ANNO ACCADEMICO 2015/2016
Dipartimento di ECONOMIA E DIREZIONE DELLE IMPRESE
Cattedra di: DIRITTO DEL LAVORO E RELAZIONI INDUSTRIALI
I CONTRATTI DI LAVORO NELLE START UP
RELATORE: Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx CANDIDATO: Xxxxxxxxx Xxxxxx
CORRELATORE: Xxxx. Xxxxx Xxxxxxx MATRICOLA: 667821
ANNO ACCADEMICO 2015/2016
I CONTRATTI DI LAVORO NELLE START UP
ABSTRACT
CAPITOLO 1 – LE START UP: IDEE E MODELLI
1.1 Premessa
1.2 Definizione, caratteristiche di una start up
1.3 Tipologie di start up: analisi del contesto nazionale
1.4 Aspetti organizzativi e finanziari delle start up innovative
1.5 Riflessioni conclusive
CAPITOLO 2 – LE POLITICHE EUROPEE PER L’INNOVAZIONE E LA COMPETITIVITÀ
2.1 Premessa
2.2 Le politiche per l’innovazione e per le start un in un quadro europeo
2.3 Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020
2.4 Il nuovo programma di ricerca e innovazione – Horizon 2020
2.5 Conclusioni: fattori di competitività ed innovazione
CAPITOLO 3 – LE AGEVOLAZIONI RELATIVE A CONTRATTI DI LAVORO ED ASSUNZIONI
3.1. Premessa
3.2. Il contratto di lavoro a tempo determinato. Cenni.
3.3. Le agevolazioni per le start up nei contratti a tempo determinato
3.4. Remunerazione variabile dei dipendenti e attraverso strumenti di partecipazione al capitale
CAPITOLO 4 –PHD e start up
4. I dottorati di ricerca: analisi comparata
4.2 Il dottorato di ricerca e le start up
4.3 Start-up innovative e Jobs Act
BIBLIOGRAFIA
ABSTRACT
Come noto, Il nostro Paese mostra specificità che non si riscontrano in altri modelli capitalistici. Sul territorio della penisola è ampiamente diffusa l'attività imprenditoriale, con più di tre milioni di aziende iscritte nel Registro delle Imprese, cifra che sale a oltre otto milioni di titolari di attività se si considerano anche le partite iva dei professionisti e degli autonomi. La proprietà e la gestione della maggior parte delle imprese è incentrata sul titolare e su pochi collaboratori, spesso gli stessi familiari. Nonostante la persistenza di un forte tasso di “mortalità”, sono ancora più numerose le imprese che nascono rispetto a quelle che chiudono i battenti: una tendenza costante da anni che la crisi del biennio 2008-2009 ha, come ben si può immaginare, rallentato.
Tuttavia, negli ultimi anni, vi sono segnali positivi di ripresa che dimostrano come tanti connazionali abbiano ancora voglia di scommettere su sè stessi per realizzare quel benessere che è stato minacciato dalla crisi economica Tra i dati aggregati i ricercatori vanno a caccia di tendenze e interpretazioni ed è così che si scopre come i nuovi imprenditori siano costituiti per circa il 42% da giovani, i quali si collocano nella fascia di età compresa fra i 30 e i 40 anni. Il 55% dei fondatori d’impresa ha fatto ricorso ai mezzi propri per avviare l'attività, senza dunque fare affidamento a banche o a soci esterni. Inoltre, sulle 72.000 nuove imprese, oltre 50.000 sono rappresentate da società di capitale, società di persone, società cooperative e consorzi.1
In questo quadro si è acquisita sempre maggiore consapevolezza sull’importanza dell’innovazione e della ricerca per la creazione di un ambiente particolarmente attrattivo per l’imprenditoria e che permetta uno sviluppo non soltanto tecnologico, ma anche in termini di ripresa economica, occupazione e benessere.
E, pertanto, non stupisce che gli attori e le istituzioni, consci dell’importanza del fattore innovazione, si siano adoperati al fine di creare le condizioni più favorevoli per attrarre, trattenere e motivare i nuovi imprenditori sul proprio territorio, a vantaggio della realtà economica e sociale di quest’ultimo.
Una testimonianza di questa realtà è data dalla crescente attenzione e dalle innegabili agevolazioni che il legislatore ha riservato, negli ultimi anni, alle start-up innovative, ossia alle nuove forme di imprenditorialità, le cui attività, basandosi sulla conoscenza e sulla capacità innovativa, necessitano, nella maggior parte dei casi, di personale e di forza lavoro particolarmente qualificato.
