UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
Dottorato di Ricerca in Diritto Amministrativo
XXVI CICLO
Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Tutor: | Coordinatore: | |
Xxxxx.xx Xxxx. X. Xxxxxx | Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxxxxxx | S. |
I contratti pubblici e l’annullamento dell’aggiudicazione dopo la direttiva ricorsi
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
PREMESSA
INDICE
CAPITOLO 1
I CONTRATTI PUBBLICI TRA AUTORITÀ E CONSENSO NELL’ESPERIENZA GIURIDICA ITALIANA
1. L’autorità come modalità di esercizio del potere.
2. Dal modello autoritativo al modello consensuale.
3. Le diverse tesi sull’attività contrattuale della P.A.
3.1 La teoria del contratto di diritto pubblico.
3.2 Il rigetto della figura del contratto di diritto pubblico nella dottrina italiana.
3.3 La collocazione dell’interesse pubblico all’interno dei contratti della P.A.
4. Il nuovo secolo: l’apertura al modello consensualistico.
5. Il negozio come strumento di regolazione degli interessi pubblici dopo la l. 241/90.
6. L’attività provvedimentale della P.A. ed il contratto.
7. L’autonomia contrattuale: un principio in evoluzione.
CAPITOLO 2
LA SORTE DEL CONTRATTO E LA PREGIUDIZIALE AMMINISTRATIVA
1. La nozione di appalto pubblico.
2. La sorte del contratto.
3. La tesi tradizionalmente sostenuta dalla Cassazione: L’annullabilità.
4. La nullità.
5. La tesi della caducazione automatica.
6. Il codice del 2006 e la speciale disciplina nel settore delle infrastrutture strategiche.
7. La giurisdizione.
7.1 La Corte di Cassazione: la giurisdizione sulla sorte del contratto torna alla giurisdizione del giudice ordinario.
7.2 La fase finale del dibattito e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
8. La pregiudizialità amministrativa.
8.1. Pregiudizialità di rito e pregiudizialità di merito.
8.2. L’Adunanza Plenaria 3/2011.
8.3. L’assorbimento e il doppio grado di giudizio
CAPITOLO 3
LE INNOVAZIONI INTRODOTTE DALLA DIRETTIVA RICORSI
1. La dimensione comunitaria dei contratti pubblici.
2. Le innovazioni introdotte dalla direttiva 66/2007.
3. La tutela preventiva: le clausole di stand still.
4. La sorte del contratto dopo il recepimento del Dlgs. 53/2007.
4.1 Le violazioni gravi.
4.2 Le violazioni “meno gravi”.
5. L’ inefficacia “flessibile” del contratto.
6. I poteri del giudice amministrativo: La giurisdizione esclusiva ex art. 133, co. 1, lett. e) del c.p.a.
6.1 I poteri ex officio de giudice e la domanda di parte,
6.2 I poteri sanzionatori.
CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA
PREMESSA
La materia della sorte del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, è inscindibilmente connessa alle riflessioni sul rapporto che intercorre tra autorità e consenso.
In questa prospettiva, s’inserisce l’intenso dibattito dottrinale sorto all’indomani della legge 241/90 e delle prime direttive in materia di appalti, che mettevano profondamente in discussione il modo tradizionale di pensare alla Pubblica Amministrazione ed al modo di amministrare. Quest’ultimo, il modo di amministrare , è strettamente legato al concetto di amministrazione ed alla sua percezione tra gli operatori giuridici e i cittadini.
La normativa dei primi anni novanta, sembra suggerire la costruzione di un rapporto tra Pubblica Amministrazione e destinatari sempre meno fondanti sul binomio autorità-sottomissione e sempre più orientato verso moduli di tipo consensualistico. Il contratto, l’accordo, la convenzione, dietro la loro veste di strumenti di gestione portano con sé un quid pluris, e si rivelano essere “indici” di un modo diverso d’intendere l’azione della Pubblica Amministrazione.
La problematica della sorte del contratto riflette, tuttavia, in particolare la ritrosia e la diffidenza di un sistema prevalentemente fondato sul provvedimento, per sua natura atto autoritativo, ad accedere ad una concezione paritaria del rapporto tra Stato e cittadino. I problemi sulla giurisdizione, sulla pregiudiziale, sui vizi del contratto, sulla specialità della normativa in esame, conducono tutti al medesimo interrogativo: cos’è esattamente un atto autoritativo? È davvero quell’atto con cui l’Amministrazione incide unilateralmente su posizioni soggettive altrui o possono essere considerati autoritativi anche atti che implicano la bilateralità?
In altri termini, autorità ed autoritatività sono inestricabilmente connessi o l’esercizio dell’autorità può ammettere anche forme di bilateralità? E infine la bilateralità coincide con il concetto di
reciprocità? A monte: autorità e consenso possono incontrarsi o l’una esclude l’altro?
Non vi è alcuna pretesa di dare risposta a questi interrogativi, ma è particolarmente interessante ripercorrere il vivo dibattito che ha coinvolto gli operatori giuridici dei vari settori e procedere all’esame delle diverse teorie che sono state elaborate sui rispettivi punti, a partire dalla definizione del concetto di autorità.
CAPITOLO 1
I CONTRATTI PUBBLICI TRA AUTORITÀ E CONSENSO NELL’ESPERIENZA GIURIDICA ITALIANA.
1. L’autorità come modalità di esercizio del potere
Gli studi più prolifici sul punto sono stati condotti dalla dottrina tedesca, tanto prima quanto successivamente agli eventi della seconda guerra mondiale. A questa di deve la costruzione e la strutturazione del concetto di autorità statale che prescinde da una qualunque forma di consacrazione divina, la ricerca di basi fondative laiche nonché, in un secondo momento, la decostruzione del concetto di autorità come valore in sé.
Un interessante spunto di riflessione è offerto dall’esame condotto dal sociologo xxxxxxx Xxxxxxxx Popitz1 che, nel suo studio sulla fenomenologia del potere, indica l’”autorità” come una delle possibili modalità di esercizio del potere. Accanto alla violenza (potere di offendere), al minacciare ed essere minacciati (potere strumentale2), ed all’agire tecnico (il potere di creare dati di fatto), il vincolo di autorità3 è senz’altro, ad avviso dello studioso, la manifestazione di potere più insidiosa, poiché è idonea a produrre un consenso acritico e spesso inconsapevole del destinatario.
1 X. XXXXXX, Fenomenologia del potere, il Mulino, Nuova Edizione, 2001.
2 Ibidem, la categoria è assente nella stesura originaria del lavoro ed è stata inserita dall’Autore nell’ultima edizione.
3 Ibidem, anche questo assente nella prima edizione, ed inserito successivamente alla pubblicazione di «Il vincolo di autorità e I bisogni di autorità. La trasformazione della soggettività sociale» pubblicato in Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, 39, 1987, n. 3.
Questi, aderisce all’ordine per il solo fatto di promanare da un ente ritenuto superiore, sicché <<il vincolo di autorità è dunque quel fondamentale vincolo sociale che dispone nel modo più evidente all’esercizio del potere.4>>
L’autore individua quattro caratteristiche salienti del rapporto autorità e consenso: 1) l’autorità comporta un’attitudine all’adeguamento da parte di chi la subisce, non solo per quel che concerne il comportamento controllabile, ma anche per ciò che fa inosservato; 2) il destinatario non si adegua solo nel comportamento ma anche nell’atteggiamento; 3) l’autorità non implica necessariamente l’uso di mezzi coercitivi; 4) chi attribuisce autorità ad altri riconosce una superiorità dell’altro5.
Ai nostri fini, appaiono particolarmente interessanti gli ultimi due punti. Per quel che riguarda la non necessarietà dell’uso della forza in senso lato, l’autore osserva come già ai tempi dei romani l’auctoritas si contrapponesse alla potestas, poiché creava quello che egli stesso chiama un vincolo di <<dipendenza acconsentita>>, la forza dell’autorità consiste nel fatto che, a differenza delle altre modalità di esercizio del potere, l’autorità non prescinde dal consenso, ma lo presuppone (e forse lo crea).
In particolare la tipologia di consenso che fonda l’autorità è, secondo l’opinione convenzionale, <<il riconoscimento di una superiorità che porta ad una forte disponibilità ad adeguarsi.6”>>
Trasponendo questo schema di ragionamento al rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadino si può trarre una prima conclusione, ovvero: che autorità e consenso non costituiscono di per sé una diade
4 Ibidem, p. 105.
5 Ibidem pp. 88 ss.
6 Ibide, p. 92, in cui l’Autore esprime comunque dei dubbi sulla validità di tale definizione poiché sebbene la ritenga idonea a spiegare il riconoscimento della superiorità alla disponibilità a ricevere l’influsso altrui, lascia «incomprensibile il legame specifico a cui soggiace chi dipende dall’autorità, il suo contorto incatenarsi ad una determinata relazione sociale».
antitetica ma che al contrario, rappresentano un binomio inestricabile in cui l’una presuppone l’altra. Ciò è possibile, ma non deve essere necessariamente così. Se è vero che <<l’autorità può fare a meno dei mezzi coercitivi ma non è tenuta a farlo7>>, ciò significa che a differenza della violenza, l’uso della forza non è strettamente connesso a questa modalità di estrinsecazione del potere, ma solo è una delle possibili manifestazioni.
L’autore non sviluppa pienamente il concetto, ma è plausibile dedurre, che se in presenza di consenso, l’autorità ingenera un adeguamento volontario del destinatario, il ricorso a mezzi coercitivi sia da riconnettere alle ipotesi in cui tale consenso manchi. Se così stanno le cose, il nodo problematico non è più tra autorità e consenso ma, con riferimento specifico all’azione della Pubblica Amministrazione, tra “autoritatività” e consenso, che corrispondono sotto il profilo degli strumenti negoziali al rapporto tra provvedimento e contratto. L’aspetto coercitivo del provvedimento è infatti dato dall’esecutorietà8, ovvero da quella specifica attribuzione dell’atto amministrativo che consente all’amministrazione procedente di portare coattivamente ad esecuzione il provvedimento, senza il bisogno di ricorrere all’autorità giudiziaria. In mancanza di consenso, l’esecutorietà “colora” l’autorità di autoritarietà e, dunque, della possibilità di ottenere l’obbedienza al comando mediante l’uso della forza9.
7 Ibidem, p. 88
8 X. X. XXXXXXXX, Manuale di Diritto Amministrativo, vol I, Jovene Editore, 1989,
«l’esecutività, comporta, per buona parte dei provvedimenti la cui esecuzione non può avere realizzazione quando non concorra una qualche partecipazione del soggetto passivo (ordini, imposizioni di prestazioni), l’esecutorietà, la quale è una manifestazione del potere di autotutela della pubblica amministrazione. Com’è noto le pretese fondate sulle stesse sentenze dei giudici civili non possono essere portate as esecuzione nei confronti dei soggetti non consensienti, se non attraverso appositi procedimenti giudiziari».
9 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Pubblico e privato, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXV, Milano 1986, p.685, ritiene che «l’atto amministrativo in quanto manifesta l’esercizio del potere sovrano, è di per sé stesso e per propria natura di carattere esecutorio» e
Procedendo con lo stesso schema di ragionamento, il contratto tra Pubblica Amministrazione e privato dovrebbe corrispondere invece alla logica del consenso.
Ma la visione di Xxxxxx non si presta a questa conclusione. Infatti se ammettiamo che l’autorità è tale nel momento in cui il destinatario ne riconosce la superiorità e in virtù di ciò si adegua al suo volere, un tal tipo di consenso non corrisponde in alcun modo alla nozione civilistica di contratto. Pare ovvio, dunque, che se postuliamo un sistema in cui la Pubblica Amministrazione è considerata portatrice d’”interessi superiori”, che necessitano pertanto di una legislazione speciale, ed in cui l’interesse facente capo al privato come è deteriore e sacrificabile, ne consegue che non vi è spazio per moduli convenzionali che possano essere chiamati tali.
Di quanto affermato era ben consapevole quella dottrina di tardo ottocento, che negava l’esistenza di contratti di diritto pubblico, proprio per via dell’intrinseca disparità delle parti e per una radicale impossibilità di ricondurre l’adesione dell’amministrato al concetto di consenso10. La nomenclatura adottata per gli strumenti consensualistici utilizzati dalla P.A., in questo senso, rivela molto dell’ideologia sottostante, si parlava infatti di <<contratti di assoggettamento>>11.
ancora esso «[…]non abbisogna per essere esecutorio si un’espressa disposizione di legge che lo dichiari tale».
10 X. XXXXX, Pubblica Amministrazione, Negozio, Contratto: Universi E Categorie Ottocentesche A Confronto in Dir. Amm., 1995, 04, 483 «Quello che la giuspubblicistica tardo-ottocentesca fermamente negava era, che l’attività di gestione potesse contribuire, in qualche modo, a fissare i veri lineamenti dell’amministrazione. Questi lineamenti dovevano essere tracciati altrove, nelle manifestazioni di potere, nel mondo tutto pubblicistico dell’autorità»
00 Xxx. X. XXXXX Dell’autorità e del consenso nel diritto dell’amministrazione pubblica, in Foro Amm., 1997, 04, 1277, che nell’introdurre questa tipologia di contratti spiega come in questa accezione «[…] il contratto spiana la strada ad un’autorità assoluta; il momento del consenso si manifesta nella sua forma tipica ma serve solo a rendere possibile l’assoggettamento pieno al potere dello Stato. […] La rappresentazione del contratto di assoggettamento era così chiara ed efficace da risultare ancora adesso terribile e per certo verso affascinate: la nota più elevata in questo senso era raggiunta dall’idea dell’abbandono al potere […]».
Quella che potrebbe apparire un’antinomia, e con tutta probabilità lo è, non è altro che un indice rivelatore della scarsa propensione ad ammettere la possibilità di moduli consensualistici nei rapporti tra Stato e amministrati.12
Di questo rapporto di subordinazione si trova traccia anche nella letteratura privatistica più recente. Secondo X.X. Xxxxxx sussiste una profonda differenza concettuale tra norma giuridica (che regola l’azione della P.A. sotto forma di norma d’azione o di relazione) e la norma negoziale che le parti si danno per l’autoregolamentazione dei propri interessi, ovvero, nel fatto che la norma negoziale scaturisce da un atto di autonomia privata, <<quale potere di diritto comune in base al quale il singolo o un gruppo decidono dei loro rapporti>> mentre la norma giuridica ha <<la sua fonte in un potere autoritario pubblico13>>
In questo quadro, Xxxxxx ammette, però, la possibilità di un rapporto di reciprocità14, a condizione che le parti siano in posizione di parità e che dunque si riconoscano reciprocamente come autorità. In questa prospettiva se sostituiamo il binomio amministrazione-amministrato con quello amministrazione-cittadino, quindi con un soggetto titolare di diritti e di doveri, al cui rispetto è chiamata anche la Pubblica Amministrazione, ecco che anche da un punto di vista teorico comincia ad aprirsi qualche spiraglio teorico ad un modello di tipo consensualistico.
12 Il problema lessicale non è di poco conto ai fini della presente trattazione, non solo perché sintomatico di un retroterra ideologico e culturale di non poco conto, ma poiché colpisce spesso lo stesso legislatore svelando l’incertezza dello stesso nel muoversi in questo terreno scivoloso. Sino alla metà del secolo scorso,infatti, per la letteratura giuspubblicistica, la controparte contrattuale è l’ ”amministrato” o il “destinatario” quindi un soggetto in posizione subordinata rispetto al contraente- Pubblica Amministrazione.
13 X. X. XXXXXX, Trattato di Diritto Civile, Il Contratto, vol. 3, Xxxxxxx Editore, Milano, 2000, p. 44 e ss.
14 X. XXXXXX, op. cit., p. 125
Le due parti non sono infatti uguali, l’azione della P.A, è vincolata nel fine alla tutela del pubblico interesse, ma ciò non esclude di per sé che esse possano operare su un piano di parità15.
Altri autori offrono riflessioni di più ampio respiro. Secondo Xxxxxx Raz16, ad esempio il consenso consiste nella possibilità di cambiare una situazione normativa17 ed in particolare di passare da una situazione normativamente data ad un’altra. Rilevando come la parola consenso venga spesso usata come sinonimo di “accordo”, il filosofo-giurista israeliano opera una distinzione tra accordo (ri)cognitivo (cognitive agreement) e accordo che potremmo chiamare performativo (performative agreement). Il primo consiste, ad esempio, nel riconoscimento di un diritto altrui (già esistente), il secondo, invece, ha la funzione di attribuire a taluno un diritto.
In questo schema cittadino ed autorità sono posti sullo stesso piano: l’autorità è tale, poiché il cittadino la riconosce come titolare di un ordine (statale) giusto. In quest’ottica il consenso è validamente prestato solo se è frutto di una libera scelta di adesione (e d’identificazione) con la società che l’autorità rappresenta18.
La reciprocità, e dunque la parità, è data dalla biunivocità e dalla bilateralità del riconoscimento tra Stato e cittadino, ne consegue che
15 X. XXXXXX, op.cit., secondo cui « è possibile nei rapporti tra pari. In questo caso da un processo di riconoscimento e di adattamento reciproco si può creare un rapporto di autorità basato sulla reciprocità».
16 J. RAZ, Authority and Consent, in Xxxxxxxx Xxx Review,1981.
17 Ibidem, p. 117, «"Consent" means consent to a change in the normative situation of an-other-to a change in his rights and duties. It is sometimes ex-pressed and is spoken of in terms of what is agreed».
18 La premessa da cui prende le mosse Raz è che non esista alcun obbligo di rispettare le leggi, ma che i singoli assumano volontariamente tale obbligo, ibidem, p. 104 «To deny that there is an obligation to obey the law is not, of course, to claim that one should disobey the law, nor even that it does not matter whether one obeys or disobeys. It is to deny that there is a sound general argument establishing as its conclusion that, if the law of a reason-ably just state requires a citizen of that state to behave in a certain way, then he has an obligation so to behave. What is denied is that the fact that something is a law creates such an obligation».
l’uso di mezzi coercitivi, anche in questo caso, invalida il consenso reso.
D’altro canto, il consenso validamente prestato crea un vincolo o, come dice lo stesso autore, <<crea un’obbligazione>> .
2. Dal modello autoritativo al modello consensuale
Nell’analisi della disciplina inerente alla sorte del contratto si riscontrano diverse concezioni del rapporto tra amministrazione e cittadino. Sebbene sia attualmente pacifico, in giurisprudenza, che la
P.A. goda di autonomia negoziale e possa validamente concludere contratti di diritto privato, le pronunce tanto del Consiglio di Stato quanto della Corte di Cassazione, riecheggiano spesso antichi contrasti19.
In particolare la posizione granitica del giudice di nomofilachia sull’attribuzione della giurisdizione in materia al giudice ordinario, che si mantiene integra fino alla fine degli anni ’90, e la propensione a configurare il contratto come annullabile ad esclusiva istanza della Pubblica Amministrazione, sono elementi sintomatici del tentativo di comporre un conflitto tra una concezione autoritativa dell’attività amministrativa e gli strumenti consensualistici, che solo con la legge 241/90 ed il codice dei contratti pubblici ottengono un riconoscimento formale da parte del legislatore.
Alla luce di ciò, il ricorso ad una ricostruzione storica non costituisce una mera clausola di stile, ma nasce dall’esigenza di comprendere l’origine delle problematiche in materia di sorte del contratto, che hanno impegnato dottrina e giurisprudenza nel corso degli ultimi vent’anni, e le cui ripercussioni si riverberano ancora oggi nella giurisprudenza e nelle riflessioni dottrinali attuali.
19 Sul punto cfr. cap. 2.
Dinnanzi alla copiosa letteratura in materia non si può sfuggire ad una serie d’interrogativi, in particolare se possa parlarsi di contratti di diritto pubblico all’interno del nostro ordinamento, se esista un vero e proprio potere negoziale in capo alla P.A., rispondente ai requisiti civilistici, e quali siano i limiti che tale potere incontra nel suo esercizio in considerazione della natura vincolata dell’azione della P.A. Seguendo le linee direttive poc’anzi accennate, l’autorità è una delle possibili modalità di esercizio del potere, che sotto il profilo giuridico, si estrinseca mediante atti autoritativi, ovvero, i provvedimenti. La sequenza logica è dunque data dal potere che si manifesta mediante l’esercizio dell’autorità e che si traduce in atti unilaterali della Pubblica Amministrazione, produttivi di effetti giuridici, ovvero, provvedimenti. Occorre dunque indagare la tradizionale configurazione dell’attività della P.A. ed in particolare i suoi provvedimenti, come atti autoritativi.20 Secondo l’impostazione fornita da Giannini21, infatti, tutti i provvedimenti sono “atti autoritativi onde producono quell’effetto particolare che va sotto il nome di autorità dell’atto amministrativo”.
Il dibattito sul binomio attività amministrativa-potere è però a ben vedere ben più antico, ed affonda le radici in una concezione di Stato che comincia a delinearsi all’inizio del XIX secolo, periodo al quale risalgono i primi sforzi della dottrina di fornire una configurazione autonoma al diritto amministrativo nel suo insieme. Tale esigenza nasce parallelamente all’ affermarsi del concetto di sovranità dello Stato durante il periodo napoleonico, sovranità riconosciuta non tanto e non solo nei confronti degli altri Stati sovrani, ma anche e soprattutto nei confronti dei propri cittadini-sudditi.
20 M. S. XXXXXXXX, Corso di diritto amministrativo, op. cit. in F. G. SCOCA, Autorità e Consenso, in Atti del XLVII Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Xxxxxxx, Milano, 2002.
21 M. S. XXXXXXXX, ibidem.
La sovraordinazione dello Stato-Amministrazione nei confronti dei cittadini, si fonda anche sulla superiorità “etica” degli interessi di cui è portatore il primo, rispetto agli interessi individuali e atomistici del privato, e si riflette nella creazione di un diritto pubblico come diritto speciale. Il requisito della specialità, consentiva di sottrarre l’azione amministrativa e i suoi connotati di autoritatività ed imperatività espressa in atti amministrativi, funzioni amministrative e ordini dell’autorità, alla disciplina civilistica che antiteticamente si fondava sui concetti di libertà (di contrarre), autonomia (con riferimento ai contenuti) e pari ordinazione (delle parti).
Paradossalmente, però, sono proprio gli istituti civilistici a fornire il modello di riferimento dei provvedimenti amministrativi, sebbene opportunamente rimodulati e pubblicizzati22. Nasce in quest’epoca l’idea, difforme da quella ispiratrice delle Costituzioni d’inizio secolo, per cui, << Lo Stato è per natura qualcosa di completamente diverso da un comune soggetto privato23>> e lo stesso vale per l’attività autoritativa ad esso riferita, in quanto esercizio di sovranità statale che necessita di uno statuto proprio e di proprie forme di tutela24.
La specialità, tuttavia, non riguarda solo l’organizzazione, nel settore contrattualistico la regolamentazione speciale prevedeva una disciplina
22 X. XXXXXXX - X. XXXXX, La storia del diritto amministrativo, Quarta edizione, Laterza, 2006, p. 380, secondo i quali «si trapiantano nel tessuto amministrativo gli istituti e le categorie civilistiche sulla base di un processo che ne trasforma, però, razionalità e scopi , crea però un’altra natura giuridica».
