DIPARTIMENTO DI MEDICINA E SCIENZE DELLA SALUTE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE
DIPARTIMENTO DI MEDICINA E SCIENZE DELLA SALUTE
DOTTORATO DI RICERCA IN MEDICINA TRASLAZIONALE E CLINICA
CICLO XXXI SSD MED/36
RUOLO DELLA MAMMOGRAFIA CON MEZZO DI CONTRASTO NELLA VALUTAZIONE DIMENSIONALE PRE-OPERATORIA DEL TUMORE AL SENO
Tutor/Relatore Coordinatore
Xxxxx.xx Xxxx Xxxx Xxxxxxx Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxxxxx
Candidata
Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx
ANNO ACCADEMICO 2018/2019
matr.155947
INTRODUZIONE 1. OVERVIEW SUL CARCINOMA MAMMARIO | pag.4 pag.6 | |
1.1 Epidemiologia 1.2 Carcinogenesi e progressione tumorale | pag.6 pag.9 | |
1.3 Fattori prognostici e predittivi | pag.10 | |
1.4 Classificazione istologica 1.5 Definizione dei sottotipi molecolari intrinseci del carcinoma | mammario | pag.11 pag.13 |
1.6 Classificazione secondo il sistema TNM | pag.15 |
2. RUOLO DELL’IMAGING pag.18
2.1 Mammografia pag.18
2.2 Ecografia pag.19
2.3 Risonanza Magnetica pag.19
2.4 Neovascolarizzazione tumorale pag.21
2.4.1 Meccanismo della neoangiogenesi tumorale pag.21
2.4.2 Valore clinico dell’angiogenesi nel tumore della mammella pag.24
2.5 Imaging della neoangiogenesi pag.25
2.5.1 RM Mammaria pag.26
2.5.1.1 Criteri di interpretazione pag.26
2.5.2 Correlazione radio-anatomo-patologica pag.29 2.5.2.1.Enhancement del parenchima normale pag.29
2.5.2.2.Enhancement del carcinoma in situ pag.29
2.5.2.3.Enhancement del carcinoma infiltrante pag.30
3. CEM (CONTRAST ENHANCED MAMMOGRAPHY) pag.32
3.1 Principi tecnici pag.32
3.2 Stato dell’arte pag.34
3.2.1. Accuratezza diagnostica della CEDM pag.34
3.2.2 CEDM nelle mammelle dense pag.35
3.2.3 CEDM a confronto con la RM mammaria pag.36
3.3 PROTOCOLLO pag.38
3.4 INDICAZIONI CLINICHE pag.38
3.4.1. Reperti dubbi riscontrati agli esami di imaging convenzionali pag.38
3.4.2 Stadiazione pre-operatoria pag.39
3.4.3 Risposta alla terapia neoadiuvante pag.40
3.4.4 Screening delle pazienti ad alto rischio pag.40
3.4.5 Valutazione integrità dispositivi protesici pag.41
4. LA NOSTRA ESPERIENZA pag.42
4.1 Obiettivo dello studio pag.42
4.2 Materiali e metodi pag.42
4.3 Risultati pag.44
4.4 Discussione pag.48
4.5 Conclusioni pag.49
BIBLIOGRAFIA pag.50
INTRODUZIONE
Il tumore al seno è una delle neoplasie di maggior riscontro nella donna, con più di 48.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno in Italia. Inoltre, è la prima causa di mortalità per tumore nella popolazione femminile, responsabile di circa 12.000 decessi all'anno. Rappresenta dunque un problema di notevole impatto per la sanità pubblica. La diagnosi precoce è quindi di primaria importanza nel ridurre il rischio di mortalità, consentendo di limitare la probabilità di invasione linfonodale e di metastasi a distanza. (1) Consente, inoltre, di effettuare trattamenti meno radicali che, al contrario, sarebbero necessari per un tumore in stadio avanzato.
Diverse tecniche di imaging sono state sviluppate per facilitare la diagnosi e la caratterizzazione delle lesioni mammarie. L'ampia disponibilità e la moteplicità di queste tecniche rende necessaria la standardizzazione delle metodiche di acquisizione, così come delle indicazioni cliniche precise. Ad oggi tre sono le metodiche maggiormente utilizzate nella pratica clinica: la mammografia, l’ ecografia e la risonanza magnetica (RM).E’ altresì necessario che il radiologo non si limiti ad una mera descrizione delle anomalie riscontrate all'imaging, ma che dia indicazioni sulle implicazioni diagnostiche e terapeutiche. A tal fine, l’ interpretazione di un esame senologico deve tener conto anche dei dati clinici per poter proporre una condotta diagnostica ed una presa in carico appropriate. Ad oggi, la mammografia è l'unica tecnica di imaging riconosciuta per lo screening del tumore al seno nella popolazione generale. Infatti, è la sola metodica ad aver mostrato un significativo impatto sulla sopravvivenza, con una riduzione della mortalità stimata intorno al 20%(2,3). Rappresenta anche la tecnica di prima istanza nelle pazienti sintomatiche con più di trent’anni. L’ ecografia è complementare alla mammografia; consente di determinare la natura solida o liquida di una lesione, ma anche di individuare alcune lesioni non visibili mammograficamente, specialmente nei seni ad elevata densità. Inoltre, l’ecografia è la tecnica di imaging privilegiata nelle procedure interventistiche, quali gli agoaspirati e le biopse mammarie.
La RM è attualmente considerata la tecnica di imaging più sensibile nella detezione dei tumori infiltranti, con una sensibilità pari a circa il 90%. Il razionale alla base di questa metodica è il riconoscimento della neoangiogenesi tumorale grazie all'iniezione endovenosa di mezzo di contrasto. Ciononostante la RM resta un esame di secondo livello, complementare alla mammografia ed all’ecografia, eccetto che nelle pazienti ad alto rischio, per le quali la RM trova indicazione nello screening. (4,5)
La mammografia, l’ ecografia e la RM presentano tuttavia dei limiti che hanno reso necessaria l'introduzione di nuove tecniche di imaging. In particolare, la mammografia presenta una limitata sensibilità nello studio dei seni densi, ove l’elevata rappresentazione del tessuto ghiandolare esercita un “effetto maschera” dovuto alla sovrapposizione dei tessuti; tale fenomeno può, allo stesso tempo, essere responsabile di reperti falsi positivi, causa di proiezioni aggiuntive (proiezione laterale, ingrandimento diretto), di esami complementari (ecografia e/o risonanza magnetica) o di procedure interventistiche non necessarie. In aggiunta, alcune lesioni sono di difficile individuazione in mammografia (lesioni visibili solo su una proiezione, distorsioni architetturali). L'ecografia presenta l'inconveniente di una ridotta riproducibilità e di un’elevata variabilità interosservatore. Inoltre, la certezza di aver esaminato tutta la mammella non è sempre garantita, in relazione alla mancanza di reperi anatomici nella ghiandola. Quanto alla RM, si pone il problema di una ridotta specificità (elevato numero di falsi positivi) in rapporto ad un intenso potenziamento mammario che può essere fisiologico x xxxxxxx. Inoltre, quest'esame è gravato anche dagli elevati costi e dalla non ampia
disponibilità di macchinari sul territorio. Infine, la correlazione tra reperti RM con le altre metodiche di imaging è spesso difficile a causa del differente posizionamento del seno nelle diverse metodiche.
L’evoluzione della mammografia analogica verso la mammografia digitale ha recentemente consentito di sviluppare nuove tecniche di imaging in grado di superare i limiti della mammografia tradizionale. La tomosintesi è una di queste: consente di acquisire immagini tridimensionali della mammella, riducendo la sovrapposizione tissutale e migliorando la detezione e la caratterizzazione nei seni densi (specialmente per quanto riguarda le lesioni spiculate e le distorsioni architetturali). (6,7) Con la tomosintesi, inoltre, è anche possibile evitare di effettuare proiezioni aggiuntive, come le compressioni mirate. (8) Come la mammografia, la tomosintesi resta un esame basato sullo studio morfologico della ghiandola mammaria; è bene ricordare che alcuni tipi di neoplasie, come il tumore lobulare o i tumori in situ, che si possono presentare solo con piccole modificazioni architetturali della ghiandola, possono passare inosservati in tomosintesi.
La mammografia con mezzo di contrasto è un’ulteriore e relativamente recente tecnica di imaging caratterizzata da un elevato potenziale clinico. Il razionale alla base di questa metodica, come per la RM,è il riconoscimento dell’ angiogenesi tumorale grazie all’ iniezione endovenosa di mezzo di contrasto.
L’imaging basato sull’angiogenesi tumorale è un metodo per riconoscere precocemente le neoplasie. Perché si sviluppi neoangiogenesi, è necessario che il volume tumorale superi i 2 mm³, dimensione necessaria affiinchè si instauri il fabbisogno di ossigeno da parte del tessuto. (9) In più, sembra esistere una correlazione tra la quantità di neovasi intratumorali e l'aggressività tumorale (grado istologico, capacità di metastasi a distanza). (10,11) L'Imaging basato sulla neoangiogenesi potrebbe, dunque, potenzialmente fornire nuovi biomarcatori prognostici o nuovi criteri di risposta alle terapie antiangiogenetiche.
La mammografia con mezzo di contrasto fornisce due tipi di informazioni: una di tipo morfologico, simile alla mammografia tradizionale ed una di tipo funzionale che si basa sull'intensità del potenziamento contrastografico da parte della ghiandola mammaria.
OVERVIEW SUL CARCINOMA MAMMARIO
1.1 EPIDEMIOLOGIA
Il tumore al seno è la neoplasia maligna più frequente nelle donne (25% di tutti i tumori) ed è responsabile del 14,3% dei decessi per cancro nel sesso femminile. In Europa, considerando uomini e donne assieme, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha stimato che ogni anno ne vengano diagnosticati 464.000 (il 99% dei casi nelle donne) nuovi casi.
In Italia sono diagnosticati circa 50.200 casi all’anno, più di un caso ogni 1000 donne. L’incidenza della malattia presenta un netto gradiente tra Nord, Centro e Sud con rischi superiori del 40% al Nord. Nel recente quinquennio, l’incidenza ha mostrato un aumento variabile dal 2 al 17% (12) a fronte di una netta diminuzione della mortalità, grazie agli avanzamenti ottenuti nella diagnosi precoce e nella strategia terapeutica adiuvante (Fig 1).
Sempre in Italia il tumore al seno rappresenta la prima causa di morte per tumore nelle donne, con 11.913 decessi, al primo posto anche in diverse fasce di età, rappresentando il 29% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21% tra i 50 e i 69 anni e il 16% dopo i 70 anni.
Mediamente, per una donna italiana, il rischio di ammalarsi nel corso della vita è, oggi, del 13%: circa una donna su 45 si ammala entro i 50 anni, una su 19 tra i 50 e i 69 anni, e una donna su 23 tra i 70 e gli 84 anni.
I dati italiani di sopravvivenza relativa a 5 anni per una diagnosi di tumore al seno a partire dal triennio 1990-1992 fino al triennio 2005-2007 suggeriscono un importante incremento di sopravvivenza dal 78 all’87%, con dati che superano le sopravvivenze europee. (Tabella 1)
Nelle donne senza segni e/o sintomi di neoplasia, la diagnosi in uno stadio iniziale di malattia consente un trattamento più efficace ed una probabilità maggiore di remissione completa. Numerosi studi hanno dimostrato come lo screening mammografico possa ridurre la mortalità (circa del 20%) ed aumentare le opzioni terapeutiche.(13-15)
Fig.1 Tumore della mammella femminile. Età 35-44 anni:stima dei trend tumorali di incidenza e mortalità 2003-2018. Tassi standardizzati nuova popolazione europea 2013.APC= Annual Percent Change (variazione percentuale media annua), I=incidenza, M=mortalità.
Sede | Italia | Europa | |||||
Totale Europa | Paesi Scandinavi | Regno Unito/ Irlanda | Centro Europa | Sud Europa | Est Europa | ||
Xxxxxxxx (donne) | 87 | 82 | 85 | 79 | 84 | 84 | 74 |
Tabella 1. Confronto della sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi, in Italia (stima basata su casi diagnosticati nel periodo 2005-2009) e in Europa (stima basata su casi diagnosticati nel periodo 2000-2007).
Fra i fattori che hanno concorso e concorrono a determinare una riduzione della mortalità abbiamo: la sempre maggiore copertura del territorio nazionale con programmi organizzati di screening mammografico rivolti alle donne fra i 50 e 69 anni di età; la crescente consapevolezza dell’importanza della prevenzione anche nelle donne giovani che, in numero sempre maggiore, si sottopongono con regolarità a controlli clinico-ecografici; i progressi terapeutici e la diffusione della terapia sistemica adiuvante.
Il tumore al seno è una delle neoplasie a migliore prognosi, con una sopravvivenza relativa a 5 anni stimata intorno all’89%, variabile dal 98,4% nelle forme localizzate a circa il 23,8% nelle forme metastatiche.
Il tasso di detezione tumorale e la percentuale di tumori con buona prognosi, vale a dire tumori in situ, tumori infiltranti <10mm ed i tumori infiltranti senza invasione linfonodale, sono indicatori precoci dell’efficacia dei programmi di screening.
Tuttavia, circa il 20-30% delle pazienti con linfonodi negativi e il 50% di quelle con linfonodi positivi alla diagnosi svilupperà metastasi a distanza, mentre il 7-10% presenta uno stadio avanzato già al momento della diagnosi. Ad eccezione di casi sporadici (2-3%) in cui è stata osservata una sopravvivenza di lunga durata, il tumore mammario metastatico rimane ad oggi una malattia non guaribile, con una sopravvivenza mediana nelle pazienti non precedentemente trattate di 18-24 mesi, variabile in base all’aggressività biologica, alla sede e all’estensione della malattia. (16)
Il rischio di sviluppare il carcinoma della mammella è associato a fattori di ordine genetico e familiare, endocrino, dietetico, ambientale, ad abitudini di vita e a pregresse malattie mammarie, anche se più della metà dei casi non è tuttavia riconducibile ad alcun fattore di rischio noto. (17) Età. L’età rappresenta un fattore di rischio in relazione ai meccanismi che possono coinvolgere il prolungato stimolo endocrino alla proliferazione, l’accumulo di danni al DNA a livello di oncogeni e geni oncosoppressori, l’espressione patologica di geni correlati al ciclo cellulare e all’apoptosi. Circa l’80% dei carcinomi mammari sporadici insorge sopra i 50 anni con un’età media alla diagnosi intorno ai 65 anni. (18)
Lunghezza periodo riproduttivo: Menarca anticipato e menopausa ritardata aumentano il rischio di carcinoma della mammella. (19) Per tutto il periodo riproduttivo, ogni mese, i lobuli scompaiono e ricompaiono, con un elevato ritmo proliferativo delle cellule delle unità terminali dutto-lobulari (TDLU). Qualsiasi agente cancerogeno esercita meglio la sua azione ai danni del DNA durante il processo di mitosi. Un’intensa proliferazione è inoltre indispensabile sia per la trasformazione neoplastica che per la progressione della malattia. (20)
Età della priva gravidanza a termine. Avere il primo figlio in giovane età ha un effetto protettivo; un parto prima dei venti anni di età dimezza il rischio rispetto ad un parto dopo i 35 anni. Si ipotizza che lo status ormonale determinato dalla gravidanza possa avere un effetto differenziativo sulle cellule epiteliali della ghiandola mammaria, rendendole in questo modo più resistenti in termini di capacità metaboliche e di riparazione del DNA.(20-21)
Precedenti biopsie mammarie con diagnosi di iperplasia epiteliale atipica e carcinoma in situ. Una spiegazione plausibile si basa sul concetto di “field cancerogenesis” o cancerogenesi a campo; l’intera popolazione cellulare di un tessuto o di un organo sarebbe esposta all’agente cancerogeno con possibilità di insorgenza della neoplasia in più zone dello stesso albero ghiandolare. Quindi sviluppare un’iperplasia atipica o un carcinoma in situ rappresenta una potenziale fonte di allarme, per la possibilità di sviluppare neoplasie infiltranti. Infatti queste lesioni rappresentano le fasi iniziali del processo neoplastico. (21)
Estrogeni endogeni ed esogeni. L’aumentata esposizione ad estrogeni può aumentare il rischio di carcinoma della mammella. L’obesità è un fattore di rischio nelle donne in post-menopausa, in quanto nei depositi di grasso si ha produzione endogena di estrogeni. (22-23) Il rischio conferito dalla terapia ormonale sostitutiva sembra essere modesto. (24) Il rischio ambientale (fitoestrogeni, pesticidi) è ancora oggetto di studio. (25)
Esposizione a radiazioni. Il rischio sembra essere importante nelle donne giovani (non oltre i 30 anni) sottoposte a terapia radiante per neoplasia, tipo la malattia di Hodgkin. (26)
Allattamento al seno. Un prolungato allattamento riduce il rischio di carcinoma; durante questo periodo, infatti,non si hanno cambiamenti nella struttura della mammella. (27)
Dieta. Per quanto riguarda il ruolo della dieta non vi sono ancora studi scientifici certi; un fattore di rischio su cui sembra esservi consenso è il consumo di alcool.(27-28)
Influenza geografica. L’incidenza di carcinoma della mammella negli Stati Uniti e in Europa è 4-7 volte maggiore rispetto ad altri paesi; questo potrebbe essere dovuto all’esposizione a cancerogeni ambientali e a diverse abitudini, come allattamento e dieta. (29)
Familiarità. La presenza di un parente di primo grado (madre o sorella) con carcinoma mammario raddoppia il rischio di sviluppare un carcinoma della mammella rispetto alla popolazione generale. Solitamente, nei soggetti con predisposizione familiare, il carcinoma compare in età giovanile (prima dei 40 anni) ed è più frequentemente bilaterale. (21,30) Lo studio genetico di una famiglia, basato sulla ricostruzione dell’albero genealogico, corredato da tutti gli eventi patologici, permette di stabilire se una patologia è del tipo eredo-familiare. La presenza di una mutazione germinale può essere determinata attraverso un test genetico che consiste nell’esaminare il DNA di un individuo estratto da cellule di un campione di sangue o da altri liquidi o tessuti corporei, nella ricerca di alterazioni correlate alla malattia. Le alterazioni del DNA possono essere numerose, come aberrazioni cromosomiche rilevabili dall’esame del cariotipo, o alterazioni di singoli geni attraverso delezioni, mutazioni puntiformi, mutazioni frame-shift (inserimento o delezione di singole basi in un esone), amplificazione genica. I soggetti sani a rischio eredo-familiare possono essere avviati a specifici programmi di sorveglianza al fine di una diagnosi precoce.
