COLLEGIO DI BARI
COLLEGIO DI BARI
composto dai signori:
(BA) DE CAROLIS Presidente
(BA) XXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(BA) CAMILLERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(BA) XXXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(BA) XXXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXX
Nella seduta del 12/09/2017 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La società ricorrente censura la condotta dell’intermediario, per avere questi illegittimamente e arbitrariamente sospeso l’erogazione del servizio incassi SDD e ridotto le linee di credito in essere presso il medesimo intermediario, con conseguente sconfinamento, da parte del cliente. Tanto premesso, la ricorrente chiede il risarcimento dei danni patrimoniali e all’immagine, conseguenti all’illegittima condotta dell’intermediario. In particolare, la ricorrente afferma di essere stata più volte contattata telefonicamente dall’intermediario resistente e di avere in tal modo appreso che, a partire dal mese di febbraio 2016, “gli incassi SDD (…) non sarebbero stati lavorati sul conto corrente” ad essa intestato; nel corso di una di queste telefonate, inoltre, veniva proposto “di ripresentare gli incassi SDD aderendo ad una linea di credito (fido o altro) o in alternativa di rivolgersi ad altri istituti bancari” (cfr. reclamo del 09/02/2016). Nonostante la successiva richiesta di chiarimenti, avanzata per iscritto, l’intermediario “in maniera autonoma e priva del consenso della società non effettuava le operazioni di accredito” (cfr. comunicazione del 20/02/2016); ciò in violazione delle prescrizioni del regolamento UE 260/2012 in tema di preavviso.
L’intermediario, nelle controdeduzioni, precisa di aver emanato, in data 08/09/2015, “una disposizione interna sul servizio incassi SDD in base alla quale sarebbe stata necessaria un’idonea linea di fido per adeguare detto servizio alle nuove disposizioni”. Dopo quattro mesi di “ripetuti solleciti” alla cliente, stante il perdurante rifiuto della stessa di aggiornare gli affidamenti, la informava che “non [avrebbe] più potuto accettare detto “servizio incassi”, come peraltro è stato confermato nella […] risposta [al reclamo] del 18.02.2016”. In seguito a tale missiva, nella quale informava la ricorrente della necessità di “formalizzare un’idonea linea di fido per accogliere le presentazioni di portafoglio”, il legale rappresentante della ricorrente provvedeva a sottoscrivere, in data 23/03/2016, una “richiesta delle nuove linee di fido”; queste ultime successivamente deliberate dagli organi competenti della banca, in data 25/03/2016. Nel corso di un secondo incontro, tenutosi il 04/04/2016, l’amministratore della società ricorrente si rifiutava, tuttavia, di sottoscrivere le condizioni relative alla nuova concessione, poiché ritenute troppo onerose; quindi, “di comune accordo con la cliente, si procedeva alla revoca del fido per smobilizzo crediti”.
L’intermediario riferisce che, in seguito all’introduzione della commissione sull’affidamento, da concordarsi “in forma scritta con il cliente unitamente al tasso debitore per tutte le aperture di credito in conto corrente”, “per tutte le concessioni relative ad affidamenti di breve termine (…) ha introdotto il nuovo contratto di affidamento (X.XX.).
Con riferimento alla segnalazione in Centrale dei Rischi, precisa di non aver segnalato alcuno sconfinamento, “mentre le segnalazioni “contestate” sono presenti a livello “sistema”, cioè effettuate da altri istituti, nel periodo in esame”.
L’intermediario prosegue affermando che, in data 26/10/2016, la ricorrente “chiedeva la chiusura dei rapporti, la revoca dei fidi ed il trasferimento dei titoli presso altra Banca”; non risultava tuttavia possibile soddisfare tali richieste per le ragioni esplicitate al cliente con comunicazione del 15/11/2016 (all.4). Siffatta comunicazione non veniva riscontrata, ragion per cui, in data 10/03/2017, l’intermediario provvedeva a informare la cliente che “i rapporti di conto corrente e il deposito titoli sono tuttora aperti”.
In ogni caso, parte resistente ritiene che la richiesta risarcitoria non sia accoglibile in quanto non supportata da prove (richiama sul punto la decisione del Coll. Roma n. 2248/14). Con riferimento alla richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali, l’intermediario richiama inoltre la pronuncia di Xxxx. S.U., n. 26972/08, sulla non risarcibilità dei pregiudizi consistenti in meri “disagi, fastidi, disappunti (…)”.
In sede di repliche, la ricorrente contesta quanto dichiarato dall’intermediario e, in particolare, afferma che le variazioni alle condizioni contrattuali non sono state comunicate con quattro mesi di anticipo; precisa che il primo contatto telefonico è avvenuto il 07/02/2016 e ad esso aveva fatto seguito l’invio della comunicazione del 09/02/2016 di richiesta di chiarimenti. Inoltre, l’incontro con i rappresentanti della banca non si sarebbe tenuto il 23/03/2016: in tale data, afferma, l’amministratore della società si trovava “fuori città”.
