Salvatore Servidio - Esperto tributario e del processo del lavoro
Trasferimento illegittimo
Cessione di ramo d’azienda e tutela del lavoratore ceduto
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx - Xxxxxxx tributario e del processo del lavoro
Vicenda processuale
Nel caso trattato dalla sezio- ne lavoro della Corte di Cas- sazione con sentenza 27 maggio 2014, n. 11832, il Tribunale e la Corte d’appel- lo avevano concluso per la nullita` della cessione dei contratti di lavoro di alcuni lavoratori di una s.p.a. (X) in favore di una s.r.l. (Y) e, per l’effetto, ordinato il ripri- stino dei loro rapporti nelle mansioni precedentemente svolte o in altre equivalenti con l’originario datore di la- voro (Z) (societa` nella quale era stata incorporata per fu- sione la prima societa`), escludendo la configurabilita` di una cessione di ramo d’a- zienda. In particolare, la Cor- te territoriale, escludendo nella fattispecie la configura- bilita` di una cessione di ramo d’azienda, ha riconosciuto il diritto dei lavoratori a prose- guire il rapporto di lavoro con la societa` Z, ritenendo privo di efficacia verso que- st’ultima le conciliazioni sin- dacali sottoscritte da alcuni lavoratori con Y.
La societa` soccombente ri- corre per Cassazione, dedu- cendo violazione di legge (art. 1406 c.c.), per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente l’interesse ad agi- re dei lavoratori per accertare l’illegittimita` del trasferimen- to di ramo d’azienda, trascu- rando la normale inconfigu- rabilita` di un intuitus perso-
nae nei confronti del datore e l’assenza di un pregiudizio concreto ed attuale del lavo- ratore, non configurabile a fronte di rapporti di lavoro proseguiti con il cessionario senza essersi verificata alcu- na soluzione di continuita`.
In secondo luogo la ricorren- te deduce violazione dell’art. 2112 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’au- tonomia organizzativa e fun- zionale delle attivita` trasferite dovesse essere preesistente al trasferimento, quale presup- posto essenziale per la confi- gurabilita` di un ramo di azienda.
Dalla descrizione fattuale che precede emerge che il proble- ma posto all’attenzione del giudice di legittimita` consiste nel verificare se si sia di fron- te a una vera e propria ces- sione di ramo d’azienda (art. 2112 c.c.) ovvero a una sem- plice cessione di contratti di lavoro (art. 1406 c.c.), con i conseguenti effetti sui lavo- ratori ceduti.
Interesse
del lavoratore ad agire
La sentenza n. 11832/2012 investe un tema, quello del trasferimento di una parte (c.d. ramo) di azienda, parti- colarmente sensibile e con- troverso, in special modo a seguito delle modifiche che l’art. 32 del D.Lgs. 10 set-
tembre 2003, n. 276, ha ope- rato nel corpus dell’art. 2112
c.c., sostituendo il comma 5, che cos`ı dispone: «Ai fini e per gli effetti di cui al presen- te articolo si intende per tra- sferimento d’azienda qualsia- si operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fu- sione, comporti il mutamento nella titolarita` di un’attivita` economica organizzata, con o senza scopo di lucro, pree- sistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identita` a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento e` attuato ivi compresi l’usu- frutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altres`ı al trasferimento di parte del- l’azienda, intesa come artico- lazione funzionalmente auto- noma di un’attivita` economi- ca organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento».
Approfondimenti
Naturalmente fermi restando i diritti dei prestatori di lavo- ro in caso di trasferimento d’azienda di cui alla normati- va di recepimento delle diret- tive europee in materia.
A tal fine, occorre innanzitut- to considerare che in diritto civile, il rapporto obbligato- rio potra` subire, nel corso della sua vita, una serie di vi- cende modificative. Esse po- tranno riguardare sia l’ogget- to della prestazione, sia i sog- getti. In quest’ultimo caso, potra` accadere che muti o il
soggetto attivo dell’obbliga- zione ovvero quello passivo. Il lato attivo del rapporto ob- bligatorio puo` liberamente modificarsi posto che, alla stregua dell’ordinamento po- sitivo, non e` richiesto il con- senso del debitore, dal mo- mento che non incidera` affat- to sull’interesse del debitore la circostanza che il creditore sia un soggetto piuttosto che un altro.
La modifica del lato attivo del rapporto obbligatorio si ha in caso di surrogazione e di cessione del credito.