Predisposizione genetica. E’ stato dimostrato che pazienti affetti da mutazioni a livello dei geni BRCA1 (17q) e BRCA2 (12q), hanno un aumentato rischio di sviluppare un carcinoma della mammella entro i 70 anni pari a circa il 56%. (31) Le mutazioni a livello di questi geni sono responsabili di circa 1/3 dei casi familiari e, complessivamente, del 10% dei casi di carcinoma mammario. (32) Le mutazioni del gene BRCA1 sono inoltre coinvolte nella predisposizione allo sviluppo di carcinomi dell’apparato riproduttivo femminile (ovaio e tube).
1.2 CARCINOGENESI E PROGRESSIONE TUMORALE
Il carcinoma mammario si sviluppa dalle cellule epiteliali dell’albero ghiandolare e può dare origine a diversi istotipi, fra i quali i più frequenti sono il carcinoma duttale e lobulare.
La maggior parte dei carcinomi insorge a livello delle unità terminali dutto-lobulari (TDLU) e successivamente, per meccanismi non del tutto ancora conosciuti, da luogo a tumori diversi sia dal punto di vista morfologico che biologico. Si riconoscono una forma di carcinoma in situ ed una forma infiltrante. Il tipo duttale rappresenta il 75% dei tumori infiltranti, mentre il lobulare solo il 5%; istotipi infiltranti meno frequenti sono il carcinoma midollare (15%), il colloide o mucinoso (2%), il tubulare (1-2%) ai quali si aggiungono altre forme rare. Talvolta le cellule di un carcinoma in situ dei dotti principali possono migrare fino a raggiungere l’epidermide del capezzolo o dell’areola causando una flogosi della cute: tale quadro clinico è noto come malattia di Xxxxx.
La trasformazione da epitelio normale a carcinoma in situ avviene attraverso lesioni cosiddette preneolastiche.(Fig. 2)
Fig.2 Progressione del carcinoma della mammella
Analisi di genetica molecolare e citogenetica hanno infatti dimostrato come il carcinoma mammario derivi da un processo multistep caratterizzato dall’accumulo di varie alterazioni genetiche. (33) Uno dei modelli più accreditati è quello di Xxxxxxxx e Xxxxxx, secondo il quale a partire dall’epitelio normale si può avere lo sviluppo di un’iperplasia che successivamente può diventare una lesione pre-maligna, carcinoma in situ ed infine carcinoma invasivo capace di metastatizzare. (34,35) Determinate alterazioni genetiche si mantengono durante l’evoluzione della lesione ed esiste una forte correlazione tra il rischio di sviluppare un carcinoma invasivo e il tipo di lesione precursore.
Il carcinoma in situ, generalmente intraduttale (DCIS), per definizione non supera la membrana basale del dotto ed è costituito da cellule dell’epitelio ghiandolare proliferanti e con caratteristiche di malignità. In era pre-mammografica il carcinoma intraduttale non era frequentemente riscontrabile, rappresentando meno del 5% di tutti i tumori palpabili. La diffusione dello screening mammografico ha modificato sensibilmente la sua incidenza, permettendo l’identificazione di tali lesioni nello stadio preclinico. L’incidenza attuale dei DCIS è circa il 15-30% di tutti i carcinomi della mammella. Quando il tumore supera la membrana basale diventa micro-infiltrante ed invasivo acquistando la capacità di diffondersi attraverso il sistema emolinfatico ad altri organi.
Il tipo di cellula presumibilmente all’origine della maggior parte dei carcinomi mammari è la cellula luminale che esprime estrogeni (ER); la maggioranza dei carcinomi è infatti ER positiva e le lesioni pre-cancerogene, come le iperplasie atipiche, sono simili a questo tipo di cellule. I carcinomi ER negativi potrebbero invece derivare da cellule mioepiteliali ER-negative. (36) L’ultima fase nella progressione del tumore della mammella è la transizione da carcinoma in situ a carcinoma invasivo e rappresenta ad oggi lo stadio meno conosciuto.
1.3 Fattori prognostici e predittivi
I criteri prognostici di maggiore importanza sono il grado istologico e lo stadio della neoplasia. La variabilità prognostica, registrata all’interno di categorie di pazienti omogenee per stadio anatomoclinico ha indotto ad una più estesa caratterizzazione del tumore dal punto di vista morfologico e biofunzionale. (37) Il sistema di attribuzione del grado più usato considera il pleomorfismo nucleare, la formazione di tubuli e l’indice mitotico per classificare i carcinomi invasivi in tre gruppi che sono strettamente correlati alla sopravvivenza. La sopravvivenza a 10 anni dall’85% del grado I scende al 60% nel grado II e al 15% nel grado III.
La determinazione dello stadio raggiunto dalla neoplasia alla presentazione è importante per impostare i programmi terapeutici sia chirurgici che radio e/o chemioterapici. La stadiazione viene eseguita seguendo protocolli che tengono conto delle più recenti acquisizioni scientifiche.
Attualmente si fa riferimento al sistema TNM adottato dall’American Joint Committe on Cancer (AJCC) nel 2002 e tale sistema si basa su:
• dimensioni della neoplasia (T)
• presenza ed estensione di metastasi ai linfonodi regionali (N)
• presenza di eventuali metastasi a distanza (M)
Dimensioni della neoplasia. Le dimensioni del tumore costituiscono un fattore prognostico indipendente molto importante. Il vantaggio dello screening mammografico consiste nella possibilità di riconoscere ed identificare lesioni di dimensioni inferiori a quelle diagnosticate con la sola clinica. Un aspetto che esemplifica l’importanza delle dimensioni del tumore è il dato, confermato dalla letteratura, secondo il quale la sopravvivenza a 20 anni per carcinomi di dimensioni inferiori ad 1 cm e linfonodi negativi è del 90%, mentre per neoplasie di dimensioni inferiori a 2 cm la sopravvivenza scende al 50%. Alle dimensioni della neoplasia è correlata anche l’incidenza di metastasi linfonodali.
Metastasi linfonodali. Lo stato dei linfonodi ascellari rappresenta il più importante fattore prognostico per il carcinoma invasivo della mammella, in assenza di metastasi a distanza. La valutazione clinica del coinvolgimento linfonodale è inaccurata sia per i falsi positivi che per i falsi negativi, pertanto si rende necessaria la caratterizzazione microistologica.
In assenza di interessamento linfonodale la sopravvivenza libera da malattia a 10 anni è vicina al 70-80%;con un numero di linfonodi interessati da 1 a 3 la percentuale scende al 35-40%, mentre, in presenza di più di 10 linfonodi positivi, la percentuale di sopravvivenza è del 10-15%. Nella stadiazione e terapia chirurgica del tumore mammario la tecnica del “linfonodo sentinella” ha acquisito un ruolo fondametale. La tecnica trova la sua giustificazione fisiopatologica nell’osservazione che la diffusione metastatica delle cellule neoplastiche, dal focolaio primitivo ai linfonodi ascellari, avviene in modo regolare e progressivo senza salti di livello. La negatività istologica del primo linfonodo di drenaggio, che riceve il flusso linfatico proveniente dall’area di mammella interessata dalla neoplasia (linfonodo sentinella identificato con tecniche radioisotopiche), permette di escludere con ragionevole sicurezza l’interessamento metastatico dell’intera catena linfonodale ascellare, evitando in questo modo l’inutile dissezione ascellare
completa (valore predittivo negativo maggiore del 96%).(38-41) La sua positività istologica, al contrario, indica la diffusione regionale della neoplasia richiedendo la linfoadectomia ascellare totale. Con l’introduzione di metodologie più sensibili, come sezioni seriali dei linfonodi, immunoistochimica per le cheratine, rilevazione dell’mRNA carcinoma specifico tramite RT-PCR, è stato possibile individuare micrometastasi (dimensioni inferiori a 0,2 cm), in un numero maggiore di pazienti. Il 10-20% di pazienti, prive di metastasi linfonodali ascellari, presenta tuttavia recidiva extramammaria e circa lo stesso numero muore per carcinoma della mammella. In queste pazienti il processo metastatico avviene tramite la catena mammaria interna o per via ematica.(42-43) Metastasi a distanza. Le sedi preferenziali di metastasi a distanza sono i segmenti ossei (70-80%), soprattutto vertebrali, costali, pelvici e della volta cranica. Le metastasi polmonari rappresentano il 60-65%; una volta raggiunto il polmone, attraverso la circolazione arteriosa, si hanno metastasi epatiche (60%) e cerebrali (25%).
Sottotipo istologico. La sopravvivenza a 30 anni nelle donne con carcinomi invasivi di tipo speciale (tubulare, mucinoso, lobulare, papillare) è maggiore del 60%, rispetto a meno del 20% in pazienti con carcinomi invasivi di tipo non speciale.
Invasione vascolare. Le cellule tumorali si trovano all’interno degli spazi vascolari in circa metà dei carcinomi invasivi; tale reperto risulta fortemente associato alla presenza di metastasi linfonodali ed è pertanto un indicatore prognostico sfavorevole.
Indice proliferativo. La proliferazione cellulare può essere misurata sia mediante conta mitotica sia mediante la rilevazione immunoistochimica di proteine cellulari prodotte durante il ciclo (Ki67) o mediante citometria a flusso (frazione di cellule in fase S). Numerose evidenze sembrano suggerire come livelli di espressione di Ki67, compresi fra il 10 e 14%, siano in grado di definire gruppi di pazienti ad alto rischio in termini di prognosi peggiore. (44) Alti livelli di proliferazione cellulare sono inoltre correlati con la negatività per ER e la positività per HER2. Ki67 avrebbe anche un ruolo predittivo; carcinomi con alto indice di proliferazione cellulare sembrano rispondere meglio alla chemioterapia. (45)
Ploidia. La quantità di DNA per cellula tumorale può essere determinata mediante citometria a flusso; la presenza di cellule aneuploidi, con contenuto anomalo di DNA, è indicativa di precoce ripresa di malattia. (46)
Risposta alla terapia neoadiuvante: dopo intervento chirurgico, la maggior parte delle pazienti riceve un trattamento sistemico o “terapia adiuvante”. La terapia neoadiuvante è un approccio alternativo in cui la paziente è trattata prima dell’intervento. Tale approccio non aumenta la sopravvivenza, ma il grado di risposta alla chemioterapia rappresenta un forte fattore prognostico. Le neoplasie con maggiore probabilità di rispondere meglio sono quelle poco differenziate, ER- negative ed associate ad aree di necrosi. (47) Di recente introduzione è la ricerca di cellule neoplastiche nel midollo osseo o nel sangue con tecniche di biologia molecolare; la loro presenza è un indice affidabile di diffusione della malattia.
1.4 Classificazione istologica
La classificazione anatomo-patologica del tumore della mammella secondo WHO 2003 è stata rivista recentemente e la classificazione WHO 2012 prevede i tipi istologici riportati nella Tabella 2. Il carcinoma invasivo o infiltrante non di istotipo speciale (NST), comunemente noto come carcinoma duttale di tipo non altrimenti specificato, comprende il gruppo più ampio di carcinomi invasivi della mammella (70%-80%) e rappresenta un’ entità non facilmente definibile poiché comprende un gruppo eterogeneo di tumori che non presentano caratteristiche sufficienti per poterli classificare come tipi istologici speciali (così come avviene invece per altri tumori e.g. carcinoma lobulare o tubulare).
