Lezione Diritto Civile – Contratto – Causa (prima parte) LEZIONE DEL 29 NOVEMBRE 2022
Lezione Diritto Civile – Contratto – Causa (prima parte)
LEZIONE DEL 29 NOVEMBRE 2022
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Giappichelli Formazione
CORSO INTENSIVO DI PREPARAZIONE AL CONCORSO PER REFERENDARIO TAR 2022-2023
GIAPPICHELLI EDITORE
Responsabile scientifico
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
LEZIONE DEL 29 NOVEMBRE 2022
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Diritto civile
AREA TEMATICA
CONTRATTO
CAUSA (prima parte)
Nota. Studiate bene questa dispensa perché il professore di diritto civile (commissione concorso Tar) ha scritto su questi temi.
Argomento 1
TRACCIA
Contratto di assicurazione e clausole claims made: giudizio di meritevolezza e di adeguatezza.
Nota. Si rinvia alla lezione per lo sviluppo della traccia.
Nota. È importante trattare contestualmente causa e meritevolezza, soprattutto con riferimento alla nozione di causa come funzione economico-sociale.
A.1. Rinvio al Manuale
1. Rinvio al Manuale di diritto amministrativo, X. Xxxxxxxx, Giappichelli Editore, Terza Edizione, giugno 2021, Capitolo 11, par. 4, pag. 716 e Capitolo 16, par. 8.2.2, pagg. 1072-1074.
B. Giurisprudenza
1. La causa del contratto come funzione economico-individuale: Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490.
Omisis.
Tutte le possibili definizioni di causa succedutesi nel tempo (che un celebre civilista degli anni '40 non esita a definire "oggetto molto vago e misterioso") hanno visto la dottrina italiana in permanente disaccordo (mentre negli altri paesi il dibattito è da tempo sopito), discorrendosi, di volta in volta, di scopo della parte o motivo ultimo (la c.d. teoria soggettiva, ormai adottata dalla moderna dottrina francese, che parla di causa come But); di teoria della controprestazione o teoria oggettiva classica (che sovrappone, del tutto incondivisibilmente, il concetto di causa del contratto con quello di causa/fonte dell'obbligazione); di funzione giuridica ovvero di funzione tipica (rispettivamente intese in guisa di sintesi degli effetti giuridici essenziali del contratto, ovvero di identificazione del tipo negoziale - che consente ad alcuni autori di predicare la sostanziale validità del negozio simulato sostenendone la presenza di una causa, intesa come "tipo" negoziale astratto, sia pur fittizio, quale una donazione, una compravendita, ecc. -); di funzione economico-sociale, infine, cara alla c.d. teoria oggettiva, formalmente accolta dal codice del 42, del tutto svincolata dagli scopi delle parti all'esito di un processo di astrazione da essi (per tacere delle teorie anticausalistiche, di derivazione tedesca, con identificazione della causa nell'oggetto o nel contenuto - Inhalt - del contratto, non indicando il codice tedesco la causa tra gli elementi costitutivi del contratto).
La definizione del codice è, in definitiva, quella di funzione economico-sociale del negozio riconosciuta rilevante dall'ordinamento ai fini di giustificare la tutela dell'autonomia privata (così, testualmente, la relazione del ministro guardasigilli); ma è noto che, da parte della più attenta dottrina, e di una assai sporadica e minoritaria giurisprudenza (Cass. Sez. 1^, 7 maggio 1998, n. 4612, in tema di Sale & lease back) Sez. 1^, 6 agosto 1997, n. 7266, in tema di patto di non concorrenza; Sez. 2^, 15 maggio 1996, n. 4503, in tema di rendita vitalizia), si discorre da tempo di una fattispecie causale "concreta", e si elabori una ermeneutica del concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che configura la causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (che, a tacer d'altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell'orbita della dimensione funzionale dell'atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l'uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale.
Omissis.
1.1. La causa come criterio di validità: Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2015, n. 22567.
Omissis.
Secondo la giurisprudenza più recente, in realtà, lo squilibrio economico originario non priva di causa il contratto, perchè nel nostro ordinamento prevale il principio dell'autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. Si ritiene dunque che, salvo particolari esigenze di tutela, "le parti sono i migliori giudici dei loro interessi".
Sicchè, ad esempio, "solo l'indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, può determinare la nullità della vendita per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, pone solo un problema concernente l'adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisce, quindi, all'interpretazione della volontà dei contraenti ed all'eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto" (Xxxx., sez. 2^, 19 aprile 2013, n. 9640, m. 626041).
Omissis.
1.2. Segue: Cass. civ., sez. un, 6 marzo 2015, n. 4628.
Nota. Si riporta di seguito un estratto della sentenza sul preliminare di preliminare già spiegata nella lezione del 26 luglio 2022.
Omissis.
Viene in primo luogo in risalto, come evidenziato dal più recente dibattito dottrinale, la tematica della causa concreta.
Una definizione di questa Corte (Cass. 10490/06) la qualifica come "scopo pratico del negozio...sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato".
Sono molti i casi in cui la Corte, dichiaratamente o meno, ha lasciato da parte la teorica della funzione economico sociale del contratto e si è impegnata nell'analisi dell'interesse concretamente perseguito dalle parti nel caso di specie, cioè della ragione pratica dell'affare.
L'indagine relativa alla causa concreta, - è stato evidenziato - giova sia come criterio d'interpretazione del contratto sia come criterio di qualificazione dello stesso: "La rispondenza del contratto ad un determinato tipo legale o sociale richiede infatti di accertare quale sia l'interesse che il contratto è volto a realizzare".
Questa chiave di lettura conduce a riconsiderare gli approdi schematici ai quali sono pervenute in passato dottrina e giurisprudenza.
E' singolare, ma non casuale, che il profilo causale del contratto sia stato inteso in dottrina e giurisprudenza come ricerca della utilità del contratto, cioè della sua "complessiva razionalità" ed idoneità ad espletare una funzione commisurata sugli interessi concretamente perseguiti dalle parti attraverso quel rapporto contrattuale.
E' questo in fondo che la stessa Xxxx. 8038/09 richiede allorquando rileva che, in caso contrario, l'obbligo di obbligarsi ad ottenere un certo effetto è "una inconcludente superfetazione" priva di "senso pratico".
5.2 Le opinioni, pur partendo da prospettive diverse, coincidono dunque nel definire nulla l'intesa che si risolva in un mero obbligo di obbligarsi a produrre un vincolo che non abbia nè possa avere contenuto ulteriore o differenziato. Un secondo punto di convergenza si rinviene allorquando l'analisi del primo accordo conduce a ravvisare in esso i tratti del contratto preliminare, in quanto contenente gli elementi necessari per configurare tale contratto, quali, si osserva, l'indicazione delle parti, del bene promesso in vendita, del prezzo. La presenza della previsione di una ulteriore attività contrattuale può rimanere irrilevante, ma va esaminata alla luce delle pattuizioni e dei concreti interessi che sorreggono questa seconda fase negoziale.
Giovano alcune esemplificazioni: a) Può darsi il caso che nell'accordo raggiunto sia stata semplicemente esclusa l'applicabilità dell'art. 2932 c.c.: si tratta, è stato osservato, di una esclusione convenzionalmente ammessa. La conseguenza sarà che, pur ravvisandosi un contratto "preliminare" in questa scrittura che ipotizzava un successivo accordo, si potrà far luogo, in caso di inadempimento, solo al risarcimento del danno.
b) Può presentarsi l'ipotesi in cui la pattuizione della doppia fase risponda all'esigenza di una delle parti di godere del diritto di recesso, facoltà che può essere convenzionalmente prevista nel contratto preliminare e che può anche accompagnarsi alla prevista perdita di una modesta caparra penitenziale versata dal proponente l'acquisto; si tratta è stato detto, del costo del recesso da un contratto preliminare già concluso.
c) E' ipotizzabile, ed è quanto andrà vagliato con particolare attenzione dai giudici di merito nel giudizio odierno, che le parti abbiano raggiunto un'intesa completa, subordinandola però a una condizione.
Tutte queste ipotesi, e le altre che sono immaginabili, sono apparentate da una conclusione che può regolare buona parte della casistica: va escluso che sia nullo il contratto che contenga la previsione della successiva stipula di un contratto preliminare, allorquando il primo accordo già contenga gli estremi del preliminare. L'assenza di causa che è stata rilevata quando si è discusso di "preliminare di preliminare" potrebbe in tali casi riguardare tutt'al più il secondo, ma non certo il primo contratto.
Omissis.
1.3. La causa come criterio risolutorio: Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2007, n. 16315.
Massima:
Posto che l'impossibilità dell'esecuzione nel contratto di viaggio "tutto compreso" è da valutarsi in relazione all'interesse da soddisfare del creditore turista, l'inutilizzabilità della prestazione estingue il rapporto obbligatorio per irrealizzabilità della causa concreta (nella specie, non era stato possibile garantire relax e svago al turista, per la presenza di un'epidemia nel luogo di destinazione del viaggio).
1.4. La causa come criterio di adeguatezza: Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22437.
Nota. Riportata oltre.
2. Quarta tesi: meritevolezza e principi costituzionali secondo la giurisprudenza: Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2018, n. 1465.
Nota. Tale sentenza, riportata per esteso oltre, ha rimesso alle Sezioni unite la questione relativa alla meritevolezza della cd. xxxxxxxx “claims made” in materia assicurativa.
Omissis.
la meritevolezza è un giudizio (non un requisito del contratto, come erroneamente sostenuto da parte della dottrina), e deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso perseguito». In particolare, si è affermato che «l’immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
Omissis.
2.1. Giudizio di meritevolezza e posizione di soggezione indeterminata di una parte rispetto all’altra parte: Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 2017, n. 4222.
Omissis.
"non è esigibile il pagamento del canone - o dell'addizionale o dei relativi accessori - di una concessione di derivazione di acque pubbliche in caso di mancata effettiva fruizione di questa da parte del concessionario dovuta ad impossibilità di funzionamento dell'impianto ascrivibile ad eventi non imputabili al medesimo concessionario (ivi compreso l'impedimento alla derivazione conseguente alla condotta ostativa od ostruzionistica di altra pubblica amministrazione), neppure in caso di clausola del disciplinare di concessione od altra negoziale che ne preveda il pagamento anche nell'ipotesi in cui il concessionario non possa fare uso della concessione per causa a sè non imputabile, quella risultando invalida per non meritevolezza dell'interesse perseguito - ai sensi dell'art. 1322 cpv. cod. civ. derivante dal contrasto con i principi generali dell'ordinamento di cui all'art. 41 Cost. e di economicità vigenti in tema di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia".
Omissis.
2.2. Giudizio di meritevolezza e condotte contrastanti con i superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (art. 2 Cost.): Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2009, n. 14343.
Massima:
I controlli insiti nell'ordinamento positivo relativi all'esplicazione dell'autonomia negoziale, coincidenti con la meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente e con la liceità della causa, devono essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi, ivi compreso quello contemplato dall'art. 2 Cost. (che tutela i diritti involabili dell'uomo e impone l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà); è pertanto nulla la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome confliggente proprio con l'adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l'ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all'interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l'esplicazione di rapporti di amicizia.
2.3. Ambito applicativo del giudizio di meritevolezza: Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2020, n. 8894.
Nota. In questa sentenza, la Cassazione si è posta la questione dell’applicabilità del giudizio di meritevolezza anche ai contratti tipici. Tale sentenza è riportata oltre per esteso.
Omissis.
Ora, qui non è il caso di entrare nella questione di come si valuti la meritevolezza: se attenga al tipo o alla causa, se possa farsene applicazione ai contratti tipici in aggiunta al criterio della illiceità (art. 1343 c.c.).
E' noto che le soluzioni prospettabili sono due: quella che ritiene che per meritevolezza debba intendersi nient'altro che illiceità, cosi che la norma sarebbe meramente ricognitiva dei divieti di legge, e quella che, invece, intende la meritevolezza come una clausola generale che abilita l'interprete ad un controllo sulle attività private (sulla conclusione di contratti atipici) secondo criteri diversi dalla illiceità tipizzata dall'art. 1343 c.c. (contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume), ed il cui contenuto varia a seconda degli interpreti: a volte meritevolezza significa utilità sociale, altre volte immeritevole è il contratto che impedisca lo sviluppo della persona e via dicendo.
Omissis.
3. Rimedi (soluzioni controverse): Xxxx. civ., sez. I, 15 febbraio 2016, n. 2900.
Omissis.
Ritiene il Collegio che, come rilevato in una recente pronuncia relativa a fattispecie del tutto simile (Cass.22950 del 2015) "la sussunzione del negozio nell'ambito (o fuori dell'ambito n.d.r.) dei contratti meritevoli di tutela è giudizio di diritto" rimesso all'esame della Corte di legittimità mentre la ricostruzione del contenuto del contratto è opera insindacabile del giudice del merito. Ne consegue che il giudizio di meritevolezza, sulla base della ricostruzione del tessuto negoziale risultante dalla sentenza impugnata costituisce un'operazione di qualificazione giuridica del tutto rientrante nella funzione officiosa del giudice di legittimità, non introducendo una nuova o diversa questione rilevabile d'ufficio, dal momento che l'oggetto dell'indagine, rispetto alla declaratoria di nullità per violazione di norme imperative che ha costituito l'oggetto dell'esame del giudice del merito nel presente giudizio, è sostanzialmente sovrapponibile, dovendosi applicare non tanto il parametro del proibito quanto quello dell'agiuridico (come efficacemente sottolineato da Cass. 22950 del 2015) al fine di formulare il giudizio di meritevolezza. La soluzione negativa determina la conseguenza dell'improduttività degli effetti del contratto fin dall'origine dal momento che non sussiste una ragione giustificativa plausibile del vincolo, il quale non merita tutela e non è coercibile, restando indifferente per l'ordinamento.
Il contratto atipico, all'esito del giudizio d'immeritevolezza, deve ritenersi inefficace fin dalla stipulazione, inidoneo a vincolare le parti al reticolo di regole che ne compongono la struttura. Tale è la conseguenza della "irrilevanza giuridica" del medesimo. La valutazione da svolgere è, pertanto, del tutto simile a quella riguardante l'accertamento della validità o invalidità del contratto ex art. 1418 cod. civ. , anzi deve ritenersi che l'indagine relativa alla tipicità od atipicità del contratto, alla sua unitarietà o scindibilità, costituisce un accertamento preliminare indefettibile. Per queste ragioni deve escludersi che si tratti di una questione rilevabile d'ufficio da sottoporre preventivamente al contraddittorio delle parti in quanto l'operazione da svolgere attiene alla correzione in diritto della motivazione della sentenza di secondo grado ex art. 384 c.p.c. , u.c..
Omissis.
4. Xxxxxxxx claims made: Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22437 ( a) nozione di sinistro; b) tipicità legale; c) tutela nella fase di formazione del contratto; d) fase di determinazione del contenuto: giudizio di adeguatezza e causa in concreto; e) fase esecutiva: recesso abusivo).
Omissis.
Fatto
1. - In data 28 giugno 2002 si verificò, in Treviso, il
distacco e la caduta del braccio di una gru per l'edilizia nel
cantiere in cui operava la C.E.V. S.p.A., che determinò il crollo
dell'adiacente magazzino della M. s.n.c., agente della Laboratori P.
s.n.c., le cui merci, custodite in detto xxxxxxxxx, furono
danneggiate; la Laboratori P. s.n.c. (poi s.r.l.), nel 2003,
convenne, quindi, in giudizio la C.E.V. S.p.A. e la M. s.n.c., per
sentirle condannare al risarcimento dei danni conseguentemente
subiti.
1.1. - Le società convenute si costituirono negando la propria responsabilità; la C.E.V. S.p.A. chiamò in causa la società che aveva fabbricato la gru, Potain Sud Europa s.r.l., che successivamente assunse la denominazione di Xxxxxxxxx s.r.l..
1.2. - Quest'ultima società fu convenuta, altresì, dalla stessa Laboratori P. s.r.l.; a seguito della riunione delle cause, la Xxxxxxxxx s.r.l. chiamò in giudizio, per la manleva, il proprio assicuratore della responsabilità civile, Ras S.p.A. (attualmente Allianz S.p.A.), assumendo che, essendo il sinistro verificatosi il 28 giugno 2002, per quell'evento era garantita dalla polizza avente durata dal 1 gennaio 2001 al 1 gennaio 2003, con una franchigia di Euro 4.547,00.
1.3. - L'Allianz S.p.A. si costituì contestando la fondatezza della domanda di garanzia.
A tal fine dedusse di aver stipulato con la Xxxxxxxxx due distinti contratti di assicurazione della responsabilità civile: l'uno (contraddistinto dal n. (OMISSIS)) di durata dal 1 gennaio 2001 al 31 dicembre 2002; l'altro (contraddistinto dal n. (OMISSIS)) di durata dal 1 gennaio 2003 al 1 gennaio 2004.
In entrambi i contratti operava la cd. "clausola claims made", sicchè l'assicuratore era obbligato all'indennizzo solo per i danni il cui risarcimento fosse stato richiesto all'assicurato durante il periodo di efficacia della polizza; pertanto, avendo la Laboratori P. s.r.l., terzo danneggiato, avanzato le proprie pretese nei confronti della Xxxxxxxxx soltanto nel 2003, era alla seconda polizza che doveva farsi riferimento, la quale, tuttavia, prevedeva una franchigia (di Euro 150.000) superiore al risarcimento richiesto, con la conseguenza che l'assicurato non poteva pretendere alcun indennizzo.
1.4. - L'adito Tribunale di Treviso, con sentenza del febbraio 2007, accolse la domanda proposta dalla Laboratori P. s.r.l. nei confronti della C.E.V. S.p.A. e della Xxxxxxxxx s.r.l., che condannò al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 88.031,69, oltre accessori; accolse, altresì, la domanda di garanzia della Xxxxxxxxx nei confronti della Allianz, dichiarando xxxxx, xx xxxxx xxxx'xxx. 0000 x.x., xx xxxxxxxx claims made.
2. - Avverso tale decisione proponevano gravame, in via principale, la Allianz S.p.A. e, in via incidentale, tutte le altre parti, ad eccezione della M. s.n.c..
2.1. - La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 3 febbraio 2014, accoglieva soltanto l'impugnazione principale della Allianz S.p.A., respingendo, quindi, la domanda di garanzia proposta dalla Xxxxxxxxx.
2.2. - La Corte lagunare reputava, anzitutto, che la clausola "claims made", di tipo "puro", non rendesse nullo il contratto ai sensi dell'art. 1895 c.c. e che non si prestasse neppure ad essere considerata vessatoria, avendo l'effetto non già di restringere la responsabilità dell'assicuratore, bensì di delimitare l'oggetto del contratto.