Approfondimenti
Nel caso, di contro, di modi- fica del lato passivo, la situa- zione sara` profondamente differente dal momento che il creditore nutrira` un interes- se circa la persona del debi- tore: le possibilita` che il cre- ditore avra`, infatti, di vedere soddisfatto il suo credito di- penderanno dalla solvibilita` del debitore e dunque dalle sue capacita` patrimoniali (art. 2740 c.c.).
Ne consegue che, non essen- do irrilevante che il debitore sia un soggetto piuttosto che un altro, per la modifica del lato passivo del rapporto ob- bligatorio xxxx` sempre xxxxxx- sto il consenso del creditore (v. artt. 1268, comma 1,
1272, comma 1, 1273, com-
ma 1, 1406 c.c.).
Trasponendo ora nel diritto del lavoro la regola civilistica che nel rapporto obbligatorio il debitore e`, di norma, indif- ferente al mutamento della persona del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore puo` ledere l’inte- resse del creditore, ne deriva che in base a questo princi- xxx, deve considerarsi ineffi- cace la cessione del contratto di lavoro qualora il lavorato- re, titolare di crediti verso il suo datore di lavoro, non ab- bia prestato il consenso di cui all’art. 1406 c.c. («Ciascuna parte puo` sostituire a se´ un terzo nei rapporti derivanti
da un contratto con presta- zioni corrispettive, se queste non sono state ancora esegui- te, purche´ l’altra parte vi con- senta»). La rilevanza della questione e` segnata dal labile confine, sul piano pratico, tra la fattispecie in esame e quel- la della cessione del contrat- to, la quale - al contrario del- la prima - necessita del con- senso del contraente ceduto (art. 1406 c.c.): in assenza di quest’ultimo, la cessione e` nulla per difetto di accordo tra le parti, avendo la figura di cui all’art. 1406 struttura trilaterale. Ne discende che il lavoratore - contraente ce- duto - resta alle dipendenze del cedente.
L’art. 2112 c.c., che permette all’imprenditore il trasferi- mento dell’azienda, con suc- cessione del cessionario ne- gli obblighi del cedente e senza necessita` di consenso del lavoratore, costituisce ec- cezione al detto principio di cui all’art. 1406 c.c., e non si applica se non sia identifi- cabile, quale oggetto del tra- sferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entita` economica organizzata in maniera stabile e con ido- neita` alla produzione o allo scambio di beni o di servizi. Secondo l’art. 2555 c.c., in- fatti, l’azienda e` il complesso dei beni organizzati dall’im- prenditore per l’esercizio del- l’impresa. Se si scansiona, appunto, un’azienda, si nota che essa e` costituita da un in- sieme di beni vari, tutti, pe- raltro, organizzati, ossia col- legati tra loro da un nesso di dipendenza reciproca, in modo da servire al fine pro- duttivo comune: denaro, cre- diti, merci, ecc.
Da cio` discende che, per una serie di ragioni, e` da ritenere sussistente l’interesse del la- voratore - creditore nel rap- porto con il datore di lavoro
- ad accertare in giudizio la non ravvisabilita` di un ramo
di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferi- mento e percio` l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso, inte- resse che non e` escluso dalla solidarieta` di cedente e ces- sionario stabilita dal secondo comma dell’art. 2112, che ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto, «esistenti» al momento del trasferimento e non anche quelli futuri, per cui puo` ben ravvisarsi un pregiudizio a carico del con- traente ceduto in caso di ces- sione dell’azienda a soggetto meno solvibile.
La giurisprudenza di legitti- mita` ha affermato al riguardo che l’interesse del lavoratore ad agire per l’accertamento dell’illegittimita` della cessio- ne del ramo d’azienda si con- figura in ragione della sussi- stenza di un’esigenza di tute- la connessa al generale divie- to di esternalizzazione «come forma incontrollata di espul- sione di frazioni non coordi- nate tra loro, di semplici re- parti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate sol- tanto dalla volonta` dell’im- prenditore», divieto funzio- nale proprio all’interesse ad accertare che il ramo di azienda ceduto consista in una «preesistente realta` pro- duttiva autonoma e funzio- nalmente esistente, e non in una struttura produttiva crea- ta ad hoc in occasione del trasferimento» (cfr. Cass. 30 dicembre 2003, n. 1984; 26
aprile 2006, n. 8017). Infatti, il mutamento del datore di la- voro in una prospettiva di elusione delle norme pregiu- dica il diritto dei lavoratori favorendo operazioni econo- miche che prescindono dalla effettivita` delle esigenze or- ganizzative che giustificano il passaggio degli stessi a di- verso datore di lavoro, ove sussistano i requisiti di legge (cos`ı Cass. 28 ottobre 2013,
n. 22627).