A riprova del danno subito, asserisce di aver dovuto inviare “ben 79 comunicazioni agli utenti per mancato incasso di fatture per un totale di € 28.133,10” (cfr. solleciti di pagamento allegati).
DIRITTO
La questione sottoposta al Collegio ha ad oggetto il diritto al risarcimento del danno, in conseguenza dell’inadempimento contrattuale dell’intermediario, nella prestazione del servizio incassi SSD.
Il Collegio rileva, preliminarmente, l’estrema laconicità del ricorso, soprattutto sotto il profilo della ricostruzione dei fatti costitutivi della pretesa e, dunque, della esposizione
della causa petendi. Non di meno, dall’esame congiunto del ricorso e del reclamo – oltre che dell’ulteriore documentazione allegata –, si desumono elementi sufficienti per ritenere ammissibile il ricorso, sotto il profilo evidenziato.
Sempre in via preliminare, rileva il Collegio che la società ricorrente non ha allegato copia del contratto di conto corrente e dell’accordo inerente il “servizio incassi SDD”, asseritamente conclusi con l’intermediario. Quest’ultimo, peraltro, ha riconosciuto l’effettivo svolgimento del servizio incassi, affermando di averne sospeso la gestione, in ottemperanza a una “disposizione interna” (della quale, peraltro, non produce evidenza). La gestione del servizio risulta, inoltre, documentata, nel periodo ottobre 2015 – gennaio 2016, dagli estratti conto nn. 4/2015 e 1/2016 (all.2 alle controdeduzioni). Dal 27/01/2016 non risultano registrate ulteriori operazioni di incasso SDD, per effetto della sospensione del servizio.
La mancata produzione dei documenti contrattuali assume rilievo, rispetto all’onere della prova, incombente sulla ricorrente, della sussistenza e del contenuto del rapporto fonte delle obbligazioni asseritamente inadempiute e, dunque, dei fatti costitutivi della pretesa.
Al riguardo, mette conto rilevare, innanzi tutto, che, vertendosi in tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, è quanto meno dubbia l’ammissibilità della prova del rapporto contrattuale mediante equipollenti, quali presunzioni ovvero dichiarazioni confessorie, giusta il disposto dell’art. 2725, cod. civ. (cfr., da ultimo, Cass., 27 aprile 2017, n. 10447, sul punto aderendo ai precedenti di Cass., 24 marzo 2016, n. 5919, Cass. 11 aprile 2016, n. 7068, Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, Cass.,
27 aprile 2016, n. 8396, Cass., 19 maggio 2016, n. 10331 e Cass., 3 gennaio 2017, n. 36). Vero è, d’altronde, che un recente orientamento della giurisprudenza di merito ha valorizzato le peculiarità della forma solenne di protezione, prevista in materia di contratti bancari (artt. 117, 126-quinquies, 127 T.U.B.) e di intermediazione finanziaria (art. 23 T.U.F.), in particolare, in punto di legittimazione a dedurre o eccepire il vizio; legittimazione, come noto, limitata al cliente, salvo il potere di rilievo officioso del giudice, a vantaggio del cliente. In particolare, si è osservato che “se il cliente può chiedere l’esecuzione del contratto bancario amorfo, senza farne valere la nullità, non è evidentemente possibile negargli la possibilità di prova, applicando il limite previsto dall'art. 2725 c.c, per il contratto formale. La questione può essere esaminata anche dall'angolazione del giudice, ma le conclusioni non mutano: se il giudice, in mancanza di eccezione, non può rilevare la mancanza di forma scritta per dichiarare la nullità del contratto, non può neppure rilevarla per applicare in danno del cliente un limite probatorio previsto per il solo caso dei contratti formali” (Trib. Torino, 2 luglio 2015).
Questo suggestivo orientamento della giurisprudenza di merito, peraltro, presta il fianco alla possibile obiezione di un approccio “selettivo” alla disciplina della nullità; nel senso che l’interprete, movendo dalla ricostruzione degli interessi protetti dalla legislazione speciale, introdurrebbe deroghe ulteriori alla disciplina generale, rispetto a quelle espressamente previste dal legislatore (nel caso di specie: la legittimazione a dedurre il vizio, non anche la prova del rapporto). Emblematico di questo approccio è l’orientamento giurisprudenziale, che ritiene ammissibile la convalida del contratto nullo, per violazione della “forma di protezione”, nei casi in cui le parti abbiano, comunque, dato esecuzione al rapporto, in tal modo disapplicando il chiaro disposto dell’art. 1423, cod. civ. (cfr., ad es., Trib. Verona, 23 marzo 2010. Ma contra, da ultimo: Cass., 11 aprile 2016, n. 7068).
