CAPO I
TITOLO I DISPOSIZIONI GENERALI
CAPO I
▪ Campo di applicazione (Artt. 1 e 3, comma 2 CCNL del 22/1/2004)
▪ Durata, decorrenza, tempi e procedure di applicazione del contratto (Art. 2 CCNL del 22/1/2004)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
CAPO I
Campo di applicazione (Art. 1 CCNL 22.1.2004)
1. Il presente contratto collettivo nazionale si applica a tutto il personale – esclusi i dirigenti - con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato, dipendente da tutti gli enti del comparto delle regioni e delle autonomie locali indicate dall'art. 10, comma 1, del CCNQ sulla definizione dei comparti di contrattazione collettiva del 18 dicembre 2002, di seguito denominati ”enti”.
2. Al personale delle IPAB, ancorchè interessato da processi di riforma e trasformazione, si applica il CCNL del comparto regioni e autonomie locali sino alla individuazione o definizione, previo confronto con le organizzazioni sindacali nazionali firmatarie del presente contratto, della nuova e specifica disciplina contrattuale nazionale del rapporto di lavoro del personale.
3. Al restante personale del comparto soggetto a processi di mobilità in conseguenza di provvedimenti di soppressione, fusione, scorporo, trasformazione e riordino, ivi compresi i processi di privatizzazione, riguardanti l’ente di appartenenza, si applica il contratto collettivo nazionale del comparto delle regioni e delle autonomie locali, sino alla individuazione o definizione, previo confronto con le organizzazioni sindacali nazionali firmatarie del presente CCNL, della nuova e specifica disciplina contrattuale del rapporto di lavoro del personale.
4. Il riferimento al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni ed integrazioni è riportato nel testo del presente contratto come X.Xxx.n.165 del 2001.
(Art. 3 CCNL 22.1.2004)
1. ……….. omissis ……….
2. Gli enti assumono le iniziative ricomprese nella disciplina dell’art. 1, comma 2 e 3, nel rispetto delle previsioni sulle relazioni sindacali del CCNL dell’1.4.1999.
Xxxxxx, decorrenza, tempi e procedure di applicazione del contratto (Art.2 CCNL 22.1.2004)
1. Il presente contratto concerne il periodo 1 gennaio 2002 - 31 dicembre 2005 per la parte normativa ed è valido dall'1 gennaio 2002 fino al 31 dicembre 2003 per la parte economica.
2. Gli effetti del presente contratto decorrono dal giorno successivo alla data di stipulazione, salvo specifica e diversa prescrizione e decorrenza espressamente prevista dal contratto stesso.
3. Gli istituti a contenuto economico e normativo aventi carattere vincolato ed automatico sono applicati dagli enti destinatari entro 30 giorni dalla data di stipulazione del contratto di cui al comma 2.
4. Il presente contratto, alla scadenza, si rinnova tacitamente di anno in anno qualora non ne sia data disdetta da una delle parti con lettera raccomandata, almeno tre mesi prima di ogni singola scadenza. In caso di disdetta, le disposizioni contrattuali rimangono integralmente in vigore fino a quando non siano sostituite dal successivo contratto collettivo.
5. Per evitare periodi di vacanza contrattuale, le piattaforme sono presentate tre mesi prima della scadenza del contratto. Durante tale periodo e per il mese successivo alla scadenza del contratto, le parti negoziali non assumono iniziative unilaterali né procedono ad azioni dirette.
6. Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a tre mesi dalla data di scadenza della parte economica del presente contratto o a tre mesi dalla data di presentazione delle piattaforme, se successiva, ai dipendenti del comparto sarà corrisposta la relativa indennità secondo le scadenze stabilite dall'Accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993. Per le modalità di erogazione di detta indennità, l’ARAN stipula apposito accordo ai sensi degli artt. 47 e 48, commi
1, 2, 3, 4 e 5 del D.Lgs.n.165/2001.
In sede di rinnovo biennale per la parte economica, ulteriore punto di riferimento del negoziato sarà costituito dalla comparazione tra l'inflazione programmata e quella effettiva intervenuta nel precedente biennio, secondo quanto previsto dal citato Accordo del 23 luglio 1993.
Dichiarazione congiunta n. 2 Allegata al CCNL del 22.1.2004
Le parti concordano nell’affermare che tutti gli adempimenti attuativi della disciplina dei contratti collettivi di lavoro sono riconducibili alla più ampia nozione di “attività di gestione delle risorse umane” affidate alla competenza dei dirigenti o dei responsabili dei servizi che vi provvedono mediante adozione di atti di diritto comune, con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, secondo la disciplina dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e nel rispetto dei vincoli previsti dal sistema delle relazioni sindacali.
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
104-2A. Indennità di vacanza contrattuale
104-2A1. L’indennità di vacanza contrattuale ha natura retributiva o natura risarcitoria? Quali sono i presupposti per il suo pagamento ? L’indennità di vacanza contrattuale è una sorta di anticipo sui futuri incrementi contrattuali e, come tale, ha natura retributiva. Del resto, lo stesso Ministero del Tesoro con circolare n. 52 del 21.6.1994 si è espresso nel senso che essa “... rappresenta un elemento provvisorio della retribuzione da definire e conguagliare in sede di accordo contrattuale...”.
Detto anticipo è oggi disciplinato dall’art.2, comma 6, del CCNL del 22.1.2004. In tale sede si specifica che l’indennità di vacanza contrattuale può essere erogata esclusivamente previa stipula da parte dell’ARAN di apposito accordo che, peraltro, deve seguire la procedura dell’art.48 del D.Lgs. 165/2001.
La concessione di tale “acconto” non può dunque essere autonomamente corrisposta dal singolo Ente, rientrando nelle scelte strategiche e negli obiettivi generali della contrattazione collettiva nazionale.
Ricordiamo, inoltre, che ai sensi dell’art.2, comma 3, del D.Lgs.165/2001 “l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi”.
104-2B. Pagamento arretrati
104-2B1. Il pagamento degli arretrati contrattuali rientra tra gli adempimenti a carattere vincolato ed automatico che gli enti sono tenuti a porre in essere entro i 30 giorni successivi alla sottoscrizione
definitiva del CCNL del 22.1.2004?
Si, in quanto tale pagamento si collega ad una mera operazione di calcolo, che esclude ogni ulteriore valutazione o attività discrezionale del datore di lavoro pubblico.
104-2B2. L’amministrazione deve calcolare e pagare sugli arretrati da corrispondere anche gli interessi legali oppure su detti arretrati gli interessi non maturano?
Il CCNL non si occupa degli interessi legali. Suggeriamo di evitare ritardi ingiustificati nel pagamento delle nuove retribuzioni e dei relativi conguagli e di rispettare il periodo di 30 giorni stabilito dal CCNL.
Pagamenti ulteriormente ritardati, infatti, potrebbero creare le condizioni per l’insorgenza di una eventuale responsabilità dei datori di lavoro, non limitata al solo profilo degli interessi legali!
104-2C. Efficacia clausole contrattuali
104-2C1. Bisogna ricalcolare la tredicesima mensilità, secondo la nuova disciplina dell’art 43 del CCNL del 22.01 2004, nei confronti del personale già cessato dal servizio nel corso del 2003? ll riproporzionamento dell’indennità di posizione e di risultato per le posizioni organizzative a tempo parziale ha valenza retroattiva?
No. Le clausole contrattuali, e quindi anche quelle dell’art.11 e dell’art.23 del ccnl del 22.1. 2004, in conformità agli ormai consolidati principi generali in materia di contrattazione, non hanno efficacia retroattiva e, pertanto, producono
i loro effetti solo dal giorno successivo alla definitiva sottoscrizione del CCNL. L’efficacia retroattiva è possibile solo nei casi in cui le medesime clausole contrattuali espressamente la prevedano, come avviene, ad esempio, per gli incrementi stipendiali.
104-2C2. In relazione all’art. 1 commi 2 e 3 del CCNL del 22/01/2004, una IPAB , trasformatasi in Ente di natura giuridica privata, sulla base delle previsioni della legislazione regionale vigente in materia, può applicare il contratto UNEBA ai dipendenti in servizio e a quelli che saranno assunti in futuro oppure deve continuare ad applicare il CCNL del comparto Regioni-Autonomie Locali?(aggiornato al 16/11/2005)
L’art.1, comma 2 (ma il discorso vale anche per il comma 3), del CCNL del 22.1.2004 è finalizzato, come si evince dalla sua formulazione letterale, esclusivamente ad apprestare, a garanzia della sua posizione economica e giuridica, una tutela di breve periodo al personale degli enti soggetti a processi di riforma o di trasformazione, comportanti anche la fuoriuscita degli stessi dal settore pubblico, destinata ad operare solo fino al momento della definizione da parte degli organi dirigenti, nel rispetto delle relazioni sindacali previste, della nuova fonte contrattuale nazionale da applicare al suddetto personale.
Tale tutela, evidentemente, non può non trovare applicazione anche nei
confronti del personale assunto nella fase di transizione, in attesa della individuazione della nuova fonte contrattuale applicabile.
Conseguentemente, la disciplina dell’art.1, commi 2 e 3, del citato CCNL del 22.1.2004 non può in nessun caso essere intesa come una direttiva rivolta agli enti nel senso di continuare ad applicare al proprio personale, in modo stabile e duraturo, il CCNL del Comparto Regioni – Autonomie Locali.
In proposito, si ritiene opportuno aggiungere anche che, ad avviso della scrivente Agenzia, l’individuazione della fonte collettiva effettivamente applicabile nel nuovo contesto privatistico, conseguente alla riforma (nuovo contratto collettivo specifico per tale tipologia di personale o semplice riferimento a contratti collettivi già esistenti), non possa avvenire al livello di singola IPAB ma, nell'ambito della complessiva normativa generale di riferimento della legge n.328/2000 e del D.Lgs.n.207/2001, con la partecipazione dei soggetti istituzionali da questa previsti e nel rispetto delle loro competenze.
TITOLO II
IL SISTEMA DELLE RELAZIONI SINDACALI
CAPO I OBIETTIVI E MODELLI RELAZIONALI
▪ Conferma sistema relazioni sindacali (art. 3 CCNL 22/1/2004)
▪ Obiettivi e strumenti (Art. 3 CCNL del 1/4/1999)
▪ Contrattazione collettiva decentrata integrativa a livello di ente (Art. 4 CCNL del 1/4/1999)
▪ Tempi e procedure per la stipulazione o il rinnovo del contratto collettivo decentrato integrativo (Art. 5 CCNL del 1/4/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN GIURISPRUDENZA
▪ Contrattazione collettiva decentrata integrativa di livello territoriale (Art. 6 CCNL del 1/4/1999)
▪ Informazione (Art. 7 CCNL del 1/4/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Concertazione (Art. 8 CCNL del 1/4/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Relazioni sindacali (Art. 16 CCNL del 31/3/1999)
▪ Relazioni Sindacali nelle Unioni di Comuni (Art. 7 CCNL 22.1.2004)
▪ Monitoraggio e verifiche (Art. 25 CCNL del 1/4/1999)
▪ Pari opportunità (Art. 19 CCNL del 14/9/2000)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
CAPO II SOGGETTI SINDACALI
▪ Soggetti sindacali nei luoghi di lavoro (Art. 9 CCNL del 1/4/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Composizione delle delegazioni (Art.10 CCNL del 1/4/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
CAPO III DIRITTI E PREROGATIVE SINDACALI
▪ Diritto di assemblea (Art. 56 CCNL del 14/9/2000)
▪ Contributi sindacali (Art. 12 bis CCNL del 6/7/1995 (aggiunto dall’art. 2 CCNL del 13/5/1996)
▪ Disciplina a livello territoriale dei permessi sindacali (Art. 23 CCNL del 5/10/2001)
▪ Interpretazione autentica (Art.9 CCNL 22.1.2004)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
CAPO IV PREVENZIONE DELLA CONFLITTUALITA'
▪ Clausole di raffreddamento (Art. 11 CCNL del 1/4/1999)
▪ Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing (art.8 CCNL 22.1.2004)
CAPO I
OBIETTIVI E MODELLI RELAZIONALI
Conferma sistema relazioni sindacali (Art.3 CCNL 22.1.2004)
1. Si conferma il sistema delle relazioni sindacali previsto dal CCNL dell’1.4.1999 con le modifiche riportate ai seguenti articoli.
2. Gli enti assumono le iniziative ricomprese nella disciplina dell’art. 1, comma 2 e 3, nel rispetto delle previsioni sulle relazioni sindacali del CCNL dell’1.4.1999.
Obiettivi e strumenti (Art. 3 CCNL del 1/4/1999)
1. Il sistema delle relazioni sindacali, nel rispetto dei distinti ruoli e responsabilità degli enti e dei sindacati, è definito in modo coerente con l'obiettivo di contemperare l'esigenza di incrementare e mantenere elevate l'efficacia e l'efficienza dei servizi erogati alla collettività, con l'interesse al miglioramento delle condizioni di lavoro e alla crescita professionale del personale.
2. Il predetto obiettivo comporta la necessità di un sistema di relazioni sindacali stabile, che si articola nei seguenti modelli relazionali:
a)contrattazione collettiva a livello nazionale;
b)contrattazione collettiva decentrata integrativa sulle materie e con le modalità indicate dal presente contratto;
c)contrattazione decentrata integrativa a livello territoriale, con la partecipazione di più enti, secondo la disciplina degli artt. 5 e 6; interpretazione autentica dei contratti collettivi, secondo la disciplina dell’art. 13 del CCNL del 6.7.1995;
d)concertazione ed informazione.
Contrattazione collettiva decentrata integrativa a livello di ente (Art. 4 CCNL del 1/4/1999)
1. In ciascun ente, le parti stipulano il contratto collettivo decentrato integrativo utilizzando le risorse di cui all’art. 15 nel rispetto della disciplina, stabilita dall’art.17.
2. In sede di contrattazione collettiva decentrata integrativa sono regolate le seguenti materie:
a) i criteri per la ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie, indicate nell’art. 15, per le finalità previste dall’art. 17, nel rispetto della disciplina prevista dallo stesso articolo 17;
b) i criteri generali relativi ai sistemi di incentivazione del personale sulla base di obiettivi e programmi di incremento della produttività e di miglioramento della qualità del servizio; i criteri generali delle metodologie di valutazione basate su indici e standard di valutazione ed i criteri di ripartizione delle risorse destinate alle finalità di cui all’art.17, comma 2, lett. a);
c) le fattispecie, i criteri, i valori e le procedure per la individuazione e la corresponsione dei compensi relativi alle finalità previste nell’art. 17, comma 2, lettere e), f), g);
d) i programmi annuali e pluriennali delle attività di formazione professionale, riqualificazione e aggiornamento del personale per adeguarlo ai processi di innovazione;
e) le linee di indirizzo e i criteri per la garanzia e il miglioramento dell’ambiente di lavoro, per gli interventi rivolti alla prevenzione e alla sicurezza sui luoghi i lavoro, per l’attuazione degli adempimenti rivolti a facilitare l’attività dei dipendenti disabili ;
f) implicazioni in ordine alla qualità del lavoro e alla professionalità dei dipendenti in conseguenza delle innovazioni degli assetti organizzativi, tecnologiche e della domanda di servizi;
g) le pari opportunità, per le finalità e con le procedure indicate dall’art. 28 del DPR 19 novembre 1990, n. 333, anche per le finalità della legge 10 aprile 1991, n. 125;
h) i criteri delle forme di incentivazione delle specifiche attività e prestazioni correlate alla utilizzazione delle risorse indicate nell’art. 15, comma 1, lettera k);
i) le modalità e le verifiche per l’attuazione della riduzione d’orario di cui all’art.22;
l) le modalità di gestione delle eccedenze di personale secondo la disciplina e nel rispetto dei tempi e delle procedure dell’art. 35 del D.Lgs. 29/93(Ora art.33 del D.Lgs. 165/2001);
m) criteri generali per le politiche dell’orario di lavoro.
3. La contrattazione collettiva decentrata integrativa riguarda, altresì, le materie previste dall’art. 16, comma 1, del CCNL stipulato in data 31.3.1999.
4. Xxxxx restando i principi dell’autonomia negoziale e quelli di comportamento indicati dall’art.3, comma 1, decorsi trenta giorni dall’inizio delle trattative, eventualmente prorogabili in accordo tra le parti fino ad un massimo di ulteriori trenta giorni, le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione, limitatamente alle materie di cui al comma 2, lett. d), e), f), ed m).
5. I contratti collettivi decentrati integrativi non possono essere in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o comportare oneri non previsti rispetto a quanto indicato nel comma 1, salvo quanto previsto dall’art. 15, comma 5, e dall’art. 16. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.
Tempi e procedure per la stipulazione o il rinnovo del contratto collettivo decentrato integrativo
(Art. 5 CCNL del 1/4/1999)
ATTENZIONE
Articolo così sostituito dall’art. 4 del CCNL del 22.1.2004
1. I contratti collettivi decentrati integrativi hanno durata quadriennale e si riferiscono a tutti gli istituti contrattuali rimessi a tale livello, da trattarsi in un'unica sessione negoziale. Sono fatte salve le materie previste dal presente CCNL che, per loro natura, richiedano tempi di negoziazione diversi o verifiche periodiche essendo legate a fattori organizzativi contingenti. Le modalità di utilizzo delle risorse, nel rispetto della disciplina del CCNL, sono determinate in sede di contrattazione decentrata integrativa con cadenza annuale.
2. L'ente provvede a costituire la delegazione di parte pubblica abilitata alle trattative di cui al comma 1 entro trenta giorni da quello successivo alla data di stipulazione del presente contratto ed a convocare la delegazione sindacale di cui all' art.10, comma 2, per l'avvio del negoziato, entro trenta giorni dalla presentazione delle piattaforme.
Le amministrazioni possono anche avvalersi dell’assistenza dell’ARAN,
ai sensi dell’art. 46, comma 2 del D. Lgs. 165/2001. Si vedano, in proposito, gli specifici orientamenti applicativi collocati in calce al presente articolo.
3. Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva decentrata integrativa con i vincoli di bilancio e la relativa certificazione degli oneri sono effettuati dal collegio dei revisori dei conti ovvero, laddove tale organo non sia previsto, dai servizi di controllo interno secondo quanto previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 30 luglio 1999 n. 286. A tal fine, l'ipotesi di contratto collettivo decentrato integrativo definita dalla delegazione trattante è inviata entro 5 giorni a tali organismi, corredata da apposita relazione illustrativa tecnico finanziaria. In caso di rilievi da parte dei predetti organismi, la trattativa deve essere ripresa entro cinque giorni. Trascorsi 15 giorni senza rilievi, l’organo di governo dell’ente autorizza il presidente della delegazione trattante di parte pubblica alla sottoscrizione definitiva del contratto.
4. I contratti collettivi decentrati integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione. Essi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione, presso ciascun ente, dei successivi contratti collettivi decentrati integrativi.
Gli enti sono tenuti a trasmettere all'ARAN, entro cinque giorni dalla sottoscrizione definitiva, il testo contrattuale con la specificazione delle modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio.”
Dichiarazione congiunta n. 4 Allegata al CCNL del 22.1.2004
Le parti concordano sull’opportunità di sensibilizzare gli enti del comparto affinché adottino tutte le iniziative, nel rispetto di quanto espressamente previsto dall’art.10, comma 7, del CCNQ del 7.8.1998, affinché i diversi livelli di relazioni sindacali previsti dalla vigente contrattazione collettiva nazionale si svolgano al di fuori dell’orario di lavoro, in modo da assicurare il corretto svolgimento delle relazioni sindacali stesse, evitando ogni possibile ricaduta negativa connessa alla fruibilità delle prerogative sindacali.
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
499-5A. Limiti della contrattazione integrativa.
499-5A1. Quali sono i limiti della contrattazione decentrata integrativa?
L’art. 40, comma 3 del D.Lgs.n.165/2001 prevede espressamente che la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti
dai contratti collettivi nazionali .... Le amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”.
Tale disciplina è ribadita dall’art. 4, comma 5 del CCNL dell’1.4.1999, che ha aggiunto al vincolo legislativo anche un vincolo pattizio.
Quest’ultima circostanza consente di affermare che entrambe le parti negoziali, ossia XXXX e XX.XX., hanno condiviso e sottoscritto un formale vincolo per il rispetto di tale previsione, vincolo che dovrebbe tradursi in comportamenti coerenti in tutte le sedi di negoziazione, secondo i principi di correttezza, buona fede e affidabilità che devono caratterizzare la fase applicativa dei negozi giuridici.
Non v’è dubbio, pertanto, che le materie oggetto di contrattazione integrativa siano solo quelle indicate tassativamente nell’art. 4 del CCNL dell’1.4.1999 (cui si devono aggiungere quelle recate dal CCNL del 14.9.2000 e dagli altri CCNL), che gli oneri spendibili siano solo quelli risultanti dal CCNL e che nel caso in cui il contratto decentrato integrativo dovesse riguardare anche altre materie o comportare oneri aggiuntivi le relative clausole sono nulle con la conseguente responsabilità di chi le ha sottoscritte e di chi ha dato loro applicazione.
Ad ulteriore conferma di quanto precisato, l’art.8 del CCNL dell’1.4.1999, nel testo modificato dall’art.6 del CCNL del 22.1.2004, ribadisce che “la procedura di concertazione, nelle materie ad essa riservate non può essere sostituita da altri modelli di relazioni sindacali”; questo significa che se una materia è oggetto di concertazione non è assolutamente possibile farla diventare oggetto di contrattazione integrativa; quest’ultima può svolgersi solo sulle materie ad essa espressamente demandate dal CCNL.
499-5A2. E’ possibile contrattare i criteri per la individuazione delle posizioni organizzative di cui agli artt. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999 e dei relativi oneri?
Tenuto conto di quanto affermato alla precedente risposta, per quanto riguarda il problema specifico della individuazione delle posizioni organizzative e dei relativi oneri questa materia è stata demandata esclusivamente alle autonome determinazioni degli enti, sia pure con il vincolo della sola concertazione per gli aspetti relativi ai criteri generali sulla graduazione delle funzioni e sulle modalità di affidamento e revoca degli incarichi.
Quanto sopra vale anche per le alte professionalità; infatti, l’art.10, comma 3 del CCNL del 22.1.2004 stabilisce espressamente che gli enti adottano atti organizzativi di diritto comune per disciplinare diversi aspetti degli incarichi di alta professionalità nel rispetto del sistema di relazioni sindacali vigente.
499-5A3. Le clausole dei contratti decentrati che prevedono passaggi automatici per tutti sono nulle? Quale responsabilità fa carico ai dirigenti che le applicano?
Confermiamo la nostra valutazione secondo la quale le clausole del contratto
decentrato che prevedono passaggi economici orizzontali con criteri automatici e non selettivi e meritocratici, possono essere viziate di nullità, ai sensi dell'art. 40, comma 3 ultimo periodo, del D. Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 4, comma 5, del CCNL dell'1.4.1999.
Più complesso è il discorso sulle responsabilità che potrebbero far carico ai soggetti che hanno sottoscritto il contratto o che vi hanno dato esecuzione.
Se la astensione dalla firma evita il primo caso, l'eventuale pagamento delle somme spettanti ai dipendenti potrebbe anche far ipotizzare un coinvolgimento nel percorso applicativo.
499-5A4. Le selezioni interne, per la progressione verticale, possono essere disciplinate in sede di contrattazione decentrata?
Le selezioni interne (o concorsi interni), ex art.4 del CCNL del 31.3.1999, non sono oggetto di contrattazione decentrata. Xxxxxx, esclusivamente ed autonomamente, al singolo ente disciplinare, previa concertazione, i relativi requisiti di partecipazione e i criteri di valutazione e selezione, secondo i principi generali di ragionevolezza, correttezza e buona fede.
499-5A5. Per l’individuazione e la graduazione delle posizioni organizzative di cui agli artt. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999 è necessaria la contrattazione integrativa decentrata ?
L’individuazione e graduazione delle posizioni organizzative di cui agli artt. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999 è stata demandata esclusivamente alle autonome determinazioni degli enti sia pure con il vincolo della concertazione (modello relazionale ben diverso dalla contrattazione) per gli aspetti relativi ai criteri generali per la graduazione delle funzioni e per le modalità di affidamento e revoca degli incarichi [art. 17, comma 2 lettera c) del CCNL dell’1.4.1999; art. 16, comma 2 lettere b) e c) del CCNL del 31.3.1999, espressamente richiamato dall’art. 8, comma 1 del CCNL dell’1.4.1999].
Le materie oggetto di contrattazione sono solo quelle indicate nell’art. 4 del CCNL dell’1.4.1999 e un contratto integrativo decentrato che riguardasse materie non demandate a tale livello di contrattazione, sarebbe nullo ai sensi dell’art. 40, comma 3 del D. Lgs. 165/2001: pertanto, non solo l’ente non ha necessità di stipulare un contratto integrativo con le XX.XX. per l’individuazione e la graduazione delle posizioni organizzative, ma ha l’obbligo di non farlo, a pena di nullità del contratto integrativo eventualmente sottoscritto.
Quanto sopra vale anche per le alte professionalità; infatti, l’art.10, comma 3 del CCNL del 22.1.2004 stabilisce espressamente che gli enti adottano atti organizzativi di diritto comune per disciplinare diversi aspetti degli incarichi di alta professionalità nel rispetto del sistema di relazioni sindacali vigente, che è quello sopradescritto.
499-5A6. E’ possibile disciplinare la reperibilità con un apposito accordo decentrato ?
La reperibilità non forma in alcun modo oggetto di contrattazione decentrata
integrativa; questa, infatti, può svolgersi solo sulle materie ad essa demandate dalla contrattazione collettiva nazionale e la disciplina della reperibilità non risulta in alcun modo essere stata demandata a tale sede negoziale, si coglie l’occasione per ricordare che l’art. 40, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 espressamente sanziona con la nullità le clausole dei contratti decentrati in contrasto con i contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennali di ciascuna amministrazione.
499-5A7. Il contratto integrativo decentrato può introdurre delle ipotesi di permesso retribuito per l’effettuazione di visite mediche ed accertamenti diagnostici ?
Escludiamo nel modo più assoluto che il contratto integrativo decentrato possa introdurre ipotesi di permesso retribuito non previste dal CCNL; la materia non figura tra quelle oggetto di contrattazione integrativa (ricordiamo che l’art.40, comma 3 del D.Lgs.165/2001 stabilisce che “… la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono … . Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.” ).
499-5A8. Il contratto integrativo decentrato può introdurre specifici compensi, non previsti dal CCNL, per lo svolgimento di servizi serali, notturni e festivi da parte della polizia municipale ? E’ possibile realizzare progetti finalizzati che xxxxxxxxxx solo la polizia municipale ? Ai sensi dell’art.2, comma 3 del D.Lgs.165/2001, l’attribuzione di trattamenti economici al personale può avvenire “…esclusivamente mediante contratti collettivi …”, mentre l’art.40, comma 3 dello stesso decreto legislativo
stabilisce che “ la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali …. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.” Riteniamo che non possa esservi alcun dubbio, alla luce delle richiamate disposizioni imperative di legge, che il contratto integrativo decentrato non possa istituire compensi non espressamente previsti dal CCNL.
Il CCNL non prevede alcun compenso forfetario per le attività serali, notturne e festive della polizia municipale; gli unici compensi erogabili sono solo quelli previsti dal CCNL che rappresenta, per gli enti, l’inderogabile quadro di riferimento.
Quanto alla possibilità di realizzare specifici progetti finalizzati per la polizia municipale, non c’è, ovviamente, nessun problema, a condizione che siano rispettate le previsioni dell’art.17 del CCNL dell’1.4.1999.
Pertanto:
• detti progetti devono essere finalizzati a promuovere effettivi e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza, di efficacia e di qualità dei servizi;
• i relativi compensi debbono essere correlati al merito e all’impegno di gruppo per centri di costo e/o individuale, in modo selettivo e secondo i risultati accertati dal sistema permanente di valutazione.
Sull’inderogabilità dei vincoli derivanti dal CCNL e sulle responsabilità che ne possono conseguire, consigliamo anche di consultare la sentenza della Corte dei Conti, Sez. Campania n. 79/2001 del 25.1.2001.
499-5A9. E' lecito stabilire in un contratto integrativo decentrato che, in caso di prolungata assenza per infortunio, il dipendente abbia comunque diritto a percepire il 75% delle quota ipotetica di produttività attribuibile ad un dipendente di pari categoria?
L'art.37 del CCNL del 22.1.2004 ha chiarito che l'attribuzione dei compensi di "produttività" è strettamente correlata ad effettivi incrementi della produttività e di miglioramento quali - quantitativo dei servizi da intendersi, per entrambi gli aspetti, come risultato aggiuntivo apprezzabile rispetto al risultato atteso dalla normale prestazione lavorativa.
Il pagamento di detti compensi può avvenire solo a conclusione del periodico processo di valutazione delle prestazioni e dei risultati nonché in base al livello di conseguimento degli obiettivi predefiniti nel PEG o negli analoghi strumenti di programmazione degli enti.
La valutazione delle prestazioni e dei risultati spetta ai competenti dirigenti (nel rispetto dei criteri e delle prescrizioni definiti dal sistema di valutazione adottato); il livello di conseguimento degli obiettivi è certificato dal servizio di controllo interno.
Lo stesso articolo stabilisce, infine, che non è consentita la attribuzione generalizzata dei compensi per produttività sulla base di automatismi comunque denominati.
Alla luce delle chiare, inequivocabili e vincolanti previsioni contrattuali, non riteniamo possibile stabilire che, in caso di prolungata assenza per infortunio, il dipendente abbia comunque diritto a percepire il 75% delle quota ipotetica di produttività attribuibile ad un dipendente di pari categoria: l'erogazione dei compensi di produttività non è legata alla presenza o all'assenza dal servizio né a valutazioni di tipo ipotetico ma dipende esclusivamente dai risultati effettivamente conseguiti, nei termini sopra precisati.
Per completezza, è forse il caso di chiarire che le clausole dei contratti integrativi in contrasto con i vincoli risultanti dal CCNL sono nulle e non possono essere applicate (art.40, comma 3 del D.Lgs.165/2001).
499-5A10. E’ possibile stabilire in sede di contrattazione decentrata integrativa la concessione di permessi brevi per motivi di salute senza
obbligo di recupero, oppure ciò è in contrasto con il disposto dell’art. 20 del CCNL 6/7/1995?(aggiornato al 16/11/2005)
In base all'art. 40, comma 3, del D.Lgs.n.165/2001 “…..La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali .... Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate".
Tale disciplina è ribadita anche dall'art. 4, comma 5, del CCNL dell'1.4.1999, che ha aggiunto al vincolo legislativo anche un vincolo pattizio.
Nessuna disposizione dei vigenti CCNL del Comparto Regioni – Autonomie Locali autorizza il secondo livello di contrattazione a ridefinire la disciplina delle cause di sospensione e di interruzione del rapporto di lavoro.