Sentenza
n. 11832/2014
Come si e` gia` rilevato, con la pronuncia n. 11832/2014 qui in esame, la Corte di Cassa- zione si e` trovata a dover esa- minare la questione di indivi- duare se nella valutazione del fatto si sia verificata effetti- vamente o meno una cessio- ne di un ramo d’azienda, con i relativi risvolti nei con- fronti dei lavoratori interes- sati.
Nel rispondere negativamen- te al quesito, la sezione lavo- ro ha respinto il ricorso so- cietario, affermando i se- guenti postulati:
1) in tema di trasferimento di azienda, il lavoratore ha inte- resse ad accertare in giudizio la non ravvisabilita` di un ra- mo di azienda in un comples- so di beni oggetto del trasfe- rimento e, pertanto, l’ineffi- cacia di questo nei suoi con- fronti in difetto del suo con- senso, per l’inapplicabilita` dell’art. 2112 c.c. e per l’ope- rativita` della regola generale di cui all’art. 1406 c.c., non essendo indifferente per il la- voratore, quale creditore del- la prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore, ossia del datore di lavoro che puo` offrire garan- zie piu` o meno ampie di tute- la dei diritti dei lavoratori;
2) non c’e` vera cessione di ramo d’azienda quando la (asserita) unita` produttiva trasferita all’esterno dell’a- zienda non preesiste davvero all’operazione perche´ non ri- sulta caratterizzata da addetti tutti dotati di un particolare know how: in tal caso si con- figura soltanto la cessione di contratti di lavoro, che impo- ne invece il consenso del ce- duto;
3) e` irrilevante, ai fini della
validita` del trasferimento, la volonta` del datore cedente che, prima dell’operazione, decide di unificare beni e la-
voratori affidando loro un’u- nica funzione: si tratta infatti di un’eventualita` che non rientra nella nozione di ramo d’azienda trasferibile, laddo- ve le direttive comunitarie impongono che si tratti di una «entita` economica che conservi la propria identita` economica».
Nello specifico della pronun- cia in narrativa, richiamando i concetti sopra espressi, la Suprema Corte argomenta che nel rapporto obbligatorio il debitore e`, di regola, indif- ferente al mutamento della persona del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore puo` ledere l’inte- resse del creditore. In base a questo principio, deve consi- derarsi inefficace la cessione del contratto di lavoro qualo- ra il lavoratore, titolare di crediti verso il datore, non abbia prestato il consenso di cui all’art. 1406 c.c.
Pertanto, nelle conclusioni sul punto, la sezione lavoro afferma che, in tema di tra- sferimento di azienda, il la- voratore ha interesse ad ac- certare in giudizio la non rav- visabilita` di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimen- to e, quindi, l’inefficacia di questo nei suoi confronti in difetto del suo consenso, per l’inapplicabilita` dell’art. 2112 c.c. e l’operativita` della regola generale di cui all’art. 1406 c.c., non essendo indif- ferente per il lavoratore, qua- le creditore della prestazione retributiva, il mutamento del- la persona del debitore, ossia del datore di lavoro, che puo` offrire garanzie piu` o meno ampie di tutela dei diritti dei lavoratori.
Trasferimento
di ramo d’azienda e esternalizzazione
Nel prosieguo dell’analisi er- meneutica della sentenza n.
11832/2014, la Suprema Corte ha giudicato infondata anche la censura con la quale la ricorrente societa` ha dedot- to violazione dell’art. 2112 c.c., per avere la Corte d’ap- pello ritenuto che l’autono- mia organizzativa e funzio- nale delle attivita` trasferite dovesse essere preesistente al trasferimento, quale pre- supposto essenziale per la configurabilita` di un ramo di azienda.
Approfondimenti
In questo contesto, con riferi- mento a controversie similari a quella trattata, la sezione lavoro ha gia` osservato (cfr. Cass. 1º febbraio 2008, n. 2489; 17 marzo 2009, n.
6452; 8 aprile 2011, n.
8066; 3 ottobre 2013, n.
22613; 3 ottobre 2013, n.
