CIRCOLARE N° 8 DEL 24 - 5 - 2012
CIRCOLARE N° 8 DEL 24 - 5 - 2012
Oggetto: i contratti di associazione in partecipazione e similari
Le modalità di collaborazione fra società, senza la creazione di un nuovo soggetto, sono le seguenti: associazione in partecipazione disciplinata dall’art. 2549 e seguenti del CC
cointeressenza disciplinata dall’art. 2554 CC.
costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare disciplinato dall’art. 2447 bis e seguenti del CC associazione temporanea d’imprese (ATI)
Associazione in partecipazione
Nel contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili e alle perdite dell’impresa o di uno specifico affare previa effettuazione da parte dell’associato di un determinato apporto che ne costituisce elemento essenziale e che può essere costituito da beni o lavoro (anche servizi) ovvero misto di capitale e lavoro. L’apporto deve essere strumentale per l’esercizio dell’impresa dell’associante o per lo svolgimento dello specifico affare e deve essere restituito (se apporto di capitale ) al termine del contratto, salvo che sia previsto diversamente nel contratto. Le perdite in capo all’associato non possono superare il conferimento da quest’ultimo effettuato.
La natura del contratto di associazione in partecipazione, dopo alcune contrastanti orientamenti della dottrina, è stata definitivamente accertata come non associativa ma corrispettiva/finanziaria ovvero di scambio. Non si verifica quindi la nascita di un nuovo soggetto distinto dai contraenti. Anche la giurisprudenza della Cassazione riconosce che l’apporto ha carattere strumentale per l’esercizio dell’impresa o per lo svolgimento di uno specifico affare, non determinando la formazione di un soggetto nuovo, né la costituzione di un autonomo patrimonio, né la comunione dell’affare o dell’impresa che restano di esclusiva pertinenza dell’associante. I beni apportati dall’associato possono entrare a far parte del patrimonio dell’associante se alla base del contratto vi è la volontà di porre in essere un effetto traslativo della proprietà dei beni apportati, oppure possono essere concessi in uso, si tratta allora di un apporto di servizi.
L’associato ha diritto al rendiconto al termine del contratto e, se questo ha durata superiore all’anno, ha diritto ad un rendiconto annuale. Nella pratica, generalmente, l’associante riconosce all’associato anche ulteriori diritti di controllo e di collaborazione. Bisogna però evitare che tali poteri riconosciuti all’associato siano troppo invasivi perché si corre il rischio che, eventualmente insorgano questioni e si proceda giudizialmente per la loro soluzione, il giudice possa accertare l’esistenza di un vincolo societario tra le parti.
Il contratto di associazione in partecipazione non richiede, di per sé, una particolare forma, tuttavia per essere opponibile all’amministrazione finanziaria deve essere redatto per iscritto ed avere data certa, quindi con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
A livello tributario non si verifica la nascita di una nuova entità, l’unico soggetto passivo titolare di reddito d’impresa è e resta l’associante; l’associato dovrà soltanto dichiarare i redditi che percepisce in relazione alla loro natura che può variare in funzione di molteplici fattori.
Ulteriore conseguenza è che l’associazione in partecipazione non può essere messa in liquidazione, quando il contratto cesserà di produrre effetti (per scadenza o risoluzione anticipata) l’associante (se previsto dal contratto) dovrà restituire l’apporto (di beni) all’associato e dovrà corrispondergli eventuali utili non ancora liquidati.
A livello fiscale i proventi del contratto di associazione in partecipazione possono assumere natura di redditi di capitale o d’impresa in relazione alla tipologia dell’apporto e del soggetto che lo effettua.
