Le “public utilities”: in regime di contratto d’appalto le imprese possono beneficiare delle deduzioni Irap. Nota a sentt. 2 aprile 2019, nn. 531 e 532,
Xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx - Attualità Data di pubblicazione – 20 aprile 2019
Le “public utilities”: in regime di contratto d’appalto le imprese possono beneficiare delle deduzioni Irap. Nota a sentt. 2 aprile 2019, nn. 531 e 532,
Commissione Tributaria Provinciale di Bari – sez. distaccata di Lecce
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx*
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Le imprese operanti “in concessione e a tariffa” e le imprese operanti in “appalto di servizi”. - 3. Il caso. - 4. Le soluzioni giuridiche. - 5. Osservazioni conclusive.
1. Considerazioni introduttive
Con il termine “public utilities” si intende definire tutte le imprese che si occupano della erogazione e gestione dei servizi pubblici e ambientali, quali ad esempio, la distribuzione di energia elettrica e gas, la gestione del ciclo idrico, il trasporto pubblico, lo smaltimento rifiuti. Si tratta di tutte quelle imprese “regolamentate” che operano nell’ambito dei pubblici servizi sia in forza di una concessione pubblica che di una tariffa regolamentata.
L’obiettivo del presente elaborato è, dunque, quello di porsi come contributo all’analisi della disciplina e delle problematiche che si annidano intorno alle “public utilities” alla luce, soprattutto, dell’evoluzione normativa con cui è stata fortemente rivista la disciplina delle deduzioni in sede di dichiarazione Irap sin dall’entrata in vigore del D.lgs. n. 446/97, fino alla L. n.190/2014 (c.d. “legge di stabilità 2015”), che ha inevitabilmente coinvolto tutte le aziende affidatarie di un servizio pubblico.
* Laureata in Giurisprudenza presso l’Università del Salento, ha espletato la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce e svolto il tirocinio formativo ex art. 73 del
D.L. 69/2013 presso il Tribunale Civile di Lecce. È abilitata all’esercizio della professione forense ed è iscritta al Foro di Brindisi.
Xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx (ISSN 2240-9823)
Invero, al principio generale di indeducibilità del costo del lavoro che caratterizza l'Irap, sono state disposte dal legislatore una serie di deroghe con finalità agevolative; nello specifico, con l’art.11, primo comma, lett. a), del D.lgs. n.446/97, sono stati introdotti esclusivi sgravi fiscali per ridurre la base imponibile Irap, in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato; al contempo, però, sono stati esclusi dalla fruizione delle suddette deduzioni, tra gli altri1, i soggetti operanti in concessione e a tariffa (c.d. pubblic utilities) nei settori dell’energia elettrica, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti2.
Pertanto, essendoci un sottile discrimen tra le imprese operanti in concessione e quelle operanti in regime di appalto ed essendosi sviluppato un notevole contenzioso tributario tra aziende, che ritenevano applicabili nei loro confronti le agevolazioni de quibus, e fisco, rigido nel negare il diritto di usufruire di tali agevolazioni, al fine di meglio comprendere a quale tipo di attività possano applicarsi le deduzioni sul cuneo fiscale, appare opportuno operare preliminarmente una disamina delle molteplici pronunce giurisprudenziali che hanno fissato una linea di demarcazione netta tra le imprese operanti in concessione e a tariffa (c.d. “public utilities”) e le imprese operanti in appalto di servizi.
1 La L. n.296/2006 non ha consentito l'applicazione delle suddette deduzioni anche alle banche, agli altri enti finanziari e alle imprese di assicurazione.
2 L’art. 11, co.1, lett. a), n.3, del D.Lgs n.446/1997, è stato da ultimo abrogato dall'art. 1, comma 1085, L. 30.12.2018, n. 145 con decorrenza dal 01.01.2019. Più specificamente, la legge di Bilancio 2019 ha abrogato la disposizione prevista dall’articolo 11, comma 1, lettera a), n. 3, del D.lgs. 446/1997, che riconosceva una deduzione ai fini IRAP di un importo fino a 15.000 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo d'imposta nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, aumentato a 21.000 euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni. Tuttavia tale soppressione può essere considerata priva di effetti di natura finanziaria, dal momento che resta in essere la deduzione analitica delle spese per i dipendenti a tempo indeterminato, ai sensi dell’articolo 11, comma 4-octies del D.lgs. 446/1997, in base alla quale è ammessa in deduzione la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e le deduzioni spettanti ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera a), 1-bis, 4-bis.1 e 4-quater.