22627; 15 aprile 2014, n. 8757), che nel regime norma- tivo precedente la modifica contenuta nell’art. 32 del D.Lgs. n. 276 del 2003, per
«ramo d’azienda», ai sensi del comma 5 dell’art. 2112
c.c. (cos`ı come modificato dalla legge 2 febbraio 2001,
n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50, relati- va al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di tra- sferimento di imprese, di sta- bilimenti o di parti di stabili- menti), come tale suscettibile di autonomo trasferimento ri- conducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entita` economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identita`, il che presuppone una preesi- stente realta` produttiva auto- noma e funzionalmente esi- stente e non anche una strut- tura produttiva creata ‘‘ad hoc’’ in occasione del trasfe- rimento o come tale identifi- cata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come for- ma incontrollata di espulsio- ne di frazioni non coordinate
fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta` dell’imprendi- tore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azien- da gia` costituito. Cio` postula necessariamente una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della cessionaria.
Approfondimenti
E` stato inoltre osservato che puo` applicarsi la disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. an- che in caso di frazionamento e cessione di parte dello spe- cifico settore aziendale desti- nato a fornire il supporto lo- gistico sia al ramo ceduto che all’attivita` rimasta alla societa` cessionaria, purche´ esso mantenga, all’interno della piu` ampia struttura
aziendale oggetto della ces- sione, la propria organizza- zione di beni e persone al fi- ne della fornitura di partico- lari servizi per il consegui- mento di specifiche finalita` produttive dell’impresa e che, in presenza di tale pre- supposto, si considerano fare parte del ramo d’azienda - sicche´ i reciproci rapporti vengono trasferiti dal cedente al cessionario, ai sensi del- l’art. 2112 c.c., senza neces- sita` di un loro consenso - i dipendenti che prestano la lo- ro attivita` non solo esclusiva- mente, ma anche prevalente- mente, per la produzione di beni e servizi del ramo azien- dale (Cass. 1 febbraio n. 2008, n. 2489; 6 aprile
2006, n. 8017).
A cio` si e` aggiunto (cfr. Cass. 4 dicembre 2012, n. 21711; 9
maggio 2014, n. 10128) che non puo` ammettersi un tra- sferimento di ramo d’azienda con riferimento alla sola de- cisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimen-
to. Tanto infatti contrastereb- be sia con le direttive comu- nitarie n. 1998/50 e n. 2001/ 23 che richiedono gia` prima di quest’atto «un’entita` eco- nomica che conservi la pro- pria identita`» ossia un assetto gia` formato, sia con gli art. 4 e 36 della Costituzione che impediscono di rimettere di- scipline inderogabili di tutela dei lavoratori (Corte Cost. sentenza 31 marzo 1994, n.
115) ad un mero atto di vo- lonta` del datore di lavoro, in- controllabile per l’assenza di riferimenti oggettivi.
In ultima analisi, in materia di trasferimento di ramo d’a- zienda, tanto la normativa comunitaria (direttive CE n. 98/50 e n. 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma 5, c.c., sostituito dall’art. 23 del D.Lgs. n. 276/2003) perse- guono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di so- stituzione del datore di lavo- ro, in una pluralita` di rappor- ti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano ri- porre minore affidamento sul piano sia della solvibilita` sia dell’attitudine a prose- guire con continuita` l’attivi- ta` produttiva (Cass. 6 feb- braio 2013, n. 2766). La ci-
tata direttiva n. 50 del 1998 richiede pertanto che il ramo d’azienda oggetto del trasfe- rimento costituisca entita` economica con propria iden- tita`, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’at- tivita` economica, essenziale o accessoria e, analogamen- te, l’art. 2112, comma 5, c.c., si riferisce alla «parte d’azienda, intesa come arti- colazione funzionalmente autonoma di un’attivita` eco- nomica organizzata». Deve quindi trattarsi di un’entita` economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (cfr. Xxxxx xx Xxxxxxxxx
00 gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attivita` dei lavorato- ri interagenti e capaci di tra- dursi in beni o servizi deter- minati (Cass. 8 giugno 2009,
n. 13171).
Il concetto di preesistenza deve poi ritenersi necessaria- mente riferito ad una artico- lazione funzionalmente auto- noma dell’azienda, posto che qualunque lavorazione azien- dale, per poter essere ceduta, non potrebbe che preesistere al negozio traslativo, essen- done il necessario oggetto contrattuale.
Tale conclusione risulta ob- bligata anche alla luce della legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, «Delega al Go- verno in materia di occupa- zione e mercato del lavoro»,
c.d. legge Biagi, consideran- do che essa prevedeva la sus- sistenza del requisito dell’au- tonomia funzionale del ramo d’azienda al momento del suo trasferimento, dovendosi conseguentemente ritenere non consentito attribuire uni- camente alle parti imprendi- toriali di individuare a quali cessioni si applichi la fonda- mentale garanzia di cui al- l’art. 2112 c.c., risultando pe- raltro difficile sostenere che competa unicamente al dato- re di lavoro decidere sull’ap- plicabilita` di disposizioni in- derogabili a garanzia dei la- voratori.