23 X. XXXXX, Deutsches Vervantlungsrecht, vol. I, pp. 109-10., cit. in X. XXXXXXX,
X. XXXXX, La storia del diritto amministrativo, Quarta edizione, Laterza, 2006.
24 X. XXXXX, La pubblica amministrazione negozio e contratto, op. cit., secondo cui
«la difesa del domaine propre della pubblica amministrazione è fermissima. Il principio di divisione dei poteri, dalla sua prima solenne proclamazione nella dichiarazione dei diritti dell’89,sino alla sua applicazione concreta […] è posto in primo luogo a difesa dell’autonomia e dell’indipendenza del potere amministrativo. La specialità delle norme a cui sono sottoposti i nuovi apparati amministrativi che hanno riempito il vuoto lasciato dalla Rivoluzione (francese), è dunque assai pronunciata, quella specialità riguarda il soggetto e la sua organizzazione, in particolare le regole del contenzioso e la sottrazione delle controversie tra amministrazione e cittadini al giudice ordinario».
derogatoria anche riguardo ad altri aspetti, quali le modalità di scelta del contraente, le procedure da seguire, la responsabilità della P.A.
Il privilegio più marcato è, però, da rinvenirsi nella specialità del foro. L’attrazione del’attività negoziale della P.A. nell’alveo dei provvedimenti unilaterali, comportava la sottrazione della materia alla giurisdizione al giudice ordinario, che risultava competente per l’inadempimento, ma non anche per quel che riguardava la validità o l’interpretazione25.
Il fenomeno, che interessa Italia postunitaria e l’Europa continentale (fatta eccezione dell’Inghilterra), assumeva, tra l’altro, connotati tutt’altro che marginali, investendo direttamente oltre il crescente settore dei lavori pubblici, anche le forniture militari e gli apparati fiscali, per poi assumere profili quantitativi ancora più rilevanti con la legge sulle municipalizzazioni del 190326.
In questo contesto, la figura del contratto di diritto pubblico è funzionale, sul piano teorico, al superamento della contraddizione tra teoria e prassi. Secondo la suddetta impostazione, se lo Stato voleva ricorrere agli strumenti contrattualistici, questi erano sottratti alla disciplina civilistica, dando vita a contratti sui generis sottoposti ad un normativa speciale e derogatoria, idonea a garantire una rispondenza dello strumento contrattuale alla natura vincolata dell’azione amministrativa al perseguimento dell’interesse pubblico27.
Quindi, se da un lato la necessità per la P.A. di organizzare e gestire i sempre crescenti servizi statali e di approvvigionarsi sul mercato, danno vita agli istituti delle concessioni e degli appalti, che non possono ipso iure prescindere dal consenso della controparte (se non altro al momento dell’adesione), da un altro lato non era difficile
25 Legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E
26 X.XXXXX, La pubblica amministrazione negozio e contratto, ivi.
negare l’appartenenza di tali strumenti al novero dei c.d <<moduli consensualistici>>, per il solo fatto di essere unilateralmente predisposti dalla P.A., senza lasciare spazio alcuno alla negoziazione delle clausole. Ciò soprattutto, se si considera che la presenza di un contraente forte, non esclude la natura negoziale degli atti e che tutela del contraente debole in quanto tale28, comincia ad assumere rilevanza verso la metà XX secolo.
Tuttavia lo strumento consensualistico era avversato da una parte della dottrina, soprattutto di matrice tedesca, che nel rilevare l’incompatibilità tra il provvedimento ed il contratto negava cittadinanza a qualunque forma di accordo tra azione amministrativa e privati29.
Secondo Xxxx Xxxxx <<veri contratti dello Stato nel campo del diritto pubblico non sono assolutamente concepibili30>> e persino la dottrina italiana più legata agli schemi privatistici, cedeva all’idea che << i negozi giuridici sono unilaterali e procedono dalla sola volontà della Pubblica Amministrazione, l’attuazione del diritto obiettivo è essenzialmente opera di questa31>>.
La creazione dell’istituto della concessione, ad esempio, risponde dunque all’esigenza di costruire figure pubblicistiche strumentali alla gestione, sostitutive del contratto, che comprimessero il più possibile il profilo consensualistico. La concessione infatti si proponeva di risolvere il conflitto tra il rilievo pubblicistico della attività amministrativa svolta dal concessionario e il sinallagma
28 Cfr. X. XXXXX, Enciclopedia del diritto, Teoria generale del contratto di diritto pubblico, Xxxxxxx, Milano, 1961, p. 981.
29 X. XXXXXX, Le Convenzioni Pubblicistiche, op. cit., p. 20, «X. Xxxxx, che dopo una fase più o meno apparente favore giunse a negare la figura del contratto publlicistico[…] è noto come nella concezione dell’illustre studioso non sia dato da parlare di rapporti paritari nell’ambito di diritto pubblico».
30 X. XXXXXXX - X.XXXXX, op. cit., p. 388,
31 F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, vol. I, Xxxxxxx Editore, Milano, 1910.
contrattualistico alla base dell’ accordo. La pubblicizzazione del concessionario, consentiva la piena classificazione della concessione alla categoria dei provvedimenti. Il privato, divenuto concessionario esercita infatti una pubblica funzione del tutto riconducibile all’autoritatività della P.A., che metteva in secondo piano l’aspetto consensualistico, divenuto elemento secondario e strumentale alla trasformazione del privato in organo indiretto della P.A.32.
In questa prospettiva la concessione assume una fisionomia diametralmente opposta a quella degli appalti, che non potevano prescindere dal modello contrattualistico, trattandosi di mera esecuzione materiale di una prestazione, e che sin dagli albori implicavano concetti quali l’imparzialità e la trasparenza tanto nella scelta del contraente quanto dell’aggiudicazione.
Anche in quest’ipotesi, però, poiché la prestazione da eseguire rispondeva ad un interesse pubblico, anche l’istituto in questione conosceva un potere di supremazia in capo all’amministrazione.33
Sul piano del riparto di giurisdizione poi occorre rilevare che mentre la Francia ha sin dagli albori attratto la materia del contract administratif nell’alveo della giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto strumenti dell’azione amministrativa.
3. Le diverse tesi sull’attività contrattuale della P.A.
3.1 La teoria del contratto di diritto pubblico
32 X. XXXXXX, Le convenzioni pubblicistiche, ammissibilità e criteri, Xxxxxxx, Milano, 1984, p. 310, «La genesi prevalentemente contrattuale dei rapporti concessori, […] significherebbe soltanto che, in determinati casi, in ragione della complessità dell’effetto da produrre, fuoriuscente dalla disponibilità della sola amministrazione, il potere amministrativo si unisce e si correla ad un atto di disposizione del privato».
All’interno della dottrina tedesca tuttavia le obiezioni di Meyer vengono superate con l’introduzione della figura del contratto di diritto pubblico, ovvero, una peculiare figura negoziale interamente regolata dal diritto pubblico mediante la quale la Pubblica Amministrazione persegue il pubblico interesse in via convenzionale34.
Il rilievo partiva dalla constatazione che nella prassi, in ipotesi di controversie in cui era l’Amministrazione Pubblica, i privati mostravano una maggiore propensione all’accordo transattivo rispetto ai casi in cui il conflitto riguardava due enti di autogoverno. Questa maggiore propensione all’accordo, mostrava senz’altro profili d’interesse soprattutto in termini di celerità ed efficienza, tanto da meritare di essere canalizzata e sfruttata all’interno dell’azione amministrativa35. Viene così alla luce una figura nuova nel diritto tedesco, che aprirà un intenso dibattito anche in Italia, denominata “contratto di diritto pubblico” e tenuta distinta dalla corrispondente fattispecie privatistica. La scelta tedesca consiste nel risolvere il problema tra autorità e consenso attraverso la giuridicizzazione dei contratti tra P.A. e privati, non piegando gli schemi privatistici alle esigenze dell’interesse pubblico, ma attraendo all’interno del diritto amministrativo la fattispecie in oggetto.
Quest’operazione, come osserva Falcon, ha portato con se diversi vantaggi primo tra tutti la valorizzazione dell’interesse pubblico all’interno della fattispecie contrattuale. Come si vedrà in seguito infatti, uno dei maggiori problemi dogmatici della dottrina italiana sino agli anni ’50, è rappresentato dalla qualificazione dell’interesse pubblico all’interno della fattispecie contrattuale, talora identificata
34 X. XXXXXX, op. loc. ult. cit.
35 X. XXXXXX, Le Convenzioni Pubblicistiche, op. cit., p. 23 «Fu Apelt a notare che […] la visione proposta da Meyer dei rapporti tra corpi amministrativi corrispondeva d un ingiustificato ed irreale ottimismo, al contrario le persone private sono più propense ad accordarsi in caso di controversia, assai più facilmente degli enti di auto governo».
come causa del contratto, talaltra come motivo rilevante (categoria sconosciuta dal diritto civile se non nel discusso istituto della presupposizione), fino ad arrivare al mero presupposto. Nel contratto di diritto pubblico, non vi è, al contrario alcun dubbio sulla rilevanza dell’interesse pubblico che inequivocabilmente rappresenta lo scopo comune perseguito dalle parti.
Inoltre l’assoggettamento della disciplina sui contratti al diritto pubblico, nel diritto tedesco risolve a monte qualunque questione di giurisdizione, che spetta senz’altro al giudice amministrativo, senza creare differenze, quanto meno sotto il profilo dell’organo giudicante, tra accordi (Vereinbarung) e contratti amministrativi (verwantlungsrechlische Vertag)36. La natura giuspubblicistica del contratto di diritto pubblico è innanzitutto sostanziale e si ripercuote su uno speciale regime processuale, modellato sulle peculiarità della figura.
3.2 Il rigetto della figura del contratto di diritto pubblico nella dottrina italiana.
Prima di affrontare il dibattito intorno alla questione del contratto di diritto pubblico occorre osservare che solo con la l. 241/90 il legislatore mette in chiaro la differenza ed il diverso regime tra accordi e attività contrattuale della P.A., ma per lungo tempo non sussiste una reale distinzione tra le due figure. L’oggetto di studio, sembra in generale riguardare le attività della P.A. che in qualche modo (spesso non meglio definito) implicassero una manifestazione di consenso della controparte.
Sembra evidente che sebbene la dottrina italiana abbia a lungo discusso sull’ammissibilità di un diritto speciale dei contratti della P.A., questa
36 Al contrario sotto il profilo sostanziale esiste una chiara linea di demarcazione tra i due istituti.
tendesse spesso a sovrapporre le figure, del Verbindung (accordo) e del Verwantlungsrechtiche Vertrag (contratto di diritto amministrativo), nettamente distinte invece nella dottrina tedesca.
L’ambiguità della nozione di accordo emerge già in Xxxxx Xxxxxx che definisce l’accordo <<intesa tra organi o soggetti che concorrono alla formazione di atti complessi o collettivi>>. La nozione in sé idonea a ricomprendere anche figure contrattuali, indica in generale una serie di atti mediante i quali l’amministrazione provvede alla regolazione di una serie non definita di rapporti, <<ponendo in essere norme di diritto oggettivo>>37”. A ben vedere non emergono con chiarezza i tratti distintivi tra le due figure, soprattutto in considerazione del fatto che si è in presenza in entrambi i casi di ipotesi di stampo consensualistico e di atti che tendono alla composizione d’interessi contrapposti.
In realtà la visione di Xxxxx Xxxxxx è da interpretarsi come un segno di apertura o quantomeno di riconoscimento di una prassi contrattuale in capo alla P.A., soprattutto in considerazione che le tesi negazioniste erano particolarmente diffuse all’epoca. Il riferimento è relativo alla già accennata posizione di Cammeo38 che, sull’insegnamento di Xxxx Xxxxx, nega l’ammissibilità di qualunque figura contrattuale tra Pubblica Amministrazione e privato, ciò in ossequio alla teoria della della <<supremazia dell’interesse pubblico>>, per sua natura inidoneo a scendere a compromessi con l’interesse della controparte privata.
In questa prospettiva la dottrina italiana si distingue. Xxxxxx, ad esempio, ammette l’accordo tra enti, poiché, trattandosi di rapporti tra Pubbliche Amministrazioni, la fattispecie non presenta interessi contrapposti (e nella visione dell’Autore inconciliabili) in capo a soggetti diseguali. Inoltre, non si presenta il problema di uno scambio di prestazioni, ma si è in presenza di due soggetti in posizione di parità
37 X. XXXXXX, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930, passim.
38 F. CAMMEO, Commentario, op. loc. ult. cit.
(gli enti pubblici) che utilizzano uno strumento consensualistico per il perseguimento di uno scopo che è comune ad entrambe le parti39.
L’interesse pubblico è in questa prospettiva non solo inequivocabilmente preminente, ma rappresenta l’interesse specifico delle singole parti, ancor prima della conclusione dell’accordo e a prescindere dal mezzo utilizzato.
Il vero rigetto in Cammeo non riguarda però solo la presunta inconciliabilità degli interessi pubblici-privati, ma anche l’inammissibilità di fattispecie bilaterali all’interno di un sistema imperniato sull’unilateralità del provvedimento.
Un primo spunto per il superamento del problema deriva proprio da Autori che rigettano la figura del contratto40 ma ammettono quella di accordo tra amministrazioni (spesso indicato ambiguamente come contratto di diritto pubblico). La parità delle parti consente la reciprocità e dunque la bilateralità, intesa come concorso di volontà dirette alla costituzione di un vincolo. Date queste premesse è ammissibile l’accordo tra due amministrazioni dove le volontà aderiscono, ma non un contratto tra P.A. e privati dove le volontà invece s’incontrano41. Al di là delle ambiguità lessicali quest’impostazione mette in evidenza come sebbene la nozione di accordo sia usata in senso tecnico42, molte delle problematiche oggetto di studio sembrano non tanto concernere la manifestazione di volontà
39 In questo senso è proprio a Xxxx Xxxxx propose la figura dell’accordo tra enti pubblici come alternativa a quella del contratto di diritto pubblico. Cfr. X. XXXXXX, Le Convenzioni Pubblicistiche, op. cit.
40 A. DE XXXXXX, La Validità degli Atti Amministrativi, Roma 1917 p. 35, cit in X. XXXXXX, Le convenzioni pubblicistiche, ammissibilità e criteri, Xxxxxxx, Milano, 1984.
41 Xxx, secondo Valles, nei contratti con la P.A. le volontà «aderiscono e non s’incontrano».
42 Ovvero come manifestazione di volontà volta a costituire modificare o estinguere un rapporto giuridico (patrimoniale).
in sé e per sé, quanto le implicazioni in termini di potere contrattuale che ad essa sono connesse.
Affermare che l’interesse pubblico non può piegarsi agli interessi privati, significa negare al privato il potere d’incidere a danno dell’interesse pubblico ed a vantaggio del proprio.43
Stando a quanto premesso, fino agli anni venti i segnali di apertura verso l’attività contrattuale della P.A. avviene sempre tramite la sua sovrapposizione con la figura dell’accordo. Miele44 introduce all’interno del dibattito gli atti “contrattuali uguali”, che presentano il requisito della bilateralità (sempre tra enti), ovvero atti con contenuto diverso ma corrispondente e reciprocamente integrativo. Esemplificative in tal senso sono le cd. convenzioni (ad esempio tra scuole)45. Ma il dato significativo è rappresentato dal fatto che, l’Autore, ammette queste forme consensualistiche tutte le volte in cui la legge non prescrive che l’atto debba assumere la forma del provvedimento. Il capovolgimento di prospettiva è significativo, se infatti il contratto (nella specie quello di diritto pubblico ma non solo) era rigettato dalla dottrina in spregio alla prassi perché non
43 Occorre però accennare sin da ora, per poi approfondire più avanti, che l’accordo non implica necessariamente un potere di negoziazione, nel diritto civile, i contratti per adesione o quelli col consumatore ne sono un chiaro esempio, ed in ogni caso la questione non riguarda l’accordo, ma l’autonomia negoziale in capo alle parti che presenta profili teorici rilevanti soprattutto per quel che attiene alla P.A.
Già negli anni ’60 Virga, che pure considerava inammissibile la figura del contratto d diritto pubblico all’interno dell’ordinamento italiano, notava come tale obiezione fosse superabile «[…] anche in diritto privato vi sono dei contratti in cui una delle parti si trova in condizioni d’inferiorità e deve subire le condizioni imposte dall’altra parte; che anche in diritto privato vi sono contratti che vengono stipulati in regime di monopolio da parte di uno dei contraenti; che anche in diritto privato vi sono contratti stipulati in cui il contenuto è in gran parte determinato dalla legge ed infine che anche nei contratti di diritto privato una sola delle parti, in seguito al verificarsi di tali circostanze può chiedere la modificazione del contratto o il recesso dal medesimo» X. XXXXX, op. cit., pag. 981.
44 G. MIELE, La Manifestazione di Volontà del Privato Nel Diritto Amministrativo, Roma, Anonima romana editoriale, 1931.
45 X. XXXXXX, op. cit., 91.
esplicitamente disciplinato dal legislatore, qualificarlo come “atto lecito” comporta un evidente capovolgimento del problema. Tuttavia se il contratto tra privato e P.A. è concettualmente ammissibile poiché non vietato dalla legge, il silenzio di questa sbarra inevitabilmente la strada al contratto di diritto pubblico. Infatti, tali contratti rientrano in uno statuto speciale della Pubblica Amministrazione e a tal fine è necessario un precipuo intervento del legislatore che detti la disciplina in materia46.
La questione presenta, tuttavia, un’ulteriore risvolto teorico rappresentato dalla fusione della volontà pubblicistica con quella del privato in un unico atto, problema che riguarderà per un certo periodo anche i contratti di diritto privato delle pubbliche amministrazioni. Insuperato è rimasto l’ostacolo dell’incontro tra due volontà disomogenee all’interno della logica negoziale, tanto da precluderne la configurabilità all’interno dell’ordinamento.
Per quanto il dibattito sul contratto di diritto pubblico e sulla sua necessità, riguardi prevalentemente Autori d’inizio secolo, in tempi più recenti l’ammissibilità dell’istituto vede ancora il suo limite invalicabile nella diversa natura, proprio nell’inconciliabilità connaturata alle manifestazioni di volontà delle parti, definite come << […] aventi contenuto completamente diverso, si muovono su piani diversi ed hanno portata ed effetti diversi ed il loro incontro bell’ambito dello schema dell’accordo contrattuale è inconcepibile.47>>
46 X. XXXXXX, ivi.
47Cfr. X. XXXXX, op. cit., il quale mette in evidenza come a tali contratti risultino inapplicabili alcuni principi base dei contratti a prestazioni corrispettive, come le clausole inadimplendi non est adimplendum, l’exceptioinadimplendi contractus, l’exceptio non rite adimpleti contractus. Inoltre, al potere di ritiro da parte della P.A. non corrisponde un’equivalente diritto di recesso del privato, tipico dei contratti sinallagmatici tanto da far concludere l’Autore nel senso che «non è possibile configurare un contratto risultante dall’incontro di due opposte volontà».
Non resta altra via, dunque, che costruire dogmaticamente i contratti della P.A. come contratti di diritto privato, acuendo le problematiche già esposte in merito all’esercizio del potere, la bilateralità, l’accordo e non ultimo il regime d’invalidità.
3.3 La collocazione dell’interesse pubblico all’interno dei contratti della P.A.
Una volta ammesso, quanto meno a livello dottrinale, che l’interesse pubblico era perseguibile anche mediante atti di diritto privato, sorge il problema della collocazione dell’interesse pubblico all’interno di queste categorie di contratto.
La questione è ben diversa da quella relativa allo scopo ed all’azione vincolata della P.A.. Non v’è alcun dubbio infatti che la P.A. mediante gli strumenti privatistici persegua interessi pubblici, ma occorre affrontare il diverso problema della qualificazione giuridica di questo peculiarissimo interesse all’interno nella struttura della fattispecie in questione.
In proposito, le cosiddette “teorie casualistiche”48, identificano l’interesse pubblico come causa del contratto e pertanto comune ad entrambe le parti e non come “interesse o motivo presupposto” inerente alla sola P.A. Ciò consente innanzitutto l’individuazione di una linea di confine oggettiva tra contratti pubblici e contratti privati, da ricercarsi per l’appunto nella causa del contratto ed ha il pregio d’inserire l’elemento propulsivo del’attività amministrativa, all’interno della struttura della fattispecie giuridica. Appariva evidente, infatti, che relegare l’interesse pubblico a mero “motivo” o “presupposto”, non
48 Si fa riferimento alle teorie di X. XXXXX, Ente Pubblico, Soggetto Privato e Atto Contrattuale e X. XXXXX, I Rapporti Contrattuali Nel Diritto Amministrativo, quest’ultimo in particolare, «L’elemento della causa assume una sostanziale diversità a seconda che renda rilevante o non nel suo contenuto anche l’elemento del pubblico interesse e tale diversità si presenta a seconda che l’amministrazione ponga in essere negozi jure publico ovvero iure privato».
solo non offriva una reale soluzione relativa alla sorte del contratto, ma soprattutto mortificava un elemento centrale dell’amministrare.
Le conseguenze dogmatiche di questo riposizionamento, comportano un ridimensionamento della distinzione tra atti unilaterali e bilaterali, che si riducono ad una scelta tecnica della P.A., ma soprattutto secondo parte della dottrina49, pur in essendo in presenza di atti bilaterali, l’unicità della causa, consente di qualificare anche quest’ultimi come atti amministrativi, che presentano particolari aspetti di diritto privato. Secondo questa visione, la qualificazione dell’interesse pubblico come causa del contratto, è talmente pervasiva da snaturare la natura stessa dello strumento negoziale tanto da essere compatibile con la revoca50.
Tuttavia il più importante contributo dell’epoca risale all’opera di Amorth51 che imposta diversamente il problema, individuando la categoria dell’ “attività amministrativa di diritto privato”. Il punto di partenza è quello che, sebbene i contratti abbiano la “forma” di atti privatistici, secondo l’Autore si tratta pur sempre di atti “sostanzialmente” amministrativi. Tale connotazione non è però da ricondursi esclusivamente al perseguimento del pubblico interesse, bensì ad un potere di “scelta” che la legge attribuisce alla P.A.
Per la prima volta, all’interno della dottrina italiana, si evidenzia il profilo della discrezionalità come il vero elemento discretivo e vincolante dell’attività amministrativa. Il perseguimento dello scopo concreto della P.A., è ancorato all’obbligo di contemperare l’interesse pubblico con gli altri interessi in gioco, bilanciamento, che costituisce il criterio di distinzione tra discrezionalità ed arbitrio52 della P.A.
49 X. XXXXXX, op.cit
50 X. XXXXXX, op.cit p. 96
51 A. AMORTH, Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa di diritto privato, in Arch. Dir. Pubbl.,1938, (in X. XXXXXX, op. cit)
52 X. X. XXXXXXXX, Manuale, op. cit., p. 593, in merito alla discrezionalità della P.A.:
«la scelta che si offre all’amministrazione può riguardare, di volta involta, la stessa possibilità di agire, l’entità, il modo, il momento dell’azione, ecc. Le possibilità di
Se dunque il potere di scelta è elemento centrale dell’azione amministrativa lo strumento attraverso il quale si estrinseca, assume una valenza del tutto secondaria. Che la Pubblica Amministrazione “scelga” mediante atto unilaterale o contratto, non muta la natura dell’azione della Pubblica Amministrazione, che “è” e “resta”, di tipo amministrativo, ciò che muta è lo strumento giuridico, anch’esso “scelto” dalla Pubblica Amministrazione in base ai principi che delimitano la discrezionalità amministrativa. Infatti anche l’individuazione dello strumento più opportuno per il raggiungimento dello scopo pubblico, è esercizio di discrezionalità amministrativa, soprattutto in considerazione del fatto che l’unilateralità non è la sola opzione praticabile, ma può anche consistere in due atti di autodeterminazione dei rispettivi interessi che s’incontrano. Ne consegue che non è possibile per Xxxxxx configurare, il contratto come un’azione meramente lecita, poiché quando la scelta dell’amministrazione procedente cade sull’atto bilaterale invece che sul provvedimento, questa, in quel preciso istante, esercita una potestà amministrativa.