2. Le imprese operanti “in concessione e a tariffa” e le imprese operanti in “appalto di servizi”.
Il graduale avvicinamento dell’istituto della concessione a quello dell’appalto è avvenuto su impulso del diritto comunitario, poiché di fatto tra i due istituti sono stati posti dei confini estremamente fragili.
Negli ultimi anni, però, questo scenario così labile ha dato impulso a numerose controversie tributarie che hanno visto contrapporsi da un lato, le imprese che affermavano di operare in regime di appalto e di aver diritto alle deduzioni sul cuneo fiscale previste dall'articolo 11, comma 1, lettera a) del D.lgs 446/97 e dall’altro, il fisco a parere del quale le suddette società contribuenti non avevano diritto alle agevolazioni, in quanto operanti in regime di concessione e, dunque, espressamente escluse dalla norma.
In tal senso, attraverso un notevole lavoro interpretativo svolto dai giudici di merito (tributari e amministrativi) e di legittimità, si è inteso fissare una linea di demarcazione netta tra le imprese operanti “in concessione e a tariffa” e le imprese operanti in “appalto di servizi” al fine di chiarire le caratteristiche delle une e delle altre e di specificare quando ricorrono i presupposti tesi a consentire o meno il diritto alle deduzioni in sede di dichiarazione Irap come sopra descritte.
Considerata, dunque, la difficoltà di tracciare una netta distinzione tra il contratto di concessione e quello di appalto, in prima battuta è intervenuta la Commissione Europea (Comunicazione n.2000/C 121/02) che ha individuato l’elemento caratterizzante della concessione nel trasferimento dell’alea in capo al concessionario. Più nel dettaglio, la CE ha chiarito che l’elemento determinante la concessione è la presenza del rischio di gestione, tale dovendosi intendere la possibilità che la gestione dell’attività oggetto di concessione non sia remunerativa, con conseguente assunzione del rischio di impresa a carico del concessionario. Successivamente, la centralità del requisito del rischio è stata messa a fuoco anche dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza 10.9.2009, causa C-206/08, Xxxxxxxxxx, con la quale è stato chiarito che “per poter ritenere sussistente una
concessione di servizi è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca il rischio di gestione che essa corre a carico completo o, almeno, significativo al concessionario”.
Sul punto, è intervenuto anche il legislatore italiano che, con il nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs n. 50/2016, ha cristallizzato inequivocabilmente la centralità del rischio, senza il quale non si configura l’istituto concessorio, bensì quello dell’appalto.
Al dettato normativo ha dato seguito anche la giurisprudenza di legittimità, la quale ha specificamente precisato che si è in presenza di:
1. imprese operati in regime di concessione quando:
a. l’operatore assume su di sé i rischi connessi alla realizzazione e gestione del servizio. Più precisamente, “ (…) Le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell'attività, nè per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), ne' per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell'appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell'alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato(…)”(Cass., sezione 6 civile, ord. 6 maggio 2015, n. 9139). In sostanza, “(…) La differenza tra l’appalto e la concessione di servizi è contenuta soprattutto dalla normativa comunitaria, che individua il discrimine tra le due figure soprattutto nel rischio operativo che deve sempre gravare sul concessionario, e che non sussiste allorché l’amministrazione pubblica si obbliga a coprire le eventuali perdite occorse nell’esercizio dell’attività esercitata comunque nell’interesse pubblico (…)”. (TAR-Genova, sezione 2 sentenza 19 novembre 2014, n. 1670). Pertanto, “(…) la caratteristica principale di una concessione, ossia il diritto di gestire un lavoro o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori e i servizi (…)” (direttiva 2014/23/UE).
