sul rapporto di lavoro a tempo determinato
1. Manuale per il sindacalista Uilm
sul rapporto di lavoro a tempo determinato
1. Natura del contratto e fonti normative 1
2. Requisiti di ammissibilità del lavoro a tempo determinato 2
2.1. Il requisito delle “ragioni aziendali” 2
2.2. Necessità della forma scritta ed altre disposizioni dell’art. 1 3
2.3. Divieti 3
2.4. Limiti posti dalla contrattazione collettiva 3
3. Disciplina del rapporto 4
3.1. Parità di trattamento 4
3.2. Disposizioni particolari 5
3.3. Cessazione del rapporto 5
3.4 Indennità di disoccupazione e di maternità 6
4. Xxxxxxx, prosecuzione del rapporto e successione dei contratti 7
4.1. Proroga 7
4.2. Prosecuzione del rapporto 8
4.3. Successione dei contratti 8
5. Linee di azione sindacale 9
5.1. Consigli operativi da fornire ai lavoratori con contratto a termine 9
5.2. Prospettive rivendicative sui contratti a termine 9
1. Natura del contratto e fonti normative
Il contratto di lavoro a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato caratterizzato dall’apposizione della clausola del termine, con la quale viene fissata preventivamente la scadenza del rapporto lavorativo1. In linea di principio, trovano quindi applicazione le norme dettate in tema di lavoro a tempo indeterminato, figura “tipica” del nostro ordinamento, cui occorre rapportarsi per desumere i principi e la disciplina generale della materia.
Il decreto legislativo del 6 settembre 2001, n° 368, attuativo della direttiva CE 1999/702, ha completamente ridisegnato la disciplina dell’istituto, abrogando le precedenti disposizioni legislative, ed ha marcatamente liberalizzato il suo utilizzo nel mercato del lavoro, passando dal sistema dei “motivi tassativi” e della “contrattazione sindacale” a quello delle “ragioni aziendali”3. Di contro, una serie di regole tendono ad evitare le discriminazioni nei confronti dei lavoratori a termine ed a prevenire gli abusi conseguenti al reiterato impiego di questa forma di lavoro flessibile.
Fuori dell’ambito di applicazione del decreto, per esplicita previsione dell’art. 10, restano taluni rapporti che pure sono caratterizzati dall’esistenza di un termine, quali
1 Il termine deve essere determinato, ossia consistere in una data, o determinabile, vale a dire essere ricollegato al verificarsi di un evento futuro.
2 La direttiva CE 1999/70 ha recepito il contenuto dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalla CES, dall’UNICE e dal CEEP.
3 Nel regime previgente, era consentito assumere lavoratori a termine o nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, oppure nelle ipotesi autorizzate dai contratti collettivi, nei limiti del contingentamento ivi stabilito.
quelli di apprendistato, di formazione e lavoro, ora contratti di inserimento, i rapporti di lavoro agricoli, l’assunzione diretta di manodopera nei settori del turismo e dei pubblici servizi.
2. Requisiti di ammissibilità del lavoro a tempo determinato
Sebbene il decreto legislativo n° 368 del 2001 abbia reso molto più agevole che in passato il ricorso al lavoro a tempo determinato da parte delle imprese, permangono tuttora una serie di vincoli e di divieti alla sua utilizzazione. Gli articoli 1, 2 e 10, 7° comma stabiliscono, infatti, i limiti legali di apposizione del termine, che andremo di seguito ad illustrare.
2.1. Il requisito delle “ragioni aziendali”
La stipulazione del contratto di lavoro a termine deve essere innanzitutto giustificata dalla sussistenza di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. E’ quanto stabilito dall’art. 1 del d. lgs., secondo cui dette ragioni devono essere specificate, per iscritto, nell’atto di assunzione.
La formula legislativa appare indubbiamente generica e può, dunque, prestarsi ad interpretazioni pregiudizievoli per il lavoratore. Vi è addirittura chi, traendone argomento, ha asserito l’assoluta discrezionalità delle aziende nel ricorso al lavoro a termine. Questa tesi è non solo, come abbiamo accennato, assai pericolosa, ma giuridicamente inaccettabile, poiché svuota la norma di ogni significato. Al contrario, dobbiamo ribadire che le ragioni aziendali devono essere effettive e devono possedere il carattere della temporaneità. Solo così si potrà evitare che il lavoro a termine sia arbitrariamente utilizzato, in sostituzione del lavoro a tempo indeterminato. La nostra, del resto, è l’unica interpretazione in linea con la direttiva 1999/70/CE, cui il decreto legislativo dà attuazione4.
