborazione teorica anteriore al codice vigente, aveva consentito di ar- gomentare a favore della radicale eterogeneità delle condictiones romane rispetto alle «azioni ripetitorie moderne», che sarebbero ormai la «conseguenza della nullità del negozio» e non il «correttivo di un negozio giuridicamente valido»5.
La nullità, non importa se legata al mancato as- solvimento di un onere di legalità, oppure fondata sull’illiceità della causa o del motivo, doveva risol- versi necessariamente in una carenza strutturale del- la fattispecie, dando luogo alla sua inefficacia erga omnes, sì da fondare una tutela reale del solvens, sottratta alle ristrettezze applicative della condictio6. Il punto, però, è tutt’altro che pacifico. Tanto è vero che taluno ha rilevato la contraddittorietà di simili conclusioni rispetto alla disciplina positiva. Proprio gli artt. 2037 e 2038, dimostrerebbero, piut- tosto, che «i principi della inefficacia del negozio
1 FERRARA F. Sen., Teoria del negozio illecito, Milano, 1902,
p. 277; XXXX, L’evoluzione storico-dogmatica dell’ odierno sistema dei vizi del volere e delle relative azioni di annulla- mento, in Riv. it. sc. giur., 1927, p. 335 ss..
2 X. XXXXXXXXXX, voce Causa (dir. priv.), in Enc. Dir., VI, Milano, 1960, p. 550.
3 X. XXXXXXXXXX, loc.cit., p. 594.
4 X. XXXXXX, I contratti obbligatori nella storia del diritto ita- liano, I, Milano, 1952, pp. 22-23.
5 FERRARA F. Sen., op. cit, p. 277.
6 Lo sottolinea X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 552, pur circoscri- vendo la portata della tutela reale, escludendola per le presta- zioni isolate senza causa, per le quali troverebbe invece appli- cazione la disciplina dell’ indebito.
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nullo e della retroattività reale dell’annullamento sono privi di contenuto normativo»7.
Una tale affermazione, tuttavia, risulta condivi- sibile solo a condizione che si possa escludere, posi- tivamente, il concorso tra la tutela reale e quella ob-
4. Indebito e azione di arricchimento.
La disciplina dell’indebito è, almeno in prima lettura, dettata con riferimento alle prestazioni aven- ti ad oggetto beni, tanto fungibili - tipicamente il
bligatoria del solvens.
danaro - che infungibili.
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E sul punto a me pare che gli argomenti ricava- bili dalla lettura congiunta dell’art. 1422 con gli artt. 2652, n. 6 e 2690, n. 3, siano decisivi a favore del concorso di azioni.
Da un lato, stante la chiara lettera dell’art. 1422, è sicura la esperibilità della azione di ripetizione.
Dall’altro, è parimenti evidente che - con la sola eccezione della c.d. pubblicità sanante e degli ac- quisti a titolo originario - la sentenza dichiarativa della nullità pregiudica, sempre, i diritti del terzo sub acquirente: segno, questo, della esperibilità del- la tutela petitoria nei confronti dei terzi cui la nullità sia opponibile.
Nè può stupire, nella consueta relatività delle va- lutazioni giuridiche, che una tal tutela reale nei con- fronti del sub acquirente8 differisca radicalmente dal modello di disciplina posto dall’ art. 2038, giacché in ciò si apprezza il riflesso della diversità di pre- supposti ed effetti delle due discipline.
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Quella dell’indebito ha natura personale, è volta alla sola rimozione degli effetti materiali e posses- sori della traditio, indifferentemente dalla circo- stanza che il solvens sia o meno proprietario del bene oggetto della prestazione; quella di rivendica- zione ha natura reale e suppone l’ accertamento del- la proprietà, con l’assolvimento dei relativi oneri probatori9.
7 P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti fra nego- zio e giusta causa dell’ attribuzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, I, p. 11 ss..
8 Sotto quest’ ultimo profilo, è il caso di ricordare, pur non potendo approfondire in questa sede l’ argomento, la recente motivata teorizzazione (X. XXXXX, Circolazione giuridica e nul- lità, Milano, 2002, p. 159 ss.), volta a relativizzare, cioè a gra- duare in concreto, la opponibilità della nullità nei confronti dei terzi.
La tesi muove dalla constatazione della perdita di fattispecie delle nullità speciali e più in generale dalla constatazione del carattere costitutivo che la azione di nullità può assumere ogni qual volta il titolo si presenti integro nella propria fattispecie costitutiva e perciò idoneo a fondare un rilevante affidamento circolatorio. Si pensi alla frode alla legge o al motivo illecito comune e in genere alle ipotesi di illiceità della causa in con- creto, desumibile solo dal collegamento negoziale: in simili ipotesi, la causa di nullità costituisce un elemento impeditivo e deve di norma essere eccepita. Ciò potrebbe giustificare un temperamento, in concreto, cioè secondo la composizione giu- diziale degli interessi in conflitto, dell’ampiezza delle conse- guenze della nullità, sotto il profilo di una sua più limitata op- ponibilità.