Inoltre, l’art.17 del CCNL dell’1.4.1999 non autorizza in alcun modo l’utilizzo delle risorse decentrate per la copertura degli oneri connessi al riconoscimento, in sede locale, di nuove forme di assenza; infatti, anche le assenze dal lavoro rappresentano un costo per l’ente, per cui un eventuale ampliamento degli istituti comportanti un numero maggiore di ore o di giorni di assenza rispetto alle previsioni del CCNL (ove fosse ammessa la loro negoziabilità in sede decentrata integrativa) dovrebbe trovare sempre la necessaria copertura nelle risorse decentrate disponibili.
499-5B. Responsabilità
499-5B1. Quali sono le possibili conseguenze per i sottoscrittori di un contratto integrativo decentrato contenente clausole che non rispettano i vincoli del contratto collettivo nazionale ? Quali quelle per i dirigenti che diano applicazione a tali clausole ? E’ possibile un intervento ispettivo dell’Aran ?
La nostra Agenzia non dispone di poteri ispettivi e di verifica in ordine ai contenuti dei contratti decentrati stipulati dagli enti nell'ambito dell'autonomia negoziale riconosciuta dal D Lgs. n. 165 del 2001 e del CCNL dell'1.4.1999 e sue successive integrazioni.
Riteniamo doveroso, peraltro, richiamare l'attenzione di tutti gli enti e in modo particolare dei dirigenti preposti alla gestione del personale e delle risorse finanziarie, sui vincoli molto rigidi posti dall'art. 40, comma 3, del d. lgs. n. 165 e dall'art. 4, comma 5, del CCNL dell'1.4.1999.
Entrambe le citate fonti legali e contrattuali affermano, infatti, l'obbligo, per i contratti decentrati, di attenersi ai vincoli (sia per le materie che per le risorse) dal contratto collettivo nazionale; tale obbligo è sanzionato con la dichiarazione di nullità delle clausole difformi le quali non possono essere applicate.
Appare evidente, quindi, che il divieto di applicazione delle clausole difformi è rivolto non tanto ai sottoscrittori del contratto decentrato ma più propriamente ai dirigenti preposti ai servizi interessati che sono tenuti ad un comportamento
di cautela in presenza di situazioni corrispondenti a quelle ipotizzate dalle fonti sopra citate.
Comprendiamo, peraltro, la effettiva difficoltà in cui viene a trovarsi un dirigente nella situazione esposta; ciò non toglie che l'incarico ricoperto, in qualche circostanza, richiede anche una certa dose di coraggio e di coerenza. Un atteggiamento del tutto passivo ed acquiescente, infatti, a nostro avviso, potrebbe creare anche le condizioni per una personale e diretta responsabilità, civile e contabile, sia in ordine al non corretto utilizzo delle risorse pubbliche sia in ordine ai vantaggi o agli svantaggi ingiustamente riconosciuti ai dipendenti interessati.
Suggeriamo, in queste circostanze, di rappresentare chiaramente all'ente la eventuale esistenza di discipline che potrebbero rientrare nei vincoli e nelle sanzioni sopra citate, offrendo anche il proprio contributo per la individuazione di comportamenti legittimi che possano consentire la corretta soluzione delle situazioni oggetto di controversia.
Segnaliamo, infine, la opportunità di procedere ad una attenta e puntuale verifica delle clausole in contestazione, anche attraverso l'apporto di soggetti terzi, al fine di accertare il loro effettivo contrasto con i vincoli del contratto nazionale.
499-5C. Poteri organi di governo.
499-5C1. Durante le fasi negoziali, finalizzate alla stipula del contratto decentrato, quali sono i compiti e i poteri della Giunta? che ruolo esercita l’organo di governo nei confronti della delegazione trattante? La Giunta comunale svolge, in sede decentrata, un ruolo analogo a quello svolto a livello nazionale dal Comitato di settore; pertanto, formula le direttive e fissa gli obiettivi per la delegazione trattante. Dall’altro lato, la delegazione trattante informa periodicamente la Giunta in ordine all'andamento delle trattative; quest’ultima, infatti, ha il diritto di valutare i risultati della trattativa come risultano formalizzati attraverso l'ipotesi di accordo sottoscritta dalla delegazione trattante di parte pubblica e dalla delegazione sindacale.
La Giunta può entrare nel merito delle scelte concordate e può, naturalmente, dissentire da alcune di esse quando le ritenga non coerenti con le direttive e gli obiettivi prefissati; per questi motivi la Giunta può non autorizzare la sottoscrizione definitiva della ipotesi di accordo e richiedere, di conseguenza, la riapertura delle trattative per la riformulazione di una nuova ipotesi di accordo. Nel caso si verifichi questa ultima ipotesi esposta, è evidente che la Giunta formula, prima di tutto, una chiara sconfessione dell'operato della sua delegazione di parte pubblica; per evitare questa traumatica azione è indispensabile un costante e stretto collegamento tra la Giunta e la delegazione trattante per accertare, in tempo reale, il necessario consenso politico sulle scelte che si stanno per definire in sede di negoziato.
499-5D. Piattaforme.
499-5D1. La presentazione delle piattaforme contrattuali spetta solo ai sindacati o anche all’amministrazione è riservato un autonomo spazio di iniziativa?
L’art. 5 del CCNL dell’1.4.1999 disciplina tempi e procedure per la stipulazione dei contratti decentrati integrativi. In particolare, esso dispone, al comma 2, che l’amministrazione deve convocare la delegazione sindacale per l’avvio della trattativa entro 30 giorni dalla presentazione delle piattaforme. La ratio di tale previsione è evidente: viene stabilito un preciso obbligo di avvio del negoziato per tutelare la posizione del sindacato nei confronti di eventuali e possibili comportamenti elusivi e dilatori del datore di lavoro pubblico (che, in quanto tale, si trova in una posizione contrattuale forte).
In tale contesto, pertanto, il riferimento alla presentazione delle piattaforme da parte delle XX.XX. vale solo ad individuare il momento dal quale decorre il previsto termine di 30 giorni per l’avvio del negoziato, nell’ipotesi normale in cui le stesse XX.XX. si siano già attivate per la tutela dell’interesse dei lavoratori rappresentati mediante appunto la presentazione delle piattaforme. In altri termini, tale previsione non può essere intesa nel senso di riservare esclusivamente alla volontà delle XX.XX. l’attivazione della procedura contrattuale. Pertanto, in mancanza di regole legali in materia che spressamente lo vietino ed in considerazione della circostanza che il contratto collettivo rappresenta uno strumento di regolazione del rapporto di lavoro in funzione della soddisfazione dell’interesse di entrambe le parti negoziali, non può non ritenersi ammissibile che anche il datore di lavoro possa assumere l’iniziativa per l’avvio delle procedure negoziali in caso di inerzia delle XX.XX., quando il rinnovo o la modifica del precedente accordo siano ritenute necessarie in relazione alle proprie esigenze operative e funzionali.
Sotto tale profilo occorre ricordare che vi sono alcune materie, per le quali pur essendo oggetto di contrattazione decentrata integrativa, il CCNL prevede che qualora non si concluda il negoziato entro il termine di 30 giorni, eventualmente prorogabile con il consenso di entrambe le parti di ulteriori 30 giorni, esse possano formare oggetto di regolamentazione unilaterale da parte del datore di lavoro.
Pertanto, nei casi da ritenersi eccezionali nella prassi delle relazioni sindacali, ben può l’ente, in mancanza di piattaforme sindacali, assumere l’iniziativa convocando le XX.XX. per l’avvio del negoziato, comunicando alle stesse le materie che intende trattare e le connesse proposte regolative.
E’ evidente che se l’inerzia iniziale delle XX.XX. dipende da una precisa scelta negoziale delle stesse, per assicurare ad es. la disciplina contenuta nei precedenti accordi, il negoziato non sarà agile né semplice.
Tuttavia occorre ricordare anche che, nell’ambito delle materie demandate alla contrattazione decentrata integrativa, ve ne sono alcune che, in coerenza con il carattere privatistico della contrattazione, non sono oggetto di alcuna riserva di regolamentazione negoziale. Pertanto, queste materie (art. 4, comma 2, lett. d), f) ed m) del CCNL dell’1.4.1999), decorso il termine di 30 giorni e l'eventuale proroga, stabilito dall’art. 4, comma 4, del medesimo CCNL, possono essere oggetto di autonoma disciplina unilaterale del datore di lavoro pubblico.
Conseguentemente, per queste materie l’avvio comunque del negoziato potrebbe sortire un effetto utile, dato che il datore di lavoro potrebbe assumere nuove decisioni e dettare nuove regole, decorso il termine stabilito dal contratto. Tale disciplina conferma ulteriormente l’interesse e la possibilità dell’Ente di attivare la contrattazione decentrata in caso di inerzia sindacale. Se infatti, in virtù dell’art. 4, comma 4, del CCNL, l’Ente, decorso il termine prestabilito per la conclusione della contrattazione decentrata, si riappropria delle sue prerogative decisionali, ove si ritenga la contrattazione attivabile solo dal sindacato, si finirebbe per vanificare indirettamente tale regola contrattuale.
Infatti, non attivando la procedura contrattuale il sindacato avrebbe lo strumento per paralizzare a tempo indeterminato l’esercizio di poteri decisionali del datore di lavoro, al di là delle stesse regole contrattuali.
499-5E. Composizione delegazioni.
499-5E1. Come deve essere composta la delegazione trattante di parte pubblica? Ne possono far parte i politici?
Rileviamo anzitutto che la clausola contrattuale (art. 10 del CCNL dell’1.4.1999) si presenta estremamente chiara nella sua formulazione e che la conseguente applicazione, come tutta la disciplina del CCNL, è affidata alla autonoma e responsabile valutazione degli enti.
Prendiamo atto, peraltro, che, in più circostanze, le Associazioni degli Enti hanno affermato che la scelta relativa alla partecipazione o meno del Sindaco/Presidente o di un Assessore alla delegazione di parte pubblica dovesse essere autonomamente praticata da ogni singolo Ente, nell’ambito della autonomia organizzativa dell’ordinamento vigente.
Sulla questione riteniamo di dover aggiungere che la presenza nella stessa delegazione di uno o più dirigenti (o funzionari, in assenza di personale con qualifica dirigenziale) è senza alcun dubbio indispensabile per rispetto della specifica clausola del CCNL.
Per completezza di informazione segnaliamo che il Tribunale di Lametia Terme
– Sezione Lavoro – con ordinanza del 26.1.2000 ha ordinato l’estromissione di un rappresentante politico da una delegazione trattante, per contrasto con l’art. 10, comma 1, del CCNL dell’1.4.1999.
499-5E2. In un ente di ridotte dimensioni demografiche il Sindaco può partecipare alle trattative in sede decentrata come presidente della delegazione trattante di parte pubblica, ai sensi dell’art. 29, comma 4, della legge n. 448/2001?
La questione, per la rilevanza rivestita, è stata sottoposta al Tavolo di coordinamento giuridico operante presso questa Agenzia che ritiene di esprimere i seguenti elementi di valutazione:
a) l’art.10 del CCNL dell’1.4.1999 ha individuato in modo preciso i soggetti legittimati a far parte della delegazione di parte pubblica, escludendo
decisamente i rappresentanti dell’organo politico dell’ente;
b) tale opzione trovava il suo fondamento nella precisa distinzione tra poteri di indirizzo politico–amministrativo e poteri gestionali operata dal D.Lgs.n.165/2001;
c) successivamente è intervenuta la legge n. 448/2001 che riconosce ai comuni fino a 5000 abitanti, la possibilità di adottare disposizioni regolamentari organizzative che attribuiscano ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale, anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e dell’articolo 107 del D.Lgs.n.267/2000 recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
d) si è delineata, quindi, una situazione di sovrapposizione-conflitto tra norme di legge generali, speciali e disciplina contrattuale;
e) tuttavia, ove il regolamento dell’ente abbia dato applicazione al citato art. 29, comma 4, della legge n. 448/2001, ultima fonte legislativa dal punto di vista cronologico e sicuramente di carattere speciale, ed abbia riconosciuto espressamente la titolarità di uffici o servizi al sindaco, la partecipazione di questi alla trattativa decentrata dovrebbe ritenersi legittima in quanto la titolarità di un ufficio o servizio (e quindi anche di quello cui è affidata la gestione del personale) ricomprendendo ogni attività di gestione che ad esso fa capo non può non estendersi anche all’attività relativa allo svolgimento delle relazioni sindacali.
499-5E3. Con quali criteri può essere definita la composizione della delegazione trattante di parte pubblica? Sono consentite le dimissioni? Riteniamo utile sottolineare che in materia non esistono regole giuridiche o modelli comportamentali oggettivi da seguire, dovendosi fare riferimento al buon senso ed ai principi generali di correttezza e buona fede nei rapporti reciproci tra chi conferisce l’incarico ed il destinatario dello stesso.
L’ente individua i componenti ed il presidente della delegazione trattante di parte pubblica tenendo conto delle competenze e conoscenze possedute dai dirigenti (o dai funzionari negli enti di ridotte dimensioni demografiche) e delle esigenze connesse alla contrattazione da soddisfare.
Ove sussistano particolari motivazioni di opportunità (ad esempio coinvolgimento nella discussione di aspetti personali; sussistenza di particolari rapporti con le OO. SS. od altro), riteniamo che ben possa il componente o il presidente dimettersi dall’incarico, evidenziando la situazione giustificativa di tale comportamento. Lo stesso può accadere anche nel caso in cui il presidente non condivida i contenuti che la trattativa debba assumere, sulla base dell’atto di indirizzo ricevuto, oppure che sia chiamato a sottoscrivere un contratto dai contenuti non condivisi, dato che comunque sullo stesso graverebbe la responsabilità di tali contratti.
Pertanto, poiché contrasta con i principi della logica e del buon senso richiedere oppure obbligare un soggetto a comportamenti contrastanti con la sua volontà e tenuto conto anche dell’impossibilità giuridica di costringerlo ad un fare, non può dubitarsi della possibilità del presidente della delegazione di
parte pubblica di presentare le proprie dimissioni. Infatti, diversamente ritenendo, si trascurerebbe il venire meno del rapporto di reciproca fiducia che deve sussistere tra chi conferisce l’incarico e chi lo riceve, che rappresenta un elemento indispensabile per la corretta esecuzione dell’incarico stesso.
Per le dimissioni riteniamo che, trattandosi di attività svolte con i poteri e la capacità del privato datore di lavoro, sia sufficiente una semplice comunicazione con l’indicazione delle cause giustificative delle stesse.
Queste, ovviamente, saranno indirizzate allo stesso soggetto che ha conferito l’incarico e cioè alla giunta cui spetta, quale organo di vertice del comune, non solo la formalizzazione delle designazioni dei componenti e la individuazione del presidente della delegazione trattante ma anche la formulazione dell’atto di indirizzo.
E’ evidente che a seguito delle dimissioni si dovrà procedere alla individuazione di un nuovo presidente.
499-5E4. Quali sono le possibili conseguenze della nomina a componente della delegazione trattante di parte pubblica di un esperto estraneo all’ente ?
Riteniamo utile fornire i seguenti elementi di valutazione:
➢ la composizione della delegazione trattante di parte pubblica è chiaramente definita nell’art.10 del CCNL dell’1.4.1999 e non possono farne parte soggetti, anche qualificati, estranei all'ente e non caratterizzati da uno specifico rapporto di lavoro subordinato (anche a tempo determinato);
➢ l’art.10 citato è vincolante per gli enti; in caso di sua violazione, sarebbe anche possibile ipotizzare la nullità del contratto integrativo; infatti, l’art.40, coma 3 del D.Lgs.165/2001 stabilisce che “la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono ………. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali ………. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”;
➢ se è pacifico che soggetti estranei all'ente non possono far parte della delegazione trattante, l’ente potrebbe però avvalersi di consulenze al fine di consentire, alla stessa delegazione, in presenza di problemi particolarmente complessi, di acquisire la necessaria padronanza della materia in discussione. E' da escludere, in ogni caso, la partecipazione dell'esperto o del consulente alle diverse fasi negoziali con l'assunzione, anche parziale, del potere di intervenire, in qualità di componente, nella conduzione delle trattative.
499-5E5. L’incompatibilità stabilita dall’art.11, comma 3 del CCNL dell’area della dirigenza del 23.12.1999 impedisce al dirigente dell’ente, che sia anche dirigente sindacale, di essere membro della delegazione trattante di parte pubblica di cui all’art.10 del CCNL dell’1.4.1999 ?
L’incompatibilità stabilita dall’art.11, comma 3 del CCNL dell’area della dirigenza del 23.12.1999 riguarda esclusivamente le relazioni sindacali relative all'area della dirigenza e, in tale ambito, si applica a tutti i modelli relazionali (contrattazione integrativa e concertazione); detta incompatibilità non opera, invece, al di fuori delle relazioni sindacali relative all'area della dirigenza, perché nei CCNL relativi al personale non dirigente non è stata inserita analoga previsione.
499-5E6. In relazione alla composizione della delegazione trattante di parte pubblica, un componente di essa (ad es. il Segretario generale in qualità di presidente ) può delegare, autonomamente, le funzioni assegnategli a tale titolo al responsabile di un servizio?
Siamo orientati ad escludere la ipotesi di delega delle funzioni di presidente della delegazione trattante di parte pubblica, in quanto spetta sempre alla Giunta la nomina dei componenti del presidente della delegazione stessa.
Diversamente ritenendo, tale rilevante determinazione dell’organo di governo dell’ente verrebbe ad essere, sostanzialmente, svuotata di contenuti.
499-5E7. L’organizzazione sindacale rappresentativa ha qualche vincolo nella scelta dei propri rappresentanti in seno alla delegazione trattante in sede decentrata ?
L’associazione sindacale rappresentativa, può liberamente designare i soggetti abilitati, in sede di trattativa, ad agire per la tutela dei propri interessi.
499-5E8. Ci sono dei criteri per stabilire la composizione numerica massima della delegazione trattante di parte sindacale? Xxxxxx partecipare anche i rappresentanti delle Confederazioni?
Riteniamo utile, prioritariamente, richiamare l'attenzione sull'art. 10, comma 2, del CCNL dell'1.4.1999 che individua la delegazione trattante di parte sindacale nei seguenti soggetti: la RSU e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali territoriali di categoria firmatarie dello stesso CCNL.
Non sono, pertanto, previsti altri rappresentanti per le confederazioni o federazioni non meglio identificate.
Sul numero dei "rappresentanti" effettivamente, il contratto non individua, e non poteva individuare, una regola di comportamento rivolta a predefinire l'entità dei soggetti presenti.
Di norma, peraltro, avviene che il presidente della delegazione di parte pubblica, in sede di avvio delle trattative, ricerca, con la controparte sindacale, un punto di incontro sul numero massimo dei partecipanti per ogni sigla, anche al fine di rendere più produttivi i lavori e consentire, così, una sollecita e positiva conclusione del negoziato.
Ci sembra opportuno, con l'occasione, richiamare l'attenzione sulla regola prevista dall'art.10 comma 7 del contratto quadro sui permessi e distacchi
sindacali del CCNQ del 7.8.1998, secondo la quale le trattative devono svolgersi preferibilmente al di fuori del normale orario di lavoro e che le ore destinate a tali trattative durante l'orario devono essere scomputate dal monte ore dei permessi sindacali che ogni sigla ha a disposizione annualmente; le stesse ore non possono essere considerate, pertanto, a carico dell'ente, in aggiunta a predetti permessi, magari anche con effetto sulle prestazioni straordinarie!
499-5F. Tavoli separati.
499-5F1. E’ possibile soddisfare la richiesta di una organizzazione sindacale di svolgere la trattativa per la definizione di un contratto su tavoli separati?
In relazione al quesito formulato possiamo chiarire che è legittima la richiesta di una o più organizzazioni sindacali di proseguire le trattative su tavoli separati dalle altre organizzazioni.
La delegazione di parte pubblica non può rifiutare la richiesta ma deve esercitare con equilibrio e con correttezza il proprio ruolo negoziale in modo da offrire pari opportunità e identico prestigio ai due tavoli di trattativa.
499-5G. Trattative e permessi sindacali.
499-5G.1 Come deve essere considerato il periodo temporale dedicato dai rappresentanti sindacali alle partecipazioni alle trattative? Esistono dei casi nei quali il tempo dedicato alle trattative dai rappresentanti sindacali è assimilato al tempo di lavoro ?
L’art. 10 del CCNQ del 7 agosto 1998 sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali, prevede che gli incontri per le trattative sindacali avvengono – normalmente – al di fuori dell’orario di lavoro e che, ove ciò non sia possibile, vengono attivate “procedure e modalità idonee a tal fine”, ossia tali da consentire al lavoratore l’espletamento del mandato (cambi di turno etc.).
Nella dichiarazione congiunta n.4 allegata al CCNL del 22.1.2004 le parti hanno concordato sull’opportunità di sensibilizzare gli enti del comparto affinché adottino tutte le iniziative, nel rispetto di quanto espressamente previsto dall’art.10, comma 7, del CCNQ del 7.8.1998, affinché i diversi livelli di relazioni sindacali previsti dalla vigente contrattazione collettiva nazionale si svolgano al di fuori dell’orario di lavoro, in modo da assicurare il corretto svolgimento delle relazioni sindacali stesse, evitando ogni possibile ricaduta negativa connessa alla fruibilità delle prerogative sindacali.
La garanzia prevista dal citato art.10, comma 7 non comporta che l’attività sindacale sia assimilata all’attività di servizio, perché essa è svolta dal dipendente in qualità di controparte dell’amministrazione e quindi, in coincidenza col servizio, dovrà essere utilizzato il monte ore permessi. Qualora il monte ore permessi non fosse sufficiente, devono per l’appunto essere poste
in essere tutte le forme possibili di articolazione dell’orario che, senza riduzione del debito stesso, possano facilitare l’attività sindacale.
Un diverso comportamento determinerebbe, peraltro, un incremento non calcolabile delle ore di permesso sindacale, che di fatto verrebbero concesse ben al di là del contingente stabilito dal D.Lgs. 396/1997, come modificato dall’art. 44 del D.Lgs. 80/1998 e sancito dallo stesso Accordo Quadro citato. Per espressa previsione dell’art. 10, comma 7 del CCNQ sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi sindacali stipulato il 7 agosto 1998, e sue successive modificazioni e integrazioni, in nessun caso il tempo dedicato alle trattative può essere considerato come tempo di lavoro.
499-5H. Sottoscrizione
499-5H1. E’ possibile avere chiarimenti sulla procedura per la sottoscrizione del contratto integrativo decentrato?
La procedura per la stipulazione del contratto collettivo decentrato integrativo, sulla base del rinvio contenuto nell’art.40, comma 3, del D.Lgs.n.165/2001 è definita dal CCNL.
Tale rinvio ha avuto attuazione nell’art.5 del CCNL dell’1/4/1999 (recentemente modificato, ma solo per aspetti formali, dall’art.4 del CCNL del 22.1.2004).
In base alla disciplina prevista, una volta intervenuta la preventiva verifica (ovviamente positiva) della compatibilità dei costi derivanti dal contratto collettivo decentrato integrativo che si va a stipulare, con i vincoli di bilancio ad opera del collegio dei revisori dei conti (o in mancanza dai servizi di controllo interno di regolarità amministrativa e contabile istituiti ai sensi dell’art.2 del D.Lgs.n.286/1999), e una volta intervenuta l’autorizzazione alla stipulazione da parte dell’organo di governo dell’ente, il contratto collettivo decentrato viene definitivamente sottoscritto dalle parti.
499-5I. Controlli
499-5I1. E’ possibile attribuire al “revisore unico”, negli enti di ridotte dimensioni demografiche, le funzioni che l’art. 5, comma 3 del ccnl dell’1.4.1999 attribuisce al collegio dei revisori dei conti ?
Le competenze che il CCNL dell’1.4.1999 (art. 5, comma 3) attribuisce a Collegio dei revisori dei conti per il controllo sulla compatibilità economica dei contratti decentrati, non possano non essere svolte anche dal “revisore unico” relativamente agli enti di ridotte dimensioni demografiche.
Segnaliamo la questione anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze, per la eventuale adozione di una informativa generale sull’argomento, rivolta a tutto il sistema delle autonomie, anche al fine di sollecitare un più costruttivo interessamento e coinvolgimento del revisori su tutta la problematica degli oneri correlati alla contrattazione integrativa locale.
499-5I2. E’ giusto affermare che, dopo la positiva certificazione del collegio dei revisori sulla compatibilità dei costi, l’autorizzazione alla sottoscrizione del contratto integrativo decentrato da parte dell’organo di vertice dell’ente sia un atto dovuto ?
Nell’ambito della procedura prevista dall’art.5 del CCNL dell’.4.1999, non si può certo ritenere che l’atto di autorizzazione dell’organo di vertice costituisca un mero atto dovuto, attribuendosi conseguentemente esclusiva rilevanza al controllo di compatibilità dei costi effettuato dal Collegio dei revisori o, in mancanza, dal nucleo di valutazione. Infatti, l’intervento di tali organi è limitato semplicemente al profilo della verifica della compatibilità degli oneri contrattuali con i vincoli di bilancio (con gli strumenti di programmazione annuale o pluriennale) e , naturalmente, con la disciplina sulla quantificazione delle risorse di cui all’art.15 del CCNL dell’1.4.1999 e successive modificazioni ed integrazioni. Si tratta, in sostanza, di un controllo di carattere finanziario, rapportabile alla certificazione sui costi dei contratti collettivi nazionali che, in base al D.Lgs.n.165/2001, spetta alla Corte dei Conti, e che, conseguentemente, non può investire il merito delle scelte contrattuali.
Diverso, sotto il profilo contenutistico, è l’intervento dell’organo di vertice nella procedura contrattuale attraverso la “autorizzazione”.
Infatti, nella fase iniziale della procedura negoziale decentrata, l’organo di vertice formula ed impartisce alla delegazione trattante di parte pubblica il necessario atto di indirizzo, con la specifica indicazione degli obiettivi e di risultati di interesse del datore di lavoro pubblico in sede di negoziato da conseguire e delle risorse finanziarie a tal fine messe a disposizione.
Nella fase finale della trattativa, l’autorizzazione si pone come momento di verifica da parte dell’organo di vertice, sulla base di una specifica valutazione di merito dei contenuti dell’ipotesi di accordo, dell’effettivo conseguimento di quei risultati e di quegli obiettivi indicati nell’atto di indirizzo a suo tempo formulato, anche sotto il profilo finanziario.
Pertanto, un eventuale esito positivo del controllo da parte del collegio dei revisori o del nucleo di valutazione non può valere ad escludere tale specifica forma di verifica da parte dell’organo di vertice dell’ente.
Potrebbe accadere, quindi, che, nonostante l’esito positivo del controllo del collegio dei revisori, l’organo di vertice possa rifiutare l’autorizzazione ritenendo che l’ipotesi di accordo sottoscritta non risponda agli obiettivi o ai risultati prefissati.
In sostanza, si tratta della trasposizione a livello di contrattazione decentrata integrativa, dei medesimi principi e delle stesse regole stabilite per la contrattazione collettiva nazionale dagli art.41 e 47 del D.Lgs. 165/2001.
499-5I3. Come deve essere considerata l'attività di negoziazione in sede decentrata? L'ARAN ha poteri di controllo sui contratti stipulati dagli enti? Può denunciare o sanzionare eventuali illegittimità?
Riteniamo opportuno, preliminarmente, ricordare che nel sistema complessivo delineato dal D.Lgs. n. 165/2001, tutte le attività connesse all’amministrazione
e gestione del personale sono rimesse all’autonoma valutazione e decisione degli Enti, con conseguente e piena assunzione di responsabilità in materia. Fra queste rientra sicuramente anche l’attività connessa alla stipulazione dei contratti collettivi decentrati che si configura come quella attività con la quale il datore di lavoro pubblico definisce, con la partecipazione ed il consenso delle XX.XX., le regole per l’amministrazione e la gestione del personale.
A conferma di tale impostazione l’art. 5 del D.Lgs. n. 165/2001, stabilisce che le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono adottati dagli organi preposti alla gestione con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato.
Tale principio vale anche e soprattutto per la contrattazione collettiva. Infatti, con il passaggio della contrattazione decentrata alla contrattazione integrativa, ha inteso valorizzare gli spazi di autonoma valutazione e decisione degli Enti in materia di gestione del personale in modo da garantire la possibilità di un più adeguato soddisfacimento di loro specifici interessi organizzativi e funzionali.
In tale direzione si è mosso anche il CCNL dell’1.4.1999 che, evitando il ripetersi delle esperienze del passato, ha demandato alle autonome decisioni degli Enti la definizione di molti e significativi aspetti della disciplina del rapporto di lavoro e del trattamento economico accessorio.
Tuttavia a livello decentrato non vi è una situazione di piena negoziabilità, in quanto per espressa previsione dell’art.40, comma 3 del D.Lgs.n.165/2001, in ossequio dei principi in materia di rapporto tra livelli contrattuali diversi, la contrattazione integrativa deve svolgersi nei limiti segnati dal Contratto Collettivo Nazionale, anche e soprattutto sotto il profilo dei costi. Tale coerenza tra livelli contrattuali è garantita dalla previsione della sanzione della nullità delle clausole del contratto decentrato integrativo difformi rispetto al contratto nazionale.
Rispetto a tale disciplina, il D.Lgs. n. 165/2001 non riconosce all’Aran alcuna forma di poteri ispettivi o di controllo, o comunque di verifica ed approvazione preventiva o successiva dei contenuti dei contratti decentrati integrativi.
La previsione dell’art. 5, comma 5, del CCNL dell’1.4.1999, dell’invio all’Aran dei contratti decentrati integrativi non risponde, quindi, ad alcuna esigenza di controllo ma vale a consentire solo un’attività di studio e monitoraggio dell’andamento della contrattazione di 2° livello ai fini della contrattazione collettiva, anche in vista dei rinnovi contrattuali.
Inoltre, occorre evidenziare che l’acquisizione dei contratti integrativi consente all’Aran anche di assolvere ad altri due specifici compiti previsti dall’art.46 commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 165/2001:
1) la predisposizione, con cadenza trimestrale, di un rapporto sulle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti da inviare al Governo, ai Comitati di Settore ed alle Commissioni parlamentari;
2) l’istituzione e l’attivazione dell’apposito osservatorio paritetico, quindi aperto alla partecipazione delle XX.XX., con compiti sempre di monitoraggio sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali e, appunto, sulla contrattazione integrativa.
Inoltre, occorre anche considerare che l’attribuzione all’Aran di poteri di verifica, finalizzati all’eventuale annullamento, avrebbe finito per reintrodurre
una forma di controllo esterno sulla contrattazione di 2° livello, che invece il legislatore ha sicuramente inteso eliminare, valorizzando al contrario gli organismi di controllo interno agli Enti.