In sostanza si possono avere le seguenti combinazioni:
se l’apporto è costituito da solo capitale o da capitale e lavoro e l’associato è una persona fisica, i relativi redditi assumono la natura di redditi di capitale e sono indeducibili in capo all’associante
se l’apporto è costituito esclusivamente da lavoro e l’associato è una persona fisica i relativi redditi sono qualificati come redditi di lavoro autonomo. Ciò comporta che le somme corrisposte dall’associante all’associato costituiscono costi per l’associante e saranno deducibili ai fini IRES (secondo il criterio della competenza economica) nella determinazione del suo reddito d’impresa. Quindi costituiranno redditi (di lavoro autonomo) in capo all’associato con i conseguenti obblighi dichiarativi e previdenziali. In questa situazione potrebbe verificarsi un disallineamento temporale tra l’esercizio di deducibilità in capo all’associante e quello di tassazione in capo all’associato. Infatti l’associante deduce tali costi secondo il criterio della competenza mentre l’associato che, quindi, è titolare di redditi di lavoro autonomo, viene tassato con il criterio della cassa. Tali costi non sono deducibili ai fini IRAP in capo all’associante.
Se l’associato non esercita altre attività di lavoro autonomo (cioè non è titolare di Partita IVA) le somme che incasserà dal contratto di associazione in partecipazione saranno escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA.
se l’apporto è costituito da solo capitale o da capitale e lavoro e l’associato è un’impresa, i relativi redditi assumono la natura di redditi di capitale assimilati ai dividendi.
se l’apporto è costituito esclusivamente da lavoro o servizi e l’associato è un’impresa, i relativi redditi sono qualificati come ricavi che concorrono alla formazione del reddito d’impresa dell’associato e sono integralmente deducibili ai fini IRES e IRAP in capo all’associante
Tralasciando di approfondire ulteriormente il regime fiscale dei compensi per l’associazione in partecipazione percepiti dalle persone fisiche è opportuno esaminare i regimi tributari dei compensi erogati alle persone giuridiche.
Il TUIR (art. 44, 1° comma, lette f) considera come redditi di capitale o redditi d’impresa gli utili derivanti da associazioni in partecipazione e dai contratti indicati nel primo comma dell’art. 2554 (cointeressenza)
Come detto sopra tali compensi possono essere:
assimilati ai dividendi se l’apporto è costituito solo da capitale o da capitale e lavoro
considerati ricavi per la società che li percepisce se l’apporto è costituito esclusivamente da lavoro o prestazioni di servizi.
Con riferimento all’assimilazione ai dividendi occorre approfondire l’analisi della normativa che è contenuta nei seguenti articoli del TUIR:
59 se il percipiente è una società di persone
89 se i percipiente è una società soggetta all’IRES.
Ai sensi dell’art. 81 del TUIR i dividendi percepiti dai soggetti IRES concorrono alla formazione del reddito d’impresa del soggetto percipiente sulla base del principio di cassa, ovvero nell’esercizio in cui sono stati incassati.
Tali redditi concorrono alla formazione del reddito imponibile dell’associato non interamente ma in misura differenziata:
se l’associato è una società di persone, ai sensi dell’art. 59, comma 1 del TUIR , concorrono a formare il reddito d’impresa del percipiente nella misura del 40%
se l’associato è una società di capitali, ai sensi dell’art. 89, comma 2 del TUIR , concorrono a formare il reddito d’impresa del percipiente nella misura del 5%. Regole diverse sono dettate se l’associato redige il bilancio in base ai principi contabili internazionali.
Le percentuali sopra esposte non sono soggette ad alcuna condizione, si applicano sempre e comunque, anche se, per ipotesi, il reddito della società associante fosse in parte o totalmente esente.
In quanto assimilati ai dividendi e, quindi, remunerazione del capitale investito, i compensi pagati all’associato a fronte di apporti di capitale o misti di capitale e lavoro non sono deducibili in capo all’associante.
Bisogna inoltre considerare che i redditi derivanti dall’apporto di solo capitale o misto (capitale e lavoro) in quanto assimilati ai dividendi devono altresì essere assoggettati a ritenuta d’acconto al momento del pagamento. A tal fine è rilevante l’ulteriore distinzione tra apporti qualificati e non qualificati come avviene per le partecipazioni nelle società in base al superamento della quota di partecipazione del 25% (per le società non quotate).