9 Sul punto, risultano illuminanti le considerazioni di X. XXXXXXXXXXX, Il pagamento di terzo, Milano, 1961, p. 26 ss.; e vedi già X. XXXXXXXX, La ripetizione dell’indebito, Padova, 1940, p. 5 ss..
Ciò ha autorizzato parte della dottrina e soprat- tutto una netta giurisprudenza10 ad affermare che, ove il contenuto della prestazione e la possibilità concreta della ripetizione non lo consentano, le con- seguenze restitutorie della nullità debbano trovare attuazione tramite l’azione generale di arricchimen- to, regolata dall’art. 2041.
L’affermazione parrebbe avere la forza dell’ovvietà, specie alla luce del carattere sussidia- rio della azione di arricchimento.
Resta da vedere se un simile esito applicativo sia compatibile con la ratio della disciplina dell’indebito, oppure conduca, come a me pare, ad una ingiustificata disparità di trattamento.
Per meglio comprendere questo rilievo, è oppor- tuno ricordare che nella complessa articolazione di regole poste dagli artt. 2037 e 2038 già trova spazio una obbligazione indennitaria - dell’acquirente o del sub acquirente a seconda dei casi - nei confronti del solvens, nei limiti dell’ arricchimento verificatosi.
Ciò accade, in particolare, nel caso dell’ acci- piens di buona fede i) ove la restituzione sia impos- sibile per il perimento della cosa (art. 2037, terzo comma); ii) nel caso di alienazione ad un terzo sub acquirente a titolo gratuito, il quale è direttamente gravato della obbligazione indennitaria verso il sol- vens.
Ove vi sia mala fede dell’ accipiens, valgono regole diverse, che commisurano il diritto del sol- vens ora al “valore”, ora al “corrispettivo”, della cosa alienata.
Nel solo caso di accipiens di mala fede, che ab- bia alienato a titolo gratuito la cosa ricevuta, rie- merge una obbligazione sussidiaria – nell’ipotesi di inutile escussione dell’alienante – di natura indenni- taria, nei limiti dell’arricchimento del sub acquiren- te.
In questo contesto di disciplina, la differenza di trattamento tra l’accipiens di mala e di buona fede non sembra in alcun modo correlata alla natura della prestazione, bensì e solo alla considerazione dello stato soggettivo del contraente tenuto alla restitu- zione.
Risulta allora piuttosto evidente che l’applicazione indiscriminata della azione di arric- chimento di cui all’art. 2041 alle restituzioni delle prestazioni di fare, conseguenti alla nullità del con-
10 Per tutte, Cass., 8 novembre 2005, n. 21647, in Giust. civ,.
Mass., 2005, p. 11.
tratto, realizzerebbe una soluzione del tutto incoe- rente.
Il solvens si vedrebbe indennizzato, anche in ca- so di mala fede dell’ accipiens, nei soli limiti dell’ arricchimento di questo, anziché nei più pregnanti
gua della coscienza sociale»12, od ancora con i prin- cipi e le esigenze «etiche appartenenti alla coscien- za morale collettiva, cui la generalità delle persone corrette uniforma il proprio comportamento in un determinato ambiente e momento storico»13, o infi-
termini del “valore” o del “corrispettivo” previsti, a ne con la «matrice etica delle strutture normative
seconda dei casi, dalla disciplina dell’ indebito.
Se queste considerazioni appaiano condivisibili, sembra segnata la via dell’applicazione analogica dell’ art. 2037 per le prestazioni indebite di fare: quindi, arricchimento nel caso di buona fede dell’accipiens, debito di valore in quello di mala fede.
5. I limiti alla restituzione posti dall’ art. 2035.
Sul piano del trattamento riservato al contratto nullo, la disciplina posta dall’art. 2035 circa l’ir- ripetibilità delle prestazioni contrarie al buon co- stume, ci appare come una specificazione della di- stinta regolamentazione riservata al contratto illeci- to.
Ove la illiceità di esso risieda nel perseguimento di uno scopo che, anche da parte del solvens, costi- tuisca offesa al buon costume, questi, nonostante la nullità del contratto, “non può ripetere quanto ha pagato”.
Si deroga così alla ordinaria conseguenza restitu- toria, fondata sull’art. 2033 c.c., della nullità del contratto.
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Xxxxxx è il fondamento della regola; incerto ri- sulta il suo rapporto con la nozione di buon costu- me, altrove enunciato quale criterio di liceità dei re- quisiti od elementi del contratto; controverse ap- paiono le implicazioni di disciplina.
Sarà quindi utile muovere da una puntualizza- zione della nozione e del fondamento di questo pa- rametro di liceità del contratto.
a) Il buon costume.