2.3. - Ciò premesso, il giudice di appello evidenziava che la polizza assumeva espressamente il "sinistro" assicurato come "la richiesta di risarcimento di danni per i quali è prestata l'assicurazione", per cui, essendo il fatto verificatosi nel giugno 2002, ma la prima richiesta dei conseguenti danni pervenuta l'anno dopo, nel caso di specie doveva applicarsi la maggiore franchigia di Euro 150.000 Euro, tale essendo la misura prevista dal contratto vigente all'epoca in cui la Laboratori P. aveva domandato di essere risarcita, sicchè nulla era dovuto dalla Allianz S.p.A. poichè il danno causato dall'assicurata era inferiore a tale limite.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Xxxxxxxxx s.r.l. sulla base di cinque motivi.
La Allianz S.p.A. e la C.E.V. S.p.A. hanno resistito con separati controricorsi, mentre la Laboratori P. s.r.l. ha depositato procura speciale di nomina del difensore e la M. s.n.c. di M.G. & C. non ha svolto attività difensiva.
In prossimità dell'udienza dell'8 novembre 2017 sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c..
3.1. - La causa è stata, quindi, assegnata a queste Sezioni Unite su impulso dell'ordinanza interlocutoria n. 1465 dell'8 gennaio 2018, con cui la Terza Sezione civile ha prospettato che il caso all'esame pone, in tema di clausola c.d. claims made, questioni, di massima di particolare importanza, ulteriori e diverse rispetto a quelle già scrutinate dalla sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 9140 del 6 maggio 2016, così da sollecitarne un nuovo intervento.
Diritto
1. - Con il primo mezzo si deduce la violazione e falsa
applicazione dell'art. 1322 c.c., in punto di nullità per difetto di
meritevolezza della clausola claims made.
La Corte territoriale ha escluso che il contratto assicurativo inter partes sia affetto da nullità per contrasto con l'art. 1895 c.c., in quanto "atipico" in ragione della clausola claims made ivi contenuta, per effetto della quale è da considerarsi "sinistro" a tutti i fini contrattuali - e dunque non solo ai fini del pagamento dell'indennizzo - l'invio della richiesta di risarcimento all'assicurato da parte del danneggiato.
Tuttavia, il giudice di appello, nel giungere a tale conclusione, ha pretermesso il necessario giudizio di meritevolezza del contratto, che avrebbe dovuto effettuare, in modo stringente e in considerazione del complessivo regolamento negoziale, proprio in ragione della predicata atipicità.
2. - Con il secondo mezzo è prospettata la violazione e falsa applicazione dell'art. 1917 x.x., xxxxx 0, xxxxxx xx xxxxx xx xxxxxxx xxxxx xxxxxxxx claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata nonostante la citata norma non venga richiamata dall'art. 1932 c.c. tra quelle inderogabili, assumendo in sè siffatta natura, poichè rappresenta la funzione del contratto di assicurazione - ossia il trasferimento del rischio derivante dall'esercizio di un'attività dall'agente all'assicuratore -, per cui la sua deroga comporterebbe la nullità del contratto stesso per mancanza di causa e la sua immeritevolezza per contrarietà a norma imperativa.
3. - Con il terzo mezzo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 1895 c.c., ancora in punto di nullità della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata in quanto il contratto di assicurazione inter partes (del 2003, con franchigia di Euro 150.000,00) ha assicurato, in concreto, un rischio già verificatosi (insorto con il sinistro del giugno 2002), ciò desumendosi dalla clausola di cui all'art. 9 dello stesso contratto, che impone all'assicurato di denunciare il sinistro entro 10 giorni dalla sua verificazione, con la conseguenza che, dovendosi per sinistro intendersi il fatto dannoso, la claims made, riferendosi alla richiesta di risarcimento, consente di coprire un rischio già sorto.
4. - Con il quarto mezzo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1341 c.c., sulla vessatorietà della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata in quanto essa non limita l'oggetto del contratto di assicurazione, poichè, come si desume dalla citata clausola di cui all'art. 9 dello stesso contratto, imponendosi all'assicurato di denunciare il sinistro entro 10 giorni dalla sua verificazione, la responsabilità dell'assicuratore sorge con il fatto dannoso, con la conseguenza che la claims made, connettendola alla denuncia del terzo, la viene ad escludere.
5. - Con il quinto mezzo è prospettata la violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 117 e 118 sulla responsabilità del produttore.
La Corte territoriale avrebbe errato ad affermare la responsabilità di essa Xxxxxxxxx, produttrice della gru, reputando inconferenti le difese in punto di assenza di colpa e imprevedibilità del danno, addossando ad essa società la prova del fortuito, mentre, alla luce di quanto emerso dalla c.t.u., essa non poteva conoscere, nè prevedere la difettosità del prodotto in relazione al presunto difetto di progettazione.
6. - E' logicamente prioritario lo scrutinio del quinto motivo di ricorso, giacchè investe l'an debeatur.
Esso è in parte infondato e in parte inammissibile.
La Corte territoriale, sulla scorta delle risultanze della c.t.u. espletata in corso di giudizio, ha accertato che la caduta del braccio della gru era dipesa dalla "rottura del porta-ralla", che "non era stato progettato in maniera corretta" (non essendo stata operata una "verifica a fatica per questo particolare, così come prescritto dalle norme DIN 15108"), là dove, poi, non erano "sufficienti - da sole - a spiegare il motivo del crollo" le "lesioni rilevate sul mantello cilindrico del porta-ralla, sicuramente da imputare a fenomeni di fatica del materiale", così come erano "non dimostrabili sulla base dei dati oggettivi acquisiti" le ipotesi di "uso improprio o accidentalmente scorretto" della gru.
La sussunzione di detto accertamento nell'ambito della disciplina normativa di riferimento (D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, artt. 5 e 6 applicabile ratione temporis, ora confluita nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, artt. da 114 a 127 cd. "codice del consumo") è stata effettuata correttamente dal giudice di appello, giacchè consentanea al principio (cfr., tra le altre, Cass., 29 maggio 2013, n. 13458) per cui la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poichè prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto.
Pertanto, ai sensi del citato D.P.R. n. 224 del 1988, art. 8 (trasfuso nell'art. 120 del cd. "codice del consumo"), mentre sul soggetto danneggiato incombe la prova del collegamento causale tra difetto del prodotto e danno, il produttore è tenuto a dimostrare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell'art. 6 (tra cui: non aver messo il prodotto in circolazione; inesistenza del difetto al momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione; stato di conoscenze scientifiche al momento della produzione del prodotto tali da non consentire di reputarlo come difettoso).
Si palesano, quindi, inconsistenti le censure in iure, mentre sono inammissibili le ulteriori critiche che investono direttamente la quaestio facti, le quali non veicolano un vizio ascrivibile al paradigma di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, vigente n. 5 (ossia di omesso esame di un fatto, storico, decisivo e discusso tra le parti: Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), ma prospettano soltanto una lettura delle (pur condivise) emergenze della c.t.u. divergente da quella fornita dal giudice del merito, affatto inidonea, dunque, a radicare uno scrutinio da parte di questa Corte.
7. - Preliminare allo scrutinio dei motivi che deducono la nullità della clausola claims made inserita nei contratti assicurativi stipulati dalla ricorrente è l'esame dell'eccezione di giudicato interno sollevata dalla Allianz S.p.A. proprio in relazione alla validità di detta xxxxxxxx, avendola il Tribunale ritenuta tale sotto il profilo della liceità, sebbene di natura vessatoria ai sensi dell'art. 1341 c.c., senza che l'anzidetta statuizione sia stata fatta oggetto di impugnazione.
7.1. - L'eccezione va disattesa.
Il giudice di primo grado, in effetti, ha espressamente affermato (aderendo all'orientamento seguito da questa Corte con la sentenza n. 5624 del 2005) che la clausola claims made di cui al contratto di assicurazione inter partes, da reputarsi contratto atipico, era valida, giungendo poi a diverse conclusioni in punto di vessatorietà ai sensi del secondo comma dell'art. 1341 c.c., apprezzandola come tale, ossia vessatoria, giacchè ritenuta limitativa della responsabilità dell'assicuratore.
In presenza, dunque, di una espressa qualificazione in termini di validità della clausola, sia pure per profili differenti da quello inerente alla disciplina dell'art. 1341 c.c., ma, in ogni caso, condizionante l'impostazione e l'indagine del primo giudice (che altrimenti si sarebbe arrestata in limine, stante la comunque doverosa attivazione del rilievo officioso, anche in assenza di sollecitazione di parte: Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), la Xxxxxxxxx s.r.l., seppur vittoriosa all'esito finale della lite, aveva l'onere, al fine di sottoporre alla cognizione del giudice dell'impugnazione la devoluzione della predetta questione preliminare di nullità del contratto, di proporre appello incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo d'ufficio ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell'art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c., utilizzabile, invece, ove quella questione non fosse stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del primo giudice (Cass., S.U., 12 maggio 2017, n. 11799; Cass., 19 marzo 2018, n. 6716).
Come risulta dagli atti (cui questa Corte ha accesso, quale giudice del "fatto processuale", per la natura dello scrutinio richiesto dall'eccezione di giudicato interno), la Xxxxxxxxx ha proposto, avverso la decisione di primo grado, tempestivo appello incidentale, indicando formalmente come ad esso attinenti sei motivi, tra i quali non figura quello sulla validità della clausola claims made, come affermata dalla sentenza del Tribunale di Treviso.
Tuttavia, la stessa appellante incidentale, nel contrastare il motivo di appello della Allianz S.p.A. avverso la declaratoria di vessatorietà della predetta clausola, ha argomentato specificamente sulla nullità della stessa (segnatamente, per contrasto con gli artt. 1895 e 1917 c.c.: cfr. pp. 19/21 appello incidentale), per poi concludere (p. 45 appello incidentale) anche nel senso del rilievo della nullità della clausola claims made contenuta nella polizza (OMISSIS), al fine della conferma della sentenza di primo grado, con applicabilità della diversa polizza n. (OMISSIS).
Nell'appello incidentale della Xxxxxxxxx è, dunque, ravvisabile, anche in riferimento alla questione della nullità della clausola claims made (per profili diversi dalla vessatorietà), una chiara e specifica contestazione della parte di sentenza di primo grado relativa all'affermazione di validità della clausola medesima, trovando risalto, nel contesto dell'atto di impugnazione (senza che si imponga l'utilizzo di forme sacramentali per un'efficace proposizione rispetto allo scopo), quella combinazione tra parte volitiva e argomentativa diretta alla confutazione delle ragioni addotte dal primo giudice che rende l'impugnazione stessa non solo riconoscibile come tale, ma anche ammissibile ai sensi dell'art. 342 c.p.c. (Cass., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199).
8. - I primi due motivi di ricorso hanno indotto la Terza Sezione civile a sollecitare (con la ricordata ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018) un nuovo intervento di queste Sezioni Unite, dopo quello recente di cui alla sentenza del 6 maggio 2016, n. 9140, sulle problematiche giuridiche che, nell'ambito dell'assicurazione della responsabilità civile, si agitano intorno alle c.d. "clausole claims made" (di seguito anche soltanto claims made o claims).
9. - Giova anzitutto rammentare che dette clausole - come già evidenziato dalla citata sentenze delle Sezioni Unite n. 9140 del 2016 - operano una deroga al modello di assicurazione della responsabilità civile delineato dall'art. 1917 c.c., comma 1, poichè la copertura assicurativa viene ad operare non "in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nell'arco temporale di operatività del contratto, quale che sia il momento in cui la richiesta di danni venga avanzata" (modello c.d. boss occurrence o act committed), bensì in ragione della circostanza che nel periodo di vigenza della polizza intervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato (il c.d. claim) e che tale richiesta sia inoltrata dall'assicurato al proprio assicuratore.
Se questo è lo schema essenziale al quale si ispira il sistema c.d. "claims made" (letteralmente: "a richiesta fatta"), esso trova poi concretizzazione, nella prassi assicurativa, in base a più varianti, la cui riduzione alle due categorie più generali della claims "pura" (siccome imperniata sulle richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito) e della claims "impura" (o mista: poichè operante là dove tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con possibile retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente) è frutto unicamente di convenzionale semplificazione, la quale, tuttavia, non può elidere la complessità del fenomeno.
Complessità che si apprezza, anzitutto, proprio a motivo di quelle varianti cui si faceva cenno, che introducono ulteriori previsioni pattizie orientate in più direzioni: per un verso, volte a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claims intervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto (c.d. sunset clause o clausola di ultrattività o di "postuma"); per altro verso, dirette a consentire all'assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all'assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria (c.d. deeming clause).
9.1. - Sono ben note le ragioni storiche che hanno dato luogo, nell'ambito del mercato assicurativo, a partire da quello anglosassone e, poi, statunitense della prima metà degli ‘80 del secolo scorso, alle clausole claims made, affermatesi - in estrema sintesi - come risposta all'aumento dei costi per indennizzo generato dall'espansione, qualitativa e quantitativa, della tutela risarcitoria, in particolar modo nell'area dei rischi c.d. lungo-latenti, ossia dei danni da prodotti difettosi, quelli ambientali e quelli da responsabilità professionale (segnatamente, in ambito di responsabilità sanitaria).
Di qui, per l'appunto (come ricordato dalla citata sentenza n. 9140 del 2016), l'esigenza, avvertita dalle imprese di assicurazione, di circoscrivere l'operatività della assicurazione ai soli sinistri "reclamati" durante la vigenza del contratto, così da consentire alla compagnia "di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi", con evidente ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo.
9.2. - Volgendo per un momento lo sguardo a quelle aree di cultura giuridica più vicine al nostro ordinamento, non è superfluo evidenziare come l'assicurazione "on claims made basis" sia stata oggetto già da tempo, in alcuni Paesi (ad es., Francia, Spagna e Belgio), di riconoscimento a livello di diritto positivo, sebbene con modulazioni particolari e (come accenna la stessa ordinanza interlocutoria n. 1475 del 2018) quale risposta al sostanziale sfavore della giurisprudenza (seppure una tale dinamica non colga propriamente la realtà spagnola).
In Francia, dapprima la L. 30 dicembre 2002, n. 1577 (c.d. Loi About), in materia di responsabilità sanitaria, ha previsto che la relativa assicurazione possa prevedere clausole c.d. "base reclamation", per cui l'operatività della garanzia presuppone la richiesta risarcitoria del danneggiato ed è modulata con la previsione di una retroattività illimitata ed una ultrattività ("garantie subsèquente") non inferiore a cinque anni ovvero di dieci anni per i medici liberi professionisti in caso di cessazione dell'attività o di decesso.
Di poco successiva è stata, quindi, l'emanazione della L. 1 agosto 2003, n. 706 (di "Securitè Financierè"), che, novellando il Code des Assurances, ha introdotto, accanto alla assicurazione incentrata sul "fait dommageabie" e per i soli rischi industriali e professionali, il meccanismo di garanzia "base reciamation", imponendo, tuttavia, una durata quinquennale del relativo contratto.
In Spagna, all'esito di un vivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla validità o meno delle claims made, il legislatore (modificando la L. 8 novembre 1995, n. 30, art. 73 sull'ordinamento delle assicurazioni private) ha introdotto le claims made come clausole "limitative" dei diritti dei contraenti deboli, configurandone l'ammissibilità in base a due tipologie: 1) quella (post-copertura) che estende la garanzia ad un periodo minimo di almeno un anno rispetto alla scadenza del contratto; 2) quella che estende la copertura in modo retroattivo, ad evento dannoso verificatosi prima della conclusione del contratto, ma con richiesta di risarcimento intervenuta durante la vigenza del contratto.
Il dibattito rimane aperto (non sulla validità in astratto delle clausole claims made, ma) sulla qualificazione legislativa di "clausola limitativa dei diritti degli assicurati", là dove la giurisprudenza (Trib. S. n. 2508/2014) sembra orientata a ritenere che le claims made siano piuttosto previsioni limitative dell'oggetto del contratto".
Infine, in Belgio, il meccanismo di garanzia improntato sulle clausole claims made è stato previsto dalla L. 25 giugno 1992, art. 78 sul contratto di assicurazione terrestre, successivamente modellato (nel dicembre 1994) con una ultrattività di trentasei mesi dalla scadenza della polizza ("garantie de posteritè") ed escluso per i c.d. rischi di massa.
10. - Invero - ed è opportuno darne conto sin d'ora -, anche nel nostro ordinamento l'assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato, assai di recente, espresso riconoscimento legislativo, a seguito degli interventi recati, in particolare, dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 11 e D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), (convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 26.
La prima disposizione, concernente l'obbligo (previsto dalla medesima L. n. 24, art. 10) di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d'opera (che riguarda anche la stipula di polizze per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie di cui si avvalgano, ma non già dei sanitari "liberi professionisti", ai sensi dello stesso art. 10, comma 2 per i quali trova applicazione l'art. 3 innanzi citato), stabilisce, anzitutto, che la "garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, xxxxxx denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza".
La norma prevede, poi, che, in caso di "cessazione definitiva dell'attività professionale per qualsiasi causa", la garanzia debba contemplare "un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura". Una tale ultrattività "è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta".
E' evidente che il meccanismo presupposto dall'art. 11 in esame non sia quello legato al "fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione" di cui all'art. 1917 c.c., comma 1 non avendo altrimenti ragion d'essere la previsione, al tempo stesso, di un periodo di retroattività e uno di ultrattività della copertura, sebbene, poi, la norma, in base alla sua formulazione letterale, evochi, per la copertura retroattiva, lo schema della deeming clause, innanzi richiamata, facendo riferimento alla sola "denuncia" dell'evento alla compagnia di assicurazione.
Del D.L. n. 138 del 2011, art. 3, il comma 5 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011), novellato nel 2017, riguarda invece l'obbligo di "stipulare idonea assicurazione" posto a carico dell'esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti.
Ferma la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali di polizza "prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura". La previsione è, poi, resa applicabile "alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione".
Nel caso dell'illustrato comma 5, sembra evidente, quindi, che il meccanismo prefigurato sia quello di una clausola claims made su cui si viene ad innestare una sunset clause.
Non può non rammentarsi, infine, che, sulla scia del D.L. n. 138 del 2011, originario art. 3, comma 5, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011) e del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, correlato art. 5, la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 12, comma 1, sul nuovo ordinamento della professione forense, ha imposto agli avvocati analogo espresso obbligo di assicurazione per la responsabilità civile, demandando (comma 5) al Ministro della giustizia la previsione, e l'aggiornamento, delle condizioni essenziali e dei massimali minimi di polizza.