A tal fine l’art. 47, comma 2 del TUIR stabilisce che un apporto è “qualificato” quando il suo valore sia superiore al 25% del valore del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della stipula del contratto. Regole diverse devono essere applicate quando l’associante è un’impresa in regime di contabilità semplificata.
Relativamente all’ipotesi di contratto di associazione in partecipazione in cui l’associato sia un’impresa estera vedasi quanto detto nel seguito relativamente ai contratti di cointeressenza.
Come detto gli apporti possono essere costituiti da servizi o beni (ad esempio denaro o beni mobili/immobili conferiti in proprietà all’associante ) e la loro esatta qualificazione assume rilevanza fondamentale ai fini della natura dei conseguenti redditi. Sul punto è opportuno ripercorrere alcune risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate che aiutano a inquadrare in maniera corretta la dazione di denaro, beni o servizi dall’associato all’associante come “apporto” o con una qualificazione diversa.
Con la Risoluzione 192/E del 12/5/2008 è stato precisato che la dazione di denaro all’associante potrebbe anche configurare un versamento “a titolo di corrispettivo e rimborso degli investimenti effettuati dall’associante”. In questo caso l’apporto dell’associata resta di lavoro o servizi con le positive ricadute soprattutto in termini di deducibilità in capo all’associante dei corrispettivi pagati a tale titolo. Occorrerà quindi prestare particolare attenzione nel caso si voglia percorrere tale via. Le somme che l’associato verserà non dovranno mai essere qualificate come “apporto” bensì come “corrispettivo” per ben specificate prestazioni che l’associante farà a favore dell’associato. Ad esempio si potrebbe ipotizzare l’utilizzo del marchio, ovvero di determinate competenze, autorizzazioni, iscrizioni che l’associante mette a disposizione dell’associato. In quanto corrispettivo per una prestazione tale importo non potrà mai essere restituito pena la perdita dalla natura di “corrispettivo” e l’assunzione di quella di “apporto”. Nel bilancio dell’associato tale importo dovrà essere iscritto tra le immobilizzazioni immateriali ed ammortizzato per tutta la durata del contratto.
Con la Risoluzione 123/E del 4/6/2007 è stato stabilito che il riaddebito periodico all’associato di una parte dei costi sostenuti dall’associante per la realizzazione del progetto costituisce un vero e proprio “apporto” di denaro e quindi i compensi pagati dall’associate all’associata costituiranno per quest’ultima dividendi tassabili al 5% e saranno indeducibili in capo all’associante.
Con la Risoluzione 62/E del 2005 è stato precisato che la cessione (senza obbligo di restituzione) di beni prodotti dall’associato ad un prezzo molto favorevole per l’associante costituisce un apporto di capitale in natura (per la parte non fatturata) e quindi la remunerazione pagata dall’associante all’associato (a fronte della partecipazione agli utili dell’associante attribuita nel contratto di associazione in partecipazione) sarà indeducibile per l’associante e tassata al 5% (come se si trattasse di dividendi) per l’associato che sia soggetto IRES. Trattandosi di apporto in natura occorrerà procedere ad una sua valutazione sulla base del valore normale (art. 9 del TUIR) detratto quanto fatturato dall’associato. In altri termini l’associato che fornisce beni o servizi ad un prezzo inferiore al valore normale deve emettere fattura per il prezzo di vendita e aggiungere fra i ricavi la differenza tra quanto fatturato ed il valore normale. L’associante dovrà registrare fra i costi sia l’ammontare della fattura sia la differenza con il valore normale determinato per il cedente e non potrà dedurre il corrispettivo pagato all’associato a fronte della sua partecipazione al risultato economico dell’impresa o del singolo affare. Gli stessi importi sopra specificati concorreranno (come costi e come ricavi) rispettivamente alla determinazione della base imponibile IRAP per entrambi i contraenti.