Del pari al momento della conclusione del contratto, non può parlarsi di mera volontà contrattuale da parte dell’amministrazione, ma dell’esercizio in concreto di un potere amministrativo53.
La ricostruzione in oggetto, dunque, pur partendo dalla disomogeneità degli interessi in capo alle parti, la questione non è ostativa all’accordo
scelta sono cioè graduate in una ben varia gamma. Ma siccome le alternative rimangono ad ogni modo limitate alla necessità di realizzare l’interesse pubblico generico e specifico e senza perder di vista tutti gli altri interessi compresenti (pubblici e privati), l’azione della pubblica amministrazione non può essere considerata, libera».
53 X. XXXXXX, op. cit., p.105, «In relazione alla categoria dell’attività amministrativa di diritto privato , assume carattere funzionale e non meramente «lecito» del disporre dell’amministrazione, pure all’interno di un rapporto formalmente privatistico. Ciò emerge, ci pare, considerando le conseguenze che secondo l’Autore, la presenza dell’elemento pubblicistico comporta sulla stessa validità – prima ancora che sugli effetti- dell’attività privatistica».
tra le parti, ma rientra nella logica negoziale che per la parte che interessa la Pubblica Amministrazione resta pur sempre esercizio di autorità, laddove l’autorità non è nel provvedimento, ma nel potere di scelta, con i dovuti risvolti sotto il profilo dell’invalidità del negozio, il cui regime è molto più affine a quello del provvedimento che del contratto.
Ma la vera separazione tra fase pubblicistica e fase privatistica è da ricondurre al pensiero di Giannini54 che individua quattro diversi tipologie contrattuali della P.A. ovvero contratti: ordinari, ad evidenza pubblica, speciali 55 ed i contratti ad oggetto pubblico. Questi ultimi sostituiscono definitivamente i contratti di diritto pubblico (anzi per certi versi chiudono il dibattito in materia) e presentano una stretta connessione col provvedimento rappresentandone un <<completamento necessario56>>.
La peculiarità di questa fattispecie contrattuale è data, per l’appunto, dall’oggetto pubblico, sottratto alla disponibilità dei privati e rientrante nella sfera giuridica esclusiva della Pubblica Amministrazione.
Tale esclusione si giustifica alla luce del fatto che nella nozione fornita da Xxxxxxxx oggetto e bene del contratto coincidono, dunque l’oggetto è pubblico perché il bene dedotto in obbligazione appartiene allo Stato. Tuttavia, la pubblicità dell’oggetto non muta la natura dello strumento di disposizione utilizzato dalla Pubblica Amministrazione, poiché i profili di diritto pubblico sono assorbiti per gran parte dalla fase provvedimentale.
54 M. S. XXXXXXXX, L'attività amministrativa. Lezioni tenute nell’a. a. 1961/62, Roma, Xxxxx Xxxx, 1966.
55 I quali possono essere stipulati solo tra amministrazioni pubbliche.
56 M. S. XXXXXXXX, xxx.
Sebbene non esente da critiche57, il ragionamento costruito da Xxxxxxxx rappresenta un vero punto di svolta nella dottrina sui contratti della P.A.
Per l’Autore, l’interesse pubblico si colloca all’interno della fase provvedimentale, questa a sua volta costituisce il ponte concettuale che consente di transitare dal provvedimento, al contratto di diritto privato. La stretta connessione tra provvedimento e contratto deriva dal fatto che: è il primo a rendere possibile il secondo, poiché è mediante la delibera a contrarre che l’Amministrazione può decidere di procedere all’ autoregolazione dei propri interessi mediante strumenti privatistici. Per quel che concerne la natura unilaterale o bilaterale dell’atto, però, le conclusioni sono ancora ancorate ad una visone formalistica. Sebbene non vi siano dubbi sulla natura privatistica dello strumento, il consenso del privato non è considerato manifestazione di volontà ma semplice condizione di efficacia, contestuale all’atto stesso.
La concezione per cui la volontà effettivamente rilevante all’interno dei contratti della P.A. sia quella della stessa Amministrazione, mentre la volontà del privato si riduce sostanzialmente a condizione di efficacia o a mero presupposto dell’atto, rappresenta un tratto costante nella dottrina italiana sino agli anni sessanta.
Tuttavia, più avanti, in autori come Virga, che rigettano la categoria del contratto pubblicistico, il problema si concentra, ancora una volta sulla presunta incompatibilità tra volontà pubblicistica e volontà privata ma con una rilevante differenza rispetto al passato. La volontà della
57 In senso critico X. XXXXXX, op. cit., p. 140, considera troppo rapidamente risolto il problema del rapporto tra qualificazione giuridica del bene pubblico e la natura dell’atto che di esso disponga. A parere dell’Autore «Ciò che consente a Xxxxxxxx una costruzione nell’insieme coerente dei contratti ad oggetto pubblico è […]costituito dal collegamento tra il contratto ad oggetto pubblico ed il provvedimento amministrativo. Un simile collegamento si rivela essenziale,: perché è proprio il provvedimento collegato che assorbendo in sé medesimo l’evidente presenza del pubblico interesse, consente che il contratto risulti poi, a sé considerato, meramente privatistico, in quanto dominato da profili patrimoniali».
Pubblica Amministrazione non è più intesa come volontà negoziale, il problema è infatti superato dall’assorbimento dell’interesse pubblico, nella fase provvedimentale. Tanto che, per l’Autore, non si pone alcun problema per l’ammissibilità di contratti della P.A. rientranti nella cosiddetta attività di diritto privato58.
In particolare la classificazione operata, vede distinti i <<contratti di diritto privato>> dai <<contratti amministrativi>>.
I primi sono sostanzialmente contratti privatistici59 in cui la Pubblica Amministrazione si procura beni e servizi sul mercato, spogliandosi del potere autoritativo. In questi casi, secondo l’autore, la P.A. agisce su un piano di assoluta parità col privato, che è pertanto è sottoposta al regime di diritto privato. Le deroghe a tale regime sono per lo più date dalle differenti modalità di conclusione del contratto, rispetto all’ipotesi in cui intervengano tra due privati e alcune delle limitazioni che riguardano la natura pubblica dell’ente. Tuttavia tali eccezioni non appaiono così determinanti da snaturare l’istituto contrattuale e sottrarlo per il resto alla disciplina civilistica.
Diversamente i contratti amministrativi60 non condividono le medesime caratteristiche. Essi sono disciplinati da fonti di diritto pubblico, che prevedono una regolamentazione profondamente diversa dalle fattispecie civilistiche, tanto da impedirne l’assimilazione.
Sussiste però un tratto comune tra le due figure contrattuali: in entrambi i casi esse non rappresentano esercizio di potestà pubblicistiche. Queste, restano infatti assorbite nella fase procedimentale, operazione
58 X.XXXXX, Enciclopedia del diritto,Teoria Generale del Contratto di Diritto Pubblico,Xxxxxxx, Milano, 1961.
59 Xxxxxx, l’Autore fa riferimento a veri e propri contratti di diritto privato portando ad esempio: vendite, locazioni, fideiussioni, etc.
60 Ibidem, a titolo esemplificativo, l’Autore fa esplicito riferimento contratto di’appalto, dove la disciplina è talmente dissimile da porsi in netta distinzione rispetto all’omonima fattispecie privatistica.
che consente alla P.A. di agire su un piano di sostanziale parità col privato al momento della stipulazione.
4. Il nuovo secolo: l’apertura al modello consensualistico
Quello che Xxxxx definisce “l’ostracismo verso il contratto”61 è una tendenza che trovando la sua ragion d’essere nella contrapposizione autorità-consenso62, ha caratterizzato non solo l’ottocento ma anche il secolo successivo sino al riconoscimento dell’operatività dei principi civilistici in materia con la legge sul procedimento del 1990.
Lo stato sociale ed i suoi crescenti fabbisogni avevano già messo in evidenza l’insufficienza del modello pubblicistico puro. Le contraddittorietà tra un sistema che proclama la primazia e la specialità di un diritto dell’amministrazione ed il ricorso che gli enti di nuova istituzione (quali ad esempio l’IRI) a strumenti privatistici raggiunge il suo massimo.
La Carta Costituzionale rappresenta un momento di riflessione sull’intero sistema: la fisionomia di Stato da essa delineata perde i connotati totalitaristici ottocenteschi per tornare (se non creare ex novo) ad una dimensione di Stato a servizio del cittadino. La costituzionalizzazione dell’interesse legittimo, d’impugnazione degli atti, di legittimità e di merito (art. 103 Cost.) costituiscono il primo
61 X. XXXXXXX - X. XXXXX La storia del diritto amministrativo, IV Edizione, Xxxxxxx, 0000.
62 In senso contrario F. G. SCOCA, in Autorità e Consenso, in Atti del XLVII Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Xxxxxxx, Milano, 2002 : «non c’è mai stato, ne sul piano teorico, ne sul piano pratico, alcun rifiuto degli atti consensuali e degli atti consensuali, e dei contratti in particolare. se le figure complesse. e per la loro ambigua complessità ricostruibili come fattispecie unilaterali ovvero come fattispecie consensuali, sono state attratte nel campo dell’autorità del diritto pubblico, o (forse più esattamente )nel campo del diritto speciale dell’amministrazione, lo si è dovuto ad un’esigenza molto seria, quella di preservare appunto la disciplina speciale e tipica dell’azione dell’amministrazione».
passo verso il superamento della specialità del diritto amministrativo fondato sul binomio sorvanità-autorità.
Si apre la strada all’idea che l’unilateralità non implica necessariamente l’autoritatività, ben potendo svolgersi secondo schemi consensualistici, senza per questo negare la sua portata precettiva.
In particolare la dottrina ha messo in rilievo come all’unilateralità del potere non corrisponda necessariamente l’unilateralità dell’atto, ben potendo realizzarsi anche mediante atti bilaterali. Inoltre si può osservare come l’autorità sia attributo della sovranità63 e come l’attività amministrativa, dall’inizio del XiX ad oggi, sia sempre più transitata da un funzione sovrana ad una funzione di servizi o meglio, sotto il profilo organizzativo da <<apparato d’ordine ad apparato d’erogazione>>64. In questa ricostruzione teorica trovano spazio gli atti consensuali della Pubblica Amministrazione, ovvero, atti che a vario titolo richiedono il consenso del destinatario. In tal senso si annoverano, oltre i contratti di evidenza pubblica, che costituiscono l’oggetto principale di quest’indagine anche tutta una serie di atti in cui la controparte privata assume un ruolo attivo nell’agire della Pubblica Amministrazione, proprio attraverso la manifestazione del consenso65. In quest’ottica, a dispetto del diverso regime applicabile, rientrano nel genus degli atti consensuali non solo i contratti ad evidenza pubblica ma gli accordi (in
63 F. G. SCOCA, ibidem. In questo senso la definizione è coerente con l’impostazione di X. XXXXXX, La fenomenologia del potere, op.cit.
64 X. XXXXXX, Gli accordi procedimentali, Xxxxxxxxxxxx, 2002, p.49, che in merito afferma come «La progressiva affermazione di modelli di amministrazione consensuale viene ad affiancarsi, più che a sovrapporsi all’amministrazione autoritativa, fornendo un’opzione alternativa per la produzione dei servizi richiesti all’apparato pubblico. Quest’ultimo, per altro, da apparato d’ordine quale era inizialmente, si è venuto trasformando in apparato di erogazione, ciò che si per sé, confligge con il modello autoritativo».
65 M. S. XXXXXXXX, Il Potere Pubblico Stati e Amministrazioni, il Mulino, 1986, secondo cui «con la locuzione moduli convenzionali, che è atecnica, e volutamente generica s’intendono tutte quelle fattispecie in cui s’impiega come tecnica di azione l’addivenire tra interessati e le amministrazioni a soluzioni concordate evitandosi così soluzioni unilateralmente imposte in via autoritativa ovvero soluzioni prese solitariamente».
particolare quelli sostitutivi) ex art. 11 della legge sul procedimento amministrativo, nonché istituti ben noti e risalenti nel tempo, quali: le concessioni contratto, le autorizzazioni, e le convenzioni di lottizzazione, e da ultimo i rapporti di pubblico impiego.
Le differenze tra questi strumenti della Pubblica Amministrazione afferiscono non solo alla disciplina applicabile, ma anche al ruolo che l’elemento consensuale gioca nell’economia dell’atto. Se infatti nei contratti di evidenza pubblica, il momento autoritativo, inteso come unilateralità del precetto si situa nella fase di formazione del contratto (che convenzionalmente s’identifica con la fase antecedente all’aggiudicazione66), nella concessione esso si estende sino al momento costitutivo del rapporto, lasciando all’accordo delle parti la disciplina successiva del rapporto. Ciò comporta un’inversione dei due momenti, come avviene nelle convenzioni di lottizzazione, dove la fase provvedi mentale dell’approvazione segue quella negoziale.
Nel corso dell’ultimo ventennio si è assistito ad un progressivo affermarsi dei modelli con sensualistici che, riconosciuti a pieno titolo dalla legge sul procedimento (art. 1, 11, 15), si affiancano all’azione autoritativa della P.A.67
Tuttavia, proprio in tale prospettiva, l’aumento del ricorso a strumenti consensuali tradisce pur sempre un mutamento di atteggiamento da parte della Pubblica Amministrazione che deve leggersi come il riconoscimento dell’inadeguatezza del modello autoritativo a fronteggiare i nuovi problemi emergenti. Alla fine degli anni ottanta Xxxxxxxx pur riconoscendo che la dottrina del contratto di diritto pubblico apparteneva al secolo scorso, rilevava come con l’avvento dello Stato pluriclasse, essi siano aumentati non solo a livello
66 L’art 11 del codice dei contratti pubblici ha chiarito come l’aggiudicazione non equivalga ad accettazione del contratto.
67 X. XXXXXX, Gli Accordi Procedimentali, op. cit., p. 49.
quantitativo ma qualitativo tanto da far parlare di un <<diverso modo di amministrare68>>.
Le ragioni di questo cambio di tendenza sono molteplici: a parte l’estrema permeabilità del sistema a fenomeni di natura corruttiva, resa palese già dagli eventi giudiziari dei primi anni novanta, la P.A. è stata costretta a confrontarsi con la frammentazione di quell’interesse pubblico alla cui tutela è funzionalmente orientata la sua azione, frammentazione non sempre agevolmente individuabile e spesso rappresentata da interessi adespoti69. La tutela dell’ambiente, l’emergente tutela delle regole del mercato e per il mercato, la sempre più pressante richiesta di tutela da parte del controinteressato e non da ultimo, la risoluzione della questione sulla risarcibilità dell’interesse legittimo, hanno indotto il legislatore ad un mutamento di prospettiva che parte dal basso70.
Se, infatti nello schema autoritativo la dicotomia di riferimenti mento è
P.A. – titolare di un potere autoritativo e amministrato – in posizione di soggezione, il modello negoziale impone situazione di sostanziale parità tra le parti, in cui l’amministrato diventa “il cittadino”. La questione non è di poco conto, poiché si passa da una logica di “contrapposizione” ad una logica di “cooperazione”, che implica necessariamente il dialogo tra istituzioni e destinatario cittadino.
Se, dunque, si assiste alla valorizzazione dell’attività di diritto privato da un lato, non può non osservarsi, come la nuova logica dei rapport stato-cittadino, contamini anche l’esercizio stesso del potere autoritativo, attraverso la partecipazione al procedimento (artt. 7-13
68 M. S. XXXXXXXX, Il Pubblico Potere, op. cit.
69 X. XXXXXX, Gli Accordi Amministrativi, p. 46.
70 Diffusamente I. M. XXXXXX in Prime Considerazioni su Diritto E Democrazia, Cedam, 2010 e anche in Autonomie e Democrazia, Profilo dell’ Evoluzione dell’autonomia e della Ricaduta sul Sistema Giuridico, in Aspetti Della Recente Evoluzione Degli Enti Locali, 2007, passim.
della legge 241/90)71. Dinnanzi a tale fenomeno espansivo, è stato messo in evidenza come sia pericoloso identificare nel modello autoritativo la cd. “cattiva amministrazione” riponendo nel modello consensuale ingenue aspettative di correttezza72.
In realtà, sembra difficile negare come proprio questo cambiamento di strumenti utilizzati dall’Amministrazione, non rispecchi un profondo cambiamento ideologico nella concezione dell’esercizio del potere. Come accennato lo strumento autoritativo cela un’idea autoritaria di Stato, che presuppone il riconoscimento da parte del destinatario di una superiorità (morale) dello stesso73, il consenso prestato in questo contesto non è un atto di libera scelta ma un atto di sottomissione spesso inconsapevole. Perché il consenso possa davvero chiamarsi tale, la conditio sine qua non è la reciprocità, praticabile solo in presenza di soggetti in posizione di assoluta parità sostanziale.
Se la premessa esposta è vera, solo due strade appaiono praticabili: la prima è che la P.A. nel contrattare col privato si spogli dell’autoritarietà per “abbassarsi” al livello del privato. Tale opinione sarebbe difficile da sostenere poiché l’autoritarietà è indissolubilmente legata al perseguimento del pubblico interesse che vincola l’azione della P.A. anche in presenza di strumenti privatistici. In alternativa, si potrebbe affermare che, nell’accordo l’amministrazione riconosca implicitamente nella controparte contrattuale un’”altra autorità”, non uguale ad essa, non portatrice di pubblici interessi, ma di interessi propri parimenti meritevoli di tutela.
71 L’istituto, d’introduzione abbastanza recente, attribuendo al cittadino il diritto di essere informato dell’avvio di un procedimento che lo riguarda e di produrre osservazioni e memorie a riguardo, mira, mediante il coinvolgimento e la tutela del destinatario, a potenziare l’efficienza della P.A. attraverso un confronto effettivo degli interessi in gioco.
72 F. G. SCOCA, Autorità e Consenso, op. cit.
73 J. RAZ, Authority and Consent, op. cit.
5. Il negozio come strumento di regolazione degli interessi
pubblici dopo la l. 241/90
Si è già accennato come la legge 241/90 abbia riaperto il dibattito sull’idoneità degli strumenti negoziali a costituire valido strumento di regolazione degli interessi pubblici e come tale riflessione abbia poi condotto alla rimeditazione dei rapporto tra attività autoritativa e consensuale della P.A. e ad un’analisi sempre più approfondita delle fattispecie coinvolte.
In particolare, autorevole dottrina74 rileva come, secondo la teoria della doppia natura, anche l’attività contrattuale della P.A. è attività amministrativa, solo che, all’interno della medesima fattispecie, sono riscontrabili sia atti di natura privatistica che pubblicistica. Il consenso si situa dunque in maniera differente asseconda che si tratti di contratti ad evidenza pubblica o di concessioni; sebbene in entrambi i casi il consenso sia collocato al di fuori della fattispecie, nel caso dei contratti, questo è situato a valle del procedimento, come condizione di efficacia dell’atto, mentre per quel che concerne le concessioni esso rappresenta il presupposto per l’emanazione dell’atto unilaterale.
Per Scoca, l’autorità secondo un significato tecnico giuridico è eteroregolazione, ossia il potere di regolare la sfera giuridica altrui, in questo senso è diametralmente opposto al concetto di autonomia privata che consiste in un potere di autoregolamentazione degli interessi. Ciò che rileva però è che l’autorità è attributo del potere e non dell’atto caratterizzato piuttosto dai connotati dell’imperatività. Il potere autoritativo può esprimersi pertanto in atti precettivi unilaterali o bilaterali, senza che l’elemento consensualistico elida il profilo di autoritarietà. L’autoritarietà viene meno solo qualora il consenso sia condizione di esistenza del regolamento il che, secondo l’autore, si
74 F. G. SCOCA, Autorità e Consenso, op. cit.
verifica proprio nei contratti di evidenza pubblica. In questo caso però non può parlarsi di autonomia privata della P.A. poiché l’azione amministrativa è sottoposta ad un vincolo di scopo che non la limita solo nel fine perseguibile, ma che la costringe anche al rispetto di norme procedurali ed al rispetto dei principi tipici dell’agire amministrativo, in primis il principio di proporzionalità.
Si rileva come un forte limite all’autonomia della P.A. sia rappresentato proprio dal rispetto degli interessati coinvolti nel procedimento, dei terzi e nell’adeguatezza degli strumenti utilizzati per giungere al fine preposto.
Per l’autore il diverso collocamento del consenso all’interno della fattispecie muta la natura stesso a dell’atto: se il consenso costituisce un presupposto o condizione di efficacia dell’atto, si è pur sempre in presenza di atti autoritativi della P.A., se invece questo assume i connotati di condizione di esistenza del contratto in quanto elemento indispensabile per la struttura stessa della fattispecie, l’atto precettivo è senz’altro di natura consensualistica
Anche altri autori75 concordano sulla generale capacità di diritto privato in capo alla Pubblica Amministrazione, intesa idoneità per la Pubblica Amministrazione di essere titolare di situazioni soggettive di diritto privato (si fa per lo più riferimento alla possibilità per la p.a. di ricevere donazioni, eredità stipulare contratti etc) ma anche qui si pone in dubbio sulla loro idoneità ad essere validi strumenti per la gestione degli interessi pubblici.
Xxxxxxx-Xxxxxx mette in evidenza come la riflessione sugli strumenti di diritto privato non investa solo il contratto, ma tutti gli strumenti di diritto privato, inclusi gli atti unilaterali a carattere negoziale ex art 1324, non infrequenti, ad esempio, nel rapporto di pubblico impiego.
75 X. Xxxxxxx Xxxxxx , Autorità e Xxxxxxxx, op. cit.
In secondo luogo bisogna risolvere il problema della compatibilità costituzionale ed in particolare se l’uso del negozio sia compatibile con il principio d’imparzialità, con la tutela giurisdizionale e con il combinato disposto tra gli art. 3 e 41 della Carta Costituzionale, (principio di uguaglianza di trattamento e quello di libertà negoziale). Se, infatti, nei primi due casi i principi sarebbero meglio garantiti dal provvedimento amministrativo per via delle procedure istruttorie ad esso connesse e dei principi che le regolano.
Un diverso discorso deve essere fatto per il terzo. La libertà negoziale e la parità di trattamento, che potrebbero essere sintetizzate nella libertà di concorrenza, sarebbero infatti meglio garantiti dallo strumento contrattuale. Da questo rilievo si può dedurre che la limitazione dell’uso degli strumenti imperativi in favore di quelli negoziali dev’essere calibrata al fine di rispettare tutti i principi che coinvolgono la P.A., e dunque contenuta nei limiti del principio di proporzionalità.
Interessante appare inoltre l’analisi, seppur sintetica delle differenze tra i due strumenti. In primo luogo si rileva una grande difformità sostanziale in sede di formazione dell’atto.
La legge 241/90 disciplina le varie fasi del provvedimento, garantendo la tutela degli interessi partecipativi dei soggetti coinvolti nel procedimento, mentre in generale, per i contratti vige il principio di libertà nelle forme e nelle attività col solo limite dettato dall’art. 1337, della libertà delle forme.
Un secondo profilo è quello dell’efficacia, dove il provvedimento amministrativo sembrerebbe essere caratterizzato dalla precarietà. Secondo l’Auore infatti, una volta concluso, il contratto può essere rimosso solo dal giudice (e, si potrebbe aggiungere dall’accordo delle parti, per non paralare poi delle ipotesi di recesso) mentre il potere di autotutela, in capo alla Pubblica Amministrazione sotto forma di revoca o annullamento, espone l’assetto degli interessi stabilito nell’atto ad
una maggiore instabilità, che porta con se inevitabilmente i caratteri dell’autorietà-imperatività considerando che questo potere è attribuito esclusivamente alla Pubblica Amministrazione.