Si assiste in materia ad una ampiezza definitoria che, se appare espressione di una tensione ideale verso una perdurante rilevanza della regola morale nel diritto, risulta poi insuscettibile di impiego effet- tivo, per le incongruità sistematiche che ne deriva- no.
Così, quando si identifica il buon costume con le norme implicite del sistema «che comportano una valutazione del comportamento dei singoli in termi- ni di moralità o di onestà»11, oppure con i «canoni fondamentali di onestà pubblica e privata alla stre-
11 X. XXXXXXX, Della simulazione, della nullità del contratto, cit., p. 130.
vigenti e specialmente delle norme costituzionali»14, si pongono forse più problemi di quanti simili defi- nizioni valgano a risolverne.
Da un lato, infatti, diviene difficile distinguere simili canoni di onestà dal sistema delle regole di buona fede e correttezza; dall’altro, appare assai ar- duo giustificare tanto radicali divergenze di tratta- mento tra la violazione di queste ultime e lo specia- le rigore di disciplina posto dall’ art. 2035 c.c. .
Non a caso, coerentemente col cauto impiego giurisprudenziale15, si assiste al diffuso tentativo di
12 C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, p. 621.
13 Così, da ultimo, Cass., 15 febbraio 2001, n. 7523, in Dir. fall., 2001, 2, p. 1190, con nota di DI LEO, Xxxxxxxx, promes- sa di pagamento e negozio contrario al buon costume.
14 X. XXXXXX, Illiceità del contratto e restituzioni, cit., p. 498.
15 La Corte di Cassazione ha, in più di una occasione (recen- temente, Xxxx., 15 febbraio 2001, n. 7523, cit.) precisato che “le prestazioni considerate contrarie al buon costume non sono solo quelle contrarie alle regole del pudore sessuale e della decenza, ma anche quelle lesive dei principi e delle esigenze etiche appartenenti alla coscienza morale collettiva, cui la ge- neralità delle persone uniforma il proprio comportamento in un determinato ambiente e momento storico”. Alla luce di una simile concezione, sono considerati nulli perché in contrasto con il buon costume, oltre ai contratti che prevedono presta- zioni a carattere sessuale (Cass., 1 agosto 1986, n. 4927, in Giust .civ., 1986, I, p. 2710; Cass., 31 marzo 1958, n. 1110, in Giust. civ., 1958, I, p. 1310; Trib. Milano, 1 luglio 1993, in Rep. Giur .it., 1994, voce “Obbligazioni e contratti”, p. 559). Il contratto a titolo oneroso avente ad oggetto il conferimento di un incarico professionale stipulato tra i competenti organi di una istituzione pubblica ed un membro del consiglio di ammi- nistrazione dell’ente, con intenzionale lesione degli interessi di quest’ultimo (Cass., 18 ottobre 1982, n. 5408, in Foro it., 1983, I, c. 691). Le convenzioni usurarie (Cass., 10 agosto 1973, n. 2330, in Sett .giur., 1073, II, p. 1028; Cass., 10 no- vembre 1970, n. 2334, in Rep. Giust. civ., 1970, voce “Fide- jussione”, p. 6). I contratti di prossenetico matrimoniale, qua- lora si risolvano in una pressione diretta o indiretta alla libertà del consenso matrimoniale (Cass., 25 marzo 1966, n. 803, in Giur. it, 1967, I, 1, c. 1960; Cass., 30 luglio 1951, n. 2226, in Giur .it., 1952, I, 1, c. 22). Sono stati altresì ritenuti illeciti contratti contenenti accordi fraudolenti in danno di terzi (Cass., 15 febbraio 1960, n. 234, in Giur. it., 1960, I, c. 1134), o in forza dei quali una parte si obbliga a tenere un determina- to contegno processuale in cambio di denaro (Trib. Genova, 17 ottobre 1984, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, p. 65). Così come si è considerato immorale il patto col quale un can- didato al Parlamento si obblighi a pagare una somma affinchè gli altri candidati della stessa lista lo sostengano nella campa- gna elettorale e rinunzino al mandato parlamentare, così da far risultare eletto il primo (Trib. Roma, 21 marzo 1968, in Giur. mer., I, 1968, p. 104). E’ considerato altresì illecito il contratto con cui taluno si impegna a svolgere un’opera di intermedia- zione finalizzata all’ottenimento a favore del mandante di fa-
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circoscrivere l’ambito di applicazione del buon co- stume, sulla base di rilievi diversi, ma concorrenti, nel giustificare una simile operazione interpretativa. Un primo ordine di considerazioni attiene pro- prio al mutato rapporto tra morale e società, che as-
Dall’altro, si propone di considerare il buon co- stume quale species dell’ordine pubblico, inscritto senza ambiguità nella cornice di principi e valori enunciati dalla Costituzione: in breve, il buon co- stume come “ordine pubblico non economico”19.
sume evidente rilievo ai nostri fini, in considerazio- Il tratto caratterizzante della contrarietà al buon
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ne del carattere necessariamente oggettivo, per quanto relativo, che la regola morale deve avere per acquisire rilevanza per il diritto16.