Ai fini IVA valgono le seguenti regole:
se l’associato è una persona fisica che non esercita altra attività (quindi non è titolare di partita IVA) la sua prestazione lavorativa a favore dell’associante non rileva ai fini IVA
se l’associato è titolare di partita IVA l’apporto di beni (senza obbligo di restituzione) o di servizi costituisce operazione imponibile (vendita) che, quindi, deve essere regolarmente fatturata sulla base del prezzo di cessione o del valore normale se superiore;
al fine di stabilire l’assoggettabilità ad IVA della partecipazione agli utili che spetta all’associato bisogna distinguere i seguenti casi:
se la partecipazione agli utili configura pagamento della prestazione di servizi o della cessione di beni che l’associato apporta in uso all’associante, la stessa sarà imponibile ad IVA sulla base del prezzo di cessione. E’ controverso se, nel caso il prezzo di cessione sia inferiore al valore normale, la base imponibile IVA sia costituita dal corrispettivo o dal più alto valore normale;
se, invece, la corresponsione degli utili spettanti in base al contratto di associazione non configura il pagamento di un corrispettivo, la stessa costituisce “cessione di denaro” e quindi esula dal campo di applicazione dell’IVA
Ai fini dell’imposta di registro i contratti di associazione in partecipazione formati in Italia devono essere registrati entro 20 giorni dalla loro formazione e scontano l’imposta di registro in misura fissa salvo che comportino la cessione di immobili o imbarcazioni.
Tra i “servizi” che possono essere oggetto di apporto, a titolo esemplificativo, si elencano i seguenti:
messa a disposizione dell’associante di uno o più dipendenti dell’associato. Tali dipendenti restano in capo all’associato che si deduce i relativi costi ma lavorano a favore dell’associante
diritto ad utilizzare per la durata del contratto il proprio logo o marchio
diritto ad utilizzare per la durata del contratto uno o più beni (mobili o immobili) che restano di proprietà dell’associato il quale continuerà a dedursi i relativi costi di mantenimento e gli ammortamenti.
collaborazione nella gestione di un’unità locale dell’associate sia essa un punto vendita o uno stabilimento
La partecipazione agli utili dell’associante può essere determinata in percentuale del reddito o di qualsiasi altro risultato intermedio prima della determinazione del reddito (ad esempio sulla base dell’ammontare dei ricavi, del MOL …). Possono essere stabilite penali a carico della parte che recede anticipatamente dal contratto ovvero a carico della parte cui è addebitabile la risoluzione anticipata per inadempienze contrattuali.
Nel contratto di associazione in partecipazione (e, come vedremo oltre, anche per i patrimoni destinati ad uno specifico affare) a fronte dell’apporto (sia di capitale che di lavoro e servizi sia misti) possono essere emessi degli strumenti finanziari partecipativi. In questa particolare fattispecie i relativi proventi sono sempre assimilati ai dividendi anche se l’apporto sia costituito esclusivamente da prestazioni lavorative o di servizi. Per l’analisi della normativa sugli strumenti finanziari partecipativi vedasi oltre.