Tuttavia, se pure l’Aran non dispone di poteri di controllo o di approvazione dei contratti integrativi, e conseguentemente non ha alcun obbligo di segnalazione di eventuali clausole difformi, non può trascurarsi la delicatezza e rilevanza della materia, richiamando l’attenzione degli Enti del Comparto sui contenuti dei contratti integrativi che vanno a stipulare. Infatti, ai sensi degli articoli 1421 e 1422 del codice civile, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse, può essere rilevata d’ufficio ed è imprescrittibile.
Pertanto, essa potrebbe essere fatta valere anche a distanza di tempo dalla stipulazione del contratto integrativo ed ove riguardi clausole comportanti comunque costi a carico degli Enti, si potrebbero determinare delicati problemi di responsabilità per danno a carico non solo del rappresentante dell’amministrazione che lo ha stipulato ma anche di coloro che vi abbiano dato attuazione.
Infatti, l’art. 40, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 espressamente stabilisce non solo che le clausole difformi sono nulle ma anche che esse non possono essere applicate, richiamando quindi anche la responsabilità di coloro che sono chiamati ad applicare e gestire le clausole contrattuali.
499-5L.Conseguenze mancata sottoscrizione contratto integrativo decentrato
499-5L1. Cosa bisogna fare nel caso non sia possibile portare a conclusione la trattativa per la contrattazione decentrata?
In presenza di una effettiva difficoltà di portare a conclusione la trattativa decentrata, non esistono, in materia, strumenti alternativi a disposizione dell'Ente per il conseguimento dei propri obiettivi connessi a programmi o progetti di produttività, dato che espressamente l'art. 2, comma 3, del D.Lgs.n.165/2001 riserva esclusivamente alla contrattazione collettiva l'attribuzione di trattamenti economici al personale.
Il determinarsi di una situazione di stallo nella trattativa, tuttavia, dovrà essere valutata nella logica propria della contrattazione privatistica, che si svolge sulla base della reciproca convenienza delle parti alla stipulazione del contratto. Ove non si pervenga alla stipulazione di quest'ultimo, conseguentemente, ciascuna delle parti ne sopporta le conseguenze e se ne assume le responsabilità.
Pertanto, se il datore di lavoro pubblico non potrà raggiungere i suoi obiettivi, dall'altro il sindacato stesso si trova nella situazione di non poter soddisfare neppure in minima parte le aspettative dei lavoratori connesse alla stipulazione del nuovo contratto integrativo, dato che continuerebbe a trovare applicazione quello relativo all'anno precedente.
Ovviamente, tale regola non trova applicazione nei casi in cui si tratti di materie per le quali l’art. 4, comma 3, del CCNL dell’1.4.1999 prevede una contrattazione a termine; in tale ipotesi, infatti, decorso inutilmente l’arco temporale della contrattazione, l’ente potrà autonomamente e unilateralmente disciplinare le predette materie.
Anche il nuovo testo dell’art.5 del CCNL dell’1.4.1999, come modificato dal CCNL del 22.1.2004 conferma i contratti integrativi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione, presso ciascun ente, dei successivi contratti collettivi decentrati integrativi.
499-5L2. Il CCDI di un ente conserva la propria efficacia fino alla stipulazione del successivo (art. 5 , c. 4 CCNL Regioni Enti Locali 1.4.99). E’ possibile, nell’ipotesi in cui il nuovo CCDI non venga stipulato entro l’anno 2004, che l’ente eroghi relativamente a tale anno indennità di particolari responsabilità ( ad esempio, per le responsabilità connesse alle funzioni di ufficiale di anagrafe o di stato civile ) secondo i limiti economici ( fino a max 2.000.000 di lire ) stabiliti nel CCDI ancora vigente nell’ente, sebbene gli stessi siano in contrasto con le nuove disposizioni in materia del XXXX 0000-0000, che prevedono uno specifico compenso per un valore annuo di 300 euro?
Naturalmente è sempre valido il principio secondo cui la disciplina dei contratti decentrati continua a trovare applicazione sino alla stipula del successivo CCDI ( art.5, c.4 del CCNL 1.4.99 ).
Tale principio, comunque, deve trovare applicazione secondo le consuete regole di correttezza e buona fede; non può essere invocato, quindi, nel caso in cui le nuove disposizioni del contratto collettivo nazionale siano di contenuto tale da imporre necessariamente una immediata e coerente regolazione della materia.
In concreto, nel caso segnalato, non riteniamo possa essere erogato il previgente importo del compenso (superiore a 300 euro ).
499-5M. Efficacia del contratto integrativo
499-5M1. Il periodo di riferimento del contratto decentrato, stipulato nel 2004 in applicazione del CCNL 22.1.2004, è relativo agli anni 2002- 2005 o 2004-2007?
Il periodo temporale di riferimento per i contratti decentrati deve essere identico a quello che caratterizza i contratti collettivi nazionali. Sarà pertanto formalmente riferito al quadriennio normativo 2002-2005 e al biennio economico 2002-2003.
499-5M2. Come devono essere valutati i contenuti di merito inseriti nei contratti decentrati?
Xxxxxxxxx, al riguardo, che il contratto decentrato, come tutti i negozi giuridici, una volta sottoscritto impegna le parti contraenti ad adottare comportamenti coerenti con i contenuti delle clausole concordate, secondo i comuni principi di correttezza e buona fede; eventuali comportamenti difformi potrebbero essere impugnati per inadempimento contrattuale.
Ciò vale anche quando il contratto dovesse, eventualmente, contenere clausole illegittime o nulle perché in contrasto con norme imperative di legge o di contratto nazionale. In questo caso, se una delle parti stipulanti dovesse nutrire perplessità sulla legittimità dei contenuti concordati e sottoscritti può invitare l'altra parte a rinegoziare il contratto oppure può richiedere l'intervento della magistratura del lavoro per l'accertamento della illegittimità o della nullità della clausola negoziale.
In queste circostanze non riteniamo opportuno, dopo la stipula di un contratto decentrato, esprimere valutazioni o pareri in ordine ai suoi contenuti normativi sia perché la nostra Agenzia non ha poteri di controllo e tanto meno sanzionatori rispetto alle scelte della sede decentrata, sia perché ci sembra doveroso non invadere campi che competono ad altri e più autorevoli livelli istituzionali (la magistratura) nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite.
Segnaliamo, infine, che la RSU è per sua natura un soggetto unitario e i singoli componenti non si diversificano in base alle sigle sindacali che hanno, a suo tempo presentato le relative candidature.
499-5M3. E’ possibile che l’ente, in esercizio della potestà di autotutela, “revochi” e sostituisca il contratto integrativo decentrato prima della sua naturale scadenza ?
Dal momento della sottoscrizione il contratto collettivo decentrato acquista immediata efficacia relativamente a tutti gli istituti disciplinati, salvo le eventuali diverse decorrenze stabilite dalle parti stesse, e diventa pienamente vincolante per le parti che l’hanno sottoscritto, creando reciproche posizioni di diritto e di obbligo.
Evidentemente tutti gli interessi (anche e soprattutto di carattere economico) del datore di lavoro pubblico hanno già trovato adeguata e forte tutela nella fase procedurale antecedente alla sottoscrizione definitiva, attraverso l’intervento preventivo sia del collegio dei revisori sia dell’organo di Governo dell’ente, che valuta la corrispondenza dei contenuti contrattuali al proprio interesse organizzativo e gestionale, così come espressi nell’atto di indirizzo. Pertanto, essendo il contratto già perfetto e vincolante, l’ente non può successivamente esimersi dal dare attuazione alle regole in esso contenute, sulla base di una nuova e diversa valutazione della propria posizione e dei propri interessi coinvolti, facendo riferimento all’istituto della revoca unilaterale da adottare in sede di autotutela.
Tale istituto, infatti, di carattere unilaterale e tipico del regime dei provvedimenti amministrativi (che presuppongono la posizione di supremazia speciale dell’ente finalizzata alla tutela di un interesse pubblico), certamente non può trovare applicazione nei confronti di un contratto collettivo di lavoro, di un atto cioè avente natura squisitamente privatistica e che si fonda sull’incontro delle volontà di due diverse e contrapposte parti che, su piano di assoluta parità, hanno in tal modo regolamentato il rapporto tra di esse intercorrente.
Pertanto, in considerazione di tale natura privatistica del contratto collettivo di lavoro, anche di livello decentrato, che trova il suo preciso ed espresso
fondamento nel D.Lgs.n.165/2001 (artt.2, commi 2 e 3; art.40; art.45 D.Lgs.n.165/2001), il datore di lavoro pubblico, ove ritenga necessario procedere a modifiche dei contenuti del contratto collettivo decentrato già sottoscritto per una maggiore tutela dei propri interessi, anche in un momento immediatamente successivo, può verificare la possibilità di procedere alla sostituzione dello stesso (o anche solo di alcune clausole) con un nuovo accordo (stipulato sempre nel rispetto delle procedure dell’art.5 del CCNL dell’1/4/1999).
E’ evidente che tale possibilità risulta necessariamente condizionata alla piena disponibilità in proposito delle controparti sindacali.
Al di là di tale possibilità, è da ritenere che solo un intervento del giudice del lavoro, su ricorso di una delle parti, possa incidere, eventualmente, sul vincolo contrattuale assunto potrebbe ammettersi, ma, sussistendone i presupposti, solo nelle fattispecie espressamente previste dal codice civile nell’ambito della disciplina dei contratti di diritto comune (categoria alla quale viene generalmente ricondotto anche il contratto collettivo nazionale di lavoro) e cioè:
• in presenza di eventuali cause di invalidità del contratto (sussistenza di cause di nullità o di annullabilità, ai sensi degli artt.1418,1419 nonché delle disposizioni contenute nelle sezioni I e II del capo XII del Titolo I del Libro IV del codice civile), compresa la sua eventuale difformità rispetto alle clausole del contratto collettivo nazionale (ai sensi dell’art.40, comma 3, del D.Lgs.n.165/2001, con i connessi problemi di responsabilità di coloro che, in ragione del loro ruolo, hanno contribuito alla sottoscrizione di un contratto nullo);
• in presenza di situazioni legittimanti la possibile richiesta, di una delle parti, di procedere alla risoluzione del contratto, nei casi in cui essa è prevista dal codice civile (Capo XIV, sez.I e II, del Titolo I del Libro IV del codice civile).
In tali ipotesi, peraltro, gli effetti della dichiarazione di invalidità o della risoluzione sulle situazioni, sui rapporti e sui diritti acquisiti relativi ai singoli destinatari del CCNL, sono esclusivamente quelli stabiliti direttamente dal codice civile per ciascuna delle diverse fattispecie considerate.
499-5M4. Un ente ha sospeso la liquidazione degli acconti mensili sulla produttività, specificando che, conformememnte alle previsioni del CCNL, verrà liquidata al termine del processo valutativo delle prestazioni e dei risultati. Le organizzazioni sindacali hanno diffidato l’Amministrazione che ha adottato una azione unilaterale, in contrasto con quanto previsto nel contratto decentrato, affermando che le clausole del CCDI devono essere comunque rispettate fino alla stipula di un nuovo CCDI e non possono essere unilateralmente disattese. Il comportamento dell’Ente è da ritenersi corretto?
La questione può assumere, a livello locale, aspetti sicuramente conflittuali. Occorre, pertanto, procedere con cautela e molta trasparenza, anche nei confronti del sindacato. Siamo orientati a condividere il comportamento cautelativo adottato dall’ente che, per evitare responsabilità anche di ordine contabile, ha sospeso i pagamenti mensili della produttività in quanto in
contrasto con le espresse previsioni del contratto nazionale.
Si tratterebbe, infatti, di clausole nulle per contrasto con le disposizioni dei Contratti Collettivi Nazionali, stante il preciso vincolo dell’art.40, comma 3, del D.Lgs.n. 165/2001.
Rileviamo, comunque, che i contratti decentrati, una volta sottoscritti, non possono essere “disapplicati”unilateralmente e in via definitiva da una parte negoziale.
La sospensione cautelativa da parte dell’Amministrazione, utile ed opportuna per evitare ulteriori e più gravose responsabilità; non può essere considerata definitiva o risolutiva del problema. Occorre sicuramente, secondo i principi di correttezza e buona fede, una informativa puntuale nei confronti delle XX.XX. e gli scenari ipotizzabili possono essere così riassunti:
a) l’ente riconvoca i sindacati per modificare le clausole negoziali;
b) ove non si addivenga ad una soluzione ragionevole, allora l’ente può impugnare il contratto decentrato davanti al giudice ordinario per far dichiarare la nullità della clausola del contratto decentrato;
c) eventualmente l’Ente, ove si attivi ai sensi della precedente lett.b) al fine di tutelare la propria posizione, in considerazione della prevedibile durata non breve del giudizio di merito, potrebbe anche chiedere al giudice l’adozione di provvedimenti d’urgenza di carattere cautelare, ai sensi dell’art.700 c.p.c.
499-5N. Attività di assistenza dell’Xxxx
000-0X0. E' possibile avere la collaborazione dell'ARAN per la contrattazione collettiva integrativa e per la riorganizzazione degli uffici e servizi?
L'art. 46, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 prevede espressamente che le pubbliche amministrazioni possano avvalersi dell'assistenza dell'ARAN per gli aspetti attinenti la contrattazione integrativa. Per questa finalità, pertanto, siamo disponibili ad offrire tutto il contributo possibile, compatibilmente con gli impegni istituzionali derivanti dai vincoli della contrattazione nazionale.
Suggeriamo di concordare un incontro presso la nostra sede, anche in via informale, per valutare i problemi locali e gli eventuali interventi.
499-5N2. E' possibile avere assistenza dell'ARAN da parte dei singoli lavoratori nella interpretazione delle clausole contrattuali ?
Riteniamo opportuno precisare che l'ARAN, ai sensi dell'art.46, comma 1del D.Lgs. n. 165/2001, svolge attività di consulenza, per la uniforme applicazione dei contratti collettivi, esclusivamente a favore delle amministrazioni rappresentate. Pertanto, dovranno essere i singoli Enti, nell'ambito degli autonomi poteri di gestione, a valutare il caso e, conseguentemente, individuare la più corretta soluzione nel rispetto delle fonti legislative e contrattuali vigenti.
Qualora la questione da affrontare non dovesse risultare di agevole soluzione, sarà l'Ente che potrà decidere, altrettanto autonomamente, di richiedere l'assistenza all'ARAN.
499-5N3. Che valore hanno le risposte fornite dall’ARAN ai quesiti formulati dalle Amministrazioni?
Le risposte che la nostra Agenzia fornisce in relazione ai quesiti formulati dagli enti, devono essere ricondotte nell’ambito della “attività di assistenza delle pubbliche amministrazioni per la uniforme applicazione dei contratti collettivi”, espressamente prevista dall’art. 46, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001.
Le stesse risposte, pertanto, assumono il contenuto di un orientamento di parte datoriale, e quindi non hanno carattere vincolante e non rivestono neanche la caratteristica della “interpretazione autentica” per la quale, invece, è prescritto uno specifico procedimento negoziale.
Gli enti, quindi, hanno piena disponibilità sulla valutazione delle singole questioni, e sulla indicazione delle soluzioni coerenti con le clausole contrattuali nel rispetto dei principi fondamentali di correttezza e buona fede.
Giurisprudenza
Tribunale di Lamezia Terme; decisione del 24 maggio 2001-09-14
Partecipazione di organi politici alla delegazione trattante di parte pubblica.
"L'art. 10 del CCNL del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali 1998/2001 prevede, infatti, ai fini della contrattazione collettiva decentrata integrativa, che le delegazioni di parte pubblica abilitate alle trattative siano composte da dirigenti – o, nel caso di enti privi di dirigenza, da funzionari -. Il testo della norma contrattuale individua, quindi, con l'uso di tali locuzioni, specifiche qualifiche proprie del personale amministrativo delle regioni o degli enti locali cui non possono ricomprendersi il sindaco (o suoi delegati), facendo gli stessi parte della compagine politica e non di quella amministrativa.
Trattasi di disposizione che non può essere disattesa da parte dell'Ente resistente considerato che l'art. 45 del d. lgs. 29/1993 espressamente prevede che la contrattazione collettiva integrativa si debba svolgere nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure che questi prevedono, statuendo la sanzione di nullità di quanto disposto in contrasto con i contratti collettivi nazionali. La previsione in tema di composizione delle delegazioni trattanti operata dal CCNL in esame si pone, quindi, come inderogabile e il successivo contratto collettivo decentrato integrativo stipulato da soggetti non legittimati si porrebbe come invalido, potendo essere disapplicato, sempre ai sensi dell'art. 45 del d. lgs. n. 29/93.
..........A ciò si aggiunga che prevedere la partecipazione di organi politici nell'ambito della delegazione trattante provocherebbe una commistione di ruoli che sono stati invece chiaramente definiti dalla norma contrattuale in oggetto la quale ha previsto che sia l'organo di governo dell'ente ad autorizzare la sottoscrizione del contratto. Tale autorizzazione presuppone, infatti, una alternatività di soggetti che non possono contemporaneamente partecipare al negoziato e, successivamente, autorizzare la sottoscrizione del relativo testo, venendo in tal modo gli organi politici ad espropriare gli organi amministrativi e tecnici delle competenze loro specificatamente assegnate.
Ciò premesso, avendo il comune di ...... previsto quale componente nonché Presidente della delegazione trattante di parte pubblica il Sindaco o un suo delegato, deve dichiararsi la illegittimità di tale operato che porterebbe, comunque, alla stipula di un contratto in contrasto con la normativa vigente e, quindi, passibile di disapplicazione. Deve, conseguentemente, dichiararsi che nessun membro diverso da dirigenti o funzionari comunali ha titolo per partecipare alla delegazione trattante di parte pubblica"
Tribunale di Padova, Giudice del lavoro del 15/2/2003 - Denuncia per condotta antisindacale, ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970, di comportamenti tenuti dall'amministrazione ritenuti lesivi di diritti di informazione e contrattazione collettiva decentrata, nonché di informazione e concertazione riconosciuti alle RSU dalla contrattazione collettiva di settore dagli artt. 7, 4, 8 CCNL enti locali 1/4/1999.
Il Giudice del lavoro,
.....OMISSIS......
considerato, quanto al merito, che ………ha denunciato come antisindacali, ex art. 28 l. 300/1970, tre comportamenti tenuti dall'amministrazione convenuta in quanto asseritamene lesivi di diritti di informazione e contrattazione collettiva decentrata (episodi n. 1 e 3), nonché di informazione e concertazione (episodio n. 2) riconosciuti alle RSU dalla contrattazione collettiva di settore – CCNL enti locali 1/4/1999 – specificamente dagli artt. 7, 4, 8;
rilevato in particolare che l'art. 7 cit. prevede l'obbligo da parte dell'Ente di informazione "sugli atti di valenza generale, anche di carattere finanziario, concernenti il rapporto di lavoro, l'organizzazione degli uffici e la gestione complessiva delle risorse umane", informazione che "nel caso in cui si tratti di materie per le quali…… il CCNL prevede la concertazione o la contrattazione collettiva decentrata integrativa, …….deve essere preventiva";
rilevato che l'art. 4 – per quanto qui rileva – prevede al comma 2 tra le materie oggetto di contrattazione collettiva decentrata integrativa sub f) le "implicazioni in ordine alla qualità del lavoro e alla professionalità dei
dipendenti in conseguenza delle innovazioni degli assetti organizzativi, tecnologiche e della domanda di servizi" e al comma 4 che "decorsi 30 giorni dall'inizio delle trattative, eventualmente prorogabili in accordo tra le parti fino ad un massimo di ulteriori 30 giorni, le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione, limitatamente alle materie di cui al comma 2, lett. f);
rilevato che l'art. 8 contempla al comma 1, tra le materie oggetto di concertazione, alla lettera d) "l'andamento dei processi occupazionali";
ritenuto quanto al primo episodio denunciato – delibera della ……. – di modifica del Regolamento Speciale del Corpo di Polizia Municipale mediante l'inserzione dell'art. 26 ter disciplinante nei suoi vari aspetti la Squadra interventi straordinari (SIS) che, diversamente da quanto sostenuto dal sindacato ricorrente, il Comune ha rispettato tanto l'obbligo di informazione quanto l'obbligo di contrattazione collettiva decentrata di cui agli artt. 7 e 4 sopra richiamati;
rilevato invero che l'istituzione e regolamentazione della suddetta squadra – SIS – doveva formare oggetto oltre che di informazione anche di contrattazione decentrata ex art. 4, comma 2, lett. f) del CCNL cit.;
ritenuto infatti che l'introduzione della SIS ha comportato certamente "un innovazione degli assetti organizzativi" tanto è vero che è stato appositamente inserito nel Regolamento Speciale del Corpo di Polizia Municipale un nuovo articolo, indice della stabilità di questa nuova struttura – con implicazioni sulla qualità e professionalità dei dipendenti facenti parte della suddetta squadra, come emerge dalla stessa delibera in contestazione, che fa espresso riferimento alla necessità di opportuna preparazione mediante specifici corsi di addestramento teorici e pratici dei componenti la squadra, nonché dal progetto presentato alle RSU nella riunione del …….successivamente trasmesso con alcune modificazioni alle stesse parti sindacali il…. Ove vengono indicate dettagliatamente le materie oggetto di formazione del personale in questione;
considerato altresì che l'istituzione di questa nuova squadra, con le implicazioni sopra delineate, si è posta certamente anche come conseguenza della "domanda di servizi", richiedente un adeguamento dei servizi offerti dal Corpo di Polizia Municipale alla nuova realtà cittadina;
ritenuto peraltro che l'Ente abbia rispettato nella fattispecie gli obblighi di informazione e di contrattazione in contestazione;
rilevato invero che tutti gli aspetti concernenti la regolamentazione della S.I.S., contenuti poi nella delibera impugnata, hanno formato puntuale oggetto non solo di preventiva informazione ma anche di ampia discussione con le parti sindacali, come emerge inequivocabilmente dai verbali delle riunioni sindacali prodotti dal Comune, riunioni che si sono susseguite quantomeno dal..al..;
rilevato che ai sensi dell'art. 4, comma 4, trascorsi trenta giorni dall'inizio delle trattative-termine che non risulta essere stato prorogato di ulteriori trenta giorni, in mancanza di intervenuto accordo tra le parti, il Comune ha riacquistato la propria libertà di iniziativa e di decisione e ha adottto, quindi, del tutto legittimamente la delibera impugnata;
ritenuto che la tesi prospettata dal sindacato ricorrente nella memoria integrativa secondo cui "con la precedente delibera del ……….si era definitivamente espressa la volontà del Comune in materia, sì che una nuova decisione avrebbe dovuto essere preceduta da una nuova informazione e contrattazione con le OO. SS." Non trova alcun fondamento né in fatto né in diritto;
ritenuto quanto al secondo episodio denunciato – nuove assunzioni e modifica della dotazione organica che parimenti l'amministrazione convenuta ha adempiuto al solo obbligo di informazione sussistente nella fattispecie;
ritenuto invero che sul punto vanno pienamente condivise le argomentazioni e tesi difensive svolte dal Comune di …….;
considerato infatti che da un lato l'indizione del concorso per la copertura di 10 posti di insegnante di scuola materna non ha determinato alcuna variazione della pianta organica, trattandosi di posti già esistenti e vacanti, come risulta dalla documentazione prodotta in atti dal comune e dall'altro che la modifica della dotazione organica in contestazione, mediante la sostituzione di posizioni di categoria B e D1 con posizioni di categoria C1, non rientra affatto tra le materie oggetto di concertazione ex art. 8 del CCNL, come emerge dalla stessa formula letterale della disposizione citata non venendo certo in considerazione l'ipotesi della lettere d) "andamento dei processi occupazionali", e come ulteriormente confermato del resto dall'interpretazione data più volte alla suddetta norma dall'ARAN;
ritenuto quanto al terzo episodio denunciato (incarico di posizione organizzativa conferito alla sig.ra….) che parimenti non sussistono le violazioni dei diritti sindaci denunciati ed in particolare, di quelli di informazione e di contrattazione collettiva decentrata;
considerato che per quanto attiene all'introduzione della posizione organizzativa nel settore …. Sono stati rispettati dall'amministrazione convenuta tutti gli obblighi di informazione e concertazione previsti in materia, come risulta dalla documentazione;
rilevato che per quanto attiene al diverso problema dei compiti in concreto attribuiti alla sig.ra…. nessun obbligo di contrattazione collettiva decentrata, nel senso preteso dal sindacato ricorrente, sussisteva nel caso concreto;
ritenuto infatti che non può essere ravvisata nella fattispecie l'ipotesi prevista dall'art. 4, comma 2, lett. f) del CCNL cit;
rilevato invero che pacificamente i compiti in concreto attribuiti alla ………hanno inciso esclusivamente sulla posizione della dipendente ….., alla quale sono state tolte alcune mansioni, ma confermate tutte le altre;
ritenuto pertanto che potrebbe porsi eventualmente solo un problema di demansionamento ai danni della sig.ra…….., senza alcuna implicazione su altre posizioni di lavoro, dal momento che essa ha mantenuto tutte le sue residue competenze e non le sono state affatto attribuito mansioni prima espletate da altri, sì che non si realizzano affatto quelle "implicazioni sulla qualità di lavoro e professionalità dei dipendenti di cui all'art. 4, comma 2, lette f)" più volte menzionato;
ritenuto inoltre che nessun nuovo ufficio è stato introdotto nella struttura del settore commercio, come evidenziato dal comune convenuto in memoria difensiva, sì che nessuna "innovazione di assetti organizzativi" si è parimenti realizzata nella fattispecie;
ritenuto pertanto che il ricorso ex art. 28 legge 300/1970 deve essere rigettato con conseguente condanna del sindacato ricorrente al pagamento delle spese processuali
PQM
Respinge il ricorso ex art. 28 legge 300/1970 proposto da ……nei confronti del comune di …….
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ……
TRIBUNALE DI BARI SEZ. LAVORO - Decreto ex art. 28 L. n. 300/1970 del
11/03/2004 - Giudice del Lavoro Dott.ssa Xxxxxxxx
Condotta antisindacale ex art. 28 L. 300/1970 - violazione delle disposizioni contrattuali in materia di contrattazione integrativa - omessa convocazione di una delle delegazioni sindacali trattanti - estromissione dalla trattativa dei rappresentanti territoriali delle XX.XX.
Fatto
Il Giudice del lavoro;
sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 12.2.2004; letti gli atti e uditi i procuratori delle parti;
rileva in fatto e diritto quanto segue.
Con ricorso ex art. 28 L.n. 300/70 la O.S. ……. , in persona del suo Segretario,
ha adito questo Giudice per sentir dichiarare antisindacale il comportamento tenuto dal Dirigente ……. relativamente al mancato avvio della contrattazione integrativa ….. con riferimento agli anni 1998-1999 sino a quello in corso 2003-2004 ed alla mancata convocazione per le relative trattative, nonchè per la mancata formulazione, nei suoi confronti, della conseguente proposta contrattuale.
(Omissis) ….. in violazione degli artt. 6 e 7 del CCNL del comparto Scuola valido, per la parte normativa, dall'1.1.2002 al 31.1.22005.
Si è costituito il resistente che ha insistito per sentir rigettare il ricorso.
In via preliminare ha eccepito la inammissibilità del ricorso in ragione della inapplicabilità del CCNL richiamato in data anteriore all'1.1.2002 e per la mancata ascrivibilità di eventuali comportamenti sindacali in capo ai dirigenti scolastici in data anteriore a quella in cui (1.9.2000) la legge attuativa dell'autonomia scolastica ha affidato ad essi la rappresentanza della parte pubblica nella contrattazione a livello di istituzione scolastica; nonché per la assenza, in data anteriore al dicembre 2000, della costituzione di RSU all'interno della scuola .
Ha poi dedotto la mancanza del requisito dell'attualità della condotta, ritenendo non utilizzabili, ai fini della procedura ex art. 28 S.L., fatti risalenti nel tempo, quali i comportamenti relativi ai pregressi anni scolastici. (Omissis)
Alla luce di tali circostanze di fatto, ha quindi sostenuto l'infondatezza del ricorso.
Motivi della Decisione
Tanto premesso, preliminarmente rileva il giudicante l'assenza del requisito della attualità della dedotta condotta antisindacale per gli anni scolastici 1998- 2002, considerato il lungo tempo trascorso tra la condotta denunciata e il deposito del ricorso.
Tale considerazione induce a ritenere assorbite le ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dalla resistente ed innanzi riportate.
Quanto, invece, alla condotta denunciata con riferimento all'anno scolastico in corso, si rileva che il ricorso è fondato e deve essere accolto.
L'art.3 del CCNL del Comparto scuola 2002/2005 prevede che il sistema di relazioni industriali si articola, tra l'altro, nel modello relazionale della contrattazione collettiva che si svolge a livello integrativo nazionale, regionale e a livello di istituzione scolastica, con le modalità, i tempi e le materie articolate agli artt. 4 e 6 .
(Omissis)
Per valutare il merito della controversia, pertanto, occorre verificare, alla luce delle vicende di fatto illustrate dalle parti, se ed in che misura il resistente ha rispettato gli obblighi previsti dalla contrattazione collettiva in tema di relazioni sindacali.
Xxxxxx, l'esame delle dichiarazioni rese dalle parti e della documentazione acquisita consente di affermare che nella specie il dirigente scolastico della scuola ….. non ha osservato le disposizioni contrattuali in tema di
contrattazione integrativa d'istituto.
Ed invero, a fronte delle reiterate richieste, inoltrate anche a mezzo del difensore del ricorrente e documentate in atti, detto dirigente non ha mai convocato al tavolo delle trattative il rappresentante territoriale dell'O.S. ricorrente, né ha formulato la proposta contrattuale che, ex art. 6 citato, avrebbe dovuto essere fatta entro termini congrui con l'inizio dell'anno scolastico.
(Omissis)
Alla luce degli elementi di fatto testè evidenziati emerge dunque che il dirigente, anziché avviare le trattative con l'O.S. ricorrente e, conseguentemente, negoziare su tutte le materie indicate dal 2° comma dell'art 6 del CCNL, onde poi formulare la proposta contrattuale da sottoporre all'approvazione del sindacato, ha ritenuto di "saltare" la fase delle trattative o, meglio, di trattare le materie di cui all'art. 6 esclusivamente con gli RSU -in violazione dell'art. 7 del CCNL, che individua le delegazioni trattanti a livello di istituzione scolastica, nelle RSU e nei rappresentanti territoriali delle XX.XX. firmatarie del CCNL-, formulando all'esito la proposta contrattuale.
Detto comportamento ha indotto quindi l'estromissione del ricorrente dalle trattative, posto che la successiva sottoposizione ad esso della proposta contrattuale, per l'approvazione, certamente ha escluso, per il ricorrente, la possibilità di essere parte attiva del processo formativo dell'accordo sindacale; ha escluso, praticamente, la possibilità del sindacato di negoziare preventivamente le forme di tutela dei diritti del personale scolastico, nonché dei diritti sindacali di cui al punto f) dell'art. 6 del CCNL, venendo informato preventivamente sulle modalità ed i tempi di gestione della scuola e della ripartizione delle risorse economiche del dirigente, nonché di negoziare le forme di prevenzione della conflittualità delle relazioni sindacali.