La accentuata mobilità sociale, la sua evoluzione pluralistica, il dissolversi del tradizionale ordine familiare, il radicale mutamento del costume ses- suale, rendono sempre più inattingibile una simile coscienza collettiva, se non a costo di arbitrarie ge- neralizzazioni di quella propria di determinati ceti o gruppi17.
Da un complementare punto di vista, si propone perciò una positivizzazione del buon costume, non contrapposto all’ordine pubblico, ma ad esso omo- geneo, secondo due possibili chiavi di lettura.
Da un lato, vi sarebbe un continuo processo «di assorbimento e di osmosi» tra i due concetti, in con- siderazione del fatto che i «valori morali, nella con- cretezza della realtà sociale, quali la lealtà, la fedel- tà, il rispetto degli usi onesti commerciali e indu- striali, la correttezza, la buona fede, progressiva- mente penetrano nell’ordine giuridico, materializ- zandosi in forme progressivamente nuove e costitui- scono il fondamento di esso, concretando la nozione di ordine pubblico»18.
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vori pubblici o privati – cd “raccomandazione onerosa” - qua- lora goda di un beneficio economico non solo l’intermediario, ma anche il pubblico ufficiale (Cass., 14 luglio 1972, n. 2420, in Foro it., 1973, I, c. 1224). Così anche il contratto di consu- lenza commerciale stipulato al fine di concludere contratti con la pubblica amministrazione, quando il sedicente consulente tratti le modalità di partecipazione alle gare sfruttando cono- scenze politiche e le frequentazioni con gli amministratori (Trib. Milano, 15 luglio 1995, in Orient. giur. lav., 1995, p. 641). E’ dubbio, invece, se debbano o meno essere considerati immorali, oltre che illegali, i contratti che violano disposizioni di natura valutaria (Cass., 7 luglio1981, n. 4414, in Giust. civ., 1982, I, p. 2418; Cass., 8 luglio 1983, n. 4605, in Foro it., 1983, I, c. 2781). Nnon rientrano nell’ipotesi di contratto a causa turpe le attività di chiromanzia e astrologia (Cass. pen., 29 gennaio 1986, Giur. imp., 1988, p. 1291).
16 X. XXXXX, Ordine pubblico. Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, XXII, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, p. 2
17 X. XXXXXX`, Ordine pubblico o buon costume, in Giur. mer., 1970, I, p. 106. Condivide tale impostazione X. XX XXXXXX, Buon costume, in I contratti in generale, Torino, 2000, VI, p. 250, nel riferirsi alla “frammentazione delle vi- sioni politiche, etiche e religiose accaduta nel convulso moto storico dell’ ultimo secolo” ed ancora alla “proliferazione di stili di vita prima inammissibili o sconosciuti”, alla “contami- nazione culturale fra paesi di aree diverse del mondo”. Fattori tutti che hanno “decretato la fine inesorabile di fenomeni an- tropologici (troppo spesso mitizzati) come la morale comune o sociale”.
18 Così X. XXXXX, Negozio illecito, cit., p. 5.
costume consisterebbe nella lesione della dignità umana, quindi di un «valore assoluto dell’ ordina- mento positivo»20.
In tale prospettiva potrebbe condividersi anche l’affermazione che il buon costume costituisca la
«linea di confine tra ciò che è commerciabile e ciò che non si può sottoporre a scambio»21, purché, a mio modo di vedere, la ragione di una simile in- commerciabilità risieda nella protezione della digni- tà. In caso contrario, smarrita ogni peculiarità assio- logica, verrebbe meno (come in altri ordinamenti, in specie quello tedesco) la stessa possibilità di enu- cleare il buon costume dall’ ordine pubblico22.
Può essere interessante rileggere in questa chia- ve la casistica della materia, che non di rado acco- muna ipotesi di contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume.
Se, infatti, non sembrano porre particolari pro- blemi le classiche fattispecie legate variamente a prostituzione23 e pornografia24, e se del pari non può
19 X. XX XXXXXX, Buon costume, cit., p. 250.
20 Così, ancora, X. XX XXXXXX, Xxxx costume, cit., p. 252. Sul punto, si veda X. XXXX, Dignità. Usi giurisprudenziali e con- fini concettuali, in Nuova giur. civ. comm.,1997, II, p. 416.
Osserva da ultimo condivisibilmente X. XXXXXXX, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 459 ss., p. 484, che “anche la viola- zione della dignità della persona viene ora a tradursi in altret- tanta causa di nullità del regolamento contrattuale in virtù del suo carattere conformativo di ogni situazione soggettiva”. E vedi ora, in prospettiva sistematica, X. XXXXXXX, Diritto dei contratti e “Costituzione” europea, cit., p. 29 ss..