Osserva, al riguardo, il Collegio che il tema del formalismo di protezione, nei contratti bancari e di intermediazione finanziaria, è al centro di un ampio dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, con particolare riferimento al non agevole coordinamento dei “frammenti di disciplina”, introdotti dalla legislazione speciale, con lo statuto generale della nullità, contenuto nel codice civile. Da ultimo, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha
rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla prova dell’avvenuta conclusione del contratto, con specifico riferimento all’ipotesi di produzione in giudizio, da parte dell’intermediario, di copia del testo contrattuale sottoscritto dal solo cliente, ma evocando una pluralità di questioni di portata più generale (cfr. la citata ord. di Cass., 27 aprile 2017, n. 10447).
L’assenza della documentazione contrattuale rileva, altresì, sotto un ulteriore e decisivo aspetto, che attiene all’osservanza dei princìpi e delle regole che governano il procedimento dinanzi a questo Arbitro. Al riguardo, il Collegio di Coordinamento ha avuto modo di chiarire che “il giudizio avanti alla ABF deve necessariamente rispettare i principi generali del vigente sistema processuale civile. Il principio della domanda e il rispetto del contraddittorio sono cardini di tale sistema, cui il procedimento ABF non può sottrarsi. Ne consegue che il ricorrente è tenuto a formulare una domanda che sia articolata nel petitum (il provvedimento o il bene della vita richiesto) e nella causa petendi (la situazione giuridica giustificatrice della domanda) e a produrre la documentazione dimostrativa. Reciprocamente, il resistente ha l’onere processuale di addurre le argomentazioni (fattuali e giuridiche) idonee a contrastare la domanda e di produrre la documentazione ritenuta idonea allo scopo. Il giudicante (l’arbitro come il giudice) ha il potere – dovere di stabilire la corretta qualificazione giuridica delle questioni portate alla sua cognizione, ma non quello di prendere in esame situazioni di fatto diverse da quelle rappresentate dalle parti” (Coll. Xxxxx., Decisione N. 10929 del 15 dicembre 2016). Più di recente, il Collegio di Xxxxxxxxxxxxx ha ulteriormente precisato che “in virtù del principio dispositivo, l’Arbitro bancario non possa andare alla ricerca della verità, ma debba decidere sulla base dei fatti allegati dalle parti e delle prove fornite per supportarli: quindi nei limiti del tema della decisione e del tema della prova come parametrabile sulla scorta delle rispettive deduzioni […]. Quanto poi alla prova dei fatti rilevanti (e specificamente contestati), deve convenirsi che poiché l’Arbitro bancario deve decidere secondo diritto […] e quindi anche in base alla regola di giudizio sancita nell’art.2697 c.c.”. Ne consegue che “il rischio della mancanza o insufficienza della prova di un fatto controverso non può che essere addossato alla parte che, avendolo affermato, aveva l’interesse a dimostrarlo” (Coll. Coord., Decisione N. 7716 del 29 giugno 2017).
In conformità con i richiamati princìpi generali, osserva il Collegio che, nel caso di specie, la domanda della ricorrente ha ad oggetto esclusivamente il risarcimento del danno subìto, in conseguenza di una condotta illecita dell’intermediario, consistente nell’illegittima sospensione del servizio incassi SSD. L’allegazione di un “arbitrario e unilaterale” “abbassamento” del fido, per contro, non si traduce in alcuna specifica domanda, non avendo, inoltre, la società ricorrente neanche riproposto, in sede di ricorso, le censure relative alla segnalazione in Centrale Rischi, presenti nella preliminare interlocuzione con l’intermediario.
Sulla base della documentazione prodotta dalle parti e delle rispettive allegazioni, ritiene il Collegio che, anche ove si ritenessero provate la sussistenza del rapporto contrattuale inter partes e l’inadempimento dell’intermediario, sotto il profilo dell’illegittima sospensione del servizio – nessuna rilevanza potendo, a tal fine, assumere la non meglio precisata “disposizione interna sul servizio incassi SDD”, richiamata dall’intermediario –, osterebbe all’accoglimento del ricorso l’assenza della prova di un danno, che costituisca la conseguenza diretta e immediata dal dedotto inadempimento (artt. 1218, 1223, 1453 cod. civ.).
Per vero, in sede di ricorso, la società ricorrente si è limitata ad affermare che la sospensione unilaterale del servizio avrebbe causato un danno economico, in termini di mancati incassi, e un danno all’immagine. La generica allegazione di un danno patrimoniale, tuttavia, non è supportata da alcun elemento di prova dei mancati incassi. Il
danno all’immagine, per contro, è soltanto affermato (da ultimo, sulla necessità della prova dell’effettivo pregiudizio, in tema di danno all’immagine, cfr. Cass. civ., sez. III, 13-10- 2016, n. 20643).
Il Collegio non accoglie il ricorso.
P.Q.M.
IL PRESIDENTE
firma 1