E seppure puo` oggi ritenersi
che l’autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto non coincida con la materia- lita` dello stesso (quanto a strutture, beni strumentali ed attrezzature, ecc.), ma possa consistere anche in un ramo
«smaterializzato» o «legge- ro», costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organiz- zati in modo idoneo, anche potenzialmente (od al netto dei supporti generali sussi- stenti presso l’azienda ceden-
Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2014, n. 11832 (ud. 18 febbraio 2014) - Pres. Xxxxxxx - Est. Buf- fa - P.M. Giacalone - Ric. Telecom Italia Spa - Res. C.R.
Fatto e diritto
1. Con sentenza 29 settembre 2011, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato la nullita` della cessione dei contratti di lavoro di alcuni lavoratori di It Telecom s.p.a. in favore di Hewelett Packard Dcs s.r.l. e per l’effetto, ordinato il ripristino dei loro rapporti con Telecom Italia s.p.a. (nella quale era stata incorporata per fusione la prima societa`) nelle mansioni precedentemente svolte o in altre equivalenti.
2. In particolare, la Corte ha escluso la configurabilita` di una cessione di ramo d’azienda, ed ha ricono- sciuto il diritto dei lavoratori a proseguire il rapporto di lavoro con Telecom, ritenendo privo di efficacia verso quest’ultima le conciliazioni sindacali sottoscritte da alcuni lavoratori con Hewelett Packard Dcs.
3. Avverso tale sentenza ricorre Telecom per tre motivi; resistono i lavoratori con controricorso, illu- strato da memoria; propone ricorso incidentale per adesione, per tre motivi, Hewelett Packard.
4. Il ricorso principale e quello incidentale per adesione devono essere riuniti in quanto proposti contro la stessa sentenza.
5. Con il primo motivo di ricorso, si deduce - in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 - violazione e falsa ap- plicazione dell’art. 100 c.p.c., e degli artt. 1406, 2094 e 2112 c.c., per avere la sentenza ritenuto la sussi- stenza dell’interesse ad agire dei lavoratori per accertare l’illegittimita` del trasferimento di ramo d’azien- da, trascurando la normale inconfigurabilita` di un intuitus personae nei confronti del datore e l’assenza di un pregiudizio concreto ed attuale del lavoratore, non configurabile a fronte di rapporti di lavoro pro- seguiti con il cessionario senza soluzione di continuita`.
6. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce - in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 - violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per avere la sentenza ritenuto che l’autonomia organizzativa e funzionale delle attivita` trasferite dovesse essere preesistente al trasferimento, quale presupposto essenziale per la configurabilita` di un ramo di azienda.
7. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce - in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 - insufficiente e contrad- dittoria motivazione della sentenza impugnata, la quale non avrebbe motivato adeguatamente in ordine al ritenuto difetto di autonomia del ramo, che era invece gia` esistente al momento della cessione.
8. Il primo motivo di ricorso e` infondato.
Nel rapporto obbligatorio il debitore e`, di regola, indifferente al mutamento della persona del creditore,
La sentenza
te), allo svolgimento di un’attivita` economica, cio` non toglie che tale autonomia dell’entita` ceduta debba esse- re obiettivamente apprezza- bile, sia pur con possibili in- terventi integrativi imprendi- toriali ad opera del cessiona- rio, al fine di verificarne l’imprescindibile requisito comunitario della sua «con- servazione». Non puo` am- mettersi invece - alla luce dei principi comunitari (Cor- te di Giustizia C-51/00 cit.) - che tale legame funzionale possa derivare (soggettiva- mente) solo dalla qualifica- zione fattane dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento, consenten- do ai soggetti stipulanti il ne- gozio traslativo (peraltro neppure portatori di superiori interessi pubblici x xxxxxxxx- vi), la libera definizione della fattispecie cui la norma inde- rogabile si applica, e cio` in
contrasto con la disciplina comunitaria in ordine all’in- derogabilita` dei diritti dei la- voratori in caso di trasferi- mento di azienda.
D’altro canto e` principio
consolidato nella giurispru- denza comunitaria (cfr. Xxxxx xx Xxxxxxxxx 00 novembre 1996, C-305/1994) quello per cui la vicenda traslativa si perfeziona ipso iure, risul- tando irrilevante la contraria volonta` delle parti del nego- zio traslativo.