Particolarmente interessanti appaiono i rilievi sulla tutela delle posizioni soggettive, non tanto per quel che attiene al riparto di giurisdizione, quanto per quel che concerne la tutela accordata al ricorrente che risulta essere più ampio nell’ambito del provvedimento piuttosto che in quello del negozio. Si rileva che la tecnica di tutela dei diritti soggettivi legittima solo le parti del contratto, mentre nell’ambito dei diritti soggettivi trovano tutela anche le posizioni soggettive dei contro interessati.
Secondo quest’impostazione, i contratti pubblici presentano una serie di principi peculiari estranei al diritto privato76 proprio in virtù dell’azione vincolata della Pubblica Amministrazione77.
Un ulteriore principio è quello della parità d’accesso a tutti i possibili interessati. A riguardo la Legge di Contabilità di Stato, R.D. 18 novembre 1923 n. 2240 all’art. 3, prevedeva i pubblici incanti per i contratti attivi ed le pubbliche gare per i contratti passivi. Il principio svolge una duplice funzione: una immediata che consiste nel consentire alla Pubblica Amministrazione di reperire il miglior prodotto o la migliore prestazione sul mercato al minimo dei costi e l’altra, che si potrebbe definire mediata, che garantisce a tutti gli interessati di potere concludere contratti con la Pubblica Amministrazione. L’argomento, che sarà approfondito in seguito, ha una certa rilevanza soprattutto sotto il profilo della tutela giurisdizionale78.
76 Rientranti secondo F. G. SCOCA, op. cit., nello statuto della Pubblica Amministrazione
77 Anche X. XXXXXXX XXXXXX concorda con impossibilità di parlare di un’autonomia negoziale riferibile alla P.A., la cui azione deve esplicarsi nel rispetto del principio di buona amministrazione, op. cit.
78 La giurisprudenza della corte di Cassazione infatti fino alla fine degli anni ‘90 ha senz’altro privilegiato la prima funzione rispetto alla seconda attribuendo alla sola
6. L’attività provvedimentale della P.A. ed il contratto
Fatto un debito cenno alle premesse teoriche alla base di autorità e consenso ed il loro modo di rapportarsi nell’arco degli ultimi due secoli resta da chiarire come sia stato possibile in termini giuridici conciliare il potere autoritativo della Pubblica Amministrazione con l’attività negoziale.
Il punto di partenza è dato dalla nozione di provvedimento elaborata da Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx a partire dagli anni quaranta, e per certi versi ancora punto di riferimento per qualunque rifessione sul tema.79 Secondo l’Autore, provvedimento è per sua natura atto autoritativo80, nonché atto caratterizzato dall’imperatività81.
Nella sequenza autorità- autoritatività- imperatività- provvedimento, s’individuano due tratti salienti. Il primo è quello per cui l’imperatività
P.A. la legittimazione a ricorrere avverso l’illegittima aggiudicazione dell’appalto. Il diniego di legittimazione in capo al contraente privato, si giustificava alla luce del fatto che la ratio della norma s’identificava esclusivamente con l’interesse della Pubblica Amministrazione a conseguire un risultato efficiente. Il progressivo sviluppo del diritto comunitario ed il recepimento delle relative direttive hanno poi favorito la valorizzazione della seconda funzione sotto il profilo della tutela del diritto alla concorrenza.
79 F. G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. Amm., 1995, mette in evidenza come in realtà la definizione di provvedimento fornita da Xxxxxxxx resti ancora assolutamente in auge, a riguardo l’Autore commenta come «La povertà di contributi posteriori mostra come la dottrina si sia ritenuta paga della teorizzazione proposta e non ha ritenuto di dover intervenire ulteriormente sul tema».
80 M. S. XXXXXXXX, Lezioni di diritto amministrativo, Xxxxxxx, Milano, 1950, passim.
81 Come osserva F. G. SCOCA, op. loc. ult. cit., la nozione è stata continuamente oggetto di ripensamento da parte di Xxxxxxxx, sicché «viene dapprima considerata
«un carattere (...) proprio dell'autorità del provvedimento», manifestantesi nella degradazione dei diritti e nella esecutorietà ; successivamente viene fatta coincidere con l'autorità del provvedimento, articolantesi «in tre effetti, tra loro collegati (...): la degradazione dei diritti, l'esecutività, l'inoppugnabilità». Nella ricostruzione più recente l'imperatività, intesa come «una particolare qualità dell'atto», è raffigurata come uno dei due elementi in cui si concreta l'autorità, assieme alla potestà per imporne l'osservanza, ossia l'autotutela. Ciò che più rileva è che l'imperatività non sembra articolarsi più in diversi effetti: esecutività, degradazione, affievolimento dei diritti diventano semplici aspetti applicativi del modo in cui essa può in concreto presentarsi. Anzi degradazione ed affievolimento sono ritenuti «modi di dire figurati» e, soprattutto, sono «riferibili alle sole potestà ablatorie».
si riflette nel provvedimento amministrativo attraverso l’esecutività, l’inoppugnabilità e, limitatamente all’esercizio di poteri ablatori nell’affievolimento dei diritti.82
L’atto provvedimentale della Pubblica Amministrazione risulta dunque essere un atto unilaterale, idoneo ad costituire modificare ed estinguere posizioni soggettive in capo ai destinatari, senza la necessità di alcuna forma di consenso.
Il secondo profilo di rilevanza è invece dato dalla valorizzazione del procedimento come momento effettivo di esercizio del potere. Il provvedimento non è che l’elemento finale del procedimento, ovvero di una sequela di atti, mediante i quali la P.A. esercita quella discrezionalità teleologicamente orientata al perseguimento del pubblico interesse, il quale si realizza nel provvedimento finale. Così delineato, l’atto provvedimentale risulta del tutto antitetico ed inconciliabile col contratto proprio a partire dalla definizione iniziale.
Se in questo l’effetto modificativo delle situazioni soggettive è da riconnettersi al potere di prescindere dal consenso, quest’ultimo è invece la fonte primaria su cui si fonda il contratto: l’accordo delle parti83.
Le ripercussioni sono evidenti anche sotto i profili d’invalidità delle due diverse categorie di atti. L’atto provvedimentale è sottoposto ad un giudizio di legittimità-illegittimità e, nel caso di giurisdizione di merito, di opportunità dell’azione della P.A.. Nel giudizio sul contratto invece il binomio si risolve in un giudizio di validità- invalidità.
Il processo di accostamento di due istituti apparentemente così lontani, ha conosciuto più tentativi che partono prevalentemente dalla messa in discussione dell’indissolubile binomio autorità-imperatività, intesa
82 La teoria dell’affievolimento dei diritti risulta al giorno d’oggi ampiamente superata
83 X. X. XXXXXX, Trattato Di Diritto Civile, Il Contratto, Xxxxxxx Editore, Milano, 2000, p. 45.
come coercitività e dunque irrilevanza del consenso. L’operazione non appare illogica se si tiene conto che nell’analisi sociologica effettuata da Xxxxxx: l’esercizio dell’autorità ingenera il consenso, non lo ignora, e l’uso di strumenti coercitivi della volontà non è un tratto saliente del potere autoritativo, ma eventuale e, finanche, marginale84.
Sul punto sono state elaborate negli anni ottanta due teorie che partendo dalla medesima premessa, ovvero lo sdoppiamento del procedimento, individuano una fase pubblicistica ed una fase privatistica attribuendo però valenze diametralmente opposte.
Se per Falcon85 infatti, la fase pubblicistica implica comunque l’esercizio di poteri amministrativi, per Greco86 la fase pubblicistica in realtà non è che esercizio di un potere di autonomia privata in capo alla P.A.
Partendo dalla tesi di Falcon <<l’azione amministrativa comporta in certi l’esercizio di poteri autoritativi87>> mettendo in evidenza come tali tratti non solo non siano elementi generali e costanti, ma addirittura costituiscano <<l’eccezione più che la regola>>.
La premessa iniziale è quella secondo cui ogni società civile necessita di poteri imperativi che si estrinsecano nella coercitività, tuttavia questi non rappresentano una caratteristica necessaria del provvedimento. In astratto è plausibile sia pensare all’imperatività senza il provvedimento, ma anche il provvedimento senza l’imperatività ed è proprio questa seconda intuizione che apre la via all’attività negoziale della Pubblica Amministrazione. La questione non è meramente teorica, l’Autore in merito rileva come negare tale impostazione, comporterebbe l’espunzione dal novero dei provvedimenti amministrativi di importanti
84 X. XXXXXX, Fenomenologia del potere, op. cit.
85 X. XXXXXX, Le convenzioni pubblicistiche, op cit.
86 X. XXXXX, I contratti dell’amministrazione, tra diritto pubblico e diritto privato,
Milano, 1986.
87 X. XXXXXX, ibidem, p. 225.
categorie di atti quali concessioni e autorizzazioni, che non presentano i connotati d’imperatività, in quanto necessitano, sul piano della produzione degli effetti giuridici, della cooperazione della controparte88. D’altro canto si osserva, che se per imperatività si fa riferimento alla capacità dell’atto di incidere posizioni giuridiche altrui, tale caratteristica non è di pertinenza esclusiva del potere amministrativo, ben potendo anche il titolare di un diritto soggettivo (e ancor di più se potestativo), modificare la sfera giuridica del soggetto in posizione di soggezione (o di obbligo).
In questi termini l’imperatività del provvedimento presenta connotati di favore nei confronti del privato, che vede tutelate nei confronti della Pubblica Amministrazione, posizione, invece, irrilevanti sul piano del diritto privato89.
In questi termini il vero criterio discretivo non sembra essere la natura provvedimentale o meno dell’atto, bensì il modo in cui l’amministrazione si pone dinnanzi al perseguimento del migliore interesse pubblico. Il contrassegno del provvedimento non è dunque l’autoritarietà, ma il fatto che l’amministrazione agisca “in quanto autorità” ed è proprio quando rinuncia a questo modalità di gestione che sono ammissibili gli atti bilaterali.
L’affermazione in questione deve però superare due ordini di obiezioni: la prima in merito alla diseguaglianza dei due atti (quello amministrativo e quello privato), la seconda in merito alla natura vincolata dell’azione amministrativa.
La questione della diseguaglianza, non tanto degli interessi in gioco quanto della natura giuridica dei due atti, trae fondamento dall’asserita impossibilità che un atto amministrativo possa fondersi con un atto di
88 X. XXXXXX, ibidem, p. 237.
89 X. XXXXXX, ibidem., p. 236, secondo cui «sicché si finisce per intendere – paradossalmente- come effetto “imperativo” del provvedimento una situazione vantaggiosa per l’interessato».
autonomia privata90. A riguardo, Xxxxxx osserva, come l’accordo non presupponga un’identità qualitativa delle volontà, quanto piuttosto “un mero risultato giuridico del reciproco corrispondersi delle dichiarazioni91”.
Di maggiore interesse è, tuttavia il secondo ostacolo all’ammissibilità degli atti bilaterali ovvero la loro compatibilità con l’esercizio discrezionale del potere amministrativo. Rispetto ad altre impostazioni, il problema non è tanto rappresentato dal vincolo di scopo, bensì dalla discrezionalità intesa piuttosto come non negoziabilità dell’interesse pubblico.
In questa prospettiva, in cui l’interesse pubblico non ammette il sacrificio reciproco rispetto agli interessi privati, l’atto unilaterale costituisce l’unico precipitato logico ammissibile.
La riprova della correttezza dell’assunto appena riportato, era data dall’argomento secondo cui, il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa comporta un obbligo di astensione in capo all’amministrazione procedente, qualora gli obblighi dedotti in contratto fossero contrari alle regole di buona amministrazione o arrecassero un vulnus all’interesse pubblico ponendo nel nulla il vincolo92. Affermare il contrario avrebbe condotto al paradosso secondo cui sarebbero ammessi all’interno dell’ordinamento, atti illegittimi finalizzati al mero adempimento dell’obbligo contrattuale, consacrando la primazia dell’accordo sull’atto imperativo e degli interessi privati, su quelli facenti capo all’intera collettività.
L’atto unilaterale, così concepito, rispecchia dunque non solo una concezione autoritaria, in senso stretto, dell’azione amministrativa ma
90 L’obiezione è dunque da intendersi esclusivamente nel caso di accordi con i privati, con esclusione degli accordi tra amministrazione, attesa l’omogeneità degli atti in questione
91 X. XXXXXX, ibidem, p. 245.
92 X. XXXXXX, ibidem, p. 248.
anche una visione dell’agire amministrativo, avulso dal contesto in cui opera e non curante degli interessi che fanno capo ai destinatari.
Tuttavia, proprio negli anni ottanta affiorava un diverso modo di leggere l’azione della Pubblica Amministrazione, non solo più vicina al cittadino ma anche calata nella realtà in cui operava e, pertanto, tenuta a confrontare (e conformare) l’esigenza del miglior perseguimento del pubblico interesse, con la miriade di situazioni soggettive e di fatto con le quali doveva confrontarsi.
L’idea che l’interesse pubblico non fosse negoziabile come requisito “in sé” dello stesso, viene seriamente posta in dubbio soprattutto in considerazione del fatto che al pari dell’ interesse privato questo deve confrontarsi con le regole del mercato, dal quale attinge beni e servizi. In merito Xxxxx, commentava come <<solo il giurista, attraverso i suoi occhiali deformati riesce a vedere l’esercizio del potere pubblico come attività non dipendente da influenze esterne e, soprattutto, non negoziabile>> mettendo in evidenza come <<se c’è qualcosa che per sua natura è elastico e trasformabile in relazione alle circostanze concrete è proprio il potere.93>>
Sulla scia di questo nuovo modo d’intendere la discrezionalità si apre uno spiraglio all’ammissibilità degli atti bilaterali. In particolare, si osserva, che se il fine della P.A. è il miglior perseguimento del pubblico interesse, non sempre l’atto unilaterale si rivela lo strumento ideale.
93 X. XXXXX, Le Convenzioni Urbanistiche, cit in X. XXXXXX, Le convenzioni pubblicistiche, op. cit. Allo stesso Xxxxx si deve in tempi successivi il ripensamento dell’ esercizio della discrezionalità in termini non di prevalenza del pubblico sull’interesse privato ma di equo bilanciamento tra interessi primari e secondari, sicché un corretto esercizio dell’azione amministrativa non prescinde dagli interessi privati coinvolti del procedimento, ma consiste nell’effettivo contemperamento di questi ultimi con i cosiddetti interessi primari. X. XXXXX, Giustizia amministrativa, il Mulino, Bologna, 2002, passim.
Si ammette dunque la possibilità che laddove tale categoria di atti si riveli inadeguata allo scopo, il corretto esercizio della discrezionalità possa consistere nell’accordo col privato ed in particolare nel “fissare un programma complessivo” volto al soddisfacimento reciproco degli interessi di parte. In questa logica l’atto amministrativo di adesione della Pubblica Amministrazione è pur sempre atto unilaterale con riferimento alla provenienza (poiché promana comunque da una deliberazione degli organi competenti) ma è, come lo definisce l’Autore94, inautonomo, poiché sotto il profilo dell’efficacia necessita dell’incontro con la volontà di controparte. Le ripercussioni di quest’impostazioni sono ravvisabili sul piano della tutela dei contro interessati. In quanto atto inautonomo, l’atto amministrativo col quale la P.A. aderisce alla convenzione, non sarà impugnabile fintanto che non intervenga l’eccezione di controparte, poiché l’inidoneità a produrre effetti a prescindere dal consenso dell’altro contraente, rende “non attuale” la lesione nei confronti dei terzi, lesione che invece si concretizza nel momento in cui le due volontà pubblica, da un lato e privata dall’altro s’incontrano. Da quel momento decorrono infatti i termini per l’impugnazione.
Sebbene la tesi abbia suscitato qualche dubbio sulla possibilità di qualificare come provvedimento un atto privo d’imperatività, il suo pregio della è quello di salvaguardare sia l’identità del potere amministrativo (il nucleo essenziale è da ricercarsi nel pubblico interesse perseguito) sia del potere negoziale trovando l’elemento di conciliazione proprio nell’unilateralità dell’atto provvedimentale che, privato del connotato dell’imperatività, si pone su un piano di assoluta compatibilità con il consenso, requisito essenziale dell’accordo.
94 X. XXXXXX, op. cit.
Ammettere la possibilità che l’autorità della Pubblica Amministrazione possa manifestarsi anche attraverso atti bilaterali, apre la via ad un’idea di reciprocità che non è limitata agli strumenti utilizzati per il raggiungimento di un fine, ma che si fonda sulla bilateralità, da intendersi come reciproco riconoscimento della meritevolezza degli interessi in gioco.
La seconda teoria di rilievo supera le critiche sulla natura degli atti in questione negandone sia la natura provvedimentale sia che costituiscano esercizio di attività pubblicistiche. Secondo i suoi sostenitori95 i contratti ad evidenza pubblica rappresentano l’esercizio di potestà privatistiche di cui la P.A., al pari di tutte le altre persone giuridiche, gode. Si assiste dunque ad uno sdoppiamento dell’attività della Pubblica Amministrazione nello svolgimento dell’attività negoziale in due fasi una pubblicistica, nel senso che è assoggettata alle norme di diritto pubblico, che è il procedimento ad evidenza pubblica, ed una fase privatistica che è invece assoggettata al diritto comune. Considerata nella sua interezza, però, l’attività negoziale della P.A. non costituisce espressione di poteri pubblicistici, bensì di poteri privatistici di autoregolamentazione della propria sfera giuridica.
La teoria rigetta l’idea che tutti gli atti amministrativi siano provvedimenti, per il solo fatto di essere un atto di volontà della Pubblica Amministrazione, e riserva la natura provvedimentale ai soli atti autoritativi, quindi quegli atti produttivi di effetti giuridici a prescindere dal consenso del destinatario. Accanto a questi coesistono tuttavia altre categorie di atti amministrativi tra cui i cd. atti amministrativi negoziali che si contraddistinguono dai provvedimenti per una serie di caratteristiche. Innanzitutto sono atti non autoritativi, in
95 X. XXXXX, I contratti dell’amministrazione, tra diritto pubblico e diritto privato,
Xxxxxxx, Milano, 1986, passim.
secondo luogo, xxxxxx necessitano del consenso della controparte per produrre effetti giuridici, hanno un contenuto negoziale.
La teoria parte dalla constatazione che la volontà della Pubblica Amministrazione si forma all’interno della fase pubblicistica. Tuttavia l’elemento pubblicistico non è dato dalla natura provvedimentale degli atti bensì dal fatto che la procedura di evidenza pubblica è regolata dalle norme di diritto pubblico e si svolge mediante atti amministrativi , ma a dispetto di ciò la maggior parte degli atti in essa contenuti non sono di natura provvedimentale bensì atti amministrativi negoziali che si differenziano dai primi proprio perché non presentano il requisito dell’autoritarietà.
Tale carenza è riscontrabile in una serie di fattori. Innanzitutto la P.A. nella fase di evidenza pubblica non si pone come autorità, la selezione del contraente segue sotto il profilo contenutistico una logica tipica del mercato, che è del tutto analoga a quella perseguita dalle persone giuridiche private.96 Sebbene le procedure siano formalmente diverse, l’interesse sotteso all’operazione è lo stesso, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto agente. Ma le analogie non si arrestano alla logica di mercato, la conferma deriva anche da i poteri posti in essere dalla P.A. in questa fase. Come osservato da Xxxxx, durante la fase di evidenza pubblica la P.A. “non dispone né può disporre dei diritti altrui”97.
In sintesi la cosiddetta fase pubblicistica si articola in atti amministrativi ma non comporta l’uso di poteri pubblicistici,
96 Cfr. X. XXXXX, op. cit. In entrambi i casi si tratta d’individuare il soggetto che riesca a fornire un bene o un servizio che garantisca un buon rapporto qualità-prezzo ed offra idonee garanzie di affidabilità professionale.
97 La questione non è di poco conto se si considera che, come già accennato, uno dei tratti distintivi della diade autoritatività-imperatività dell’atto consiste nella possibilità d’incidere su posizioni soggettive altrui. Se dunque gli atti amministrativi della fase di evidenza pubblica sono prevalentemente atti amministrativi negoziali, inidonei a modificare costituire o estinguere diritti, ne consegue che affinché questi siano produttivi di effetti necessitano del consenso del destinatario.
rientrando, piuttosto, nell’ambito dell’autonomia privata della P.A,. ancora una volta intesa come autoregolamentazione. All’interno di questa posizione giuridica sono ravvisabili diverse situazioni soggettive, tanto in capo alla P. A., che può essere titolare di obblighi e diritti soggettivi, quanto in capo al privato che può vantare anch’egli diritti soggettivi o interessi legittimi.
La variegazione delle situazioni giuridiche in gioco, soprattutto la presenza degli interessi legittimi, non snatura tuttavia la qualificazione dell’atto finale come contratto di diritto comune, pertanto assoggettato alla disciplina di diritto privato, poiché si tratta comunque di un atto fondato sul consenso liberamente formatosi in capo alle parti quantunque il procedimento di formazione della volontà di una delle due ( e nello specifico della P.A. ) presenti notevoli peculiarità.
Le differenze nel modo di formazione della volontà tra le parti sebbene, come già detto, non abbiano la funzione di trasformare un atto privatistico in atto provvedimentale, cionondimeno influiscono su quest’ultimo. In particolare si nota come glia atti negoziali nella fase di evidenza pubblica siano atti amministravi che producono effetti di diritto civile e tale singolarità non può no influire sull’atto finale ovvero sul contratto.
L’analisi parte dal delineare le differenze e le analogie tra atti amministrativi provvedi mentali e negoziali.
Se infatti gli atti negoziali si differenziano dai primi per mancanza di autoritatività e contenuto negoziale, occorre prendere atto che nella fase di evidenza pubblica, a questi si accostano, per quanto non numerosissimi, alcuni atti a contenuto provvedimentale le cui ripercussioni sull’atto finale sono innegabili98. Ne consegue
98 X. XXXXX, ibidem, p. 129. L’Autore chiarisce il punto fornendo l’esempio dalla deliberazione a contrarre che ha il contenuto di un atto di volontà ma effetti spiccatamente provvedimentali collocandosi in bilico tra le due tipologie.
l’importanza d’individuare le analogie e le differenze tra atti negoziali e atti provvedimentali.
La prima analogia, evidente, è che entrambe le categorie di atti sono sottoposte al medesimo regime d’invalidità: incompetenza, illegittimità eccesso di potere. Questo perché sebbene l’evidenza pubblica rimanga comunque un’attività di diritto privato in quanto momento di formazione della volontà della P.A. nell’esercizio di un potere di autonomia negoziale, da ingresso all’interno del procedimento all’interesse pubblico e alla discrezionalità cui corrisponde una posizione d’interesse legittimo in capo al contraente.
La presenza dell’interesse pubblico e la conseguente pretesa che la discrezionalità sia esercitata secondo i canoni della buona amministrazione conduce, secondo l’Autore a considerare ammissibile per entrambi gli atti dell’annullamento d’ufficio in contrasto con la dottrina maggioritaria dell’epoca.
Le ragioni sono duplici, la prima consiste nel fatto che l’Autore considera l’annullamento come atto di ritiro di un atto amministrativo,99 la seconda per mantenere un rapporto di parità sostanziale tra le parti100. Tenendo presente che si tratta di atti di formazione della volontà ,si mette in evidenza come il privato abbia sempre la possibilità di ottenere un sindacato del Giudice Ordinario sui vizi del consenso, per cui, negare l’annullamento in sede di autotutela appare, ad avviso dell’autore, un ingiustificato privilegio in capo al privato di tratte un vantaggio da atti illegittimi della P.A.