21 X. XXXXXX, Disciplina della causa, in Tratt. Xxxxxxxx, I, I contratti in generale, Torino, 1999, p. 562. Osserva condivisi- bilmente tale A., seppur nella prospettiva dell’art. 2035 c.c., che “Non è forse un caso che l’interesse intorno a questa rego- la si risvegli ai giorni nostri, in epoca di consumismo globale e sfrenato: oggi non si commercia più – ai limiti della legalità – soltanto in sesso, ma nelle sua più svariate applicazioni me- dianiche, e inoltre in organi umani, in gameti, in gravidanze ed in bambini” (X. XXXXXX, Illiceità del contratto e restituzioni, cit., p. 501).
22 Prospettiva che in effetti non è estranea a chi, nel ricostruire la disciplina dell’art. 2035, argomenta dalla ratio dell’ “abuso di pretesa restitutoria”, su cui infra.
23 Cass., 1 agosto 1986, n. 4927, in Foro it., 1987, I, c. 495 (precedente edito in termini si trova in Trib Roma, ord., 27 ottobre 1947, in Resp. civ. prev, 1950,p. 264; analoga pretesa risarcitoria aveva invece precedentemente trovato accoglimen- to in Trib. Varese, 5 marzo 1979, inedita); Cass., 31 marzo 1958, n. 1110, in Giust. civ., 1958, I, p. 1310; Trib. Milano, 1 luglio 1993, in Rep. Giur. it, voce “Obbligazioni e contratti”, 1994, p. 559. La giurisprudenza meno recente offre un vasto numero di pronunce relative alle case di meretricio: Xxxx., 19 luglio 1965, n. 1622, in Rep. Giust. civ., 1965, voce “Lavoro”,
che apprezzarsi la ritenuta estraneità alla materia degli accordi di convivenza25, appare più dubbia la inclusione nella contrarietà al buon costume e non all’ordine pubblico degli accordi di corruzione26 o di rinuncia al mandato elettorale27, rispetto ai quali,
rilevante agli effetti della applicazione dell’art. 2035, tra la contrarietà al buon costume ed a norma imperativa.
Le recenti pronunzie, innanzi richiamate, aveva- no, prima della introduzione del divieto legale delle
peraltro, la irripetibilità delle prestazioni può giusti- pratiche di surrogazione, tanto affermata che negata
ficarsi nel quadro di complementari rationes, pur sempre rinvenibili nell’art. 2035 28.
Coerente sembra, invece, il più recente impiego del buon costume in materia di atti di disposizione del corpo e di surrogazione di maternità 29.
Proprio quest’ultima problematica, a seguito del- la sopravvenuta disciplina imperativa della materia, attuata con l. 40/2004 (Norme in materia di procre- azione medicalmente assistita), si presta a talune considerazioni ulteriori, circa il possibile concorso,
p. 42; Cass., 31 marzo 1958, n. 1110, in Giust. civ., 1958, I, p.
1310; Cass., 27 febbraio 1950, n. 473, in Giur. compl. cass.
civ., 1950, I, p. 443; Cass., 8 luglio 1948, n. 1104, in Xxxx.xx.,
1949, I, 1, c. 45.
24 Cass., 15 dicembre 1994, n. 10779, in Contr., 1996, p. 8.
25 Cass., 8 giugno 1993, n. 6381, in Nuova giur. civ. comm., 1994, p. 339. Si segnalano in proposito una serie di risalenti pronunce giurisprudenziali relative ai negozi attinenti al con- cubinato, fra le altre, Cass., 14 marzo 1952, n. 672, in Giur. compl. xxxx. xxx., 1952, I, p. 588 e Cass., 30 giugno 1950, n. 1678, in Foro it., 1951, II, c. 1067.
I n v a l i d i t à d e l c o n t r a t t o e r e s t i t u z i o n i ( G i o v a n n i P a s s a g n o l i )
26 Significativa, da ultimo, Cass., 15 febbraio 2001, n. 7523, cit., relativa alla nullità della promessa di pagamento e della obbligazione cambiaria quale corrispettivo di una assunzione presso un ente pubblico. In essa la Corte ribadisce la massima, ormai ricorrente secondo la quale “Le prestazioni considerate contrarie al buon costume non sono solo quelle contrarie alle regole del pudore sessuale e della decenza, ma anche quelle lesive dei principi e delle esigenze appartenenti alla coscienza morale collettiva, cui la generalità delle persone corrette uni- forma il proprio comportamento in un determinato ambiente e momento storico”. In precedenza, Cass., 14 luglio 1972, n. 2420, in Foro it., 1973, I, c. 1224; Trib. Como, 24 marzo 1979, in Giur. it., 1980, I, 2, p. 630; Trib. Milano, 15 luglio 1995, in Orient. giur. lav., 1995, 3, p. 641; Cass., 18 ottobre 1982, n. 5408, in Foro it., 1983, I, c. 691; Cass., 10 febbraio 1949, n. 206, in Xxxx.xx., 1949, I, 1, c. 555; Cass., 26 maggio 1961, n. 1257, in Foro it., 1961, I, c. 1332.