Tabella 2. Sintesi della classificazione istologica del tumore della mammella secondo WHO 2012 | |
TUMORI EPITELIALI | |
Carcinoma microinvasivo | |
Carcinoma mammario infiltrante Carcinoma infiltrante di tipo non speciale (NST) Carcinoma lobulare infiltrante Carcinoma tubulare Carcinoma cribriforme Carcinoma mucinoso Carcinoma con caratteristiche midollari Carcinoma con differenziazione apocrina Carcinoma infiltrante micropapillare Carcinoma metaplastico | |
TIPI RARI | |
Carcinoma con caratteristiche neuroendocrine Carcinoma secretorio Carcinoma papillare invasivo Carcinoma a cellule aciniche Carcinoma mucoepidermoidale Carcinoma polimorfo Carcinoma oncocitico Carcinoma ricco in lipidi Carcinoma a cellule chiare ricche di glicogeno Carcinoma sebaceo Tumori tipo ghiandole salivari/annessi cutanei Tumori epiteliali- mioepiteliali | |
PRECURSORI | |
Carcinoma duttale in situ* Neoplasia lobulare** Carcinoma lobulare in situ Carcinoma lobulare in situ classico Carcinoma lobulare in situ pleomorfo Iperplasia lobulare atipica | |
Lesioni proliferative intraduttali* Iperplasia duttale usuale Lesioni con cellule a colonnna comprendenti l’atipia epiteliale piatta Iperplasia duttale atipica | |
Lesioni papillari Papilloma intraduttale Carcinoma papillare intraduttale Carcinoma papillare incapsulato Carcinoma papillare solido |
Tabella 2. Sintesi della classificazione istologica d
Tabella 2. Sintesi della classificazione istologica del tumore della mammella secondo WHO 2012 | |
Proliferazioni epiteliali benigne Adenosi sclerosante Adenosi apocrina Adenosi microghiandolare Radial scare/lesione sclerosante complessa Adenomi | |
TUMORI MESENCHIMALI (ad esempio: angiosarcoma, ecc) | |
TUMORI FIBROEPITELIALI Fibroadenoma Tumori fillodi (benigno, borderline, maligno) | |
TUMORI DEL CAPEZZOLO Adenoma del capezzolo Tumore siringomatoso Malattia di Xxxxx del capezzolo | |
LINFOMI MALIGNI | |
TUMORI METASTATICI | |
TUMORI DELLA MAMMELLA MASCHILE Carcinoma invasivo Carcinoma in situ | |
QUADRI CLINICI Carcinoma infiammatorio Carcinoma mammario bilaterale |
* LESIONI PROLIFERATIVE INTRADUTTALI
** NEOPLASIA LOBULARE
1.5 Definizione dei sottotipi molecolari intrinseci del carcinoma mammario
Il carcinoma della mammella è una malattia eterogenea e pazienti con tumori apparentemente simili per caratteristiche clinico-patologiche possono presentare un decorso clinico diverso. La valutazione del profilo di espressione genica del carcinoma mammario ha rappresentato un punto di svolta significativo sulle conoscenze circa il comportamento biologico di questa malattia, permettendo l’acquisizione di informazioni qualitativamente superiori a quelle disponibili per mezzo dei classici parametri clinici (estensione TNM, KI67, grading, ER, PGR, HER2). La disponibilità di metodiche di microarray ha consentito infatti di analizzare simultaneamente migliaia di geni, permettendo l’identificazione di subcategorie biologiche, definite “sottotipi intrinseci molecolari”, in base al diverso profilo di espressione genica, con significative differenze nell’andamento clinico. La ricerca pionieristica firmata dal gruppo di Perou (48), attraverso un’analisi sistematica dei profili di espressione genica (in termini di genomic DNA copy number arrays, DNA methylation, exome sequencing, messenger RNA arrays, microRNA sequencing) ha individuato 50 geni (PAM50) strettamenti correlati alla biologia del carcinoma mammario in grado di definire quattro sottogruppi intrinseci molecolari: luminal A, luminal B, HER2-enriched e basal- like. Gli autori del paper sottolineano altresì la possibilità che esistano ulteriori sottoclassi
biologiche, dal momento che fino al 30% dei casi non riescono ad essere caratterizzati in nessuna delle quattro classi molecolari. (49) Questi gruppi biologici riflettono i pattern di espressione genica dei due tipi principali di cellule della mammella adulta: le cellule luminali disposte in un unico strato verso il lume dei lobuli, e le cellule mioepiteliali, poste all’esterno a circondare le luminali e che poggiano direttamente sulla membrana basale. Diverse ipotesi, analizzate nel lavoro scientifico di Xxxx A et al (50-51), sono state avanzate per decifrare l’origine biologica dei sottotipi intrinseci ed è plausibile che essi rappresentino la risultante della trasformazione maligna ad uno specifico end- point del processo di differenziazione gerarchica dei progenitori luminali staminali (MaSCs ovvero “mammary stem cells).
Di seguito le principali caratteristiche per ogni sottotipo intrinseco (Tabella 3):
- Luminal A e Luminal B: I carcinomi luminali sono così definiti per l’espressione di citochine luminali come CK8 e CK18; sono ER positivi e rappresentano circa il 70% dei carcinomi invasivi della mammella. I carcinomi luminali possono essere distinti in due sottogruppi, rispettivamente luminali A (alti livelli di espressione dei recettori estrogenici, bassi livelli di espressione di geni associati alla replicazione e assenza di espressione di HER-2, basso indice di proliferazione cellulare) e luminali B (bassi livelli di espressione dei recettori estrogenici e alti livelli di espressione di geni coinvolti nella proliferazione cellulare, iperespressione di HER2). La prognosi risulta migliore per il sottogruppo luminal A, che risulta maggiormente ormonoresponsivo e chemoresistente. Al contrario il sottotipo Luminal B presenta tipicamente minore endocrinosensibilità e maggiore aggressività biologica: questi due tratti fanno si che la prognosi a lungo termine dei carcinomi Luminal B vada ad allinearsi a quella dei sottotipi intrinseci più aggressivi, HER2-enriched e basal-like9. (52)
- HER2-enriched: I tumori HER2-enriched comprendono circa il 20-30% dei carcinomi mammari invasivi; sono rappresentati da neoplasie di alto grado, caratterizzate dall’espressione di alti livelli dei geni del pathway HER2/neu e bassa espressione di geni del cluster luminale (ovvero le citocheratine XX0, XX0, XX00 x XX00, XXXX0, XXX0). Si tratta di neoplasie tipicamente HER2 positive ed ER/PgR negative con suscettibilità ad agenti a bersaglio molecolare anti-HER2. Prognosticamente si tratta di malattie più aggressive rispetto ai sottotipi luminali. (52) Tuttavia è presente una elevata sensibilità al trattamento con antracicline e taxani.
- Basal-like: I carcinomi basali detti anche basaloidi, basal-like, o carcinomi a fenotipo basale,
costituiscono il 10-20% dei carcinomi invasivi della mammella e sono caratterizzati dall’espressione di citocheratine come XX0, XX00, XX00, presenti nello strato basale/ mioepiteliale della ghiandola normale. Frequentemente i carcinomi basali hanno un assetto immunoistochimico sovrapponibile ai carcinomi cosiddetti “tripli negativi” per la perdita di espressione dei recettori estrogenici e progestinici e assenza di iper-espressione di HER-2. Tuttavia i due termini identificano due entità ben distinte in quanto solo il 49% dei tumori triplo negativi risultano classificati come basal-like in termini di profilo di espressione genica, così come circa il 17% dei tumori basal-like non è ER/PgR/HER2 neu negativo. Il sottotipo basal-like è caratterizzato da un’alta probabilità di metastasi polmonari e cerebrali e da una sopravvivenza totale e libera da malattia significativamente bassa. Questo è il gruppo a peggior prognosi, anche se generalmente questo tipo di tumori risulta sensibile alla chemioterapia. Il peggiore andamento clinico sembra quindi legato non ad una chemioresistenza intrinseca, ma al mancato beneficio di terapie target-mirate come la terapia ormonale e/o la terapia con trastuzumab.
Tabella 3: Sottotipi molecolari del tumore della mammella
1.6 Classificazione secondo il sistema TNM
L’estensione della malattia viene descritta con criteri classificativi tradizionali ed il sistema TNM è il più frequentemente adottato.
Dal gennaio 2018 è in uso il sistema di classificazione TNM rivisto dall’American Joint Commitee on Cancer (AJCC-ottava edizione). (Tabella 4-5)
L’Ottava Edizione della classificazione AJCC vede la classificazione anatomica, basata sulla sola estensione anatomica del carcinoma mammario (T, N, M), ed una classificazione prognostica (Prognostic Stage Group) che include oltre alle variabili anatomiche (T, N e M), anche il grado tumorale, lo stato dei recettori ormonali e lo stato di HER2.
Tabella 4. Classificazione AJCC 2017 (Ottava edizione) |
Classificazione clinica |
Tumore primitivo (T): |
Tx: tumore primitivo non definibile |
T0: non evidenza del tumore primitivo |
Tis: carcinoma in situ: Tis (DCIS) Carcinoma duttale in situ Tis (Xxxxx) Malattia di Xxxxx del capezzolo non associata con carcinoma invasivo e/o in situ nel parenchima mammario sottostante |
T1: tumore della dimensione massima fino a 20 mm T1mi: microinvasione < 1 mm T1a: tumore dalla dimensione compresa tra 1 mm e 5 mm (arrotondare misurazioni comprese tra 1.0-1.9 mm a 2 mm) T1b: tumore dalla dimensione >5 mm e < 10 mm T1c: tumore dalla dimensione > 10 mm e < 20 mm |
Tabella 4. Classificazione AJCC 2017 (Ottava edizione) |
T2: tumore superiore a 20 mm ma non superiore a 50 mm nella dimensione massima |
T3: tumore superiore a 50 mm nella dimensione massima |
T4: tumore di qualsiasi dimensione con estensione diretta alla parete toracica e/o alla cute (ulcerazione o noduli cutanei) T4a: estensione alla parete toracica (esclusa la sola aderenza/invasione del muscolo pettorale) T4b: Ulcerazione della cute e/o noduli cutanei satelliti ipsilaterali e/o edema della cute (inclusa cute a buccia d’arancia) che non presenta i criteri per definire il carcinoma infiammatorio T4c: presenza contemporanea delle caratteristiche di T4a e T4b T4d: carcinoma infiammatorio |
Linfonodi regionali (N): |
Nx: linfonodi regionali non valutabili (ad esempio, se precedentemente asportati) |
N0: linfonodi regionali liberi da metastasi (agli esami strumentali e all’esame clinico) |
N1: metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali mobili (livello I-II) cN1mi: micrometastasi (approssimativamente 200 cellule, deposito maggiore di 0.2 mm, ma nessuno maggiore di 2.0 m) |
N2: metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali (livello I-II) che sono clinicamente fissi o fissi tra di loro; o in linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari N2a: metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali (livello I-II) fissi tra di loro o ad altre strutture N2b: metastasi solamente nei linfonodi mammari interni omolterali e in assenza di metastasi nei linfonodi ascellari (livello I-II) |
N3: metastasi in uno o più linfonodi sottoclaveari omolaterali (livello III ascellare) con o senza coinvolgimento di linfonodi ascellari del livello I, II; o nei linfonodi mammari interni omolaterali in presenza di metastasi nei linfonodi ascellari livello I-II; o metastasi in uno o più linfonodi sovraclaveari omolaterali con o senza coinvolgimento dei linfonodi ascellari o mammari interni N3a: metastasi nei linfonodi sottoclaveari omolaterali N3b: metastasi nei linfonodi mammari interni e ascellari N3c: metastasi nei linfonodi sovraclaveari |
Metastasi a distanza (M): |
Mx: metastasi a distanza non accertabili (ma la diagnostica per immagini non è richiesta per assegnare la categoria M0) |
M0: non evidenza clinica o radiologica di metastasi a distanza cM0(i+): non evidenza clinica o radiologica di metastasi a distanza, ma depositi di cellule tumorali evidenziati mediante biologia molecolare o microscopicamente nel sangue, midollo osseo o in altri tessuti diversi dai linfonodi regionali, di dimensioni non superiori a 0,2 mm in una paziente senza segni o sintomi di metastasi |
M1: metastasi a distanza evidenziate mediante classici esami clinico e radiologico e/o istologicamente dimostrate di dimensioni superiori a 0,2 mm (pM). |
Tabella 5:Classificazione in stadi del carcinoma mammario–AJCC 2017 (Ottava edizione)
Stadio 0 | Tis | N0 | M0 |
Stadio IA | T1 | N0 | M0 |
Stadio IB | T0 T1 | N1 mi N1 mi | |
Stadio IIA | T0 | N1 | M0 |
T1 | N1 | ||
T2 | X0 | ||
Xxxxxx XXX | X0 | X0 | X0 |
X0 | X0 | ||
Stadio IIIA | T0 | N2 | M0 |
T1 | N2 | ||
T2 | N2 | ||
T3 | N1 | ||
T3 | N2 | ||
Stadio IIIB | T4 | N0 | M0 |
T4 | N1 | ||
T4 | N2 | ||
Stadio IIIC | Ogni T | N3 | M0 |
Stadio IV | Ogni T | Ogni N | M1 |
2. RUOLO DELL’IMAGING
2.1 Mammografia
La mammografia è l’esame di imaging di riferimento nello screening del tumore al seno. Essa rappresenta l'unica tecnica ad aver dimostrato un significativo impatto sulla sopravvivenza con una riduzione della mortalità, valutata pari al 18% in una metanalisi effettuata su otto studi randomizzati (2). La sensibilità della mammografia analogica e digitale nello screening del tumore al seno è globalmente identica, con valori variabili dal 61 al 77% e con una specificità compresa tra l’ 84 ed il 98% (Tabella 6)
Sensibilità Specificità | ||||
Mammografia analogica | Mammografia digitale | Mammografia analogica | Mammografia digitale | |
DMIST (Pisano, 2005) | 66% | 70% | 92% | 92% |
OSLO I (Skaane, 2005) | 76% | 59% | 89% | 84% |
OSLO II (Skaane, 2007) | 61,5% | 77,4% | 97,9% | 96,3% |
Tabella 6: Sensibilità e specificità della mammografia analogica e digitale nello screening organizzato del tumore al seno.
La mammografia rappresenta, inoltre, l’esame di prima istanza nelle pazienti sintomatiche, che presentano secrezioni dal capezzolo, retrazione cutanea o un nodulo palpabile. In questi casi i valori di sensibilità sono più elevati, intorno all’88%, ma la specificità subisce una flessione, intorno al 45%.
La mammografia presenta una serie di limiti; infatti, dal 20 al 30% delle neoplasie mammarie non sono individuabili mammograficamente.(53-55) I motivi sono svariati e comprendono l’elevata densità ghiandolare, il non corretto posizionamento o la ridotta qualità dell'immagine mammografica, la presenza di una lesione o di un'anomalia “distraente”, gli errori di percezione (lesioni non individuate dal radiologo ma presenti sull’immagine), la non corretta interpretazione radiologica (lesione individuata ma interpretata come xxxxxxx) e le lesioni mammografiche fini, come le distorsioni architetturali o le asimmetrie di densità. (56) Le lesioni non individuate corrispondono più spesso a delle opacità spiculate o irregolari che a focolai di microcalcificazioni. Tra il 20-30% dei tumori non individuati alla mammografia, l’11% non sono visibili neanche retrospettivamente, corrispondendo a dei tumori mammograficamente occulti. La densità mammaria è probabilmente il parametro che influenza maggiormente la performance diagnostica della mammografia, con una sensibilità che raggiunge a malapena il 48% in una popolazione di donne dal seno molto denso (57), anche se l'introduzione della tecnologia analogica ha consentito di migliorare in parte questo parametro. (58)
Questa problematica è in crescente aumento a causa di una popolazione sempre più giovane che si sottopone allo screening individuale mammografico, della diffusione dei trattamenti ormonali sostitutivi che aumentano la densità mammaria (59) e dei progressi della genetica molecolare che hanno consentito di identificare le pazienti a rischio in un età relativamente più giovane. Allo stesso modo, la mammografia soffre di una ridotta specificità. Il tasso di falsi positivi è relativamente elevato, con conseguente aumento di biopsie inutili che aumentano lo stress delle pazienti. Infatti, solo il 5-40% delle lesioni ritenute sospette in mammografia e per le quali si pone indicazione ad una biopsia si rileva maligna. (60-62)
2.2. Ecografia
L’ecografia è l'esame complementare alla mammografia. È una tecnica che non utilizza radiazioni ionizzanti e viene effettuata in prima istanza nelle donne giovani (meno di trent’anni), a completamento della mammografia nei casi di seni densi o eterogenei o in presenza di un’anomalia da caratterizzare. L’ecografia consente di precisare la natura tissutale o liquida di un’ anomalia individuata in mammografia. La progressiva evoluzione tecnologica, attraverso il miglioramento della qualità delle sonde, lo sviluppo dell’ elastografia, l'imaging armonico e l'imaging in 3D, ha consentito di migliorare la sensibilità e la specificità della metodica. L’ aggiunta dell'ecografia alla mammografia, raccomandata nelle pazienti con seni densi o con il riscontro di una lesione sospetta, consente di aumentare il numero di tumori individuati del 3,7/1000 nello screening. (63)
L'ecografia è inoltre la tecnica di imaging privilegiata nella guida delle procedure interventistiche, come l'agoaspirato, le biopsie, il posizionamento di reperi e di clip. Tuttavia, essa presenta una sensibilità limitata nei seni con elevata componente adiposa e nella individuazione di lesioni sottocutanee superficiali. Si stima inoltre che fino al 10% dei tumori mammari siano isoecogeni e quindi molto difficili da individuare ecograficamente;(64) inoltre, strutture mammarie normali come tessuto adiposo, tessuto fibrocistico, legamenti di Cooper o altre componenti fibrose, possono essere confuse con i tumori generando un tasso di falsi positivi elevato. L'operatore dipendenza e la difficoltà a studiare tutta la mammella sono i classici limiti dell'ecografia mammaria. Per far fronte a ciò sono stati sviluppati dei sistemi ecografici automatizzati che consentono l'acquisizione volumetrica in 3D della mammella. Questi sistemi migliorano la riproducibilità degli esami ecografici, che non sono più operatori-dipendenti, e consentono di studiare il seno in scansioni coronali o sagittali. Lo studio realizzato da Xxxxx et al, nello screening dei seni densi a completamento della mammografia, ha dimostrato un significativo incremento del numero dei tumori individuati, passando da 3,6/1000 per la sola mammografia a 7,2/1000 per la mammografia associata all’ecografia automatica.(65) Negli Stati Uniti il sistema sono-v® ABUS ha recentemente ottenuto l’approvazione dell’FDA nello screening di donne con seni densi in assenza di anomalie mammografiche.