99 X. XXXXX, op. cit., p. 106, «trattasi, infatti, di un potere di ritiro che si riferisce direttamente all’atto amministrativo e non ai suoi effetti sicchè non pare vi siano ostacoli al riconoscerne l’ammissibilità»
100 I capitolati generali attribuiscono alla P.A. una posizione d’innegabile vantaggio
che si giustifica proprio per la tutela dell’interesse pubblico e che risulta controbilanciata dalla tutela dell’interesse legittimo in capo al privato. Tuttavia tale bilanciamento non è da sopravvalutare se si considera che all’epoca dell’elaborazione dalla tesi che si espone la risarcibilità dell’interesse legittimo era ben lungi dal ricevere alcun riconoscimento anche in dottrina
Diverso è il discorso sulla revoca, che è considerata da Greco inammissibile nei contratti ad evidenza pubblica, in pieno dissenso con la giurisprudenza. Questo perché, secondo l’autore, la revoca consiste in “potere un ripensamento della P.A. in ordine all’assetto contrattuale101” incompatibile con la stabilità degli atti negoziali. Sicché se la P.A. vuole riservasi tale prerogativa dovrà, dedurlo in contratto, introducendo un’apposita clausola di recesso appositamente accettata da controparte ex art. 1341 c.c.
Per quel che concerne le peculiarità degli atti negoziali invece, si distinguono dai provvedimenti per tre caratteristiche principali: l’incapacità di degradare i diritti soggettivi, l’inefficacia qualora emessi fuori dal contesto autegolamentare cui appartengono e la possibilità di contenere diritti potestativi.
Per quel che riguarda il primo punto, si osserva come la teoria del degradamento dei diritti soggettivi sia ormai da considerarsi superata102. In secondo luogo, gli atti negoziali si rivelavano inefficaci se emanati in assenza dei presupposti previsti dalla legge. A titolo esemplificativo, Xxxxx, fa riferimento ancora una volta riferimento alla clausola di recesso che, qualora venisse inserita unilateralmente, non sarebbe idonea a viziare il procedimento, ma sarebbe semplicemente inefficace, poiché essendo un atto di natura negoziale necessita ai fini di una piena operatività, del consenso appositamente manifestato dalla controparte.
Infine gli atti negoziali si distinguono perché possono far sorgere in capo alla P.A. diritti potestativi, e non autoritativi, anche in questo caso se appositamente dedotti in contratto e col consenso di controparte.
101 X. XXXXX, ibidem, p. 106.
102 Si segnala tuttavia, che all’epoca, non sorgeva alcun dubbio in merito all’inidoneità degli atti negoziali di dar vita ad interessi legittimi in capo alla controparte che dunque vantava sempre e comunque una posizione di diritto soggettivo dinnanzi alla P.A. che emettesse atti di tale natura.
Emblematico è l’introduzione del diritto in capo alla P:A. di risolvere unilateralmente il contratto in caso di inadempimento del contraente privato. In questo caso bisogna distinguere l’ipotesi in cui il diritto potestativo sia esercitato fuori dalle ipotesi previste dal contratto, nel qual caso saremo di fronte ad un’ipotesi d’inefficacia dal caso in cui è la formazione della volontà a risultare viziata. In ques’ultima ipotesi prorpio perché è la formazione del consenso ad essere inficiata, il profilo pubblicistico interferisce con quello privatistico comportando l’illegittimità dell’atto negoziale.
L’impostazione su esposta è stata per lo più accolta nelle sue linee essenziali, sebbene si registrino alcune difformità di opinione sulla qualificazione dell’attività in parola come attività di diritto privato. Si è infatti osservato che la funzionalizzazione dell’attività della Pubblica Amministrazione rappresenta un ostacolo non indifferente per l’ascrizione di questa categoria di atti nel novero degli atti di autoregolamentazione poiché l’azione della P.A. non è mai libera nel fine, ne consegue che anche qualora utilizzi strumenti di diritto privato e sia assoggettata al diritto comune gli atti, siano pur sempre espressione di potestà pubblicistiche e comunque qualificabili come atti amministrativi103.
103 F. G. SCOCA, Teoria del Provvedimento, op. cit., 1995. In realtà l’opinione dell’Autore si fonda sulla negazione a monte di una vera e propria autonomia negoziale in capo alla P.A. Se infatti autonomia negoziale implica una libertà del contraente in relazione all’assetto da dare ai propri interessi, paradossalmente anche qualora egli arrechi un danno a se stesso, deve concludersi che la P.A. non goda di autonomia negoziale poiché non solo non si tratta di attività libera ma discrezionale, ma deve perseguire la migliore cura del pubblico interesse in ossequio al principio di buon andamento ex art. 97 Cost.
7. L’autonomia contrattuale: un principio in evoluzione.
L’idea diffusa che l’autonomia contrattuale della Pubblica Amministrazione non sia mai stata seriamente messa in dubbio104 trova probabilmente il proprio fondamento nel rilievo summenzionato, che la P.A. italiana ha da sempre concluso contratti con i privati.
Tuttavia sussiste qualche perplessità sul punto. Dinnanzi all’espansione sopra accennata degli strumenti consensualistici, soprattutto a seguito della legge sul procedimento amministrativo, sono riemerse una serie di problematiche teoriche in merito all’effettivo riconoscimento di una vera e propria autonomia negoziale in capo alla P.A.
In particolare viene messa in discussione l’idea, tradizionalmente accettata, che l’autonomia contrattuale della P.A. sia da ascriversi alla sua entificazione105. Poiché la P.A. è pur sempre un ente, al pari degli altri soggetti di diritto, questa gode di capacità giuridica e pertanto della possibilità di concludere contratti ex art. 1321 del codice civile.
A sua volta la categoria del contratto s’inserisce nella più ampia sfera dei negozi giuridici106, in quanto atto diretto ad uno scopo rilevante per l’ordinamento giuridico107. Secondo la nozione fornita da Xxx Xxxxxxx
<< per dichiarazioni di volontà o per negozi giuridici s’intendono quelle fattispecie giuridiche che non sono solo azioni libere ma nelle quali la volontà dei soggetti è immediatamente diretta alla costituzione o estinzione di un rapporto giuridico108.>>. Il codice civile italiano a differenza di quello tedesco non conosce una definizione del negozio
104 X. XXXXXX – X. XXXXXX – I. PAGANI, Lezioni Sulle Procedure di Acquisto della Pubblica Amministrazione, Giappichelli, 2011.
105 M. S. XXXXXXXX, Lezioni, op. cit.
106si mette in evidenza come la categoria del negozio giuridico sia da tempo profondamente criticata, non solo per la sua presunta inidoneità a ricomprendere una serie di figure profonda mente disomogenee tra loro ma anche perché l’estrema astrattezza della figura prescinde dall’analisi dei conflitti d’interesse implicati nelle singole figure. (bianca contratti)
107 X. X. XXXXXX, Trattato di Diritto Civile, Contratti, op. cit., p. 8.
108 F. K. XXX XXXXXXX, Vermischten schriften (scritti vari).
giuridico, prediligendo la via scelta dal legislatore francese di fornire una definizione ed una disciplina del contratto in generale (art 1321 e ss.).
Ciò che interessa, ai fini della presente trattazione, è tuttavia la centralità del concetto per cui, alla base dell’atto di autoregolamentazione dei rapporti giuridici vi sia l’espressione di una volontà libera109 e l’idea che tale libertà sia incompatibile con l’azione sempre vincolata della Pubblica Amministrazione.
Se, infatti, il contratto è strumento privilegiato mediante il quale il privato detta liberamente la regola giuridica per definire l’assetto dei propri interessi economici ciò implica che questi sia libero di farlo anche in senso negativo. Intendere l’autonomia contrattuale come possibilità, in astratto, di recarsi un danno110 è assolutamente incompatibile con il criterio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, che obbliga la Pubblica Amministrazione al perseguimento del migliore assetto possibile dell’interesse pubblico.
Tale vincolo, è ulteriormente specificato dai corollari del principio appena enunciato e codificati dall’art.1 della legge 241/90, che enuncia quali criteri direttivi dell’azione amministrativa l’economicità e l’efficacia.
In questa logica, il potere di revoca (art. 21 nonies l. 241/90) è perfettamente coerente con l’idea che l’azione che la Pubblica Amministrazione che non possa agire (o rimanere inerte) in detrimento del pubblico interesse.
109 Il valore assunto dalla volontà nelle fattispecie contrattuali varia a seconda dell’impostazione cui l’interprete aderisce. Si registrano tre principali orientamenti nella dottrina civilistica: una teoria volontaristica che assume la volontà come elemento psichico dell’accordo, con la conseguenza che qualora questa non coincidesse con la sua manifestazione esterna verrebbe meno la stessa esistenza del negozio; secondo la teoria della dichiarazione e la teoria precettiva, invece è la sola manifestazione della volontà a rilevare e la sua manifestazione secondo le modalità stabilite dalla legge (cfr. XXXXXX, op.cit. p. 18 e ss)
110 F. G. SCOCA, Autorità e Consenso, op. cit.
Tuttavia a ben vedere entrambe le posizioni appaiono alquanto estremizzate. Se da un lato la dottrina giuspubblicistica mette in guardia rispetto alla privatizzazione del diritto pubblico, la dottrina privatistica rileva una sempre maggiore pubblicizzazione del diritto privato ed in particolare del contratto. La contrapposizione tra libertà (assoluta) del privato come esclusivo giudice del proprio interesse, da un lato, e azione vincolata (al massimo discrezionale) della Pubblica Amministrazione, dall’altro non trova riscontro all’interno del codice civile dove l’autonomia negoziale risulta vincolata: dalla legge da norme imperative, di ordine pubblico, buon costume e, in alcuni casi, prezzi imposti (la cui violazione comporta la nullità del contratto art. 1419111 o l’inserzione automatica di clausole automatica di clausole art 1339112).
La tesi che individua il riconoscimento costituzionale nell’art. 41113 ravvede nello stesso articolo un incremento, per così dire, qualitativo dei limiti apposti dal costituente. Se infatti da un lato “l’iniziativa economica è libera” da un altro lato anch’essa è funzionalizzata non solo perché dal lato passivo <<Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana>> ma anche perché la legge <<determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.>> Il quadro disegnato dal Costituente, non solo è ben lungi dalla
111Art.1419 c.c. «La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla xxxxxxx.Xx nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative».
112Art. 1339 c.c. «Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti».
113 Parte della dottrina ritiene che l’art. 41 non possa costituire un valido fondamento costituzionale per l’autonomia contrattuale, da ravvisarsi più generalmente nell’art. 3 (in particolare, X. X. XXXXXX, Il Contratto, op.cit.)
ricostruzione dell’autonomia contrattuale come terreno dell’arbitrio privato, ma soprattutto se letto in combinato disposto con l’art. 2 della Costituzione, delinea una ricostruzione della teoria del contratto orientata in senso solidaristico.
In questo percorso non può ignorarsi come la giurisprudenza civilistica abbia ampliato i limiti apposti dal legislatore all’autonomia contrattuale a cominciare dalla dilatazione del concetto di buona fede contrattuale che impone al contraente non un generico dovere di correttezza ma
<<il dovere di agire anche nella fase di patologia del rapporto, in modo da preservare, per quanto possibile, gli interessi di controparte, e quindi, primo tra tutti l’interesse alla conservazione del vincolo.>>114 In particolare è la tutela del consumatore, quale contraente debole, a legittimare un controllo sempre più pervasivo del giudice dei diritti, che viene sempre più chiamato a verificare l’equilibrio degli interessi in gioco, proprio nella prospettiva che l’abuso del potere contrattuale danneggia mercato e pertanto il benessere collettivo.
Si pensi alla giurisprudenza elaborata dalla Cassazione sull’ abuso del diritto, cui attinge il Consiglio di Stato in materia di pregiudiziale, dove la Suprema Corte afferma il principio secondo cui <<il fine da perseguire è quello di evitare che il diritto soggettivo, che spetta a qualunque consociato che ne sia portatore, possa sconfinare nell’arbitrio. Da ciò il rilievo dell’abuso nell’esercizio del proprio diritto. La libertà di scelta non è minimamente scalfita; ciò che è censurato è l’abuso, ma non di tale scelta, sibbene dell’atto di autonomia contrattuale che in virtù di tale scelta, è stato posto in essere115>>.
Si aggiunga infine che proprio nella prospettiva dell’accordo è sempre più diffusa nella prassi commerciale la cosiddetta “standardizzazione
114 Cass. Civ., Sez. III 31 maggio 2010, n. 13208.
115 Cass. Civ., Sez. III 18.06.2009 n. 20106.
dei contratti di massa” che consistono nella’acquisizione di prestazioni alle condizioni predisposte unilateralmente dall’imprenditore attraverso le condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.).
Si assiste dunque ad una duplice tendenza, se da un lato la privatizzazione massiccia del settore pubblico e l’introduzione dell’art. 11 della legge 241/90 ha aperto il dibattito sulla “privatizzazione del diritto pubblico”, sul versante privatistico si parla invece di “pubblicizzazione del diritto privato”, espressione che sta ad indicare una sempre maggiore limitazione della “libertà contrattuale” in ossequio al principio solidaristico116.
116 X. X. XXXXXX, Il Contratto, op. cit., p. 32 «come tutte le libertà anche quella negoziale s’inserisce in un contesto di valori costituzionali gerarchicamente ordinati. in particolare l’evoluzione in senso sociale dei diritti fondamentali tende a privilegiare sulla libertà individuale la solidarietà sociale. l’autonomia privata, quindi, può e deve essere controllata per garantire rapporti giusti».
CAPITOLO 2
LA SORTE DEL CONTRATTO E LA PREGIUDIZIALE AMMINISTRATIVA.
1. La nozione di appalto pubblico
Il conflitto tra strumenti autoritativi e consensualistici insieme al il binomio specialità – diritto comune sono temi che ricorrono costantemente nel tentativo di definizione della nozione di appalto. Le continue contraddizioni che contraddistinguono la dottrina degli anni cinquanta, continuamente oscillante tra un atto amministrativo che s’identifica col provvedimento e le aperture ai moduli consensualistici, si riflettono in pieno nella nozione di appalto che sino alla direttiva 89/440/CEE, recepita con Dlgs. 19 dicembre 1991 n. 406, coincideva pienamente con la nozione codicistica sebbene la giurisprudenza insistesse sul carattere “speciale dell’istituto”.
Nello specifico, secondo Sticchi Damiani117 gli elementi di specialità, intesi come profili di eccezionalità o particolarità sono ravvisabili nei contratti d’appalto sono a) il potere di apportare variazioni in corso d’opera o di estinguere il rapporto in via unilaterale,; b) quelle che
117 E. XXXXXXX XXXXXXX, La nozione di appalto pubblico, 1999, Xxxxxxx, p. 40.
prevedono un previo assenso scritto alle variazioni o alle addizioni dei lavori; c) la possibilità per l’appaltatore dinnanzi all’inadempimento della Pubblica Amministrazione di chiedere il pagamento degli interessi legali ma non la risoluzione del contratto; d) il divieto per i privati di cedere unilateralmente i credi derivanti dal contratto di appalto.
In sintesi tale specialità trovava fondamento nella sostanziale disparità delle parti e nella normativa speciale cui era deputata la disciplina, paradossalmente però questi erano anche gli elementi a sostegno della dottrina che rivendicava la natura contrattualistica dell’appalto e che non veniva elusa dalla peculiarità del regime a cui era sottoposta.
In realtà, sin dall’ottocento, si riconosceva allo Stato una “doppia personalità” una di diritto pubblico ed una di diritto privato. Secondo la tesi pubblicistica118 la personalità privatistica agiva esattamente come il privato in posizione pariordinata rispetto alla controparte, pertanto gli unici contratti a poter vantare tale natura erano quelli stipulati tra soggetti superiomem non recognoscentes e dunque i trattati internazionali definiti come contratti oggettivamente e soggettivamente politici. Gli appalti, in contrapposizione, rientravano tra quei “contratti civili” dell P.A. che a dispetto della nomenclatura, di per se ambigua, indicava l’assoluta estraneità di queste forme negoziali caratterizzate invece dal principio di specialità, che consentiva alla finalità politica dello stato di prevalere sulla natura privatistica degli interessi della controparte119.
Ad escludere ulteriormente la riconducibilità ai contratti di diritto privato, vi era il fatto (tangibile), che il legislatore era del tutto in linea
118 G. MANTELLINI, Lo Stato e il Codice civile, Firenze, 1882, p. 130 e ss.
119 G. XXXXXXXXXX, ibidem, «il diritto civile dello stato è, nei contratti pubblici, diritto amministrativo meno di privata che di pubblica ragione… così nei contratti dello Stato forma, intelligenza, esecuzione sono quelli che addiconsi ad esercizio di autorità, o che cercano la definizione o che cercano la definizione dei conseguenti rapporti dalla legge amministrativa più che dal codice civile».
con tale impostazione poiché pur non predisponendo una normativa ad hoc, prevedeva una disciplina unilaterale dell’appalto, da parte della Pubblica Amministrazione attraverso i capitolati d’oneri e dinnanzi ai quali l’adesione del privato veniva “degradata a presupposto di legittimità o di efficacia della fattispecie120”
La tesi pubblicista è destinata ad affermarsi negli anni 30 contestualmente al rafforzamento del profilo autoritativo della Pubblica Amministrazione. Il sistema tuttavia non perde la sua intrinseca e fruttuosa contraddittorietà che si traduce in due correnti di pensiero. La prima121di matrice giurisprudenziale inquadrava la fattispecie tra i negozi iure privatorum, la seconda122di natura dottrinale insisteva invece nell’attrazione della medesima nei Verwantlungs rechtliches Vertrag di Otto Mayer123.
Gli anni 50 sono contrassegnati dalle riflessioni di due grandi studiosi, Xxxxx e Xxxxxxxx che seppur in maniera differente propendono per la natura pubblicistica dell’appalto pubblico, qualificandolo come contratto amministrativo il primo (sulla falsa riga dei contract administratif francesi), e nella categoria del contratto ad oggetto pubblico il secondo124.
La questione si riapre alla con la direttiva 89/440/CEE che sembra introdurre una nozione d’appalto secondo taluni riconducibile per intero alla nozione pubblicistica125, poiché molti elementi soprattutto di natura procedimentale, sono predeterminati dal legislatore, mentre i sostenitori della tesi privatistica126 sostenevano si trattasse di una
120 E. Xxxxxxx xxxxxxx, La nozione di appalto pubblico, op. cit.
121 Cass I. 29 novembre 1983 n.1751 in Mass. Giur. It., 1815.
122 R. RESTA, Sulla Natura Speciale del Contratto di Appalto, in Foro Amm., 1932.
123 Inoltre la doppia responsabilità per l’esecuzione dell’opera del Governo o del singolo ministro erano un ulteriore elemento d’incompatibilità.
124 Delle relative posizioni si è ampiamente discusso ai paragrafi precedenti.
125 V. ITALIA, Appalti di opere pubbliche e criteri informatori del nuovo decreto di applicazione della direttiva 89/440/CEE, Riv. it di dir. Pub. Com., 1992.
126 X. XXXXXXXX, La natura giuridica dell’appalto, in Riv. Trim. App., 1992, p. 623.
semplice “deviazione quantitativa” che in nulla intaccava la natura privata del contratto.
Il recepimento della direttiva porta alla soluzione del problema, almeno in via giurisprudenziale dal consiglio di Stato127, imponendo una rigida distinzione in due fasi: la prima strettamente pubblicistica che si conclude con l’aggiudicazione e l’altra privatistica che riguardava la cd. sorte del contratto.
In particolare, quadro normativo all’interno del quale origina il dibattito sulla sorte del contratto è sensibilmente mutato nell’arco degli ultimi vent’anni. Se prima della direttiva del 1992, la disciplina era affidata alla legge sulla contabilità, l’intervento comunitario è divenuto nel corso degli anni sempre più presente.128 Tuttavia l’effetto propulsivo della normativa europea si scontrava con due grandi “limiti” dell’ordinamento italiano: una tendenziale lentezza e frammentarietà nel recepimento delle direttive e l’irrisarcibilità dell’interesse legittimo vantato dal ricorrente non aggiudicatario cui sia stato illegittimamente negato l’appalto.
Gli elementi d’attrito tra i due ordinamenti erano molteplici ma sembrano essere riconducibili ad una differente ratio che sottendeva all’istituto degli appalti pubblici agli inizi degli anni novanta.
Se per l’ordinamento italiano la disciplina degli appalti era posta a tutela della P.A., in posizione di quasi privilegio, in ambito comunitario si assiste sin dall’inizio ad un’inversione di disciplina. Non è tanto, o quanto meno, non solo l’interesse dell’amministrazione procedente ad essere presidiato dalla normativa comunitaria, quanto il diritto alla
127 Alcuni autori sostengono che in realtà tale scissione non sia mai stata posta seriamente in dubbio neanche dai maggiori sostenitori della tesi pubblicistica, E. XXXXXXX XXXXXXX, La nozione di appalto pubblico, p. 64.
concorrenza ed in particolare agli effetti distorsivi che l’illegittimo affidamento dell’appalto può comportare sugli equilibri del mercato europeo. La P.A. non è dunque considerata come oggetto di tutela da parte della disciplina, ma operatore economico all’interno di un ampio mercato chiamato ad osservare, al pari degli altri, le regole della concorrenza.
Procedendo per ordine la normativa di riferimento sino agli anni 90 è riconducibile alla legge sulla contabilità di Stato del 1923 ed al relativo regolamento del 1924. L’intervento più importante del legislatore comunitario avviene all’inizio degli anni 90 quando con le direttive 92/50 CEE, 93/37 CEE, 93/36 CEE si assiste alla tripartizione del settore. In particolare il settore degli appalti è suddiviso nelle sotto categorie di: appalti di servizi dlgs 157/95, appalto di lavori dlgs 109/94 (Legge Merloni) e 415/98 (Legge Merloni bis) e appalto di forniture dlgs 358/92 (modificato con dlgs 402/98 e dlgs 65/00). Frattanto muta anche la disciplina processuale, già la l. 80/98 attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di affidamenti pubblici in materia di forniture e servizi, seguita dalla legge 205 del 2000, che all’art. 23 – bis disciplina il rito speciale degli appalti, disciplina questa, improntata a criteri di maggiore celerità ed efficacia realizzati in particolar modo attraverso un potenziamento della fase cautelare.
Un ulteriore intervento comunitario riunifica poi i vari settori con le direttive 2004/17 e 2004/18 recepite dall’ordinamento italiano con dlgs 163/06 (su legge delega 62/05) meglio noto come codice dei contratti pubblici.
L’ultimo, ma importante intervento in ordine cronologico è dato dalla direttiva 66/07 recepita dal dlgs 53/2010 ed in parte trasfusa nel codice del processo amministrativo.
Con riferimento alle direttive comunitarie occorre effettuare una relativa all’opera di traduzione. È stato opportunamente osservato129 come il legislatore comunitario, nella versione francese utilizzi il termine marché de travaux publiques già nella direttiva 71/305/CE e che da allora, l’espressione sia stata tradotta con l’equivalente italiano di “appalti di lavori pubblici”, senza tenere in considerazione che il termine francese “marché” presenta una connotazione giuridica più ampia dell’appalto nell’ordinamento giuridico italiano.
La mancata coincidenza delle due categorie ha comportato una dilatazione della nozione di appalto nel senso tradizionalmente inteso, ciò, al fine di rendere l’istituto idoneo a ricomprendere figure sino a poco tempo fa sconosciute al nostro ordinamento come l’appalto di forniture, che secondo parte della dottrina sarebbe un normale contratto di compravendita o somministrazione o la figura del project financing130.