Ne è scaturito il D.M. 22 settembre 2016, il cui art. 2, rubricato "Efficacia nel tempo della copertura assicurativa", ha stabilito, in linea con il sistema claims made (con variante sunset clause), che la "assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un'ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l'attività nel periodo di vigenza della polizza", con esclusione, in capo all'assicuratore, della facoltà di recesso dal contratto "a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività".
11. - L'ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile, nell'esaminare i primi due motivi di ricorso, si è interrogata sulla tenuta giuridica del sistema assicurativo "claims made", adducendo che le censure di parte ricorrente suscitavano "problemi... ulteriori e diversi rispetto a quelli esaminati e decisi" dalla citata sentenza n. 9140 del 2016, per poi sintetizzare le "soluzioni preferibili" a detti "problemi" in due "principi", dei quali si chiede che ne venga saggiata la correttezza.
11.1. - Il primo di detti "principi" è così declinato: "Nell'assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di "sinistri" fatti diversi da quelli previsti dall'art. 1882 c.c., ovvero, nell'assicurazione della responsabilità civile, dall'art. 1917 c.c., comma 1".
Il "sinistro" - esordisce l'ordinanza interlocutoria - è soltanto un evento avverso, dannoso, e non voluto dall'assicurato. Ciò è confermato non soltanto da plurimi dati normativi, sia di rango primario, che secondario, e pure di matrice Eurounitaria (Direttiva 2009/103/CE; Direttiva 2009/138/CE), ma anche dall'interpretazione sistematica, per cui il sinistro (o rischio in concreto/avverato) di cui all'art. 1882 c.c. è l'avveramento del rischio di cui all'art. 1895 c.c. (rischio in astratto) e il rischio assicurabile, nell'assicurazione contro i danni, è quello che ha ad oggetto un evento futuro, possibile, incerto, oggettivamente esistente e non artificialmente creato, derivante da causa non voluta pregiudizievole per l'assicurato.
Dunque, se le parti hanno la facoltà di assicurare qualsiasi tipo di rischio, non hanno, invece, la facoltà di definire "sinistro" un evento che non costituisca avveramento del rischio assicurato, e sia privo dei caratteri di quello, ovvero non volizione e dannosità (altrimenti, nulla più distinguerebbe un'assicurazione da una scommessa). Un patto di tal genere sarebbe nullo se concluso da un'impresa di assicurazione, la quale ha l'obbligo di limitare la propria attività alla stipula di contratti assicurativi del D.Lgs. n. 209 del 2005, ex art. 11, comma 2, salve le eccezioni previste dalla legge, tra le quali non rientra di certo la raccolta di scommesse.
Analogamente, nell'assicurazione della responsabilità civile, che costituisce un sottotipo dell'assicurazione danni, la definizione di cui all'art. 1917 x.x., xxxxx 0, xxxxxxxx xx xxxxxxxxx che il rischio in astratto è l'impoverimento dell'assicurato, mentre il rischio in concreto (o sinistro) è la causazione, da parte dell'assicurato, di un danno a terzi del quale debba rispondere.
Le parti di un contratto di assicurazione della responsabilità civile non potrebbero quindi pattuire che il sinistro, ovvero il rischio avverato, possa consistere in un fatto diverso dalla commissione di un illecito aquiliano da parte dell'assicurato. Il rischio si avvera con il fatto illecito, perchè è questo che fa sorgere l'obbligazione risarcitoria di cui si intende traslare il rischio stesso e non già con la richiesta risarcitoria.
Se ciò avvenisse e se si ritenesse valida la clausola che qualifica "sinistro" la richiesta risarcitoria del terzo, si verificherebbero "sei conseguenze talmente paradossali, da risultare inaccettabili a qualsiasi ordinamento civile", e precisamente: a) si farebbe dipendere l'obbligazione dell'assicuratore da un evento non dannoso, in deroga a quanto stabilito dall'art. 1882 c.c.; b) si farebbe dipendere l'obbligazione dell'assicuratore "dall'avverarsi di un evento al cui avverarsi l'assicurato non ha un interesse contrario", in deroga a quanto stabilito dall'art. 1882 c.c.; c) si renderebbe impossibile l'adempimento dell'obbligo di salvataggio, di cui all'art. 1914 c.c., atteso che per adempiere tale obbligo l'assicurato dovrebbe rendersi irreperibile alle richieste del terzo, ovvero non accettare le raccomandate o le notificazioni da questo speditegli; d) l'assicurato non potrebbe mai avere nessuna copertura nell'ipotesi di assicurazione della responsabilità civile per conto altrui (art. 1891 c.c.; ad esempio quella stipulata dal datore di lavoro a beneficio dei dipendenti), perchè il contraente che avanzasse una richiesta di risarcimento porrebbe in essere un atto volontario, e quindi doloso, la cui copertura è esclusa dall'art. 1900 c.c.; e) si perverrebbe all'assurdo che anche una richiesta infondata costituirebbe un "sinistro", e farebbe scattare per l'assicuratore il diritto di recesso; f) nel caso di morte dell'assicurato, cesserebbe il rischio ex art. 1896 c.c. e si scioglierebbe il contratto, e gli eredi dell'assicurato che avesse commesso un danno sarebbero sempre e comunque privi della copertura assicurativa.
11.2. - Il secondo "principio" è così enunciato: "Nell'assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell'art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca la spettanza, la misura ed i limiti dell'indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all'assicurato di essere risarcito".
La meritevolezza di cui all'art. 1322 c.c. - argomenta il Collegio rimettente - non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Essa è, piuttosto, un giudizio che investe non il contratto in sè, ma il risultato con esso perseguito, e tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, alla economia, al buon costume o all'ordine pubblico, ossia ai principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
Il "diritto vivente" ha ravvisato l'immeritevolezza di contratti o patti con lo scopo di: a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l'altra (Cass. n. 19559 del 2015 e Cass. n. 22950 del 2015); b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra (Cass. n. 9975 del 1995, Cass. n. 1898 del 2000, Cass. n. 12454 del 2009, Cass. n. 3080 del 2013 e Cass. n. 4222 del 2017); c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (Cass. n. 14343 del 2009).
Dunque, la claims made, "nella parte in cui esclude il diritto dell'assicurato all'indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto", è immeritevole sotto tutti e tre gli anzidetti profili, in quanto: 1) procura all'assicuratore un ingiusto vantaggio senza contropartita, poichè esclude dalla copertura i sinistri verificatisi in prossimità della scadenza della polizza e che verosimilmente verranno denunciati all'assicurato dopo la scadenza, determinando così uno iato tra il tempo per il quale è stata stipulata l'assicurazione (e pagato il premio) e il tempo nel quale può avverarsi il rischio; 2) pone l'assicurato in una posizione di soggezione rispetto al danneggiato, che può liberamente decidere il momento in cui inoltrare all'assicurato la richiesta di risarcimento, momento che potrebbe cadere dopo la scadenza della polizza (e ciò comporterebbe due conseguenze paradossali: a) l'interesse dell'assicurato a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in contrasto col principio desumile dall'art. 1904 c.c.; b) l'aporia in forza della quale l'assicurato che tace e aspetta la richiesta perde la copertura, ma se si attiva e sollecita il danneggiato, viola l'obbligo di salvataggio ex art. 1915 c.c.); 3) se l'assicurato adempisse spontaneamente all'obbligazione risarcitoria, secondo correttezza e buona fede, mancherebbe una richiesta di risarcimento fatta dal danneggiato e di conseguenza l'assicuratore potrebbe anche rifiutare l'indennizzo.
12. - Reputa questa Corte, a Sezioni Unite, che agli interrogativi posti dall'ordinanza interlocutoria occorra dare una risposta unitaria, che affronti e risolva direttamente la problematica di fondo che gli stessi, pur evocando aspetti apparentemente diversi, mettono al centro del discorso giuridico, ossia quella che, a partire dal profilo della meritevolezza degli interessi coinvolti, investe il piano della validità delle clausole "claims made".
Una problematica, dunque, da esaminare anzitutto in ragione dell'astratto declinarsi di un siffatto meccanismo assicurativo, sia pure tenendo conto delle variabili operative in precedenza ricordate.
12.1. - Il percorso decisionale non è pregiudicato, nè comunque ingessato, nella scelta, tra più opzioni possibili, della soluzione interpretativa da preferire, dalla sentenza n. 4912 del 2 marzo 2018, nel frattempo intervenuta in controversia tra le medesime parti del presente giudizio, sorta a seguito dello stesso fatto illecito di danno (sebbene con conseguenze dannose differenti) e vertente su azione di manleva, proposta dalla Xxxxxxxxx s.r.l. nei confronti della Allianz S.p.A., in forza delle polizze assicurative anche in questa sede dedotte, con la distinzione, però, della presenza (in quel giudizio) di un'appendice alla seconda polizza (quella distinta dal n. (OMISSIS)), contenente una clausola del tipo "loss occurence".
Circostanza, quest'ultima, che, unitamente al rilievo per cui la ratio decidendi della sentenza n. 4912 (che sorregge l'esito della cassazione con rinvio della sentenza ivi impugnata) rinviene il proprio antecedente logico necessario non già nella presupposta qualificazione giuridica dei contratti di assicurazione inter partes, bensì nei ritenuti meccanismi pratici di operatività delle stipulate polizze in collegamento tra loro, porta ad escludere che, nella specie, detta pronuncia possa configurarsi come giudicato esterno. Giudicato che, altrimenti, avrebbe impedito il più ampio margine di esercizio dei compiti che il X.X. x. 00 del 1941, art. 65 assegna a questa Corte Suprema.
Dunque, la vitalità dello spazio così interamente conservato alla funzione nomofilattica consente di esercitare quest'ultima in modo armonico rispetto alla sua specifica vocazione di costituire in precedente orientativo il principio di diritto che si andrà ad enunciare.
13. - Il delineato contesto induce il Collegio a privilegiare un'impostazione di metodo che fa muovere l'ermeneusi dall'analisi di una complessità già risolta sul piano del diritto positivo di più recente conio - seppure esso si collochi in un momento successivo ai fatti generatori della controversia in esame -, per poi trarne un risultato capace, insieme ad altri elementi convergenti, di alimentare l'argomentazione giuridica sino a condurla nel porto della regula (o delle regulae) iuris da somministrare anche nel presente caso concreto.
13.1. - L'intervento del legislatore nazionale innanzi illustrato (p. 10), in sostanziale consonanza con la regolamentazione di settore presente in altri ordinamenti di comune cultura giuridica, illumina il "fenomeno" delle clausole claims made (complessivamente inteso, nelle varie formulazioni in cui si manifesta) con una luce retrospettiva, che ne consente una lettura disancorata dal mero dato diacronico costituito dal momento di emanazione delle disposizioni dettate dalla fonte formale di rango primario (L. n. 24 del 2017, art. 11; D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011 e novellato dalla L. n. 124 del 2017, art. 1, comma 26) o da quella espressamente abilitata a normare (D.M. 22 settembre 2016, art. 2), giacchè il diritto legislativo (o di immediata derivazione) ha recuperato nel substrato della realtà materiale socio-economica una regolamentazione giuridica pattizia già diffusa nel settore assicurativo.
La legge, dunque, nell'imporre l'adozione di "idonea" assicurazione per la responsabilità civile sanitaria e dei professionisti in genere, ha individuato, tra le coordinate di base, inderogabili in pejus, della disciplina del relativo contratto, il modello della clausola claims made, seppure con le modulazioni e le varianti di cui innanzi si è detto.
Nel porsi, dunque, sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale di ciò che, espressamente, è qualificata come assicurazione della responsabilità civile e, quindi, riannodandosi alla fattispecie di cui all'art. 1917 c.c., che, a sua volta, è modello innestato nel corpo del tipo dell'assicurazione contro i danni (artt. 1882,1904 e 1918 c.c.), il legislatore ha in tal modo evidenziato che, nello spazio concesso dalla derogabilità (art. 1932 c.c.) del sotto-tipo delineato dal primo comma del citato art. 1917 (ossia dello schema improntato al loss occurence o all'act committed), ben si colloca, e non da ora soltanto, il modello claims made, da accettarsi, dunque, nell'area della tipicità legale e di quella stessa del codice del 1942, nel suo più ampio delinearsi come assicurazione contro i danni, rifluendo nell'alveo proprio dell'esercizio dell'attività assicurativa (secondo il combinato disposto del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 2, comma 3, nn. 13 e 11, comma 2 e art. 11).
E ciò, ovviamente, è conclusione che si fa apprezzare non solo in riferimento al settore sanitario e delle professioni, ma in linea più generale, perchè quella standardizzazione attiene anzitutto al meccanismo di base di operatività della claims made, comune, dunque, agli altri campi di elezione in cui detto modello si trova ad essere praticato, in quanto aggregati, e giustificati, dalla medesima logica assicurativa, ossia quella della copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza.
14. - La chiave interpretativa fornita dal diritto positivo vigente non solo consente una lettura, di per sè, concludente del "fenomeno" in esame, ma, al tempo stesso, esalta ulteriori virtualità ermeneutiche, già sperimentabili nel contesto soltanto codicistico e in nuce presenti nella stessa sentenza n. 9140 del 2016 di queste Sezioni Unite, ma, in parte, predicate anche dall'ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018.
14.1. - Non si dubita, infatti, che nell'assicurazione contro i danni (art. 1882 c.c.) la garanzia riguardi il danno "prodotto da un sinistro" e che, quest'ultimo, alla stregua del linguaggio giuridico fatto proprio dal "diritto vivente" (a prescindere, quindi, dalla anfibologia del linguaggio della prassi assicurativa), è da ravvisarsi nel fatto, materiale e storico (o come, si esprime l'art. 1917 c.c. il "fatto accaduto"), idoneo a provocare il danno.
Tuttavia, proprio perchè il danno rappresenta l'ubi consistam dell'interesse dell'assicurato a stipulare il contratto, altrimenti nullo in assenza di esso (richiamando l'art. 1904 c.c., per l'appunto, l'interesse al "risarcimento del danno" e venendo, dunque, a configurare la c.d. "causa indennitaria" del tipo assicurativo in esame), occorre centrare l'attenzione proprio su quest'ultimo fattore, che integra il rischio assicurabile, la cui incertezza deve permanere intatta sino al momento di inizio dell'assicurazione, come incertezza - nel caso della assicurazione della responsabilità civile - sull'impoverimento del patrimonio del danneggiante-assicurato, quale conseguenza del relativo fatto generatore (ossia il sinistro).
Ciò che, del resto, segna anche la diversa portata che il binomio sinistro/danno assume nell'assicurazione contro i danni per la perdita o il danneggiamento di cose rispetto a quella che garantisce il patrimonio dalla responsabilità civile, là dove solo nel primo caso detto binomio palesa una inscindibilità, intrinseca, tra i due termini, essendo proprio e soltanto l'evento a determinare il danno da cui scatta l'obbligo di indennizzo.
14.2. - In questa prospettiva è da assumersi l'approdo nomofilattico della citata sentenza n. 9140 del 2016 sulla assicurabilità dei rischi pregressi, là dove si pone in risalto, segnatamente, che "il rischio dell'aggressione del patrimonio dell'assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza si concretizza progressivamente, perchè esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento".
Sicchè, la liceità della claims made con "garanzia pregressa" si apprezza "perchè afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l'alea dell'avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell'impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato".
14.3. - Ove, poi, si riconduca ancora nell'area del concetto di rischio assicurabile l'argomentazione giuridica, le conclusioni anzidette trovano ulteriore conforto in quel successivo passaggio della sentenza in cui la clausola claims made (seppure con uno sguardo incentrato su quella "impura", ma in base ad assunti già spesi in linea più generale) è vista in termini di delimitazione dell'oggetto del contratto (con conseguente esclusione, quindi, della natura vessatoria della clausola ai sensi dell'art. 1341 c.c., in quanto non limitativa della responsabilità: approdo, questo, di un'interpretazione nomofilattica che va anche qui ribadito), correlandosi l'insorgenza dell'indennizzo, e specularmente dell'obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (la vicenda storica determinativa delle "conseguenze patrimoniali" di cui "l'assicurato intende traslare il rischio": cioè, del "danno") e della richiesta del danneggiato.
14.4. - Se così è, l'ambito delineato risulta allora consentaneo ad una deroga convenzionale, abilitata dall'art. 1932 c.c., alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile (o sotto-tipo) di cui all'art. 1917 c.c., comma 1 senza che ciò comporti una deviazione strutturale della fattispecie negoziale tale da estraniarla dal tipo, nel contesto del più ampio genus dell'assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe.
14.5. - La già ricordata scelta legislativa di questi ultimi tempi lo conferma, avendo portato ad emersione quella circolarità tra impianto codicistico e micro-sistema speciale che, nella evidenziata saldatura tra i due ambiti, esprime una forza ordinante particolarmente efficace, consentendo anche una simbiosi di categorie e rimedi.
15. - La prima conseguenza di un tale esito ermeneutico è quella del superamento di un giudizio improntato alla logica propria della "meritevolezza", siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale (art. 1322 c.c., comma 2) e, quindi, frutto di una autonomia privata che, in quel determinato e peculiare esercizio, sebbene abbia già trovato riconoscimento nella realtà socio-economica, non ancora rinviene il proprio referente nel "tipo" prefigurato dalla legge.
Là dove, poi, quest'ultima, la legge, non può evidentemente soggiacere, in quanto tale, al test anzidetto, bensì solo ad una verifica (ove ritenuta rilevante e con un fumus di consistenza) di rispondenza ai parametri recati dalla sua fonte di validazione, ossia quelli costituzionali.
16. - Rimane, però, vivo e vitale il test su come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i "limiti imposti dalla legge", che il primo comma dell'art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai paciscenti, secondo quella che suole definirsi "causa in concreto" del negozio.
Ed è un test che non prescinde, però, dalla stessa tensione ispiratrice dello scrutinio di meritevolezza di cui al capoverso del citato art. 1322 c.c. e che guarda - come questa Corte ha in più di un'occasione evidenziato (tra le altre, Cass., 1 aprile 2011, n. 7557; Cass., 10 novembre 0000, x. 00000; Cass., S.U., 17 febbraio 2017, n. 4224) - alla complessità dell'ordinamento giuridico, da assumersi attraverso lo spettro delle norme costituzionali, in sinergia con quelle sovranazionali (nel loro porsi come vincolo cogente: art. 117 Cost., comma 1) e segnatamente delle Carte dei diritti, le quali norme non imprimono all'autonomia privata una specifica ed estraniante funzionalizzazione, bensì ne favoriscono l'esercizio, ma non già in conflitto con la dignità della persona e l'utilità sociale (artt. 2 e 41 Cost.), operando, dunque, in una prospettiva promozionale e di tutela.