2.3 Risonanza Magnetica
La risonanza magnetica fornisce immagini tridimensionali della mammella e, grazie all’iniezione ev di mezzo di contrasto, consente di individuare la neo-angiogenesi tumorale. Questa metodica, quindi, permette uno studio sia morfologico (sequenze pesate in T1 e T2) che funzionale (studio della cinetica di perfusione) della ghiandola.
Il razionale su cui si basa la RM deriva dalla capacità di questa tecnica, se utilizzata con mezzo di contrasto, di visualizzare lesioni caratterizzate da marcata vascolarizzazione ed in particolare da fenomeni di neo-angiogenesi, tipica espressione delle lesioni maligne. La neo-angiogenesi comporta un incremento del volume e della permeabilità capillare, oltre all'aumento dello spazio interstiziale,
elementi che ben si coniugano con le caratteristiche del mezzo di contrasto paramagnetico, caratterizzato da diffusione extravascolare ed extra-cellulare. Il mezzo di contrasto impregna le lesioni con angiogenesi, con il conseguente netto incremento dell'intensità di segnale (enhancement) che ne consente la visualizzazione. (66-67)
Fin dai primi studi, tutti gli autori si sono dimostrati concordi sull’elevata sensibilità della tecnica, che per lesioni mammarie maligne è pari a circa il 98% e per lesioni in situ all'80%; altro parametro di grande interesse si è dimostrato il valore predittivo negativo (VPN) molto elevato, intorno al 97%. Alla capacità di identificazione, tuttavia, non corrisponde un’ altrettanto elevata capacità di caratterizzazione: infatti, non solo la maggior parte delle lesioni maligne sono ipervascolarizzate, ma anche alcune alterazioni benigne (fibroadenoma, papilloma, adenosi, ecc) lo sono; ne deriva che, una volta identificata un'area di enhancement, diventi difficile caratterizzarla. Per far ciò ci si basa sugli aspetti morfologici della lesione e sulla dinamica dell’enhancement.(68-69)
La RM mammaria, nella sua applicazione clinica, non è proponibile come esame di prima istanza, nè in sostituzione degli esami tradizionali: infatti, oltre ad essere più indaginosa e meno riproducibile rispetto alla mammografia, è più costosa e gravata dal rischio di falsi positivi.
Le indicazioni alla risonanza magnetica corrispondono ai limiti delle tecniche tradizionali e, pertanto, essa si pone solitamente alla conclusione di un iter diagnostico; spesso, tuttavia, dimostrando una possibile lesione, obbliga a rivalutare il quadro con le tecniche tradizionali e, in particolare, con l'ecografia: è infatti dimostrato come gli ultrasuoni, guidati dalle immagini RM, consentano, in più della metà dei casi, di identificare lesioni precedentemente non riconosciute. La corretta interpretazione del risultato della risonanza magnetica necessita quindi dell'integrazione con la mammografia ed ecografia.
Una delle indicazioni più interessanti all'esecuzione della risonanza magnetica è la valutazione di donne a rischio genetico-familiare, le quali rappresentano una discreta percentuale di tutti carcinomi mammari, peraltro così distribuiti: 10% ereditari, 20% familiari e 70% sporadici. Le donne portatrici di mutazione genica BRCA1 o BRCA2 hanno una probabilità di ammalarsi di tumore al seno fino a 85% durante tutta la vita e del 33-50% prima dei cinquant'anni, a fronte di un rischio della popolazione normale rispettivamente del 7 e 2%. Una delle soluzioni proposte a queste donne è la mastectomia profilattica in giovane età, mentre l'opzione di chemioprevenzione è ancora in fase di verifica; pertanto, da anni, sono stati messi a punto programmi di sorveglianza clinico- radiologica finalizzati alla diagnosi precoce. Studi multicentrici hanno dimostrato come la RM sia in grado di identificare carcinomi mammari non visualizzabili con tecniche tradizionali, anche in fase precoce; questo esame è diventato, insieme alla mammografia annuale integrata con ecografia, l'opzione più corretta per la sorveglianza di tale popolazione.
Altra indicazione è lo studio di donne con metastasi da carcinoma primitivo ignoto, di sospetta origine mammaria all'esame istologico, con esame clinico, mammografia ed ecografia negativi. Questa patologia, nota come CUP syndrome (Carcinoma Unknown Primary), costituisce una minima percentuale di carcinomi mammari, circa lo 0.5%. La manifestazione più frequente è costituita dalla presenza di linfonodi metastatici in ascella, ma può presentarsi anche con metastasi in altre sedi (ossee, polmonari, epatiche). La RM è in grado di identificare il carcinoma primitivo mammario in circa la metà dei casi, consentendo un approccio chirurgico conservativo.
Ulteriore indicazione è la valutazione prechirurgica in donne con diagnosi di carcinoma mammario confermato istologicamente, al fine di definire al meglio l’estensione locale della malattia. In questi casi la RM ha mostrato maggiore accuratezza nel definire le dimensioni della lesione, i rapporti con i tessuti circostanti e il numero di lesioni. Il carcinoma mammario infatti, può essere multifocale, multicentrico e bilaterale; le tecniche tradizionali di imaging spesso non sono in grado di identificare ulteriori lesioni presenti, oltre quella principale.
Altra indicazione di notevole interesse è la valutazione delle pazienti candidate ed in trattamento con chemioterapia neoadiuvante. Quando la neoplasia alla diagnosi ha un diametro >2,5-3cm ed è unifocale, l'approccio di elezione è il trattamento neoadiuvante, nel tentativo di ridurne le dimensioni e poter così procedere ad una chirurgia conservativa. Le tecniche tradizionali di imaging, tuttavia, non sono in grado di distinguere il residuo di malattia dalla necrosi e dalla fibrosi che caratterizzano la risposta alla terapia. La RM, evidenziando solo le aree vascolarizzate, consente una stima accurata del residuo vitale di malattia; alcuni studi hanno dimostrato la possibilità di monitorare con RM la risposta durante la terapia. Pertanto, tale metodica consente la verifica dei requisiti per arruolare le pazienti candidate alla terapia neoadiuvante, ovvero lesione monofocale con diametro >2,5-3cm, il monitoraggio della risposta e la definizione del residuo di malattia.
Lo studio della mammella operata, sia nell'immediato, in caso di riscontro di margini positivi all’istologia, o per mancata asportazione della lesione, in presenza di sospetto di ripresa di malattia alla clinica e/o all’imaging tradizionale, trova nella RM la tecnica di elezione qualora la valutazione istologica non risulti dirimente. Nel controllo a distanza di tempo, la vascolarizzazione ovvero l'angiogenesi tumorale, consente di visualizzare la lesione in caso di recidiva, differenziandola dal tessuto fibroso cicatriziale, poco vascolarizzato.
Ulteriore indicazione allo studio con RM è la valutazione degli impianti protesici. In questi casi la RM raggiunge dei valori di sensibilità, in caso di rottura, molto elevati rispetto alle altre tecniche. L'esame, oltre all'integrità degli impianti, consente di confermare la diagnosi clinica di contrattura della capsula o la dislocazione della protesi, la presenza di raccolte retroprotesiche e la migrazione del silicone.
2.4 NEOVASCOLARIZZAZIONE TUMORALE
2.4.1 Meccanismo della neo-angiogenesi tumorale
Nel 1971 si pensava che una proliferazione cellulare eccessiva fosse sufficiente allo sviluppo di una neoplasia. Xxxxxxx fu il primo a suggerire che questa crescita tumorale dovesse essere necessariamente associata ad un processo di angiogenesi. (70) Infatti, la crescita di un tumore solido è fortemente dipendente dalla presenza di un network vascolare adeguato che fornisca i costituenti indispensabili alla sopravvivenza delle cellule tumorali. Lo sviluppo di questa rete avviene sia attraverso il reclutamento di vasi preesistenti, sia attraverso la formazione di nuovi vasi tumorali. Diversi meccanismi di neoangiogenesi tumorale sono stati sviluppati. Ognuno di essi sembra svolgere un ruolo particolare in funzione del tipo di tumore o dello stadio evolutivo. La ripartizione relativa di ciascun meccanismo resta tuttavia sconosciuta. (71)
Sembra, tuttavia, chiaro che l’angiogenesi sia il meccanismo preponderante nella neovascolarizzazione tumorale. Essa indica lo sviluppo di nuovi capillari a partire da vasi preesistenti. Questo fenomeno è molto limitato nel soggetto sano, presentandosi essenzialmente durante i processi di cicatrizzazione e di riproduzione. Di contro, la sua presenza diventa ingombrante in un gran numero di malattie, come il diabete, la psoriasi e l'artrite reumatoide. (9)
Lo “switch angiogenetico” è una tappa essenziale nello sviluppo tumorale; tale processo è innescato dalla secrezione di fattori angiogenici che inducono la proliferazione, la migrazione e/o la differenziazione delle cellule endoteliali. Lo sviluppo di nuovi vasi a partire dalla vascolarizzazione esistente in un dato tessuto, viene chiamata fase di attivazione angiogenetica; questa necessita della degradazione della membrana basale, della migrazione delle cellule endoteliali verso la matrice extracellulare, della proliferazione delle cellule endoteliali e della formazione di nuovi capillari. Segue una fase di maturazione e di stabilizzazione della nuova rete vascolare, che necessita
dell'inibizione della proliferazione endoteliale, della riparazione della membrana basale e dell'organizzazione delle cellule endoteliali all'interno di un nuovo spazio luminale. (Fig. 3)
1. Fase di quiescenza tumorale
2. Distacco dei periciti e dilatazione vascolare
3. Fase di angiogenesi e di crescita vascolare
4. Formazione e maturazione di nuovi vasi
5. Vascolarizzazione tumorale: crescita neoplastica
cellula normale cellula tumorale
cellula in divisione cellula in apoptosi
vasi sanguigni e periciti
Fig 3. Principali tappe dello “swith angiogenetico”. La maggior parte delle neoplasie cominciano la propria crescita in maniera del tutto “avascolare”, prima di raggiongere uno stato di quiescenza (1) caratterizzato da un equilibrio tra proliferazione ed apoptosi. E’ allora che avviene lo “switch angiogenetico”, al fine di consentire la crescita xxxxxxxxxxx.Xx processo di angiogenesi comincia con la dilatazione vascolare (2), seguito dalla formazione di nuovi capillari (3) e dalla formazione e maturazione della nuova rete vascolare (4). L’angiogenesi prosegue durante la crescita tumorale al fine di assicurae un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti.
L’angiogenesi svolge un ruolo fondamentale nella crescita e disseminazione tumorale. Durante il processo di carcinogenesi, la produzione di alcuni fattori da parte della neoplasia, in particolare VEGF ( Vascular Endothelial Growth Factor) e FGF (Fibroblast Growth factor), in uno stadio molto precoce, non appena si raggiungono i 2mm circa, induce lo sviluppo della neovascolarizzazione per assicurare il trasporto di ossigeno e nutrienti al tessuto neoplastico, permettendone la sopravvivenza e la crescita. In condizioni fisiologiche, dei modulatori angiogenici stabiliscono un equilibrio tra le funzioni locali pro e anti-angiogeniche attraverso l'interazione con i recettori di superficie delle cellule endoteliali. L'attivazione del processo di angiogenesi necessita dunque di una modificazione dell'equilibrio in favore dei fattori proangiogenici. Questo “switch angiogenico” può essere realizzato dalle cellule tumorali attraverso molteplici modi:
- l'ipossia, inducendo la secrezione da parte del tumore dell’HIF (Hypoxia Induced Factor), che favorisce lo squilibrio a favore dei fattori pro-angiogenici e gioca un ruolo fondamentale nell'induzione di diversi fattori pro-angio-genici quali VEGF e PDGF.
- L'attivazione dei protoncogeni (RAS) o la neutralizzazione di alcuni geni oncosoppressori. Un
esempio è la mutazione dell’antioncogene p53, regolatore positivo di fattori anti-angiogenici e negativo di fattori pro-angiogenici, in circa il 50% delle neoplasie.
- La sovraespressione di fattori di crescita, sia direttamente da parte delle cellule tumorali, sia
attraverso il reclutamento di cellule ospiti, come macrofagi, che producono dei propri fattori angiogenici.
Nel caso dell’ angiogenesi tumorale, e contrariamente a quanto avviene nei processi fisiologici, la fase di maturazione non ha luogo. Di conseguenza, l'assenza di stabilizzazione da parte delle cellule muscolari lisce e dei periciti conduce ad un'architettura vascolare del tutto disorganizzata. Quindi l'angiogenesi tumorale appare caratterizzata dalla presenza di vasi molto numerosi distribuiti in maniera anarchica, con cellule endoteliali interrotte, periciti distaccati ed una membrana basale irregolare, dalla presenza di shunt artero-venosi e da un aumento della permeabilità capillare (Fig. 4).
Quest'ultima è responsabile di una modificazione della perfusione e della permeabilità tissutale, evidenziabile dall'imaging e quantificabile con i metodi di imaging moderni.
Fig. 4 Rappresentazione schematica della vascolarizzazione normale ed anormale (in presenza di una neoplasia).
2.4.2.VALORE CLINICO DELL’ANGIOGENESI NEL TUMORE DELLA MAMMELLA
Studi su modelli sperimentali transgenici di neoplasia mammaria hanno mostrato che il parenchima mammario sano adiacente ad un tumore sviluppa un’angiogenesi due volte più frequentemente che il tessuto mammario a distanza, suggerendo che lo switch angiogenico si manifesti prima che le modificazioni morfologiche siano visibili. (72) Inoltre, è stato dimostrato che la quantificazione dell’angiogenesi nelle lesioni mammarie è utile nel predire l'evoluzione di un tumore in situ a tumore infiltrante e la risposta al trattamento. (73) In più, l’angiogenesi del tumore al seno sembra essere correlata alla presenza di micrometastasi ossee (11), oltre che alla sopravvivenza globale. (74)
Il ruolo dell’angiogenesi (in particolare VEGF ed i relativi recettori) è stato indagato come target di numerosi trattamenti. Il beneficio clinico dei trattamenti antiangiogenici è dovuto a meccanismi differenti. Queste molecole inibiscono la crescita dei vasi tumorali, bloccando la formazione di nuove ramificazioni ed inibendo l'arrivo di cellule derivanti dal midollo osseo nel tumore. Consentono, inoltre, la regressione dei vasi preesistenti. Questi trattamenti inibiscono i segnali di sopravvivenza indirizzati alle cellule endoteliali, di conseguenza, queste cellule diventano sempre più sensibili a trattamenti chemioterapici e radioterapici. I farmaci anti-angiogenetici incrementano questa sensibilità normalizzando la rete vascolare. Durante il trattamento, i vasi diventano maturi e funzionali, permettendo di liberare in maniera efficace la molecola antitumorale nel cuore della neoplasia. Questi dati spiegano perché un trattamento antiangiogenico, associato alla chemioterapia, sia più efficace della chemioterapia da sola. Sfortunatamente questa normalizzazione è transitoria. Dopo questa fase, si osserva una eccessiva regressione della vascolarizzazione o una mancata risposta della neoplasia al trattamento.