La legge non si pronunzia sulla sanzione da applicare nel caso in cui le “ragioni aziendali” siano carenti. Anche qui il silenzio della legge ha dato adito ad interpretazioni tra loro difformi. E’ da segnalare, in particolare, una tesi molto insidiosa per gli interessi dei lavoratori, secondo la quale all’inosservanza della normativa sulle “ragioni aziendali” conseguirebbe l’annullabilità del contratto di lavoro: in altri termini la violazione della norma, posta a tutela del lavoratore, avrebbe come effetto, paradossale, la perdita dell’impiego5.
Fortunatamente per i lavoratori, però, anche in giurisprudenza sembra imporsi l’idea opposta, da noi naturalmente auspicata: la mancanza o l’insufficienza delle “ragioni aziendali” comportano la conversione, mediante ricorso giudiziale, del contratto a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
4 La direttiva 1999/70/CE, secondo l’interpretazione resa dalla recente sentenza della Suprema Corte, assegna difatti decisiva rilevanza ai “motivi oggettivi”, “poiché il termine costituisce deroga di un generale sottointeso principio: il contratto di lavoro, per sua natura, non è a termine.”
5 L’orientamento appena esposto vuole applicare l’art. 1419, sulla nullità parziale dei contratti, al caso della carenza di ragioni aziendali. Va ricordato, però, a proposito l’orientamento della Corte Costituzionale, secondo cui: l’art. 1419, 1° comma, non si applica “allorquando la nullità della clausola (in questo caso del termine) derivi dalla contrarietà a norme imperative poste a tutela del lavoratore.”
2.2. Necessità della forma scritta ed altre disposizioni dell’art. 1
La legge impone che il termine risulti, direttamente o indirettamente, da atto scritto. Nel caso in cui mancasse la forma scritta, il rapporto di lavoro a tempo determinato si trasformerebbe, automaticamente e per espressa previsione normativa, in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ciò vale, in particolare, per i rapporti di lavoro di fatto, che quindi non possono mai essere validamente considerati a termine.
Non incide, invece, sulla formazione del rapporto l’eventuale violazione della prescrizione dell’art 1, 3° comma, secondo cui, entro cinque giorni lavorativi, una copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore6.
Un’importante eccezione a quanto finora enunciato è rappresentata dai rapporti c.d. occasionali, di durata non superiore a dodici giorni, per cui non vi è necessità di scrittura alcuna.
2.3. Divieti
L’art. 3 vieta il ricorso al lavoro a termine in una serie di casi tassativamente elencati:
1. il lavoro a termine non può essere utilizzato per sostituire lavoratori che esercitino il diritto di sciopero.
2. non può essere utilizzato – salva diversa disposizione degli accordi sindacali – da parte di aziende che, nei sei mesi precedenti, abbiano proceduto a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto abbia una durata non superiore a tre mesi, ovvero sia concluso ai sensi dell’art. 8, comma 2, della l. 223/19917.
3. presso aziende nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario con ricorso alla CIG o ai contratti di solidarietà, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato.
4. da parte delle aziende che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi, ai sensi del decreto lgs. del 1994, n° 626.
2.4. Limiti posti dalla contrattazione collettiva
L’art. 10 al 7° comma prevede, infine, la possibilità che nei contratti collettivi nazionali, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, siano individuati limiti quantitativi di utilizzo dell’istituto, “anche in misura non uniforme” nelle differenti aree geografiche e nei diversi comparti produttivi. In questo modo la disposizione, da una parte, sembra voler creare un collegamento col sistema
6 La norma in esame può piuttosto acquisire una sua rilevanza, se adoperata come ulteriore argomento per dimostrare la necessità che la scrittura del contratto sia antecedente, o al xxxxxxx xxxxx, all’inizio del rapporto di lavoro.