La condotta della resistente assume, a parere del giudicante, il carattere della antisindacalità in quanto in aperta violazione dei diritti all'informazione e di contrattazione che il CCNL della scuola riconosce alle XX.XX.
Ed invero, la finalità dell'incontro tra le parti sociali è quella di contemperare una serie di interessi giuridicamente rilevanti, al fine di migliorare le condizioni di lavoro e la professionalità dei dipendenti e nel contempo mantenere elevata l'efficacia e l'efficienza dei servizi per la collettività.
L'art. 6 del CCNL, come visto innanzi, garantisce l'attivazione dell'informazione, della consultazione e della contrattazione in una serie di materie.
Pertanto, posto che l'attività del sindacato non si esaurisce solo sul posto di lavoro, ma si estende a tutti quei casi nei quali la contrattazione riconosce al sindacato posizioni partecipative dei processi decisionali, ne deriva che ogniqualvolta il datore di lavoro elude tale prerogativa, rendendo di fatto nullo il ruolo del sindacato nella fase di informativa e di consultazione, sussiste la condotta antisindacale (nello stesso senso, Trib. Avellino, decreto del 28.6.2003).
In giurisprudenza, comunque, è pacifico l'orientamento che afferma la antisindacalità della condotta datoriale in caso di violazione di disposizioni, di legge o contrattuali, che riconoscono al sindacato il diritto di informazione e di consultazione (cfr., X. Xxxx, 00-00-0000, Xxx. Xxxxxx, 13-03-2001, Trib.
Pistoia, 29-02-2000 ). (Omissis)
Il mancato rispetto del ruolo del sindacato concordato in sede di contrattazione costituisce certamente condotta antisindacale in quanto mette in discussione la credibilità e l'immagine del sindacato, vanificandone l'azione e sminuendo il ruolo di agente contrattuale soprattutto agli occhi dei lavoratori che, in tal caso, ben possono ritenere di non essere validamente rappresentati.
L'esclusione del ricorrente dalla trattativa e dalla consultazione, considerata anche l'importanza degli argomenti da trattare, appare anche in contrasto con i principi di buona fede e correttezza in quanto altera le regole del confronto sindacale stabilite in sede di contrattazione, dando luogo ad atteggiamenti di negazione del ruolo svolto dalle XX.XX.,
Non v'è dubbio che tale atteggiamento toglie credibilità al ricorrente, il quale si è visto spogliato della sua effettiva rappresentatività in seguito al disconoscimento del ruolo dialettico e di potere contrattuale.
Quanto alla intenzionalità della condotta, basta osservare che la più recente giurisprudenza, cui questo Xxxxxxx ritiene di aderire, esclude la necessità della dimostrazione della intenzionalità della condotta datoriale ai fini della qualificazione della antisindacalità; sul punto si è pronunciata la Suprema Corte a Sezione Unite (sent.n. 5295 del 12.6.1997) affermando che " ai fini della valutazione della antisindacalità della condotta datoriale è sufficiente che il giudice accerti che il comportamento del datore di lavoro abbia oggettivamente leso la libertà sindacale o il diritto di sciopero, non essendo necessario (ma nemmeno sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte dell'imprenditore" (conf. Cass. 00.0.0000 x.0000; id. n. 1600 del 16 .2.1998).
Sussiste nella specie anche l'attualità della condotta.
Ed invero, l'attualità della condotta antisindacale, che costituisce presupposto necessario per l'esperibilità dell'azione ex art. 28 l. 20 maggio 1970 n. 300, in quanto diretta ad una pronunzia costitutiva e non di mero accertamento, non è esclusa dall'esaurirsi della singola azione sindacale del datore di lavoro, ove il comportamento illegittimo di questi risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale (in tal senso, Cass., sez. lav., 02-06-1998, n. 5422).
(Omissis)
Conseguentemente, va ordinata alla resistente la immediata cessazione della
condotta antisindacale di cui sopra, con il conseguente ordine, per rimuoverne gli effetti, di convocare formalmente il ricorrente per le trattative inerenti le materie di cui all'art. 6 del CCNL per il corrente anno scolastico entro e non oltre il termine di gg. 10 dalla comunicazione della presente ordinanza e di formulare la conseguente proposta contrattuale entro i successivi 10 giorni decorrenti dalla riunione fissata entro il termine che precede.
Le spese seguono la soccombenza
P. Q. M.
Accoglie in parte il ricorso ex art. 28 L. n. 300/70 proposto dalla ……O.S., in persona del segretario provinciale sig. ….., nei confronti del Dirigente e,
per l'effetto, così provvede:
1) dichiara antisindacale la condotta posta in essere dal resistente con riferimento alla omessa convocazione del ricorrente per le trattative relative alle materie oggetto di contrattazione integrativa d'istituto ed alla omessa formulazione della conseguente proposta contrattuale, con riferimento al corrente anno scolastico;
2) ordina, per l'effetto, al Dirigente di convocare formalmente il ricorrente per le trattative inerenti le materie di cui all'art. 6 del CCNL per il corrente anno scolastico entro e non oltre il termine di gg. 10 dalla comunicazione della presente ordinanza e di formulare la conseguente proposta contrattuale entro i successivi 10 giorni;
3) condanna il resistente al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente, che liquida in complessive € ………… (di cui per
onorari), oltre accessori.
Si comunichi a cura della cancelleria.
Bari, 11.3.2004
Il giudice del lavoro Dott.ssa Xxxxxxx Xxxxxxxx
Tribunale di Roma – Giudice del lavoro, Sentenza n. 205113 del 15 luglio 2003 -
modalita' e procedura della contrattazione decentrata – comportamento antisindacale - soggetti necessari alla stipula e sottoscrizione – principio del massimo consenso possibile
omissis
FATTO
ricorso ex art.28 legge n.300 del 1970 con cui il Coordinamento della Provincia di Roma clella rappresentanza Sindacale dí Base Federazione, dei Pubblico Impiego R.D.B. P.I., lamentando gravi irregolarita' poste in atto dalla Amministrazione Provinciale di Roma nelle modalità e nei termini della contrattazione di un Accordo prelìminare al Contratto Collettivo Decentrato Integrativo …………..chiede dichiararsi l'antisìndacalità del comportamento
dell'Amministrazione Provinciale di Roma ……………secondo la stessa parte rícorrente la RSU si confiqura come agente negoziale necessario nelle trattative per la definizione deglì accordi decentrati e per la stipulazione dei relativi contratti e deve obbligatoriamente esservi coinvolta.
Il GIUDICE DESIGNATO
…………..appare evidente che il Coordinamento della Provincia di Roma della rappresentanza Sindacale di Base Federazione dei Pubblico Impiego difetta dì legittimazione attiva onde va rilevata la fondatezza della relativa eccezione di parte convenuta, secondo cui il Coordinamento predetto non ha titolo autonomo o diretto a lamentare lesìoni o a richiedere una tutela di interessi di cui è titolare la RSU, mentre è ammesso che lo stesso RDB non è legittimato alla sottoscrizione del contratto íntegrativo.
Va infatti tenuto presente che, in base all'Accordo Quadro 7.8.1998, le RSU sono subentrate alle rappresentanze sindacali aziendali nelle titolarità dei diritti sindacali con la conseguenza che le organizzazioni sindacali anche locali sono venute a perdere la titolarítà di posizione sindacale autonoma.
Ma l'art-28 richiede per la legittimazione attiva che l'azione sia promossa dall'organismo locale delle associazioni sindacali nazionali, intendendosi questo orqanismo locale come articolazione periferica ma pur sempre dotata di propria autonomia e soggettività
Non può ritenersi provato ….che il Coordinamento della Provincia di Roma della rappresentanza Sindacale di Base Federazione dei Pubblico impiego abbia siffatte caratteristiche, …….
Comunque nel merito il ricorrente lamenta il rifiuto della Provincia di rinviare la sottoscrizione dell'accordo preliminare al contratto collettivo decentrato per consentire l'esame della relativa proposta da parte del Consiglio della RSU nonché la sottoscrìzione, di detto contratto solo da alcuni membri della RSU e senza il rispetto dei principio maggioritario.
La prima lagnanza poteva avere un peso signifícativo se l'ipotesi di accordo avesse contenuto soluzioni nuove, mai emerse nelle precedenti lunghe trattative e quindi mai valutate prima, nulla al riguardo è stato peraltro dedotto, ed è comprensibile giacché a ben vedere solo la RSU (che non è parte in questo procedimento) poteva sollevare precise obiezioni ai riguardo.
Quanto al contratto collettivo-decentrato, non esistono norme regolatrici circa i soggetti necessari alla relativa stipula e sottoscrizione, mentre il CCNL delle autonomie locali (e in linea con lo stesso, l'accordo quadro 7.8.98 sulla costituzione delle RSU) espressamente prevede soltanto che nella contrattazione collettiva integrativa i poteri e le decisioni contrattuali vengano esercitati (con pari poteri) dalle RSU e dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categorie firmatarie del relativo CCNL.
Da ciò consegue che non esiste la necessità della sottoscrizione da parte della RSU e non vige neanche il principio che le decisioni negoziali in sede decentrata siano prese a maggioranza, mentre appare legittima la stipulazione che avvenga con ricerca del rnassimo consenso possibile.
Per tutte queste considerazioni, s'impone il rigetto del rìcorso. Sussistono peraltro giusti motívi per compensare tra le parti le spese di lite.
p-q-m-
rigetta il ricorso. Spese compensate Roma, 15.7.2003
Contrattazione collettiva decentrata integrativa di livello territoriale (Art. 6 CCNL del 1/4/1999)
ATTENZIONE
Articolo così sostituito dall’art. 5 del CCNL del 22.1.2004
1. Per gli enti, territorialmente contigui, con un numero di dipendenti in servizio non superiore a 30 unità, la contrattazione collettiva decentrata integrativa può svolgersi a livello territoriale sulla base di protocolli di intesa tra gli enti interessati e le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente contratto; l’iniziativa può essere assunta dalle associazioni nazionali rappresentative degli enti del comparto o da ciascuno dei soggetti titolari della negoziazione decentrata integrativa.
2. I protocolli devono precisare:
a) la composizione della delegazione trattante di parte pubblica;
b) la composizione della delegazione sindacale, prevedendo la partecipazione di rappresentanti delle organizzazioni territoriali dei sindacati firmatari del presente CCNL, nonché forme di rappresentanza delle RSU di ciascun ente aderente;
c) la procedura per la autorizzazione alla sottoscrizione del contratto decentrato integrativo territoriale, ivi compreso il controllo sulla compatibilità degli oneri con i vincoli di bilancio dei singoli enti, nel rispetto della disciplina generale stabilita dall’art. 5;
d) i necessari adattamenti per consentire alle rappresentanze sindacali la corretta fruizione delle tutele e dei permessi.
3. I rappresentanti degli enti che aderiscono ai protocolli definiscono, in una apposita intesa, secondo i rispettivi ordinamenti:
a) le modalità di formulazione degli atti di indirizzo;
b) le materie, tra quelle di competenza della contrattazione integrativa decentrata, che si intendono affidare alla sede territoriale con la eventuale
specificazione degli aspetti di dettaglio, che devono essere riservate alla contrattazione di ente;
c) le modalità organizzative necessarie per la contrattazione e il soggetto istituzionale incaricato dei relativi adempimenti;
d) le modalità di finanziamento dei relativi oneri da parte di ciascun ente.
4. La disciplina del presente articolo può essere attivata dalle Camere di commercio contigue indipendentemente dal numero dei dipendenti in servizio.”
Dichiarazione congiunta n. 9 Allegata al CCNL del 22.1.2004
Con riferimento alla disciplina dell’art. 5, le parti concordano nel ritenere che la eventuale iniziativa riconosciuta alle “associazioni nazionali rappresentative degli enti” per la attivazione della contrattazione decentrata territoriale, deve intendersi riconosciuta anche alle articolazioni territoriali delle medesime associazioni nazionali, ove esistenti e operative.
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
499-6A. Vincoli
499-6A1. Un ente è capofila di altri 9 comuni per la gestione associata di alcuni servizi tra i quali quello di definire indirizzi uniformi per gli accordi integrativi a seguito della recente stipula del CCNL 2002- 0000.Xx tentativo, già avviato nel passato, era quello di giungere ad un accordo integrativo territoriale, ma il sopraggiunto art.5 del vigente Contratto – coinvolgendo solo enti con numero di dipendenti inferiori a 30 unità – di fatto preclude questo tipo di contrattazione per tre comuni dei dieci totali.
I dubbi interpretativi al riguardo sono i seguenti:
1) la previsione dell’art.5 è vincolante oppure ha un valore solo ordinatorio e quindi superabile con l’accordo anche delle XX.XX. presenti sul territorio?
2) possono essere previste risorse aggiuntive per la contrattazione decentrata con finanziamento sui bilanci delle singoli enti?
Riteniamo che la previsione dell’art.5 relativamente ai 30 dipendenti debba essere ritenuta vincolante, ai fini della corretta procedura di contrattazione territoriale.
Le risorse aggiuntive decentrate, per la parte variabile, possono essere individuate dai singoli enti, perché siano rispettate le prescrizioni contrattuali in materia; al riguardo suggeriamo di prendere visione anche del contenuto dei quesiti specifici relativi all’art.31.
Informazione
(Art. 7 CCNL del 1/4/1999)
1. L’ente informa periodicamente e tempestivamente i soggetti sindacali di cui all’art. 10, comma 2, sugli atti di valenza generale, anche di carattere finanziario, concernenti il rapporto di lavoro, l’organizzazione degli uffici e la gestione complessiva delle risorse umane.
2. Nel caso in cui si tratti di materie per le quali il presente CCNL prevede la concertazione o la contrattazione collettiva decentrata integrativa, l’informazione deve essere preventiva.
3. Ai fini di una più compiuta informazione le parti, su richiesta di ciascuna di esse, si incontrano con cadenza almeno annuale ed in ogni caso in presenza di: iniziative concernenti le linee di organizzazione degli uffici e dei servizi; iniziative per l’innovazione tecnologica degli stessi; eventuali processi di dismissione, di esternalizzazione e di trasformazione, tenuto anche conto di quanto stabilito dall’art. 11, comma 5, del CCNL quadro per la definizione dei comparti di contrattazione del 2 giugno 1998.
Nei casi di cui all’art. 19 del D.Lgs. 626/94 è prevista la consultazione del rappresentante della sicurezza. La consultazione è altresì effettuata nelle materie in cui essa è prevista dal D.Lgs. 29/93(ora D.Lgs. n. 165/2001).
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
499-7A. Limiti dell’informazione.
499-7A1. Le XX.XX. hanno diritto ad informazioni di carattere specifico e particolare concernenti la gestione o comunque lo status del singolo dipendente? In particolare, hanno diritto di conoscere le ore di lavoro straordinario (o aggiuntivo) effettuate dai singoli dipendenti con contratto a termine (o con rapporto part-time) e i compensi da essi percepiti e di conoscere aspetti personali e di dettaglio dei contratti di fornitura di lavoro temporaneo e delle collaborazioni coordinate e continuative in essere presso l’amministrazione ?
Gli spazi di “informazione” sono chiaramente delineati dall’art.7 del CCNL dell’1.4.1999, che, peraltro fa riferimento solo agli atti di valenza generale concernenti il rapporto di lavoro, l’organizzazione degli uffici e la gestione complessiva delle risorse umane.
Conseguentemente, deve escludersi ogni obbligo di informazioni di carattere specifico e particolare concernente la gestione o comunque lo status del singolo dipendente.
In materia di contratto a termine, poi, è prevista la preventiva attivazione del modulo della concertazione con riferimento alla individuazione dei fabbisogni di personale da assumere con tale tipologia contrattuale.
Con riferimento al contratto a tempo parziale è prevista (art.4, comma 6, del CCNL del 14.9.2000) un’informazione semestrale alle organizzazioni sindacali con un oggetto ben specifico: andamento delle assunzioni a tempo parziale, sulle diverse tipologie e sull’eventuale ricorso non al lavoro aggiuntivo e straordinario. Si tratta di elementi oggettivi e generali che si estendono certo alle singole situazioni soggettive. L’eventuale ricorso al lavoro aggiuntivo, come indicazione, sta a significare la quantità complessiva di lavoro aggiuntivo a cui si è fatto ricorso all’interno dell’ente o, al suo interno, tra le diverse strutture organizzative ma non può equivalere, certo, ad informazione specifica e dettagliata sulle quantità e sui compensi percepiti dai singoli lavoratori.
Ugualmente carattere generale ed oggettivo hanno le informazioni dovute alle XX.XX. in materia di lavoro interinale, ai sensi dell’art.2, comma 10, dello steso CCNL del 14.9.2000.
Per ciò che attiene alle collaborazioni continuate e coordinate, i modelli di informazione previsti contrattualmente non le prendono in alcun modo in considerazione in quanto trattasi di fattispecie di lavoro autonomo che il CCNL, proprio perché tali non ha disciplinato (né poteva disciplinare).
Pertanto, a parte i dubbi da voi avanzati circa la riconducibilità alla legge 241/1990 anche di tali contratti di lavoro autonomo e sulla stessa portata di tale legge (se debba riguardare anche gli specifici contenuti di ciascun contratto o solo le quantità globali: numero complessivo e spesa totale da essi derivante), riteniamo che in materia non possa comunque prescindersi dalle precise disposizioni in materia di privacy contenute nella legge n.675/1996.
Pertanto, poiché viene in considerazione un profilo non attinente all’applicazione di clausole contrattuali, suggeriamo di rivolgere il quesito al Garante per la protezione di dati personali, che in proposito ha già avuto modo di fornire indicazioni.
499-7B. Altri problemi appplicativi legati all’informazione.
499-7B1. Se l’informazione preventiva non viene data, quali sono le possibili conseguenze ?
Per ciò che attiene, in generale, alle problematiche concernenti la violazione delle regole in materia di relazioni sindacali, occorre ricordare che anche la violazione del più leggero dei modelli relazionali previsti (l'informazione) può essere oggetto di ricorso da parte delle XX.XX. al particolare strumento previsto dall'art.28 della legge n.300/1970 per la repressione della condotta antisindacale. Inoltre, trattandosi di modelli relazionali da rispettare in via preventiva rispetto alla concreta adozione dell'atto o del provvedimento per i quali sono previsti (informazione preventiva, concertazione), in sede di giudizio, il magistrato, oltre a dichiarare l'antisindacalità del comportamento dell'ente, potrebbe anche ordinare la rimozione degli effetti di tale comportamento, invalidando gli atti eventualmente adottati dal datore di lavoro pubblico senza il rispetto del vincolo relazionale prescritto.
499-7C. La consultazione sulla variazione delle dotazioni organiche.
499-7C1. Variazione della pianta organica: l'art.6 del D.Lgs.165/2001 stabilisce l'obbligo della previa consultazione delle XX.XX.; è ancora vigente questo obbligo, visto che il CCNL non ha disciplinato il modello relazionale della consultazione ? Se sì, qual è la procedura da seguire ? E' possibile escludere dalla consultazione la RSU, visto che il D.Lgs.165/2001 fa esclusivo riferimento alle organizzazioni sindacali rappresentative?
L'obbligo di consultare le XX.XX. prima di definire, in base alla verifica degli effettivi fabbisogni, la consistenza e le variazioni della dotazione organica è ancora vigente; si tratta di un obbligo espressamente previsto dall'art.6 del D.Lgs.165/2001 e dall'art.7, comma 4 del CCNL dell'1.4.1999, secondo il quale "la consultazione è altresì effettuata nelle materie in cui essa è prevista dal D.Lgs.29/93" (rinvio che oggi deve intendersi riferito al D.Lgs.165/2001).
Gli enti hanno, inoltre, gli obblighi di informazione espressamente indicati nell'art. 7 del CCNL dell'1.4.1999 (tra i quali rientra anche la programmazione dei fabbisogni).
In generale, escludiamo che quando sia prevista la consultazione sia possibile escludere dalla stessa la RSU; infatti, anche se l'art.6 del D.Lgs.165/2001 parla di organizzazioni sindacali rappresentative è pur vero che esso rinvia all'art.9 dello stesso decreto e quindi alla disciplina dei rapporti sindacali e degli istituti della partecipazione definita nei contratti collettivi; il CCNL dell'1.4.1999 considera sempre sullo stesso piano le XX.XX. rappresentative e la RSU (è così per la contrattazione integrativa, per la concertazione e per l'informazione; è così nelle previsioni generali sui soggetti sindacali dell'art.9 del citato CCNL); pertanto, sembrerebbe strano escludere la RSU dalla sola consultazione.
Quanto alla procedura da seguire, in assenza di precise indicazioni siamo del parere che nei casi in cui la legge o il CCNL prevedono la consultazione delle organizzazioni sindacali l'ente, previa adeguata informazione, debba limitarsi ad acquisire, senza particolari formalità, il parere dei soggetti sindacali indicati nell'art.10, comma 2 del CCNL dell'1.4.1999 (analogamente a quanto avveniva in vigenza del CCNL del 6.7.1995).
Concertazione
(Art. 8 CCNL del 1/4/1999)
ATTENZIONE
Articolo così sostituito dall’art. 6 del CCNL del 22.1.2004
1. Ciascuno dei soggetti di cui all’art. 10, comma 2, ricevuta l’informazione, ai sensi dell’art.7, può attivare, entro i successivi 10 giorni, la concertazione mediante richiesta scritta. In caso di urgenza, il termine è fissato in cinque giorni. Decorso il termine stabilito, l’ente si attiva autonomamente nelle
materie oggetto di concertazione. La procedura di concertazione, nelle materie ad essa riservate non può essere sostituita da altri modelli di relazioni sindacali.
2. La concertazione si effettua per le materie previste dall’art.16, comma 2, del CCNL del 31.3.1999 e per le seguenti materie:
a) Articolazione dell’orario di servizio;
b) Calendari delle attività delle istituzioni scolastiche e degli asili nido;
c) Criteri per il passaggio dei dipendenti per effetto di trasferimento di attività o di disposizioni legislative comportanti trasferimenti di funzioni e di personale;
d) Andamento dei processi occupazionali;
e) Criteri generali per la mobilità interna.
1. La concertazione si svolge in appositi incontri, che iniziano entro il quarto giorno dalla data di ricezione della richiesta; durante la concertazione le parti si adeguano, nei loro comportamenti, ai principi di responsabilità, correttezza e trasparenza.
2. La concertazione si conclude nel termine massimo di trenta giorni dalla data della relativa richiesta. Dell’esito della stessa è redatto specifico verbale dal quale risultino le posizioni delle parti.
La parte datoriale è rappresentata al tavolo di concertazione dal soggetto o dai soggetti, espressamente designati dall’organo di governo degli enti, individuati secondo i rispettivi ordinamenti.
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
499-8A Carartteristiche della concertazione
499-8A1. In cosa consiste la concertazione? E’ possibile che essa assuma forma e sostanza di contratto decentrato integrativo?
La concertazione consiste in una procedura non negoziale a termine volta a favorire, ove possibile, la ricerca di una posizione condivisa sulle materie ad essa espressamente demandate, normalmente rientranti nell’autonomo esercizio dei poteri organizzativi del datore di lavoro pubblico. Nel corso della oncertazione le parti adeguano i loro comportamenti ai principi di responsabilità, correttezza, buona fede e trasparenza.
Trattandosi di procedura non negoziale essa non può in nessun caso tradursi in un contratto decentrato.
Quanto sopra è confermato anche dall’art.6 del CCNL del 22.1.2004, il quale ribadisce, tra l’altro, che “la procedura di concertazione, nelle materie ad essa riservate non può essere sostituita da altri modelli di relazioni sindacali”; questo significa che se una materia è oggetto di concertazione non è assolutamente possibile farla diventare oggetto di contrattazione integrativa.
499-8B. Materie di concertazione.
499-8B1. Le modifiche della dotazione organica sono oggetto di concertazione?
La modifica della dotazione organica, in generale, rappresenta sicuramente un atto riconducibile a quelli di organizzazione e, pertanto, come tale, rientra nel modello di partecipazione dell'informazione di cui all'art.7 del CCNL dell'1.4.1999. Non può, invece, in alcun modo essere ricondotta al diverso e più penetrante modello relazionale della concertazione, dato che l'art.8 del CCNL dell'1.4.1999 in nessun modo, diretto o indiretto, vi fa riferimento.
A diversa conclusione deve pervenirsi relativamente all'attuazione dell'art.29 del CCNL del 14.9.2000. Infatti, tale articolo, al comma 4 e limitatamente all'ipotesi di cui al comma 1, lett. c), stabilisce che il numero dei posti di dotazione organica da istituire, a seguito della verifica dell'effettivo svolgimento da parte degli interessati di compiti di coordinamento e controllo, viene definito previa concertazione.
Quanto sopra è confermato anche dall'art.6 del CCNL del 22.1.2004. Ricordiamo, però, che in tale materia gli enti hanno anche l’obbligo di consultare in via preventiva le XX.XX. ai sensi dell’art.6 del D.Lgs.165/2001, così come previsto anche dall’art.7, comma 4 del CCNL dell’1.4.1999, secondo il quale “la consultazione è altresì effettuata nelle materie in cui essa è prevista dal D.Lgs.29/93” (rinvio che oggi deve intendersi riferito al D.Lgs.165/2001).
Precisiamo, inoltre, che anche se l’art.6 del D.Lgs.165/2001 parla di organizzazioni sindacali rappresentative è pur vero che esso rinvia all’art.9 dello stesso decreto e quindi alla disciplina dei rapporti sindacali e degli istituti della partecipazione definita nei contratti collettivi; il CCNL dell’1.4.1999 considera sempre sullo stesso piano le XX.XX. rappresentative e la RSU (è così per la contrattazione integrativa, per la concertazione e per l’informazione; è così nelle previsioni generali sui soggetti sindacali); pertanto, la consultazione dovrà coinvolgere anche la RSU.
499-8C. Procedura.
499-8C1. L’art.8 del CCNL dell’1.4.1999 stabilisce che le XX.XX., ricevuta l'informazione prevista dall’art.7 dello stesso CCNL, possono attivare, mediante richiesta scritta, la concertazione su determinate materie. Entro quale termine ? E’ possibile che sia l’ente a stabilire un termine congruo per la presentazione della richiesta di attivazione della procedura di concertazione ?
Si tratta di un problema ormai superato; infatti, l’art.6 del CCNL del 22.1.2004, modificando l’art.8 del CCNL dell’1.4.1999 ha espressamente previsto che “ciascuno dei soggetti di cui all’art. 10, comma 2, ricevuta l’informazione, ai sensi dell’art.7, può attivare, entro i successivi 10 giorni, la concertazione mediante richiesta scritta. In caso di urgenza, il termine è fissato in cinque giorni. Decorso il termine stabilito, l’ente si attiva autonomamente nelle materie oggetto di concertazione…”.
GIURISPRUDENZA
Trib. L'Aquila, decr. 26.10.02 (giudice Mostarda) - Relazioni sindacali- condotta antisindacale- art. 5 CCNL comparto enti pubblici non economici- obbligo di consultazione delle OOSS- limiti- procedura di concertazione conclusa senza il raggiungimento di un accordo - decisione unilaterale dell'amministrazione- legittimità.
DECRETO
Il Tribunale
in composizione monocratica in persona della dr.ssa Xxxxxxxx, quale giudice del lavoro, letti ed esaminati gli atti, ...
OSSERVA
…….OMISSIS
....occorre pur sempre risalire alla fonte dei diritti sindacali e cioè il contratto collettivo di comparto perché tale è l'unica sede in cui può rilevarsi ed affermarsi la presenza di una condotta antisindacale.
Ora, sempre il ccnl comparto parastato prevede nel sistema di partecipazione, oltre all'informazione ed alla consultazione, la c.d. concertazione che, per come sopra già evidenziato, viene attivata su richiesta delle OOSS e si svolge in appositi incontri nei quali le parti verificano la possibilità di pervenire ad un accordo (art.6 ccnl).
Le materie oggetto della lamentata condotta antisindacale rientrano nell'ambito di tale istituto ai sensi dell'art.6 che elenca, fra le altre, la materia della "definizione dei criteri per la determinazione e distribuzione dei carichi di lavoro e delle dotazioni organiche" (né peraltro parte ricorrente ha inteso lamentare l'antisindacalità in relazione alla contrattazione integrativa).
L 'istituto della concertazione non è però uno strumento negoziale né tantomeno decisionale, realizzando invece un'occasione di confronto che serve a porre le basi per una decisione maggiormente partecipata e consapevole ma pur sempre unilaterale dell' amministrazione.
D'altronde l'istituto si diversifica proprio per tale aspetto dalla contrattazione (art.4 ccnl comparto) che coinvolge invece un processo effettivamente negoziale.
Il contratto collettivo prevede quanto alla concertazione che il confronto deve comunque concludersi entro un certo termine e che dell'esito della concertazione è redatto verbale che riporta le posizioni delle parti nelle materia trattate (art.6 ccnl): dal tenore delle norme si evince che nelle materia oggetto di concertazione in ultima analisi la decisione dell'amministrazione non risulta in alcun modo sottoposta al previo accordo delle organizzazioni sindacali, ma può essere unilateralmente adottata, avendo la procedura concertativa chiarito le motivazioni ad essa sottese. Le conseguenze di tale unilaterale decisione adottata nel merito in disaccordo con le OOSS rientrano nell'area dell'ordinario conflitto sindacale e dipendono pur sempre dalla forza sindacale della organizzazione, ma non possono certo far derivare, alla luce della legittimità
della procedura seguita, la antisindacalità della condotta.
Posto quindi che la procedura per l'istituto partecipativo della concertazione è stata rispettata, che non emerge in alcun modo che l'Ente si sia sottratto nella procedura al confronto violando regole di buona fede e di correttezza, che di fatto la ricorrente lamenta esclusivamente il "merito" della scelta e quindi l'adozione unilaterale di una decisione contrastante con gli esiti del confronto (almeno con riferimento alla sigla sindacale ricorrente ), che tale doglianza non tiene però in alcun conto della natura del 'istituto della concertazione che non è, per come sopra rilevato, uno strumento negoziale, che la materia rientra nell'ambito della concertazione e non in quello della contrattazione integrativa, deve ritenersi che non sussista allo stato alcuna ragione per ritenere l'antisindacalità della condotta.
Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Relazioni sindacali
(Art. 16 CCNL del 31/3/1999)
1. In attesa di rivedere il sistema delle relazioni sindacali riguardante la contrattazione collettiva integrativa, le parti convengono che, allo stato, le materie di contrattazione decentrata di cui all’art. 5, comma 3, del CCNL del 6.7.1995, sono integrate dalle seguenti:
completamento ed integrazione dei criteri per la progressione economica all’interno della categoria di cui all’art. 5, comma 2;
modalità di ripartizione delle eventuali risorse aggiuntive per il finanziamento della progressione economica e per la loro distribuzione tra i fondi annuali di cui all’art. 14.