In questo senso, il rilievo formulato dai giudici di legittimità rinvia alla conclusione
per cui la concessione si distingue non tanto per il titolo provvedimentale
dell’attività, né per la sua natura autoritativa rispetto a quella contrattuale dell’appalto, bensì per il fenomeno di traslazione vera e propria dell’alea economica inerente una certa attività in capo al soggetto privato (cfr., Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.7 del 30 gennaio 2014; da ultimo, Consiglio di Stato n.3822 del 21 giugno 2018).
b. l’impresa trae la propria remunerazione direttamente dall’utenza venendosi così a creare un vero e proprio rapporto trilaterale tra P.A. concedente, azienda concessionaria e utente. Il concessionario, quindi, ottiene il proprio compenso non già dall’Amministrazione (come avviene nelle ipotesi in cui vi sia un appalto), ma dall’esterno, cioè dal pubblico che fruisce del servizio.
Sul punto, un consolidato orientamento giurisprudenziale ha chiarito che“(…) si ha una concessione quando in base al titolo l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l'onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione”. (Consiglio di Stato, sez. 5, sentenza 18 giugno 2015, n. 3120). Invero, “la qualificazione come concessione di servizio pubblico deriva dalla circostanza che il corrispettivo non è a carico dell'Amministrazione e che l'erogazione del servizio, accompagnata dalla corresponsione di un canone, è compensata dalla concessione del diritto di sfruttare economicamente, ed in esclusiva, il servizio”. (Consiglio di stato, sezione 3 ordinanza 12 maggio 2016, sent. n. 1927).
In sostanza, “Il concessionario - a differenza di quanto avviene nell'appalto di servizi
(nell'ambito del quale l'Amministrazione riceve dal contraente una prestazione ad essa destinata, in cambio di un corrispettivo) - ottiene il proprio compenso non già dall'Amministrazione ma dall'esterno, ovvero dal pubblico che fruisce del servizio stesso, svolto dall'impresa con assetto organizzativo autonomo e con strumenti privatistici, come è usuale per i servizi alimentari, come quello in esame. Sul piano economico, il rapporto complessivo è dunque trilaterale, poiché coinvolge l'Amministrazione concedente (che resta titolare della funzione trasferita), il concessionario e il pubblico. Il concessionario utilizza quanto ottiene in concessione (nel caso specie: il servizio con l'utilizzo di spazi interni alla
sede dell'ente pubblico) a fini legittimi di lucro, assumendo - come richiede il diritto europeo
- il rischio economico connesso alla gestione del servizio, svolto con mezzi propri; per godere delle risorse materiali appartenenti all'Amministrazione, il medesimo normalmente corrisponde un canone e non riceve dall'Amministrazione alcun corrispettivo. In conformità all'art. 30 del Codice dei contratti pubblici, infatti, "la controprestazione [dell'Amministrazione] a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto [dato al concessionario] di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente [verso il pubblico] il servizio". (Consiglio di stato, sez. 6, sent. 16 luglio 2015, n. 3571).
Può concludersi, che è la modalità di remunerazione il tratto distintivo della
concessione dall'appalto di servizi (dove, infatti, il rischio legato alla prestazione non viene trasferito in capo al prestatore) e che nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio.
2. imprese operati in regime di contratto d’appalto tutte le volte in cui:
a. il rischio e l’onere del servizio continuano a permanere in capo all’Amministrazione venendosi così a costituire un rapporto di natura bilaterale tra
P.A. e appaltatore.
Precisamente, “Ai fini dell'ordinamento comunitario la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi (per il resto accomunati sia dall'identica qualificazione in termini di "contratti" che dall'omologia dell'oggetto materiale dell'affidamento) è netta, poiché l'appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione di servizi, riguarda di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, ed infine non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidatario…(…)”, (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. 6, sent. 4 settembre 2012, n. 4682 e Cass., sez. 6, ord. 6 maggio 2015, n. 9139);
b. l'imprenditore ottiene dall'Amministrazione aggiudicatrice il compenso pattuito e non ha necessità di avere rapporti negoziali con i reali utenti finali del servizio offerto; l'onere del servizio stesso viene, pertanto, a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione (cfr., in tal seno, Cons. di St., IV, 13.3.2014, n.