7 Il 2° comma dell’art. 8 della l. 223/1991 recita: “I lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi. La quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni. Nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, il predetto contratto venga trasformato a tempo indeterminato, il beneficio contributivo spetta per ulteriori dodici mesi in aggiunta a quello previsto dal comma 4”.
previgente, dall’altra indica la via di uno sviluppo alternativo, evidentemente subordinato alla forza di imporsi che le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori dimostreranno in concreto di avere. A ben guardare, però, la reale portata normativa sembra essere nelle eccezioni riportate nel passo immediatamente successivo della legge: in una serie di casi neppure la presenza di accordi collettivi nazionali potrà difatti imporre alle imprese limiti quantitativi alle assunzioni a termine. In particolare sono comunque esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:
- per ragioni di carattere sostitutivo
- per ragioni di stagionalità, comprese le attività previste nell’elenco allegato al d.p.r. n°1525 del 1963.
- per l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno.
- per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi.
- in seguito alla conclusione di un periodo di stage o di tirocinio8.
- con lavoratori ultra cinquantacinquenni.
- per l’esecuzione di un’opera o di un servizio predeterminati nel tempo, aventi carattere straordinario.
Il comma 8, dello stesso art. 10, prevede poi una norma residuale, che esclude dalle limitazioni quantitative i contratti a termine di durata complessiva non superiore a sette mesi, compresa la eventuale proroga. La disposizione ha cura, però, di impedire atteggiamenti fraudolenti, che sfruttino l’avvicendamento di più lavoratori a termine o, comunque, il susseguirsi di una pluralità di contratti di breve durata. Rientrano, infatti, negli eventuali limiti quantitativi contrattati “i singoli contratti stipulati per le durate suddette per lo svolgimento di prestazioni di lavoro che siano identiche a quelle che hanno formato oggetto di altro contratto a termine avente le medesime caratteristiche e scaduto da meno di sei mesi”.
3. Disciplina del rapporto
3.1. Parità di trattamento
La norma fondamentale per la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato è la c.d. norma “antidiscriminatoria”, che stabilisce parità di trattamento fra il lavoratore a termine ed il lavoratore a tempo indeterminato. L’art. 6 dice esplicitamente che al lavoratore a termine spetta “ogni trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratti a tempo indeterminato (…) sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine”9.
Nonostante le difficoltà di calcolo e di erogazione, non possono quindi essere negati ai lavoratori a termine neppure i premi di risultato. L’unico limite a quanto finora
8 La legge indica, in un inciso, come fine precipuo della norma, quello di facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
9 L’art. 12 prevede, nel caso di violazione del principio di non discriminazione, una sanzione amministrativa, che va da 25,82 a 1.032 euro.
affermato è rappresentato dall’esclusione degli istituti di anzianità e dei superminimi individuali, perché questi oggettivamente incompatibili con il lavoro a tempo determinato.
3.2. Disposizioni particolari
Lo stesso decreto legislativo prevede, per il rapporto di lavoro a tempo determinato, una disciplina particolare, in tema di formazione e di informazioni, nonché di diritto di precedenza nelle assunzioni.
L’art. 7, in particolare, dimostra doverosa sensibilità in materia di sicurezza sul lavoro, sancendo l’obbligo di “una formazione sufficiente (…) al fine di prevenire rischi connessi all’esecuzione del lavoro”. Spetta, invece, ai contratti collettivi nazionali la previsione di strumenti formativi, che “aumentino la qualificazione (…) e migliorino la mobilità occupazionale” dei prestatori d’opera.
Sempre ai contratti collettivi nazionali, l’art 9 affida il compito di stabilire le modalità attraverso cui rendere edotti i lavoratori “circa i posti vacanti che si rendessero disponibili nell’impresa, al fine di garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori”.
E’ infine da rammentare il disposto dell’articolo 8, che include anche i lavoratori a termine ai fini del computo di cui all’art. 35 della legge n° 300 del 1970, purché il contratto abbia una durata superiore a nove mesi.
Nulla è espressamente stabilito riguardo la durata massima del termine, ma presumibilmente questa non potrà superare i tre anni, così come è desumibile dalla normativa dettata per la disciplina della proroga, cui si rinvia.