Si ritiene che il contrato di associazione in partecipazione debba contener almeno i seguenti elementi: durata
percentuale di partecipazione dell’associato agli utili (o altra base di commisurazione) dell’affare esatta definizione dell’oggetto dell’affare
previsione che l’associante istituirà una contabilità separata per la gestione dello specifico affare
se è o meno previsto un pagamento iniziale da parte dell’associato (senza obbligo di restituzione) dovrà essere qualificato come pagamento per la messa a disposizione di una o più utilità da parte dell’associante. Ad esempio potrebbe essere qualificato come corrispettivo per la prestazione di servizi insita nella messa a disposizione delle qualifiche e/o iscrizioni in particolari albi o registri che l’associante possiede. In tal modo l’importo in questione costituirà costo per l’associato e ricavo per l’associante e dovrà essere fatturato
dovranno altresì essere analiticamente indicate le prestazioni di servizi che l’associato apporta con l’esatta quantificazione dei corrispettivi dovuto dall’associante o, quanto meno, dei criteri per la loro determinazione. Detti corrispettivi dovranno essere fatturati dall’associato e costituiranno, rispettivamente, costi (per l’associante) e ricavi (per l’associato)
eventuali clausole che prevedono l’automatica risoluzione per particolari inadempienze nonché le penali poste a carico della parte inadempiente;
che l’associato ha diritto a ricevere il rendiconto al termine del periodo contrattuale e, se questo ha durata superiore ad un anno, al termine di ogni esercizio;
eventuali poteri di controllo ulteriori dell’associato
Contratti di cointeressenza
Il contratto di cointeressenza può essere di due tipi:
cointeressenza impropria in cui elemento essenziale è l’apporto ma viene esclusa ogni partecipazione alle perdite; cointeressenza propria in cui non si verifica alcun apporto ma la partecipazione è sia alle perdite sia agli utili.
Il codice civile dedica un solo articolo, il 2554, al contratto di cointeressenza. Dottrina e giurisprudenza hanno elaborato negli anni alcuni principi che contribuiscono alla definizione del contratto e alla sua tipizzazione nei seguenti elementi principali:
il codice civile non dà una definizione del contratto di cointeressenza
nel contratto di cointeressenza propria un soggetto conviene con l’imprenditore di assumersi una quota sia degli utili sia delle perdite, senza alcun apporto (né di beni né lavorativo o di servizi). Si tratta di un contratto avente una finalità assicurativa per l’imprenditore in quanto garantisce la presenza di soggetti che, in cambio della sola partecipazione agli utili, si accollano il rischio di sopportare le eventuali perdite. All’interno del contratto di cointeressenza propria esistono poi le seguenti alternative:
cointeressenza propria complessa che si caratterizza per la condivisione reciproca, tra due o più imprese, dei rispettivi risultati di esercizio
cointeressenza propria semplice che consiste nella promessa da parte di un’impresa verso un’altra impresa di farla partecipare agli utili a fronte della contro promessa di partecipare alle perdite.
nel contratto di cointeressenza impropria, invece, a fronte di un apporto effettuato dal cointeressante, l’imprenditore gli riconosce una partecipazione ai soli utili dell’impresa o dello specifico affare. Si tratta di un contratto sostanzialmente analogo all’associazione in partecipazione con solo apporto di lavoro o servizi;
tutti i principali elementi del contratto di cointeressenza, nelle sue varie tipologie, sono gli stessi del contratto di associazione in partecipazione in virtù del rinvio operato dall’art. 2554. Pertanto vale quanto già detto nella presente relazione con riferimento al contratto di associazione in partecipazione.
Relativamente alla deducibilità, ai fini IRES, dei compensi pagati a fronte di un contratto di cointeressenza, l’art. 109, comma 9 del TUIR considera deducibile tale remunerazione soltanto qualora tali contratti non prevedano alcun apporto o prevedano esclusivamente l’apporto di opere o servizi (Circolare 26/E del 16/6/2004). La deducibilità ai fini IRAP dovrebbe essere analoga a quella ai fini IRES La ratio che sta alla base della suddetta statuizione sembra essere la seguente:
se il ricavo alla cointeressata viene pagato in presenza di un apporto di beni, la sua natura dovrebbe essere quella di remunerazione (finanziaria) del capitale investito
se, invece, non vi è alcun apporto, la natura dovrebbe essere quella di corrispettivo per il rischio che la cointeressata si assume, di dover partecipare alle perdite.