27 Cass., 27 maggio 1971, n. 1574, in Giust. civ., 1971, p. 982;
Trib. Roma, 21 marzo 1968, in Giur. mer., 1970, I, p. 104.
28 Solo in questa prospettiva, come dirò, può condividersi la affermazione che il riferimento al buon costume assuma un significato diverso ai fini degli art. 1343 e 1346 rispetto a quello che può essergli attribuito nella fattispecie dell’art. 2035 (così, ancora X. XXXXXX, Illiceità del contratto e restitu- zioni, cit., p. 516; e v. già X. XXXXX, L’autonomia fra gli artt. 2033 e 2035 x.x. xxx xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxx xx xxxxxxxxxx xxx xxxxxxx, xx Xxx. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 1186 ss.; e in giu- risprudenza, Cass., 18 giugno 1987, n. 5371, in Giust. civ., 1988, I, p. 197).
29 Trib. Monza, 27 ottobre 1989, in Dir. fam,, 1990, p. 174; Trib. Roma, ord., 17 febbraio 2000, in Nuova giur. civ. comm., 2000, p. 203; Trib. Palermo, ord., 8 gennaio 1999, in Fam. dir., 1999, p. 52; Trib. Napoli, 20 luglio 1988, in Dir. fam., 1988, p. 1728; Xxxxx Xxx. Xxxxxxx, 00 febbraio 1992, in Nuo- va giur. civ. comm., 1994, I, p. 179; Trib. Roma, 31 marzo 1992, in Dir. fam., 1993, p. 188.
la contrarietà di queste al buon costume. Si pone co- sì, nel vigore della nuova disciplina, il problema della possibile sopravvivenza della contrarietà al buon costume di simili accordi, ferma la loro attuale sicura nullità per contrarietà a norma imperativa. Ad un simile interrogativo, una volta ammessa la pecu- liarità assiologica del fondamento del criterio di li- ceità costituito dal buon costume, mi sembra possi- bile rispondere, in linea con la giurisprudenza30, in senso affermativo.
Come ho sopra accennato, la protezione, anche nella dimensione contrattuale, della dignità della persona è destinata ad assumere specifico rilievo in prospettiva europea.
Già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona si era in effetti condivisibilmente sottoline- ato in dottrina il significato precettivo che, in linea con le fonti sopranazionali e recependo esperienze maturate in altri ordinamenti31, doveva attribuirsi all’art. 1 della Carta di Nizza.
30 Vedi ancora Cass., 18 giugno 1987, n. 5371, cit.; Cass., sez.
un., 7 luglio 1981, n. 4414 in Foro it., 1982, I, c. 1679 (con nota di X. XXXXXXX). Le S.U. nell’ultima sentenza citata moti- vano infatti nel senso che “l’indirizzo prevalente che queste sezioni unite ritengono di accogliere è nel senso che l’accertamento che un contratto sia contrario a norme impera- tive, e quindi nullo per tale ragione (art. 1343 c.c.), non impe- disce una autonoma valutazione dell’atto dal punto di vista della sua (eventuale) immoralità, al fine di negare l’azione di ripetizione (art. 2035 c.c.)”. Infatti “la vera ratio della irripeti- bilità sancita dall’art. 2035 va ravvisata … nella considerazio- ne che … non è ammissibile che la stessa condotta immorale del soggetto che agisce possa essere addotta come ragione giu- stificativa del diritto alla restituzione. Deve pertanto conclu- dersi nel senso che la sovrapposizione delle qualifiche giuridi- che non implica l’assorbimento e l’atto rimane nella categoria degli atti contrari al buon costume, anche se può contempora- neamente essere considerato contrario all’ordine pubblico o alla legge. In altri termini, la contrarietà al buon costume è in quid pluris che si può aggiungere alla contrarietà alla legge (ed alla conseguente nullità) e non è affatto con essa incompa- tibile”.
31 Sono casi emblematici le implicazioni negoziali degli spet- tacoli del “lancio dei nani” o dei peep-show, oppure di esibi- zione di mostruosità, o di esibizione via internet o in pro- grammi televisivi di aspetti della vita privata. E ancora gli accordi di aiuto al suicidio, le clausole di irresponsabilità per danni corporali, le restrizioni della libertà nuziale, le clausole dei contratti di locazione che escludano il godimento del bene da parte di persone diverse dal conduttore: cfr., amplius, X. XXXXXXX, La disciplina generale del contratto, cit., p. 318 ss.;
X. XXXXX, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (Note a margine della Carta dei diritti), in Riv. dir. civ ., 2003, II, p. 801 ss.; X. XXXXXX, Verso un nuovo
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Quest’ultimo afferma, oggi con piena e sicura precettività, la inviolabilità della dignità della per- sona, che viene ad assumere, in termini operativi, la funzione di «limite interno che configura ogni si- tuazione soggettiva», assumendo un rilievo fondan-
ria da parte del solvens, ove egli abbia retribuito una prestazione illecita perché incommerciabile op- pure consistente in un facere illecito; ipotesi en- trambe, rispetto alle quali, alla ripetizione da parte del solvens, non potrebbe corrispondere, anche a fa-
te «nella costruzione di un modello europeo di so- vore dell’accipiens, il ripristino dello status quo an-
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cietà e di mercato»; un limite la cui violazione «può esser causa di nullità, di inadempimento, di recesso illegittimo, di risarcimento del danno», tanto che sul punto «è tutta da scrivere un’ attenta serie di regole e concetti generali»32.
b) La irripetibilità delle prestazioni.