3.3. Cessazione del rapporto
E’ chiaro che il rapporto di lavoro si risolve naturalmente con il decorso del termine. Fino allo spirare di quest’ultimo, però, le parti sono obbligate a darvi esecuzione. Nel caso di recesso prima della scadenza e senza “giusta causa”10, il recedente potrà dunque essere chiamato a rispondere del danno causato alla controparte.
Raramente, in verità, sarà il datore di lavoro a recedere prima della scadenza del contratto. Se comunque intendesse farlo, sarebbe senz’altro tenuto a risarcire il lavoratore della perdita delle retribuzioni residue11.
Più frequentemente, sarà il lavoratore, allettato da occasioni di impiego a tempo indeterminato, a voler porre fine al rapporto di lavoro prima della scadenza del termine pattuito. In tal caso il lavoratore dovrà rivolgersi al suo datore di lavoro, che difficilmente gli negherà la possibilità di sciogliere il contratto in modo consensuale.
10 La “giusta causa” – a titolo meramente esemplificativo – potrebbe consistere nei confronti del lavoratore in una grave mancanza disciplinare mentre nei confronti dell’azienda potrebbe sostanziarsi in un ritardo nella corresponsione della retribuzione.
11 Per essere più precisi, al danno sofferto dal lavoratore andrebbe detratto l’aliunde perceptum, ossia quanto il lavoratore ha percepito come corrispettivo di un’altra attività, in seguito alla perdita della precedente occupazione. Di conseguenza il lavoratore è tenuto ad attivarsi con l’ordinaria diligenza per rinvenire una nuova occupazione e, ove ciò non avvenisse, la mancanza si tradurrebbe in una riduzione del danno risarcibile.
Se, invece, il lavoratore dovesse abbandonare l’impiego in modo non concordato, si esporrebbe al rischio di essere citato in giudizio dall’impresa12.
Un’ultima problematica da affrontare in questa sede concerne il caso del lavoratore, che, assunto con un contratto a termine invalido, venga poi congedato dal datore di lavoro alla scadenza del termine (evidentemente illegittimo). Il lavoratore, che non abbia manifestato la propria acquiescenza alla cessazione del rapporto, potrà agire in giudizio per essere integrato nell’impiego e per ricevere le mensilità arretrate non corrisposte. E’ importante, però, ricorrere tempestivamente in via giudiziale, per evitare il rischio che il giudice possa leggere l’inattività del lavoratore come una prova della sua acquiescenza alla cessazione del rapporto.
3.4 Indennità di disoccupazione e di maternità
E’ utile accennare ad alcune conseguenze della cessazione del rapporto per scadenza del termine13. In particolare, osserviamo che:
1. Se il contratto scade quando il lavoratore è in malattia, o è in stato di infermità causato da infortunio, all’avvenuta scadenza verrà meno anche il relativo trattamento14.
2. Per quanto riguarda la maternità, è invece possibile ottenere un trattamento assistenziale corrisposto direttamente dall’Inps15.
12 Il risarcimento che spetterà al datore, stante la difficoltà di liquidarne l’ammontare, sarà determinabile in via equitativa, quindi secondo il prudente apprezzamento del giudice. E’ quanto stabilisce l’art. 1226 del c.c.; si noti che la regola presuppone la difficoltà obbiettiva di calcolare l’ammontare del danno, non già quella di dimostrare l’esistenza stessa del danno, che quindi andrà sempre provato.