2. Nell’ambito della revisione del sistema delle relazioni sindacali, da attuarsi in sede di rinnovo del CCNL del quadriennio 1998-2001, le parti convengono che le procedure di concertazione tra gli enti e le rappresentanze sindacali devono comunque riguardare la definizione dei criteri generali per la disciplina delle seguenti materie:
a) Svolgimento delle selezioni per i passaggi tra qualifiche;
b) Valutazione delle posizioni organizzative e relativa graduazione delle funzioni;
c) Conferimento degli incarichi relativi alle posizioni organizzative e relativa valutazione periodica;
d) Metodologia permanente di valutazione di cui all’art. 6;
e) Individuazione delle risorse aggiuntive per il finanziamento del fondo per la progressione economica interna alla categoria di cui all’art. 5;
f) Individuazione dei nuovi profili di cui all’art. 3, comma 6;
g) Attuazione delle regole relative agli aggiornamenti e/o modificazioni di cui
all’art. 14, comma 2.
Le procedure di concertazione di cui al presente comma sono effettuate attraverso un confronto che deve comunque concludersi entro il termine massimo di trenta giorni dalla sua attivazione.
Relazioni sindacali delle unioni di comuni (Art. 7 CCNL 22.1.2004)
1. Le relazioni sindacali delle unioni di comuni sono disciplinate dal titolo secondo del CCNL dell’1.4.1999 con riferimento a tutti i modelli relazionali indicati nell’art. 3, comma 2, dello stesso CCNL. Sino alla elezione della RSU di ciascuna unione, secondo la vigente disciplina, la delegazione sindacale trattante è composta dai delegati delle RSU degli enti aderenti e dai rappresentanti territoriali delle organizzazioni sindacali firmatarie del presente contratto.
Dichiarazione congiunta n. 5 Allegata al CCNL del 22.1.2004
Le parti concordano sulla necessità che le unioni di comuni, come entità istituzionali autonome, diano piena attuazione alla disciplina del CCNQ del 7.8.1998 in particolare per gli aspetti relativi alla quantificazione e utilizzazione del monte ore dei permessi sindacali di ente.
Monitoraggio e verifiche (Art. 25 CCNL del 1/4/1999)
1. Per l'approfondimento di specifiche problematiche, in particolare concernenti l'organizzazione del lavoro, l'ambiente, l'igiene e sicurezza del lavoro, i servizi sociali, possono essere costituite, a richiesta, in relazione alle dimensioni delle amministrazioni e senza oneri aggiuntivi per le stesse, Commissioni bilaterali ovvero Osservatori con il compito di raccogliere dati relativi alle predette materie - che l’ente è tenuto a fornire - e di formulare proposte in ordine ai medesimi temi. I Comitati per le pari opportunità, istituiti ai sensi delle norme richiamate nell'art. 9 del CCNL del 6.7.1995, svolgono i compiti previsti dal presente comma.
2. La composizione degli organismi di cui al comma 1, che non hanno funzioni negoziali, è di norma paritetica e deve comprendere una adeguata rappresentanza femminile.
3. Le Regioni, l’ANCI, l’UPI, l’UNIONCAMERE, l’UNCEM, le IPAB e le organizzazioni sindacali possono prevedere la costituzione di un Osservatorio, con le finalità di cui al comma 1, in materia di mobilità relativa a trasferimento di funzioni o ad eventuali esuberi a seguito di processi di riorganizzazione o di dissesto finanziario nonché sui processi di formazione e aggiornamento professionale nonché sull’andamento della contrattazione e delle controversie individuali.
Pari opportunità
(Art. 19 CCNL del 14/9/2000)
1. Al fine di attivare misure e meccanismi tesi a consentire una reale parità tra uomini e donne all’interno del comparto, nell’ambito delle più ampie previsioni dell’art. 2, comma 6, della L.125/1991 e degli artt. 7, comma 1, e 61 del D.Lgs.n. 29/1993(ora artt. 7, comma 1, e 57 del D.Lgs.n. 165/2001) saranno definiti, con la contrattazione decentrata integrativa, interventi che si concretizzino in “azioni positive” a favore delle lavoratrici.
2. Presso ciascun ente sono inoltre costituiti appositi comitati per le pari opportunità, composti da un rappresentante dell’ente, con funzioni di presidente, da un componente designato da ognuna delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL e da un pari numero di funzionari in rappresentanza dell’ente, nonché dai rispettivi supplenti, per i casi di assenza dei titolari.
3. I comitati per le pari opportunità hanno il compito di:
a) svolgere, con specifico riferimento alla realtà locale, attività di studio, ricerca e promozione sui principi di parità di cui alla L. 903/1977 e alla L. 125/1991, anche alla luce dell’evoluzione della legislazione italiana ed estera in materia e con riferimento ai programmi di azione della Comunità Europea;
b) individuare i fattori che ostacolano l’effettiva parità di opportunità tra donne e uomini nel lavoro proponendo iniziative dirette al loro superamento alla luce delle caratteristiche del mercato del lavoro e dell’andamento dell’occupazione femminile in ambito locale, anche con riferimento alle diverse tipologie di rapporto di lavoro;
c) promuovere interventi idonei a facilitare il reinserimento delle lavoratrici dopo l’assenza per maternità e a salvaguardarne la professionalità;
d) proporre iniziative dirette a prevenire forme di molestie sessuali nei luoghi di lavoro, anche attraverso ricerche sulla diffusione e sulle caratteristiche del fenomeno e l’elaborazione di uno specifico codice di condotta nella lotta contro le molestie sessuali.
4. Gli enti assicurano, mediante specifica disciplina, le condizioni e gli strumenti idonei per il funzionamento dei Comitati di cui al comma 2.
5. In sede di negoziazione decentrata a livello di singolo ente, tenendo conto delle proposte formulate dai comitati per le pari opportunità, sono concordate le misure volte a favorire effettive pari opportunità nelle condizioni di lavoro e di sviluppo professionale, considerando anche la posizione delle lavoratrici in seno alla famiglia, con particolare riferimento a:
a) accesso ai corsi di formazione professionale e modalità di svolgimento degli stessi;
b) flessibilità degli orari di lavoro in rapporto a quelli dei servizi sociali;
c) perseguimento di un effettivo equilibrio di posizioni funzionali a parità di requisiti professionali, di cui si deve tener conto anche nell’attribuzione di incarichi o funzioni più qualificate, nell’ambito delle misure rivolte a superare, per la generalità dei dipendenti, l’assegnazione in via permanente di mansioni estremamente parcellizzate e prive di ogni possibilità di evoluzione professionale;
d) individuazione di iniziative di informazione per promuovere comportamenti coerenti con i principi di pari opportunità nel lavoro.
6. Gli effetti delle iniziative assunte dagli enti, a norma del comma 5, formano oggetto di valutazione dei Comitati di cui al comma 2, che elaborano e diffondono, annualmente, uno specifico rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuno dei profili delle diverse categorie ed in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale, dei passaggi di categoria e della progressione economica all’interno della categoria nonché della retribuzione complessiva di fatto percepita.
7. I Comitati per le pari opportunità rimangono in carica per un quadriennio e comunque fino alla costituzione dei nuovi. I loro componenti possono essere rinnovati nell’incarico per una sola volta.
I Comitati per le pari opportunità si riuniscono trimestralmente o su richiesta di almeno tre componenti.
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
900-19A. Status dei componenti.
900-19A1. Il personale designato dall’Ente quale componente dei Comitati per le pari opportunità di cui all’art. 19 del CCNL del 14.9.2000 deve essere considerato in servizio quando partecipa alle relative riunioni?
I Comitati per le pari opportunità, sono organismi paritetici, costituiti con rappresentanti dell’ente e delle organizzazioni sindacali firmatarie, ai quali l’art.19 del CCNL del 14.9.2000 affida compiti ben precisi e specifici.
I dipendenti nominati dall’ente quali componenti di tali organismi, in
rappresentanza dell’ente stesso, proprio perché investiti di uno specifico incarico da svolgere in nome e per conto dell’ente, allorché partecipino ai lavori del Comitato non possono non essere considerati in servizio, in quanto rendono una prestazione nell’interesse del datore di lavoro pubblico.
CAPO II SOGGETTI SINDACALI
Soggetti sindacali nei luoghi di lavoro (Art. 9 CCNL del 1/4/1999)
1. I soggetti sindacali nei luoghi di lavoro sono:
a) le rappresentanze sindacali unitarie (R.S.U.) elette ai sensi dell’accordo collettivo quadro per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale, stipulato il 7 agosto 1998;
b) gli organismi di tipo associativo delle associazioni sindacali rappresentative previste dall’art. 10, comma 2, dell’accordo collettivo indicato nella lettera a).
2. I soggetti titolari dei diritti e delle prerogative sindacali, ivi compresi quelli previsti dall’art.10, comma 3, del CCNL quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi sindacali stipulato il 7 agosto 1998, sono quelli previsti dall’art. 10, comma 1, del medesimo accordo.
Si veda anche la circolare Aran allegata in calce
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Circolare ARAN prot. 4949 del 30 marzo 2001:Chiarimenti in ordine a quesiti relativi alle prerogative delle organizzazioni sindacali rappresentative, in particolare se federazioni sindacali costituite da più sigle nonché alla decadenza delle RSU
30 marzo 2001 - Prot. 4949
A tutte le Amministrazioni del comparto Regioni - Autonomie locali
A tutte le Amministrazioni del comparto Sanità Oggetto: Chiarimenti in ordine a quesiti relativi alle prerogative delle organizzazioni sindacali rappresentative, in particolare, se federazioni sindacali costituite da più sigle nonché alla decadenza delle RSU.
In esito ai numerosi quesiti che continuano a pervenire a questa Agenzia sulla materia in oggetto si forniscono i seguenti chiarimenti:
1) Organizzazioni sindacali rappresentative. Accredito dei dirigenti sindacali ai fini della fruizione delle prerogative
Come noto l'accertamento della rappresentatività ha carattere biennale (art. 44, comma 1 lett. g) del d.lgs. 80 / 1998 ripreso dall'art. 19 del CCNQ del 7 agosto 1998). Le organizzazioni sindacali rappresentative – cioè ammesse alle trattative per la stipulazione dei contratti collettivi nazionali – per il biennio in corso 2000-2001, sono indicate nelle tavole allegate al CCNQ del 9 agosto 2000 per il personale dei comparti e al CCNQ del 27 febbraio 2001 per le aree dirigenziali.
Si precisa che nel caso di federazioni sindacali rappresentative costituite da più sigle, per l'individuazione del soggetto titolare delle prerogative occorre sempre fare riferimento alla denominazione della federazione unitariamente intesa e non alle singole componenti della stessa.
Ne deriva che la richiesta di fruizione dei diritti e delle prerogative sindacali (permessi, distacchi etc.) deve pervenire esclusivamente da parte di tali federazioni sindacali e non dalle singole sigle che ne fanno parte.
Conseguentemente anche l'individuazione dei dirigenti sindacali abilitati nei luoghi di lavoro ad esercitare le prerogative spettanti, viene effettuata da ciascuna organizzazione o federazione sindacale rappresentativa (nel senso indicato nel primo periodo), unitariamente intesa ai sensi e con le procedure previste dall'art. 10 del CCNQ del 7 agosto 1998.
Per tale ragione, con particolare riferimento alle federazioni sindacali, l'accreditamento dei dirigenti sindacali nella sede decentrata non può essere effettuato da parte delle organizzazioni che la compongono (anche se uniche presenti sul luogo di lavoro), ma deve essere attuato dalla federazione.
Il medesimo criterio è applicato in occasione della firma dei contratti integrativi che deve essere apposta, nel caso di federazioni, non da parte della singola componente a titolo proprio ma in nome e per conto della federazione unitariamente intesa con l'indicazione della denominazione di quest'ultima.
2) Organizzazioni sindacali da ammettere alla contrattazione integrativaNel caso in cui le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione nazionale nel biennio economico 1998-1999 non coincidano con quelle individuate per il biennio 2000-2001 per il medesimo livello negoziale, l'art. 6, commi 3 e 4 del CCNQ del 9 agosto 2000 disciplina la fase transitoria intercorrente sino al subentro dei nuovi soggetti sindacali sia per quanto attiene i sindacati da ammettere alla contrattazione integrativa sia per quanto attiene i permessi da fruire nella sede di lavoro.
Questa fase termina con la decorrenza del contratto collettivo nazionale di stipulazione del biennio economico 2000-2001 attualmente realizzato solo per
le due aree della dirigenza del Servizio Sanitario nazionale.
Per il personale dei comparti regioni - autonomie locali e sanità e per l'area II della dirigenza regioni – autonomie locali, la citata norma transitoria trova, quindi, tuttora applicazione.
Sarà cura di questa Agenzia dare tempestiva comunicazione a codeste amministrazioni dell'avvenuta sottoscrizione dei rinnovi dei CCNL del secondo biennio per i comparti ed per l'area mancante, data dalla quale, senza ulteriori indicazioni, ciascuna amministrazione procederà ad una corretta formazione della delegazione trattante di parte sindacale per la contrattazione integrativa.
3) Composizione della delegazione trattante in caso di decadenza della RSUIn sede di contrattazione integrativa per il personale dei comparti, la RSU, organismo di rappresentanza elettiva del personale, è, unitamente alle organizzazione sindacali rappresentative firmatarie del CCNL, uno dei soggetti necessari della relativa delegazione trattante.
Qualora nel corso del triennio dalla loro elezione le RSU decadano, oltre che per le ragioni previste dall'art. 7, comma 3 del CCNQ 7 agosto 1998 anche per altri motivi che ne impediscano il funzionamento, dovranno essere avviate le procedure per una nuova elezione (ad esempio, quando per effetto delle dimissioni e dell'impossibilità di sostituzione dei candidati venga meno il numero legale per l'assunzione delle decisioni da parte della RSU stessa).
In tal caso occorre fare riferimento a quanto stabilito nell'Accordo di interpretazione autentica del 13 febbraio 2001 che prevede:
a) la rielezione della RSU entro i cinquanta giorni immediatamente successivi alla decadenza (attivando le procedure entro cinque giorni da quest'ultima);
b) nell'attesa, la prosecuzione delle relazioni sindacali con le organizzazioni di categoria firmatarie dei CCNL e con gli eventuali componenti della RSU rimasti in carica.
c) la possibilità che, nel periodo di cui al punto precedente, si possa pervenire alla sottoscrizione dei contratti integrativi con i componenti della RSU rimasti in carica e le organizzazioni sindacali di categoria sopracitate.
4) Diritti e prerogative delle federazioni sindacali in caso di mutamenti associativi nel corso del biennio di riferimento (2000-2001)Su tale punto viene ripetutamente richiesto dalle amministrazioni quali debbano essere i comportamenti o gli adempimenti di spettanza. A tal fine si specifica che, nel caso in cui, nel corso del biennio contrattuale di riferimento (attualmente 2000-2001), vi siano mutamenti associativi all'interno delle federazioni sindacali già riconosciute rappresentative (nuove adesioni o revoche di precedenti adesioni), ai fini dell'accertamento della rappresentatività per l'ammissione alle trattative nazionali, essi potranno avere effetto solo a decorrere dal biennio economico successivo (art. 19 CCNQ 7 agosto 1998, nella fattispecie 2002-2003).
Va rammentato alle amministrazioni che per il suddetto biennio 2002 – 2003, i dati rilevanti saranno costituiti dalle deleghe rilasciate dai lavoratori alle organizzazioni sindacali nel corso dell'anno 2000 e dai voti che saranno riportati nel corso delle elezioni per il rinnovo delle RSU in scadenza nel novembre 2001.
Appare, pertanto, chiaro che sotto il profilo dell'accertamento della rappresentatività nazionale nessun adempimento è richiesto alle amministrazioni se non quello della presa d'atto dell'avvenuto mutamento ai fini della diversa imputazione delle deleghe. Tale notizia - se riferita all'anno 2000 - è portato a conoscenza dell'ARAN da ciascuna amministrazione, con le schede predisposte in base alla circolare di rilevazione dei dati associativi sulla quale purtroppo si deve constatare un consistente ritardo rispetto al termine di scadenza fissato per il 28 febbraio 2001. Si coglie l'occasione per sollecitare l'invio dei dati associativi richiesti da parte delle amministrazioni che ancora non vi hanno provveduto.
Se, viceversa, il mutamento associativo riguarda l'anno 2001, al momento, non produce effetti sulla rilevazione nazionale in corso.
I cambiamenti associativi in corso di biennio non comportano nei confronti delle singole amministrazioni alcun obbligo di procedere ad un nuovo accertamento della rappresentatività delle organizzazioni sindacali da ammettere alla contrattazione integrativa. Infatti il dpcm. 770 del 1994, che riconosceva tale potere in capo alle amministrazioni è stato
disapplicato completamente dopo l'esito referendario dell'11 giugno 1995 né è più applicabile l'art. 8 del d.lgs. 396 del 1997, come modificato dall'art. 44 del dlgs. 80 del 1998, valido per il periodo transitorio previsto dalle norme citate e terminato con il primo accertamento nazionale, il cui esito è stato riportato nei CCNQ del 7 agosto 1998 per i comparti e nel CCNQ del 25 novembre 1998 per le aree dirigenziali, entrambi successivamente modificati ed integrati con il CCNQ del 27 gennaio 1999.
L'art. 47 e seguenti del d.lgs. 29 del 1993 attribuisce tale compito esclusivamente all'ARAN e da tale accertamento discendono le organizzazioni sindacali da ammettere alle trattative di secondo livello.
Riassumendo al livello locale, pertanto, vanno ammesse per il biennio in corso solo le organizzazioni riconosciute come rappresentative a livello nazionale dall'ARAN e firmatarie dei contratti collettivi di lavoro nazionali, fatto salvo il periodo transitorio di cui al punto 2 della presente nota di chiarimenti.
Il mero cambiamento associativo interno, che incide sulla consistenza dell'organizzazione, non ha effetti sulla rappresentatività nazionale accertata per il biennio in corso (2000-2001), ma solo ai fini dellamisurazione della rappresentatività nazionale con decorrenza dal biennio successivo (in questo caso 2002 – 2003).
Compete, infine, alle amministrazioni l'accertamento della consistenza associativa ed elettorale delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL di comparto o area, ammesse alla contrattazione integrativa, ai soli fini della ripartizione del monte ore permessi, ai sensi dell'art. 9 del CCNQ del 7 agosto 1998.
Non possono essere ammesse alle trattative o alla fruizione delle prerogative sindacali, le organizzazioni sindacali che, per quanto consistenti in sede locale, non abbiano raggiunto le percentuali di rappresentatività necessarie per essere ammesse alle trattative nazionali.
Qualora vi fossero dubbi su tali organizzazioni vanno consultati gli accordi quadro biennali di ripartizione dei distacchi e permessi ovvero i contratti di comparto o aree da cui risultano le organizzazioni sindacali ammesse alle trattative nazionali e quindi uniche beneficiarie delle prerogative.
Se il mutamento associativo interno (nuove affiliazioni o disaffiliazioni) comporta anche spostamenti dei dirigenti sindacali da una organizzazione all'altra, la fruizione delle prerogative (permessi e partecipazione alle trattative nelle nuove organizzazioni) avviene, secondo quanto indicato nel punto 1), previo nuovo accreditamento all'amministrazione del dirigente sindacale transitato da parte dell'organizzazione sindacale o federazione di nuova appartenenza.
Concludendo si fa presente che l'osservanza degli aspetti anche formali indicati nei punti sopraindicati, peraltro derivanti dalla legge o dai contratti collettivi quadro, non ha alcuna natura fiscale o di limitazione delle libertà sindacali, ma serve a dare trasparenza e certezza alla formazione della delegazione trattante in sede decentrata, nel rispetto reciproco dei principi di correttezza e buona fede.
Si fa, infine presente a codeste amministrazioni, che la materia oggetto dei presenti chiarimenti, è disciplinata nei vari contratti quadro citati ed è già stata trattata in precedenti e ripetute note di chiarimenti.
Per tali motivi questa Agenzia, ritenendo la presente nota esaustiva delle problematiche di cui sopra, non procederà ad ulteriori risposte a quesiti e richieste di chiarimenti sugli argomenti trattati (a meno che essi non presentino carattere di spiccata e generale novità), pregando codeste amministrazioni di darne la più ampia diffusione anche alle proprie strutture periferiche.
Si ringrazia, in anticipo, per la cortese collaborazione.
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ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
499-9A. Titolari dei diritti e delle prerogative sindacali – problemi applicativi.
499-9A1. Quand’è che per il trasferimento del dirigente sindacale da un ufficio a un altro c’è bisogno del nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza ? Si applica anche alle pubbliche amministrazioni l’art.22 della L.300/1970“Trasferimento dei dirigenti delle Rsa” ?
Sul fatto che l’art.22 della L.300/1970 si applichi anche alle pubbliche amministrazioni non vi può essere alcun dubbio; infatti:
• l’art.42, comma 1 dello D.Lgs.165/2001 stabilisce “nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni…”;
• l’art.51, comma 2 del D.Lgs.165/2001 stabilisce che “la legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”.
Il vero problema, però, è quello di stabilire se il nulla osta previsto dall’art.22 della L.300/1970 sia necessario in ogni caso di trasferimento del dirigente sindacale ad altro ufficio oppure solo in determinate ipotesi.
Al riguardo, la Corte di Cassazione, con sentenza n.1064 del 21.2.1986 ha affermato che “la disposizione dettata dall'art. 22 dello Statuto dei lavoratori - secondo cui il trasferimento dei dirigenti sindacali da un'unità produttiva ad un'altra richiede il nullaosta dell'organizzazione sindacale d'appartenenza - si riferisce non a qualsiasi spostamento del lavoratore nell'ambito dell'unità produttiva, ma unicamente al trasferimento da un'unità produttiva ad un'altra, intendendosi per quest'ultima - alla stregua della previsione contenuta nell'art. 35 dello Statuto dei lavoratori quell'entità aziendale (sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell'impresa) che, anche se articolata in organismi minori, si caratterizzi per sostanziali condizioni imprenditoriali d'indipendenza tecnica ed amministrativa, tali che in esse si svolga e si concluda il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell'attività produttiva aziendale…”.
La giurisprudenza ha anche affermato che “l'ambito della nozione di unità produttiva … può legittimamente essere determinato dalla contrattazione collettiva” (Corte di Cassazione, sentenza n.3889 del 08-09- 1989).
Per il settore pubblico, la nozione di unità produttiva e l’ambito di applicazione dell’art.22 della L.300/1970 sono stati chiariti dall’art. 18, comma 4 del CCNQ del 7.8.1998 (modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali), secondo il quale “il trasferimento in un'unità operativa ubicata in sede diversa da quella di assegnazione dei dirigenti sindacali indicati nell'art. 10, può essere predisposto solo previo nulla osta
delle rispettive organizzazioni sindacali di appartenenza e della RSU ove il dirigente ne sia componente” .
Non ogni trasferimento, dunque, richiede il nulla osta, ma, per quanto riguarda il settore pubblico, solo il trasferimento da una unità operativa ad un’altra, ubicata in sede diversa.
Se muta l’unità operativa ma non muta la sede, il nulla osta non è necessario.
499-9A2. Si deve corrispondere il trattamento incentivante di cui all’art.17, comma 2, lett. a) del CCNL dell’1.4.1999, ove determinato in ragione delle giornate di presenza in servizio, al personale che fruisce di permessi sindacali?
In generale l’erogazione dei compensi di produttività di cui all’art.17, comma 2, lett. a) non risulta incompatibile in assoluto con l’assenza del dipendente a qualunque titolo (e quindi anche per permesso sindacale), in quanto trattandosi di progetti o programmi di lavoro predisposti dai dirigenti dovrebbe considerarsi il solo dato finale del raggiungimento degli obiettivi prefissati e dell’intensità e del grado di effettiva partecipazione dei dipendenti la cui valutazione a consuntivo è affidata al dirigente. Si tratta, quindi, di elementi non necessariamente legati alla presenza in servizio, per cui anche una partecipazione estremamente limitata sotto il profilo temporale può aver contribuito al risultato, determinando il diritto del dipendente al compenso, eventualmente di importo proporzionale al periodo in cui è stata assicurata.
Non corrispondente allo spirito ed ai contenuti del CCNL ( vedi la stessa lett. a) che chiaramente riferisce l’erogazione dei compensi al merito ed all’impegno di gruppo ed individuale, sulla base di criteri selettivi e dei risultati accertati del sistema permanente di valutazione previsto dall’art.6 del CCNL del 31.3.1999) è comunque la previsione di un sistema incentivante legato alla mera presenza in servizio.
Quanto sopra risulta oggi sostanzialmente confermato sia dall’art.37 del CCNL del 22.1.2004 sia dall’art.39 dello stesso CCNL che, per quanto riguarda, in particolare, il personale in distacco sindacale , si limita a stabilire che “In sede di contrattazione decentrata integrativa detto personale dovrà essere considerato ai fini dell’art. 17, comma 2, lett. a) del CCNL dell’1.4.1999 e successive modificazioni e integrazioni nonché nella valutazione utile alla progressione economica orizzontale.”
Composizione delle delegazioni (Art.10 CCNL del 1/4/1999)
1. Ai fini della contrattazione collettiva decentrata integrativa, fatto salvo quanto previsto dall’art. 6, ciascun ente individua i dirigenti - o, nel caso enti privi di dirigenza, i funzionari – che fanno parte della delegazione trattante di parte pubblica.
2. Per le organizzazioni sindacali, la delegazione è composta:
dalle R.S.U;
dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali territoriali di categoria firmatarie del presente CCNL.
3. Gli enti possono avvalersi, nella contrattazione collettiva integrativa decentrata, dell’assistenza dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (A.R.A.N.).
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
499-10A. Composizione delegazioni.
499-10A1. Come deve essere composta la delegazione trattante di parte pubblica? Ne possono far parte i politici?
Rileviamo anzitutto che la clausola contrattuale (art. 10 del CCNL dell’1.4.1999) si presenta estremamente chiara nella sua formulazione e che la conseguente applicazione, come tutta la disciplina del CCNL, è affidata alla autonoma e responsabile valutazione degli enti.
Prendiamo atto, peraltro, che, in più circostanze, le Associazioni degli Enti hanno affermato che la scelta relativa alla partecipazione o meno del Sindaco/Presidente o di un Assessore alla delegazione di parte pubblica dovesse essere autonomamente praticata da ogni singolo Ente, nell’ambito della autonomia organizzativa dell’ordinamento vigente.
Sulla questione riteniamo di dover aggiungere che la presenza nella stessa delegazione di uno o più dirigenti (o funzionari, in assenza di personale con qualifica dirigenziale) è senza alcun dubbio indispensabile per rispetto della specifica clausola del CCNL.
Per completezza di informazione segnaliamo che il Tribunale di Lametia Terme
– Sezione Lavoro – con ordinanza del 26.1.2000 ha ordinato l’estromissione di un rappresentante politico da una delegazione trattante, per contrasto con l’art. 10, comma 1, del CCNL dell’1.4.1999.
499-10A2. In un ente di ridotte dimensioni demografiche il Sindaco può partecipare alle trattative in sede decentrata come presidente della delegazione trattante di parte pubblica, ai sensi dell’art. 29, comma 4, della legge n. 448/2001?
La questione, per la rilevanza rivestita, è stata sottoposta al Tavolo di coordinamento giuridico operante presso questa Agenzia che ritiene di esprimere i seguenti elementi di valutazione:
a) l’art.10 del CCNL dell’1.4.1999 ha individuato in modo preciso i soggetti legittimati a far parte della delegazione di parte pubblica, escludendo decisamente i rappresentanti dell’organo politico dell’ente;
b) tale opzione trovava il suo fondamento nella precisa distinzione tra poteri di indirizzo politico–amministrativo e poteri gestionali operata dal D.Lgs.n.165/2001;
c) successivamente è intervenuta la legge n. 448/2001 che riconosce ai comuni fino a 5000 abitanti, la possibilità di adottare disposizioni regolamentari organizzative che attribuiscano ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale, anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e dell’articolo 107 del D.Lgs.n.267/2000 recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
d) si è delineata, quindi, una situazione di sovrapposizione-conflitto tra norme di legge generali, speciali e disciplina contrattuale;
e) tuttavia, ove il regolamento dell’ente abbia dato applicazione al citato art. 29, comma 4, della legge n. 448/2001, ultima fonte legislativa dal punto di vista cronologico e sicuramente di carattere speciale, ed abbia riconosciuto espressamente la titolarità di uffici o servizi al sindaco, la partecipazione di questi alla trattativa decentrata dovrebbe ritenersi legittima in quanto la titolarità di un ufficio o servizio (e quindi anche di quello cui è affidata la gestione del personale) ricomprendendo ogni attività di gestione che ad esso fa capo non può non estendersi anche all’attività relativa allo svolgimento delle relazioni sindacali.
499-10A3. Con quali criteri può essere definita la composizione della delegazione trattante di parte pubblica? Sono consentite le dimissioni? Riteniamo utile sottolineare che in materia non esistono regole giuridiche o modelli comportamentali oggettivi da seguire, dovendosi fare riferimento al buon senso ed ai principi generali di correttezza e buona fede nei rapporti reciproci tra chi conferisce l’incarico ed il destinatario dello stesso.
L’ente individua i componenti ed il presidente della delegazione trattante di parte pubblica tenendo conto delle competenze e conoscenze possedute dai dirigenti (o dai funzionari negli enti di ridotte dimensioni demografiche) e delle esigenze connesse alla contrattazione da soddisfare.
Ove sussistano particolari motivazioni di opportunità (ad esempio coinvolgimento nella discussione di aspetti personali; sussistenza di particolari rapporti con le OO. SS. od altro), riteniamo che ben possa il componente o il presidente dimettersi dall’incarico, evidenziando la situazione giustificativa di tale comportamento. Lo stesso può accadere anche nel caso in cui il presidente non condivida i contenuti che la trattativa debba assumere, sulla base dell’atto di indirizzo ricevuto, oppure che sia chiamato a sottoscrivere un contratto dai contenuti non condivisi, dato che comunque sullo stesso graverebbe la responsabilità di tali contratti.
Pertanto, poiché contrasta con i principi della logica e del buon senso richiedere oppure obbligare un soggetto a comportamenti contrastanti con la sua volontà e tenuto conto anche dell’impossibilità giuridica di costringerlo ad un fare, non può dubitarsi della possibilità del presidente della delegazione di parte pubblica di presentare le proprie dimissioni. Infatti, diversamente ritenendo, si trascurerebbe il venire meno del rapporto di reciproca fiducia che
deve sussistere tra chi conferisce l’incarico e chi lo riceve, che rappresenta un elemento indispensabile per la corretta esecuzione dell’incarico stesso.
Per le dimissioni riteniamo che, trattandosi di attività svolte con i poteri e la capacità del privato datore di lavoro, sia sufficiente una semplice comunicazione con l’indicazione delle cause giustificative delle stesse.