2.5 IMAGING DELLA NEOANGIOGENESI
La densità microvascolare (MVD microvessel density), valutata attraverso l’immunoistochimica, è il marcatore più frequentemente utilizzato per quantificare l’angiogenesi tumorale; altri parametri ugualmente valutati sono l’ espressione dei fattori angiogenici, le molecole di adesione cellulare, la maturazione dei vasi e la proliferazione delle cellule endoteliali. Tuttavia nessuno di questi marcatori consente una stima affidabile del flusso ematico intratumorale, reperto estremamente variabile in relazione alla presenza degli shunt, dei fenomeni di stasi vascolare o di inversione del flusso nel contesto di una vascolarizzazione anarchica.
L'imaging dell’angiogenesi tumorale consente di studiare in vivo i fenomeni di neovascolarizzazione. Quest’ultima, infatti, gioca un ruolo importante nell’individuazione e nella caratterizzazione di una neoplasia, oltre che nella valutazione dell'efficacia di alcuni trattamenti, come quelli antiangiogenici.
I mezzi di contrasto iodati sono utilizzati da diversi anni al fine di migliorare il contrasto tra i differenti organi e tra la neoplasia ed il parenchima circostante. I mezzi di contrasto utilizzati in TC e RM sono dei prodotti a basso peso molecolare che diffondono in maniera rapida e significativa nello spazio interstiziale. Dopo l'iniezione endovenosa, il mezzo di contrasto raggiunge il circolo arterioso e la rete capillare, attraverso le cui pareti diffonde nello spazio interstiziale fino a quando non si raggiunge un equilibrio pressorio tra lo spazio vascolare e quello interstiziale. La pressione parziale del mezzo di contrasto diminuisce in seguito all'eliminazione renale dello stesso; il farmaco si sposterà dallo spazio interstiziale allo spazio vascolare fino alla sua completa eliminazione.
Il potenziamento contrastografico di un tumore mammario, osservato in RM dopo iniezione ev di mdc, è un fenomeno complesso, legato ad una serie di fattori quali la densità e la permeabilità vascolare, la cellularità e la quantità di acqua libera presente nel settore interstiziale ove diffonde il mezzo di contrasto. Questo spiega il potenziamento precoce ma soprattutto intenso, che si riscontra in un tumore della mammella. La presenza degli shunt artero-venosi, che drenano rapidamente il tumore, spiega in parte il fenomeno del wash-out osservato nella maggior parte dei tumori.
L’imaging dell’ angiogenesi tumorale è un fenomeno complesso che varia in funzione del tipo di neovascolarizzazione tumorale osservata. Infatti, se la neovascolarizzazione è ottenuta principalmente attraverso la cooptazione, i vasi presentano un fenotipo identico al parenchima sano, senza shunt, senza modificazioni architetturali nè aumento della permeabilità capillare. Questo potrebbe spiegare perché i tumori che presentano questo tipo di neovascolarizzazione siano meno visibili all'imaging dopo mdc. Un esempio potrebbe essere il glioblastoma cerebrale, molto difficile da individuare in uno stadio precoce in RM dopo mdc. (75)
In ecografia, l'effetto Doppler, che utilizza le modificazioni di frequenza prodotte attraverso il riverbero delle onde sonore su oggetti in movimento, come gli eritrociti circolanti, è stato inizialmente utilizzato per l'imaging della microvascolarizzazione tumorale. Più recentemente l'associazione del Doppler con mezzo di contrasto specifico ha consentito di migliorare l'individuazione del microcircolo tumorale fino ad un diametro vascolare di circa 40 micron. (76-77) A differenza dei mezzi di contrasto utilizzati in TC e RM, i prodotti di contrasto utilizzati in ecografia, che corrispondono a delle microbolle gassose delle dimensioni comprese tra 1 e 10 micron, restano confinati allo spazio intravascolare, non consentendo lo studio della permeabilità vascolare. L'applicazione dell'ecografia con mdc nella caratterizzazione delle lesioni mammarie ha mostrato una potenziamento più precoce che in RM, evidente già dal 20º secondo dall’iniezione del farmaco.
I tumori maligni presentano un enhancement prevalentemente periferico, a differenza delle lesioni benigne che mostrano un potenziamento più centrale. (78)
Il giudizio resta tuttavia limitato nell’imaging senologico routinario, contrariamente altre strutture come il fegato o i linfonodi. Infatti, l’ ecografia mammaria utilizza onde ultrasonore ad elevata frequenza con indice meccanico elevato, responsabili della distruzione rapida delle microbolle durante il primo passaggio della sonda. In media la la durata del mezzo di contrasto è di circa due minuti, cosa che rende difficile uno studio esaustivo di entrambe le mammelle.
2.5.1.RM MAMMARIA
Le indicazioni attuali all'esecuzione della RM mammaria sono state concordate durante il consenso europeo di Milano del 2008 che includeva oncologi, chirurghi, anatomopatologi e radiologi. (66) Queste comprendono indicazioni in fase di screening, di caratterizzazione, di stadiazione locale e nel follow-up.
- Screening: le indicazioni riconosciute sono: pazienti affette da mutazione BRCA1, BRCA2 o TP53; pazienti con parente di primo grado affetta da mutazione; paziente non sottoposta a verifica o con test non conclusivo se il rischio assoluto di tumore al seno è superiore o pari al 20-25% e pazienti sottoposte a radioterapia del tronco prima dei 30 anni. La RM è ugualmente raccomandata nella detezione delle neoplasie primitive nelle pazienti con metastasi di presumibile origine mammaria ma con un bilancio di estensione standard negativo (mammografia associata ad ecografia).
- Caratterizzazione in caso di dubbio persistente ed impossibilità di realizzare una biopsia dopo un
bilancio standard comprendente mammografia con proiezioni aggiuntive ed ecografia.
- Bilancio di estensione in paziente con tumore del seno istologicamente comprovato; in caso di tumore lobulare infiltrante; discordanza dimensionale tra la mammografia e l'ecografia maggiore di 1 cm; in previsione di un’ irradiazione parziale; diagnosi clinica di tumore con mammografia ed ecografia normali; pazienti di età inferiore ai quarant’anni; chemioterapia neoadiuvante programmata. Le lesioni aggiuntive individuate dalla risonanza magnetica e con potenziale impatto terapeutico devono essere sottoposte ad esame microistologico. L’esecuzione della RM non deve ritardare il trattamento di più di un mese.
- Nel follow-up di un tumore al seno la risonanza magnetica è indicata in caso di trattamento con chemioterapia neoadiuvante (prima di cominciare il trattamento, prima della chirurgia) ed in caso di dubbio diagnostico tra una recidiva locale e una cicatrice posta chirurgica.
Ulteriori indicazioni sono attualmente in fase di valutazione, come la stadiazione locale di un tumore duttale in situ, lo screening delle donne a rischio intermedio (mammelle ad elevata densità, lesioni a rischio istologico), la caratterizzazione di masse multiple, la valutazione di una secrezione mammaria o ancora la valutazione precoce della risposta alla chemioterapia neoadiuvante.
2.5.1.1 Criteri di interpretazione
L'analisi morfologica dell’ enhancement contrastografico costituisce la fase essenziale dell'interpretazione di un esame di RM. Tre sono i tipi di enhancement contrastografico che si possono riscontrare:
- Un enhancement contrastografico di tipo “focus”: Area puntiforme di enhancement <5 mm, troppo piccola per poter essere ulteriormente caratterizzata. Può essere singola o multipla. Nella maggior parte dei casi la presenza di numerose aree focali di enhancement corrisponde alla
proliferazione di tessuto ghiandolare (adenosi focale), o a stimolazioni fisiologiche o farmacologiche. Non necessita di biopsia né di ulteriore sorveglianza.
- Enhancement di tipo “massa”: rappresenta il potenziamento contrastografico di una lesione occupante spazio tridimensionale, di dimensioni >5mm e visibile nelle sequenze morfologiche senza mdc. Questo tipo di enhancement è caratterizzato da forma (rotonda, ovale, lobulata o irregolare), contorni (ben circoscritti, irregolari o spiculati) e potenziamento (omogeneo, eterogeneo, anulare, centrale, setti interni che non potenziano o che potenziano).(Fig. 5)
- Enhancement “senza massa”: tipo di impregnazione che non corrisponde a nessuna lesione identificabile nelle sequenze morfologiche, non occupante spazio e non presenta caratteristiche puntiformi nè di massa. Viene classificato sulla base della distribuzione spaziale (focale, lineare, segmentario, regionale o diffuso) delle caratteristiche interne (omogeneo, eterogeneo, puntiforme, micronodulare o reticolare) e della bilateralità (simmetrico o asimmetrico). (Fig 5)
Pattern di enhancement
Morfologia Margini Descrittori
Fig. 5. Schema riassuntivo dei tre tipi di enhancement contrastografico riscontrabili in RM: focus, mass e non-mass enhancement.
Esaminate le caratteristiche morfologiche e di enhancement di una lesione, si procede alla valutazione cinetica del potenziamento contrastografico, attraverso le curve IS/T.
In questo tipo di valutazione si considera l’enhancement della fase precoce (wash in) espresso dalla verticalità della curva, correlato alla velocità con cui esso si manifesta nei primi 1-2 minuti dell'acquisizione dinamica e che può essere lento, medio o rapido. Schematicamente, si hanno tre tipi di curva (Fig 6):
- Tipo 1: enhancement lento e progressivo
- Tipo 2: enhancement rapido seguito da un plateau.
- Tipo 3: enhancement rapido ed intenso, >100% nei primi 2 minuti , seguito da wash-out.
Fig.6. Cinetica di enhancement dopo iniezione e v di mdc paramagnetico
2.5.2 CORRELAZIONE RADIO-ANATOMO-PATOLOGICA 2.5.2.1.Enhancement del parenchima normale
Questo tipo di enhancement si riscontra più spesso nei seni densi ed è particolarmente significativo nelle donne tra i 35 ed i 50 anni. Ciò è probabilmente dovuto alla presenza di modificazioni adenomatose e fibrocistiche più frequenti in questa fascia di età.
I foci sono le anomalie più frequentemente riscontrate e sono presenti nel 29% delle pazienti sottoposte a RM per delle anomalie riscontrate mammograficamente. (79-80) Le aree di enhancement contrastografico si modificano rapidamente con le variazioni ormonali legate al ciclo mestruale. Esse sono meno evidenti tra il 7 ed il 20º giorno del ciclo.
Ulteriori aree di enhancement contrastografico di tipo benigno che si possono osservare nella ghiandola sana sono le placche di potenziamento eterogeneo, multiple e confluenti, predominanti nelle zone periferiche, correlate istologicamente a delle modificazioni fibrocistiche moderate o severe. (81)
2.5.2.2.Enhancement del carcinoma in situ
La sensibilità della RM nei carcinomi duttali attualmente è valutata intorno al 70% e sembra essere più elevata nei casi di tumore intraduttale di alto grado. (82) Le curve di potenziamento sono spesso poco evocatrici di malignità, perché non presentano un rapido wash-out. L’enhancement contrastografico consente di individuare la porzione non calcifica del tumore in situ, integrando le informazioni fornite dalla mammografia.
Tuttavia la sensibilità e la specificità della RM non sono sufficienti a proporre l’esecuzione della RM come esame di routine nella diagnosi dei focolai di microcalcificazioni sospette. La RM potrebbe avere un ruolo nel bilancio di estensione, mettendo in evidenza dei focolai di tumore infiltrante non individuati inizialmente e consentendo una migliore analisi delle dimensioni tumorali visualizzando la parte non calcifica della lesione.
Tuttavia, la RM sembra sovrastimare l'estensione del tumore in situ, specialmente nelle forme con enhancement eterogeneo.
Il comportamento del tumore in situ in RM è molto variabile, dal momento che possiamo avere dei casi caratterizzati dalla totale assenza di enhancement a casi con potenziamento rapido e rapido wash-out. In presenza di potenziamento contrastografico, quest'ultimo sarà più spesso di tipo non- mass (90% nella casistica di Xxxxx et al) (83) e può avere differenti tipi di distribuzione (Fig. 7):
A
B
C
D
Fig.7 DIstribuzione del NME: in A si osserva un NME di tipo lineare micronodulare; in B lineare; in C lineare ramificato e in D un NME di tipo segmentale, con morfologia triangolare ed apice rivolto verso il capezzolo
- zona focale di enhancement micronodulare
- enhancement lineare
- enhancement duttale (micronodulare secondo un asse diretto verso il capezzolo, con delle ramificazioni duttali)
- enhancement segmentario, triangolariforme con apice verso il capezzolo.
Dal punto di vista della cinetica contrastografica, la maggior parte di questi tumori ha delle curve atipiche, di tipo 1, progressive senza wash-out precoce. Sembra che questo tipo di comportamento sia dovuto non tanto ad un incremento dei microvasi tumorali, quanto ad un aumento della permeabilità capillare. Infatti, uno studio in microscopia a fluorescenza con raggi X ha mostrato la presenza di un’elevata concentrazione di gadolinio lungo ed all’interno dei canali tumorali, in assenza di globuli rossi, suggerendo come il gadolinio penetri e si concentri nei canali tumorali per diffusione, anch’essa correlata ad un aumento di permabilità della membrana basale. Inoltre, i carcinomi in situ presentano un aumento dello spazio extravascolare ed extracellulare. La distanza tra i vasi e i dotti galattofori all’interno della neoplasia, la permeabilità della membrana basale ed il volume dei canali disponibili, sono fattori fisiologici che influenzano il potenziamento contrastografico in RM per questo tipo di tumore.
2.5.2.3.Enhancement del carcinoma infiltrante
La sensibilità della RM nella diagnosi dei tumori infiltranti è del 95-100%, ma con una specificità variabile tra il 26-95%, in base alla popolazione studiata e alla metodica di RM utilizzata.
I falsi negativi corrispondono alle aree di enhancement contrastografico che mascherano una lesione, a determinati sottotipi istologici come il tumore midollare ed alle lesioni di piccole dimensioni (il 3% dei falsi negativi misurano meno di 3mm nello studio di Xxxxxxx et al). (84) Il 60% dei tumori infiltranti ed il 90% dei tumori duttali infiltranti si manifestano sotto forma di una massa. La presenza di contorni spiculati o irregolari è evocatrice della malignità della lesione. Al contrario, contorni netti o lobulati sono più suggestivi di una lesione benigna, anche se talvolta si possono ritrovare nel 17% dei tumori maligni. (85) Il potenziamento contrastografico periferico ha un VPP > 80% per malignità. Alcuni studi di correlazione radio-istopatologica hanno dimostrato che questo tipo di enhancement è da correlare con una densità microvascolare più significativa in periferia che al centro del tumore (Fig. 8) Questo aspetto sembra inoltre essere associato in maniera importante a fattori prognostici negativi, quali grado tumorale elevato ed assenza di recettori ormonali. (86) Più raramente questo aspetto può essere correlato ad una necrosi centrale.
Riguardo la cinetica di potenziamento, il 57% dei tumori infiltranti presenta una cinetica di tipo 3, il 34% di tipo 2 ed il 9% di tipo 1. (87)
Fig 8.Carcinoma lobulare infiltrante in una donna di 50anni. (a) La sequenza T2-pesata mostra una lesione a margini mal definiti nel QIE, ipointensa perifericamente con area di iperintensità centrale. (b) Sequenza T1-pesata dopo iniezione ev di mdc mostra l’intenso enhancement contrastografico, prevalentemente periferico, della lesione.
L’enhancement osservato in RM è tuttavia variabile e dipende dal tipo istologico della neoplasia.
Il carcinoma duttale infiltrante si presenta più spesso sotto forma di una massa a contorni spiculati o irregolari. La cinetica di potenziamento è spesso di tipo 3. (Fig 9)
Il carcinoma lobulare infiltrante è associato ad una sensibilità elevata in RM, stimata intorno al 96% (88). Le principali caratteristiche morfologiche descritte in letteratura sono una massa spiculata (50%), una massa irregolare o spiculata circondata da numerosi foci (30%), un enhancement segmentario con distorsione architetturale (10%). La cinetica di potenziamento e più spesso di tipo 2. Infine, anche se di grandi dimensioni, questo tipo di neoplasia può non presentare alcun potenziamento contrastografico, rappresentando uno dei falsi negativi potenziali della RM.