1243, nonché T.A.R. Puglia, I, 25.2.2010, n. 000, x X.X.X. Xxxxxxx - Xxxxxx, sezione 2, sentenza 19 marzo 2015, n. 323).
Per tali ragioni, può concludersi che, il pacifico orientamento giurisprudenziale conduce a ravvisare nella soggezione al rischio di impresa e alla conseguente modalità di remunerazione gli elementi discriminanti della concessione rispetto a quelli dell’appalto (ex plurimis: Consiglio di Stato, sent. nn. 3822/2018; 3571/2015; 4682/2012; 5068/2011; 3377/2011); pertanto, in sede di dichiarazione Irap sarà fondamentale capire se l’impresa in questione abbia le caratteristiche di una impresa “in concessione traslativa e a tariffa” o, al contrario, di un’impresa appaltatrice di servizi atteso che nel primo caso, non si potrà usufruire delle deduzioni ex art. 11, D.lgs n.446/1997 (fino al 31.12.2014), mentre nel secondo caso, di converso, ciò sarà possibile. Può, infatti, ritenersi che, la giurisprudenza, soffermandosi preliminarmente sulla natura giuridica del contratto, abbia voluto affermare che il diritto alle deduzioni in sede di dichiarazione Irap, deve riconoscersi solo in capo alle società che espletano servizi in favore di enti pubblici mediante contratti riconducibili nell’alveo degli appalti e non in quello delle concessioni (in tal senso cfr. CTP Brescia sent. n.62/2012; CTP Venezia sent. n.131/2011).
3. Il caso
La vicenda giudiziaria, oggetto delle sentenze in commento nn. 531 e 532, del 2 aprile 2019, pronunciate dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari – sez. distaccata di Lecce, origina dall’impugnazione di due avvisi di accertamento emessi nei confronti di due società incaricate della raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani.
Con riferimento al fatto concreto, l’Amministrazione Finanziaria riteneva che le società avessero effettuato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in regime di concessione e che, pertanto, avessero illegittimamente beneficiato delle deduzioni Irap di cui all'art. 11, comma 1, lett. a) nn. 2), 3) e 4) del D.lgs. n. 446/97.
Avverso tali atti impositivi, le società contribuenti proponevano due distinti ricorsi innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, deducendo di aver operato non in regime di concessione, bensì di contratto d’appalto e di rientrare, quindi, nel novero delle imprese legittimate a beneficiare delle succitate deduzioni Irap. Tanto in virtù del fatto che con l’art. 11, primo comma, lett. a), del D. Lgs. n. 446/1996, sono stati introdotti specifici sgravi per ridurre la base imponibile Irap, in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato, incluse le aziende operanti in regime di appalto e con l’esclusione, tuttavia, delle sole imprese operanti in concessione e a tariffa (c.d. “public utilities”) nei settori dell’energia elettrica, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate, deducendo che le somme in contestazione fossero state erroneamente dedotte, alla luce del fatto che le società affidatarie del servizio avessero operato in regime di concessione e non di appalto.
Ebbene, la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce – sez. 4º – investita delle controversie, ha accolto le tesi difensive dell’Avvocato tributarista Xxxxxxxx Xxxxxxx. Invero, i giudici tributari, con le sentt. 02 aprile 2019, nn. 531 e 532, hanno totalmente annullato gli avvisi di accertamento de quibus, rilevando che le società avessero effettuato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani in regime di appalto e non di concessione e che, pertanto, nei loro confronti erano state correttamente applicate le deduzioni Irap in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato.
4. Soluzione giuridica
Sulla base dei consolidati approdi giurisprudenziali già enunciati, i giudici della 4º sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Bari – sez. distaccata di Lecce - il 02 aprile 2019, con le sentt. nn. 531 e 532, hanno accolto la tesi difensiva delle società ricorrenti.
Il Collegio giudicante, con riferimento ai contratti in oggetto, ha accertato che le società ricorrenti hanno legittimamente beneficiato delle deduzioni Irap di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 446/1997, poiché hanno effettuato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani in regime di appalto e non di concessione. Invero, a parere dei giudici tributari, non sono stati provati né singolarmente, né in combinato tra loro, gli elementi previsti dalla legge per l’esclusione della attività in esame dall’ambito di applicabilità delle richiamate deduzioni.