E’ possibile sintetizzare, in termini necessaria- mente problematici, considerato anche il limite di questo scritto, gli orientamenti interpretativi circa il fondamento dell’art. 2035. Con una certa approssi- mazione essi possono ricondursi a tre proposte co- struttive.
La prima e più tradizionale opinione33 fonda la irripetibilità sulla ratio insita nel principio in pari causa turpidudinis melior est condicio possidentis, che esprime, secondo la più recente argomentata adesione a tale tesi, «l’esigenza di escludere dalla tutela giudiziaria conseguente all’esercizio dell’a- zione ex indebito colui che, per goderne, dovrebbe allegare il fatto della propria immoralità»34.
Un secondo orientamento, svolgendo taluni ri- lievi critici a suo tempo formulati da Rescigno35 sul fondamento della regola enunciata dall’art. 2035, perviene ad una spiegazione completamente diversa del disposto normativo.
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La retentio si giustificherebbe quale reazione dell’ordinamento all’abuso della pretesa restituto-
te, avendo egli effettuata una prestazione irripetibi- le36.
Una terza proposta dottrinale37, tutta svolta nei termini di una razionale analisi economica dei costi e benefici della regola posta dall’art. 2035, vi scorge una tecnica deterrente. In effetti, il maggior rischio cui, grazie alla regola della irripetibilità, viene espo- sto colui che esegua per primo la prestazione immo- rale senza conseguire la controprestazione, dovreb- be disincentivare tanto la conclusione del patto ille- cito che la sua attuazione; e ciò almeno ogni qual volta essa non possa realizzarsi mediante presta- zioni contestuali.
La norma, così sganciata da ogni evanescente giustificazione morale, troverebbe un solido fonda- mento razionale, tale da candidarla addirittura ad una più estesa applicazione «all’intera area dell’illiceità»38.
Come quest’ultima teoria rende manifesto, alla diversità delle impostazioni costruttive circa il fon- damento della norma, corrisponde sia un diverso ambito di applicazione della disciplina, sia un diver- so atteggiarsi di quest’ultima sotto taluni qualifican- ti profili.
Così, l’applicazione del principio “in pari cau- sa” conduce ad includere pacificamente nell’ambito di operatività della norma ogni ipotesi di contrarietà al buon costume «sotto il profilo della causa,
dell’oggetto o anche del solo motivo comune»39.
ruolo del giudice in Inghilterra, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 763 ss..
32 X. XXXXXXX, La disciplina generale del contratto nel tempo presente, in Riv. dir. priv., 2004, p. 313 ss. e vedi ora, con specifico riferimento all’art. II-61 del Trattato, ID., Diritto dei contratti e “Costituzione” europea. Regole e principi ordinan- ti, cit., p. 29 ss.; X. XXXXXX, Europa vs. America, Roma, 2003.
33 Per tutti F. FERRARA, Teoria del negozio illecito, cit., p. 274
ss..
Viceversa, la tesi dell’abuso della pretesa restitu- toria rende ad un tempo più ristretta e più ampia la nozione di buon costume, rilevante ai fini dell’art. 2035, rispetto alla accezione di essa desumibile da- gli art. 1343 e 1346 .
In effetti, se nell’art. 2035 «la contrarietà al buon costume rinvia ad un novero di attività che non pos- sono essere sollecitate e retribuite patrimonialmen-
40
34 S. DELLE MONACHE, Della irripetibilità della prestazione “ob turpem causam”, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 697 ss., p. 716; ID., Il negozio immorale tra negazione dei rimedi restitu- xxxx e tutela proprietaria. Per una riflessione sul sistema tra- slativo dei diritti, Padova, 1997, p. 230 ss.. Precisa l’Autore che, nonostante le correlazioni storiche esistenti tra i due prin- cipi, deve escludersi che l’art. 2035 trovi fondamento sulla diversa regola “nemo auditur turpidinem suam allegans” che avrebbe, evidentemente, ben altra portata. Giacchè altro è pre- dicare la irripetibilità delle prestazioni di un accordo eseguito, altro consentire, come è certamente consentito nel sistema di allegare, per l’accordo non eseguito e proprio al fine di non darvi attuazione, la nullità per immoralità del contratto (ivi, 724).