Il carcinoma mucinoso presenta un potenziamento spesso progressivo, mimando una lesione benigna. La presenza di contorni mal definiti è una criterio discriminante.
Fig.9. Carcinoma duttale infiltrante: si osserva una lesione espansiva di cospicue dimensioni, caratterizzata da intenso e disomogeneo engancement contrastografico, a margini irregolari; si associa una linfoadenopatia, parzialmente necrotica, lungo il prolungamento ascellare omolaterale.
3. CEM (CONTRAST ENHANCED MAMMOGRAPHY)
Ad oggi la RM rappresenta la tecnica gold standard nel fornire informazioni di tipo funzionale riguardo la neovascolarizzazione tumorale, aumentando nel contempo la detezione e la caratterizzione di lesioni maligne.
La RM è caratterizzata da una buona risoluzione spaziale e da un’elevata sensibilità, sebbene sia gravata da una serie di limiti, quali i costi elevati, i lunghi tempi di acquisizione e la ridotta disponibilità sul territorio.
L’angiomammografia è una tecnica emergente nel campo della diagnostica senologica, in cui l’uptake di mdc è utilizzato per evidenziare le aree di neoangiogenesi, in maniera simile alla RM. Sulla base della letteratura recente la CEM si è dimostrata più sensibile della mammografia nelle detezione di lesioni neoplastiche, con valori simili a quelli della RM (96-100%). Questa tecnica sembra essere molto promettente in relazione ai costi limitati, alla più semplice reperibilità ed alla possibilità di poter essere effettuata nelle pazienti che presentano controindicazioni all’esecuzione della RM.
3.1 PRINCIPI TECNICI
Due tecniche di angiomammografia sono state sviluppate: la tecnica a sottrazione temporale e la tecnica a doppia energia.
La tecnica a sottrazione temporale si basa sulla sottrazione logaritmica di immagini acquisite dopo iniezione endovenosa di mezzo di contrasto ad una immagine precontrastografica, permettendo di ottenere una serie di immagini dove solo le aree di contrast uptake sono visibili (Fig.10). Il tipo di mdc, la concentrazione e la quantità iniettata sono le stesse utilizzate in TC, quindi una concentrazione di iodio pari a circa 300-350 mg/ml, una quantità di 1-1,5ml/kg iniettati ad una velocità di circa 1-3ml/s.
Tutte le immagini acquisite utilizzano uno spettro di raggi X ad alta energia, ottenute con tensioni di accelerazione del tubo di raggi X comprese tra 45-49kVp, utilizzando un filtro in rame.(89-91) Come già descritto, ogni immagine ottenuta dopo iniezione ev di mdc viene sottratta logaritmicamente all’ immagine maschera pre-contrasto. Tutte le immagini sono acquisite durante la stessa compressione; tuttavia, il processo di sottrazione necessita di una resincronizzazione spaziale delle immagini in relazione agli artefatti da movimento che insorgono durante la compressione. L’analisi del potenziamento contrastografico e del wash-out della lesione sospetta viene effettuata disegnando delle ROI (region of interest) nelle aree di enhancement e nel parenchima normale. Fatto ciò si ottengono le curve cinetiche di enhancement.
La durata totale di questo tipo di esame è di circa 15 minuti, con una dose di radiazioni erogata compresa fra 1 e 3mGy, simile alla dose erogata in una singola proiezione mammografica.
La differenza rispetto alla RM risiede nel fatto che, in RM, una eventuale neoplasia è già visibile nelle immagini pre-contrastografiche. Un'altra delle limitazioni di questa tecnica consiste nel mantenere la stessa posizione per lungo tempo, generando quindi artefatti da movimento con conseguente degradamento dell'immagine.
La tecnica a doppia energia sfrutta la dipendenza energetica dell’attenuazione subita dai raggi X dalle differenti strutture che attraversano nella mammella, nello specifico iodio e tessuti molli. Una coppia di due immagini, a bassa ed alta energia, è ottenuta dopo somministrazione endovenosa di
mezzo di contrasto iodato. Successivamente, le due immagini vengono elaborate per evidenziare le aree di contrast uptake. (Fig 11).
Fig. 10: Tecnica della sottrazione temporale
Le immagini ad alta energia richiedono un adattamento del sistema digitale; lo spettro di raggi X deve consentire di ottenere un fascio radiante con energia superiore a quella caratteristica del K edge dello Iodio (33,2KeV), oltre il quale l’attenuazione dello Iodio aumenterebbe bruscamente. L’intervallo tra l’acquisizione delle due immagini a doppia energia è di circa 1 secondo e corrisponde quindi alla durata della compressione ghiandolare. Il vantaggio di questa tecnica, rispetto alla precedente, sta nella possibilità di poter acquisire più proiezioni di entrambe le mammelle con una sola iniezione di mdc. (92-93)
L’analisi delle immagini si basa sull’elaborazione di ogni proiezione per ottenere un’immagine sottratta in cui sono visibili solo le aree di contrast enhancement.
I criteri di interpretazione si basano sulla presenza o meno di potenziamento contrastografico, la sua morfologia e l'intensità. La durata totale dell'esame è di circa 5-10 minuti, in relazione al numero di proiezioni realizzate.
La dose totale di radiazioni erogata per una coppia di immagini ad alta e bassa energia è circa 20-50% più alta della dose richiesta per una singola proiezione in mammografia convenzionale, fattore che varia anche in relazione allo spessore mammario ed alla composizione tissutale. (94) Ciascuna delle due tecniche presenta vantaggi e svantaggi. La tecnica a sottrazione temporale offre la possibilità di analizzare la cinetica di enhancement di una lesione sospetta, in maniera simile a quanto si fa in RM. Tuttavia, questa tecnica richiede una compressione ghiandolare prolungata, che duri per tutta la durata dell'acquisizione dell'esame. Questo fattore di disconfort per la paziente è causa di artefatti da movimento: infatti il minimo movimento tra l’immagine maschera e l'Immagine post-contrasto sarà responsabile di artefatti nelle immagini sottratte. Al contrario, la tecnica a doppia energia non fornisce informazioni riguardo la cinetica di enhancement perchè il numero di
immagini ottenute dopo mdc è limitato per motivi di radioprotezione. Tuttavia, questa tecnica consente di acquisire multiple proiezioni della stessa mammella o di entrambe; inoltre, è meno sensibile agli artefatti da movimento perché l'intervallo di tempo tra l'acquisizione ad alta e a bassa energia è molto breve. Infine, dal momento che la durata della compressione della mammella è ridotta, questa tecnica è più tollerata rispetto alla sottrazione temporale.
Fig.11. Tecnica a doppia energia
3.2 STATO DELL’ARTE
3.2.1. Accuratezza diagnostica della CEDM
Dati recenti di letteratura stimano la sensibilità della CEDM nel riconoscere lesioni neoplastiche compresa tra l’86-100%; al contrario, i risultati sulla specificità sono piuttosto discordanti e variabili. Ciò sembra essere dovuto all’ eterogeneità degli studi proposti, nonchè alla relativa bassa numerosità dei campioni ed alla iniziale, scarsa familiarità del radiologo con la tecnica.
Rispetto alla FFDM (Full-Field Digital Mammography) Lobbes et al (95) hanno evidenziato una migliore performance diagnostica della CEDM in una casistica di 113 pazienti richiamate dallo screening. Gli autori hanno osservato valori di sensibilità pari a 100%, specificità 88%, VPP 76% e VPN 100%. In particolare, la metodica si è dimostrata molto utile nel migliorare la specificità, riducendo così i FP. Un dato molto interessante è l’elevato VPN, indicativo di assenza di neoplasia in mancanza di enhancement.
Uno studio che ha dimostrato analoghi risultati è quello condotto da Xxxxx et al (96) su 199 pazienti richiamate dallo screening, ove si sono osservati elevati valori di accuratezza diagnostica rispetto all FFDM.
Una recente metanalisi è stata effettuata da Xxxxxxxxxx et al (97) su tutta la letteratura esistente riguardo la CEDM, utilizzando il metodo PRISMA ( (Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses) consistente in una checklist di 27 requisiti di idoneità. Dei 643 studi esaminati, solo 8 rispettavano i criteri; di questi, 4 erano prospettici e 4 retrospettivi. Gli autori hano evidenziato valori di sensibilità pari al 98% e circa 58% per la specificità; tuttavia quasta analisi presenta una serie di limitazioni, quali l’eterogeneità degli studi analizzati (prospettici e
retrospettivi), compresi anche tre studi provenienti dallo stesso gruppo di lavoro; inoltre, la specificità è stata valutata in soli 6 studi, mentre la sensibilità in 8.
Dal momento che l'immagine a bassa energia presenta le stesse caratteristiche fisiche (stesso kVp) della FFDM, alcuni studi si sono focalizzati sul confronto tra immagini CEDM a bassa energia e le immagini ottenute con FFDM, per dimostrarne l’equivalenza in termini di accuratezza diagnostica. Questi studi concordano tutti nell'affermare che non vi sia differenza statisticamente significativa tra le immagini a bassa energia e la FFDM. In particolare, in uno studio di Xxxxx et al (98), due radiologi indipendenti hanno osservato 147 casi di FFDM e di CEDM a bassa energia, mettendoli a confronto utilizzando i 20 criteri EUREF. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative dal punto di vista della qualità delle immagini per 17/20 criteri, indicando che le immagini a bassa energia sono accurate quanto quelle ottenute con FFDM.
In uno studio della Fallenberg et al (99) la CEDM ha dimostrato la stessa sensibilità della CEDM
+FFDM con un incremento del 6.2% dell AGD (average glandular dose). Gli autori suggeriscono che quando sai disponibile la CEDM, la FFDM può essere evitata, con una riduzione del 61% della dose di radiazioni, specialmente nelle donne con seno denso.
Xxxxxx et al (100) hanno ipotizzato che la CEDM possa essere una metodica utile nella valutazione delle microcalcificazioni. In questo studio sono state analizzate 59 donne con microcalcificazioni sospette senza una massa associata, per verificare una eventuale correlazione tra il tipo di microcalcificazioni e l’uptake di mdc. In totale 37 microcalcificazioni sono state classificate a basso rischio e 22 a rischio intermedio o alto. Delle 59 microcalcificazioni, 22 sono state diagnosticate come tumori, 19 come lesioni atipiche e 18 come lesioni benigne. Quando le microcalcificazioni venivano classificate ad alto rischio, si è osservato un enhancement in CEDM. Tuttavia, la presenza di enhancement non era necessariamente suggestiva di malignità, dal momento che anche le microcalcificazioni benigne possono mostrare potenziamento contrastografico. 10 delle 37 microcalcificazioni amorfe erano associate ad enhancement; cinque sono state diagnosticate come neoplastiche e cinque come non neoplastiche. Delle 22 microcalcificazioni a rischio intermedio ed alto, 16 mostravano enhancement, di queste 15 erano neoplastiche e una non neoplastica. La sensibilità dell’enhancement si è rivelata pari a 90.9% , con 83.8% di specificità, VPP 76.9% e VPN 93.94%.
La CEDM può anche essere utilizzata nella valutazione delle distorsioni architetturali; il razionale dietro questo utilizzo risiede nel fatto che distorsioni sospette mammograficamente che presentano contrast enhanncement sono meritevoli di ulteriori approfondimenti, mentre l’assenza di potenziamento può evitare biopsie inutili.(101)
Uno degli studi più significativi in tal senso è stato condotto da Xxxxx et al (102) su 49 distorsioni architetturali: gli autori hanno osservato che le distorsioni individuate in tomosintesi e che mostravano contrast enhancement in CEDM erano spesso associate alla presenza di lesioni maligne. Il 75% delle distorsioni mostravano enhancement, con VPP del 78,4%, sensibilità del 96,7%, specificità del 57,9% e VPN del 91.7%. L’elevata sensibilità e VPN della meodica in presenza di distorsoni architetturali sembra essere molto promettente nella diagnosi di lesioni maligne aiutando anche ad evitare biopsie inutili in assenza di contrast enhancement.
3.2.2 CEDM nelle mammelle dense
E’ ormai noto che uno dei limiti maggiori della FFDM sia l’elevata densità mammaria.
La CEDM sembra avere del potenziale nel migliorare la sensibilità della metodica mammografica. Xxxxxxxxxx et al (103) si sono focalizzati su questo argomento, confrontando la sensibiltà della FFDM e CEDM rispetto alla FFDM + CEDM. I risultati hanno dimostrato una migliore sensibilità della CEDM rispetto alla FFDM nelle mammelle dense (93% vs 72%) e valori simili sono stati
ottenuti per la CEDM rispetto alla FFDM+CEDM. Tale metodica è stata pertanto proposta come valida alternativa nelle mammelle dense.
Da allora, altri studi hanno confermato i risultati della Fallenberg. In uno studio condotto da Xxxx et al (104), gli autori hanno suggerito che la CEDM fornisca una migliore performance diagnostica rispetto alla FFDM; infatti l'utilizzo della CEDM è in grado di ridurre i falsi negativi, specialmente nelle donne con seno denso. In questo studio sono state analizzate 143 mammelle sottoposte sia a CEDM che a FFDM e al 40% di queste è stata diagnosticata una neoplasia sulla base dell’ esame microistologico. La CEDM ha evidenziato otto falsi negativi tra i 58 tumori mammari (sensibilità dell'86%) e cinque falsi positivi (specificità del 94%). L'accuratezza della metodica era pari al 91%. Al contrario la sensibilità della FFDM era pari al 53% con una specificità dell'86%. La FFDM non ha evidenziato 27 casi di tumore mammario; di questi 27, 25 sono stati riscontrati in mammelle dense.
Xxxxxx et al (105) hanno analizzato 100 lesioni (72 neoplasie e 28 lesioni benigne) in 89 donne. L'utilizzo della CEDM ha migliorato la diagnosi di neoplasia rispetto alla FFDM sia in termini di sensibilità che di specificità. (Tabella 7)
Tabella 7.Confronto sensibilità/specificità tra CEDM e FFDM nelle mammelle dense
La CEDM sembra essere di grande aiuto come metodica problema-solving nei casi inconclusivi con le metodiche tradizionali. Xxxxxxxx et al (106) hanno analizzato 195 pazienti con lesioni dubbie identificate all'imaging convenzionale. Il mdc ho consentito di identificare e caratterizzare nuove lesioni; dei 195 casi, il 21% ha modificato il planning terapeutico, subendo un intervento più esteso o sottoposte a chemioterapia neoadiuvante, mentre sono state evitate biopsie non necessarie in 20 pazienti con reperti CEDM negativi. L’ utilizzo della CEDM ha migliorato la diagnosi di tumore rispetto all'imaging convenzionale, con valori di sensibilità del 94%, specificità 74%, VPP e VPN pari a 91% e 81% rispettivamente.
3.2.3 CEDM a confronto con la RM mammaria
La CEDM si è dimostrata una potenziale alternativa alla RM nell’imaging funzionale della mammella, evidenziando le aree di maggior vascolarizzazione correlate all'angiogenesi tumorale. Molti sono stati gli studi focalizzati sul confronto tra le due metodiche.
La sensibilità sì dimostrata la stessa per entrambe, mentre per quanto riguarda la specificità, sono ancora pochi i dati disponibili in letteratura. Lo studio di Xxxxxxxxxx è stato l'unico ad aver confrontato la specificità delle due metodiche, riscontrando valori pari al 94% per la CEDM e dell’ 88% per la RM. (Tabella 8)
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Tabella 8.Confronto sensibilità/specificità tra CEDM e RM: la sensibilità è simile per entrambe le metodiche, mentre la specificità è significativamente più alta per la CEDM nell’unico studio che ha analizzato questo valore. Anche il VPP è alto sia per la CEDM che per la RM, riducendo così il numero di FP.