Più nel dettaglio, è stato accertato che:
- in tutti i contratti analizzati il nomen iurus era quello di “contratto di appalto”;
- tutti gli affidamenti erano stati aggiudicati all’esito di una procedura a evidenza pubblica (non prevista in ipotesi di concessione);
- il rapporto tra le parti è risultato bilaterale e non trilaterale;
- sulle ricorrenti non ricadeva l’alea del servizio, posto che in nessuno dei contratti analizzati il corrispettivo (determinato in misura fissa nella procedura ad evidenza pubblica) è risultato ancorato alla variazione della domanda e all’impossibilità di incamerare il pagamento direttamente dall’utenza. Il Collegio giudicante ha, infatti, chiarito che l'Agenzia delle Entrate non ha provato, pur avendone l'onere, che nei rapporti in questione vi sia stata traslazione del rischio economico della gestione del servizio a carico delle società ricorrenti. Il privato non è, quindi, risultato soggetto ad alcuna alea nel corrispettivo, essendo stato quest’ultimo convenzionalmente parametrato sulla base dei presunti costi di gestione e dell'utile da esso derivante. Naturalmente, può ben accadere che, in concreto, il servizio si riveli poco remunerativo, o comunque non nella misura ipotizzata dall'affidataria. Tuttavia, ciò dipenderà non già dall'alea del servizio, ma da una non perfetta valutazione della convenienza economica del contratto da parte del contraente privato.
La Commissione, dunque, dopo aver analizzati i contratti prodotti dalle società ha reputato che la struttura del rapporto intercorrente tra le ricorrenti e gli enti conferenti implicasse la sussistenza non già di una concessione, ma di un
contratto di appalto di servizi e che, pertanto, vi fossero i presupposti necessari affinché le società potessero beneficiare dell’applicazione dell’art. 11 del D.Lgs.
n. 446/1997. Il quadro delineato ha, quindi, indotto i giudici di merito a confermare la spettanza del beneficio alle società ricorrenti, non rientrando tra le previste esclusioni della normativa Irap.
5. Osservazioni conclusive
Le sentenze in commento rappresentano solo un tassello di un trend giurisprudenziale che ha unanimemente inteso chiarire come al fine di risolvere la dibattuta questione relativa alla sussistenza o meno del diritto di beneficiare dello sgravio Irap introdotto con il D.Lgs n.446/97, sia preliminarmente necessario inquadrare la natura contrattuale sottesa al legame che sussiste tra l’impresa incaricata della gestione del servizio e la Pubblica Amministrazione.
In tal senso, la giurisprudenza, che ha provveduto ad affinare i contorni e gli ambiti della questione, ha chiarito che si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione di un servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa; mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sull’amministrazione.
I giudici di legittimità si sono, dunque, soffermati sulla natura giuridica del contratto e hanno affermato che il diritto all'agevolazione in questione deve riconoscersi in capo alle società che espletano servizi in favore di enti pubblici mediante contratti riconducibili nell'alveo degli appalti e non in quello delle concessioni; in sostanza, in regime di contratto d’appalto le deduzioni Irap sono legittime; di converso, nelle ipotesi di concessione di servizi tanto non è consentito.
Anche la Commissione Tributaria Provinciale di Bari – sez. distaccata di Lecce - il 02 aprile 2019, con le sentt. nn. 531 e 532 ha parimenti aderito al suddetto iter argomentativo e, dopo aver messo a fuoco il criterio discretivo tra concessione e appalto di servizi e accertato che nel caso di specie ricorreva la fattispecie del
contratto d’appalto, ha accolto la tesi difensiva delle società contribuenti. Il Collegio giudicante, in linea di continuità con gli approdi giurisprudenziali analizzati ha, dunque, posto in rilievo come in sede di dichiarazione Irap sia fondamentale capire se l’impresa in questione abbia le caratteristiche di una impresa in concessione traslativa e a tariffa ovvero di un’impresa appaltatrice di servizi posto che nel primo caso, non si potrà usufruire delle deduzioni ex art. 11, D.lgs n.446/1997 (fino al 31.12.2014), mentre nel secondo, le imprese potranno legittimamente beneficiarne. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno considerato spettanti le deduzioni, atteso che il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti è stato attribuito alle società ricorrenti sulla base, di fatto, di un appalto di servizi (nel quale il rapporto intercorre tra due soggetti e l’appaltatore è remunerato dall’Amministrazione per le prestazioni svolte) e non di una concessione (nella quale il rapporto intercorre tra tre soggetti, gravando il costo del servizio, in definitiva, sugli utenti).