La riflessione acquista rilevanza concreta se si confronta la nozione tradizionale delineata sin ora con quella fornita dall’art.3, comma 6, del dlgs. 12 aprile 2006, n. 163 che definisce gli appalti come <<[…] contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi epr oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi come definiti dal presente codice.>>
Una nozione talmente ampia di appalti pubblici sembra mettere in discussione l’idea, ancora presente in parte della dottrina, che mediante lo strumento contrattuale la Pubblica Amministrazione non provveda
129 X. X. XXXXXXXXXX, Contratti Pubblici e Diritto Civile in Foro Amministrativo, TAR 2011, 09, 3005.
130 Ibidem, p. 3006, dove si mette in evidenza anche le difficoltà degli operatori giuridici italiani in merito alla classificazione di altre figure, come quella del general contractor, tendenzialmente ricondotta nell’alveo dell’appalto ma, a parere dell’Autore, più opportunamente riconducibile alla figura del mandato.
alla cura dell’interesse pubblico, ma alla cura degli interessi propri dell’amministrazione negando, in definitiva, una qualunque fungibilità tra provvedimento e contratto131.
2. La sorte del contratto.
Alla luce di quanto esposto, la sorte del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, rappresenta l’elemento di congiunzione tra provvedimento e contratto e, dunque, tra momento autoritativo e momento consensualistico.
Come già accennato l’apparente antinomia dei due connotati è tradizionalmente superata scindendo in maniera netta le due fasi e segnando netti confini di demarcazione, sulla validità dei quali, sono stati avanzati seri dubbi da parte della dottrina più recente.132 All’interno di questa bipartizione, la fase d’individuazione del contraente, id est l’aggiudicazione, coincide col momento pubblicistico-autoritativo, mentre la fase esecutiva, segna lo stadio privatistico del rapporto. Per quel che riguarda, l’effettiva conclusione del contratto, invece, è ancora aperto un acceso dibattito sulla natura
000 X. XXXX, Xxxxxxxx generali e regime giuridico dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, Relazione presentata al IV Coloquio entre el Consejo de Estado de Italia y el Tribunal Supremo de Espana sobre: "Contratos, adjudicationes y concesiones de la Administraciòn Pùblica", Madrid, 1 - 4 giugno 2002.
132 In senso contrario X. XXXXXXXXXXX, La sorte del contratto, 2010, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx dove commenta come «è curioso che proprio nell’ambito del diritto amministrativo, dove il procedimento assume una sempre maggiore centralità nello svolgersi della funzione, si voglia, invece, “spaccare” in due tronconi (tra loro incomunicabili) la realtà causalmente unitaria dell’aggiudicazione e del contratto, entrambi unificati da un’unica causa economico- sociale (la realizzazione dell’opera pubblica, l’erogazione del servizio, l’acquisto della fornitura funzionale all’organizzazione dell’amministrazione)».
Contrario ad una netta scissione in due fasi distinte anche E. XXXXXXX XXXXXXX, Annullamento dell’aggiudicazione e inefficacia funzionale, in Dir. Proc. Amm., 1/2001, p. 242, dove suggerisce «la possibile qualificazione del contratto d'appalto come accordo amministrativo integrativo di provvedimento, ciò in relazione al carattere autoritativo e comunque funzionale, in ogni caso non riconducibile allo schema contrattuale, di molti dei poteri attribuiti alla P.A. tanto nella fase genetica quanto in quella esecutiva del rapporto giuridico connesso all'appalto».
pubblicistica o privatistica dell’atto, a seconda che lo si interpreti come precipitato logico della sequela procedimentale da cui trae origine o, piuttosto, come atto di autonomia negoziale facente capo alle parti, di cui una è, per l’appunto, la Pubblica Amministrazione nell’esercizio di poteri iure privatorum.
La questione assume connotati concreti nel momento in cui il contratto sia travolto dalla sentenza demolitoria del giudice amministrativo, il quale annulli la procedura di aggiudicazione dichiarandola illegittima. In questo caso, è a tutt’oggi discusso quali effetti produca l’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto e, a tal fine, in che rapporti si pongano il procedimento amministrativo da un lato ed il negozio dall’altro, alla ricerca di soluzioni possibili pur nel rispetto di una certa unità sistematica.
A riguardo, si osserva, come la giurisprudenza italiana, abbia vissuto un lungo periodo di stallo in merito alla questione della sorte del contratto. Le diverse teorie che hanno affastellato la giurisprudenza dal 2002 sino alla riforma del 2010133, hanno comportato una profonda incertezza
133 E. XXXXXXX XXXXXXX, ibidem, p. 241 riassume in breve il variegato panorama giurisprudenziale <<1) annullabilità, per vizi del consenso o difetto di legittimazione o incapacità di contrarre dell'amministrazione, con legittimazione riservata alla medesima; 2) annullabilità pur sempre relativa ma con legittimazione estesa al terzo aspirante contraente (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 27 luglio 2006, n. 3131); 3) nullità per violazione dei principi e delle regole, sempre inderogabili (anche se risultanti dalla lex specialis), posti a presidio dell'evidenza pubblica (cfr. TAR Campania, sez. I, 19 gennaio 2006, n. 720); 4) nullità pur sempre virtuale ma speciale, in quanto condizionata al previo annullamento dell'aggiudicazione, ossia soggetta alla pregiudizi aie amministrativa, e relativa, in quanto dichiarabile solo su iniziativa del ricorrente vittorioso in sede impugnatoria; 5) nullità, ai sensi degli artt. 1418, co. 2 e 1325, n. 1, C.c., per mancanza del consenso della parte pubblica, speciale e relativa per le stesse ragioni specificate in riferimento alla tesi precedente ; 6) nullità per illiceità dell'oggetto; 7) nullità/annullabilità a seconda che il contratto non sia ancora stato eseguito o lo sia stato anche solo mente; 8) tesi della caducazione automatica secondo cui sarebbe da valorizzarsi il rapporto di consequenzialità tra aggiudicazione e contratto, legati da un nesso di presupposizione necessaria, per cui simul stabunt et simul cadent. «La perdita di efficacia per caducazione automatica è riconducibile alla natura dell'aggiudicazione quale condizione legale di efficacia del contratto e/o al collegamento « negoziale »tra aggiudicazione e contratto (cfr. TAR Friuli-Venezia Giulia 12 dicembre 2005, n. 986; TAR Liguria, sez. II,23 giugno 2005, n. 940); 9)
degli operatori giuridici in merito ai contratti della Pubblica Amministrazione, settore nevralgico del diritto amministrativo, non solo per la rilevanza economica ma anche perché, come messo in evidenza nel capitolo 1, risulta essere lo strumento privilegiato a livello comunitario attraverso il quale la P.A. si procura beni e servizi sul mercato.
Nei paragrafi successivi si esamineranno le posizioni principali assunte dai giudici di Giustizia Amministrativa e dalla Corte di Cassazione, che si sono alternate a ritmo incalzante nell’arco dell’ultimo decennio, nel tentativo di mettere in luce come le diverse teorie prospettate non siano altro che il riflesso di diverse concezioni del “modo di amministrare”. Infatti, se la posizione costante della Corte di Cassazione è stata sino alla fine dello scorso secolo quello di attribuire una posizione di preminenza alla P.A. che contratta col privato, il transitare verso una logica paritaria ha rappresentato un processo lungo e frammentario, all’interno del quale è possibile intravvedere le diverse concezioni tra attività a amministrativa e diritto privato che prima di allora avevano interessato quasi esclusivamente la dottrina.
Infine, la nota ricostruzione bifasica del contratto, ha rivelato tutte se sue intrinseche contraddizioni. La presunta netta linea di demarcazione tra provvedimento e contratto, che avrebbe dovuto assorbire la tensione tra autorità e consenso, ha rivelato crescenti zone grigie e messo in
caducazione automatica con salvezza dei diritti dei terzi di buona fede ex artt. 23, c. 2, e 25, c. 2, c.c. (cfr. Cons. St., sez. V, 29 marzo 2006, n. 1591); lO) caducazione giudiziale disposta a titolo di reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c. (cfr. Cons. St., sez. V, 30 agosto 2006, n. 5082); 11) inefficacia, per difetto di legittimazione a contrarre dell'amministrazione, con legittimazione del solo ricorrente vittorioso nel giudizio demolitorio; 12) risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione; 13) inefficacia come "inidoneità funzionale in cui venga a trovarsi il programma negoziale per l'incidenza ab externo di interessi giuridici di rango poziore incompatibili con l'interesse interno negoziaIe", nonché come "vicenda effettuale di carattere negativo, spiegabile come precarietà ex post di carattere peculiare"».
evidenza la stretta connessione tra questi due momenti dell’agire amministrativo.
L’ oggetto d’indagine della giurisprudenza e della dottrina dello scorso decennio, però non atteneva tanto al problema del “se” l’annullamento dell’aggiudicazione, “travolgesse” il contratto (con un’immagine che rievocava una catastrofe naturale), ma quale vizio si “trasmettesse134” all’interno del contratto, a seguito di un evento simile, con ovvie ripercussioni sulla giurisdizione competente.
3. La tesi tradizionalmente sostenuta dalla Cassazione: l’ annullabilità
La qualificazione dell’invalidità del contratto a valle come nullità, successivamente indicata come nullità relativa speciale, è per la prima volta introdotta nel panorama giurisprudenziale da una pronuncia del TAR Napoli nel 2002135.
La decisione si poneva come momento di rottura rispetto ad una consolidata giurisprudenza, che vedeva l’illegittimità consequenziale del contratto tra P.A. e aggiudicazione affetto dal vizio dell’annullabilità. Se si passa in rassegna la giurisprudenza civile ed amministrativa degli anni ottanta e novanta, s’individua chiaramente una costruzione della problematica della sorte del contratto, improntata alla “teoria negoziale” degli atti della pubblica amministrazione che annovera, tra gli elementi costitutivi della fattispecie, la stessa “volontà” dell’ente stipulante. Ed è proprio l’elemento volitivo,
134 X. XXXXX, La trasmissione dell'antigiuridicità (dell'atto amministrativo illegittimo), in Diritto Processuale Amministrativo, fasc.2, 2007, pag. 326.
135 TAR CAMPANIA, Napoli, sez. I, 29 maggio 2002, n. 3177.
secondo la corte di Cassazione, a presentare il momento patologico che inficia la validità del contratto136.
Tradizionalmente si era soliti ricorrere a due schemi ricostruttivi: il vizio del consenso ex art. 1427 c.c. e il difetto di capacità ex art. 1425
c.c. L’argomento alla base della prima impostazione si regge sull’ assunto per cui la fase antecedente all’aggiudicazione fosse quella durante la quale si formava, secondo uno schema a formazione progressiva, la volontà a contrarre della pubblica amministrazione. Se ne concludeva che il vizio che si verificasse in tale fase fosse idoneo, dunque, a produrre l’invalidità del contratto a valle, sotto il profilo del vizio della volontà ex art 1427.
La questione poneva però numerosi inconvenienti, primo tra tutti la rilevabilità esclusiva ad istanza della P.A., che precludeva tanto la rilevabilità da parte del contro interessato non aggiudicatario, che da parte del giudice competente. Ciò comportava un’estensione ipertrofica della tutela e della discrezionalità accordata all’amministrazione, unica depositaria, in definitiva, del potere di mantenere in vita o caducare il
136 Ex multis, Cass. Civ., sez. II, 08 maggio 1996, n. 4269 «[…]conformemente all’indirizzo giurisprudenziale più volte espresso da questa Corte Suprema, secondo cui, in tema di vizi concernenti l'attività negoziale degli enti pubblici, sia che questi si riferiscano al processo di formazione della volontà dell'ente, sia che si riferiscano alla fase preparatoria ad essa precedente, il negozio comunque stipulato (salvo particolari ipotesi di straripamento di potere che qui non ricorrono) è annullabile ad iniziativa esclusiva di detto ente (v., tra le altre, sent. 14.2.1964 n. 337, 11.3.1976 n. 855, 10.4.1978 n. 1668, 24.5.1979 n. 2996). Da tale indirizzo non v'è ragione qui di discostarsi, trovando esso il suo fondamento razionale nel fatto che gli atti amministrativi i quali devono precedere la stipulazione dei contratti jure privatorum della P.A. non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell'ente pubblico, sicché i loro vizi, traducendosi in vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare l'annullabilità del contratto, deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente».
contratto, in quanto uno soggetto giuridico oggetto di tutela da parte della normativa di settore.137
Tale impostazione si scontrava per altro con una mutata visione della logica degli appalti promossa (per non dire imposta) dalle direttive comunitarie che si susseguirono negli anni novanta e che gradualmente dettarono una disciplina in materia di contratti pubblici e che, si ribadisce, vede al centro della tutela, non tanto l’amministrazione quale portatrice di un interesse pubblico specifico da individuarsi volta per volta, ma di un bene super individuale riconducibile al mercato ed ai suoi agenti e che è rappresentato dalla libera concorrenza.
La normativa comunitaria si pone dunque come regola per il mercato, volta a garantire parità di condizioni agli operatori economici chiamati a contrattare con le pubbliche amministrazioni.
In questo mutato assetto ideologico, che, per quello che concerne l’Italia s’inserisce in un’inedita fase di privatizzazione, la maggiore tutela vantata dalla P.A. non solo non si giustifica alla luce dei principi generali, ma si rivela in controcorrente rispetto ad una normativa sovranazionale impegnata ad arginare gli effetti distorsivi che connotano la contrattazione con la pubblica amministrazione.
La tesi era particolarmente contestata, non tanto per gli effetti propri dell’annullamento, quanto per il fatto che creava un paradosso. Infatti, rimettendo l’iniziativa alla sola P.A., si finiva per privilegiare proprio il contraente che con la sua illegittima condotta aveva provocato l’annullamento dell’aggiudicazione138, negando così qualunque forma di tutela in capo al contraente privato che, anzi, si trovava “esposto in qualunque momento all’azione della P.A. con possibili conseguenze
137 F. G. SCOCA, L’ annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, in Foro Amministrativo TAR, 2007.
138 F. XXXXXXXX, Annullamento dell’aggiudicazione, Buona Fede E Metodo Giuridico,
in Rivista Diritto e formazione, Xxxxxxx, 2003.
sull’effettuazione delle controprestazioni contrattualmente a lui dovute”139
Un ulteriore inconveniente era di ordine pratico. Sebbene la legge 80/98 prima e la legge 205 del 2000 dopo, abbiano devoluto la materia degli appalti alla giurisdizione esclusiva del G.A., ancor prima dell’intervento della Consulta del 2004, non vi era identità di vedute se questa si estendesse alla sorte del contratto, lasciando al giudice dei diritti soggettivi la fase esecutiva, o se non dovesse anch’essa ricadere nella sfera di giudizio del G.O.
La tesi dell’annullabilità del contratto lasciava propendere per la seconda soluzione, sebbene fosse evidente che la logica rigorosa del riparto di giurisdizione sacrificava il principio di effettività e di concentrazione del giudizio.
La lesione del principio di effettività del giudizio s’intreccia con un acceso dibattito sulla pregiudiziale amministrativa. Infatti, l’annullamento, così come delineato dai giudici della Corte di Cassazione, avrebbe necessitato: a) di un primo giudizio di annullamento dell’aggiudicazione definitiva dinnanzi al G.A.; b) di un successivo giudizio di annullamento del contratto da parte del G.O., c) da una nuova pronuncia del GA, che, in quanto titolare della giurisdizione esclusiva, era l’unico organo competente a statuire sul risarcimento del danno per lesione degli interessi legittimi e al giudizio di ottemperanza.
4. La nullità
In questo contesto s’inserisce la sentenza del TAR Napoli 3177/2002 che, discostandosi dalla granitica giurisprudenza della Corte di Cassazione, propone una qualificazione dei vizi del contratto a valle in
139 F. G. SCOCA, ibidem.
Rispetto a quest’interpretazione proposta dal giudice amministrativo, l’atto non sarebbe annullabile vizi riconducibili alla (dibattuta) formazione della volontà negoziale della pubblica amministrazione, bensì per contrarietà alla norma di diritto pubblico che impone un dato comportamento, ed in particolare il rispetto delle regole sulla concorrenza da parte della stazione appaltante141. Poiché il momento patologico non interviene nella fase negoziale, ma ancor prima, in quella provvedimentale, di cui il contratto è mera conseguenza funzionale, si rivela sufficiente ad attrarre la sorte del contratto nella sfera di competenza del G.A.142 e a consentirne la rilevabilità d’ufficio ed ad istanza della parte che vi abbia interesse.
140 X. XXXXXXXXX, Illegittimità del procedimento ad evidenza pubblica e nullità del contratto di appalto,ex art. 1418 co. 1, in Foro Amm. Tar, 2006, «La legittimità degli atti amministrativi attraverso i quali si dipana il procedimento di evidenza pubblica per la scelta del privato contraente della p.a. è imposta a protezione di interessi pubblici di rilievo primario, in quanto essa mira - attraverso la salvaguardia della par condicio tra i concorrenti - ad assicurare i fondamentali valori di imparzialità e di efficienza - efficacia dell'azione amministrativa (art. 97 cost.) nonché di tutela dell'effettività della concorrenza (art. 2, 3 par. 1 lett. g) e 4, trattato CE), i quali assurgono ormai a veri e propri principi del diritto pubblico dell'economia vivente nell'ambito dell'ordinamento interno e comunitario. Alla stregua di tale canone di giudizio, l'invalidità da cui è affetto il contratto stipulato dalla p.a. nel caso di illegittimità dell'aggiudicazione assume la connotazione della nullità, per contrasto con le norme imperative di disciplina del procedimento di evidenza pubblica, e non della sola annullabilità su azione giurisdizionale della p.a. appaltante».
141 A. XXXXXXX, Lo stato che contratta e che si accorda. Vicende della negoziazione per il mercato e collaborazione con il potere, Pisa Università Press, 2011.
142 Tar Napoli , 3177/2002: «Il contratto, da questo punto di vista, diviene il momento finale attuativo della scelta del contraente; è esso stesso, in questo senso, scelta del contraente e, sotto questo profilo, deve poter essere sindacato dal giudice esclusivo e unico avente giurisdizione sulle procedure di selezione del privato contraente della P.A.».
L’interesse di parte però, è circoscritto all’operatore economico che riesca dimostrare in giudizio la spettanza dell’appalto secondo il modello delle nullità relative speciali, tipologia di vizio, questa che andava delineandosi in quegli anni nella giurisprudenza comunitaria e che oggi caratterizza importanti settori della contrattualistica privata come quello della tutela del consumatore.
La nullità relativa speciale, a differenza del modello classico, si pone a tutela d’interessi generali che siano stati lesi attraverso la compromissione d’interessi particolari, il che giustificava la rilevabilità ad istanza esclusiva della parte nel cui interesse la norma fosse stata posta.143
Nonostante le limitazioni poste dal Tar a questa peculiare forma di nullità, l’impostazione suggerita ha ricevuto notevoli critiche soprattutto incentrate sulla sproporzione tra vizio invalidante e le potenziali conseguenze riconnesse144. Infatti, poiché le norme relative all’aggiudicazione siano norme di stampo pubblicistico e per tanto imperative, il precipitato logico di tale impostazione (soprattutto prima della l. 15/05 e dell’introduzione dell’art. 21 octies) era che qualunque vizio, di qualunque entità, avrebbe condotto alla nullità radicale dei contratti a valle, sempre e comunque rilevabile ex officio dal giudice.
Inoltre si rilevò come anche solo a considerare imperativizzate le sole norme sull’evidenza pubblica tale operazione appariva un’indebita forzatura tanto alla luce del diritto comunitario, quanto nella prospettiva di una coerenza sistematica dell’ordinamento interno.
Le direttive CEE 21 dicembre 1989 n. 665 e l’art. 2 par. 5 e 6 e CEE
25 febbraio 1992 n. 13, ammettevano la limitazione del solo
143 Cfr. art. 36 , Decreto legislativo 06.09.2005 n° 206 , G.U. 08.10.2005, in merito alla rilevabilità della nullità delle clausole vessatorie, su eccezione della parte a favore della quale sono predisposte.
144 F. G. SCOCA, Annullamento, op. cit.
risarcimento del danno, escludendo la necessità di una tutela demolitoria che eccedesse il ristoro del danno.145
Un’ulteriore argomento riguardava l’attrazione nell’alveo delle nullità virtuali di fattispecie eterogenee di natura, sia sostanziale che procedimentale.146
La configurazione della nullità come nullità virtuale non è tuttavia l’unica possibilità prospettata. La dottrina aveva infatti parallelamente elaborato uno schema che pur, non rinunciando alla più radicale delle invalidità, tendeva a configurarla come mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, ossia dell’accordo tra le parti.147Tale impostazione, ha però perso parte della sua carica persuasiva a seguito del chiarimento, fornito dal legislatore sulla natura non negoziale dell’accordo.148
La tesi della nullità (virtuale e non), sostenuta anche da autorevole dottrina,149 trascurava come il risvolto processuale di una adesione totale alla tesi della nullità avrebbe logicamente condotto la giurisdizione in materia nell’ambito di competenze del giudice ordinario. Se infatti il vizio trova origine, non nell’annullamento dell’atto amministrativo presupposto, ma nella violazione di norme imperative, si è in presenza di un vizio squisitamente contrattuale che
145 X. XXXXXX , L'invalidità contrattuale nella dialettica fra atto e negozio nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, in Xxxx Xxxxxxxxxxxxxx - X.x.X., XX, 0000, pag. 1648, fasc. 5.
146 Rispetto alla legittimità di un’operazione ermeneutica che applichi la medesima disciplina a categorie differenti cfr. X. XXXXXXXXX, illegittimità del procedimento ad evidenza pubblica e nullità del contratto di appalto,ex art. 1418 co. 1, in Foro Amm. Tar, 2006, 2604.
000 X. XXXXXXXX, I vizi della procedura di evidenza pubblica e patologie contrattual,i
in Foro amm.-Tar, 2006.
148 Art. 11 del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Precedentemente il R.D. n.2440/1923, all'art.16, comma 4, disponeva infatti che «I processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto».
149 X. XXXXXXX IRELLI, L’annullamento dell’aggiudicazione e la sorte del contratto, in
Giorn. dir. amm., 2002, 1195 ss.
prescinde dalla caducazione dell’atto autoritativo a monte e pertanto attratto nell’orbita della giurisdizione ordinaria150.
Più evidente era invece il passaggio da una dubbia rilevabilità ad istanza di parte, che appariva ingiustamente discriminatoria, ad una dilatazione eccessiva dei potenziali ricorrenti (da individuarsi in “chiunque vi abbia interesse”) esponendo l’azione della pubblica amministrazione ad un’incertezza incompatibile con i principi generali del sistema amministrativo, sia sotto il profilo soggettivo che temporale, vista la natura imprescrittibile dell’azione di nullità.
Gli avversatori della teoria della nullità traevano spunto proprio dagli argomenti proposti dai suoi sostenitori. Il tentativo di costruire una nullità speciale, fuori dal dettato del codice, che arginasse l’abnormità delle conseguenze in ambito amministrativo, sottoponendola a termine decadenziale e ridimensionandola sotto il profilo della legittimazione ad agire, era senz’altro difficile in assenza di riferimenti normativi conformi.
Sebbene la teoria sia stata poco condivisa, si riconosce il merito di aver fatto affiorare a livello giurisprudenziale una dibattito già noto in dottrina, dando vita ad un proliferare di teorie alternative che hanno costretto l’interprete, ad interrogarsi sulla natura degli istituti in questione, soprattutto del contratto, e di come questi strumenti interagiscano con l’esercizio del potere autoritativo e la tutela del pubblico interesse da parte di una pubblica amministrazione che appariva sempre più come un’amministrazione di servizi e sempre meno di comando.151
150 F. G. SCOCA, ibidem.
151 E. XXXXXXX XXXXXXX, La nozione di appalto pubblico riflessioni in tema di privatizzazione dell’azione amministrativa, Xxxxxxx Milano, 1999.