Queste, ovviamente, saranno indirizzate allo stesso soggetto che ha conferito l’incarico e cioè alla giunta cui spetta, quale organo di vertice del comune, non solo la formalizzazione delle designazioni dei componenti e la individuazione del presidente della delegazione trattante ma anche la formulazione dell’atto di indirizzo.
E’ evidente che a seguito delle dimissioni si dovrà procedere alla individuazione di un nuovo presidente.
499-10A4. Quali sono le possibili conseguenze della nomina a componente della delegazione trattante di parte pubblica di un esperto estraneo all’ente ?
Riteniamo utile fornire i seguenti elementi di valutazione:
➢ la composizione della delegazione trattante di parte pubblica è chiaramente definita nell’art.10 del CCNL dell’1.4.1999 e non possono farne parte soggetti, anche qualificati, estranei all'ente e non caratterizzati da uno specifico rapporto di lavoro subordinato (anche a tempo determinato);
➢ l’art.10 citato è vincolante per gli enti; in caso di sua violazione, sarebbe anche possibile ipotizzare la nullità del contratto integrativo; infatti, l’art.40, coma 3 del D.Lgs.165/2001 stabilisce che “la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono ………. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali ………. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”;
➢ se è pacifico che soggetti estranei all'ente non possono far parte della delegazione trattante, l’ente potrebbe però avvalersi di consulenze al fine di consentire, alla stessa delegazione, in presenza di problemi particolarmente complessi, di acquisire la necessaria padronanza della materia in discussione. E' da escludere, in ogni caso, la partecipazione dell'esperto o del consulente alle diverse fasi negoziali con l'assunzione, anche parziale, del potere di intervenire, in qualità di componente, nella conduzione delle trattative.
499-10A5. L’incompatibilità stabilita dall’art.11, comma 3 del CCNL dell’area della dirigenza del 23.12.1999 impedisce al dirigente dell’ente, che sia anche dirigente sindacale, di essere membro della delegazione trattante di parte pubblica di cui all’art.10 del CCNL dell’1.4.1999 ?
L’incompatibilità stabilita dall’art.11, comma 3 del CCNL dell’area della dirigenza del 23.12.1999 riguarda esclusivamente le relazioni sindacali relative all'area della dirigenza e, in tale ambito, si applica a tutti i modelli relazionali (contrattazione integrativa e concertazione); detta incompatibilità non opera,
invece, al di fuori delle relazioni sindacali relative all'area della dirigenza, perché nei CCNL relativi al personale non dirigente non è stata inserita analoga previsione.
499-10A6. In relazione alla composizione della delegazione trattante di parte pubblica, un componente di essa (ad es. il Segretario generale in qualità di presidente ) può delegare, autonomamente, le funzioni assegnategli a tale titolo al responsabile di un servizio?
Siamo orientati ad escludere la ipotesi di delega delle funzioni di presidente della delegazione trattante di parte pubblica, in quanto spetta sempre alla Giunta la nomina dei componenti del presidente della delegazione stessa.
Diversamente ritenendo, tale rilevante determinazione dell’organo di governo dell’ente verrebbe ad essere, sostanzialmente, svuotata di contenuti.
499-10A7. L’organizzazione sindacale rappresentativa ha qualche vincolo nella scelta dei propri rappresentanti in seno alla delegazione trattante in sede decentrata ?
L’associazione sindacale rappresentativa, può liberamente designare i soggetti abilitati, in sede di trattativa, ad agire per la tutela dei propri interessi.
499-10A8. Ci sono dei criteri per stabilire la composizione numerica massima della delegazione trattante di parte sindacale? Xxxxxx partecipare anche i rappresentanti delle Confederazioni?
Riteniamo utile, prioritariamente, richiamare l'attenzione sull'art. 10, comma 2, del CCNL dell'1.4.1999 che individua la delegazione trattante di parte sindacale nei seguenti soggetti: la RSU e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali territoriali di categoria firmatarie dello stesso CCNL.
Non sono, pertanto, previsti altri rappresentanti per le confederazioni o federazioni non meglio identificate.
Sul numero dei "rappresentanti" effettivamente, il contratto non individua, e non poteva individuare, una regola di comportamento rivolta a predefinire l'entità dei soggetti presenti.
Di norma, peraltro, avviene che il presidente della delegazione di parte pubblica, in sede di avvio delle trattative, ricerca, con la controparte sindacale, un punto di incontro sul numero massimo dei partecipanti per ogni sigla, anche al fine di rendere più produttivi i lavori e consentire, così, una sollecita e positiva conclusione del negoziato.
Ci sembra opportuno, con l'occasione, richiamare l'attenzione sulla regola prevista dall'art.10 comma 7 del contratto quadro sui permessi e distacchi sindacali del CCNQ del 7.8.1998, secondo la quale le trattative devono svolgersi preferibilmente al di fuori del normale orario di lavoro e che le ore destinate a tali trattative durante l'orario devono essere scomputate dal monte ore dei permessi sindacali che ogni sigla ha a disposizione annualmente; le stesse ore non possono essere considerate, pertanto, a carico dell'ente, in aggiunta a predetti permessi, magari anche con effetto sulle prestazioni straordinarie!
499-10A9. In una Comunità Montana/Unione di Comuni ove sia stato creato un ufficio unico per la gestione del personale, con conseguente soppressione dell’ufficio del personale di ogni singolo ente, è stata data la possibilità a ciascuno di essi di avvalersi della medesima delegazione trattante di parte pubblica costituita dai Segretari dei quattro enti convenzionati. Può ogni singolo ente legittimamente continuare ad avvalersi dell’unica delegazione pubblica come sopra costituita?(aggiornato al 16/11/2005)
La nomina dei componenti della delegazione di parte pubblica, nella specifica ipotesi sottoposta, non può prescindere dalla condizione organizzativa degli enti.
Pertanto, se questi hanno posto in essere un servizio in convenzione per la gestione unitaria del personale, con conseguente soppressione dei singoli uffici del personale, si può certamente giustificare la particolare opzione posta in essere per la costituzione della delegazione trattante di parte pubblica per la contrattazione decentrata integrativa presso ciascuno di essi.
CAPO III
DIRITTI E PREROGATIVE SINDACALI
Diritto di assemblea (Art. 56 CCNL del 14/9/2000)
1. I dipendenti degli enti hanno diritto di partecipare, durante l’orario di lavoro, ad assemblee sindacali in idonei locali concordati con l’amministrazione, per 12 ore annue pro capite senza decurtazione della retribuzione.
Per tutte le altre modalità di esercizio del diritto di assemblea trova applicazione la specifica disciplina contenuta nell’art.2 dell’Accordo collettivo quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali del 7.8.1998.
Contributi sindacali
(Art. 12 bis CCNL del 6/7/1995 (aggiunto dall’art. 2 CCNL del 13/5/1996))
1. I dipendenti hanno facoltà di rilasciare delega, a favore dell'organizzazione sindacale da loro prescelta, per la riscossione di una quota mensile dello stipendio per il pagamento dei contributi sindacali nella misura stabilita dai competenti organi statutari. La delega è rilasciata per iscritto ed è trasmessa all'amministrazione a cura del dipendente o dell'organizzazione sindacale
interessata.
2. La delega ha effetto dal primo giorno del mese successivo a quello del rilascio.
3. Il dipendente può revocare in qualsiasi momento la delega rilasciata ai sensi del comma 1 inoltrando la relativa comunicazione all'amministrazione di appartenenza e all'organizzazione sindacale interessata. L'effetto della revoca decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della stessa.
4. Le trattenute devono essere operate dalle singole amministrazioni sulle retribuzioni dei dipendenti in base alle deleghe ricevute e sono versate mensilmente alle organizzazioni sindacali interessate secondo modalità concordate con l'amministrazione.
5. Le amministrazioni sono tenute, nei confronti dei terzi, alla segretezza sui nominativi del personale delegante e sui versamenti effettuati alle organizzazioni sindacali."
Disciplina a livello territoriale dei permessi sindacali (Art. 23 CCNL del 5/10/2001)
1. Le amministrazioni comunali che, al termine di ogni anno, accertino la mancata utilizzazione, in tutto o in parte, della quota dei permessi di spettanza delle organizzazioni sindacali ai sensi dell'art 3 del contratto collettivo quadro del 9.8.2000 (esclusa, quindi, la quota di spettanza della RSU), quantificano il valore economico della relativa temporizzazione, rapportata a ore, e assegnano le corrispondenti risorse finanziarie all’ANCI regionale competente per territorio entro il mese di gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento; la base di calcolo corrisponde alla nozione di retribuzione di cui al comma 2, lett. c) dell'art. 52 del CCNL del 14.9.2000.
2. Il monte ore dei permessi disponibili ai sensi del comma 1, viene utilizzato dai dipendenti dei Comuni che siano dirigenti delle organizzazioni sindacali territoriali rappresentative nel comparto delle Regioni e delle Autonomie locali nei limiti delle quote spettanti a ciascuna di esse nel rispetto del criterio di proporzionalità del livello di rappresentatività in ambito regionale.
3. All'accertamento del livello di rappresentatività provvede l’ANCI regionale nel rispetto degli stessi criteri definiti dall’art.43 del D.Lgs. n.165 del 2001 per il livello nazionale, acquisendo le relative informazioni dai Comuni interessati.
4. Le organizzazioni sindacali di comparto comunicano all’ANCI regionale i
nominativi dei dirigenti che fruiscono dei permessi di cui al comma 2, la relativa durata e il Comune di appartenenza degli stessi dirigenti.
5. L’ANCI regionale trasferisce a ciascuno degli enti interessati l'importo corrispondente alla quota dei permessi fruiti dai rispettivi dipendenti in qualità di dirigenti sindacali, nei limiti delle disponibilità di cui al comma 1.
I permessi previsti dal presente articolo non possono essere cumulati per la fruizione di distacchi sindacali.
Interpretazione autentica dei contratti collettivi (Art. 9 CCNL 22.1.2004)
1. In attuazione dell’art. 49 del D. Lgs. n. 165 del 2001, quando insorgano controversie sulla interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano, entro 30 giorni dalla richiesta di cui al comma 2, per definire consensualmente il significato della clausola controversa.
2. Al fine di cui al comma 1, la parte interessata invia alle altre, richiesta scritta con lettera raccomandata. La richiesta deve contenere una sintetica descrizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si basa; essa deve fare riferimento a problemi interpretativi e applicativi di rilevanza generale.
3. L’ARAN si attiva autonomamente o su richiesta del Comitato di settore.
4. L’eventuale accordo, stipulato con le procedure di cui all’art. 47 del D. Lgs.
n. 165 del 2001 sostituisce la clausola controversa sin dall’inizio della vigenza del contratto collettivo nazionale.
5. Con analoghe modalità si procede tra le parti che li hanno sottoscritti, quando insorgano controversie sulla interpretazione dei contratti decentrati integrativi, anche di livello territoriale. L’eventuale accordo stipulato con le procedure di cui agli artt. 5 e 6 del CCNL dell’1.4.1999, sostituisce la clausola controversa sin dall’inizio della vigenza del contratto decentrato.
E’ disapplicata la disciplina dell’art. 13 del CCNL del 6.7.1995.
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
104-9A. Campo d’applicazione
104-9A1. In quali casi è possibile richiedere l’interpretazione autentica delle clausole del CCNL?
Per quanto attiene al problema della interpretazione autentica ai sensi dell’art.9 del CCNL del 22.1.2004, occorre ricordare che essa trova applicazione solo in presenza di un reale conflitto sulla interpretazione delle clausole contrattuali, che è cosa ben diversa dall’esistenza di semplici difficoltà di lettura e di dubbi interpretativi, presupponendo l’esistenza di un vero e proprio contenzioso generalizzato nel comparto, con ricorso anche ad azioni di lotta e ad eventuali azioni giudiziarie.
CAPO IV
PREVENZIONE DELLA CONFLITTUALITA’
Clausole di raffreddamento (Art. 11 CCNL del 1/4/1999)
1. Il sistema delle relazioni sindacali è improntato ai principi di correttezza, buona fede e trasparenza dei comportamenti ed orientato alla prevenzione dei conflitti. Entro il primo mese del negoziato relativo alla contrattazione decentrata le parti, qualora non vengano interrotte le trattative, non assumono iniziative unilaterali né procedono ad azioni dirette. Durante il periodo in cui si svolge la concertazione le parti non assumono iniziative unilaterali sulle materie oggetto della stessa.
Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing (Art. 8 CCNL 22.1.2004)
1. Le parti prendono atto del fenomeno del mobbing, inteso come forma di violenza morale o psichica in occasione di lavoro - attuato dal datore di lavoro o da altri dipendenti - nei confronti di un lavoratore. Esso è caratterizzato da una serie di atti, atteggiamenti o comportamenti, diversi e ripetuti nel tempo in modo sistematico ed abituale, aventi connotazioni aggressive, denigratorie e vessatorie tali da comportare un degrado delle condizioni di lavoro e idonei a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore stesso nell’ambito dell’ufficio di appartenenza o, addirittura, tali da escluderlo dal contesto lavorativo di riferimento.
2. In relazione al comma 1, le parti, anche con riferimento alla risoluzione del Parlamento Europeo del 20 settembre 2001, riconoscono la necessità di avviare adeguate ed opportune iniziative al fine di contrastare la diffusione di tali situazioni, che assumono rilevanza sociale, nonché di prevenire il verificarsi
di possibili conseguenze pericolose per la salute fisica e mentale del lavoratore interessato e, più in generale, migliorare la qualità e la sicurezza dell’ambiente di lavoro.
3. Nell’ambito delle forme di partecipazione previste dall’art. 25 del CCNL dell’1.4.1999 sono, pertanto, istituiti, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente contratto, specifici Comitati Paritetici presso ciascun ente con i seguenti compiti:
a) raccolta dei dati relativi all’aspetto quantitativo e qualitativo del fenomeno del mobbing in relazione alle materie di propria competenza;
b) individuazione delle possibili cause del fenomeno, con particolare riferimento alla verifica dell’esistenza di condizioni di lavoro o fattori organizzativi e gestionali che possano determinare l’insorgere di situazioni persecutorie o di violenza morale;
c) formulazione di proposte di azioni positive in ordine alla prevenzione e alla repressione delle situazioni di criticità, anche al fine di realizzare misure di tutela del dipendente interessato;
d) formulazione di proposte per la definizione dei codici di condotta.
4. Le proposte formulate dai Comitati vengono presentate agli enti per i conseguenti adempimenti tra i quali rientrano, in particolare, la costituzione ed il funzionamento di sportelli di ascolto, nell’ambito delle strutture esistenti, l’istituzione della figura del consigliere/consigliera di fiducia nonchè la definizione dei codici, sentite le organizzazioni sindacali firmatarie del presente contratto.
5. In relazione all’attività di prevenzione del fenomeno di cui al comma 3, i Comitati propongono, nell’ambito dei piani generali per la formazione, previsti dall’art. 23 del CCNL del 1° aprile 1999, idonei interventi formativi e di aggiornamento del personale, che possono essere finalizzati, tra l’altro, ai seguenti obiettivi:
a) affermare una cultura organizzativa che comporti una maggiore consapevolezza della gravità del fenomeno e delle sue conseguenze individuali e sociali;
b) favorire la coesione e la solidarietà dei dipendenti, attraverso una più specifica conoscenza dei ruoli e delle dinamiche interpersonali all’interno degli uffici, anche al fine di incentivare il recupero della motivazione e dell’affezione all’ambiente lavorativo da parte del personale.
6. I Comitati sono costituiti da un componente designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali di comparto firmatarie del presente CCNL e da un pari numero di rappresentanti dell’ente. Il Presidente del Comitato viene designato tra i rappresentanti dell’ente ed il vicepresidente dai componenti di parte sindacale. Per ogni componente effettivo è previsto un componente supplente. Ferma rimanendo la composizione paritetica dei Comitati, di essi fa parte anche un rappresentante del Comitato per le pari opportunità, appositamente designato da quest’ultimo, allo scopo di garantire il raccordo tra le attività dei
due organismi. Enti, territorialmente contigui, con un numero di dipendenti inferiore a 30, possono concordare la costituzione di un unico Comitato disciplinandone la composizione della parte pubblica e le modalità di funzionamento
7. Gli enti favoriscono l’operatività dei Comitati e garantiscono tutti gli strumenti idonei al loro funzionamento. In particolare valorizzano e pubblicizzano con ogni mezzo, nell’ambito lavorativo, i risultati del lavoro svolto dagli stessi. I Comitati adottano un regolamento per la disciplina dei propri lavori e sono tenuti a svolgere una relazione annuale sull’attività svolta.
8. I Comitati di cui al presente articolo rimangono in carica per la durata di un quadriennio e comunque fino alla costituzione dei nuovi. I componenti dei Comitati possono essere rinnovati nell’incarico; per la loro partecipazione alle riunioni non è previsto alcun compenso.
TITOLO III
SISTEMA DI CLASSIFICAZIONE PROFESSIONALE
CAPO I OBIETTIVI E CLASSIFICAZIONE
▪ Obiettivi (Art. 2 CCNL del 31/3/1999)
▪ Il sistema di classificazione del personale (Art. 3 CCNL del 31/3/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN GIURISPRUDENZA
▪ Norma di inquadramento del personale il servizio nel nuovo sistema di classificazione (Art. 7 CCNL del 31/3/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Norme finali e transitorie del Capo I (Art. 12 CCNL del 31/3/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Norme finali e transitorie di inquadramento economico (Art. 15 CCNL 31/3/99)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Finanziamento del sistema di classificazione (Art. 14 CCNL del 31/3/99)
▪ Finanziamento degli oneri di prima attuazione (Art. 19 CCNL del 1/4/1999)
▪ Progressione verticale nel sistema di classificazione (Art. 4 CCNL del 31/3/1999)
▪ Disposizioni in materia di progressione verticale nel sistema di classificazione (Art. 9 CCNL del 5/10/2001)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN GIURISPRUDENZA
▪ Progressione economica all’interno della categoria (Art. 5 CCNL del 31/3/1999)
▪ Sistema di valutazione (Art. 6 CCNL del 31/3/1999)
▪ Finanziamento delle progressioni orizzontali (art.34 CCNL 22.1.2004)
▪ Integrazione delle posizioni economiche (art.35 CCNL 22.1.2004)
▪ Partecipazione del personale comandato o distaccato alle progressioni orizzontali e verticali (art.19 CCNL 22.1.2004)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Area delle posizioni organizzative (Art. 8 CCNL del 31/3/1999)
▪ Valorizzazione delle alte professionalità (art.10 CCNL 22.1.2004)
▪ Conferimento e revoca degli incarichi per le posizioni organizzative (Art. 9 CCNL del 31/3/1999)
▪ Retribuzione di posizione e retribuzione di risultato (Art. 10 CCNL del 31/3/1999)
▪ Disposizioni a favore dei Comuni di minori dimensioni demografiche(Art. 11 CCNL del 31/3/1999)
▪ Posizioni organizzative apicali (art.15 CCNL 22.1.2004)
▪ Posizioni organizzative a tempo parziale (art.11 CCNL 22.1.2004)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Mansioni superiori (Art. 8 CCNL del 14/9/2000)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN GIURISPRUDENZA
▪ Sviluppo delle attività formative (Art. 23 CCNL del 1/4/1999)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Disposizione programmatica (Art. 24 CCNL del 5/10/2001)
▪ Commissione paritetica per il sistema di classificazione (art.12 CCNL 22.1.2004)
CAPO II PERSONALE DELL'AREA DI VIGILANZA
▪ Disposizioni speciali per il personale dell’area di vigilanza con particolari responsabilità (Art. 29 CCNL del 14/9/2000)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
▪ Premessa al Titolo III - Capo III CCNL 22.1.2004
▪ Indennità del personale dell'area della vigilanza (art.16 CCNL 22.1.2004)
▪ Prestazioni previdenziali ed assistenziali (art.17 CCNL 22.1.2004)
▪ Permessi per l'espletamento delle funzioni di pubblico ministero (Art.18 CCNL 22.1.2004)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
CAPO III PERSONALE DELLE SCUOLE
▪ Personale docente nelle scuole materne (Art. 30 CCNL del 14/9/2000)
▪ Personale educativo degli asili nido (Art. 31 CCNL del 14/9/2000)
▪ Personale docente delle scuole gestite dagli enti locali (Art. 32 CCNL del 14/9/2000)
▪ Docenti addetti al sostegno operanti nelle scuole statali (Art. 32 bis CCNL del 14/9/2000)
▪ Docenti ed educatori addetti al sostegno operanti nelle istituzioni scolastiche gestite dagli enti locali (Art. 33 CCNL del 14/9/2000)
▪ Disposizione per il personale della scuola (Art. 7 CCNL del 5/10/2001)
▪ Personale docente dei centri di formazione professionale (Art.34 CCNL del 14/09/2000)
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
CAPO I
OBIETTIVI E CLASSIFICAZIONE
Obiettivi
(Art. 2 CCNL del 31/3/1999)
1. Il presente contratto persegue le finalità del miglioramento della funzionalità degli uffici, dell’accrescimento dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa e della gestione delle risorse e del riconoscimento della professionalità e della qualità delle prestazioni lavorative individuali.
2. Le parti, conseguentemente, riconoscono la necessità di valorizzare le capacità professionali dei lavoratori, promuovendone lo sviluppo in linea con le esigenze di efficienza degli enti.
3. Alle finalità previste nel comma 2 sono correlati adeguati ed organici interventi formativi sulla base di programmi pluriennali, formulati e finanziati dagli enti
Il sistema di classificazione del personale (Art. 3 CCNL del 31/3/1999)
1. Il sistema di classificazione è articolato in quattro categorie denominate, rispettivamente, A, B, C e D.
Per il personale della categoria D è prevista la istituzione di una area delle posizioni organizzative, secondo la disciplina degli artt. 8 e ss.
2. Ai sensi dell’art. 56 del D. Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal D. Lgs. n. 80 del 1998(ora art. 52 del D. Lgs. n. 165/2001), tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili. L’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro.
3. L’assegnazione temporanea di mansioni proprie della categoria immediatamente superiore costituisce il solo atto lecito di esercizio del potere modificativo. Essa, fino a diversa disciplina contrattuale, è regolata dai commi 2-4 dell’art. 56 del D. Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal D. Lgs. n. 80 del 1998(ora art. 52 del D. Lgs. n. 165/2001).
4. Le categorie sono individuate mediante le declaratorie riportate nell’allegato A, che descrivono l’insieme dei requisiti professionali necessari per lo svolgimento delle mansioni pertinenti a ciascuna di esse.
5. I profili descrivono il contenuto professionale delle attribuzioni proprie della categoria. Nell’allegato A sono riportati, a titolo esemplificativo, alcuni profili relativi a ciascuna categoria.
6. Gli enti, in relazione al proprio modello organizzativo, identificano i profili professionali non individuati nell’allegato A o aventi contenuti professionali diversi rispetto ad essi e li collocano nelle corrispondenti categorie nel rispetto
delle relative declaratorie, utilizzando in via analogica i contenuti delle mansioni dei profili indicati a titolo semplificativo nell’allegato A.
7. Nell’allegato A sono altresì indicati, per le categorie B e D, i criteri per la individuazione e collocazione, nelle posizioni economiche interne delle stesse categorie, del trattamento tabellare iniziale di particolari profili professionali ai fini di cui all’art. 13.
Dichiarazione congiunta n. 1 CCNL 5/10/2001
Le parti concordano nel confermare che, nel rispetto dei contenuti delle declaratorie delle categorie professionali di cui all’allegato A del CCNL del 31/3/1999, il diploma di scuola media superiore può essere richiesto, per l’accesso dall’esterno, solo per i profili collocati nella categoria C e che il diploma di laurea o di laurea specialistica o di laurea breve possono essere richiesti, per l’accesso dall’esterno, solo per i profili della categoria D.
Dichiarazione congiunta n. 3 CCNL 5/10/2001
Le parti confermano che gli appartenenti al corpo dei servizi ispettivi pubblici preposti al controllo delle case da gioco trovano la collocazione d'accesso nella categoria D.
Dichiarazione congiunta n. 4 CCNL 5/10/2001
Le parti concordano nel ritenere che gli enti, ove si avvalgano del profilo di Operatore socio-sanitario, caratterizzato dallo specifico titolo, richiesto per l’accesso sia dall’esterno che dall’interno, rilasciato a seguito del superamento del corso di formazione di durata annuale previsto dagli artt.7 e 8 dell’accordo provvisorio tra il Ministro della sanità, il Ministro della solidarietà sociale, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 18.2.2000, provvedono a collocarlo nella categoria B, posizione economica B3.
Dichiarazione congiunta n. 2 CCNL 1/4/1999
Le parti concordano che nell’ambito delle iniziative per l’individuazione e collocazione dei profili professionali, in sede di attuazione della disciplina sul nuovo sistema di classificazione del personale, devono essere espressamente definiti e valorizzati quelli destinati allo svolgimento delle attività degli Enti nei riguardi dei cittadini.
ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN
399-3A. Norme di riferimento.
399-3A1. E' ancora possibile la trasformazione dei posti apicali della ex sesta qualifica funzionale di cui agli artt. 5 e 21 del DPR n. 268/1987?
Rileviamo che, a seguito della stipula del CCNL del 14.9.2000, trova completa applicazione la disciplina dell'art. 69, comma 1 del D.Lgs.165/2001, secondo la quale "le vigenti disposizioni cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun comparto, del secondo contratto collettivo…". Conseguentemente tutte le disposizioni contenute nei precedenti DDPPRR che non siano state riformulate e reinserite nei CCNL sino ad ora stipulati per il comparto delle Regioni e delle Autonomie locali, devono ritenersi sicuramente prive di ogni efficacia, anche se le singole norme non sono state espressamente disapplicate.
Ciò vale, evidentemente, anche per gli artt. 5 e 21 del DPR n. 268/1987; dal 15.12.200, pertanto, riteniamo non più praticabile la trasformazione dei posti apicali dalla categoria C (ex sesta qualifica) alla categoria D (ex settima qualifica)
Rileviamo, peraltro, che ogni ente può disporre liberamente del proprio potere di organizzazione e, quindi, anche del potere di modifica della dotazione organica, nell'ambito delle previsioni della programmazione triennale dei fabbisogni e tenendo conto delle effettive capacità di spesa; quindi l'ente può istituire nuovi posti di categoria D, se necessari al miglior funzionamento dei servizi, mentre non può "promuovere" nella categoria superiore i dipendenti attualmente in categoria C; per questi, eventualmente e nel rispetto dell'art. 4 del CCNL del 31.3.1999, può essere attivata una procedura selettiva interna.
399-3B. Inquadramento e trattamento economico dei vincitori di concorso.
399-3B1. Come deve essere determinato il trattamento di un vincitore di concorso; per la categoria D è possibile attribuire un tabellare pari a D4?
La disciplina del trattamento economico del personale assunto a seguito di procedure selettive o concorsuali pubbliche è contenuta nell'art. 15, comma 1, del CCNL del 31.3.1999, e consente di attribuire il solo trattamento economico tabellare iniziale della categoria o del profilo corrispondenti al posto messo a concorso.
Non assume, pertanto, alcun rilievo il trattamento complessivamente acquisito dal neoassunto nella amministrazione di provenienza.
Relativamente al caso prospettato riteniamo necessario rilevare che non appare corretto il comportamento seguito dal vostro ente, che ha consentito l'inquadramento del vincitore di concorso nella "categoria D4". Infatti, secondo il vigente sistema di classificazione, non esiste una categoria D4 che, invece, corrisponde alla prima progressione economica di sviluppo orizzontale del personale assunto con un profilo caratterizzato da un trattamento tabellare iniziale in D3.
Nella categoria D i trattamenti tabellari iniziali sono collocati nelle posizioni D1 e D3; forse nel caso in esame la esatta collocazione del nuovo assunto doveva coincidere con la posizione D3.
399-3B2. Quale trattamento economico deve essere corrisposto ai vincitori di concorso pubblico? Possono essere confermati compensi acquisiti in altre amministrazioni (RIA, assegni ad personam, progressione orizzontale, ecc.)?
La disciplina del trattamento economico dei vincitori di concorso negli enti del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali, è contenuta nell'art. 15, comma 1, del CCNL del 31.3.1999; tale disciplina consente la attribuzione del solo "trattamento tabellare iniziale" previsto per la categoria cui appartiene il profilo di assunzione.
Non possono essere, pertanto, riconosciuti eventuali maggiori compensi o indennità che il lavoratore interessato poteva aver conseguito in base ad un pregresso rapporto di lavoro.
399-3C. In quadramento e trattamento economico del personale trasferito da altro ente.
399-3C1. Inquadramento del personale proveniente da amministrazione pubblica di altro comparto di contrattazione o da azienda privata: esiste una disciplina di riferimento che stabilisca le corrispondenze tra le posizioni dei diversi sistemi di classificazione?
Riteniamo utile precisare quanto segue:
1. non esistono normative nazionali o regionali per la disciplina delle "equivalenze" tra le posizioni dei diversi sistemi di classificazione dei comparti pubblici;
2. per la pubblica amministrazione contrattualizzata ex D. Lgs. n. 165/2001, suggeriamo di considerare i criteri seguiti per il primo inquadramento del personale nei nuovi sistemi di classificazione, come risultano dalle corrispondenti tabelle allegate ai diversi contratti collettivi di comparto che hanno regolamentato la materia;
3. i rapporti di lavoro del personale diverso da quello di cui al punto 2) non sono compatibili con i modelli pubblici e, pertanto, non sono possibili regole di "equivalenza". Tale problematica è priva di ogni pratico interesse in quanto non è consentito il passaggio diretto (ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001) dei dipendenti di aziende private agli enti locali
399-3C2. In caso di mobilità volontaria ex art.30 del D.Lgs.165/2001, è possibile che il nuovo datore di lavoro attribuisca al dipendente, attualmente in possesso di un profilo professionale avente il tabellare iniziale in D3, un profilo professionale avente il tabellare iniziale in D1 ? Precisiamo che il lavoratore si è dichiarato d’accordo e che gli sarebbe comunque garantito il trattamento economico in godimento.
Non possiamo che confermare l’orientamento più volte espresso con riferimento a casi analoghi: salvo casi eccezionali, espressamente individuati dalla legge o dalla giurisprudenza, tutte le operazioni che si traducano in una dequalificazione professionale del dipendente devono ritenersi vietate dagli artt.2103 del codice civile e 52 del D.Lgs.
165/2001 e costituiscono illecito civile, anche se viene conservato il trattamento economico in godimento ed anche se vi è il consenso del lavoratore, che potrebbe sempre impugnare il relativo accordo entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (art.2113 codice civile).