Con riferimento a quest’ultima fattispecie (cointeressenza senza alcun apporto) con coinvolgimento di una società estera (non black list) nel ruolo di cointeressata, la situazione sembra essere la seguente.
La normativa italiana, genericamente, prevede che le somme pagate a fronte di un contratto di cointeressenza ad una società non residente siano deducibili interamente in capo alla società italiana e costituiscono reddito di capitale in capo alla società non residente, tassabili alla fonte in Italia con una ritenuta a titolo d’imposta.
A questa disposizione generale si sovrappongono però le norme contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia che, ove differiscano dalla normativa interna, prevalgono sulla stessa in quanto norme speciali. Tali convenzioni vengono stipulate, per la maggior parte, in modo conforme al modello di convenzione elaborato dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che non contiene una disciplina generale per i redditi di capitale bensì disposizioni specifiche per singole tipologie: dividendi, interessi, canoni, utili di capitale e altri redditi di capitale. In base alla normativa vigente i compensi percepiti a fronte di contratti di cointeressenza propria dovrebbero rientrare nella categoria convenzionale dei redditi di capitale, in quanto non classificabili in nessuna delle altre tipologie elencate.
In conclusione sembra di poter riassumere la normativa nel modo seguente:
se la cointeressata estera ha sede in un Paese con il quale l’Italia ha stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni, le somme pagate sono deducibili in capo alla società italiana e tassabili in capo alla società estera secondo le regole proprie del Paese ove ha la sede
se la cointeressata estera ha sede in un Paese con il quale l’Italia non ha stipulato alcuna convenzione contro le doppie imposizioni (che non sia black list) le somme pagate sono deducibili in Italia e sono tassabili (in Italia) in capo alla società estera con il metodo della ritenuta a titolo d’imposta.
A livello di normativa IVA, nel contratto di cointeressenza propria (senza apporto), le prestazioni sono le seguenti:
da cointeressato al cointeressante: assunzione del rischio di essere chiamato a coprire le perdite d’impresa per la propria parte. Le somme dovute a tale titolo non costituiscono il corrispettivo di una prestazione di servizi bensì di un rischio e, quindi, ritengo non rientrino nel campo di applicazione dell’IVA. Non si dovrà procedere quindi ad alcuna fatturazione.
Parimenti non rientrano nel campo di applicazione dell’IVA eventuali utili corrisposti dall’associante all’associata in quanto, come già visto, costituiscono cessioni di denaro, espressamente escluse da campo di applicazione dell’IVA.
Patrimonio destinato ad uno specifico affare.
La costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare è un atto unilaterale con il quale un imprenditore segrega una parte del proprio patrimonio d’impresa destinandolo al compimento di un singolo scopo e sottraendolo alle pretese degli altri creditori sociali.
Alla separazione di una parte del patrimonio aziendale per la sua destinazione ad uno specifico affare possono partecipare anche soggetti terzi estranei all’impresa. Si tratta di una fattispecie molto simile all’associazione in partecipazione. I terzi possono, a loro volta, apportare beni o prestazioni d’opera o di servizi senza diventare soci della società in quanto interessati solo allo specifico affare e non alla gestione complessiva della società.
La natura non associativa dell’apporto di terzi al patrimonio destinato ad uno specifico affare non muta se a fronte dell’apporto vengono emessi strumenti finanziari di partecipazione all’affare con la specifica indicazione dei diritti che attribuiscono.
Strumenti finanziari partecipativi
Come visto gli strumenti finanziari partecipativi possono essere emessi dall’associante a fronte dell’apporto ricevuto sia con riferimento al contratto di associazione in partecipazione sia con riferimento all’apporto di terzi in un patrimonio destinato ad uno specifico affare.
La natura di tali titoli non è quella di azioni o di quote di partecipazione al capitale della società, né di titoli che attribuiscono una contitolarità sui beni segregati nell’ambito del patrimonio sociale, ma semplicemente titoli, liberamente cedibili, il cui rendimento è correlato ai risultati dell’affare a fronte del quale è stato costituito il patrimonio.