5. La tesi della caducazione automatica
La tesi della caducazione automatica è sostenuta dalla VI sezione del Consiglio di Stato152, all’indomani della pronuncia del TAR Napoli, sulla scorta di un’istanza di annullamento degli atti di rinnovo di una procedura di gara precedentemente annullata.
La Corte in prima battuta rigetta la tesi dell’annullabilità, in quanto predisposta esclusivamente a tutela dell’interesse di cui è portatrice la Pubblica amministrazione. Secondo i giudici di Palazzo Spada, <<La costruzione basata sulla logica dell'annullamento conduce ad una chiara elusione del principio di effettività della tutela giurisdizionale>>153.
Tuttavia, sebbene ne condivida le premesse, la sentenza dissente anche con la teoria della nullità, sulla base di un duplice argomento. Innanzitutto l’invalidità, nel caso sub specie, non afferisce al momento genetico del contratto ma ad un suo presupposto, l’aggiudicazione, che è qualificato come momento squisitamente amministrativo del procedimento di aggiudicazione. A riprova dell’assunto, il Consiglio di Stato, mette in evidenza come la tesi della nullità si scontri con lo stretto termine decadenziale a cui è sottoposta l’impugnativa degli atti amministrativi, e questo, in contrasto con l’imprescrittibilità dell’azione di nullità.
152 Cfr. Cons. St., sez. VI, 30 maggio 2003 n. 2332 che definisce la posizione come “maggioritaria”. La tesi è condivisa da X. XXXXXX, Annullamento dell’atto amministrativo e caducazione del contratto, in Foro Amm. - TAR, 2004, 569 ss.,
153 Cons. St., 2332/2003 «non risulta convincente l'assunto che relega la rilevanza delle norme di evidenza pubblica al piano della tutela dell'interesse particolare del contraente pubblico. Al contrario una cospicua fetta di prescrizioni in tema di procedure di evidenza, specie di derivazione comunitaria, esprimono, nell'ottica della tutela dell'interesse generale e della sfera giuridica dei soggetti partecipanti alla procedura, i principi fondamentali della concorrenza e del mercato e danno sfogo ai valori dell'imparzialità e del buon andamento enunciati dalla Costituzione in stretto collegamento con canoni fondamentali di ordine pubblico. Tale prospettiva è decisivamente irrobustita dalle regole comunitarie, per tali intendendo sia le disposizioni specifiche che reggono le procedure soprasoglia che i principi del Trattato in materia di concorrenza estesi anche alle fattispecie sottosoglia (Corte Giustizia, Ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00».
Si assiste dunque all’introduzione all’interno del dibattito di un tertium genus, ovvero della caducazione automatica del contratto da ravvisarsi ogni qual venga meno uno dei presupposti legali condizionanti dell’atto privatistico. La soluzione prospettata, consentiva di attrarre nella giurisdizione del G.A. la materia in oggetto, superando il problema della pronuncia costitutiva di annullamento del G.O., che si pone in termini di pregiudizialità, non solo rispetto al risarcimento del danno ma anche al rinnovo degli atti di gara.
Se l’invalidità del contratto era riconducibile a cause sopravvenute, nello specifico all’annullamento dell’aggiudicazione154, sarebbe stata sufficiente una pronuncia dichiarativa del G.A. in sede di giurisdizione esclusiva a consacrarne l’inefficacia.
Un ulteriore argomento in favore alla tesi della caducazione è di ordine sistematico e faceva leva sull’art 14 del decreto legislativo 190/2002, in materia d’infrastrutture strategiche, che esclude esplicitamente che l’annullamento comporti la risoluzione de contratto.155 Tale norma è stata interpretata dalla stessa sezione, come una propensione da parte del legislatore per la caducazione automatica del contratto.
Il fulcro della decisione in questione consiste nel considerare l’aggiudicazione come atto presupposto, inteso come antecedente logico-giuridico del contratto, il cui venir meno comporta la caducazione automatica dell’atto negoziale consequenziale156 nei cui
154 Che la stessa Corte equipara, sotto il profilo degli effetti, alla revoca ed all’annullamento d’ufficio.
155 Art 14, co. 2, d. lgs. 140/2002: «[…]la sospensione o l'annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatori; in tale caso il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica».
156 C.d.S sez. VI, 30 maggio 2003, n. 2992, «l'aggiudicazione costituisce il presupposto determinante della stipulazione, conclude, secondo la logica dell'effetto caducante automatico, nel senso che l'inefficacia dell'atto amministrativo ex tunc travolto dall'annullamento giurisdizionale comporta anche la caducazione immediata, non necessitante di pronunce costitutive, degli effetti del negozio».
xxxxxxxx la pronuncia del giudice amministrativo si pone in termini meramente dichiarativi157 mentre secondo altri come soluzione strettamente pubblicistica158. In realtà la posizione del Consiglio di Stato, anticipa per certi versi la soluzione del legislatore delegato del 2010.
Partendo dall’assunto in base al quale, l’annullamento dell’aggiudicazione, non influisce sulla validità ma sull’idoneità del contratto a produrre effetti, si comincia a discutere di “inefficacia” del contratto159.
6. Il codice del 2006 e la speciale disciplina nel settore delle infrastrutture strategiche
Il codice del 2006 fa eco al serrato dibattito accennato, sebbene, in realtà, si sia trattato in parte di un’occasione sprecata da parte del legislatore nel prendere posizione sulla questione. Infatti, sebbene il nuovo codice non stabilisca quale sorte spetti al contratto a seguito
157 Nel caso di specie il Consiglio di Stato aveva considerato legittimo, il subentro nella concessione-contratto di un nuovo contraente a seguito dell’annullamento (d’ufficio) della precedente procedura di evidenza pubblica sostenendo che l’annullamento comportasse la caducazione automatica del contratto, che legittimava la P.A. pur in assenza di una pronuncia (dichiarativa del GA) ad una riedizione della procedura di affidamento.
In proposito, X. XXXXXXXXXXX, La Sorte del Contratto, op. cit, definisce il concetto di caducazione, definito da taluni come «una tesi meramente descrittiva, un vuoto guscio che non spiega».
000 X. XXXXXX, Xx tema di conseguenze sul contratto dell'annullamento del
provvedimento di aggiudicazione conclusivo di procedimento ad evidenza pubblica e di giudice competente a conoscerne, in Diritto processuale amministrativo, fasc.1, 2004, pag. 202, afferma che «La caducazione del contratto non si spiegherebbe con un fenomeno civilistico di nullità, ma semmai con un meccanismo - pubblicistico o comunque esclusivamente proprio di questa particolare fattispecie - di caducazione per venir meno di un presupposto condizionante, ossia di un presupposto pubblicistico di efficacia, del contratto».
159 Cons. St. 2332/2003 «prendendo spunto dal rilievo che l'aggiudicazione costituisce il presupposto determinante della stipulazione, conclude, secondo la logica dell'effetto caducante automatico, nel senso che l'inefficacia dell'atto amministrativo ex tunc travolto dall'annullamento giurisdizionale comporta anche la caducazione immediata, non necessitante di pronunce costitutive, degli effetti del negozio».
dell’annullamento dell’aggiudicazione, in materia di infrastrutture strategiche ha previsto una disciplina derogatoria speciale. L’art. 246 del Codice dei contratti pubblici, con esclusivo riferimento alle infrastrutture strategiche, sanciva che l’annullamento dell’aggiudicazione non comportasse la caducazione del negozio160 ma il solo risarcimento del danno per equivalente.
La norma, lungi dal risolvere la questione, ha contribuito ad alimentare il dibattito. Il settore delle infrastrutture strategiche, in quanto essenziale per l’ordinamento, è sempre stato caratterizzato da una disciplina speciale, tanto da porsi in termini di eccezione rispetto alle regole generali stabilite in materia di contratti pubblici. Se dunque l’eccezione consiste nel divieto di caducazione, allora se ne poteva dedurre che la regola generale consistesse nella caducazione stessa. In particolare secondo l’interpretazione offerta da E. Sticchi Damiani161 un’interpretazione a contrario della norma consentiva di giungere ad alcune conclusioni:<< a) l'annullamento dell'aggiudicazione non produce effetti sul contratto nei casi disciplinati dagli artt. 246 e 140 del Codice; b) lo stesso evento, a contrario, fa venir meno il contratto in tutti gli altri casi; c) la vicenda patologica che colpisce in tal caso il contratto è normativamente qualificata come "caducazione"; d) il Codice reputa connessa in maniera inequivocabile la "caducazione" ad un evento configurato come sospensione o annullamento
160 D. lgs. 12.04.2006, n. 163 così come in G.U. 02.05.2006, art. 246 co 4.«La sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente.>>
161 E. XXXXXXX XXXXXXX, Annullamento dell’aggiudicazione, op. cit. p. 243. In senso contrario F. G. SCOCA, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, op. cit., p. 799, il quale sostiene che in materia d’insediamenti produttivi e infrastrutture strategiche. «Tale soluzione viene considerata speciale e riferibile ai soli casi espressamente indicati dalla norma; sicché da questa alcuni traggono il convincimento che, invia generale, la soluzione debba essere differente».
dell'aggiudicazione, ossia ad una previa pronuncia di carattere costitutivo in mancanza della quale non opera l'effetto caducante.>> La caducazione cui fa riferimento il codice dei contratti pubblici sembra assumere una fisionomia diversa rispetto a quella delineata dal Consiglio di Stato, la norma infatti non attribuisce al giudice un potere meramente dichiarativo bensì costitutivo, potere che gli è sottratto nelle procedure aventi ad oggetto le procedure di evidenza pubblica nel settore strategico. Di qui l’ulteriore interrogativo in merito alla natura di tale potere ed in particolare se fossero individuabili margini di discrezionalità nell’esercizio e in caso di risposta affermativa, quali sarebbero stati i criteri di riferimento del giudice162.
Tuttavia le innovazioni introdotte dal codice sono molteplici. Innanzitutto all’art. 11 chiariva che l’aggiudicazione non equivaleva all’accettazione dell’offerta, consacrandone la natura squisitamente pubblicistica. Sulla base di ciò si assiste ad un’ accentuazione della distinzione tra potere autoritativo dello Stato e fase privatistica. Inoltre si assiste all’introduzione, in recepimento della direttiva comunitaria dello stand still period, ovvero un arco temporale di 30 giorni, successivi all’aggiudicazione, durante il quale è preclusa la stipulazione del contratto e all’interno del quale l’offerente non aggiudicatario può chiedere al giudice un provvedimento cautelare sospensivo.
Già legislatore delegato del 2006, comincia a spostare il fulcro della tutela dalla sorte del contratto alla tutela preventiva, in modo che, rafforzando la tutela del ricorrente in una fase antecedente alla stipulazione del contratto avrebbe dovuto ridurre, quantomeno sotto il profilo numerico, il problema della sorte del contratto.
La ratio sottesa alla normativa, infatti, tende ad evitare la stipulazione di un contratto che si fondi un’aggiudicazione passibile di
162 E. Xxxxxxx xxxxxxx, ivi.
annullamento, anticipando così la rilevazione di eventuali vizi e la tutela del contro interessato ad un momento precedente alla fase negoziale, consentendogli, eventualmente, di subentrare nel contratto prima della sua esecuzione in caso di esperimento vittorioso dell’istanza cautelare163.
A tal fine l’art. 11. comma 10 del codice del 2006, introduce un termine dilatorio (stand still period), che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto consentire l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione definitiva prima della stipula del contratto. In questa fase, però, l’istituto ha goduto di scarsa fortuna, la mancata coordinazione dello stand still period (all’epoca di 30 gg.) con i termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva (60 gg.) hanno per molti versi vanificato la tutela preventiva, poiché consentiva alla P.A. di stipulare il contratto durante la pendenza dei termini per l’impugnativa.
Infine, il legislatore è intervenuto su un’altra questione, quella della natura dell’aggiudicazione, stabilendo all’art. 11 che
<<l’aggiudicazione non equivale all’accettazione dell’offerta>>, scelta, questa, di segno diametralmente opposto alla disciplina previgente che ai sensi del Il R.D. n.2440/1923 cit., all'art.16, comma 4, disponeva infatti che "I processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto".
Il legislatore nega, dunque, qualunque valore negoziale all’aggiudicazione proprio al fine di consentire l’annullamento dell’aggiudicazione prima della fase contrattuale.
163 Tale opzione è comunque esclusa dal codice per le procedure afferenti agli insediamenti strategici.
7. La giurisdizione.
La questione trae origine dal tradizionale riparto delineato dall’art. 103 della Costituzione, in base al quale le questioni relative all’efficacia dei contratti rientrava nella sfera di competenza del G.O. in qualità di giudice dei diritti soggettivi, mentre la tutela demolitoria dell’aggiudicazione ricadeva nella sfera del G.A.
Sebbene il momento della stipulazione del contratto rappresentasse una zona grigia, la giurisdizione del G.O. è stata concretamente messa in discussione dall’art. 33 legge 80/98, che attribuiva al GA la giurisdizione esclusiva in ordine alle procedure di affidamento pubblico e, successivamente, dalla legge 205/2000 art. 4 e 6. In particolare l’art. 7 attribuiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le questioni “ aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale” mentre l’art. 4 disciplinava un rito speciale164.
Particolarmente discusso fu il limite di tale giurisdizione. Se infatti era pacificamente esclusa l’attrazione entro i confini del GA della fase esecutiva del contratto in quanto scevra di profili autoritativi, meno pacifica era invece la spettanza al GA delle controversie in materia di efficacia del contratto.
In realtà, l’opinione che propendeva per il giudice amministrativo si fondava sull’idea che il G.A. si occupasse solo in xxx xxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxx xxx xxxxxxxxx000, xxxxxxxxxxx la sua giurisdizione piuttosto sulla base del petitum sostanziale, ovvero, dell’interesse legittimo pretensivo
164 L’art. 4 della l. 205/2000 non era considerata norma attributiva della giurisdizione ma norma che la presuppone.
165 Art. 8, l. 6 dicembre 1071, n. 1034.
del ricorrente, a subentrare nell’appalto o, qualora fosse non fosse possibile, al risarcimento per equivalente166.
Inoltre la tesi portava con sé indiscutibili vantaggi per quel che attiene alla concentrazione del giudizio.
Tale tesi è però destinata a subire una battuta d’arresto a seguito dell’intervento della consulta del 2004167. Il Tribulale di Roma, ha sollevato la questione di legittimità dinnanzi alla Corte Costituzionale, sul rilievo che l’attuale riparto stabilito fondato sull’individuazione di “blocchi di materie” effettuata dagli art,. 6 e 7 della legge 205/00 violava la cornice costituzionale di cui all’art. 103 e 113 comportando uno smisurato ampliamento della giurisdizione del giudice amministrativo.
La questione è accolta dalla Corte che rileva come, sebbene la giurisdizione esclusiva si ponga come eccezione rispetto al normale riparto di giurisdizione, essa debba comunque essere costruita nel rispetto della dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi di rispettivamente di pertinenza del giudice ordinario e del giudice amministrativo. Il legislatore, secondo la Corte, non può ignorare tale regola nel momento in cui traccia i confini della giurisdizione esclusiva che dunque si giustifica ed è in linea con i parametri costituzionali, solo qualora attribuisca al G.A., materie che presentino contestualmente ed
166 F. XXXXXXXX, Xxxxxxxxxxxx, op. cit., 510, secondo il quale la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, dato che la pretesa dedotta in giudizio «consiste, secondo i casi, nell’aspirazione del ricorrente a divenire aggiudicatario di quel dato appalto in luogo del soggetto prescelto, nell’ammissione a una gara dalla quale era stato escluso, nell’aspirazione a che venga indetta una certa procedura ad evidenza pubblica da parte dell’amministrazione resistente; ovvero a conseguire il rispettivo rimedio risarcitorio. Non vi è una pretesa che attenga direttamente all’invalidità o inefficacia del contratto. Non vi è lo spazio per occuparsi del contratto se non nei limiti dell’effettività della tutela demolitorio-conformativa della detta pretesa».
167 Corte Costituzionale, sentenza n. 204 del 6 luglio 2004, ha dichiarato la parziale incostituzionalità degli artt. 33, commi 1 e 2, e 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall'art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205, (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa) , restringendo così i confini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
in maniera inestricabile un’intrecciarsi di posizioni di diritto soggettivo e d’interesse legittimo come si riscontra ad esempio in materia di accordi ex art 11, l. 241/90.
Per fornire una linea di demarcazione chiara, in un ambito che ha visto un’ampia evoluzione negli ultimi anni, la Corte puntualizza che, ai fini del riparto di giurisdizione, dinnanzi all’esercizio di un potere autoritativo dello Stato, il cittadino vanta un interesse legittimo, mentre qualora l’amministrazione ponga in essere atti paritetici (ex art 1 l. 241/90), essa agisce iure privatorum e pertanto il cittadino si avvarrà di un diritto soggettivo pieno168.
Contraria all’art. 103 Cost., in realtà, è la tecnica legislativa, ed in particolare l’individuazione delle controversie devolute in “tutte le controversie in materia di pubblici servizi”, senza tenere in considerazione le posizioni soggettive azionate.
In fin dei conti, la lettera d) del dlgs. 80/98 e il nuovo art. 7 della l. 205/00, passano indenni il vaglio della consulta tanto da essere confermato con qualche modifica all’art. 244 del codice dei contratti pubblici: “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”
Anche qui la norma ha dato origine ad una spaccatura, tra coloro che ritenevano che la materia del contratto non rientrasse nella
168 Corte cost. 204/2004, «La materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà la quale, tuttavia, presuppone l'esistenza del potere autoritativo».
giurisdizione di legittimità ma che il legislatore, sin dalla l. 205 del 2000 art. 7, con l’estensione della giurisdizione esclusiva avesse voluto devolvere la materia al G.A.169.
Tale orientamento partiva dal dato letterale della norma, che faceva riferimento alle sole “procedure di affidamento” (art. 7 l. 205/00 nonché successivamente art 244 co. 1, dlgs. 163/06), da identificarsi nella fase procedimentale anteriore e comprensiva dell’aggiudicazione definitiva (art.11 co.7 codice dei contratti) e che pertanto il legislatore avesse, appositamente voluto escludere la fase della stipula del contratto.
7.1 Corte di Cassazione: la giurisdizione sulla sorte del contratto torna alla giurisdizione del giudice ordinario
L’intervento della Corte di cassazione del 28 dicembre 2007 n. 27169, s’inserisce in un contesto giurisprudenziale ed interpretativo ulteriormente mutato. Come già osservato, oltre all’introduzione di un nuovo corpus normativo, anche la pronuncia della Corte Costituzionale censurava pesantemente la legge 205/2000 ed in particolare il nuovo riparto di giurisdizione.
Sebbene la pronuncia della Corte non incida sullo specifico settore della sorte del contratto, i parametri da essa forniti per il riparto di giurisdizione ne orientano indubbiamente la lettura. La riconduzione del criteri ai dettami costituzionali, favorisce un’interpretazione letterale dell’art. 7 della l. 205/00 che include nella giurisdizione amministrativa, l’intera procedura di formazione del contratto, intesa come momento autoritativo-provvedimentale che trova la sua nell’aggiudicazione definitiva. Al contrario la stipula del contratto e la
169 F. G. SCOCA, op. cit., ritiene che la competenza fosse comunque del giudice amministrativo, anche senza la previsione della giurisdizione esclusiva.
materia afferente ai vizi relativi, segnano l’inizio della fase consensualistico-negoziale e pertanto ricadono nell’ambito di tutela del giudice dei diritti soggettivi.
In questi termini la sentenza della Cassazione del 2007 è esemplificativa di un orientamento che, in quel momento appare dominante.
La Corte dichiara di aderire alla c.d. teoria privatistica in base alla quale << La L. n. 205 del 2000, artt. 6 e 7, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, hanno riguardo alla sola fase pubblicistica dell'appalto (in essa compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dalla stessa); e non si riferiscono alla successiva fase dell'esecuzione del rapporto, concernente i diritti e gli obblighi derivanti, per ciascuna delle parti, dal contratto stipulato successivamente agli atti di evidenza pubblica. In questa seconda fase resta operante la giurisdizione del giudice ordinario quale giudice dei diritti, cui spetta verificare la conformità alle norme positive delle regole attraverso le quali i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi, e delle relative condotte attuative>>
La pronuncia della Corte di cassazione fa leva, oltre che sulla sentenza 204/04 della Corte costituzionale, dopo la quale essa sostiene, “non sono più possibili dubbi ermeneutici sull’estensione della giurisdizione esclusiva”, anche su un proprio orientamento costante170 in netto contrasto con le pronunce del C.d.S. che radicavano in capo al X.X.xx giurisdizione in materia di sorte del contratto.
La Corte,infatti, aderisce alla teoria che individua una separazione netta tra fase pubblicistica e fase privatistica. Sebbene la prima fase influisca
170 Cass. Sez. un. 1142/2007, Cass. Sez. un 96/2006; Cass. Sez. un. 4508/2006; Cass. Sez. un 13296/2005.
sulla seconda in termini di efficacia, ciò che muta, a parere della Corte è proprio la natura dei poteri in gioco.
Se nella fase antecedente all’aggiudicazione la P.A. pone in essere poteri autoritativi, alla stipula del contratto i poteri esplicati sono di natura paritetica e la P.A. esercita un’autonomia negoziale non difforme da quella del privato contraente, con la conseguenza che quest’ ultimo, vanterà una posizione d’interesse legittimo fino alla fase di aggiudicazione e di un diritto soggettivo dalla stipula del contratto in poi.
La ricaduta concreta di tale ragionamento è l’attrazione della materia nell’area di competenza del giudice ordinario, giudice costituzionalmente deputato alla tutela dei diritti soggettivi. Sebbene la decisione non prenda posizione sugli effetti della declaratoria di annullamento sul contratto, essa distingue senza incertezze la fase pubblicistica da quella privatistica, facendo rientrare la conclusione del contratto nella seconda, pur non negando né la stretta connessione con il momento autoritativo, né che l’atto di negoziazione privata si ponga in termini di esecuzione della fase provvedimentale.
La Cassazione, pone l’accento sul contrasto tra legalità e principio di concentrazione del giudizio. La Corte è infatti ben consapevole che negare la giurisdizione esclusiva al G.A. significa reintrodurre una frammentazione in un giudizio caratterizzato dall’unicità dell’interesse del ricorrente, tuttavia precisa senza circonvoluzioni che la giurisdizione esclusiva: “[…] può essere istituita o ampliata, per esigenze di concentrazione della tutela, per impedire la moltiplicazione dei giudizi, e comunque per garantire pienezza di tutela al cittadino attraverso un unico giudizio, soltanto alle condizioni indicate dalla Consulta[…]”.
Con riferimento all’attività di diritto privato171 dell’amministrazione non è dunque unitaria. Laddove la P.A. avesse posto in essere un atto di natura privatistica qualificabile come accordo ex art. 11, la giurisdizione del esclusiva del G.A. non era in discussione, poiché, ad argomentare della Corte di Cassazione, l’intreccio tra diritti soggettivi e interessi legittimi era implicitamente riconosciuto dal legislatore mentre, nel caso di contratti stipulati a seguito di procedure di evidenza pubblica, tale intreccio non sussisteva ed il silenzio del legislatore sul punto era da leggersi come un riconoscimento della natura di diritti soggettivi pieni che ne scaturivano172.
7.2 La fase finale del dibattito e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
171 In realtà si è a lungo discusso della natura pubblicistica o privatistica degli accordi cfr. X. XXXXXX, Gli Accordi Procedimentali, Xxxxxxxxxxxx, 2003.