17. - In tale contesto, quindi, si rende opportuna un'indagine a più ampio spettro, che non si arresti alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo, ma ne investa anche il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all'attuazione del rapporto.
Si tratta, del resto, di un territorio esplorato anche dalla menzionata sentenza n. 9140 del 2016 di queste Sezioni Unite, che, sebbene proprio nell'ottica del giudizio di meritevolezza dell'esercizio dell'autonomia privata, ha, comunque, messo in risalto varie criticità come l'asimmetria della posizione delle parti ovvero, per certi rapporti, l'operatività di un meccanismo penalizzante all'esordio e allo scadere della garanzia contrattuale, tale da determinare "buchi di copertura" assicurativa -, le quali non evaporano per il solo fatto che quel giudizio più non si imponga come tale.
18. - Sul piano della fase prodromica alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made, gli obblighi informativi sul relativo contenuto devono essere assolti dall'impresa assicurativa o dai suoi intermediari in modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell'altro contraente, nell'ottica di far conseguire all'assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze.
E tanto si imponeva (Cass., 24 aprile 2015, n. 8412) ben prima della posizione delle regole specificamente dettate dalle disposizioni del codice delle assicurazioni private di cui al D.Lgs. n. 209 del 2005 (tra le altre, artt. 120, 166, 183-187), essendo già scolpita nel sistema più generale la necessità che, nella fase precontrattuale, il contatto tra le parti, in quanto qualificato dall'affidamento reciproco e dallo scopo perseguito, sia improntato, alla stregua del formante normativo di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e art. 2 Cost., al rispetto degli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (Cass., 12 luglio 2016, n. 14188), che, nella specie (e, segnatamente, quelli informativi), devono tendere alla trasparenza ottimale dei contenuti negoziali predisposti, così da consentire alla controparte di rappresentarsi al meglio portata e convenienza degli effetti contrattuali.
18.1. - La violazione di tali obblighi nella fase precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) potrà assumere rilievo anche in ipotesi di contratto validamente concluso, allorquando si accerti che la parte onerata abbia omesso, nella fase delle trattative, informazioni rilevanti che avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso (Cass., 23 marzo 2016, n. 5762).
Tanto a prescindere dalla eventualità stessa che la condotta scorretta abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso (art. 1427 c.c.), con tutte le relative conseguenze anche in termini di annullabilità del contratto ovvero di ristoro dei danni nell'ipotesi di dolo incidente (art. 1440 c.c.).
Sicchè, il rimedio risarcitorio al quale potrà aspirare il contraente pregiudicato (nell'ottica, che va ribadita, della separazione tra regole di condotta, che attengono alla dinamica del rapporto, e regole di validità o di struttura, come delineata da Xxxx., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e ripresa anche dalla citata sentenza n. 9140 del 2016) dovrà essere in grado di far conseguire ad esso un effettivo ristoro del danno patito, commisurabile all'entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso.
19. - La stipulazione del contratto di assicurazione della responsabilità civile "on claims made basis" introduce, poi, l'indagine sul contenuto negoziale.
19.1. - Sotto questo profilo, non può escludersi, anzitutto, che, all'esito dell'interpretazione rimessa al giudice del merito e da condursi secondo i criteri legali (tra cui quello del comportamento delle parti che precede la genesi del vincolo contrattuale: art. 1362 c.c., comma 2), si possa giungere a riconoscere un'implementazione del regolamento negoziale ad opera di quelle prestazioni oggetto di informativa precontrattuale, inclini a modulare un adeguato assetto degli interessi dell'operazione economica, che non abbiano poi trovato puntuale e congruente riscontro nel contratto assicurativo concluso.
19.2. - E l'ottica di adeguatezza del contratto agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti è proprio quella che costituisce il fulcro dell'indagine in esame, che veicola, per l'appunto, una verifica di idoneità del regolamento effettivamente pattuito rispetto all'anzidetto obiettivo.
Verifica che transita attraverso la portata che assume la c.d. "causa concreta" del contratto, ossia quella che ne rappresenta lo scopo pratico, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (per tutte, Cass., 8 maggio 2006, n. 10490).
19.3. - E' evidente che si tratta di una verifica condizionata dalle circostanze del caso concreto, ma essa trova già su un piano di generica astrazione le proprie coordinate, selezionate, a loro volta, dalla diversità della tipologia dei rapporti assicurativi, rispetto ai quali la risposta in termini di tutela non potrà che essere diversificata.
Con la precisazione, che sin d'ora si rende opportuna, che - come ricordato dalla sentenza n. 9140 del 2016 - rimane soltanto residuale la possibilità di avvalersi della tutela consumeristica somministrata dal D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 36 (in ragione del "significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto" presidiato da una nullità di protezione), giacchè riservata alle persone fisiche che concludono un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata (tra le molte, Cass., 23 settembre 2013, n. 21763; Cass., 12 marzo 2014, n. 5705), ossia ai settori cui, in modo quasi assorbente, il mercato assicurativo "claims made" è rivolto.
19.4. - Sicchè, ove venga in rilievo l'assicurazione della responsabilità civile sanitaria e dei professionisti, la legge (speciale) come si è evidenziato nel precedente p. 10 - ne detta ora, in regime di obbligatorietà, le coordinate di base, inderogabili in pejus, individuando in esse non solo il substrato del modello negoziale "meritevole", ma, con ciò, la stessa "idoneità" del prodotto assicurativo a salvaguardare gli interessi che entrano nel contratto, ai quali non è estraneo quello, di natura superindividuale, di una corretta allocazione dei costi sociali dell'illecito, che sarebbe frustrata ove il terzo danneggiato non potesse essere risarcito del pregiudizio patito a motivo dell'incapienza patrimoniale del danneggiante, siccome, quest'ultimo, privo di "idonea" assicurazione.
In tal prospettiva, la disciplina legislativa si colloca ancora sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale che salvaguardia la garanzia minima per evitare i c.d. "buchi di copertura", là dove, però, come del resto impone lo stesso codice delle assicurazioni - tramite il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 183, corecessomma 2, che è norma comunque ricognitiva di un obbligo già inscritto nel principio più generale della condotta improntata a buona fede e correttezza -, il prodotto assicurativo offerto deve comunque adeguarsi alle esigenze dell'assicurato.
Sicchè rimane intatta, per l'appunto, l'indagine sulla causa concreta del contratto, che spazia dalla verifica di sussistenza stessa (ossia della adeguatezza rispetto agli interessi coinvolti) a quella di liceità (intesa come lesione di interessi delle parti tutelati dall'ordinamento).
19.5. - In quest'ottica, l'analisi dell'assetto sinallagmatico del contratto assicurativo rappresenta un veicolo utile per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo (tale da superare le criticità innanzi ricordate: p. 17), là dove l'emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell'operazione economica.
Ciò in quanto, come già affermato da questa Corte, la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell'individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l'equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni (Cass., 30 aprile 2010, n. 10596; ma, in forza di analoga prospettiva, anche Xxxx., S.U., 28 febbraio 2007, n. 4631).
Non è, dunque, questione di garantire, e sindacare perciò, l'equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all'autonomia contrattuale, ma occorre indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale "on claims made basis" presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacchè, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale.
Del resto, una significativa chiave interpretativa in tal senso è fornita dal considerando n. 19 della direttiva 93/13/CEE, che, sebbene abbia riguardo specificamente alla tutela del consumatore, esprime, tuttavia, un principio di carattere più generale, che trae linfa proprio dall'anzidetta relazione oggettiva rischio/premio, sterilizzando la valutazione di abusività della clausola di delimitazione del rischio assicurativo e dell'impegno dell'assicuratore "qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato dal consumatore".
19.6. - Il regolamento contrattuale dovrà, quindi, modularsi, nell'assicurazione della responsabilità professionale, anzitutto in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo, per essere non solo inderogabile in pejus, ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell'assicurazione.
Ne deriva che lo iato tra il primo e la seconda (per aver la stipulazione ignorato e/o violato quanto dalla legge disposto, come esito al quale può approdarsi alla luce, soprattutto (ma non solo), dell'indagine sull'equilibrio sinallagmatico anzidetto) comporterà la nullità del contratto, ai sensi dell'art. 1418 c.c..
A tanto il giudice potrà porre rimedio, per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto (Cass., S.U., n. 9140 del 2016, citata), in forza della norma di cui all'art. 1419 c.c., comma 2 così da integrare lo statuto negoziale (non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all'art. 1917 c.c., comma 1, bensì) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l'equilibrio dell'assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa.
Regolamentazione che, per la sua imperatività, viene a somministrare delle "regole di struttura", siccome orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto anzitutto delle esigenze dell'assicurato, oltre che delle ricordate istanze sociali.
Con la precisazione che la stessa legge di settore presenta, come si è visto, multiformi calibrature, modellando l'assicurazione "claims made" secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare.
19.7. - Nondimeno, l'obbligo di adeguatezza del contratto assicurativo, come detto (con il richiamo alla citata Cass. n. 8412 del 2015) già presente nell'ordinamento in forza del principio di buona fede e correttezza (art. 1375 c.c. e art. 2 Cost.) prima ancora che fosse esplicitato dalla legislazione speciale (il D.Lgs. n. 209 del 2005, citato art. 183, comma 2), consente, fin dove reso possibile dall'operare coerente del meccanismo della nullità parziale ex art. 1419 x.x., xxxxx 0, x'xxxxxx xxx xxxxxx innanzi illustrati anche nel contesto di rapporti assicurativi sorti prima dell'affermarsi del regime di obbligatorietà dell'assicurazione della responsabilità civile professionale.
19.8. - Del pari, la giuridica esigenza che il contratto assicurativo sia adeguato allo scopo pratico perseguito dai paciscenti (secondo quanto messo in risalto nei p.p. che precedono) sarà criterio guida nell'interpretazione della stipulazione intercorsa al fine di garantire l'assicurato dalla responsabilità civile anche in settori diversi da quello sanitario o professionale e, segnatamente, in quelli che postulano l'esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza.
20. - Quanto, infine, alla fase dinamica del rapporto assicurativo "on claims made basis", si colloca su un piano di assoluta criticità come del resto fatto palese, in guisa di ricognizione della prassi esistente, dalla normativa di settore innanzi richiamata (p. 10) - la clausola che attribuisce all'assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati, la cui abusività si rivela tale in ragione della frustrazione dell'alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti.
Di qui, il vulnus destrutturante la funzionalità del contratto, non emendabile con la liberazione dell'assicurato dal versamento della parte dei premi residui.
21. - Può, dunque, enunciarsi il seguente principio di diritto:
"Il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", che è volto ad indennizzare il rischio dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell'assicurazione contro i danni, quale deroga consentita all'art. 1917 c.c., comma 1 non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all'assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322 c.c., comma 2, ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell'adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di xxxxxxxx abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)".
22. - Nel caso all'esame, i motivi di ricorso (dal primo al quarto) sono calibrati a denunciare profili di invalidità o inefficacia dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile "on claims made basis" di tipo c.d. "puro", stipulati dalla Manitowoc s.r.l. con la RAS S.p.A. (n. (OMISSIS) con validità dal 1 gennaio 2001 al 31 dicembre 2002 e n. (OMISSIS) con validità dal 1 gennaio 2003 al 1 gennaio 2004), nell'ottica, eminentemente, della atipicità del modello assicurativo anzidetto.
Tuttavia, essi (più marcatamente nel primo e terzo motivo) intercettano e censurano aspetti di criticità della concreta operazione economica, che non sfuggono ad uno scrutinio orientato secondo le coordinate del principio di diritto poc'anzi enunciato.
In tale prospettiva si prestano ad essere particolarmente valorizzate, nella sostanza, le doglianze dirette a stigmatizzare l'astrattezza del giudizio della Corte territoriale, operato sul filo del sillogismo che connette atipicità della clausola claims made "pura" e sua validazione ordinamentale, senza scendere nel concreto della peculiare vicenda contrattuale dedotta in giudizio.
22.1. - Nella sentenza impugnata in questa sede si rende evidente (pp. 22 e 23), all'esito del percorso interpretativo compiuto dal giudice di appello sul contenuto delle polizze stipulate inter partes, come la definizione generale di sinistro ("prodotti") ivi contemplata sia solo riassuntiva del meccanismo operativo della claims made "pura", giacchè il sinistro è individuato nel fatto che genera il danno, mentre il claim del danneggiato opera come delimitazione temporale dell'operatività della polizza, in tal modo selezionando anche l'applicazione della relativa franchigia in rapporto ad ogni "sinistro".
In definitiva, la Corte territoriale, nell'affermare la "sostanziale identificazione tra sinistro e richiesta", ha espresso una valutazione di sintesi circa l'equiparazione richiesta/sinistro, in quanto direttamente funzionale al momento di operatività della polizza, la quale definisce l'oggetto dell'assicurazione pur sempre in ragione del danno determinato da un fatto accidentale verificatosi in relazioni ai rischi assicurati.
22.2. - Pur muovendo, dunque, da un presupposto interpretativo plausibile e in parte armonico rispetto a talune coordinate generali dianzi tracciate, anche per ciò che attiene alla esclusione della natura vessatoria delle clausole claims made, in sintonia con quanto sopra messo in evidenza nel p. 14.3., la Corte di merito ha però esaurito in ciò la propria valutazione, che, per il resto, è rimasta su un piano di astrattezza, postulando la validità delle polizze nell'ottica, errata, della atipicità del contratto e senza farsi carico della concretezza dell'operazione negoziale, da correlare funzionalmente all'assetto di interessi che le polizze stesse avrebbero dovuto realizzare.
Una tale prospettiva in iure avrebbe, invece, dovuto guidare il giudice di appello nel considerare, in modo sinergicamente complessivo, l'atteggiarsi della vicenda dedotta in giudizio (ossia, della scansione diacronica tra verificazione del sinistro e richiesta risarcitoria da apprezzarsi nel precipuo contesto storico-ambientale), la sua incidenza sugli obblighi informativi che essa imponeva, la corrispettività tra premio e rischio assicurato - che doveva giustificare ragionevolmente la sensibile modificazione dell'importo della franchigia, nel collegamento stretto tra la stipulazione della prima e seconda polizza, tale da non ridondare in fenomeno di abuso del diritto -, la presenza, infine, di clausola di recesso in costanza di rapporto.
23. – I motivi, dunque, sono fondati per quanto di ragione, nei termini appena illustrati, e il ricorso deve trovare conseguenziale accoglimento.
La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione alle evidenziate ragioni di fondatezza dei motivi di impugnazione, con rinvio della causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che, nella delibazione dell'appello della Manitowoc s.r.l., si atterrà al principio di diritto sopra enunciato (p. 21).
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Omissis.
4.1. Conferma orientamento delle Sezioni unite del 2018, riporta in modo sintetico il principio espresso: Cass. civ. sez. III, 23 aprile 2020, n. 8117.
Omissis.
Diritto
Ciò precisato in termini generali, va poi evidenziato, in particolare, che, per quanto concerne la sostenuta vessatorietà, nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (e, cioè, la clausola "claims made" mista o impura), non è vessatoria, in quanto non può essere qualificata come limitativa della responsabilità, per gli effetti dell'art. 1341 c.c. (Cass. S.U. 9140/2016).
Una clausola, invero, è limitativa di responsabilità quando limita le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o esclude il rischio garantito, e cioè esclude una responsabilità che, rientrando nell'oggetto del contratto, sarebbe altrimenti (in mancanza appunto della clausola) insorta; la clausola, "claims made", invece, è da ritenersi limitativa dell'oggetto del contratto, in quanto riguarda il contenuto ed i limiti stessi della garanzia assicurativa, atteso che la stessa specifica il rischio garantito, allo scopo di stabilire gli obblighi concretamente assunti dalle parti; in altre parole, la clausola in questione circoscrive la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo rispetto al dato costituito dall'epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, e stabilisce quali siano, rispetto all'archetipo fissato dall'art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l'oggetto, piuttosto che la responsabilità (Cass. 17783/2014; Cass. S.U. 9140/2016).
In ordine, poi, alla meritevolezza, va ribadito che il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", caratterizzato dal predetto meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all'assicuratore, non incide sulla funzione assicurativa (e, quindi, sulla causa in astratto del contratto), in quanto il contratto assicurativo è pur sempre volto ad indennizzare il rischio dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato; siffatto modello, già ampiamente diffuso nell'ambito del mercato assicurativo (anche internazionale), ha trovato, peraltro, di recente, espresso riconoscimento legislativo (con particolare riferimento alla L. n. 24 del 2017, art. 11 e D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, convertito con modificazioni in L. n. 148 del 2011, come novellato dalla L. n. 124 del 2017, art. 1, comma 26), ed è divenuto, pertanto, legalmente tipico; dette disposizioni, infatti, nell'imporre l'obbligatorietà (per le strutture sanitarie) dell'assicurazione per la responsabilità civile, prevedono, al riguardo, un meccanismo non legato al "fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione", di cui dell'art. 1917 x.x., xxxxx 0 (xx dette norme stabiliscono, infatti, tra l'altro, una operatività temporale della garanzia anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto, purchè denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza, e, in caso di cessazione definitiva dell'attività professionale, prevedono un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi); da siffatta collocazione del modello "claims made" nell'area della tipicità legale, consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322 x.x., xxxxx 0 (xxx presuppone l'aticipità), e la tutela invocabile dal contraente assicurato agisce invece sul solo piano della libera determinazione del contenuto contrattuale e della "causa concreta" del contratto (e, cioè dello scopo pratico del negozio, quale sintesi degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare), e concerne il rispetto, in detta determinazione, dei "limiti imposti dalla legge", ai sensi dell'art. 1322 c.c., comma 1; siffatto test, necessario per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo (in ragione del suo farsi concreto regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai contraenti), può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto (v. obblighi informativi sul contenuto del contratto) sino a quella dell'attuazione del rapporto (v. facoltà di recesso, da parte dell'assicuratore, al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati), con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati; a tal fine va dato massimo rilievo all'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni, occorrendo accertare se vi sia stato un "arbitrario squilibrio giuridico" tra rischio assicurato e premio (Cass. 22437/2018); siffatti principi sono stati, peraltro, di recente confermati da Cass. 30309/2019, emessa
Omissis.