Nel caso di specie, l’attribuzione al dipendente di un profilo professionale avente il trattamento tabellare iniziale in D1, anche se accompagnata dalla garanzia del trattamento economico in godimento, rappresenterebbe una evidente dequalificazione rispetto alle mansioni attualmente svolte, proprie di un profilo professionale avente il trattamento tabellare iniziale in D3; si tratta di mestieri diversi, che non possono essere considerati equivalenti, per il semplice fatto che, pur essendo ascritti alla categoria D, hanno un differente trattamento stipendiale.
399-3C3. Dopo la sentenza del TAR Puglia si deve ritenere che, all’interno delle categorie B e D, le posizioni B3 e D3 hanno una valenza esclusivamente economica?
Sulla particolare problematica proposta, si possono fare le seguenti considerazioni:
1. la sentenza del TAR per la Puglia n. 2116/2004 interviene in un procedimento giudiziale riguardante, in via diretta, solo un problema di accesso alla dirigenza e la legittimità del regolamento concorsuale adottato in materia da un comune e fa stato, ovviamente, una volta diventata definitiva, solo tra le parti interessate, con conseguente esclusione di ogni efficacia generalizzata;
2. per quello che qui rileva, fermo restando il necessario e pieno rispetto per l’autonomia di valutazione e decisione dell’autorità giudicante, si deve comunque evidenziare come l’interpretazione sistematica proposta, che finisce per attribuire, nell’ambito della categoria D, alla posizione D3 una valenza solo ed esclusivamente economica, non corrisponde pienamente ai contenuti delle clausole contrattuali concernenti il sistema di classificazione;
3. queste, infatti, espressamente stabiliscono che, all’interno dell’unica categoria D, vi sono dei profili professionali per i quali, in considerazione della maggiore rilevanza e complessità delle mansioni che li caratterizzano, il trattamento economico stipendiale iniziale, di accesso
(dall’interno e dall’esterno), è stato fissato non in relazione alla posizione economica iniziale della categoria D, e cioè in D1, come avviene in relazione alla generalità degli altri profili della suddetta categoria D, ma in corrispondenza alla più elevata posizione economica D3;
4. per tali profili è previsto espressamente l’accesso diretto sia
.dall’esterno che dall’interno (attraverso lo strumento della selezione verticale, di cui all’art.4 del CCNL del 31.3.1999);
5. pertanto, la posizione D3 non può considerarsi dotata di una valenza esclusivamente economica; infatti, relativamente ai profili per i quali questa rappresenta lo stipendio tabellare iniziale, la posizione D3, proprio perché costituisce il trattamento economico ordinario di attività (artt. 3, comma 7, 13, comma 1, e declaratoria relativa alla categoria D, dell’allegato A, del CCNL del 31.3.1999 che espressamente considera la posizione D3 come trattamento tabellare iniziale dei profili di cui si parla), non può non collegarsi alla diversità delle mansioni, l’unico elemento che giustifica e legittima, all’interno della unica categoria di inquadramento, un diverso e più elevato livello retributivo;
6. trattandosi di profili per i quali è previsto uno specifico e più elevato trattamento stipendiale iniziale (e, quindi, un maggiore onere a carico degli enti), all’interno della categoria D, per la determinazione della dotazione organica, gli enti devono procedere all’individuazione di una doppia dotazione organica: una per i profili con trattamento stipendiale iniziale in D1 ed una per i profili con trattamento stipendiale iniziale in D3;
7. la valenza non esclusivamente economica della posizione D3, in quanto collegata a specifici profili professionali, emerge anche dalle previsioni contrattuali concernenti la progressione verticale:
a) l’art. 4, comma 1, ultimo periodo, del CCNL del 31.3.1999, nell’ambito della disciplina della materia, prevede espressamente che la medesima procedura prevista per il passaggio tra categorie trova applicazione anche per la copertura dei posti vacanti dei profili per i quali sia previsto un trattamento stipendiale iniziale corrispondente alla posizione D3 (a conferma che si tratta di mansioni e, quindi, mestieri diversi e più qualificati – e maggiormente retribuiti - ma sempre all’interno dell’unica categoria D e che, pertanto, la copertura dei posti vacanti della dotazione organica ad essi relativi non poteva non avvenire che attraverso lo strumento della progressione verticale);
b) l’art. 35, comma 1, lett. a) del D.Lgs.n.165/2001, secondo il quale le procedure selettive anche per la progressione verticale devono essere finalizzate all’effettivo accertamento del possesso da parte del lavoratore della professionalità richiesta dal posto vacante da ricoprire; tale regola non può non trovare applicazione anche nel caso della copertura dei posti relativi a profili con un trattamento stipendiale iniziale corrispondente alla posizione economica D3, dato che, come detto, essi rappresentano profili diversi dagli altri pure collocati nella categoria D, e, quindi, non poteva prescindersi dall’accertamento dell’effettiva sussistenza negli aspiranti della necessaria capacità e competenza professionale richieste per l’espletamento delle nuove mansioni; in tal senso provvede appunto
l’art.4 del CCNL del 31.3.1999, come detto al punto a);
c) la medesima clausola (art.4, comma 1, del CCNL del 31.3.1999) espressamente prevedeva (tale previsione deve considerarsi superata per effetto degli spazi di autonoma regolazione riconosciuti in materia agli enti dalla dichiarazione congiunta n.5 allegata al CCNL del 14.9.2000), nell’ambito delle procedure selettive interne per la copertura dei posti vacanti corrispondenti ai suddetti profili “speciali”, la riserva a favore del personale degli altri profili professionali della medesima categoria D (e cioè quelli con trattamento stipendiale iniziale corrispondente alla posizione economica D1); il ricorso alle procedure selettive della progressione verticale e la riserva a favore del personale in possesso di profili professionali della medesima categoria D, ma con trattamento stipendiale iniziale corrispondente alla posizione economica D1, non sarebbero state certo necessarie se la posizione D3 avesse avuto una valenza esclusivamente economica (nell’ambito della progressione economica orizzontale, il lavoratore continua a svolgere sempre e soltanto le medesime mansioni correlate al profilo posseduto, occupando sempre lo stesso posto della dotazione organica);
d) significativo è anche il riferimento dell’art.4, comma 1, ultimo periodo del CCNL del 31.3.1999 alla : “… copertura dei posti vacanti dei profili delle categorie B e D di cui all’art.3, comma 7,….”; questo richiamo ai posti vacanti della dotazione organica relativi ai profili con trattamento stipendiale iniziale in D3 chiaramente dimostra che vengono in considerazione profili autonomi rispetto agli altri della medesima categoria e che, dato il maggiore costo che comportano (più elevato trattamento stipendiale iniziale), per essi devono essere previsti specifici posti nell’ambito dell’unica dotazione organica di categoria; una valenza esclusivamente economica delle posizioni D3 avrebbe reso del tutto superflua ed inutile una tale previsione (come avviene in generale nell’ambito della progressione economica, in cui, venendo in considerazione un incremento di carattere esclusivamente retributivo corrisposto in relazione alle mansioni proprie della categoria e del profilo di appartenenza , quindi anche con riferimento al medesimo posto della relativa dotazione organica, non si pone in alcun modo un problema di determinazione della dotazione organica per ciascuna delle posizioni economiche in cui si articola la stessa progressione orizzontale);
e) infine, l’art.15, comma 2, del CCNL del 31.3.1999 dispone che, in caso di passaggio verticale tra categorie del personale o di acquisizione da parte di questo di uno dei profili per i quali sia stabilito un trattamento stipendiale iniziale corrispondente alla posizione economica D3, qualora il trattamento economico in godimento del personale suddetto, per effetto degli incrementi derivanti dalla progressione economica orizzontale conseguiti nella precedente categoria o profilo, sia superiore a quello stabilito in relazione alla nuova categoria o al nuovo profilo (D3), il personale conserva a titolo personale la differenza, che però è riassorbibile nella successiva progressione economica; l’equiparazione, anche a questi fini, dell’acquisizione di uno dei profili con trattamento stipendiale iniziale in D3 alla progressione verticale dimostra, ancora una
volta, che le parti negoziali non hanno in alcun modo voluto riconoscere alla posizione D3 un significato esclusivamente economico;
f) una valenza solo economica della posizione D3, infatti, avrebbe reso inutile ed inapplicabile la previsione dell’art.15, comma 2, del CCNL del 31.3.1999 in quanto un lavoratore inquadrato in profili professionali con trattamento stipendiale iniziale in D1 e pervenuto per effetto di progressione economica orizzontale alla posizione economica D4 non potrebbe mai avere interesse pratico o professionale a conseguire una posizione economica più bassa (D3), secondo la regola ivi contenuta, in quanto il maggiore importo salvaguardato sarebbe comunque mantenuto solo ad personam e sarebbe riassorbibile per effetto delle successive progressioni orizzontali.
8. nell’ambito del CCNL del 22.1.2004 relativo al comparto Regioni- Autonomie Locali, è stata prevista (art.12) la costituzione di una specifica Commissione Paritetica per la revisione di alcuni punti del vigente sistema di classificazione del personale; uno dei profili che dovrà formare oggetto del lavoro della Commissione è appunto “perfezionare la clausola sulle selezioni verticali tra categorie e chiarire i punti intermedi di accesso sulle posizioni B3 e D3”. Il preciso riferimento della clausola contrattuale ai “punti intermedi di accesso sulle posizioni B3 e D3”, indica chiaramente che le parti negoziali (e quindi anche le XX.XX.) attribuiscono alle suddette posizioni D3 e B3, anche una precisa valenza giuridica. Infatti, il termine “accesso”, nella terminologia propria del lavoro pubblico, sta ad indicare, come è noto, non solo la fase propria dell’assunzione del dipendente ma anche quella del suo inquadramento in una categoria superiore (in tal senso, Corte di Cassazione, sentenza 1543/03, che considera le selezioni verticali pur sempre come forme di accesso, sia pure dall’interno, con conseguente riserva delle controversie in materia alla giurisdizione del giudice amministrativo). Il richiamo, nella clausola contrattuale, alla nozione di “accesso”, relativamente alle posizioni B3 e D3, si giustifica, come è evidente, solo in quanto entrambe le parti riconoscano alle stesse anche una precisa valenza giuridica.
Considerazioni analoghe, per l’identità di disciplina, valgono anche per la categoria B, relativamente alle posizioni B1 e B3
Alla luce della ricostruzione fatta, quindi, si deve ribadire che, anche dopo la sentenza del TAR per la Puglia, sede di Bari, sez. II, n.
2116/2004 del 10 maggio 2004, le posizioni D3 continuano a conservare una valenza sia giuridica che economica e che solo un espresso e specifico intervento negoziale potrà attribuire alle stesse un diverso significato e valore.
399-3D. Posizioni di accesso.
399-3D1. E’ vero che a partire dall’1.1.2002 le posizioni di ingresso nelle diverse categorie si sono ridotte da 6 a 4, a seguito
del venire meno delle posizioni B3 e D3 ?
Non è vero.
Si tratta di affermazioni del tutto prive di fondamento, contenute nel “Il giornale dei Comuni” di ANCITEL del 7.1.2001 sotto il titolo “Regime transitorio categorie dipendenti” ripreso nell’articolo di Xxxxx Xxxxxxxx “Il personale entra a regime”, pubblicato nella rubrica “Enti locali”, pag.20, del quotidiano “Italia Oggi” dell’11.1.2002.
Tali conclusioni, sicuramente errate, deriverebbero da una lettura dell’art.12, comma 3, del CCNL del 31.3.1999 e della dichiarazione congiunta n.11 del CCNL del 5.10.2001.
In realtà detta dichiarazione congiunta ha inteso semplicemente richiamare l’attenzione degli enti sulla circostanza che, a partire dall’1.1.2002, sarebbe venuto meno il particolare regime transitorio contenuto nell’art.12, comma 3, del CCNL del 31.3.1999. Pertanto, come previsto da tale ultimo articolo, a partire dall’1.1.2002, il personale in possesso di profili per i quali è previsto il trattamento stipendiale iniziale corrispondente alle posizioni economiche rispettivamente di B1 e di D1, nell’ambito della progressione economica orizzontale di cui all’art.5 del CCNL del 31.3.1999, non è più vincolato al raggiungimento delle sole posizioni economiche B4 e D3, ma può conseguire anche tutte quelle successive previste all’interno delle due categorie B e D (per il personale con profilo in B1 anche X0, X0; per quello in D1, invece, anche D4 e D5). Alla luce di quanto detto, appare del tutto illogico ed immotivato ritenere, come fanno sia l’articolo di ANCITEL che quello di Italia Oggi, che una semplice dichiarazione congiunta (neppure uno specifico articolo del contratto) abbia potuto introdurre una modifica così rilevante dell’assetto del sistema di classificazione delineato nel CCNL del 31.3.1999.
E’, pertanto, da escludere in modo assoluto che, a decorrere dall’1.1.2002:
- è venuta meno la distinzione all’interno delle categorie B e D tra profili collocati rispettivamente in B1 e B3 e in D1 e D3;
- i profili collocati precedentemente in B3 e D3 devono essere ricondotti in B1 e D1;
- gli enti del comparto, conseguentemente, non possono più procedere ad assunzioni per profili di B3 e D3.
In conclusione e per ulteriore maggiore chiarezza precisiamo che, anche dopo il 31.12.2001:
·continuano a sussistere all’interno delle categorie B e D le posizioni giuridiche B3 e D3;
·conseguentemente, gli enti del comparto, anche dopo tale data, possono continuare a bandire concorsi o selezioni interne per la loro copertura.
399-3D2. Per l’accesso dall’esterno alla categoria D è possibile prevedere titoli di studio diversi da quelli contenuti nell’allegato A del CCNL 31/3/1999? In particolare è possibile prevedere,
relativamente alla categoria D p. ec. D1 il titolo di studio della laurea (L) e, relativamente alla categoria D p. ec. D3, il titolo di studio della laurea specialistica (L.S)?(aggiornato al 16/11/2005)
La disciplina dei concorsi e dei relativi requisiti culturali spetta ai singoli enti, che vi provvedono con l’adozione di uno specifico regolamento degli accessi.
In sede di predisposizione di tale regolamento, l’ente, ai fini della determinazione del titolo di studio necessario per l'accesso ad un determinato profilo, non può non attenersi alla disciplina contrattuale in materia di sistema di classificazione e in particolare ai contenuti della declaratoria professionale del profilo stesso e della categoria in cui è esso è collocato. Questi, infatti, comprendono anche i requisiti culturali che lo caratterizzano, dato che esiste una stretta, e inscindibile, correlazione tra il contenuto del profilo e la preparazione culturale, professionale e l'esperienza dei candidati che possono accedervi.
L‘allegato A al CCNL del 31.3.1999, relativamente alla Categoria D, prevede una base teorica di conoscenza acquisibile sia con la laurea breve (corrispondente ai titoli di primo livello denominati di «laurea» (L)) sia con il diploma di laurea (corrispondente ai titoli di secondo livello denominati «laurea specialistica» (LS));
Pertanto, ove in sede di definizione dei profili professionali della Categoria D, relativamente a quelli caratterizzati dal più elevato trattamento tabellare iniziale corrispondente alla posizione economica D3 (la Categoria D infatti è unica), in relazione ai contenuti di tali profili, sia stata prevista una preparazione culturale teorica acquisibile solo con il possesso di del diploma di laurea specialistica, il regolamento dell’ente sugli accessi ben può prescrivere come requisito culturale solo tale particolare titolo di studio.
399-3E. Riclassificazioni.
399-3E1. E’ possibile il reinquadramento o la riclassificazione automatica del personale in base al profilo posseduto o alle mansioni svolte ? Come si individuano i posti da destinare alle selezioni interne ? I posti unici devono essere destinati all’accesso dall’interno o dall’esterno ?
La vigente disciplina legislativa e contrattuale del lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, non consente il reinquadramento o la riclassificazione automatica del personale neanche in base al profilo posseduto o alle mansioni svolte.
Il percorso di sviluppo professionale è lecito soltanto nell'ambito delle regole sulle selezioni interne disciplinate dall'art. 4 del CCNL del 31/3/1999.
I posti che possono essere destinati alle selezioni interne devono essere individuati con la programmazione dei fabbisogni, riservando un
adeguato numero di altri posti all'accesso dall'esterno (ai sensi dell'art. 35, comma 1, D.Lgs. 165/2001).
La disciplina degli accessi dall'esterno è affidata alla autonoma regolamentazione dei singoli Enti, fatti salvi i principi fissati dal comma 3 del citato art. 35; in tale ambito potrebbe essere anche riscritta la disciplina sulla utilizzazione e destinazione dei posti unici.
399-3E2. E’ possibile riclassificare in categoria inferiore un dipendente su sua espressa richiesta o, comunque, con il suo consenso ?
Siamo del parere che la soluzione proposta non sia praticabile. Secondo la giurisprudenza, la riclassificazione in categoria inferiore o l’utilizzo del dipendente in mansioni ascritte a categoria inferiore sono eventi consentiti solo eccezionalmente e per i quali non è sufficiente il puro e semplice accordo delle parti: infatti, non solo un simile accordo non sarebbe valido (per violazione dell’art. 2113 del codice civile) ma potrebbe essere sempre impugnato dal lavoratore (oggi consenziente) nel termine di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
399-3E3. L'allegato A al CCNL del 31.3.1999 prevede, per le categorie B e D, che nelle posizioni economiche tabellari B3 e D3 debbano essere collocati i profili professionali che secondo la disciplina del DPR 347/83 e successive integrazioni potevano essere ascritti alla ex V o alla ex VIII qualifica funzionale. La collocazione dei predetti profili può comportare l’automatico reinquadramento del personale collocato in posizione B1 e D1 che possa vantare l’esercizio di mansioni corrispondenti a quel profilo?
La previsione contenuta nell’allegato A deve essere letta unitamente all’art. 3, commi 6 e 7, del CCNL del 31.3.1999. In base a tali disposizioni, gli enti hanno il potere di individuare, in maniera autonoma, tutti i profili professionali necessari alle proprie esigenze e di collocarli nelle diverse categorie nel rispetto delle declaratorie contenute nell’allegato A. In tale ambito, gli enti individueranno anche i profili da collocare nelle posizioni tabellari B3 e D3.
La collocazione dei profili professionali, attuale o futura, ha un contenuto esclusivamente oggettivo e non produce effetti automatici sull’inquadramento dei soggetti che eventualmente possono aver svolto mansioni analoghe a quelle riclassificate. Alle pubbliche amministrazioni infatti non è consentito l’utilizzo della promozione, diversamente da quanto previsto nel settore privato.
Gli enti potranno invece utilizzare i percorsi verticali di carriera previsti dall’art. 4 del CCNL del 31.3.1999, secondo i principi degli artt. 35 e 52 del D.Lgs. n. 165/2001. I posti vacanti nei profili riclassificati possono, infatti, in base alla programmazione triennale dei fabbisogni di cui all’art. 39 della legge 449/1997, essere destinati alle selezioni interne per favorire lo sviluppo verticale di carriera del personale interessato, avendo
cura di destinare una adeguata quota di altri posti vacanti alle selezioni esterne.
399-3E4. Vi sono casi in cui è possibile procedere alla riclassificazione o promozione automatica del personale nella categoria superiore? E’ possibile classificare un dipendente in un profilo con ingresso in B3 o in D3 se egli abbia già acquisito un identico trattamento economico a seguito di progressione orizzontale?
Confermiamo che la collocazione dei profili professionali, attuale o futura, ha un contenuto esclusivamente oggettivo e non produce in nessun caso effetti automatici sull’inquadramento dei soggetti. Eventuali sviluppi verticali di carriera possono essere realizzati solo alle condizioni indicate dal D.Lgs. n. 29/93 e dall’art. 4 del Ccnl del 31.3.1999.
Il dipendente in possesso di un profilo professionale con trattamento tabellare in B1 o D1 che, per effetto di progressione economica orizzontale, abbia acquisito la posizione di sviluppo B3 o D3 non può essere riclassificato senza selezione in un posto di organico e in un profilo con parametro tabellare di ingresso in B3 o D3, anche se resta invariato il trattamento economico stipendiale, con esclusione della I.I.S. che è contraddistinta da due diversi valori (vedi anche quesito S5 e relative tabelle). Il CCNL, infatti, richiede, proprio per tale ipotesi, l’espletamento della selezione riservata di cui all’art. 4, comma 2.
399-3E5. In caso di applicazione dell’art. 21, comma 4 del CCNL del 6.7.1995 (e successive modifiche) e di conseguente utilizzazione del dipendente in mansioni proprie di profilo professionale ascritto a categoria inferiore, come deve applicarsi la previsione dell’art. 4, comma 4 della L. 68/1999 ? Si può attribuire un assegno personale? E’ possibile applicare tale beneficio ai casi verificatisi prima della stipulazione el CCNL del 14.9.2000?
L’art. 21, comma 4 del CCNL del 6.7.1995, nel testo riformulato dall’art. 10 del CCNL del 14.9.2000, consente di utilizzare il dipendente in mansioni proprie di profilo professionale ascritto a categoria inferiore e stabilisce che in tal caso debba trovare applicazione l’art. 4, comma 4, della legge n.68/1999, che prevede la “… conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.
Nel vostro caso, l’applicazione di tale disciplina comporta la possibilità di utilizzare la dipendente in mansioni proprie di profilo professionale ascritto alla categoria A ma le dovrà essere mantenuto l'intero trattamento economico della categoria di provenienza con la conservazione, quindi, anche delle regole che lo disciplinano nel tempo, sia per il trattamento fondamentale che accessorio.
Non è corretto, dunque, procedere all’attribuzione di un semplice assegno personale, come da voi ipotizzato.
Per quanto riguarda, infine, il quesito sull’applicabilità del beneficio
previsto dall’art. 4, comma 4, della L. 68/99 ai casi verificatisi prima della sottoscrizione del CCNL del 14.9.2000, riteniamo che detto beneficio possa essere applicato a tutti i casi successivi all’entrata in vigore della L. 68/99, anche se antecedenti la stipulazione del CCNL 14.9.2000.
399-3E6. Un dipendente è stato a suo tempo riclassificato in qualifica inferiore per inidoneità fisica ai sensi dell’art.11 del DPR 347/83, non essendo possibile, per mancanza di posti, utilizzarlo in altre mansioni ascrivibili alla sua qualifica di inquadramento.
Lo stesso dipendente, a seguito di progressione verticale, è stato ora reinquadrato nella categoria corrispondente alla qualifica superiore originariamente posseduta. La differenza di retribuzione tra le due qualifiche, computata nel maturato per anzianità ai sensi dell’art.27, comma 2 del DPR 347/83 si conserva o viene riassorbita ?
Preliminarmente, è il caso di evidenziare che, in vigenza dell’art.11 del DPR 347/83, il dipendente è stato riclassificato in qualifica inferiore perché, nonostante fosse inidoneo solo allo svolgimento delle mansioni del proprio profilo professionale, non sussistevano, nella sua qualifica di inquadramento, altri posti disponibili (di diverso profilo professionale). In altri termini, il dipendente non era assolutamente inidoneo allo svolgimento delle mansioni proprie della sua qualifica di provenienza e questo spiega come sia oggi possibile il suo reinquadramento nella categoria corrispondente a tale qualifica.
L’art. 27, comma 2, del DPR 347/83, prevedeva che “in caso di inquadramento a qualifica funzionale inferiore per idoneità fisica, in relazione a quanto previsto dal precedente art. 11, la differenza di retribuzione tra le due qualifiche sarà computata nel maturato per anzianità. Detta differenza sarà utilizzata a conguaglio nel caso di successivo passaggio a qualifica funzionale superiore.”
Tale disposizione mirava, da un lato, a non penalizzare eccessivamente il dipendente che, per ragioni di salute, si trovasse costretto a subire un declassamento; dall’altro, si preoccupava di evitare che in caso di reinquadramento dello stesso dipendente nella qualifica di provenienza questi avesse un trattamento economico migliore rispetto agli altri dipendenti della stessa qualifica. In sostanza, la norma affermava il principio che in caso di reinquadramento nella qualifica di provenienza il dipendente aveva diritto a vedersi riconosciuto solo il trattamento economico previsto per tale qualifica, senza alcuna maggiorazione.
Xxx l’art. 11 sia l’art. 27 del DPR 347/83 non sono, però, più applicabili, in virtù dell’art. 69, comma 1, ultimo periodo, del D. Lgs. 165/2001.
La materia è oggi disciplinata dall’art. 21 del CCNL del 6.7.1995 e dall’art. 4 della L. 68/99.
L’art. 21, comma 4 del CCNL del 6.7.1995 e successive modificazioni stabilisce che in caso di utilizzo del dipendente inidoneo allo svolgimento delle mansioni proprie del profilo professionale rivestito in mansioni ascritte alla qualifica inferiore debba trovare applicazione l’art. 4, comma 4 della L. 68/99 secondo il quale il dipendente ha “…diritto alla
conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.
In apparenza, nulla si prevede per l’ipotesi in cui il dipendente torni successivamente ad essere utilizzato in mansioni proprie della categoria di provenienza (superiore).
Tuttavia, riteniamo che il problema possa agevolmente essere risolto secondo i consueti canoni della ragionevolezza e della buona fede.
La ratio di tali disposizioni, non diversamente da quelle del DPR 347/83 sopra esaminate e non più applicabili, è, ancora una volta, quella di non penalizzare il dipendente che, per ragioni di salute, si trovi costretto a subire una dequalificazione professionale (eccezionalmente consentita in tale ipotesi); non a caso la legge 68/99 parla, genericamente, di conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza; sicuramente, si può confermare che anche tale disciplina non ha lo scopo di precostituire una incomprensibile posizione di vantaggio per il lavoratore nel caso egli sia successivamente riutilizzato nelle mansioni proprie della categoria di provenienza (superiore).
Pertanto, sembra ragionevole concludere che anche in base alle nuove disposizioni, come nell’ipotesi in cui fossero state ancora applicabili le disposizioni del DPR 347/83, il lavoratore che torna ad essere utilizzato nelle mansioni proprie della categoria di provenienza (superiore) non ha diritto a particolari privilegi: egli percepirà il trattamento economico previsto per la categoria superiore dalla quale proveniva senza alcuna maggiorazione (comunque denominata).
Se così è, la soluzione è estremamente semplice: non importa che, nel frattempo, sia intervenuta la disapplicazione dell’art. 27 del DPR 347/83; come pure non ha alcuna rilevanza il fatto che il trattamento economico della qualifica superiore di provenienza sia stato conservato nella RIA; sia in base alle vecchie norme, sia in base alle nuove, il vostro dipendente non potrebbe oggi percepire un trattamento complessivamente superiore a quello previsto per la “nuova categoria” di inquadramento (corrispondente alla qualifica superiore dalla quale proveniva).
399-3F. Profili professionali
399-3F1. Quali sono gli adempimenti per l'individuazione e la descrizione dei nuovi profili professionali?
La materia è strettamente correlata al modello organizzativo adottato dall'ente e, quindi, la relativa disciplina trova fondamento nel potere unilaterale che i singoli enti possono esercitare nell'ambito della propria autonomia ordinamentale. Il CCNL del 31.3.1999 ha previsto, al riguardo, una specifica clausola (art. 3, comma 6) che conferma il principio sopra enunciato.
A titolo collaborativo suggeriamo, in ogni caso, di seguire il seguente
percorso:
- aggiornamento delle disposizioni del regolamento degli uffici e servizi, in armonia con il D.Lgs. n. 165/2001;
- definizione del modello organizzativo, delle posizioni apicali di direzione e di responsabilità, dei criteri per il conferimento e la revoca degli incarichi di direzione;
- determinazione dell'organico complessivo di ente, ai sensi dell'art. 6 del D.Lgs. n. 165/2001;
- costruzione e descrizione dei profili professionali necessari per soddisfare le predette competenze.
399-3F2. Quali regole devono essere seguite per la individuazione e collocazione dei profili professionali? Il personale può essere riclassificato in base alle mansioni svolte? Dobbiamo precisare che la individuazione dei profili professionali e la loro collocazione corretta nelle categorie di cui al CCNL del 31.3.1999, è rimessa, nel rispetto del vincolo della concertazione con le XX.XX., all'autonomo apprezzamento dei singoli enti che devono assumere le relative decisioni con riguardo alla declaratoria professionale di ogni categoria.
Precisiamo ancora che il CCNL non si occupa della collocazione dei singoli lavoratori in base alle mansioni svolte, ma prende in esame scelte oggettive correlate al modello organizzativo adottato.Richiamiamo infine l’attenzione sull’ipotesi che una eventuale ricollocazione di un profilo professionale in una categoria superiore, a seguito di un arricchimento dei relativi contenuti, non può comportare anche l'automatico reinquadramento del personale interessato che potrà solo fruire, alle condizioni prescritte, dei percorsi verticali di carriera, secondo la disciplina dell'art. 4 del CCNL del 31.3.1999.
399-3F3. A quale soggetto istituzionale spetta il compito di definire le declaratorie dei profili professionali ?
Il CCNL del 31.3.1999 si è limitato a definire le declaratorie delle categorie e ad indicare, a titolo esemplificativo, alcuni profili professionali; spetta agli enti, invece, il compito di identificare i profili professionali non individuati nell'allegato A dello stesso CCNL o aventi contenuti professionali diversi rispetto ad essi e di collocarli nelle corrispondenti categorie nel rispetto delle relative declaratorie, utilizzando in via analogica i contenuti delle mansioni dei profili indicati nel citato allegato A.
Poiché si tratta di una tipica attività di gestione le declaratorie dei profili professionali dovranno essere definite dal dirigente (o dal responsabili del servizio) competente in base all’ordinamento dell’ente, che vi provvede con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. 165/2001.
399-3F4. In attuazione della disciplina relativa al nuovo sistema di classificazione, può essere individuato un numero di profili ridotto rispetto a quelli preesistenti? Si giustifica una opposizione dei lavoratori interessati?
In relazione al quesito formulato dobbiamo rilevare che rientra nella autonomia organizzativa dei singoli enti la individuazione e descrizione dei profili professionali necessari ad assicurare il corretto funzionamento delle strutture e l’espletamento delle funzioni istituzionali, nel rispetto del vincolo della concertazione di cui all’art.16, comma 2, lett.f) del CCNL del 31.3.1999.
Concordiamo, peraltro, sulla necessità di sottoporre a profonda revisione il sistema dei profili già esistenti, in quanto derivanti da un modello di classificazione del tutto diverso da quello introdotto dal CCNL del 31.3.1999.
In questa sede, pertanto, riteniamo anche ragionevole un corretto ed equilibrato accorpamento dei profili pregressi specialmente quando iunifica un insieme di mansioni riconducibili, sostanzialmente, alla medesima area di attività.
Non riteniamo, altresì, che i lavoratori interessati possano legittimamente contrastare tale soluzione in quanto gli stessi non vengono in alcun modo danneggiati in ordine alla qualità delle relative prestazioni e alle prospettive di carriera sia economica che professionale; anzi, da un ampliamento delle tipologie di attività potrebbero trarne vantaggio sul piano dell’arricchimento professionale.
399-3F5. E’ possibile e congruente procedere all’accorpamento dei profili professionali di 'educatore asilo nido' e di 'maestro scuola materna' nel nuovo profilo di 'educatore dell’infanzia'?