35 X. XXXXXXXX, In pari causa turpitudinis, in Riv. dir. civ., 1966, I, p. 1 ss..
te» , diviene coerente escluderne l’operatività per il contratto viziato per illiceità del motivo41. Ed al contempo, il medesimo fondamento della norma ne
36 X. XXXXXX, Illiceità del contratto e restituzioni, cit., p. 500 ss.; ID., La rilevanza del negozio nullo, cit., p. 348 ss..
37 G. VILLA, Contratto illecito ed irripetibilità della prestazio- ne, cit., 1992, p. 32 ss..
38 Sottolinea criticamente questa potenzialità espansiva, già foriera di “non poche perplessità in Germania e nella common law”, U. BRECCIA, Causa, cit., p. 318.
39 S. DELLE MONACHE, Della irripetibilità, cit., p. 715.
40 X. XXXXXX, Illiceità del contratto, cit., p. 516.
41 X. XXXXXX, Illiceità del contratto, cit., p. 508, nota 37; ID.,
La rilevanza del negozio xxxxx, xxx., x. 000, x. 000.
giustifica una applicazione più ampia, poiché po- trebbe risultare impossibile ripristinare lo status quo ante, anche per prestazioni contrarie a norme impe- rative o all’ordine pubblico42.
Ed ancora, nella prima prospettiva, la contrarietà
Potrà pertanto riuscirgli utile, per fondare in termini di ragionevolezza sistematica la soluzione del caso concreto, la consapevolezza della strumen- talità del criterio normativo del buon costume alla tutela dei fondamentali attributi della persona: la
al buon costume, mentre impedisce la tutela restitu- preminenza ad essi riconosciuta nella gerarchia di
xxxxx, non impedirebbe quella petitoria. La «presta- zione ob turpem causam» non costituirebbe infatti valido «titulus adquirendi a favore dell’ac- cipiente…qualora…abbia avuto ad oggetto la con- segna di cose non andate commiste con altre dello stesso genere», fermo in tal caso il diverso onere probatorio per l’attore in petitorio43.
Nella costruzione in chiave di abuso della prete- sa restitutoria, la ratio della disposizione preclude- rebbe, invece, l’esperibilità di un tale rimedio44.
Vero è che le applicazioni giurisprudenziali45 ri- flettono puntualmente la incertezza indotta dalle dif- ficoltà fondative dell’istituto.
Si comprende, allora, la posizione espressa da una attenta dottrina, secondo la quale ogni tentativo di spiegazione “a senso unico” della norma, morali- stico o razionalistico nei sensi accennati, sarebbe intrinsecamente fragile come spiegazione totaliz- zante, col corollario ineludibile di un «aumento dei poteri dell’interprete»46 sottratto ad un controllo ra- zionale.
Dovrebbe evitarsi «la contrapposizione rigida fra le scelte simboliche e di valore e i calcoli di effi- ciente razionalità economica», a favore di «un con- temperamento fra criteri di giudizio concorrenti». Giacchè, a ben vedere, i «parametri di giudizio» non sono «forniti dal gioco strumentale dell’immoralità e dell’illegalità»; e debbono piutto- sto riconoscersi nella «composizione del conflitto di interessi: la quale rispetti la ragione preventiva insi- ta…nella regola della ripetibilità e nella sua ecce- zione; senza porsi tuttavia in contraddizione insana- bile con l’esigenza di un razionale controllo volto a frustrare i più lampanti abusi»47.
In questa prospettiva, l’interprete, non più palu- dato da pseudo-criteri di giudizio, tanto totalizzanti quanto in definitiva inveritieri, si trova immerso nella propria dimensione –ineludibile ogni qual vol- ta la normazione proceda per clausole generali – di mediatore degli interessi in conflitto nella fattispe- cie concreta.
valori posta dalla Costituzione ed, ora, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione, potrà offrirgli significativi elementi di giudizio per concretizzare una delle concorrenti rationes della disciplina posta dall’ art. 2035 c.c.48.
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42 X. XXXXXX, Illiceità del contratto, cit., p. 516.
43 S. DELLE MONACHE, Della irripetibilità, cit., p. 699.
44 X. XXXXXX, La rilevanza del negozio nullo, cit., p. 350 ss..
45 Per una attenta analisi della variegata giurisprudenza si veda
X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, Mila- no, 1999, p. 82 ss., p. 101 ss..
46 U. BRECCIA, Causa, cit., p. 325.
47 U. BRECCIA, Causa, cit., p. 329.
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48Una coerente ricostruzione della disciplina posta dall’art. 2035 impone pertanto di rifuggire dalla riduzione della sua ratio ad unità, risultando più aderente una articolazione fonda- ta “sul confronto fra la ragion d’essere dei divieti giuridici di efficacia e di restituzione e i risultati incoerenti che possano derivarne” (cfr. U. XXXXXXX, Xxxxx, xxx., x. 000).