La recente sentenza della Corte di Giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/12, poi, conferma gli assunti specifi- cati, con l’affermazione dei seguenti significativi princi- pi:
1) non e` in contrasto con la Direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001 - concernente il ravvici- namento della legislazioni degli Stati membri relativi al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferi- menti di imprese, di stabili- menti o di parti di imprese o di stabilimenti - una nor- mativa come quella italiana la quale, in presenza di un trasferimento di ramo di azienda, consenta la succes- sione del cessionario nei rap- porti di lavoro del cedente, senza necessita` del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora il ramo di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un’entita` eco- nomica funzionalmente auto- noma gia` preesistente al tra- sferimento;
Approfondimenti
2) non e` in contrasto con la
summenzionata Direttiva una normativa come quella italiana che consenta all’im- presa cedente di esercitare, dopo il trasferimento del ra- mo di azienda, un intenso po- tere di supremazia nei con- fronti della cessionaria.
mentre il mutamento della persona del debitore puo` ledere l’interesse del creditore. In base a questo principio - espresso nell’art. 2740 c.c., art. 1268 c.c., comma 1, art. 1272 c.c., comma 1, art. 1273 x.x., xxxxx 0, xxx. 0000 x.x. - xxxx considerarsi inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il lavoratore, titolare di crediti verso il datore, non abbia prestato il consenso di cui all’art. 1406 citato. L’art. 2112 c.c., che permette all’imprenditore il trasferimento dell’azienda, con successione del cessio- nario negli obblighi del cedente e senza necessita` di consenso del lavoratore, costituisce eccezione al detto principio e non si applica se non sia identificabile, quale oggetto del trasferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entita` economica organizzata in maniera stabile e con idoneita` alla pro- duzione o allo scambio di beni o di servizi.
9. Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilita` di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e percio` l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso. Ne´ questo interesse e` escluso dalla solidarieta` di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’art. 2112, la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto, «esi- stenti» al momento del trasferimento e non quelli futuri, onde puo` ben configurarsi un pregiudizio a ca- rico del ceduto in caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile.
Per altro verso, e` evidente che l’interesse del lavoratore ad agire per l’accertamento della illegittimita` della cessione del ramo d’azienda si configura anche in ragione del rischio di una modifica in pejus della disciplina collettiva applicabile al rapporto lavorativo, nonche´, per altro verso, della possibilita` di diversa garanzia, in fatto o in diritto, di conservazione del posto di lavoro presso il cessionario.
Approfondimenti
10. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato l’esigenza di tutela del lavoratore con- nessa al generale divieto di esternalizzazione «come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta` dell’imprenditore», divieto funzionale proprio all’interesse ad accertare che il ramo di azienda ceduto consista in una «preesistente realta` produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non in una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento» (in tale senso, cfr. Sez. L, 6.4.2006 n. 8017 e Sez. L, 30.12.2003 n. 19842), e che il mutamento del datore di lavoro non si collochi in una prospettiva di elusione delle norme (cos`ı Cass. Sez. L, sentenza 28.10.2013, n. 22627).
11. Puo` dunque affermarsi che, in tema di trasferimento di azienda, il lavoratore ha interesse ad accer- tare in giudizio la non ravvisabilita` di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimen- to e, quindi, l’inefficacia di questo nei suoi confronti in difetto del suo consenso, per l’inapplicabilita` del- l’art. 2112 c.c. e l’operativita` della regola generale di cui all’art. 1406 c.c., non essendo indifferente per il lavoratore, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore, ossia del datore di lavoro, che puo` offrire garanzie piu` o meno ampie di tutela dei diritti dei lavoratori.
12. Il secondo motivo di ricorso e` del pari infondato.
L’art. 2112 c.c., comma 5, nel testo introdotto dal X.Xxx. 2 febbraio 2001, n. 18, art. 1 (di attuazione della direttiva n. 98/50/Ce, relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impre- se, di stabilimenti o di parti di stabilimenti) prevedeva - prima della novella del 2003 e nel testo qui ap- plicabile- il trasferimento di parte dell’azienda, precisando che per quest’ultimo doveva intendersi un’ar- ticolazione funzionalmente autonoma di quell’attivita` economica organizzata definita nella prima parte del medesimo quinto comma e con le medesime connotazioni; inoltre, la citata disposizione prescriveva an- che che tale frazione dell’impresa, oggetto del trasferimento parziale, doveva essere preesistente al tra- sferimento e, pur a seguito di questo, doveva conservare la propria identita`. Pertanto, rientra nella no- zione di trasferimento di parte dell’azienda, prevista dalla richiamata disposizione, l’enucleazione di atti- vita` che avessero avuto una loro originaria identita` tale da rispecchiare gia` le connotazioni tipiche del- l’attivita` d’impresa, mentre non vi rientra l’assemblaggio di frammenti del processo produttivo, che, quale parte del tutto, avrebbero potuto semmai dar vita ad una nuova impresa, ma questa non sarebbe stata preesistente, bens`ı sarebbe sorta proprio con l’atto di trasferimento (o, meglio, di conferimento) in fa- vore del cessionario.