In relazione al quesito formulato siamo del parere che l'accorpamento dei profili professionali di "educatore asilo nido" e di "maestro scuola materna" in un nuovo profilo di "educatore dell'infanzia" non risulta coerente con la vigente disciplina dei contratti collettivi di lavoro.
In particolare rileviamo che proprio l'ultimo CCNL del 14.9.2000 ha dettato una organica e dettagliata disciplina per gli "educatori" e per i "maestri" (vedi articoli da 30 a 34) prevedendo tutele giuridiche ed economiche anche diverse per le due diverse professioni; dobbiamo prendere atto, quindi, che il contratto collettivo ha inteso istituire espressamente i predetti profili non solo per assicurare la migliore erogazione dei servizi agli utenti ma anche per favorire una omogeneità di comportamento degli enti locali in un ambito di grande interesse sociale.
Solo il contratto collettivo nazionale, pertanto, potrebbe riconsiderare in senso innovativo l'intera materia; la stessa, di conseguenza, non può rientrare, al momento, nella libera disponibilità dei singoli enti neanche a
seguito di procedure concertative o di contrattazione decentrata.
399-3F6. E' consentito prevedere un profilo di "Responsabile del servizio ragioneria"?
Per valutare e attuare correttamente il criterio di equivalenza delle mansioni nell'ambito della categoria si deve distinguere nettamente il contenuto delle attività correlate al profilo professionale posseduto da ogni dipendente, dagli incarichi di direzione o di responsabilità che possono essere legittimamente conferiti secondo le normative vigenti. In altri termini, non può esistere, nella categoria D, un profilo di "Responsabile del servizio ragioneria" o similari; esiste, invece, un dipendente con profilo di "Esperto o specialista in materia contabile e finanziaria" al quale il Sindaco può conferire l'incarico di responsabile del servizio ragioneria.
399-3F7. E’ possibile stabilire un rapporto di 'gerarchia' tra i profili collocati nelle posizioni tabellari B3 e D3 rispetto ai profili collocati, rispettivamente, nelle posizioni tabellari B1 e D1?
In linea di principio, tenuto conto anche del criterio della equivalenza previsto dall’art. 3, comma 2, del CCNL del 31.3.1999, è possibile immaginare un rapporto di “gerarchia” solo tra profili collocati in categorie diverse, come del resto avveniva, in vigenza del precedente ordinamento professionale, tra le preesistenti otto qualifiche funzionali. Non è invece possibile che profili professionali collocati nell’ambito della stessa categoria e quindi riconducibili ad un’unica declaratoria, secondo le indicazioni dell’allegato A al CCNL del 31.3.1999, siano legati da rapporto gerarchico.
Ciò vale anche nel caso delle categorie B e D nelle quali, essendo unica la rispettiva declaratoria, sono presenti due gruppi di profili collocati in due distinte posizioni di accesso (B1-B3 e D1-D3) in quanto caratterizzati da diverso contenuto professionale e non in quanto legati da rapporto gerarchico. Nell’ambito della stessa categoria, una condizione di sovraordinazione è ipotizzabile solo se legata al conferimento di uno specifico incarico ai sensi degli artt. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999 ma in tal caso essa è conseguenza di una precisa scelta organizzativa e non di una presunta gerarchia professionale.
399-3F8. Come deve regolarsi un ente che intenda modificare i profili professionali su alcuni posti di organico vacanti o che intenda assegnare un nuovo profilo professionale ai dipendenti in servizio ? In quest’ultima ipotesi è necessario il consenso degli interessati ?
L’art. 89, comma 2 del D. Lgs. 267/2000 assegna espressamente alla potestà regolamentare degli enti la disciplina di “ruoli, dotazioni organiche e loro consistenza complessiva”, mentre il successivo comma 5 stabilisce che gli enti provvedono alla rideterminazione delle proprie
dotazioni organiche, nonché alla organizzazione e gestione del personale nell’ambito della propria autonomia normativa ed organizzativa con i soli limiti derivanti dalle proprie capacità di bilancio e dalle esigenze di esercizio delle funzioni, dei servizi e dei compiti loro attribuiti (fatte salve le norme sugli enti dissestati e strutturalmente deficitari).
L’art. 89, comma 6 del D. Lgs. 267/2000, con disposizione del tutto analoga a quella contenuta nell’art. 5, comma 2 del D. Lgs. 165/2001, prevede, inoltre, che “ … le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dai soggetti preposti alla gestione con la capacita' e i poteri del privato datore di lavoro” nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui al comma 1 dello stesso articolo, che devono disciplinare l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo principi di professionalità e responsabilità.
A sua volta l’art. 3, comma 2 del CCNL del 31.3.1999 stabilisce che “ai sensi dell'art. 56 del D. Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal D. Lgs.
n. 80 del 1998 (ora art. 52 del D. Lgs. 165/2001), tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili. L'assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell'oggetto del contratto di lavoro”; mentre il comma 6 dello stesso articolo rinvia all’ente, in relazione al proprio modello organizzativo, la concreta individuazione dei profili professionali (ulteriori a quelli indicati, a titolo esemplificativo, nell’allegato A) seppure con il vincolo della concertazione (art. 8, comma 1 CCNL 1.4.1999 e art. 16, comma 2 CCNL 31.3.1999).
Dalle citate disposizioni si evince che ogni determinazione circa la dotazione organica, i profili professionali e le mansioni del personale, rientra nel potere di organizzazione dell’ente che non solo può operare, in base al proprio ordinamento, la trasformazione dei profili professionali sui posti di organico (vacanti o meno), ma può anche modificare i profili professionali attribuiti ai dipendenti, con l’unico vincolo dell’equivalenza delle mansioni.
Naturalmente, nulla vieta di ricercare soluzioni che, oltre che corrispondere alle esigenze dell’ente, abbiano anche il consenso del personale interessato.
399-3F10. E’ possibile utilizzare lo strumento della progressione verticale per assegnare al dipendente che abbia già un profilo professionale con accesso in B1 un nuovo profilo professionale avente anch’esso accesso in B1 ?
La progressione verticale nel sistema di classificazione disciplinata dall’art. 4 del CCNL del 31.3.1999 deve essere utilizzata esclusivamente per il passaggio dei dipendenti alla categoria immediatamente superiore (nel limite dei posti vacanti della dotazione organica di tale categoria che non siano stati destinati all’accesso dall’esterno) o per la copertura dei posti vacanti dei profili delle categorie B e D di cui all’art. 3, comma 7 dello stesso CCNL, riservando, in tale ipotesi, la
partecipazione alle relative selezioni al personale degli altri profili delle medesime categorie.
Pertanto, la progressione verticale potrebbe essere utilizzata, ad esempio, per il passaggio dei dipendenti della categoria C alla categoria D o per il passaggio dei dipendenti con profilo professionale avente il trattamento tabellare iniziale in B1 ad un diverso profilo professionale avente il trattamento tabellare iniziale in B3 (è l’ipotesi prevista dal richiamato art. 3, comma 7 del CCNL del 31.3.1999).
Nel caso segnalato da codesto Comune, invece, lo strumento non è utilizzabile non ricorrendo nessuna delle ipotesi previste dal citato art. 4 (infatti, il dipendente ha un profilo professionale con tabellare iniziale in B1, lo stesso del nuovo profilo che gli volete attribuire).
Il cambio di profilo potrà però essere disposto nell’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro (art. 5, comma 2 del D. Lgs. 165/2001) tra i quali rientra anche quello di determinare (e modificare) l’oggetto del contratto di lavoro. Tale potere è espressamente richiamato dall’art. 2, comma 3 del CCNL 31.3.1.999, secondo il quale “tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili”.
Il problema è, dunque, solo quello di valutare se le mansioni proprie del nuovo profilo professionale, ascritte alla stessa categoria di inquadramento del lavoratore, possano essere considerate professionalmente equivalenti a quelle da ultimo svolte.
399-3F11. È possibile per il dipendente imporre la variazione del proprio profilo professionale?
Il lavoratore non può vantare alcun "diritto" alla modifica del proprio profilo professionale, anche in presenza di una sua utilizzazione in mansioni diverse dal profilo di appartenenza ma "equivalenti" perché riconducibili alla medesima categoria.Riteniamo, peraltro, che il datore di lavoro pubblico (dirigente), nell'ambito dei poteri assimilati a quelli del datore di lavoro privato, secondo la disciplina dell'art. 5, comma 2, del D. Lgs. n. 165/2001, può ben valutare la convenienza ad accogliere le richieste (non le pretese) del lavoratore interessato e consentire, quindi, la modifica del profilo professionale quando sussista sia il relativo posto vacante in organico e sia un evidente migliore utilizzazione delle prestazioni del lavoratore con diretti vantaggi per la qualità dei servizi resi agli utenti.Tale modifica, naturalmente, deve essere formalizzata nel rispetto della disciplina del D.Lgs.n.152 del 1997.
399-3G.Mansioni equivalenti
399-3G1. Come deve essere correttamente interpretato il principio della ‘equivalenza delle mansioni’? Possono essere indicati utili riferimenti giurisprudenziali in materia?
L'affidamento di mansioni equivalenti può comportare la
eventuale erogazione di una indennità correlata alle nuove attività?
In merito al quesito, occorre premettere che l'art. 56 del D.Lgs. 29/93 (v. oggi art.52 D.Lgs.165/2001) ha codificato per il pubblico impiego il principio della contrattualità delle mansioni, previsto dall’art. 2103 del codice civile, secondo cui le mansioni del lavoratore sono quelle “per le quali è stato assunto o (quelle) considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi”.
Il CCNL del 31.3.1999, che ha ridotto le 8 qualifiche funzionali a 4 categorie, ha indicato per ognuna di queste le relative declaratorie, le quali determinano le caratteristiche essenziali delle funzioni inquadrate nelle categorie e i requisiti fondamentali di preparazione professionale, le esperienze, le capacità, l’abilità, l’autonomia e il livello culturale del lavoratore (allegato A).
Di fronte alla naturale genericità delle declaratorie, il contenuto delle attività dei dipendenti, e quindi l’esatta specificazione dell’oggetto del loro contratto di lavoro, è determinato in parte tramite l'indicazione del profilo professionale di appartenenza ovvero tramite i "mansionari" di cui è ricca l'esperienza degli enti locali, ma in larga parte è riservato al "datore di lavoro", il quale deve poter determinare il contenuto pratico delle mansioni esigibili in riferimento alle esigenze produttive e organizzative.
Il datore di lavoro, dunque, esercita un potere direttivo nei confronti del lavoratore, nel senso che ha il compito di determinare ed eventualmente variare le sue mansioni senza che ci sia bisogno di mutare il contratto col quale è stato assunto, ossia senza che cambi l’oggetto del contratto stesso. In questo il datore di lavoro ha la possibilità, entro limiti ben precisi, di pretendere altro dal lavoratore in ragione delle esigenze organizzative e/o produttive e della valorizzazione di quest’ultimo, per cui esercita un potere determinativo dell’obbligo contrattuale.
Questo è il succo del comma 2 dell’art. 3, del CCNL del 31.3.1999, secondo cui tutte le mansioni che vengano ascritte dal contratto all’interno delle singole categorie, “in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili”, e l’assegnazione delle mansioni equivalenti è un atto del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro.
E’ evidente che quando si parla di "datore di lavoro" ci si deve riferire al dirigente o responsabile di ufficio o servizio, ai quali la legge e il contratto affidano queste responsabilità.
Circa la questione delle mansioni equivalenti, il comma 2 dell’art. 3 più volte citato contiene l’inciso in base al quale le mansioni sono esigibili “in quanto professionalmente equivalenti”. Detta locuzione deve intendersi in senso limitativo, nel senso che sono esigibili solo le mansioni che si equivalgono dal punto di vista professionale, per l’evidete motivo che all’interno delle categorie sono annoverati profili professionali anche notevolmente differenti tra loro e il potere datoriale trova il limite nel rispetto della specifica preparazione tecnico-professionale del dipendente e non può tradursi in mutamenti di mansioni che non consentano, nel loro espletamento, l’utilizzazione ed il conseguente perfezionamento del
corredo di nozioni, esperienze e perizia acquisito nella fase pregressa del rapporto di lavoro.
Per i criteri dell'affidamento di mansioni equivalenti sopperisce la ingente produzione della Corte di Cassazione, secondo la quale l’attribuzione di mansioni equivalenti impone che queste siano omogenee nel senso che il lavoratore possa svolgere le nuove con le stesse capacità ed attitudini professionali in precedenza esplicate (Cass. 28.3.1986 n.
2228). L’equivalenza deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine di quelle nuove ad essere aderenti alla specifica competenza tecnico-professionale del dipendente, salvaguardandone il livello professionale, e tali da consentire l’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase del rapporto di lavoro (Cass., sez. lav., 23.11.1995 n. 12121; 10.8.1987 n. 6871).
Le mansioni equivalenti devono essere idonee a consentire l’utilizzazione, il perfezionamento e l’accrescimento del patrimonio professionale già acquisito e il datore di lavoro ha l’obbligo della tutela della professionalità del dipendente, intesa come patrimonio di esperienze e di nozioni da questi acquisito nel corso del rapporto (Cass., sez. lav., 9.6.1997 n.
5162; 22.4.1995 n. 4561; 13.11.1991 n. 12088; 17.3.1986 n. 1826).
A conti fatti, dunque, secondo la Cassazione, l’art. 2103 tutela la professionalità del lavoratore, intesa come insieme di nozioni, esperienze, cognizioni ed abilità operativa precedentemente acquisite, di cui deve essere salvaguardata la possibilità di ulteriore utilizzazione ed affinamento (Cass. 8-8-1987 n. 6852) ed assicura al lavoratore una tutela volta a impedirne la dequalificazione non solo sotto l’aspetto economico ma anche sotto l’aspetto morale (Cass. 10.10.1985 n. 4940). Ancora, il lavoratore può essere assegnato a mansioni diverse da quelle svolte, a condizione che vi sia equivalenza per quanto concerne il contenuto di professionalità e che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica preparazione tecnico professionale del dipendente (Cass.
3.11.1997 n. 10775, conforme a Cass. 8.2.1985 n. 1033).
In riferimento alla evenienza che al lavoratore da assegnare a mansioni equivalenti debbano riconoscersi "eventuali indennità aggiuntive come l'indennità di disagio", rileviamo che l'art. 4, comma 2, lett. c), del CCNL dell'1.4.1999 rinvia alla contrattazione decentrata l'individuazione delle "fattispecie" per la corresponsione dell'indennità per attività svolte in condizioni particolarmente disagiate di cui al successivo art. 17, comma 2, lett. e). Qualora in questa sede le parti negoziali abbiano inserito la particolare attività oggetto delle mansioni equivalenti tra quelle meritevoli della specifica indennità, quest'ultima sarà riconosciuta al lavoratore che svolge l'attività in questione a prescindere dal profilo rivestito e per il solo fatto di averla svolta.
399-3G2. E’ possibile attribuire ad un lavoratore di posizione tabellare D1 mansioni di un profilo di livello superiore corrispondenti ad una posizione economica D3? Che valore ha il principio della equivalenza delle mansioni nella categoria D?
In linea di principio, ogni lavoratore ha il diritto di essere compensato in relazione alle mansioni che svolge non solo quando queste siano legittimamente conferite ma anche quando l’affidamento dovesse risultare nullo (si veda, a tal proposito, il contenuto dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001).
Nel caso specifico di un lavoratore con un profilo classificato in categoria D, posizione tabellare D1, cui siano state conferite le mansioni di un profilo di livello superiore corrispondenti ad un profilo classificato nella posizione tabellare D3, riteniamo che il soggetto interessato abbia titolo a fruire di un compenso aggiuntivo pari alla differenza dei due trattamenti tabellari messi a confronto.
Anche se si tratta di profili inseriti nella medesima categoria D, siamo pur sempre in presenza di due “mestieri” diversi cui sono correlati trattamenti stipendiali diversi; appare iniqua, al riguardo, la applicazione del principio delle “mansioni equivalenti” in quanto in CCNL del 31.3.1999, all’art. 3. non afferma che tutte le mansioni di una categoria sono da ritenere sempre equivalenti; lo stesso articolo, infatti, usa l’espressione “in quanto equivalenti” che può tradursi, più semplicemente, in questa ulteriore affermazione: il principio della equivalenza può essere applicato solo se le mansioni interessate possono essere considerate equivalenti secondo il consolidato indirizzo interpretativo fornito dalla più recente giurisprudenza della Cassazione.
Nel confronto delle mansioni dei profili di D1 e di D3, il criterio della equivalenza dovrebbe essere escluso per il semplice fatto che sussiste una differenza di trattamento stipendiale che non può essere disconosciuto.
Siamo, quindi del parere che, qualora sussistano le condizione per il legittimo conferimento di mansioni di livello D3 ad un lavoratore classificato in profilo D1, debba essere applicata la regola sul trattamento economico correlato allo svolgimento delle mansioni superiori, nel rispetto, in ogni caso, di tutte le prescrizioni contenute nell’art. 8 del CCNL del 14.9.2000.
399-3G3. Come deve essere attuato il criterio della 'equivalenza delle mansioni'? in particolare per la categoria A?
Dobbiamo evidenziare che la problematica relativa alla esatta individuazione delle mansioni equivalenti appassiona da tempo non solo i cultori della materia ma la stessa giurisprudenza che periodicamente è costretta a reintervenire sulla questione a seguito del contenzioso che permane nei luoghi di lavoro.
Non ci sembra, pertanto, che la nostra Agenzia possa esprimere una propria interpretazione autentica su una previsione contrattuale che volutamente ha richiamato il concetto della equivalenza senza definirne la portata applicativa, rinviando, evidentemente, ogni pratica applicazione al consolidato orientamento giurisprudenziale.
Limitatamente, peraltro, alle mansioni riconducibili alla categoria A del sistema di classificazione del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali, ci sentiamo di poter affermare la generale equivalenza
delle mansioni stesse, in relazione al limitato contenuto di professionalità che ne giustifica l’inserimento nella medesima categoria.
399-3G4. Quali criteri devono essere seguiti per la richiesta corretta di mansioni equivalenti?
Sull’argomento riteniamo utile fornire i seguenti orientamenti:
1. l’art.52, comma 1, del D.Lgs.n.165/2001 e l’art.3, comma 2, del CCNL del 31.3.1999, al fine di consentire una maggiore flessibilità nella gestione del personale, hanno riaffermato la regola della mobilità orizzontale del personale e quindi della piena fungibilità delle mansioni collocate all’interno della medesima categoria, nel senso che al lavoratore possono essere richieste non solo le mansioni proprie del profilo di assunzione ma anche tutte quelle altre che ad esse siano rapportabili in termini di equivalenza, nell’ambito della categoria di appartenenza;
2. non esistono regole precise e predeterminate, di carattere legale o contrattuale, per la verifica della sussistenza del necessario requisito della equivalenza delle mansioni, da utilizzare in via generale ed astratta in ogni caso di mobilità orizzontale; ciò vale anche per il ondo del lavoro privato, dove il problema della definizione del principio della equivalenza si è posto sin dall’entrata in vigore dell’art.13 della legge n.300/1970 (che ha modificato la precedente disciplina del mutamento delle mansioni contenuta nell’art.2103 del codice civile), senza trovare una adeguata soluzione unica ed uniforme;
3. l’impossibilità di stabilire regole uniche ed uniformi si spiega anche in considerazione della circostanza che l’individuazione concreta dei singoli profili, e quindi delle mansioni che li caratterizzano, è demandata esclusivamente alle autonome valutazioni e decisioni delle singole amministrazioni del comparto, che a tal fine tengono conto delle proprie specifiche esigenze organizzative e funzionali; ciò spiega la ragione per cui il CCNL del 31.3.1999 abbia rinunciato alla facoltà, pure consentita dall’art.52, comma 1, del D.Lgs.n.165/2001, di individuare a livello nazionale le mansioni da considerarsi equivalenti nell’ambito del sistema di classificazione;
4. alla luce di quanto detto, appare evidente l’impossibilità di formulare un parere di merito circa la sussistenza del requisito della equivalenza nel singolo caso concreto sottoposto;
5. a tal fine riteniamo che l’ente possa utilmente fare riferimento ai diversi e molteplici criteri ed orientamenti che, nel tempo, la giurisprudenza del lavoro è andata elaborando in materia di equivalenza delle mansioni, con specifico riferimento all’art.2103 del codice civile.
399-3G5. E’ possibile utilizzare un messo comunale per il ritiro e la consegna della corrispondenza ? Quand’è che le mansioni possono essere considerate equivalenti ai fini dell’applicazione dell’art. 3, comma 2 del CCNL del 31.3.1999 ?
Il ritiro e la consegna della corrispondenza sono mansioni ascrivibili alla
categoria “A”, come risulta inequivocabilmente dalla declaratoria della stessa categoria allegata al CCNL del 31.3.1999. Trattandosi di mansioni proprie della categoria inferiore, in nessun caso possono essere considerate equivalenti a quelle della categoria B.
Pertanto, è da escludere che codesto Comune possa legittimamente utilizzare un messo comunale per il ritiro e la consegna della corrispondenza, a meno che, ma questo non risulta dalla vostra e-mail, non si tratti di compiti accessori e strumentali necessari per lo svolgimento delle mansioni proprie del profilo professionale attribuito: si tratta di un’ipotesi non prevista espressamente dalla normativa vigente (v. art. 52 del D.Lgs. 165/2001) ma tuttavia ammessa a condizione che tali compiti accessori e strumentali siano strettamente connessi alla prestazione principale, siano parte integrante del bagaglio professionale del lavoratore, siano richiesti solo occasionalmente e la richiesta non sia pretestuosa.
Per completare il quadro, chiarito che un problema di equivalenza, come risulta anche dall’art. 3, comma 2 del CCNL del 31.31999, può porsi solo per le mansioni ascritte alla medesima categoria di inquadramento, si riportano gli orientamenti della copiosa giurisprudenza elaborata in materia dalla Corte di Cassazione.
In generale, la Corte ha affermato che l'attribuzione di mansioni equivalenti impone che queste siano omogenee, nel senso che il lavoratore possa svolgere le nuove con le stesse capacità ed attitudini professionali in precedenza esplicate (Cass. 28.3.1986 n. 2228).
L'equivalenza deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine di quelle nuove ad essere aderenti alla specifica competenza tecnico-professionale del dipendente, salvaguardandone il livello professionale, e tali da consentire l'utilizzazione del patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase del rapporto di lavoro (Cass., sez. lav., 23.11.1995 n. 12121; 10.8.1987 n. 6871).
Le mansioni equivalenti devono essere idonee a consentire l'utilizzazione, il perfezionamento e l'accrescimento del patrimonio professionale già acquisito e il datore di lavoro ha l'obbligo della tutela della professionalità del dipendente, intesa come patrimonio di esperienze e di nozioni da questi acquisito nel corso del rapporto (Cass., sez. lav., 9.6.1997 n.
5162; 22.4.1995 n. 4561; 13.11.1991 n. 12088; 17.3.1986 n. 1826).
A conti fatti, dunque, secondo la Cassazione, il principio dell’equivalenza tutela la professionalità del lavoratore, intesa come insieme di nozioni, esperienze, cognizioni ed abilità operative precedentemente acquisite, di cui deve essere salvaguardata la possibilità di ulteriore utilizzazione ed affinamento (Cass. 8-8-1987 n. 6852) ed assicura al lavoratore una tutela volta a impedirne la dequalificazione non solo sotto l'aspetto economico ma anche sotto l'aspetto morale (Cass. 10.10.1985 n. 4940). Ancora, il lavoratore può essere assegnato a mansioni diverse da quelle svolte, a condizione che vi sia equivalenza per quanto concerne il contenuto di professionalità e che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica preparazione tecnico professionale del dipendente (Cass.
3.11.1997 n. 10775, conforme a Cass. 8.2.1985 n. 1033).
399-3H. Altri problemi applicativi.
399-3H1. Esistono 'differenze' tra il personale dell'area di vigilanza classificato nella posizione economica D1 in relazione al diverso sistema di selezione utilizzato dall'ente (da un lato selezione interna per progressione verticale ai sensi dell'art. 4 del CCNL del 31.3.1999 e, dall’altro riclassificazione ai sensi dell'art. 29 del CCNL del 14.9.2000)?
Al riguardo possiamo affermare che la risposta è senza dubbio negativa, nel senso che non esistono differenze sostanziali per quanto attiene al contenuto delle competenze e delle mansioni e al connesso livello di responsabilità.
Per una corretta valutazione del problema bisogna, infatti, tener conto dei seguenti elementi di valutazione:
1. l'allegato A al CCNL del 31.3.1999 prevede una unica declaratoria di professionalità per ciascuna categoria e, quindi, anche per la categoria D;
2. nell'ambito di ogni categoria, compresa la categoria D, possono essere collocati diversi profili professionali che si distinguono soltanto per la diversa tipologia delle prestazioni che sono richieste;
3. l'art. 3, comma 2, del CCNL del 31.3.1999 afferma che "tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili";
4. dal citato "principio della equivalenza" delle mansioni nella stessa categoria deriva, naturalmente, anche il conseguente principio che, sempre nella stessa categoria, non esistono posizioni di gerarchia o di sovraordinazione di alcuni profili rispetto ad altri.
I criteri interpretativi sopra esposti hanno valore anche per i profili dell'area di vigilanza collocati nella categoria D, la cui valenza professionale non può in alcun modo essere influenzata dalle modalità selettive attraverso le quali i lavoratori interessati hanno conseguito tale classificazione, neanche se tali modalità si fossero realizzate attraverso un concorso pubblico.
Siamo quindi del parere che per l'area di vigilanza possa essere individuato, in posizione D1, un unico profilo che può assumere la denominazione di "specialista dell'area di vigilanza".
La unicità del profilo non significa appiattimento dei ruoli e delle competenze la cui diversificazione, anche in termini gerarchici, assume un particolare e inevitabile rilievo proprio per l'area di vigilanza.
Ma in questo caso non è il profilo che differenzia i ruoli dei diversi soggetti, profilo che resta sempre lo stesso, ma gli incarichi di direzione, di coordinamento e di responsabilità che possono essere conferiti ai singoli in relazione al vigente regolamento degli uffici e servizi.
Poniamo in evidenza, con estrema convinzione, che per una corretta
gestione del personale di tutte le aree professionali, occorre tener sempre ben distinti gli aspetti della classificazione (categorie, profili e mansioni) da tutti gli altri aspetti di valenza organizzativa che dipendono dai modelli ordinamentali adottati dai singoli enti.
In estrema sintesi possiamo anche affermare che il "profilo professionale" non deve essere mai confuso con un "incarico organizzativo"; il profilo non crea mai gerarchia rispetto ad altri profili della stessa categoria; la gerarchia o la sovraordinazione può derivare, invece, dalla tipologia dell'incarico conferito al singolo dipendente.
Giurisprudenza
Tribunale di Ravenna in funzione di Giudice del Lavoro; Sentenza del 9.4.2002: giudizio di equivalenza sulle mansioni del lavoratore - differenze tra l'art. 2103 del c.c. e l'art. 52 del D. Lgs. 165/2001 - necessità di riferirsi, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, al giudizio di equivalenza contenuto nel contratto collettivo - equivalenza di tutte le mansioni nell'ambito della stessa categoria, salvo i casi in cui siano richiesti specifici titoli od abilitazioni: sussistenza.
N.B. Si legga anche la nota 1 in calce alla sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Tribunale di Ravenna, in funzione di Giudice dei lavoro, xxxx Xxxxxxx Xxxxxxx, ha pronunciato la seguente
......................
SENTENZA
Conclusioni
All'udienza del 27.03.2002, i procuratori delle parti hanno così concluso:
- per la parte ricorrente: "Chiede che l'Xxx.xx Giudice adito Voglia accertare che le mansioni attualmente svolte dalla sig.ra ......... nel settore Segreteria Affari Generali sono non equivalenti ed inferiori a quelle della stessa precedentemente svolte presso il Settore Lavori Pubblici e Manutenzione (già Settore Tecnico); - dichiarare l'illegittimità e/o l'inefficacia della deliberazione
n.78 della Giunta del Comune dì ......... resa in data 27.04.2000 e
conseguentemente - ordinare al Comune di .........., di reinserire la sig.ra
............ nel posto di lavoro precedentemente svolto presso il Settore Lavori Pubblici e Manutenzione, con le identiche mansioni già svolte e con il medesimo profilo ricoperto; - condannare il Comune di ......... al pagamento in favore della sig.ra .......... di qualsivoglia salario accessorio, indennità, introito o incentivo dalla stessa non percepito a causa dell'assegnazione presso il Settore Segreteria Affari Generali, nella misura che risulterà ad istruttoria espletata; condannare altresì il Comune di ........... al risarcimento dei danni tutti subiti dalla síg.ra ......... in conseguenza della suddetta assegnazione, da quantificarsi secondo equità. Con vittoria di spese, competenze ed onorari".
- per la parte convenuta: "Voglia l'Xxx.xx Tribunale, respinta ogni contraria istanza, azione o eccezione - in via preliminare, in base all'art-65 del T.U. sul pubblico impiego approvato con D. Lgs n.165 del 30 marzo 2001, rilevare che non è stato promosso il tentativo di conciliazione e sospendere il giudizio, fissando alle parti termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione; .... ancora in xxx xxxxxxxxxxx, xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxx ricorso proposto dalla sig.ra ......... per indeterminatezza dei petitum e della causa pretendi e quindi per violazione dell'art.414 nn. 3 e 4 c.p.c.: - nel merito, respingere le domande tutte della sig.ra ......... perché infondate in fatto e in diritto. Con vittoria di spese, competenze e Xxxxxxx".
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Motivi della decisione
1. Le eccezioni preliminari sollevate dal Comune convenuto non sono fondate:
- quella di improcedibilità è infondata perché l'istanza svolta in sede di tentativo di conciliazione contiene l'esposizione esaustiva, persino sovrabbondante, di tutte le circostanze relative ai fatti principali, ed, in nuce, l'allegazione di tutte le pretese che gli stessi fatti erano in grado di generare e che sono state poi sviluppate nelle conclusioni formalmente rassegnate in ricorso;
- quella di nullità per indeterminatezza del ricorso è parimenti infondata
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2 - Il ricorso è, invece infondato nel merito sia in fatto, sia in diritto.
In fatto, perché le mansioni svolte attualmente dalla ricorrente non sono professionalmente inferiori ovvero non equivalenti a quelle svolte in precedenza ( con riferimento al giusto criterio da assumere nel giudizio dì valenza tra i due terrnini del raffronto).
In diritto, perché è errata la prospettiva giuridica assunta dalla ricorrente a fondamento della propria pretesa.
2.a Stando alle prove acquisite nella causa risulta che la ricorrente dal 16.08.1979 al 30.11.1990 lavorava all'ufficio tecnico con profilo di applicato dattilografo; quindi dall'01.12.1990 al 3.1.05.1999 con profilo di istruttore