Normalmente ai possessori di tali titoli non spetta il diritto di voto nell’assemblea. Tuttavia vengono normalmente riconosciuti i seguenti diritti:
diritto alla ripartizione periodica degli utili, il cui contenuto e le modalità sono affidate all’autonomia statutaria che può disciplinare la fissazione della misura di tale diritto, dei relativi criteri di calcolo, nonché dell’ordine con cui è regolato il concorso dei portatori di strumenti finanziari e degli azionisti della società,
possono anche essere riconosciuti particolari diritti amministrativi. Normalmente si tratta dei c.d. “diritti minori” ovvero, ad esempio, del diritto di ispezionare i libri sociali e/o quelli contabili relativi al singolo affare, di richiedere relazioni all’organo amministrativo, di designare figure dirigenziali in determinati rami aziendali, di intervenire (senza diritto di voto) alle assemblee societarie, di essere consultati in sede di redazione del bilancio.
per talune materie specificamente indicate nello statuto può altresì essere attribuito il diritto di voto in assemblea. Ad esempio può essere riconosciuto il diritto di nomina di un componente indipendente nel CdA, ovvero di un sindaco o di un revisore contabile.
Relativamente alla deducibilità da parte della società emittente dei compensi corrisposti ai possessori di strumenti finanziari partecipativi, l’art. 109, comma 9, lettera a) del TUIR dispone che detti compensi siano indeducibili per la quota che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società.
In sintesi quindi si possono verificare le seguenti alternative:
compensi corrisposti per titoli e strumenti finanziari partecipativi che, dietro corrispettivo di un apporto di capitale, assicurino una partecipazione agli utili e alle perdite della società che li ha emessi: INDEDUCIBILITA’
compensi corrisposti per titoli e strumenti finanziari partecipativi che, dietro corrispettivo di un apporto di capitale, assicurino una partecipazione solo agli utili e non alle perdite della società che li ha emessi: INDEDUCIBILITA’
compensi corrisposti per titoli e strumenti finanziari partecipativi che, dietro corrispettivo di un apporto di opere o servizi, ovvero senza alcun apporto, assicurino una partecipazione agli utili e alle perdite della società che li ha emessi: INDEDUCIBILITA’
compensi corrisposti per titoli e strumenti partecipativi che assicurino una remunerazione solo parzialmente parametrata ai risultati economici della società emittente: DEDUCIBILITA’ per la parte non parametrata al risultato economico.
In capo al percipiente, posta la totale indeducibilità per l’emittente (salvo il caso particolare appena visto), il relativo reddito dovrà essere considerato non imponibile. Per questo il regime tributario dei proventi derivanti dagli strumenti finanziari partecipativi, prescindendo completamente dal tipo di apporto effettuato, è sempre assimilato ai dividendi in virtù dell’assimilazione degli strumenti finanziari partecipativi alle azioni effettuata dall’art. 44, comma 2, lettera a) del TUIR con la conseguente tassazione differenziata in ragione della natura del percipiente e della natura qualificata o meno della partecipazione. In tal modo tutti i possessori di strumenti finanziari di partecipazione godono del medesimo regime tributario.
Per quanto riguarda il regime degli utili corrisposti a fronte di strumenti finanziari partecipativi emessi da soggetti esteri, la seconda parte dell’art. 44, comma 2, lettera a) subordina l’assimilazione di detti strumenti alle azioni (e quindi l’applicabilità del regime di tassazione dei dividendi) alla circostanza che detti compensi siano indeducibili totalmente in capo al soggetto estero emittente e che detta circostanza sia certificata dal soggetto emittente medesimo o da altri elementi certi e precisi.
Associazione temporanea d’imprese
L’ATI viene normalmente utilizzata per la realizzazione di opere ed impianti di particolare complessità sotto il profilo tecnico organizzativo nonché finanziario che richiedono lo svolgimento congiunto delle relative prestazioni da parte di una pluralità di imprese.