4.2. Segue: Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2020, n. 8894.
Omissis.
Fatto
L'Ospedale (OMISSIS) è stato convenuto in giudizio dai genitori del bambino C.L. per il risarcimento di danni subiti da quest'ultimo nel corso di un ricovero presso il detto Xxxxxxxx.
La struttura sanitaria è stata condannata al risarcimento, ma, sin dal momento della sua costituzione in giudizio, aveva chiesto di essere manlevata dalla compagnia di assicurazione, le Generali Italia spa, la quale ha tuttavia eccepito che il contratto conteneva una clausola claims made, che impone di denunciare il sinistro entro dodici mesi dalla cessazione di efficacia, e che quel termine era in realtà inutilmente trascorso.
Il giudice di primo grado ha ritenuto tale clausola non vessatoria, e dunque legittimo il rifiuto da parte della società Generali spa di tenere indenne l'Ospedale.
Il Giudice di appello ha confermato questo giudizio, aggiungendo che, oltre a non essere vessatoria, la clausola claims made cosi inserita, perseguiva interessi meritevoli di considerazione, meglio, non rendeva il contratto immeritevole di tutela.
Questa decisione è impugnata dall'Ospedale con tre motivi, cui si oppone la società Generali spa con controricorso.
Diritto
1.- La ratio della decisione impugnata.
La Corte di appello fa applicazione della decisione a sezioni unite di questa Corte, secondo cui la clausola claims made non è di per sè vessatoria, ma può diventare non meritevole di tutela quando comporti un significativo squilibrio tra le parti ai danni di una di esse, e questo accertamento è rimesso in concreto alla discrezionalità del giudice di merito (Cass. Sez. u. 9140/2016).
Ritiene poi la corte che questo accertamento è stato effettuato correttamente dal giudice di primo grado, anche se costui ha discusso di vessatorietà, ma in realtà intendeva riferirsi alla meritevolezza, e che comunque valutata quest'ultima alla stregua dei canoni indicati dalle sezioni unite, doveva affermarsi la piena validità della clausola.
Merita ricordare che la clausola in questione prevedeva l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato solo dei sinistri dipendenti da condotte tenute tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), ma a condizione che: a) vi fosse stata richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato entro quel periodo; b) che ricevuta richiesta di risarcimento, entro 12 mesi dalla cessazione del contratto, l'assicurato avesse denunciato il sinistro alla compagnia.
2.- L'Ospedale ricorrente propone tre motivi.
2.1.- I primi due attengono alla medesima questione e possono trattarsi congiuntamente.
Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 99,112, e 113 c.p.c.. Secondo il ricorrente, il giudice di primo grado avrebbe compiuto una valutazione diversa da quella sottopostagli dalla difesa dell'Ospedale. Avrebbe, cioè, fatto questione di vessatorietà, quando invece gli veniva chiesto di verificare la meritevolezza della clausola.
La questione della immeritevolezza, ritenuta come questione diversa dalla vessatorietà, era stata riproposta con un motivo d'appello, e la corte di secondo grado, ritornando sulla motivazione del primo, avrebbe continuato a discutere di vessatorietà, trascurando ancora una volta la vera domanda posta dall'Ospedale, ossia quella volta ad affermare che la clausola non solo e non tanto era vessatoria, quanto soprattutto ed anche immeritevole.
Con il secondo motivo si fa questione subordinata. Xxxxx: ove si ritenesse che invece la corte di appello si è pronunciata anche sulla meritevolezza della clausola, allora la decisione sarebbe nulla per difetto di motivazione (si denuncia dunque violazione dell'art. 132 c.p.c.).
2.2. Entrambi questi motivi sono infondati.
Infatti la corte di merito prende atto che il ricorrente Ospedale pone una questione di meritevolezza della clausola (e non solo di vessatoreità), e conseguentemente la affronta, cosi che non incorre in omessa pronuncia, in quanto, da un lato, osserva come le considerazioni fatte dal giudice di primo grado quanto alla vessatorietà possono ben considerarsi come relative anche, nella ratio di quella decisione, alla meritevolezza, e dall'altro lato, affronta la questione direttamente nel merito, sostenendo che la clausola non è immeritevole di tutela alla luce di quanto statuito da Xxxx. Sez. un 9140/2016.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente invece lamenta violazione degli artt. 1322 e 1362 c.c..
Sostiene che ha errato la corte di merito nel ritenere meritevole la clausola, anche alla luce di quanto deciso dalla citata decisione delle Sezioni Unite.
Infatti, è ben vero che in questo caso la clausola non impone di denunciare il sinistro entro il termine di scadenza del contratto, bensì concede dodici mesi da quella scadenza, ma, pur cosi facendo, pone l'assicurato in una condizione di difficoltà e debolezza, in quanto la denuncia del sinistro all'assicurazione (entro i dodici mesi dalla scadenza) presuppone che l'assicurato abbia ricevuto una tempestiva richiesta di risarcimento dal danneggiato, o meglio, che l'abbia ricevuta tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS).
Più precisamente, la clausola claims made fa dipendere la prestazione dell'assicurazione non solo dall'evento dedotto in contratto, ma altresì da un ulteriore evento incerto, quale è la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato: se questa ultima non è tempestiva, non potrà esserlo neanche quella dell'assicurato.
La copertura assicurativa, infatti, decade se il terzo danneggiato decide di formulare la richiesta di risarcimento trascorsi dodici mesi dalla scadenza del contratto. Ossia: la tempestività della richiesta di manleva, dipende dalla tempestività della richiesta di risarcimento da parte del terzo, e questa dipendenza pone l'assicurato in una condizione di ingiustificato svantaggio nei confronti dell'assicuratore, creando una decadenza che il contraente non può evitare.
3.1.- Questo motivo è fondato.
La Sezioni Unite sono ritornate sulla questione, a seguito di due ordinanze di rimessione che ritenevano insoddisfacente la soluzione proposta dalla decisione n. 9140 del 2016.
Con sentenza 22437 del 2018 hanno riconsiderato la questione della clausola claims made (e di clausole simili) sotto un profilo qui rilevante: hanno cioè ritenuto che l'inserimento in un contratto di assicurazione di una clausola del tipo claims made non stravolge il tipo contrattuale, comportandone l'atipicità, e dunque non si applica dell'art. 1322 c.c., comma 2, che, quanto ai contratti atipici, richiede che ne sia valutata la meritevolezza.
Piuttosto, l'inserimento nel contratto di assicurazione di una clausola siffatta mantiene inalterato il tipo negoziale, ampliandone semmai il contenuto o comportandone un adattamento agli interessi delle parti, cosi che non si tratterà di valutarne la meritevolezza funzionale (astratta o concreta che sia) bensì di valutare se la determinazione del contenuto contrattuale è avvenuta nei limiti della legge (art. 1322 c.c., comma 1).
La tesi che si ricava dalla decisione delle Sezioni Unite è semplice: un contratto può dirsi atipico quando non presenta alcun carattere che differenzia un tipo dall'altro, o che identifica un tipo piuttosto che un altro.
Nel caso del contratto di assicurazione il carattere che fonda la tipicità attiene alla obbligazione di tenere indenne l'assicurato, posta a carico dell'assicuratore, e subordinata ad un evento incerto.
La circostanza di prevedere che l'avverarsi di tale evento va denunciato in un certo termine non attribuisce al contratto una caratteristica diversa da quelle che fonda la tipicità dell'assicurazione (alea, prestazione subordinata ad evento incerto).
Se la premessa è questa, cosi astratta, era di conseguenza ovvio affermare che "Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", quale deroga convenzionale all'art. 1917 x.x., xxxxx 0, xxxxxxxxxx xxxx'xxx. 0000 x.x., x xxxxxxxxxxxxx al tipo dell'assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all'art. 1322 c.c., comma 2, ma alla verifica, ai sensi dell'art. 1322 x.x., xxxxx 0, xxxxx xxxxxxxxxxx della conformazione del tipo, operata attraverso l'adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge". (Cass. Sez. Un 22437/ 2018).
Questa ricostruzione va riferita dunque al caso concreto.
E' noto che l'elemento che caratterizza l'assicurazione contro i danni è quello descritto dell'art. 1917 c.c., comma 1, ossia che l'assicuratore "è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo".
L'obbligo di tenere indenne dal peso economico dei fatti accaduti durante il tempo dell'assicurazione è l'elemento che caratterizza il tipo, ossia che fonda la tipicità del contratto di assicurazione.
Ciò non comporta ovviamente che la clausola "a richiesta fatta" (claims made) costituisca una deroga, ammissibile, a quel comma 1, ossia alla previsione per cui l'assicuratore è tenuto a mantenere indenne l'assicurato, deroga che trasforma il tipo, rendendo il contratto diverso da quello di assicurazione (Cass. 5624/2005).
Il che non teneva conto del fatto che la clausola claims made non incide sulla caratteristica tipica del contratto di assicurazione (scambio di prezzo contro obbligo di tenere indenne), ma regola semmai il diverso ruolo della richiesta risarcitoria rispetto al fatto oggetto di assicurazione.
Da qui la precisazione da parte della citata decisione delle sezioni unite, che, come detto, ha riferito alla disciplina dell'art. 1322 x.x., xxxxx 0, x'xxxxxxxxx xx xxxxxxxxx privata svolto da quella clausola.
Ora, qui non è il caso di entrare nella questione di come si valuti la meritevolezza: se attenga al tipo o alla causa, se possa farsene applicazione ai contratti tipici in aggiunta al criterio della illiceità (art. 1343 c.c.).
E' noto che le soluzioni prospettabili sono due: quella che ritiene che per meritevolezza debba intendersi nient'altro che illiceità, cosi che la norma sarebbe meramente ricognitiva dei divieti di legge, e quella che, invece, intende la meritevolezza come una clausola generale che abilita l'interprete ad un controllo sulle attività private (sulla conclusione di contratti atipici) secondo criteri diversi dalla illiceità tipizzata dall'art. 1343 c.c. (contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume), ed il cui contenuto varia a seconda degli interpreti: a volte meritevolezza significa utilità sociale, altre volte immeritevole è il contratto che impedisca lo sviluppo della persona e via dicendo.
Possiamo in un certo senso prescindere da questa disputa, in quanto il contratto di assicurazione cui sia apposta la clausola in esame non diventa, per via di tale inserimento, un contratto atipico, e dunque sfugge, come ricordato dalle Sezioni Unite del 2018, sopra citate, alla disciplina dell'art. 1322 c.c., comma 2.
Restando un contratto tipico, cui le parti hanno aggiunto ulteriore contenuto, ricordano le citate Sezioni Unite, si fa riferimento dell'art. 1322 c.c., comma 1, il quale prevede in tal caso che l'autonomia delle parti, quando si esercita all'interno del tipo negoziale, senza alterarlo e trasformarlo in un contratto atipico, deve mantenersi nei limiti imposti dalla legge.
E qui il richiamo a tali limiti altro non è che il richiamo all'art. 1343 c.c.: si tratta pur sempre di un contratto tipico, salva l'aggiunta di contenuto ulteriore ad opera delle parti, e dunque di un contratto la cui liceità è misurata con il criterio dell'art. 1343 c.c..
Ciò posto è forse eccessivo allora ricordare che ogni volta che le parti realizzano un assetto di interessi diverso da quello astrattamente descritto dal legislatore va verificata la causa concreta, ossia lo scopo economico individuale.
A volte è più semplicemente questione di verifica di liceità (ai sensi dell'art. 1343 c.c.) anche della singola clausola.
Ed è il caso che ci occupa: le parti hanno arricchito il tipo contrattuale (assicurazione contro i danni) con la previsione di una decadenza a carico dell'assicurato, nei termini che si sono sopra ricordati.
Non è necessario postulare che questa clausola giustifica l'intera operazione negoziale (nei termini della causa concreta), è sufficiente chiedersi se sia lecita in sè e per sè, alla luce del criterio di cui art. 1322, comma 1, ossia se si mantenga nei limiti imposti dalla legge.
La clausola, come ricordato, pone una decadenza a carico dell'assicurato non dipendente da una sua condotta: l'assicurato può fare denuncia dell'evento nei 12 mesi dalla cessazione del contratto solo se abbia ricevuto in quei termini temporali la richiesta di risarcimento del danno, condizione che ovviamente dipende esclusivamente dal terzo danneggiato.
In tali termini essa contrasta con disposizioni imperative di legge, non solo con l'art. 1341 c.c., che vieta, se non sottoscritte, le clausole vessatorie, e che tra queste annovera espressamente quelle che impongono decadenze, ma altresì con l'art. 2965 c.c., che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l'esercizio del diritto.
Ed invero, il termine apposto alla escussione dell'assicurazione, ossia al diritto di far valere la prestazione assicurativa a carico dell'assicuratore, è un termine di decadenza, che è nullo proprio perchè rende, nella fattispecie, eccessivamente difficile l'esercizio del diritto dell'assicurato. La difficoltà di esercitare il diritto non è ovviamente, come ritenuto dal giudice di merito, da valutarsi in termini temporali, nel senso che dodici mesi sono sufficienti per denunciare il sinistro all'assicurazione, ma va intesa anche nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza attraverso una propria condotta, possibilità che è del tutto esclusa o comunque assai ridotta se l'assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta del terzo, sulla quale ovviamente non può influire. Altro è prevedere una decadenza nel termine di dodici mesi dalla richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, altro è fissare la scadenza di dodici mesi a partire dalla scadenza del contratto, prescindendo dunque dalla circostanza che in tale lasso di tempo può non pervenire alcuna richiesta di risarcimento, che è il presupposto perchè l'assicurato si rivolga all'assicuratore, ed estendendo peraltro la decadenza al caso in cui una richiesta di risarcimento pervenga all'assicurato, ma oltre il termine di efficacia del contratto. Cosi che l'assicurato può evitare la decadenza a condizione non tanto che il terzo danneggiato faccia richiesta di risarcimento entro dodici mesi dalla cessazione degli effetti del contratto, ma che la faccia prima che si verifichi tale cessazione.
In conclusione, le clausole che rendono difficile l'esercizio del diritto (art. 2965 c.c.) sono anche quelle che prescindono dalla diligenza della parte, e che fanno dipendere quell'esercizio da una condotta del terzo, autonoma e non calcolabile. Nella fattispecie, xxxxxx la denuncia del "sinistro" dipende dalla richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato verso l'assicurato, prima del quale quest'ultimo non ha interesse ad avvisare la sua assicurazione, il medesimo assicurato ha un onere (derivante dalla polizza) cui può adempiere solo se ha ricevuto in tempo una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, ossia se ha ricevuto la richiesta non solo entro 12 mesi dalla scadenza del contratto, ma nell'arco temporale dell'anno di sua validità.
Con conseguente violazione di legge della relativa clausola, di cui all'art. 1322 c.c..
Il ricorso va accolto, con compensazione delle spese, a causa della sopravvenienza della decisione a sezioni unite che ha espresso diverso orientamento rispetto a quella applicata dai giudici di merito a suo tempo.
Omissis.
C. Dottrina
1. X. Xxxxxxxxxxx, Dal "controllo" alla"conformazione" dei contratti: itinerari della meritevolezza in Contratto e Impr. 2020, 2, 823.
Sommario: 1. Premessa: delimitazione del discorso e opzione di metodo. - 2. La radice bettiana della meritevolezza tra "liceità" e "idoneità" degli atti di autonomia. - 3. La "modernizzazione" della concezione bettiana di meritevolezza: il problema dell'oggetto del controllo. - 4. (segue) Il problema del rapporto tra liceità e meritevolezza. - 5. Le declinazioni della meritevolezza: "controllo", "conformazione" e "sostenibilità" dei contratti. - 6. Ripensare la meritevolezza alla luce dell'interesse ambientale: dalla funzione economico-sociale alla funzione ecologico-sociale.
1. - Il mio discorso, movendo dalla radice bettiana della meritevolezza, tenterà di mostrare che il concetto di meritevolezza, nella materia contrattuale, indica un controllo generale, che non può non estendersi a tutti i contratti, tipici o atipici che siano, in quanto momento imprescindibile dell'unitario procedimento ermeneutico di interpretazione e qualificazione dei contratti, non potendosi assicurare la tutela giuridica a un atto di autonomia che non meriti di essere protetto (1).
Alla base del discorso è, quindi, una precisa opzione di metodo, che non soltanto segna il passaggio dalla struttura alla funzione del contratto e l'insufficienza del nudo consenso a determinare una valutazione positiva delle prestazioni programmate, ma soprattutto consentirà di adeguare il concetto di meritevolezza alla "complessità" del sistema ordinamentale italo-europeo e di coglierne la valenza attuale, in particolare con riguardo alla prepotente emersione, nelle contrattazioni pubbliche e private, di interessi sociali e ambientali e alla conseguente meritevolezza di contratti "sostenibili" ed "ecologici".
2. - La giovane storia del concetto giuridico di "meritevolezza", codificato in Italia dall'art. 1322, comma 2, c.c., è la narrazione di un caso più unico che raro, «un unicum nel panorama europeo»(2).
Il concetto risale, com'è noto, all'impostazione sociale di Xxxxxx Xxxxx(3), che lo concepì come limite generale dell'autonomia negoziale, ben distinto da quello della liceità: il contratto doveva essere non soltanto lecito, cioè non dannoso per la società, ma anche meritevole di tutela, ossia socialmente utile, con conseguente esclusione della possibilità di concludere contratti futili o socialmente inutili (4).
Più che di meritevolezza, Xxxxx parlava sia di idoneità, intesa come rispondenza alle esigenze fondamentali dell'economia nazionale o del regime corporativo, sia di «causa idonea di per sé a giustificare la tutela del diritto, oltre che realizzabile in concreto»(5). E aggiungeva che il «difetto di causa idonea» alla tutela giuridica è configurabile anche quando il contratto risponda a taluno dei tipi astratti, «senza tuttavia adempiere in concreto la sua destinazione»; sì che «non basta allargare la nozione della illiceità della causa, ma occorre richiedere la positiva rispondenza dei negozi conclusi a funzioni d'interesse sociale». Xxxxxx, conclude Xxxxx, «può darsi che in concreto si concluda un negozio non riconducibile ad alcuno dei tipi nominati e si faccia questione se esso risponda a taluna di quelle funzioni»(6), sì che «la idoneità della causa dev'essere controllata dal giudice di volta in volta in concreto»(7); «o può darsi che il negozio concluso, pur appartenendo ad uno dei tipi nominati, sia indirizzato ad uno scopo pratico che, senza potersi qualificare illecito, sia tuttavia [...] frivolo, futile o improduttivo dal punto di vista della generalità dei consociati»(8).