Il primo studio che ha confrontato le due metodiche è stato quello di Xxxxxxxxx et al (107); entrambe hanno identificato 50/52 lesioni, mostrando la stessa sensibilità (96%), sebbene la CEDM abbia dimostrato una sensibilità inferiore nell'identificare lesioni aggiuntive omolaterali, rispetto alla RM. La CEDM ha mostrato un maggiore VPP (97% vs 85%), aumentando così la specificità ed evidenziando solo due falsi positivi rispetto ai 13 della RM. Questi risultati potrebbero essere spiegati dalla differente tempistica di acquisizione delle due metodiche e dalla differente composizione molecolare del mezzo di contrasto; il mdc iodato persiste nella mammella per più di 10 minuti, consentendo una migliore visualizzazione delle lesioni con enhancement ritardato.
Xxxxxxxxx et al (108) hanno arruolato 102 pazienti in uno studio CEDM/RM, identificando 118 lesioni con entrambe le metodiche. La sensibilità si è rivelata del 100% con la CEDM e del 93% con la RM; l'accuratezza diagnostica pari al 79% con la CEDM e del 73% con la RM. Questi risultati dimostrano che la CEDM ha un elevato VPN, simile a quello della RM.
Il gruppo di Xx et al (109) ha retrospettivamente confrontato le due metodiche su 48 pazienti; la CEDM ha evidenziato 64 lesioni, tutte visibili anche in RM, di cui 62 maligne e due benigne. La RM aveva evidenziato 66 lesioni, due in più rispetto alla CEDM, rivelatesi poi benigne all'esame istologico. Entrambe le metodiche hanno mostrato una sensibilità del 100%, ma la CEDM ha mostrato un miglior VPP e un minor tasso di falsi positivi. La morfologia delle lesioni maligne era la stessa sia in CEDM che in RM.
Un altro studio della Fallenberg (110) ha confrontato le dimensioni della lesione indice tra FFDM, RM e CEDM in 59 casi sottoposti a tutte e tre le metodiche. I risultati hanno evidenziato una lieve sottostima delle dimensioni tumorali della FFDM e RM rispetto alla CEDM ed all’istologia, confermando come la CEDM abbia una buona correlazione con l'istologia nel determinare le dimensioni tumorali (Tabella 9).
Tabella 9. Confronto delle delle dimensioni tumorali tra FFDM, CEDM e RM
Lobbes et al (111) ritengono che la CEDM non sia inferiore alla RM nella valutazione delle dimensioni tumorali; infatti, utilizzando il campione chirurgico come gold standard, gli autori hanno valutato 57 esami CEDM confrontandoli con la RM. Il coefficiente di correlazione di Xxxxxxx era
>0.9 per la CEDM vs l’istopatologia, con p<0.0001, lo stesso valore riscontrato per la RM, con una differenza media di 0.03mm (vs 2.12 per la RM), dimostrando la non necessità di effettuare una RM dopo aver eseguito la CEDM.
3.3 PROTOCOLLO
Prima di cominciare l'esame, la paziente deve essere informata riguardo la procedura e le possibili reazioni avverse al mezzo di contrasto iodato, fornendo il suo consenso alla procedura. Dopo un adeguato ragguaglio anamnestico, comprendente un’eventuale diatesi allergica, nonchè la valutazione dei valori di funzionalità renale, viene posizionato un accesso venoso con un ago di 22- G nella fossa antecubitale. Attraverso un iniettore viene somministrata una dose di 1,5 ml/kg di mdc iodato (300-370 mgI/ml) ad una velocità di 2-3mL/s; viene successivamente somministrata una dose di 20mL di soluzione salina per aumentare il rilascio di mdc ai tessuti, migliorando quindi la qualità dell'immagine. Terminata la somministrazione del farmaco, il tubo di connessione è staccato dalla paziente, mentre l’accesso venoso resta in sede fino alla fine dell'esame. L'acquisizione delle immagini comincia due minuti dopo l'iniezione, cercando di terminare l'esame entro 8 minuti. Durante questo periodo di tempo la paziente viene monitorata per ogni reazione avversa al mezzo di contrasto iodato. Il ritardo di due minuti dopo l'iniezione è essenziale dal momento che, cominciando la compressione della mammella troppo precocemente, si rischia che il mdc venga ritenuto nei vasi all'esterno della mammella, impedendogli di fluire in quantità necessaria per poter essere visualizzato nelle immagini precoci.
L'acquisizione delle immagini prevede le classiche proiezioni in CC e MLO per entrambe le mammelle, a bassa e ad alta energia. Si comincia di solito dalla mammella sede della neoplasia per poter evidenziare l'enhancement precoce e minimizzare i risultati falsi negativi derivanti da un wash-out precoce; successivamente si procede all’imaging della mammella controlaterale. Se si osserva un enhancement nel lato sospetto, si effettua un'ulteriore proiezione dopo otto minuti, per valutarne la cinetica di enhancement e stabilire la probabilità di malignità.
I radiogrammi a bassa energia sono eseguiti con lo stesso kVp della mammografia digitale, cioè 25-33 kVp, e con lo stesso filtro di rodio o argento. L'acquisizione ad alta energia è invece seguita con valori di kVp più alti, compresi tra 45-49, ottimizzandoli al K-edge dello Iodio ed usando un filtro in rame. Il filtro in rame rappresenta la scelta più idonea dal momento che questo materiale è relativamente trasparente ai raggi X alle energie in cui vengono attenuati dall iodio, fornendo quindi un contrasto elevato nelle immagini. Le immagini ricombinate sono prodotte dall'eliminazione del tessuto ghiandolare di fondo ed inviate al PACS, insieme alle immagini a bassa energia.
3.4 INDICAZIONI CLINICHE
Come discusso in precedenza, i principi teorici alla base della RM e della CEDM sono pressoché comparabili; sulla scorta delle crescenti evidenze scientifiche, anche le indicazioni cliniche sono sovrapponibili. In termini di tolleranza da parte della paziente, sembra che la CEDM venga preferita rispetto alla RM; tuttavia, si deve sottolineare che la mammografia con mezzo di contrasto è ancora una tecnica relativamente recente e, di conseguenza, le basi scientifiche sulla sua applicazione derivano da studi retrospettivi o da studi con casistiche relativamente limitate.
3.4.1. Reperti dubbi riscontrati agli esami di imaging convenzionali
La popolazione in cui più frequentemente si riscontrano dei reperti inconclusivi sono le donne che partecipano ai programmi di screening. Infatti, nella maggior parte di questi programmi, vengono acquisite delle proiezioni standard sulla base delle quali il radiologo può decidere di richiamare la paziente per ulteriori approfondimenti in caso di reperti dubbi.
Lobbes (95) ha studiato la performance diagnostica della CEDM in pazienti richiamate dal programma di screening nazionale. La CEDM si è dimostrata molto utile in questo contesto clinico,
rispetto alla metodica digitale: delle 116 pazienti richiamate, 113 sono state sottoposte all’esame; la mammografia con mezzo di contrasto ha mostrato valori di sensibilità pari al 100% (+3% rispetto alla FFDM),specificità 88%(+46%), VPP del 76% (+37%) e VPN del 100% (+3%).Tuttavia, solo due radiologi hanno partecipato alla lettura delle immagini.
Uno studio successivo di Xxxxx et al (96) ha coinvolto 10 radiologi nella lettura di 199 casi di CEDM, ognuno con differenti livelli di esperienza con la metodica. Di nuovo la CEDM è stata in grado di aumentare l'accuratezza diagnostica in tutti i lettori, con livelli di sensibilità e specificità pari al 90% e 70% rispettivamente. Gli autori concludono sostenendo che questi risultati iniziali sono stati confermati anche in presenza di radiologi meno esperti nella lettura degli esami CEDM. Per poter essere utilizzata come metodica problem-solving, la tecnica scelta deve essere caratterizzata da un'elevata sensibilità. La letteratura ci ha esaustivamente dimostrato come la mammografia con mdc abbia una sensibilità paragonabile a quella della RM.
Xxxxxxxxx et al (107) in uno studio in cui si confrontavano le due metodiche su 52 donne, hanno dimostrato una pari sensibilità:96%; tuttavia,la CEDM ha rivelato meno falsi positivi rispetto alla RM. In uno studio caratterizzato da più lettori, Xxxxxxxxxx et al (103) hanno analizzato la performance diagnostica delle due metodiche in una coorte di 64 lesioni mammarie, concludendo che la curva ROC per la CEDM fosse significativamente maggiore rispetto alla mammografia digitale (0.84 vs. 0.79) e simile a quella della RM.
Questi studi dimostrano come la CEDM sia un'ottima metodica problem-solving, con valori di sensibilità nell'evidenziare lesioni maligne pari a quelli della risonanza magnetica. Inoltre, alcuni studi suggeriscono che anche la specificità sia maggiore, risultando in minori reperti falsi positivi quando utilizzata a questo scopo.
3.4.2 Stadiazione pre-operatoria
Nella stadiazione preoperatoria di una neoplasia è necessario che la metodica scelta sia in grado di delineare l'estensione del tumore nel modo più accurato possibile. Ad oggi la risonanza magnetica è considerata la metodica più accurata in tal senso, essendo superiore alle tecniche di imaging convenzionali.
Fallenberg (110) è stata la prima a studiare la correlazione tra le dimensioni misurate in CEDM e quelle misurate in RM, utilizzando i risultati istopatologici come gold standard. La correlazione, espressa dal coefficiente di Xxxxxxx, si è rivelata pari a 0.603 per la mammografia digitale, 0.654 per la RM e 0.733 per la CEDM.
Nello studio successivo di Lobbes et al (111) le dimensioni tumorali misurate in CEDM sono state confrontate con i risultati istopatologici in 87 pazienti. In 57 di queste era disponibile anche un esame RM. In questo studio entrambe le metodiche hanno mostrato un’ eccellente concordanza con i risultati istologici, con un coefficiente di Xxxxxxx lievemente più alto per la RM (0.915) rispetto alla CEDM (0.905). Tuttavia, utilizzando i Xxxxx-Xxxxxx plots, si è osservato che la risonanza tendesse ad una modesta sovrastima delle dimensioni (media di differenza 2.12mm) rispetto alla CEDM (media di differenza 0.03mm). Tuttavia, queste piccole differenze non avevano alcun impattato sull'esito chirurgico, osservando che la risonanza magnetica non apportasse alcun vantaggio ulteriore rispetto alla CEDM in nessuno dei casi.
Una situazione in cui il ruolo della risonanza sembra essere dirimente è la stadiazione del carcinoma lobulare infiltrante; diversi studi in letteratura hanno dimostrato l'abilità della RM nel delineare in maniera accurata l'estensione tumorale, impattando notevolmente anche sulla chirurgia.
Un'altra problematica nel bilancio di estensione preoperatorio è la valutazione della multifocalità e controlateralità. Tuttavia, ancora non sono stati pubblicati studi di confronto tra RM e CEDM in tal senso. Xxxxxx et al (112) hanno studiato l'impatto di reperti aggiuntivi, riscontrati solo con la
CEDM, in donne richiamate dalle screening. Delle 70 lesioni aggiuntive evidenziate in 839 pazienti, il 54,3% è stato dimostrato essere foci addizionali di tumore mammario, dimostrando quindi la buona affidabilità della metodica in tal senso.
3.4.3 Risposta alla terapia neoadiuvante
Diversi studi in letteratura hanno dimostrato come la risonanza magnetica sia la metodica più adatta nella valutazione della risposta alla terapia neoadiuvante. Due recenti studi hanno pubblicato i risultati iniziali sulla performance diagnostica della CEDM nel monitoraggio della risposta alla terapia neoadiuvante.
ElSaid (113) è stato il primo a descrivere la capacità della mammografia con contrasto nel predire la risposta patologica in queste pazienti. La CEDM è stata effettuata su 21 pazienti dopo il completamento della terapia; la risposta patologica completa è stata raggiunta nel 28.5% di esse. La sensibilità della metodica è stata calcolata pari al 100% con una specificità dell’83%. Sebbene la numerosità del campione fosse molto limitata, la metodica si è dimostrata promettente in questo campo.
Xxxxx et al (114) hanno effettuato uno studio più dettagliato su 46 casi di donne trattate con chemioterapia neoadiuvante. Le pazienti sono state sottoposte sia a CEDM che a RM come da protocollo; i risultati sono stati molto incoraggianti per quanto riguarda la CEDM, che ha predetto la risposta patologica completa in modo acurato, sebbene entrambe le metodiche avessero sottostimato lievemente il residuo tumorale.
Sebbene questi risultati iniziali siano molto promettenti, sono ancora pochi i dati di letteratura a supporto del ruolo della CEDM in tal senso.
3.4.4 Screening delle pazienti ad alto rischio
La Risonanza Magnetica svolge un ruolo fondamentale nello screening delle donne a rischio intermedio o elevato di sviluppare un tumore al seno. Infatti, in queste pazienti, sia le linee guida americane che europee raccomandano dei programmi di screening specifici basati sull’utilizzo di questa metodica, sulla scorta di innumerevoli studi presenti in letteratura che ne hanno dimostrato l’efficacia. Tuttavia, la RM è una metodica costosa, gli attuali protocolli sono piuttosto lunghi in un contesto di screening, senza contare tutte le pazienti che non posso sottoporsi all'esame per eventuali controindicazioni.
Viste le similitudini fra le due metodiche, la CEDM potrebbe essere considerata come la metodica di imaging nello screening di questo tipo di pazienti. Xxxxxxxxx et al (115) hanno effettuato uno studio pilota in una coorte di 307 pazienti sottoposte sia a CEDM che a RM. Nel primo round di screening sono stati identificati tre tumori, tutti evidenti in RM. Solo due di questi sono stati evidenziati anche in CEDM, ma nessuno era visibile nell'immagine a bassa energia. Dopo due anni di follow-up, sono stati identificati altri cinque tumori. Il VPP di entrambe le metodiche si è rivelato simile:15% per la CEDM vs 14% per la RM; i valori di specificità sono stati rispettivamente del 94,7% e 94,1%. Gli autori hanno così concluso che la mammografia con mezzo di contrasto potrebbe essere considerata come metodica alternativa alla RM quando quest'ultima non sia disponibile.
3.4.5 Valutazione integrità dispositivi protesici
I dispositivi protesici posso andare incontro a rottura intracapsulare o extra-capsulare, richiedendone quindi la sostituzione. La valutazione clinica dell'integrità delle protesi mammarie è complicata e numerose sono le tecniche di imaging utilizzate. La risonanza magnetica, utilizzando protocolli specifici, differenti da quelli oncologici, è la tecnica più accurata nella valutazione dell'integrità della protesi, con una sensibilità variabile tra l’ 80-90%. E’ importante ricordare che il protocollo non prevede la somministrazione di mezzo di contrasto e che eseguire una CEDM senza contrasto vorrebbe dire effettuare una mammografia tradizionale. La CEDM potrebbe essere utile in ambito oncologico nelle pazienti che hanno subito un impianto protesico. Tuttavia, l’esecuzione di questo esame in presenza di dispositivi protesici da luogo a molti artefatti, specialmente nell'immagine ricombinata. Di conseguenza, la risonanza magnetica rimane la metodica di scelta in queste pazienti.
4. LA NOSTRA ESPERIENZA
4.1 Obiettivo dello studio
Come già descritto, ad oggi la RM è la metodica più sensibile nella diagnosi del tumore alla mammella, sebbene inferiore alla mammografia digitale in termini di specificità. (66) Deve essere eseguita in condizioni molto specifiche, come lo screening di donne ad alto rischio, nel bilancio di estensione e nel monitoraggio della risposta alla chemioterapia neoadiuvante. Tuttavia, i costi elevati e la scarsa disponibilità sul territorio, nonché la presenza di controindicazioni assolute in alcuni casi, costituiscono delle limitazioni significative alla sua applicazione.