13 Nei casi che andremo ad esporre è opportuno richiedere una collaborazione al Patronato Ital Uil.
14 Per i casi, e almeno per quanto riguarda l’infortunio, non tutelati dalla legislazione assistenziale si dovrebbe proporre l’adozione di un sistema di copertura previdenziale simile a quello previsto da EBITEMP per i lavoratori somministrati. 15 Gli artt. 24 e 54 del d. lgs. n° 151 del 2001 dispongono che: “L'indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro (…) che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità” nel caso “di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine”. C’è di più: “Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità purché tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni (…). Qualora il congedo di maternità abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio del periodo di congedo stesso, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, ha diritto all'indennità giornaliera di maternità anziché all'indennità ordinaria di disoccupazione”. Infine, vedi quanto disposto in tema di assegno di maternità, per le lavoratrici ed ex-lavoratrici che non abbiano diritto ad altro (adeguato) trattamento di maternità. In proposito l’art. 75 del d. lgs. n° 151/2001 prevede che: “Alle donne residenti (…), per le quali sono in atto o sono stati versati contributi per la tutela previdenziale obbligatoria della maternità, è corrisposto, per ogni figlio nato (…) [o in caso di adozione] un assegno di importo complessivo pari a lire 3 milioni, per l'intero nel caso in cui non beneficiano dell'indennità (…) [di maternità], ovvero per la quota differenziale rispetto alla prestazione complessiva in godimento se questa risulta inferiore, quando si verifica uno dei seguenti casi: a) quando la donna lavoratrice ha in corso di godimento una qualsiasi forma di tutela previdenziale o economica della maternità e possa far valere almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che va dai diciotto ai nove mesi antecedenti alla nascita o all'effettivo ingresso del minore nel nucleo familiare; b) qualora il periodo intercorrente tra la data della perdita del diritto a prestazioni previdenziali o assistenziali derivanti dallo svolgimento, per almeno tre mesi, di attività lavorativa, (…) e la data della nascita o dell'effettivo ingresso del minore nel nucleo familiare, non sia superiore a quello del godimento di tali prestazioni, e comunque non sia superiore a nove mesi. (…); c) in caso di recesso, anche volontario, dal rapporto di lavoro durante il periodo di gravidanza, qualora la donna possa far valere tre mesi di contribuzione nel periodo che va dai diciotto ai nove mesi antecedenti alla nascita. (…) L'importo dell'assegno è rivalutato al 1° gennaio di ogni anno, sulla base della variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall'ISTAT”.
3. Se in seguito alla scadenza del termine il lavoratore resta disoccupato, avrà diritto all’indennità di disoccupazione16; tale indennità sarà, però, corrisposta solo in presenza di determinati requisiti imposti dalla legge17 e darà diritto alla corresponsione di un importo pari al 40% della retribuzione media percepita nei 3 mesi precedenti (o 30% per l’indennità con requisiti ridotti), per un periodo massimo di 6 mesi (o 5 per l’indennità con requisiti ridotti).
4. Xxxxxxx, prosecuzione del rapporto e successione dei contratti
Il Decreto legislativo pone una serie di norme, che hanno il fine manifesto di prevenire abusi nell’utilizzazione del lavoro a tempo determinato. Quel che si vuole evitare è, in particolare, la possibilità che l’istituto venga arbitrariamente adoperato, nei rapporti caratterizzati dalla continuità, in luogo del lavoro a tempo indeterminato.
4.1. Proroga
La disciplina della proroga del contratto di lavoro a termine, contenuta nell’art. 6, è una disciplina molto restrittiva, che risponde evidentemente alla suddetta esigenza anti-elusiva. La proroga è difatti ammessa:
1. una sola volta, a condizione che sia richiesta da ragioni obiettive e che si riferisca alla stessa attività lavorativa precedentemente svolta dal lavoratore.
2. solo se la durata iniziale del rapporto sia inferiore a tre anni; in ogni caso la durata complessiva del rapporto non può superare lo stesso termine di tre anni18.
Il secondo comma dell’art. 4 prevede, inoltre, che l’onere della prova relativo all’esistenza delle ragioni, che giustificano la proroga del termine, grava sul datore di lavoro. Più in generale, la Corte di Cassazione si è espressa nel senso che l’onere della prova delle “ragioni aziendali” grava sempre sul datore di lavoro, tanto nel caso di proroga quanto in quello di assunzione19. L’inosservanza delle disposizioni appena esposte comporta la nullità della proroga e, di conseguenza, il rapporto di lavoro diviene a tempo indeterminato20.
16 In generale, l’indennità di disoccupazione può essere percepita da coloro che restino disoccupati per scadenza del termine oppure per licenziamento, non può essere percepita da coloro che hanno volontariamente rassegnato le dimissioni.
17 I requisiti richiesti per l’indennità di disoccupazione ordinaria, sono: almeno due anni di assicurazione per la disoccupazione involontaria ed almeno 52 contributi settimanali nel biennio precedente la data di cessazione del rapporto di lavoro. I lavoratori che non possono far valere 52 contributi settimanali negli ultimi due anni e hanno lavorato per almeno 78 giornate nell'anno precedente, hanno diritto all'indennità ordinaria di disoccupazione con i requisiti ridotti.