Il legislatore del '42 ha recepito aspetti essenziali del pensiero bettiano (9), tant'è che la Relazione al codice, al paragrafo 613, sancì che la causa non soltanto deve essere conforme ai precetti di legge, all'ordine pubblico e al buon costume, ma deve anche rispondere «alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezzabile e come tale meritevole della tutela giuridica»(10). Le proposte avanzate da Xxxxx per la redazione degli articoli sulla causa, e in particolare il suggerimento - sebbene non accolto nel testo definitivo - d'inserirvi il parametro dell'idoneità, poi sostanzialmente recuperato sotto forma di meritevolezza (11), segnarono un'indubbia convergenza tra la concezione della funzione sociale e della meritevolezza del contratto e i propositi dirigistici e autarchici del legislatore fascista (12).
Qui due brevi considerazioni.
La prima è che, nella visione bettiana, l'idoneità (o meritevolezza) è un parametro "deontologico" generale, «comune a tutti i contratti»(13), un limite immanente all'autonomia privata, imposto dal superiore interesse sociale (14).
La seconda è che la ricostruzione bettiana della funzione negoziale ha suscitato numerose e notissime riserve, dalla deriva dirigistica e paternalistica dell'autonomia privata (15) all'appiattimento della causa sul tipo (16), ponendosi in evidenza che la causa, intesa come funzione economico-sociale, condurrebbe l'interprete a pretermettere la valutazione della situazione concreta e degli scopi pratici che hanno indotto le parti a negoziare(17).
Tuttavia, a ben vedere, e come emerge chiaramente anche dai passi dianzi citati, Xxxxx non trascurava affatto il concetto di "causa" come «scopo pratico immediato» (ossia la causa del concreto negozio) (18), ma reputava che la causa, nella sua accezione di sintesi degli elementi essenziali (19), dovesse esprimere non soltanto un interesse meramente individuale (o particolare), ma altresì un interesse sociale (o generale). Si tratta, nelle limpide parole di Xxxxx, di «due profili logicamente correlativi, non già di due nozioni contrastanti»(20), con buona pace della vulgata dottrinale e giurisprudenziale, che fraintende il senso genuino del pensiero bettiano (21).
3. - Una volta caduto il regime, il secondo dopoguerra segnò una decisiva «svolta ordinamentale», ossia la conformazione del diritto, e in particolare del diritto civile, ai principi precettivi della Costituzione (22). La "costituzionalizzazione" del diritto civile ha indotto una parte cospicua della dottrina, seguita soltanto di recente dalla giurisprudenza, a modernizzare la concezione bettiana della funzione negoziale (23). In effetti, con l'avvento della Costituzione non appare più adeguato il criterio neutro della liceità, nell'ambito del quale confluiscono e si confondono contratti notevolmente meritevoli di tutela con contratti semplicemente leciti e permessi.
Specularmente, sono immeritevoli di tutela i contratti il cui assetto di interessi è difforme dai principi normativi identificativi dell'ordinamento, innanzi tutto quelli costituzionali, sì che la non conformità della "regola" contrattuale a quei principi priva l'operazione di una causa meritevole di tutela, con conseguente nullità del contratto (24). L'immeritevolezza deve, dunque, ravvisarsi ogni qual volta il contratto si ponga in contrasto con valori costituzionalmente protetti, all'esito di un vaglio di conformità della regola contrattuale alla legalità costituzionale (25).
In questa prospettiva, occorre rispondere ai due quesiti che, ancora oggi, solleva il problema della meritevolezza: (a) l'oggetto o punto d'incidenza del giudizio di meritevolezza, ovvero se il controllo investa soltanto i contratti atipici, come sembrerebbe deporre il capoverso dell'art. 1322 c.c. (26), o si estenda anche ai contratti tipici (27); (b) l'interferenza tra meritevolezza e liceità, ovvero quale sia il rapporto (di autonomia o di sovrapposizione) tra controllo di meritevolezza e controllo di liceità (28).
La tesi che esclude il sindacato di meritevolezza per i contratti tipici si basa, com'è noto, sull'assunto comune, desunto da una lettura superficiale dei testi bettiani, che il legislatore, già disciplinando tali contratti, ne avrebbe sancito l'apprezzamento positivo, in coerenza con la nozione tradizionale di causa in astratto, quale funzione economico-sociale del contratto, che finisce con il sovrapporsi alla nozione di tipo contrattuale (29). Tuttavia, Xxxxx, pur osservando che «il controllo circa la idoneità della causa si può ritenere già fatto dalla legge in astratto e in linea di massima nella configurazione del tipo»(30), non mancava di aggiungere che tale controllo deve comunque essere rinnovato dal giudice per scongiurare le ipotesi di contratti socialmente futili o improduttivi (31).
Certo, nelle stesse esemplificazioni prospettate da Betti (32), si tratta di ipotesi eccezionali o marginali, sì che il controllo di meritevolezza dei contratti tipici sembra assumere una rilevanza modesta, tanto da porsi l'interesse non meritevole di tutela in uno spazio intermedio, tra il difetto di causa e l'illiceità (33); ovvero da ridursi il giudizio di meritevolezza a un controllo sul tipo sociale e non sulla causa: meritevole sarebbe lo strumento elaborato dai contraenti, se idoneo «ad assurgere a modello giuridico di regolamentazione degli interessi, vista l'assenza di una preventiva opera di tipizzazione legislativa»(34).
Tesi, quest'ultima, rimasta minoritaria, giacché la limitazione del controllo di meritevolezza ai soli contratti atipici è stata incisivamente avversata, riportando il discorso proprio sul piano funzionale e valorizzando una dimensione concreta della causa, che consentisse di tenere nel dovuto conto le peculiarità irripetibili del singolo regolamento d'interessi (35). Nella logica della causa come «funzione economico-individuale»(36), la distinzione tra contratti tipici e atipici perde gran parte del suo peso e il controllo di meritevolezza assume una valenza generalizzata (37). L'evoluzione interpretativa verso la causa in concreto (38), asseverata dalle più recenti tendenze giurisprudenziali (39), non può che sfociare nell'interpretazione evolutiva o adeguatrice dell'art. 1322, comma 2, c.c. e nel conseguente allargamento delle maglie del controllo di meritevolezza, destinato a ogni singolo contratto, tipico o atipico che sia (40).
Sennonché, questa generalizzazione sembra scontare una fatale confusione o sovrapposizione, giacché il giudizio di meritevolezza viene fondato sulla conformità della regola contrattuale ai parametri delle norme imperative, dell'ordine pubblico e del buon costume (41), così identificandosi, come superfetazione o «inutile doppione»(42), nel giudizio "gemello" di liceità. Occorre, dunque, verificare, sul piano sistematico e applicativo, se sia possibile coniugare l'estensione della meritevolezza a tutti i contratti con una valenza propria e distinta dal predicato della liceità (43).
In effetti, il controllo di meritevolezza, troppo a lungo relegato ai margini del "diritto vivente", si apre a una progressiva "rivitalizzazione" proprio nella prassi giurisprudenziale (44), propensa a superare la distinzione tra contratti tipici e atipici (45).
Si pensi, anzi tutto, a operazioni finanziarie complesse, al collegamento tra un contratto di mutuo, concesso dalla banca all'investitore, e un contestuale mandato, che l'investitore conferisce alla banca al fine di utilizzare la somma erogata per acquistare titoli, emessi peraltro dalla banca stessa, che assume al contempo le vesti di mutuante, mandataria ed emittente, in palese conflitto d'interessi (46). Qui, se la considerazione atomistica dei singoli contratti tipici difficilmente potrebbe permettere un efficace sindacato di meritevolezza, la loro combinazione dà vita a un'operazione unitaria (47), sulla quale l'ordinamento non può esprimere un apprezzamento positivo, in quanto idonea a frustrare la tutela del risparmio, garantita, nelle sue varie forme, dall'art. 47 cost. (48).
Non meno rilevante è l'ipotesi della c.d. clausola di rischio cambio, inserita in un contratto di locazione finanziaria, che sconta il giudizio di non meritevolezza «perché introduce uno strumento finanziario autonomo e con finalità eminentemente speculative, quindi non solidali né equilibrate in sé e rispetto alla funzione negoziale immaginata alla conclusione del contratto di leasing»(49).
Né mancano applicazioni giurisprudenziali, che posso solo ricordare, nelle quali una clausola inserita in un contratto tipico è stata autonomamente assoggettata al controllo di meritevolezza (50): dalla pattuizione claims made nel contratto di assicurazione (51) alla clausola di indicizzazione nel mutuo (52), fino all'accordo, accessorio a comodato senza determinazione di limiti temporali, finalizzato a consentire al comodante di domandare la restituzione del bene in qualsiasi momento, qualora ne abbia necessità (53).
Notevole interesse riveste altresì l'ipotesi del preliminare di preliminare, meritevole ogni qual volta sia configurabile l'interesse delle parti alla formazione progressiva del contratto (54); o di un contratto atipico di trasferimento di un giocatore di calcio, che non avendo osservato le regole stabilite dalle federazioni sportive nazionali, sia dichiarato nullo non già per violazione di norme imperative di legge, bensì per difetto di meritevolezza (55).
Un'altra questione emblematica riguarda la validità di una clausola, apposta a un contratto tipico di locazione abitativa, mediante la quale s'imponeva al conduttore il divieto, sotto pena di risoluzione automatica, di ospitare per un periodo di tempo non breve persone estranee al nucleo familiare. La Corte Suprema (56) ha individuato la soluzione non già nella disciplina del tipo contrattuale, bensì nell'unitario sistema ordinamentale, al cui vertice si pongono le norme sui diritti inviolabili della persona, «direttamente applicabili anche ai rapporti intersoggettivi»(57). Pertanto, prosegue la Corte, i «fondamenti costituzionali dell'autonomia negoziale offrono all'interprete le indispensabili coordinate, alle quali attingere per esprimere sui singoli e concreti atti di autonomia quei giudizi di valore che l'ordinamento affida loro. Ci si riferisce ai controlli di "meritevolezza di tutela degli interessi" (art. 1322 c.c.) e di "liceità" (spec. art. 1343 c.c.) che devono essere condotti, per quanto qui interessa, alla stregua dell'art. 2 cost., il quale tutela i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà»(58). Ed è proprio il conflitto insanabile con il principio di solidarietà a indurre la Corte a considerare non meritevole e, dunque, priva di effetto la clausola risolutiva espressa.
4. - Quest'ultima sentenza giova anche a risolvere il secondo problema segnalato, ossia il rapporto tra meritevolezza e liceità. Come appena notato, la motivazione riferisce entrambi i controlli alla conformità della regola negoziale alle «coordinate» personalistica e solidaristica dell'ordinamento costituzionale, chiarendo che il richiamo ai principi identificativi dell'ordinamento - la cui complessità impone di considerare anche i principi di matrice europea, come quelli che tutelano la concorrenza o l'ambiente, e le convenzioni internazionali (art. 117, comma 1, cost.) - è tratto comune, e non distintivo, dei giudizi di liceità e meritevolezza (59).
Eppure, la comunanza dei due giudizi non vale a segnarne la sovrapposizione, poiché continua a sussistere una differenza qualitativa tra i due tipi di controllo (60): mentre la liceità individua un limite esterno che, in negativo, l'autonomia negoziale non può oltrepassare, la meritevolezza colora dall'interno la regola pattizia, attribuendo ad essa una valutazione favorevole se, in positivo, realizzi una funzione conforme a quei principi(61), che della regola negoziale sono il parametro di giustificazione (62).
Con una duplice conseguenza: da un lato, il giudizio di meritevolezza non può aprioristicamente desumersi dalla «uniformità internazionale del modello contrattuale», paventando l'isolamento economico che discenderebbe dal diniego di meritevolezza a una pratica contrattuale diffusa all'estero (63), ma che potrebbe, in concreto, non essere conforme ai principi costituzionali ed europei (64); dall'altro, «il controllo di legittimità degli atti aventi forza di legge e il controllo di meritevolezza degli atti di autonomia negoziale finiscono con l'avere le stesse radici, le stesse motivazioni, gli stessi principi normativi di riferimento»(65), al punto da prospettarsi, in dottrina, una convergenza tra il giudizio di meritevolezza e il sindacato di ragionevolezza costituzionale (66).
In questa prospettiva, occorre chiarire il differente ruolo che svolgono il controllo di meritevolezza e l'interpretazione secondo buona fede (art. 1366 c.c.) (67). Se è vero che entrambi gli strumenti si caratterizzano come tecniche di raccordo e di conformazione della regola negoziale ai principi fondamentali, ciò nonostante si muovono su piani parzialmente diversi. Si potrebbe dire che l'attività dell'interprete, nel formulare il giudizio di meritevolezza, «conduce a un risultato paragonabile a quello che, in relazione a una norma di legge, svolge una sentenza della Corte costituzionale di accoglimento (se il contratto è reputato non meritevole, quindi sanzionato con l'invalidità) o di rigetto (se il contratto è reputato meritevole, quindi valido). Diversamente, l'operare della buona fede interpretativa produce un risultato più simile a quello ottenuto, sempre in relazione alla norma di legge, mediante una sentenza interpretativa o mediante una sentenza additiva: il regolamento incompatibile con i principi viene, nei limiti del possibile, parzialmente riletto, o se si preferisce riscritto, in una formulazione che ne preservi la compatibilità con il sistema costituzionale»(68).
È evidente, allora, che se l'immeritevolezza fosse desumibile, al pari dell'illiceità, dal contrasto con i principi costituzionali ed europei, anziché dalla loro inadeguata attuazione, sarebbe insuperabile il rilievo che la reazione dell'ordinamento ai contratti socialmente dannosi si esaurisce nel sindacato di liceità previsto dall'art. 1343 c.c. (69). In realtà, la scelta tra fermarsi al controllo di non illiceità o procedere al controllo di meritevolezza del contratto, tipico o atipico che sia, si rivela una methodenstreit, una controversia sul metodo, che, in un ordinamento costituzionale e sociale di diritto, non può che risolversi nella inadeguatezza del nudo patto alla vincolatività del programma negoziale e nella conseguente conformazione dei contratti ai principi identificativi di quell'ordinamento (70).
Ciò chiarito - e tralascio ogni cenno alla meritevolezza degli atti di destinazione (art. 2645 ter c.c.), anch'essa oltre la liceità, nel segno della solidarietà (71) -, è possibile ora replicare all'insigne studioso che ha negato l'autonomia del controllo di meritevolezza, lamentando l'impossibilità di addurre un esempio, reale o anche soltanto immaginario, di contratti immeritevoli che siano nulli non perché illeciti o altrimenti viziati(72).
Decisiva, a tal proposito, è l'iniziativa privata che, per lo svolgimento di attività d'interesse generale, attua il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale (art. 118, comma 4, cost.) (73). Si pensi, per esempio, all'emissione dei c.dd. social impact bond, titoli di investimento mediante i quali i privati finanziano servizi sociali in funzione di un guadagno che dipende dall'effettivo miglioramento di determinate variabili sociali, traducibili in un risparmio di spesa pubblica (riduzione della recidiva criminale, della dipendenza da droghe o alcol, delle visite mediche, ecc.) (74). In quanto strumento di cooperazione tra privati e pubblica amministrazione, che abbraccia interessi ulteriori rispetto a quelli economici dei contraenti, il social impact bond«travalica la semplice dimensione dell'autoregolamento, con efficacia tra le parti, ed accede alla dimensione della regolamentazione - con rilevanza esterna - di attività che sono destinate ad incidere sui terzi nella misura in cui rivestono una funzione attuativa dei diritti fondamentali degli utenti»(75).
5. - La meritevolezza si evolve, dunque, da strumento di controllo esterno, finalizzato alla mera attuazione degli interessi individuali perseguiti dai privati, a strumento di controllo e conformazione dall'interno della regola contrattuale ai principi apicali dell'ordinamento italo-europeo(76), per lo svolgimento positivo di attività negoziali d'interesse generale, giustificate dal principio di sussidiarietà (77).
In questa direzione, occorre chiedersi quale sia l'incidenza sulla categoria contrattuale dell'interesse ambientale, ossia dell'uso razionale e responsabile delle risorse naturali (78), in attuazione del principio dello sviluppo sostenibile (artt. 3 e 21, Tratt. UE, 11 Tratt. FUE e 37 Carta UE), che implica un giudizio di valore sull'attività economica, considerata meritevole soltanto se rispetti l'ambiente, gli ecosistemi e le esigenze anche delle generazioni future (79). Si assiste, così, a un processo di conformazione "ecologica" dell'autonomia negoziale (80), che trova fondamento nel codice dell'ambiente, là dove stabilisce, in attuazione dei principi ambientali europei e di una serie di norme costituzionali, che la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali è un principio di azione, che vincola l'attività dei soggetti pubblici e privati (art. 3-ter c.a.), e che ogni attività umana, giuridicamente rilevante ai sensi del medesimo codice, «deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile» (art. 3-quater, comma 1, c.a.).
Questa "funzionalizzazione" di tutte le attività, private e pubbliche, vale a individuare un rapporto equilibrato tra risorse da risparmiare e da trasmettere, «affinché nell'ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell'ambiente anche futuro» (art. 3-quater, comma 3, c.a.). Emerge, così, la correlazione o il rapporto dialettico tra i principi dello sviluppo sostenibile e della solidarietà sociale e ambientale (artt. 2 e 9 cost.), che si traduce in una "endiadi", espressiva di una funzione e di una competenza statale unitaria (art. 117, comma 2, lett. s, cost.) (81).
L'interesse ambientale può, dunque, considerarsi oggi un vincolo positivo e intrinseco all'attività di operatori pubblici e privati: non già un mero limite esterno all'autonomia negoziale, bensì un fattore trainante dello sviluppo (82), che indirizza la produzione verso i dettami dell'economia "circolare" e rende meritevoli di tutela i contratti idonei a realizzare una funzione "ecologico-sociale" (83). La sostenibilità ambientale assurge, quindi, a parametro del giudizio di meritevolezza di atti, rapporti e dello stesso sviluppo economico(84), sì che occorre sottoporre i contratti alla valutazione di sostenibilità, che attiene non all'utile ma al giusto, ossia alla migliore soddisfazione qualitativa dei bisogni sociali e ambientali della persona (85).