La letteratura recente si è focalizzata molto sul confronto tra CEDM e RM nella valutazione dell'estensione tumorale, sebbene alcune caratteristiche della RM ne limitino il suo utilizzo in determinate occasioni. (109,111,117,118)
Proprio in questo ambito la CEDM potrebbe dimostrarsi una valida e più sicura alternativa alla RM, oltre che caratterizzata da una maggior tollerabilità.
L’obiettivo dello studio è confrontare le dimensioni tumorali misurate in CEDM con l’esame istologico (utilizzato come gold standard), analizzando anche eventuali fattori responsabili delle differenza fra le due misurazioni (tipo istologico, grado istologico, caratteristiche di enhancement).
4.2 Materiali e metodi
Il protocollo è stato approvato dal comitato etico dell’Azienda Ospedaliera Careggi.
Tutte le procedure sono state eseguite in accordo agli standard etici della Dichiarazione di Helsinki del 1964 e dei suoi successivi emendamenti.
Tutte le pazienti hanno firmato il consenso informato prima di sottoporsi all’esame.
Da Gennaio 2016 a Gennaio 2018, 263 pazienti (età media 59.03 aa) affette dal tumore al seno istologicamente comprovato sono state sottoposte ad esame CEDM nel reparto di diagnostica senologica dell’Ospedale Universitario Careggi.
I criteri di esclusione sono stati:
- pazienti sottoposte a terapia sistemica;
- casi in cui la lesione indice fuoriusciva dal campo di vista della CEDM;
- presenza di ematoma post-biopsia o significativo background enhancement con conseguente mascheramento della lesione.
Gli esami CEDM sono stati effettuati con sistema mammografico Selenia (Hologic, Massachusetts USA), dotato di iniettore automatico (Bayer HealthCare, Berlin Germany). Dopo una singola iniezione di mezzo di contrasto iodato (Iomeron 400 mg / mL, 1.5 mL / kg) sono state acquisite due proiezioni, cranio-caudale (CC, due minuti dopo l’iniezione) e medio-laterale-obliqua (MLO, 4 minuti dopo l’iniezione), cominciando dal lato affetto dalla neoplasia. Il tutto al fine di catturare l'enhancement arterioso precoce, cercando di minimizzare i falsi negativi che potrebbero derivare da un washout precoce. L’acquisizione delle immagini veniva effettuata due minuti dopo l'iniezione, cercando di completare l'esame entro 10 minuti.
I parametri di esposizione sono stati regolati in base alle dimensioni ed alla densità ghiandolare, utilizzando una tabella di valori predefinita. Il processo di sottrazione delle immagini ha consentito di eliminare il tessuto ghiandolare, aumentando la risoluzione di contrasto dell’enhancement.
Tre radiologi con almeno 25 anni di esperienza nell’imaging mammario hanno visualizzato gli esami su una workstation ad alta risoluzione (Barco, Belgium). Sono state misurate le
dimensioni delle lesioni indice riportando il diametro massimo nelle scansioni precoci e cercando il wash-out in quelle tardive, laddove ci fosse.
In caso di mancato enhancement, la lesioni indice è stata misurata come 0 mm; in caso di malattia multicentrica e multifocale è stato misurato il reperto di maggiori dimensioni.
260 casi di tumore al seno sottoposti a CEDM
3 lesioni fuori FOV
4 ematomi ed 1 BPE che copriva l’intera lesione
10 pz sottoposte a terapia sistemica
80 referti istologici non disponibili
162 casi rimanenti
Schema 1. Campione finale della popolazione di studio
Per valutare il tipo di enhancement sono stati utilizzati i criteri RM: Mass Enhancement (lesione occupante spazio), Non Mass Enhancement (NME, lesion senza effetto massa), Ring enhancement (sottotipo del mass enhancement).
Anatomopatologi dedicati alla patologia mammaria hanno effettuato l'analisi istologica: le dimensioni tumorali sono state valutate macroscopicamente e/o microscopicamente su sezioni di ematossilina/eosina. Nei casi di tumore duttale in situ attorno a focolai di tumore infiltrante, sono state riportate le dimensioni comprendenti il diametro massimo di entrambe le lesioni. Nei casi di tumore infiltrante multicentrico e multifocale è stata riportata l’estensione del focus di maggiori dimensioni. Sono stati valutati anche il grado istologico e l’istotipo.
Analisi statistica
Il test di Xxxxxxx è stato eseguito per correlare le dimensioni virtuali con quelle derivanti dall’esame istologico. Valori di p < 0.01 sono stati considerati statisticamente significativi.
Per la concordanza tra le misure, le differenze medie riscontrate in CEDM rispetto ai risultati istologici sono state utilizzate per determinare i LOA attraverso i Bland-Xxxxxx plots.
Una differenza di 10mm tra le dimensioni CEDM e quelle istologiche è stata assunta come cut-off critico, sulla base dei margini chirurgici e della letteratura esistente. Il campione è stato cosi suddiviso in due gruppi: gruppo A, che include i casi in cui si è riscontrata una perfetta congruenza tra i diametri misurati in CEDM e quelli misurati istologicamente; i casi in cui si è osservata una sovrastima ed una sottostima all’imaging <10mm; ed il gruppo B, che ha incluso i casi in cui si è osservata una sovrastima ed una sottostima CEDM >10mm.
Sono state anche analizzate le differenti distribuzioni dei tipi e gradi istologici, nonchè del tipo di contrast enhancement.
4.3 Risultati
Il campione finale comprendeva 162 pazienti. (vedi schema 1)
Sono stati calcolati i coefficienti di correlazione di Xxxxxxx sia per la CEDM che per l’istologia: si è osservata una forte correlazione (r=0.852) tra le due variabili ed una lieve sovrastima da parte della CEDM (Fig. 12). L'analisi di concordanza di Xxxxx-Xxxxxx istologia-CEDM ha rivelato un bias medio di 3.19mm tra le due misurazoni. LOA (95%) compresi tra -12.08mm e 18.48mm (Fig. 13)
Figura 12: Diagramma di dispersione derivante dalla correlazione di Xxxxxxx fra le dimensioni CEDM e quelle istologiche.
Figura 13: Xxxxx-Xxxxxx plots. Biopsy-CEDM è la differenza tra gli indici; la linea rossa indica il bias e le linee verdi i LOA tra gli indici.
Sono stati quindi individuati due gruppi, A e B, sulla scorta delle differenze tra le due misurazioni (Tabella 10). La tabella 11 mostra le caratteristiche demografiche e tumorali nei due gruppi.
Per capire se la maggiore sovra o sottostima riscontrata nel gruppo B dipendesse da specifici fattori, sono state effettuate ulteriori analsi: è stato quindi analizzato il tipo di contrast enhancement
(Tabella 12). I casi i cui non si è osservato potenziamento (considerati 0mm in CEDM) sono stati 3: 2 CDI NOS G2 di 3 e 6mm ed un carcinoma cribriforme infiltrante G2 di 4mm. Sono stati anche analizzati i differenti gradi e tipi istologici nei due gruppi A e B (Tabelle 13-14). La tabella 15 mostra la correlazione tra il tipo istologico ed il tipo di contrast enhancement.
Tabella 10: gruppo A e B
Group | Difference | N (%) |
A | Overestimation <= 10 mm | 81 (50) |
Underestimation <= 10 mm | 25 (15.4) | |
Congruence | 36 (22.2) | |
B | Overestimation > 10 mm | 18 ( 11.1) |
Underestimation > 10 mm | 2 (1.2) |
Tabella 11: Caratteristiche demografiche e caratteristiche tumorali nel gruppo A e B
Characteristics | Group A | Group B |
N (%) | 142 (87.65 %) | 20 (12.35%) |
Age | Mean 59.8 (sd 1.08) | Mean 53.36 (sd 1.75) |
Histotype | ||
• IDC NOS 64 (45%) | • IDC NOS 5 (25%) | |
• IDC NOS+CDIS. 18 (12.07%) | • IDC NOS+DCIS 6 (30%) | |
• Invasive ductal and lobular carcinoma 13 | • Invasive ductal and lobular carcinoma 3 | |
(9.2%) | (15%) | |
• ILC 13 (9.2%) | • ILC freq. 2 (10%) | |
• TC 12 (8.5%) | • TC freq. 1 (5%) | |
• Others 14 (9.9%) | • Others 2 (10%) | |
• DCIS 8 (5.6%) | • DCIS freq. 1 (5%) | |
Grade | • G1 41 (28.9%) | • G1 3 (15%) |
• G2 62 (43.7%) | • G2 9 (45%) | |
• G3 39 (27.5%) | • G3 8 (40%) | |
CESM size | Mean 19.20 mm (sd 1.08) | Mean 21.85 mm (sd 2.50) |
Histological size | Mean 17.36 mm (sd 1.06) | Mean 38 mm (sd 3.18) |
Tabella 12: Differenti tipi di contrast enhancement nel gruppo A e B
Type of contrast enhancing | Group A (%) | Group B (%) |
Mass | 86.42 | 50 |
Mass+NME or NME | 10.7 | 50 |
Ring enhancement | 2.1 | 0 |
No enhancement | 2.1 | 0 |
Total | 100 | 100 |
Tabella 13: Sottotipi istologici nei due gruppi
Group | Histotype | N | % |
A (n°142) | IDC NOS | 64 | 45.1 |
IDC NOS+DCIS | 18 | 12.7 | |
ILC | 13 | 9.2 | |
TC | 12 | 8.5 | |
IDC+ILC | 13 | 9.2 | |
Other invasive carcinoma | 14 | 9.9 | |
DCIS | 8 | 5.6 | |
B (n°20) | IDC NOS | 5 | 25 |
IDC NOS+CDIS | 6 | 30 | |
ILC | 2 | 10 | |
TC | 1 | 5 | |
IDC+ILC | 3 | 15 | |
Other invasive carcinoma | 2 | 10 | |
DCIS | 1 | 5 |
Tabella 14: Gradi istologici nei due gruppi
Grade | Group | N | % |
G1 | A | 41 | 28.8 |
B | 3 | 15 | |
G2 | A | 62 | 43.6 |
B | 9 | 45 | |
G3 | A | 39 | 27.4 |
B | 8 | 40 |
Tabella 15: Tipo di c.e. nei sottotipi istologici
Histotype | Type of enhancement | N | % |
IDC NOS | Mass | 63 | 91.3 |
NME or Mass+NME | 4 | 5.8 | |
No enhancement | 2 | 2.9 | |
IDC NOS+DCIS | Mass | 10 | 41.7 |
NME or Mass+NME | 13 | 54.2 | |
Ring | 1 | 4.2 | |
ILC | Mass | 13 | 86.7 |
NME or Mass+NME | 2 | 13.3 | |
TC | Mass | 10 | 76.9 |
NME or Mass+NME | 3 | 23.1 | |
IDC+ILC | Mass | 15 | 93.8 |
NME or Mass+NME | 1 | 6.3 | |
Others | Mass | 14 | 87.5 |
Ring | 1 | 6.3 | |
No enhancement | 1 | 6.3 | |
DCIS | Mass | 6 | 66.7 |
NME or Mass+NME | 2 | 22.2 | |
Ring | 1 | 11.1 |
4.4 Discussione
L'obiettivo principale dello studio è stato valutare l'accuratezza diagnostica della CEDM nella valutazione dimensionale del tumore al seno, confrontandola con i risultati istologici.
Lo studio ha dimostrato un’ eccellente accuratezza della metodica nella valutazione preoperatoria del tumore al seno, in accordo con quanto sinora dimostrato in letteratura. (95,107, 109-111) Abbiamo osservato una lieve sovrastima da parte della CEDM rispetto all'istologia. Tuttavia, la maggior parte dei casi rientravano nel gruppo A, dal momento che la differenza tra le due misurazioni rientrava nei 10 mm (tabella 10).
Un'ulteriore analisi ha mostrato una prevalenza dell’enhancement mass+non mass o NME nel gruppo B (tabella 12), con una prevalenza di tumore duttale in situ attorno a focolai di carcinoma infiltrante nello stesso gruppo (Tabella 13).
Nella nostra casistica il NME o il mass+NME sono correlati alla presenza di carcinoma duttale in situ intorno a focolai di tumore infiltrante (Tabella 15).
I nostri risultati suggeriscono che una differenza tra le due misurazioni maggiore di 10 mm possa essere correlata alla presenza di tumore in situ intorno a focolai di tumore infiltrante.
In CEDM il tumore duttale in situ si presenta come un'area di tenue e ritardato NME (118) perché il mezzo di contrasto giunge al focolaio neoplastico per diffusione, senza una reale angiogenesi. (110)
Di conseguenza, effettuare delle scansioni con un certo ritardo dall'inizio dell’iniezione del mezzo di contrasto consente un maggiore enhancement ed una migliore visibilità della lesione in situ.
I nostri risultati sono in accordo con quanto precedentemente osservato, sebbene la maggior parte degli studi riguardino la risonanza magnetica. (109,111,117,119).
La valutazione dimensionale del NME sembra essere meno accurata rispetto alla misurazione di una lesione massa; questa può essere dovuto alla limitata esperienza nell’imaging CEDM.
Nella nostra casistica si è osservato un solo caso di background parenchymal enhancement; questo può essere spiegato dall'età media delle pazienti arruolate, circa 60 anni e dal fatto che i casi in cui si è osservato un intenso enhancement di fondo, tale da coprire tutta la lesione, non sono stati arruolati. In più, nel nostro Istituto si preferisce proporre la risonanza magnetica come esame di stadiazione locale alle pazienti in età fertile.
Abbiamo osservato una distribuzione dei gradi istologici piuttosto simile nei due gruppi, a riprova del fatto che il grado istologico non influenza le dimensioni tumorali; naturalmente questo risultato richiede un campione più numeroso per poter essere confermato.
Il nostro studio presenta dei limiti: in primis la sua natura retrospettiva e la scarsa numerosità del campione. Inoltre, la performance diagnostica della CEDM non è stata confrontata con la RM. Tuttavia, i noti limiti della tecnica, così come la sua ridotta disponibilità sul territorio ed i lunghi tempi di acquisizione, incoraggiano l'utilizzo della CEDM come valida metodica prechirurgica. Infatti, la sua velocità e la relativa semplicità tecnica la rendono più tollerabile da parte delle pazienti; inoltre è gravata da minori spese rispetto alla RM. Secondo alcuni autori infatti il costo di una CEDM è circa l’80% inferiore rispetto al costo di una RM e solo il 9% più alto di una mammografia digitale.
4.5 Conclusioni
Ulteriori studi prospettici con casistiche più ampie sono necessari per valutare la fattibilità della metodica.
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RINGRAZIAMENTI
Al termine di questo percorso ringrazio la mia famiglia per avermi sempre supportato e sopportato negli alti e bassi della mia crescita umana e professionale.
Un ringraziamento sentito va al Xxxx. Xxxx Xxxxxxx e al Xxxx. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx per avermi sempre seguito e sostenuto nel percorso di Dottorato e nella mia attività professionale, incoraggiandomi nei momenti di maggior difficoltà e dandomi la possibilità di spaziare ed approfondire gli ambiti più disparati della Radiologia.
Al Xxxx. Xxxxxx Xxxx va il ringraziamento e l’estrema disponibilità accordatami per la realizzazione di questa tesi di Xxxxxxxxx.
Un ringraziamento speciale al Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx, mio maestro nonchè uno delle mie maggiori fonti di ispirazione. Grazie per il confronto continuo, per la risolutezza in ogni circostanza ed il costante ottimismo.
Un ringraziamento profondo va a mio marito Xxxxx, per il quale non riuscirò mai a trovare le parole giuste per esprimere tutta la mia stima e il rispetto per la persona ed il professionista che è, nonchè il profondo sentimento che ci lega. Sono onorata e fortunata ad averti al mio fianco.
In ultimo uno speciale ringraziamento va alla mia piccola Xxxxxx, che in soli 8 mesi mi ha insegnato cosa sia l’amore vero; sei la luce dei miei occhi e non vedo l’ora di continuare ad imparare tanto attraverso i tuoi occhi vispi e curiosi. Ad maiora!!