In definitiva, per la soluzione della questione è, quindi, risultata dirimente la circostanza che, nei rapporti di affidamento del servizio, non fosse previsto un corrispettivo ancorato alla variazione della domanda, né che vi fosse traslazione del rischio economico della gestione del servizio a carico delle società.
A conclusione delle valutazioni fin qui svolte è, altresì, fondamentale rilevare che seppur il principio ribadito dalle sentenze in commento sia di assoluta importanza per chi ha contenziosi per i periodi d’imposta sino al 2014, dal periodo d’imposta 2015, la questione ha perso rilevanza pratica. La legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di Stabilità per il 2015), ha di fatto introdotto alcune significative modifiche alla disciplina dell’Irap. Invero, l’art. 1, commi da 20 a 24, della Legge n. 190/2014 ha previsto che a partire dal periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2014, i soggetti tenuti al versamento del tributo regionale avranno la possibilità di portare in deduzione dalla base imponibile Irap il costo sostenuto per il lavoro dipendente, con contratto a tempo indeterminato, che eccede le deduzioni previste dall’articolo 11 del D.Lgs. n. 446/1997.
Peraltro, al fine di fornire chiarimenti su alcuni aspetti dubbi, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta sul punto precisando, con la CM 22/2015, che in merito alla deducibilità integrale dei costi afferenti i dipendenti a tempo indeterminato (art. 11 co. 4-octies, DLgs.446/97), in assenza di specifica esclusione, rientrano tra i beneficiari della misura anche le imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori delle c.d. “public utilities”.
Invero, “(…) La norma introduce, dunque, un criterio di deducibilità “per differenza” tra il costo del lavoro complessivo sostenuto in relazione ai rapporti di impiego a tempo indeterminato e le deduzioni spettanti ai sensi del richiamato articolo 11. Sul punto, la relazione tecnica ha precisato che, se la sommatoria delle deduzioni vigenti è inferiore al costo del lavoro, spetta un’ulteriore deduzione fino a concorrenza dell’intero importo dell’onere sostenuto. Ne deriva che quanto minori sono le deduzioni fruibili in applicazione dell’articolo 11 tanto maggiore è il differenziale deducibile. La circostanza che alcuni soggetti non beneficino di tutte le deduzioni richiamate dalla norma non li esclude dall’applicazione del beneficio. Le public utilities, escluse ex lege dalle misure sul cuneo fiscale possono, pertanto, beneficiare della deducibilità integrale del costo sostenuto per i lavoratori impiegati a tempo indeterminato ai sensi del comma 4- octies) in esame” (circolare n.22/E).
In conclusione, risulta necessario rilevare che le public utilities (precedentemente escluse ex lege dalle misure sul cuneo fiscale), a decorrere dal periodo d’imposta 2015, possono beneficiare ai fini Irap, della deducibilità integrale del costo del lavoro sostenuto per il personale impiegato a tempo indeterminato. Infatti, l’art. 11 comma 4-octies del D.Lgs. 446/97 consente anche alle imprese operanti in concessione e a tariffa nei citati settori di dedurre la differenza tra il costo complessivo dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato e le altre deduzioni previste a fronte dell’impiego di personale (circ. Agenzia Entrate n. 22/2015). Pertanto, anche qualora un’impresa concessionaria non possa fruire delle deduzioni finalizzate alla riduzione del cuneo fiscale, dal 2015 potrà comunque dedurre l’intero costo dei dipendenti a tempo indeterminato a titolo di deduzione c.d. “residuale” (ex art. 11 comma 4-octies del D.Lgs. 446/97).