18 La norma può essere utilizzata, in via di interpretazione, per fissare, in generale, la durata massima del rapporto di lavoro a tempo determinato in tre anni; non manca, però, una differente interpretazione, secondo cui tale limite andrebbe individuato in cinque anni, ex art. 10, 4° comma.
19 In altre parole, toccherà al datore di lavoro, in sede processuale, il peso di dover dimostrare l’esistenza delle ragioni aziendali. La regola può dimostrarsi preziosa per l’effettiva tutela dei diritti dei lavoratori.
20 In verità, il regime sanzionatorio in tema di xxxxxxx deve essere desunto dall’interprete, nel silenzio della legge. Quella riportata poc’anzi è sicuramente l’interpretazione prevalente, non già l’unica: esiste, infatti, un’altra ipotesi interpretativa che, optando per l’annullabilità del contratto di lavoro in caso di illegittimità della proroga, priva il lavoratore di qualsiasi tutela (vedi nota n° 5).
4.2. Prosecuzione del rapporto
Anche la prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine originario è caratterizzata da un regime restrittivo, che obbedisce alla medesima ratio21 di impedire un utilizzo improprio dell’istituto. Più in particolare, secondo quanto disposto dall’art. 5:
1. Se il rapporto di lavoro continua oltre il termine fissato, il datore è tenuto a corrispondere una maggiorazione della retribuzione del 20% fino al decimo giorno successivo e del 40% per ogni giorno ulteriore.
2. Se, però, il rapporto si prolunga oltre il ventesimo giorno, in caso di durata del contratto inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno, in tutti gli altri casi, il contratto diviene automaticamente un contratto a tempo indeterminato.
4.3. Successione dei contratti
Considerazioni analoghe a quelle svolte per gli istituti della proroga e della prosecuzione del rapporto, possono essere effettuate a proposito della successione dei contratti. Il legislatore individua, in verità, due diverse fattispecie di riassunzione a termine del lavoratore:
1. il 3° comma dell’art. 5 contempla il caso della riassunzione entro un periodo di venti o di dieci giorni, a seconda che il primo contratto avesse o meno una durata superiore a sei mesi. La conseguenza, in tale eventualità, è che il “secondo contratto si considera a tempo indeterminato”.
2. il 4° comma dell’art. 5 prevede, invece, che, in caso di riassunzione immediata del lavoratore, “il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato, dalla data di stipulazione del primo contratto”.
Si noti, che anche la riassunzione del lavoratore oltre il termine di venti giorni può fornire al lavoratore validi motivi per richiedere l’assunzione a tempo indeterminato, nel caso in cui:
1. si riesca a dimostrare un intento fraudolento del datore di lavoro (ad es.: il secondo contratto viene stipulato il 21° giorno successivo alla scadenza del primo, allo scopo manifesto di eludere la normativa legale)
2. si evidenzi, in seguito al continuo succedersi di contratti a termine, la sostanziale continuità del rapporto di lavoro e, quindi, la carenza delle “ragioni aziendali”, a cui la legge sempre subordina la validità del contratto di lavoro a tempo determinato.
E’ necessario, però, puntualizzare che la prova relativa all’intento fraudolento, in sede processuale, può risultare particolarmente ardua da dimostrare.
21 Indicare il fine di una norma (la c.d. ratio legis) non risponde esclusivamente ad esigenze espositive chiarificarici, bensì comporta una serie di conseguenze giuridiche di notevole rilevanza pratica: attraverso la tecnica dell’analogia legis, potrebbe essere possibile, infatti, estendere la disciplina della norma anche a quei casi che, pur non espressamente previsti dalla legge, presentino identiche esigenze di tutela.