13. Con riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata ha accertato che il complesso ceduto, de- nominata It User support e composta da circa 600 dipendenti, ricomprendeva il GISP centrale e terri- toriale (che si occupava di reti Lan, sicurezza informatica ed interconnessioni), il Customer care (che assicurava l’assistenza informatica al cliente interno), l’Asset management (che curava la gestioni delle apparecchiature, l’inventario e la distribuzione: e` il settore nel quale prestavano servizio i ricorrenti), il Desktop management (che svolgeva la manutenzione dell’hardware, delle postazioni di lavoro, l’assi- stenza per gli applicativi e l’help desk tecnico). In tale complesso erano confluiti lavoratori gia` dipendenti di societa` diverse (Netsiel, Eis, Saritel, Sodalia, Telesoft), svolgenti diverse funzioni presso diverse sedi; peraltro, non tutti i dipendenti di tali societa` erano stati assegnati ai detti servizi, e solo parte delle fun- zioni svolte dai detti settori erano confluite nell’It user support (altre erano state inglobate in una «con- trol room», in capo al soggetto cedente).
14. La corte territoriale ha altres`ı evidenziato che l’accorpamento nell’It user support aveva riguardato attivita` disomogenee per funzioni e professionalita`, non integrate tra loro e prive di coordinamento uni- tario, e dunque sprovviste di qualsiasi autonomia organizzativa, funzionale ed economica.
15. La sentenza impugnata ha quindi ritenuto che, al fine di una corretta applicazione dell’art. 2112 c.c., l’oggetto del trasferimento deve consistere in una preesistente entita` economica che oggettivamente si presenti dotata di autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attivita` volta alla produzione di beni e servizi, non essendo sufficiente la sola volonta` dell’imprenditore ad uni- ficare un complesso di beni (di per se´ privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica
volta ad uno scopo unitario) al solo scopo di renderlo oggetto di un contratto di cessione di ramo di azienda.
16. La conclusione e` in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che - con riferimento alla cessione di azienda regolata dall’art. 2112 c.c., nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla c.d. legge Biagi - ha sempre ritenuto che l’elemento essenziale che caratterizza la cessione del ramo di azienda e` la preesistenza di una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della cessionario, non potendo costituire invece un ramo di azienda l’assemblaggio di frammenti del processo produttivo privi di autonomia.
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17. Si e` infatti affermato (cos`ı Cass. sez. L, sentenza 3 ottobre 2013, n. 22627; sez. L, sentenza n. 22613 del 3 ottobre 2013; sez. L, sentenza n. 21711 del 4 dicembre 2012; sez. L, sentenza n. 2489 del 1 febbraio 2008; sez. L, sentenza n. 6452 del 17 marzo 2009) che per «ramo d’azienda», ai sensi dell’art. 2112 c.c. (cos`ı come modificato dalla legge 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), co- me tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entita` economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identita`, il che presuppone una preesistente realta` produttiva autono- ma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata «ad hoc» in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizza- zione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta` dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda gia` costituito. Si e` pure rilevato (sez. L, sentenza n. 206 del 10 gen- naio 2004) che l’art. 2112 c.c., letto in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito alla interpretazione della direttiva n. 187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n. 50 del 1998, consente di ricondurre alla cessione di azienda anche il trasferimento di un ramo della stessa, purche´ si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’at- tivita`, che si presentino prima del trasferimento come una entita` dotata di autonoma ed unitaria orga- nizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria iden- tita`.
In presenza di tali condizioni, puo` configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacita` operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare «know how», realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 c.c. e ss.. Requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’art. 2112 c.c., resta comunque, anche in siffatte ipotesi, l’elemento della organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attivita` dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili, configurandosi altrimenti la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.
18. Detta nozione di trasferimento di ramo d’azienda e` coerente con la disciplina in materia dell’Unione
Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui «e` considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entita` economica che con- serva la propria identita`, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attivita` eco- nomica, sia essa essenziale o accessoria» (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).