Nel contratto, che ho definito altrove "ecologico" (86), le parti intendono collaborare non tanto per ottenere un vantaggio personale, quanto piuttosto per perseguire l'interesse generale (87). In questa forma di contrattazione, le motivazioni sociali e ambientali sono pienamente rilevanti, almeno quanto gli interessi patrimoniali (88). Il contratto ecologico tende a coordinare interessi convergenti intorno al godimento inclusivo delle risorse naturali e ambientali: un accordo fonte di rapporti non esclusivamente patrimoniali, ma comunque sostenibili (89); sì che il principio di sostenibilità, che si colloca alla radice della tutela dell'ambiente, presiede all'esercizio dell'attività negoziale ecologicamente conformata, costituendone un parametro di giustificazione e, dunque, di meritevolezza (90), con la conseguenza che un contratto (reputato) ecologico, «pur presentando una causa lecita, potrebbe essere non meritevole di tutela là dove non sia idoneo a realizzare il concreto interesse ambientale»(91).
6. - Sembra, allora, possibile, tirando le somme del discorso svolto, osservare come le linee evolutive del sistema ordinamentale, della prassi applicativa e del tessuto economico, sociale e ambientale consentano di recuperare alla meritevolezza un ruolo autonomo e ben più rilevante che in passato (92). La giurisprudenza, in particolare, tende sempre più a discostarsi dalla falsa opposizione "tipico-atipico", per calibrare il sindacato di meritevolezza sulla causa concreta ora di operazioni complesse, ora di singole clausole, ma sempre a prescindere dalla meccanica sussunzione entro i modelli normativi predeterminati dei contratti che a monte sono coinvolti (93).
È altresì riduttivo esaurire il problema della meritevolezza nella consueta dinamica del rapporto giuridico patrimoniale, giacché il controllo di meritevolezza investe anche i contratti con i quali si dispone di valori non patrimoniali (94), come il pieno sviluppo della persona umana, la qualità della vita, l'integrità e la salubrità dell'ambiente (95). Proprio in questi ambiti, relativamente nuovi, di autonomia contrattuale ecologicamente conformata, cui si aggiungono le manifestazioni di iniziativa privata per l'attuazione di ulteriori finalità d'interesse generale, si percepisce appieno la diversa funzione che la meritevolezza svolge, sul piano qualitativo, rispetto alla liceità: non già limite esterno cui i privati devono attenersi, bensì giudizio di valore idoneo a indirizzarne in positivo le iniziative verso finalità suscettibili di apprezzamento favorevole.
In tal senso, ciascun contratto si caratterizza per una «conclamata funzione sociale»(96), che rappresenta il parametro di riferimento per apprezzarne la meritevolezza, e che può declinarsi, secondo il "peso" dell'interesse ambientale eventualmente coinvolto, come "funzione ecologico-sociale" (97). Funzione, quest'ultima, che appare come l'autentica bussola che oggi deve orientare, nel grado più elevato, l'interprete in materia di autonomia negoziale.
2. X. Xxxxxxxxx, La clausola claims made e le Sezioni Unite: bis in idem in Contratti, 2018, n. 6 639 e ss.
A distanza di poco più di due anni le Sezioni Unite, sollecitate dall'ordinanza remittente della III Sezione, si pronunciano su due questioni relative alle clausole claims made, delle quali la seconda è la più rilevante perché riguarda l'ammissibilità stessa delle clausole e il loro controllo giudiziale. Dopo la precedente sentenza sono sopravvenute alcune normative che contemplano e regolano clausole claims made, le quali perciò non possono più definirsi atipiche. Per questa ragione la sentenza in commento sostituisce al controllo giudiziale della meritevolezza della clausola (atipica) il controllo giudiziale sulla adeguatezza del regolamento negoziale agli interessi dei contraenti mediante il criterio della causa in concreto e inoltre amplia l'indagine sulle forme di tutela dell'assicurato anche al profilo precontrattuale e a quello attuativo del rapporto assicurativo.
Sommario: La clausola claims made nella giurisprudenza di legittimità - La determinazione convenzionale del fatto che costituisce il "sinistro" - Gli interventi del legislatore in tema di clausole claims made - Il controllo giudiziale sulla clausola claims made. La "griglia" delle forme di controllo secondo le Sezioni Unite - Fase precontrattuale e relativi obblighi di informazione dell'assicurando - Il controllo giudiziale sul contenuto negoziale della clausola claims made - Il controllo sulla conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva. Nullità della clausola di facoltà di recesso dell'assicuratore - Conclusioni
La clausola claims made nella giurisprudenza di legittimità
La clausola claims made sembra essere divenuta l'ombelico del mondo nella giurisprudenza di legittimità, dal momento che dopo la nota sentenza delle SS.UU. n. 9140/2016 si sono susseguite, nello spazio di due anni, ben sette provvedimenti della Corte, e precisamente la sentenza n. 24645/2016, la sentenza n. 417/2017, la sentenza n. 10506/2017, l'ord. n. 27867/2017, l'ord. n. 1465/2018, l'ord. n. 4912/2018 e infine la seconda sentenza delle SS.UU. n. 22437/2018 che qui si commenta.
Mentre le prime due sentenze e l'ord. n. 27967/2017 ricalcavano la linea di pensiero delle Sezioni Unite, cioè quella dello scrutinio di "meritevolezza" della clausola, invece la sentenza 10506/20171 si pronunciava in modo molto più drastico e dirompente contro l'ammissibilità in linea di principio della clausola, mentre l'ord. 4912/2018 si pronunciava su una particolare fattispecie di successione nel tempo di xxxxxxxx claims made e di clausola loss occurrence2.
A seguito del contrasto insorto tra la sentenza delle Sezioni Unite e la sentenza n. 10506/2017, con l'ord. 1465/2018 la III Sezione della Corte sollecitava un nuovo intervento delle Sezioni Unite, anche con riferimento a questioni, di particolare importanza, nuove e diverse rispetto a quelle scrutinate dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 9140/2016.
Le questioni rimesse nuovamente alle Sezioni Unite erano le seguenti: (a) se sia lecito all'autonomia privata determinare convenzionalmente il fatto che costituisce il "sinistro" e in particolare, con riferimento all'assicurazione della responsabilità civile, determinare convenzionalmente che per "sinistro" s'intende la richiesta di risarcimento rivolta per la prima volta dal danneggiato all'assicurato durante il periodo di efficacia dell'assicurazione, in luogo del "fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione" di cui l'assicurato debba rispondere (art. 1917, comma 1, c.c.); (b) se nell'assicurazione della responsabilità civile sia meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c. la clausola che stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell'indennizzo si determinino non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all'assicurato di essere risarcito.
La sentenza in commento, con l'occasione, conferma espressamente o implicitamente due principi già affermati dalla precedente sentenza delle Sezioni Unite, e cioè che la clausola claims made non richiede la specifica approvazione scritta ex art. 1341 c.c. in quanto clausola che precisa l'oggetto del contratto, e che la retroattività della copertura assicurativa stabilita eventualmente dalla clausola per fatti dannosi accaduti prima della sua efficacia non elimina l'alea che è elemento essenziale del contratto di assicurazione, qualora l'assicurato non sia a conoscenza dei fatti medesimi.
Le brevi note che seguono costituiscono un commento alla sentenza delle Sezioni Unite e non intendono riprendere in esame, ancora una volta, l'ormai nota questione delle clausole claims made.
La determinazione convenzionale del fatto che costituisce il "sinistro"
Secondo l'ordinanza remittente l'avveramento del rischio assicurato, cioè il rischio in concreto, consiste nella causazione da parte dell'assicurato di un danno a terzi di cui egli debba rispondere, e pertanto le parti non avrebbero la facoltà di definire "sinistro" un evento diverso quale è la richiesta risarcitoria rivolta dal danneggiato all'assicurato, dalla quale non sorge alcuna obbligazione risarcitoria.
Osservano in contrario le Sezioni Unite che, mentre il binomio sinistro/danno palesa una inscindibilità intrinseca nell'assicurazione contro i danni per la perdita o danneggiamento di cose essendo proprio e soltanto l'evento a determinare il danno da cui scatta l'obbligo di indennizzo, invece nell'assicurazione della responsabilità civile l'indennizzo e correlativamente l'obbligo di manleva presuppongono la combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (fatto dannoso) e della manifestata volontà del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento3 Di conseguenza - conclude la Corte - la deroga convenzionale al modello di cui al primo comma dell'art. 1917 c.c. non comporta una deviazione strutturale della fattispecie negoziale dal tipo (o sottotipo che dir si voglia) "assicurazione della responsabilità civile".
A parere di chi scrive la definizione convenzionale di "sinistro" nei termini di cui sopra ha sollevato un falso problema e non pone una questione ulteriore rispetto a quella, di fondo, dell'ammissibilità delle clausole claims made. È infatti ovvio che la richiesta del danneggiato, che deve pervenire per la prima volta all'assicurato entro il periodo di efficacia dell'assicurazione, non sarà certamente una richiesta "nuda", ma sarà una richiesta documentata con il preciso richiamo al fatto dannoso la cui causazione viene imputata all'assicurato e alle conseguenze dannose che ne sono derivate. Ne consegue, a ben vedere, che la clausola contrattuale con la quale si definisce "sinistro" assicurato la richiesta di risarcimento danni per i quali è prestata l'assicurazione non rappresenta altro che una variante lessicale del comune testo di clausola claims made, in cui si dispone semplicemente che la garanzia assicurativa vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato durante il periodo di efficacia dell'assicurazione (salve le varianti che contemplano una retroattività della copertura assicurativa a fatti dannosi avvenuti prima della stipulazione della polizza, ovvero una copertura postuma per le richieste pervenute all'assicurato dopo la scadenza della polizza ma riferite a fatti dannosi avvenuti durante la vigenza di essa). Pertanto si ritorna al problema di fondo dell'ammissibilità della clausola claims made.
Gli interventi del legislatore in tema di clausole claims made
Rispetto alle precedenti pronunce della Corte un'importante novità è rappresentata dal fatto che la clausola claims made ha trovato un sia pur settoriale riconoscimento a livello normativo (subprimario e regolamentare), sicché essa non può più definirsi atipica.
La sentenza dedica ampio spazio a queste normative, che la sentenza definisce con una certa enfasi come "micro-sistema speciale", ma esse non possono essere sopravvalutate se viste nella più ampia prospettiva di una tutela dell'assicurato nei confronti della clausola claims made, e questo a causa del loro limitato ambito applicativo.
È invero improprio affermare che il legislatore nazionale sarebbe intervenuto "in sostanziale consonanza con la regolamentazione di settore presente in altri ordinamenti di comune cultura giuridica". E a tale proposito la sentenza riferisce sinteticamente in merito all'ordinamento francese, spagnolo e belga.
In realtà, non vi è una "sostanziale consonanza" con la regolamentazione presente negli ordinamenti richiamati dalla sentenza.
Nel nostro ordinamento le norme relative alla clausola claims made riguardano solo i settori della sanità (che è quello maggiormente interessato dai danni lungolatenti) e delle professioni regolamentate. Infatti l'art. 11 della L. n. 24/2017 contiene una norma imperativa tale da sostituirsi automaticamente alla divergente clausola contrattuale ai sensi dell'art. 1419, comma 2, c.c. Per quanto concerne le professioni regolamentate, l'originario testo dell'art. 3, comma 5, lett. e), D.L. n. 138/2011 conv. in L. n. 148/2011 si limitava a richiedere al professionista la stipulazione di "idonea garanzia" a tutela del cliente; con L. n. 124/2017 la norma suddetta è stata novellata, ma la novella, pur facendo implicito riferimento alle clausole claims made, non contiene norme imperative a tutela dell'assicurato ed anzi dichiara per ben due volte che rimane salva la libertà contrattuale delle parti4. L'art. 12 delle L. n. 247/2012 ha introdotto per gli avvocati l'obbligo di stipulare polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione e ha demandato ad un decreto del Ministero della Giustizia lo stabilire e l'aggiornare le condizioni essenziali e i massimali minimi delle polizze; a questo riguardo è stato emanato il D.M. 22 settembre 2016, che stabilisce i contenuti essenziali della clausola claims made e che, in virtù del rinvio della legge formale, ha idoneità ad integrare il regolamento negoziale ex art. 1339 c.c.
Di contro, nei tre ordinamenti richiamati dalla sentenza le norme relative alla clausola claims made sono state inserite nella generale normativa sulle assicurazioni private e hanno quindi un ambito di applicazione che riguarda tutti i soggetti economici che stipulano polizze per la copertura della responsabilità civile. Anche nei Principles of European Insurance Contract l'art. 14:107 relativo alla clausola claims made si applica ai contratti di assicurazione stipulati da qualunque soggetto economico (imprenditore o professionista). Il più ampio ambito di applicazione delle normative straniere sopra citate non è un dettaglio, ma ha importanti ricadute sostanziali, perché le norme imperative in esse contenute a tutela degli assicurati riguardanti la clausola claims made si applicano a tutti i contratti di assicurazione e non solo a quello di settore, come da noi. È allora interessante rilevare che nel diritto francese e in quello belga è stata eliminata, in via generale, quella che è la maggiore criticità delle clausole in esame, e cioè la possibilità che il fatto dannoso sia compiuto in prossimità della scadenza della polizza e di conseguenza la richiesta di risarcimento pervenga all'assicurato dopo la scadenza della polizza stessa, sollevando una questione di equilibrio di corrispettività tra premio e copertura assicurativa (particolarmente evidente laddove la clausola non offra una copertura retroattiva oppure l'assicurando sia un "esordiente" non interessato alla retroattività della copertura). Infatti nel diritto francese è stabilito che la richiesta di risarcimento può essere fatta all'assicurato in un periodo successivo alla scadenza della polizza non inferiore a cinque anni, fermo restando che il fatto dannoso deve essersi verificato nel periodo di vigenza della polizza; analogamente nel diritto belga la richiesta di risarcimento può essere fatta all'assicurato nei tre anni successivi alla scadenza della polizza; nei Principles citati il claim del danneggiato può pervenire all'assicurato nei cinque anni successivi alla scadenza della polizza per fatti dannosi accaduti nel periodo di vigenza della polizza stessa5
La quantunque settoriale tipizzazione della clausola claims made conduce la sentenza, da un lato, a superare l'applicazione del criterio della "meritevolezza" ancorato al presupposto della atipicità contrattuale di cui all'art. 1322, comma 2, c.c. D'altro lato, la sentenza sottolinea che la clausola deroga al modello rappresentato dal primo comma dell'art. 1917 e afferma che ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo sollecita un test sul rispetto dei "limiti imposti dalla legge" (art. 1322, comma 1, c.c.) nella determinazione del concreto regolamento degli interessi perseguiti dai paciscenti secondo quella che suole essere definita la "causa in concreto" del negozio. Sostanzialmente sulla stessa linea di pensiero la precedente sentenza aveva osservato, sia pure con riferimento al criterio della meritevolezza, che "si tratta piuttosto di stabilire fino a che punto i paciscenti possono spingersi nella riconosciuta loro facoltà di variare il contenuto del contratto e quale sia il limite oltre il quale la manipolazione dello schema tipico sia in concreto idonea ad avvelenarne la causa".
Tuttavia la sentenza afferma che il controllo giudiziale non deve fermarsi al controllo del contenuto negoziale, ma deve estendersi anche alla fase prodromica della conclusione del contratto contenente la clausola claims made e alla fase di svolgimento del rapporto stesso, richiamando come tuttora sensibili le criticità messe in luce, anche se nella prospettiva del giudizio di meritevolezza, dalla precedente sentenza della Sezioni Unite, quali l'asimmetria della posizione contrattuale delle parti e in certi rapporti il meccanismo penalizzante per il c.d. "esordiente" e per lo scadere della garanzia contrattuale. Alle quali criticità andrebbe aggiunta, completiamo noi, quella già evidenziata dalla precedente sentenza della Sezioni Unite della "incisione della libertà contrattuale del contraente non predisponente come effetto riflesso delle condizioni della stipula".
Questa è dunque la "griglia" delle forme di controllo giudiziale sulla clausola claims made che la Sentenza indica al giudice del merito: fase precontrattuale e relativi obblighi di informazione dell'assicurando; regolamento contrattuale concreto; fase di attuazione del rapporto.
Fase precontrattuale e relativi obblighi di informazione dell'assicurando
La sentenza pone l'accento sugli obblighi informativi in merito al contenuto della clausola claims made che nella fase prodromica alla conclusione del contratto devono essere assolti dall'assicuratore e dai suoi intermediari al fine di far conseguire all'assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze.
Questi obblighi informativi sono posti a livello generale dall'art. 185 cod. ass. priv., che impone alle imprese di assicurazione di consegnare all'assicurando, prima della conclusione del contratto e unitamente alle condizioni di assicurazione, una nota informativa predisposta nel rispetto delle disposizioni che la norma medesima stabilisce e dei Regolamenti IVASS.
In realtà è ben difficile, se non impossibile, che gli assicuratori omettano di dare agli assicurandi le opportune informazioni, del resto assai semplici, sul meccanismo con cui opera la garanzia: risarcimento reclamato dal danneggiato prima della scadenza della polizza.
Non è forse da escludere che, per determinate categorie di rischi o particolari assicurandi, vi siano assicuratori che offrano, verso il pagamento di un supplemento di premio, una estensione della retroattività della copertura rispetto a quella prevista dalle condizioni generali di contratto, oppure che vi siano assicuratori che offrano, verso pagamento di un supplemento di premio, una copertura anche nel caso in cui il risarcimento venga reclamato dal danneggiato entro un determinato tempo successivo alla scadenza della polizza. Se l'assicurato prova di non essere stato informato di queste offerte, poiché con un giudizio probabilistico è ragionevole ritenere che egli, ove adeguatamente informato, avrebbe esteso la copertura assicurativa sia pur pagando il supplemento di premio, il rimedio risarcitorio dovrà far conseguire all'assicurato un effettivo ristoro del danno patito commisurabile - come recita la sentenza - "all'entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso".
Più delicato è il caso in cui l'assicuratore non abbia informato l'assicurando della possibilità di scegliere una polizza loss occurrence in luogo di una polizza claims made e il risarcimento del danno venga reclamato dopo la scadenza della polizza claims made. In questo caso sarebbe troppo facile da parte dell'assicurato sostenere ex post che, se adeguatamente informato dell'opzione, egli avrebbe optato per una polizza loss occurrence. L'eventuale scelta di una polizza loss occurrence potrebbe essere sostenuta con successo dal cd. "esordiente", che non era ovviamente interessato alla retroattività di copertura di una polizza claims made.
Il controllo giudiziale sul contenuto negoziale della clausola claims made
L'argomentazione delle Sezioni Unite si svolge lungo due direttrici, l'una che riguarda la clausola claims made nella legislazione speciale per le assicurazioni obbligatorie, l'altra che riguarda tutte le clausole claims made incluse anche le prime.