5. Linee di azione sindacale
5.1. Consigli operativi da fornire ai lavoratori con contratto a termine
1) Conservare ordinatamente la lettera di assunzione, le buste paga e tutte le comunicazioni dell’azienda;
2) Annotare secondo lo schema che segue le attività di addestramento e di formazione professionale e per la sicurezza svolte in aula, in colloqui con i responsabili e sul lavoro:
Data | Orario | Argomento | Con il signor | Tipo* |
*specificare se in aula, in colloqui o sul lavoro
3) Annotare gli eventuali casi di attività lavorativa differente da quella prevista sulla lettera di assunzione per mansioni e/o per tipo di produzione.
Perché è utile fare questo?
Perché la lettera di assunzione, tra le altre cose, deve riportare le ragioni che motivano il ricorso al contratto a termine in luogo dell’assunzione a tempo indeterminato e perché la legge obbliga le aziende a fornire al lavoratore a termine “una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro”.
La violazione degli obblighi formativi comporta multe a carico dell’azienda e sanzioni penali in caso di infortunio; la carenza delle ragioni che giustificano l’assunzione a tempo determinato ha, invece, come conseguenza la trasformazione del contratto a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per ottenere la conversione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, occorrerà comunque ricorrere alle vie giudiziali.
5.2. Prospettive rivendicative sui contratti a termine
La nuova legislazione in materia di contratti a termine, per varie ragioni tra le quali anche la forte impronta europea (la legge è difatti attuativa di una Direttiva europea, che a sua volta trae origine da un accordo tra il Sindacato europeo e le Controparti), rappresenta un netto cambiamento di logica e di impostazione rispetto alla precedente legislazione italiana in materia.
Si è passati dalle “limitazioni di casistiche e di percentuali con deroga sindacale” al “motivo oggettivo”. Ma, piaccia o meno, queste sono le regole vigenti.
Si tratta quindi di conoscere la nuova normativa e saperne sfruttare gli spazi, magari più angusti con caratteristiche di controllo e sanzione più che di “autorizzazione”, che comunque questa offre.
Infatti, vediamo il rischio che, ad intaccare i diritti dei lavoratori atipici, sia non solo e non tanto la lettera della legge, quanto le ardite letture che comunemente se ne
danno. Va da sé, inoltre, che le interpretazioni giuridiche seguono per lo più il comune sentire della società, rispecchiano le tendenze politiche e, nel caso del diritto del lavoro, il concreto atteggiarsi dei rapporti di forza fra le classi sociali.
Si aggiunga che le riforme in materia sono piuttosto recenti e che ancora non si è formata una giurisprudenza consolidata al riguardo. Acquisterà, dunque, una straordinaria importanza la capacità del Sindacato di imporre una lettura della legge conforme alle aspettative dei lavoratori.
La legge opera, poi, una serie di rinvii alla contrattazione, anche se taluni, essendo aggiuntivi rispetto alle già ampie casistiche di legge, risultano più formali che sostanziali. Mentre per altri non ha senso, ci riferiamo all’avvio di “nuove attività”, una disciplina che prescinda dal singolo caso concreto22.
Riteniamo che però esista un concreto interesse dei lavoratori e del Sindacato a regolamentare e quindi rendere esigibili:
1. il diritto di precedenza dei lavoratori che hanno avuto rapporti di lavoro a tempo determinato, in caso di assunzioni a tempo indeterminato, ovviamente a parità di qualifica: tale diritto vale per un anno e il contratto nazionale deve prevedere le modalità con cui si richiede e quelle con cui concretamente si definiscono le priorità;
2. il diritto del lavoratore con contratto a termine a essere informato sulle possibilità di un lavoro a tempo indeterminato in altre sedi dell’impresa;
3. la possibilità di offrire ai lavoratori, che hanno svolto contratti a tempo determinato, occasioni formative per migliorarne le competenze professionali e quindi la possibilità di divenire occupati a tempo indeterminato.
Definire su quest’ultimo punto una normativa contrattuale chiara ed esigibile deve rappresentare un punto di partenza per la costruzione di un sistema di tutele che ci piace chiamare “Statuto dei lavori” e che deve accompagnare tutti coloro che lavorano con contratti diversi da quello a tempo indeterminato, fornendo le giuste risposte all’esigenza di trovare un impiego stabile, ma anche a quella di avere un sostegno al reddito o almeno la copertura previdenziale per i periodi di non lavoro.
22 Ci si riferisce alla disposizione contenuta dal comma 7 dell’art. 10 lettera a.