172 La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 401 del 27 novembre 2007, aveva avuto modo di chiarire che «(…) è noto che l'attività contrattuale della pubblica amministrazione, essendo funzionalizzata al perseguimento dell'interesse pubblico, si caratterizza per la esistenza di una struttura bifasica: al momento tipicamente procedimentale di evidenza pubblica segue un momento negoziale. Nella prima fase di scelta del contraente l'amministrazione agisce, come si è già sottolineato, secondo predefiniti moduli procedimentali di garanzia per la tutela dell'interesse pubblico, ancorché siano contestualmente presenti momenti di rilevanza negoziale, dovendo la pubblica amministrazione tenere, in ogni caso, comportamenti improntati al rispetto, tra l'altro, delle regole della buona fede. Nella seconda fase – che ha inizio con la stipulazione del contratto (si veda art. 11, comma 7, del Codice)
– l'amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non nell'esercizio di poteri amministrativi, bensì nell'esercizio della propria autonomia negoziale. Tale fase, che ricomprende l'intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l'istituto del collaudo – il quale è, tra l'altro, anche specificamente disciplinato dal codice civile (art. 1665 e seguenti), valendo per esso le argomentazioni già svolte a proposito del subappalto – si connota, pertanto, per la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall'esercizio di autonomie negoziali (…)».
La questione si riapre a seguito degli interventi del Consiglio di Stato. In particolare con la pronuncia 1328 del 2008173, che affronta il problema sostanziale del ruolo dell’aggiudicazione nella fattispecie dei contratti pubblici. Ancora una volta riemergono i temi classici della materia ed in particolare, il rapporto intercorrente tra la causa che origina l’invalidità e il vizio che si ripercuote sul contratto.
A tal fine, ciò su cui s’interroga il Consiglio di Stato riguarda la natura provvedimentale o negoziale della stessa aggiudicazione, nel primo caso, infatti, l’atto svolgerebbe unicamente la funzione di designare il contraente con cui la P.A. è tenuta a stipulare il contratto, nel secondo sarebbe valsa come accettazione dell’offerta174 che perfeziona il contratto.
La premessa è funzionale all’individuazione del vizio, che non riguarda il momento genetico del contratto o la sua contrarietà a norme imperative, ma il vizio della volontà ed in particolare che la volontà della P.A., sia stata prestata nella fase provvedimentale. Tale elemento non solo consente, a pare dei giudici, l’individuazione di un vizio che consente di far retrocedere il giudizio demolitorio alle fasi antecedenti la stipulazione, ma consente anche l’attrazione delle relative controversie nell’ambito del giudizio impugnatorio.
L’opinione della V sezione resta però isolata, nei termini in cui l’Adunanza Plenaria 9/2008, si allineava al dictat delle Sezioni Unite, in merito alla giurisdizione del giudice ordinario.
Tuttavia, impossibilità di accertare l’inefficacia del contratto da parte del giudice amministrativo se da un lato ne esclude il potere di concedere il risarcimento in forma specifica, non gli impedisce di
173 Consiglio di Stato, sezione V, 28 marzo 2008, n. 1328.
174 Problema superato con la direttiva ricorsi che all’art. 11 chiarisce come l’aggiudicazione non equivalga all’accettazione dell’offerta, tuttavia la normativa di riferimento, all’epoca consisteva nel regio decreto 2440/1923, che equiparava l’aggiudicazione al contratto a tutti gli effetti.
realizzare l’effetto conformativo della sentenza pronunciata in sede di legittimità, realizzando in definitiva gli interessi della parte vincitrice175incidendo direttamente sul contratto176.
All’indomani dell’entrata in vigore della direttiva 11 dicembre 2007 n. 66 si assiste ad un radicale mutamento di orientamento da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Con la sentenza del 10 febbraio 2010, n. 2906, la Corte dichiara la pertinenza alla sfera di competenza del giudice amministrativo, delle controversie inerenti alla stipula del contratto in virtù dell’entrata in vigore della direttiva ricorsi177. La prospettiva comunitaria consente anche di superare eventuali dubbi di costituzionalità; l’enunciato di cui all’art. 103 Cost., che era stato al centro del dibattito sulla giurisdizione, deve essere letto alla luce degli obblighi comunitari alla cui osservanza è legato lo Stato italiano e costituzionalizzati dall’art. 117.
In questa prospettiva è innegabile come la direttiva comunitaria, ponga la concentrazione e l’efficacia della tutela, quali obiettivi primari. Per la Corte di Cassazione, tale risultato è perseguibile all’interno del
175 Nello stesso senso Cons. St. Ad. Plen., 12/2008.
176 In particolare l’Adunanza Plenaria ritiene, in sede di ottemperanza di poter conoscere in via incidentale della caducazione del contratto e di poter imporre, alla
P.A. il subentro nel contratto al ricorrente vincitore. Sul punto, si rivela critico F. G. SCOCA, Aggiudicazione e contratto: la posizione dell’Adunanza Plenaria. In Foro Amministrativo, C.d.S, 2008, il quale rammenta come l’estensione del giudizio di ottemperanza non possa valicare i limiti del giudizio di cognizione.
177Cassazione Civile Sez. Un 10.02.2010, n. 2906: «Per effetto della Direttiva che precede, anche prima del termine indicato per la trasposizione di essa nel diritto interno la pubblica amministrazione era infatti onerata a dichiarare privo di effetti il contratto, se concluso con aggiudicatario diverso da quello dovuto, a meno che sussistessero condizioni che consentissero di non farlo e lo stesso potere-dovere dell'amministrazione imponeva di attribuire al giudice amministrativo, nelle materie di giurisdizione esclusiva, la cognizione delle controversie esteso anche ai contratti, essendo tale giudice l'organo indipendente dalla amministrazione della direttiva, che ha, nell'ordinamento interno, il potere di pronunciare l'annullamento della aggiudicazione».
nostro ordinamento, mediante la devoluzione della fattispecie nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La soluzione in questione, cui aderisce il legislatore delegato del 2010, non era l’unica praticabile. La direttiva, infatti, impone che la declaratoria di privazione degli effetti del ricorso, sia pronunciata da un organo terzo ed imparziale, ma non necessariamente da un organo giurisdizionale, ravvisabile, all’interno del nostro ordinamento nell’ Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
8. La pregiudizialità amministrativa
Il dibattito sulla sorte del contratto si svolge parallelamente a quello sulla pregiudizialità amministrativa poiché il rapporto di pregiudizialità rileva almeno sotto due profili. Il primo è inerente alla necessaria impugnazione dell’aggiudicazione ai fini della declaratoria sull’inefficacia del contratto, la questione sarà oggetto di trattazione nel capitolo seguente, tuttavia si anticipa sin da ora che il legislatore delegato, col dlgs 53/10, ha preso posizione sul punto, affermando il rapporto di pregiudizialità tra annullamento dell’aggiudicazione e declaratoria d’inefficacia del contratto.178
Diverso e per certi versi più articolato, è il secondo profilo, relativo all’annullamento dell’aggiudicazione rispetto al risarcimento del danno
178Cfr. Art 121, c.p.a dove la formula adottata per cui <<il giudice annulla l’aggiudicazione e dichiara l’inefficacia del contratto>> sembra sancire una pregiudiziale di annullamento.
In senso contrario E. XXXXXXXX , I poteri del giudice amministrativo nel decreto legislativo 20 marzo 2010 n. 53 e negli artt. 120-124 del codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 04, 1067 «Qui, non si è in presenza di una pregiudiziale poiché il giudice amministrativo non ha cognizione della validità del contratto e della sua efficacia (in via diretta), ma può disporre l'inefficacia come conseguenza dell'annullamento dell'aggiudicazione e rientra, quindi, nella cognizione degli effetti dell'annullamento».
e tuttavia strettamente legato alla privazione degli effetti del contratto, poiché, come si vedrà in seguito, il risarcimento per equivalente, costituisce lo strumento più probabile di tutela alla luce dei nuovi poteri del giudice amministrativo.
Questi, infatti, diffusamente ai sensi dell’art. 122 c.p.a. e più limitatamente ai sensi dell’art. 121 c.p.a., ha il potere di annullare l’aggiudicazione e conservare il contratto. Qualora decida in tal senso, il risarcimento per equivalente, rimane l’unica xxx xx xxxxxx xx xxxx xx ricorrente vincitore, per ottenere il soddisfacimento dei propri interessi179.
8.1. Pregiudizialità di rito e pregiudizialità di merito.
Storicamente la questione specifica della pregiudizialità amministrativa, nasce antecedentemente alla sentenza delle SSUU 500/99 che apre la via alla risarcibilità dell’interesse legittimo. La tecnica di tutela degli interessi legittimi, per lo meno quelli oppositivi, era costruita attorno alla teoria della degradazione, per cui, solo il vittorioso esperimento dell’azione caducatoria dinnanzi al G.A. e la conseguente eliminazione dell’atto amministrativo, avrebbe consentito la riemersione di un diritto soggettivo risarcibile dinnanzi al G.O. 180
In questa struttura, l’azione di annullamento si pone senz’altro in termini di pregiudizialità di rito nei confronti dell’azione di
179 Secondo X. XXXXXX, Il Contenzioso sui Contratti Pubblici un Anno Dopo il Recepimento Della Direttiva Ricorsi, Xxxxxxx, 2011, accanto alla privazione d’efficacia del contratto, si riscontrano altre tre conseguenze tipiche: il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente, l’applicazione delle sanzioni alternative, l’effetto conformativo del giudicato (soprattutto se la P.A. deve procedere alla riedizione della gara), e l’applicazione di sanzioni alternative. Tuttavia, l’aspetto sanzionatorio non si rivela satisfattivo per il ricorrente, a meno che non incida sulla durata del contratto e sempre che la P.A. opti per la riedizione della gara per la parte restante.
180 X. XXXXX, Argomenti di diritto amministrativo, Xxxxxxx, 2008.
risarcimento, poiché il G.O., dinnanzi ad un’istanza di risarcimento del danno per lesione di un interesse legittimo, non avrebbe potuto far altro che declinare la giurisdizione in favore del G.A. e solo successivamente alla declaratoria di annullamento del provvedimento illegittimo, accordare tutela per equivalente ad un (riespanso) diritto soggettivo.
La prospettiva cambia con la sentenza delle SSUU del 1999. La ridefinizione della difesa accordata all’interesse legittimo in termini di spettanza del bene della vita, porta con sé non pochi dubbi sulla persistenza della pregiudizialità181. Il giudice del risarcimento è da ora in poi chiamato ad accertare che vi sia stata “la lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento”182,indagine questa, che non coincide con quella tipica dell’ annullamento.
Se nel giudizio demolitorio, infatti, la caducazione dell’atto è conseguente al mero riscontro del vizio, il giudizio risarcitorio richiede, oltre all’individuazione di un evento dannoso lesivo di un interesse rilevante per l’ordinamento, anche la verifica della sussistenza del nesso di causalità tra danno e comportamento della P.A. nonché dell’soggettivo in capo a quest’ultima.
Il riposizionamento dell’interesse legittimo all’interno dell’ordinamento, ha avuto l’effetto di rendere superflua la teoria della degradazione e di sganciare, almeno sotto il profilo logico, l’azione di risarcimento da quella demolitoria 183.
Tuttavia la Suprema Corte non chiariva se l’accertamento dell’ingiustizia del danno desse comunque luogo ad una pregiudiziale di merito, limitandosi ambiguamente ad affermare che “non sembra
181 CORTESE, La questione della pregiudizialità amministrativa. Il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo tra diritto sostanziale e diritto processuale, CEDAM, 2007
182 Cassazione civile , SS.UU., sentenza 22.07.1999 n° 500
183 CORTESE, ivi
ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento”.184
Neanche il legislatore del 2000185 si pronuncia sulla questione della pregiudiziale, limitandosi ad attribuire al GA la giurisdizione in materia di risarcimento del danno nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità e degli altri diritti patrimoniali consequenziali, senza chiarire, ancora una volta il rapporto tra le due azioni186.
Complice il silenzio del legislatore, la dottrina ha avuto modo di dividersi a lungo sulla questione. Già all’indomani della sentenza 500/99 si individuano due tendenze, una maggioritaria, sostenuta dai giudici di Palazzo Spada, favorevole alla teoria della pregiudizialità187, ravvisava nell’annullamento dell’atto, la condicio sine qua non per il risarcimento del danno. Un altro orientamento, poi abbracciato dalla Corte di Cassazione, propugnava, invece, l’autonomia delle due azioni. Si segnalano, inoltre, posizioni isolate ma suggestive che propendevano addirittura per l’alternatività delle due azioni.
L’argomento più pregnante a sostegno della pregiudiziale di xxxxxx000, si sostanziava nell’analisi del rapporto tra norme di relazione e provvedimento dove, la norma di relazione attribuisce il potere alla P.A., la norma di azione ne individua le modalità di esercizio ed il provvedimento amministrativo rappresenta la regola del caso concreto, acquisendo potestà disciplinatoria ed ordinatrice.
Se dunque il provvedimento è la norma del caso de quo, l’infruttuoso decorso dei termini per impugnare, implica la cristallizzazione della regola, che viene definitivamente acquisita nell’ordinamento giuridico con la conseguenza che, in ossequio al principio di non
184 Cass. civ., Sez. Un. 500/99.
185 L. 205/00.
186 Art.7, l. 205/2000.
187 C.d.S., Ad. Plen., 4/03.
188 Cfr. X. XXXXXXX, ibidem, pp. 150 e 165.
contraddittorietà, viene meno l’antigiuridicità dell’atto amministrativo. Se il danno non è più contra ius, l’azione di risarcimento risulta preclusa, poiché non sorge in capo alla parte un corrispondente diritto di credito. Tale tesi, metteva in evidenza anche il rischio di condotte di parte ricorrente, volte ad eludere il termine decadenziale previsto dalla legge.
Per contro, fautori della tesi autonomistica negavano un qualunque rapporto di pregiudizialità e ponevano l’accento, invece, sull’autonomia della domanda risarcitoria rispetto a quella costitutiva, in quanto vertente su di un diritto soggettivo (al risarcimento) già sorto al momento dell’emanazione dell’atto contra legem e persistente in capo al soggetto leso, indipendentemente dalla sorte poi seguita dal provvedimento.
Si sosteneva, inoltre, la differenza funzionale dei due strumenti, infatti, mentre l’azione risarcitoria si considerava posta a tutela del patrimonio, l’azione caducatoria proteggeva la sfera giuridica della persona. Il diverso ambito di tutela giustificava, secondo quest’impostazione, l’autonomia delle due azioni, sicché l’acquiescenza prestata verso l’azione di annullamento non avrebbe implicato un’automatica rinuncia al risarcimento del danno, semmai la prima avrebbe realizzato una tutela in forma specifica e la seconda per equivalente.
I riflessi giurisprudenziali dei diversi approcci alla questione hanno dato vita al noto contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione, nei cui riguardi è risultato decisivo l’intervento della Corte Costituzionale. Questa, interpellata sulla legittimità costituzionale dell’attribuzione al G.A. del potere di decidere sul risarcimento per lesione d'interessi legittimi, dichiarava la scelta del legislatore coerente col quadro costituzionale e, pur non pronunciandosi mai sulla natura di diritto soggettivo del risarcimento, evidenzia come l’istituto sia da attenzionare sotto il profilo funzionale, come strumento di tutela
indispensabile per garantire una tutela piena ed effettiva all’interesse legittimo. Tale rilievo rafforza la tesi autonomistica, sostenuta dalla Cassazione, che finisce con l’identificare il ripristino di una qualunque forma di pregiudizialità come un diniego di tutela “piena” alla posizione d’interesse legittimo in quanto avrebbe assoggettato l’azione di risarcimento ad un termine legislativamente non previsto189.
Riguardo alla cristallizzazione della regola espressa dal provvedimento, sostenuta dal Consiglio di Stato, le Sezioni Unite rispondevano come la mancata impugnazione non equivalesse ad una convalida dell’atto, prova ne era che non influiva sui poteri di annullamento in autotutela, pur sempre esercitabili dalla P.A.
Contestualmente, la Corte ribadiva la propria competenza a sindacare la sentenza del G.A. tutte le volte in cui questo si fosse rifiutato di accordare il risarcimento del danno adducendo la tardiva impugnazione dell’atto190.
In questo contesto s’inserisce l’orientamento mediano del Consiglio di Giustizia Amministrativa che sin dal 2006, propugna la tesi mitigatamente autonomistica secondo cui la mancata proposizione dell’azione di annullamento, poteva essere valutata dal giudice secondo i canoni dell’art. 1227 del c.c. comma 2, laddove tale condotta fosse qualificabile come causativa di un danno evitabile dalla parte. In questo caso sarebbe stato negato il risarcimento per equivalente per le lesioni che il privato avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza.
8.2. L’Adunanza Xxxxxxxx 0/0000.
Il codice del processo amministrativo consacra l’autonomia delle due azioni (art. 30 c.p.a.) attribuendo al giudice il potere di conoscere
189 Ex multis, Cass. Sez. Un. 13659/2006.
190 Cass. Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30254.
incidentalmente della legittimità dell’atto non impugnato ai soli fini risarcitori (art.34 c.p.a.) ed introducendo due termini di decadenza differenziati.
Tale autonomia, tuttavia, è riconosciuta a pieno titolo solo laddove alla tutela in forma specifica, cui è preordinata l’azione di annullamento, non si riveli di alcuna utilità ai fini del risarcimento del danno patito dal privato, danno che in definitiva potrà trovare ristoro soltanto per equivalente come nel caso in cui il provvedimento sia già stato portato ad esecuzione. Tale scelta si pone senz’altro in linea con la giurisprudenza comunitaria che si è più volte pronunciata in materia, sebbene non senza incertezze, in senso contrario ad una duplicazione dei mezzi di tutela.
Qualora invece, l’azione di annullamento, secondo un giudizio prognostico, sia in astratto idonea a ripristinare lo status quo ante, la sua mancata proposizione può essere valutata dal giudice come abuso del processo e pertanto escludere il risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 30 co.3.
In particolar modo l’Adunanza Plenaria mette in evidenza come non possa più parlarsi di pregiudizialità di rito, che comporta l’inammissibilità dell’azione di risarcimento in assenza del previo annullamento dell’atto, ma di un nesso eziologico che lega le due azioni sotto il profilo della causalità. La questione transita dunque da una pregiudizialità di rito191, ad una pregiudizialità di merito192.
191
Questioni concernenti l’esistenza di un presupposto necessario per poter rendere
una decisione in merito al rapporto controverso, definite come “condizioni di decidibilità nel merito”.
192
Questioni vertenti su un diritto o uno status o un rapporto giuridico diverso da quello fatto valere in giudizio ma che ne condiziona l’accertamento sostanziale in termini di dipendenza, nel senso che la fattispecie del rapporto dipendente comprende in sé il diritto condizionante, in tale rapporto si pongono a titolo di mero esempio il diritto di credito agli alimenti e quello di filiazione.
In merito, occorre rilevare come la figura di “abuso del processo” e la sua trasposizione in materia di pregiudizialità amministrativa non appare cristallina neanche nell’elaborazione del consiglio di stato del 2011.
La nozione, la cui definizione risulta sfuggente rappresenta, infatti, il corollario processualcivilistico del più ampio (e per lo più oscuro) istituto dell’abuso del diritto. È stato osservato come il processo ben conosca comportamenti vietati, ai quali riconnette sanzioni tipiche (nullità, annullabilità, inammissibilità ecc.) con la conseguenza che può intanto parlarsi di abuso del processo, in quanto si xxxxxxx che si tratta di comportamenti che la legge processuale consente e addirittura prescrive193.
Si avrà allora abuso del processo tutte le volte in cui si rilevi un “uso distorto dello strumento processuale […] ai fini di sviamento della verità e di dilazione dei tempi processuali”.194
Di qui una certa difficoltà nel ricostruire l’istituto195e cionondimeno la necessità d’individuare dei parametri cui fare riferimento, soprattutto in considerazione del fatto che dal rispetto di questi dipende la possibilità di ottenere il risarcimento del danno in assenza d’impugnazione dell’atto lesivo, nonché di scongiurare l’ingresso della figura di obbligo del processo, incompatibile col principio di disponibilità del giudizio in capo alle parti. In questa prospettiva, s’inquadrano i tentavi della giurisprudenza d’individuare degli indici a cui ancorare le condotte processuali delle parti.
La giurisprudenza della Suprema Corte, ha qualificato come comportamento abusivo il frazionamento delle azioni da parte del
193 X. XXXXXXX, L'abuso del processo: profili generarli. Riv. trim. dir. proc. civ. 2012, 01, 117.
194 A. XXXXX, Abuso Del Processo, in enc. Giur.agg, II, Milano, 2002, p. I.
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X. XXXXXXX, L’abuso del processo, op. cit., dubita della sua esistenza.
creditore a fronte dell’inadempimento riferibile ad un unico rapporto, rilevando come la scelta processuale adottata dalla parte (in sé insindacabile) fosse meritevole di censura in quanto esclusivamente rivolta ad arrecare un danno alla controparte senza alcun vantaggio legittimo per l’attore.196 L’ipotesi sub specie, citata come caso esemplare dall’adunanza plenaria del 2011, sebbene ricalchi lo schema dell’abuso del diritto, mal si attaglia all’ipotesi di omessa o tardiva proposizione dell’azione di annullamento, dove la scelta processuale può celare, oltre alla semplice negligenza, anche un comportamento volto ad incrementare la lesione patrimoniale in danno al creditore, al fine di ottenere un maggior risarcimento per equivalente.
Un tentativo di enucleare degli schemi di condotta chiari, volti ad orientare le parti nel gioco del processo, sono riferibili ad un recente arresto del Consiglio di Stato che individua tra gli elementi costitutivi dell’abuso del processo “la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte” 197.
196
Cass. Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726, cit.
197 Gli altri criteri sono: «1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte […] Il divieto di abuso del diritto, in quanto espressione di un principio generale che si riallaccia al canone costituzionale di solidarietà, si applica anche in ambito processuale, con la conseguenza che ogni soggetto di diritto non può esercitare un'azione con modalità tali da implicare un aggravio della sfera della controparte, sì che il divieto di abuso del diritto diviene anche divieto di abuso del processo Si giunge, così, all'elaborazione della figura dell' abuso del processo quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa».
Un ulteriore profilo che merita di essere affrontato riguarda la configurazione del danno evitabile. L’ art. 30 c.p.a. comma 3 attribuisce al Giudice Amministrativo il potere di valutare “tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”. Il richiamo, seppure non esplicito all’ art. 1227 co. 2 è generalmente riconosciuto198.
A riguardo si nota, come l’art. 1227, in generale, consacra l’irrisarcibilità dei danni evitabili dal creditore-danneggiato, operante anche in materia extracontrattuale attraverso il rinvio effettuato dall’art. 2056 c.c.
La norma però consta di due commi, il primo dove viene chiamato in causa il nesso di causalità ed alla luce del quale il creditore concorre alla verificazione dell’inadempimento (evento-base) ed un secondo comma che, presupponendo l’evento dannoso come già prodottosi, prende in considerazione una tipologia di danni “ulteriori”, esclusivamente riconducibili alla condotta del creditore. Con riferimento a questa seconda ipotesi, è stato osservato come << la previsione relativa ai danni evitabili, non ha a che fare con il concorso di cause nella produzione dell’evento dannoso, e quindi con la ripartizione della responsabilità (sulla scorta di criteri causali) fra autore e vittima del danno. Ma, dando per risolto tale problema, essa attiene piuttosto alla determinazione del danno risarcibile199 .>> Trasponendo il ragionamento al caso in oggetto, vanno individuate due tipologie di danno, una prima (c.d. danno evento) direttamente riconducibile all’atto amministrativo illegittimo, per cui il risarcimento
198 C. d. S., Ad. Plen., 3/2011.
199 X. XXXXXXXX, il danno evitabile: la misura della responsabilità tra diligenza ed efficienza, Cedam, 1990, p. 38.