Per quanto riguarda le assicurazioni obbligatorie la sentenza sottolinea la natura imperativa e la inderogabilità in peius delle norme concernenti l'estensione e le modalità della garanzia assicurativa, e di conseguenza non ha difficoltà a giudicare che, nel caso di contrasto tra il regolamento negoziale e la disciplina legale, lo statuto negoziale potrà essere integrato in forza dell'art. 1419, comma 2, c.c. "attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l'equilibrio dell'assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa"6. In altri termini, il regolamento contrattuale potrà essere rimodulato nella parte in cui contrasta con la disciplina legale inderogabile per renderlo conforme a quest'ultima.
Tuttavia la sentenza osserva che la suddetta disciplina inderogabile si pone sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale che salvaguarda la garanzia minima e non può esaurire l'indagine sul contenuto negoziale della clausola, perché in ogni caso - sia con riferimento alla disciplina legislativa inderogabile della clausola, sia con riferimento a qualunque altra clausola claims made - occorre procedere ad una verifica che il regolamento effettivamente pattuito sia adeguato agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti, verifica che transita - prosegue la sentenza - attraverso la c.d. "causa concreta", che rappresenta la sintesi degli interessi che il negozio è concretamente diretto a realizzare e costituisce quindi la funzione individuale della singola specifica negoziazione. L'indagine sulla causa concreta del contratto spazia - precisa la sentenza - dalla verifica della sua sussistenza (cioè della adeguatezza rispetto agli interessi coinvolti) alla verifica di liceità (intesa come lesione di interessi delle parti tutelati dall'ordinamento).
A ben vedere, la prospettiva adottata ora dalle Sezioni Unite non si discosta nella sostanza da quella stessa adottata dalla prima sentenza. Invero, l'indagine sulla causa in concreto si sostituisce ora all'indagine sulla meritevolezza della clausola e l'indagine sulla causa in concreto intesa come adeguatezza del contratto agli interessi in concreto perseguiti dai contraenti si sostituisce ora all'indagine sulla meritevolezza che secondo la precedente sentenza "deve necessariamente essere condotta in concreto, con riferimento, cioè, alla fattispecie negoziale di volta in volta sottoposta alla valutazione dell'interprete".
Al fine di verificare se sia realizzata la funzione pratica del contratto, cioè la causa in concreto, in modo da superare le criticità già messe in luce dalla precedente sentenza delle Sezioni Unite7la sentenza indica come criterio d'indagine l'analisi dell'assetto sinallagmatico, cioè se lo scopo pratico del regolamento negoziale su base claims made presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, nel qual caso lo squilibrio sarebbe sintomo di carenza della causa in concreto dell'operazione economica.
La sentenza tiene a sottolineare che non si tratta di sindacare l'equilibrio economico tra le prestazioni, che è aspetto rimesso esclusivamente all'autonomia privata, bensì di indagare su un eventuale squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio nell'ottica dello scopo pratico del regolamento negoziale. Il sintagma "squilibrio giuridico" rimane però oscuro. Proviamo a decodificarlo: esso esiste ogni volta in cui il premio (la cui entità è rimessa all'autonomia privata) non copre sinallagmaticamente ogni aspetto del rischio dedotto in contratto, ad esempio per quanto riguarda la retroattività della copertura stabilita dalla polizza8?
Infine la sentenza enuncia le conseguenze di un difetto della causa in concreto, e cioè: la conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o comunque secondo il principio di adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti.
Quanto al primo punto, le congruenti indicazioni di legge sono senz'altro le (poche) norme imperative vigenti per alcune assicurazioni obbligatorie, di cui sopra si è detto, dal momento che la sentenza fa giustamente richiamo all'art. 1419, comma 2, c.c. ed esclude una integrazione dello statuto negoziale attraverso il modello della loss occurence di cui all'art. 1917, comma 1, c.c.
Quanto al secondo punto, resta oscuro cosa intenda la sentenza per conformazione "secondo il principio di adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti" (così il principio di diritto enunciato). Il timore è che questo principio venga inteso dal giudice del merito come licenza per "manipolare" la clausola claims made secondo quello che gli sembra il regolamento più "giusto"9. Secondo la precedente sentenza delle Sezioni Unite la clausola "immeritevole" doveva essere sostituita dal modello legale, cioè dall'art. 1917, comma 1, c.c. Questa soluzione, per quanto opinabile (potendo danneggiare l'assicurato per la perdita della eventuale copertura retroattiva data dalla clausola claims made), costituiva almeno un punto fermo nel caso in cui la clausola non avesse superato l'esame di meritevolezza.
Il controllo sulla conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva. Nullità della clausola di facoltà di recesso dell'assicuratore
Infine la sentenza prende in esame la "fase dinamica del rapporto assicurativo" e qualifica come abusiva la clausola che attribuisce all'assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi di un sinistro compreso nei rischi assicurati, motivando che il carattere abusivo si rivela tale "in ragione della frustrazione dell'alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti".
La decisione delle Sezioni Unite merita di essere condivisa ed è auspicabile che sia seguita dai giudici di merito. La natura abusiva della clausola di facoltà di recesso dell'assicuratore è infatti intrinseca allo stesso meccanismo delle clausole claims made, come lo può dimostrare un confronto con il recesso nelle polizze loss occurrence.
Nelle polizze loss occurrence l'assicuratore che recede delimita, restringendolo, il periodo di rischio coperto dall'assicurazione perché viene meno la garanzia per i fatti dannosi accaduti dopo il recesso, ma permane la garanzia per i fatti dannosi accaduti prima del recesso dell'assicuratore anche se la richiesta di risarcimento è pervenuta all'assicurato dopo il recesso dell'assicuratore. Si comprende quindi la ragione per cui il premio pagato subisce una riduzione: la parte di premio che resta acquisita all'assicuratore va a copertura del rischio (astratto) per i fatti dannosi accaduti prima del recesso, che restano in garanzia e che in futuro potrebbero essere denunciati dall'assicurato.
Invece nella polizza claims made il recesso elimina totalmente e radicalmente il rischio assicurato, perché impedisce che abbiano rilevanza le richieste di risarcimento pervenute successivamente all'assicurato anche se fondate su fatti dannosi avvenuti prima del recesso stesso e addirittura anche se avvenuti nel periodo di retroattività di copertura previsto dalla clausola. In altri termini, mentre nei contratti durata come è quello di assicurazione il recesso opera ex nunc lasciando in vita la frazione del rapporto contrattuale svoltasi prima del recesso, qui invece proprio in virtù del meccanismo della clausola claims made il recesso dell'assicuratore viene ad avere degli abnormi effetti ex tunc, come se la polizza non fosse mai stata sottoscritta, e l'assicurato si trova improvvisamente privo di qualunque copertura assicurativa per tutto il passato. Si verifica allora un "buco di copertura", secondo un'icastica espressione usata dalla prima sentenza delle Sezioni Unite e ripresa da quella in commento.
Quest'ultima conseguenza non è accettabile quando l'assicurazione è obbligatoria perché è imposta a tutela dei terzi eventualmente danneggiati dall'assicurato. Ed infatti l'art. 2, comma 2, D.M. 22 settembre 2016, relativo all'assicurazione per la responsabilità professionale degli avvocati, dispone che nella polizza deve essere espressamente escluso il diritto di recesso dell'assicuratore e tale norma è da considerarsi espressione di un principio generale di ordine pubblico economico per l'assicurazione obbligatoria che può valere a comprovare la natura abusiva delle clausole di recesso anche negli altri casi di assicurazione obbligatoria in cui la legge non prevede espressamente il divieto di una tale clausola10.
Ma anche al di fuori dei casi di assicurazione obbligatoria la clausola di facoltà di recesso dell'assicuratore nelle polizze claims made contrasta palesemente con la funzione tipica del contratto di assicurazione della responsabilità civile, che è quella di mettere l'assicurato al sicuro dal rischio (astratto) che accadano determinati fatti che comportino una sua responsabilità e di conseguenza un suo obbligo risarcitorio. Invero, il verificarsi di un sinistro coperto dalla polizza non è altro che il verificarsi del rischio concreto del quale l'assicuratore ha promesso, verso corrispettivo di un premio, di tenere indenne l'assicurato. L'evento rientra perciò pienamente nell'ambito della funzione economica del contratto di assicurazione e non rappresenta un'anomalia che giustifichi il recesso dell'assicuratore tale da eliminare addirittura ex tunc la polizza e di togliere all'assicurato ogni copertura anche per fatti dannosi avvenuti in ogni tempo prima del recesso ma non ancora denunciati all'assicuratore. La natura abusiva della clausola di facoltà di recesso dell'assicuratore è dunque connaturata al meccanismo stesso della clausola claims made, laddove invece il recesso nelle polizze loss occurrence opera, come sopra si è detto, ex nunc e dunque con effetti meno invasivi e coerenti con i principi in tema di recesso nei contratti di durata.
La sentenza merita piena e incondizionata condivisione sul punto in cui dichiara in modo chiaro e netto che nelle polizze claims made è abusiva, e quindi nulla, la clausola che attribuisce all'assicuratore la facoltà di recedere dal contratto al verificarsi di un sinistro compreso nel rischio assicurato.
Opportuno è il richiamo agli obblighi informativi precontrattuali, ma probabilmente di scarso impatto pratico poiché è ragionevole ritenere che agli assicurati verranno date tutte le informazioni necessarie per comprendere il meccanismo di funzionamento delle clausole claims made e non è detto che venga taciuta la possibilità di negoziare il contenuto della clausola stessa (periodo di retroattività, ecc.).
Deludente è invece la sentenza nel punto più importante, che riguarda il controllo giudiziale sul regolamento d'interessi creato dalla clausola claims made. Al criterio dell'indagine sulla meritevolezza della clausola da condurre di volta in volta con riferimento alla fattispecie concreta, sponsorizzato dalla precedente sentenza, si sostituisce ora, avendo la clausola perduto la sua atipicità, il criterio del controllo sulla causa in concreto come adeguatezza del contratto agli interessi perseguiti in concreto dai contraenti. Il nuovo criterio pecca di astrattezza e non rappresenta un sostanziale progresso rispetto al precedente criterio della meritevolezza in termini di indicazioni empiriche fornite ai giudici di merito per valutare le clausole sottoposte al loro vaglio, così come rimane nel vago la suggerita analisi dell'assetto sinallagmatico del contratto assicurativo nel senso di indagare se lo scopo pratico del regolamento negoziale presenti un eventuale squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio. La prima sentenza delle Sezioni Unite aveva, almeno, dato alcune indicazioni distinguendo tra clausole "pure" e clausole" impure" e facendo intendere di non ritenere meritevoli di tutela, giustamente, le clausole che richiedono non solo che la richiesta di risarcimento all'assicurato sia pervenuta durante la vigenza della polizza, ma che anche il fatto dannoso si sia verificato durante questa vigenza.
La precedente sentenza aveva riconosciuto la necessità di una tutela "reale" dell'assicurato nel caso in cui la clausola claims made fosse risultata immeritevole di tutela e aveva visto questa tutela reale nella sostituzione automatica del primo comma dell'art. 1917 c.c. alla clausola immeritevole, tenuto conto che all'epoca di questa pronuncia non vi erano ancora norme imperative in tema di clausole claims made che portassero a diversa soluzione. La sentenza in commento, invece, nel caso di nullità anche parziale per difetto della causa in concreto rigetta la sostituzione della clausola con la disposizione di legge sopra richiamata e opta per una conformazione della clausola secondo le congruenti indicazioni di legge (art. 1419, comma 2, c.c.) oppure secondo il principio dell'adeguatezza del contratto allo scopo pratico perseguito dai contraenti. Mentre il primo dei due criteri è corretto, invece il secondo di essi rischia di aprire la porta ad un incontrollato intervento "correttivo" sullo statuto negoziale da parte del giudice al di fuori dei casi in cui un intervento conformativo sull'autonomia privata è consentito dall'ordinamento.
Sarebbe infine stata opportuna una qualche valutazione da parte delle Sezioni Unite di quella che a mio avviso è una delle maggiori criticità della clausola claims made, già messa in particolare risalto dalla sent. n. 10506/2017, e cioè che il meccanismo che dà ingresso alla copertura assicurativa, cioè la richiesta di risarcimento del danneggiato, non è nel dominio dell'assicurato, ma è rimessa alla volontà del danneggiato, che può liberamente decidere il momento in cui inviare al responsabile del danno una formale richiesta di risarcimento, il che è particolarmente pregiudizievole per l'assicurato quando il fatto dannoso si è verificato in prossimità di scadenza della polizza. La sentenza in commento osserva che l'art. 11 della legge sanitaria evoca lo schema della deeming clause facendo riferimento ad una "denuncia" del fatto dannoso all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. Ammesso che l'art. 11 citato possa essere interpretato in quel senso, resta il fatto che al di fuori della suddetta fattispecie una semplice denuncia dell'assicurato di un possibile fatto dannoso a lui imputabile non costituisce ancora un "sinistro" mancando una manifestazione di volontà del danneggiato di voler essere risarcito dall'assicurato. Tuttavia, se il danneggiato invia la correlativa richiesta di risarcimento pur qualche tempo dopo la scadenza della polizza, la precedente denuncia da parte dell'assicurato potrebbe essere valorizzata ai fini della copertura assicurativa dal momento che essa è comunque servita a far "emergere" il sinistro al pari di una dichiarazione di voler essere risarcito dall'assicurato, mentre se durante la vigenza della polizza non è pervenuta all'assicuratore neppure la denuncia dell'assicurato di un fatto possibile fonte di sua responsabilità, la posizione può essere archiviata dall'assicuratore ed eliminata dalle riserve tecniche.
In conclusione, una sentenza che ribadisce, come la precedente sentenza delle Sezioni Unite, la necessità di un controllo caso per caso sul contenuto negoziale della clausola claims made, ma che non dà un aiuto concreto ai giudici di merito e agli avvocati che dovranno confrontarsi con la clausola claims made.
D. Normativa
1. Legge 8 marzo 2017 n. 24.
Nota. Si vedano anche le altre norme citate nella sentenza delle Sezioni unite.
Art. 11. Estensione della garanzia assicurativa
1. La garanzia assicurativa deve prevedere una operativita' temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purche' denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione definitiva dell'attivita' professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattivita' della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilita' verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattivita' della copertura. L'ultrattivita' e' estesa agli eredi e non e' assoggettabile alla clausola di disdetta.
1 Cass. 28 aprile 2017, n. 10506, in questa Rivista, 2017, 383, con mia nota La clausola claims made e le sue alterne vicende nella giurisprudenza di legittimità, nonché in Danno e resp., 2017, 441 ss., con note di Xxxxxxxx - Pardolesi, Claims made, "code lunghe" e ostracismi giudiziali, di Monticelli, Il giudizio di immeritevolezza della claims made agli albori della tipizzazione della clausola, di Xxxxxxxxx, Polizze a regime claims made: quando il diverso ha difficoltà ad integrarsi, e di Greco, La clausola claims made tra vessatorietà e meritevolezza in concreto. L'erosione dell'autonomia contrattuale nell'interpretazione della giurisprudenza.
2 Ord. 2 marzo 2018, n. 4912, in questa Rivista, 2018, 261, con nota di Xxxxxxxx, "No contract is a island": nuovi spunti in tema di claims made (attendendo le Sezioni Unite).
3 La sentenza in commento ritrascrive, con adesione, il passo della precedente sentenza n. 9140/2016 in cui si osserva che "il rischio dell'aggressione del patrimonio dell'assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento".
4 La novella recita: "Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti. In ogni caso, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura. La disposizione di cui al periodo precedente si applica, altresì, alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione. A tal fine, a richiesta del contraente e ferma la libertà contrattuale, le compagnie assicurative propongono la rinegoziazione del contratto al richiedente secondo le nuove condizioni di premio".
5 Per riferimenti ad ordinamenti stranieri cfr. Fornasari, In attesa delle Sezioni Unite: brevi note circa la disciplina della clausola claims made in Francia e in Germania, in Resp. civ. prev., 2018, 723 ss.; Xxxx, Le clausole claims made nell'assicurazione della responsabilità civile, tra resistenze giudiziali e coperture obbligatorie, in Contr. e impr., 2018, 1084-1086.
6 Con testuale richiamo all'art. 1419, comma 2, c.c.
7 La sentenza in commento richiama "l'asimmetria della posizione delle parti ovvero, per certi rapporti, l'operatività di in meccanismo penalizzante all'esordio e allo scadere della garanzia contrattuale", specificando che tali criticità "non evaporano per il solo fatto che quel giudizio [di meritevolezza] più non s'imponga come tale".
8 Ad esempio, se la clausola prevede una retroattività triennale, essa è inadeguata ai concreti interessi di un assicurato che sia amministratore di società, il quale resta esposto ad eventuali responsabilità per un periodo quinquennale decorrente dalla cessazione dalla carica. Se la clausola prevede una retroattività quinquennale, essa è inadeguata ai concreti interessi di un professionista ingegnere o architetto i quali lavorano nel campo immobiliare, dal momento che la loro eventuale responsabilità si prescrive in un decennio dal compimento dell'opera (art. 1669 c.c.). Per alcune osservazioni in tema di verifica di congrua retroattività della clausola claims made inserita in una polizza per la responsabilità professionale rinvio alla mia nota La clausola claims made nella sentenza delle Sezioni Unite, in questa Rivista, 2016, 769.
9 Per la critica a due sentenze di merito che avevano "manipolato" la clausola in quanto avevano circoscritto l'immeritevolezza, e quindi la nullità, della clausola solo a quella porzione di essa che contemplava una retroattività limitata della copertura e avevano sostituito tale porzione con una retroattività decennale, salvando la parte residua della clausola, cfr. il mio commento citato a nt. 1, 390-391.
10 È agevole prevedere l'obbiezione: l'assicurato, ricevuta la dichiarazione di recesso, può sempre rivolgersi ad altro assicuratore per procurarsi una copertura assicurativa in luogo di quella di cui è stato privato. Si può rispondere: egli dovrà rendere edotto il nuovo assicuratore del sinistro che ha portato il precedente assicuratore a recedere dal contratto e questa circostanza influirà negativamente sul premio, se addirittura non indurrà il nuovo assicuratore a rifiutare la copertura tenuto conto che all'obbligo di assicurarsi non corrisponde un simmetrico obbligo dell'assicuratore di assicurare l'interessato.
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Giappichelli Formazione