19. La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario, ha ripetuta- mente individuato la nozione di entita` economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attivita` economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo (cfr. Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 marzo 1997, C-13/95, Suzen, punto 13; Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 novembre 2003, C-340/2001, Abler, punto 30; Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 dicembre 2005, C-232/04 e C-233/04, Gu- ney-Xxxxxx e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 dicembre 1998, Xxxxxxxxx Xxxxx, C-127/96, C-229/96, C- 74/97, punti 26 e 27; Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 settembre 2007, Xxxxxx, C-458/05, punto 31; Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx, punto 60).
20. Tali principi sono stati ribaditi ulteriormente dalla Corte Europea che, pur richiamando l’art. 8 della direttiva 2001/23 e la facolta` ivi prevista che gli Stati membri applichino o introducano disposizioni legi- slative, regolamentari o amministrative piu` favorevoli ai lavoratori, prevedendo ad esempio il manteni- mento dei diritti dei lavoratori anche in ipotesi piu` ampie (e cos`ı nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entita` economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferi- mento), ha affermato che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entita` economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, e che, per altro verso, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine «conservi» implica che l’autonomia dell’entita` ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento (Corte di Giu- stizia 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punti 32-34).
1919
21. In proposito, va segnalato che la specifica finalita` perseguita dalla giurisprudenza comunitaria (volta ad agevolare il trapasso dei lavoratori al cessionario e la conservazione del posto di lavoro) non e` incom- patibile con la finalita`, perseguita dalla giurisprudenza nazionale, di impedire le esternalizzazioni che rea- lizzino un peggioramento della posizione dei lavoratori, trattandosi di tutele volte alla protezione dei di- ritti dei lavoratore nell’ambito delle vicende successorie del datore di lavoro.
Affinche´, dunque, si possano produrre gli effetti derivanti dall’applicazione dell’art. 2112 c.c., occorre la
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 36/2014
configurabilita` di un trasferimento di ramo di azienda, cio` che postula necessariamente, secondo quanto detto, una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della cessionaria.
23. Tale situazione non ricorre nella specie, secondo quanto accertato in fatto dal giudice di merito.
24. Puo` dunque affermarsi che esattamente il giudice di merito esclude la ravvisabilita` di un ramo di azienda, oggetto di cessione ai sensi dell’art. 2112 c.c., in un complesso di servizi - privi di struttura azien- dale autonoma e preesistente - consistenti nella gestione e manutenzione di strutture informatiche ed in assistenza tecnica, che restino disomogenei per funzioni svolte e professionalita` coinvolte, non integrati tra loro e privi di coordinamento unitario. Ne` puo` assumere rilievo, al fine di ravvisare un trasferimento di ramo di azienda, la sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento, in quanto la qualificazione come ramo di azienda contrasterebbe sia con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23, che richiedono gia` pri- ma di quest’atto «un’entita` economica che conservi la propria identita`», ossia un assetto gia` formato, sia con gli artt. 4 e 36 Cost., che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (corte cost. n. 115 del 1994) ad un mero atto di volonta` del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimenti oggettivi.
25. Il terzo motivo e` del pari infondato.
L’iter logico seguito dalla sentenza e` lineare e coerente e la soluzione e` adeguatamente motivata: la sen- tenza ha infatti rilevato che dall’istruttoria era emerso che It Telecom aveva trattenuto il polo informa- tico al suo interno, esternalizzando solo quattro settori con funzioni eterogenee che, in precedenza, ave- vano operato non in contratto tra loro e senza alcun coordinamento ed essendo anzi appartenute ancor prima a societa` diverse, e che conseguentemente doveva escludersi che alla cessione preesistesse una articolazione autonoma. In difetto della possibilita` di individuare un criterio unificante dell’It user sup- port, anche solo per sottrazione rispetto alle funzioni relative ai servizi informatici rimasti in Telecom (nella c.d. control room o in una delle altre cinque divisioni nelle quali, insieme all’It user support, era stata organizzata la originaria It operations and infrastruetures), la conclusione cui e` pervenuta la corte territoriale risulta immune da censure.
26. Il controricorso incidentale per adesione proposto da Xxxxxxxx Xxxxxxx, proposto per i medesimi
motivi del ricorso principale, deve essere, al pari di questo e per i motivi fin qui esposti, respinto.
27. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese e competenze di lite, che si liquidano in Euro tremila per compensi ed Euro cento per spese, oltre accessori come per legge.
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