In materia di opere pubbliche l’ATI è stata prevista, per la prima volta a livello legislativo, dalla legge 584/1977 ove venne previsto che le imprese temporaneamente associate conferiscono mandato con rappresentanze alla società capogruppo. Quest’ultima predispone l’offerta in nome proprio e per conto dei mandanti senza che tale mandato determini la nascita di un nuovo soggetto, le imprese associato mantengono la propria autonomia ai fini della gestione e degli adempimenti fiscali. La legge del 1977 è stata sostituita dalla legge 554/1999 che, però, non reca modifiche sostanziali a quanto appena detto.
La motivazione che sta alla base della nascita di un’ATI è quella di presentare congiuntamente l’offerta per la costruzione di un’opera al fine di evitare la costituzione di un’apposita società e di superare le difficoltà contrattuali e normative connesse agli appalti a lotti separati. Il nuovo strumento ha però fatto sorgere la questione della sussistenza o meno di una società di fatto tra le imprese raggruppate che viene spesso ravvisata in sede di verifica della Guardia di Finanza. Infatti, in sede di determinazione del reddito delle imprese associate, è spesso difficile giungere ad una esatta quantificazione dei costi e dei ricavi relativi alle attività svolte dalle singole partecipanti e pertanto sussistono i presupposti che giustificano l’accertamento dell’esistenza di una società di fatto con conseguente acquisizione di autonoma e distinta soggettività tributaria. Secondo l’Amministrazione finanziaria qualora i lavori risultino indivisibili si ha la nascita di una società di fatto con relativi obblighi in ordine a:
tenuta della contabilità
fatturazione diretta nei confronti del committente dichiarazioni fiscali
La configurazione di una società di fatto comporta rilevanti problemi di natura fiscale, previdenziale e giuslavoristica unitamente all’applicazione di pesanti sanzioni a carico sia della capogruppo sia delle società associate. Le conseguenze negative sono imputabili sia al raggruppamento sia alle imprese associate:
l’ATI, infatti, sarebbe tenuta a:
essere titolare di un proprio numero di codice fiscale e di partita IVA
presentare tutte le normali dichiarazioni fiscali (IVA, IRES, IRAP, modello 770 …)
aprire proprie posizioni sia all’INPS sia all’INAIL
fatturare direttamente i corrispettivi al committente
essere il soggetto destinatario della fatture emesse dai fornitori
per le singole imprese associate, invece, viene meno il requisito dell’inerenza dei costi e dei ricavi connessi all’esecuzione del proprio lotto di lavori oltre ad ulteriori conseguenze in ordine all’IVA
Oltretutto si ricorda che con la riforma del diritto societario è stato legislativamente previsto che anche le società di capitali possano partecipare in qualità di socie a delle società di persone o a delle società di fatto. Viene quindi meno anche l’unica residua difesa contro l’operato dell’Amministrazione finanziaria in tema di accertamento dell’esistenza di una società di fatto.
Molti altri sono gli aspetti problematici legati all’esistenza di un’ATI relativamente al rischio di accertamento dell’esistenza di una società di fatto. Solo a titolo di esempio si ricordano i seguenti:
la società di fatto subentra alla mandataria nei rapporti con il committente o soltanto nella mera esecuzione del contratto
la valutazione dei lavori in corso (cioè la costruenda opera che potrebbe essere anche di durata pluriennale) spetta alla società di fatto o alle imprese partecipanti
la fatturazione nei confronti del committente deve essere effettuata dalla capogruppo o dalle imprese associate e, nelle due ipotesi, come deve avvenire la ripartizione dei ricavi tra le imprese associate
Una parte dei problemi sopra visti viene normalmente superato mediante la costituzione di una società consortile.
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Lo studio è a disposizione per qualsiasi chiarimento