In questa prospettiva, la presente trattazione intende concentrarsi sulle agevolazioni relative ai contratti lavoro e alle assunzioni nelle start up, che, si concretizzano: a) nelle agevolazioni nell’utilizzo dei contratti a
1 Fonte GILA, P., 100 idee x 100 start up, storie esemplari di imprenditori che innovano per vincere la crisi, Gruppo 24 ore, Xxxxxx 0000.
tempo indeterminato; b) nella facoltà di remunerazione variabile; c) nella remunerazione attraverso strumenti di partecipazione al capitale; d) nell’accesso prioritario al credito di imposta per l’assunzione di personale altamente qualitificato.
CAPITOLO 1 – START UP: IDEE E MODELLI
1.1. Premessa
La crisi economica del 2009 e la successiva fase recessiva, da un lato, hanno colpito profondamente l’economia internazionale e, più in particolare, quella del nostro Paese, dall’altro, hanno messo in luce l’importanza di favorire l’avvio di nuove imprese in settori a più alto contenuto di conoscenza.
Tali imprese possono, infatti, contribuire a diversificare il sistema produttivo e a fornire maggiore contenuto di innovazione alle attività esistenti.2
Ciò comporta lo sviluppo di nuovi modelli di attivazione imprenditoriale rispetto a quelli prevalenti nel passato, perlopiù incentrate sulle iniziative promosse da giovani con scarsa esperienza lavorativa ma con elevati livelli di istruzione ed un più stretto collegamento con le attività di ricerca.3
Del resto, è noto che la conoscenza e l’innovazione sono fattori di produttività e quindi di crescita economica di lungo periodo.4
Il presente elaborato, concentrandosi in particolare sugli aspetti relativi al mercato del lavoro, vuole dimostrare come, grazie alle conoscenze e all’innovazione, sia a livello aziendale che di sistema economico, crescono la produttività e la competitività, favorendo così maggiori consumi e investimenti e innestando un virtuoso percorso di sviluppo, sia economico che sociale che ancora ambientale.
A tal fine, si deve imprescindibilmente partire dall’analisi delle start up innovative, dato che da alcuni anni in Italia si stanno affermando, in ritardo rispetto ad altre nazioni, come modello specifico di avventura imprenditoriale.
1.2. Definizione e caratteristiche di una start up innovativa
Secondo la definizione normativa, si considerano start up le “società che hanno quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico” (art. 25 co. 2 lett. 1) DL 179/2012 conv. in L. 221/2012).
La disciplina delle start up innovative è contenuta negli arti. 25 - 31 del DL 179/2012 ed è stata in seguito modificata nel senso di un ampliamento della nozione di start up per consentire a un maggior numero di società di poter accedere ai relativi benefici (DL 761/2013, conv. in L. 99/2013)5. Sono, inoltre, stati fissati
2 Sul tema si veda IACOBUCCI D., Nuovi modelli imprenditoriali, tendenze e politiche di sostegno, in Prisma Economia Società Lavoro, anno V, n. 2, 2014.
3 Il principale problema cui si trovano di fronte tali iniziative è costituito dal reperimento di adeguate risorse finanziarie. Dato il maggiore contenuto immateriale delle nuove attività d’impresa e gli elevati rischi, le risorse finanziare non possono essere fornite dalle banche ma devono essere acquisite come capitale di rischio. Si veda il capitolo 3 del presente elaborato.
4 Per un’attenta analisi sul tema si veda CHAHINIAN R., L’imprenditorialità nella conoscenza e nell’innovazione, in L’industria, XXXIV, n.1, gennaio-marzo 2013, pp. 93 e ss.
5 Inoltre la Legge 24 marzo 2015, n. 33, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n.
criteri e modalità semplificati di accesso all'intervento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (Min. Sviluppo Economico DM 26.4.2013).
Tale impianto normativo mira a creare condizioni e strumenti favorevoli per la nascita e lo sviluppo di tali società. Coerentemente, il quadro riferimento nazionale individua disposizioni di natura programmatica che indicano nella crescita sostenibile, nello sviluppo tecnologico, nella nuova imprenditorialità e nell'occupazione gli obiettivi fondamentali da perseguire, al fine ultimo di contribuire allo sviluppo di nuova cultura imprenditoriale, di creare un contesto maggiormente favorevole all'innovazione, di promuovere maggiore mobilità sociale e di attrarre in Italia talenti, imprese innovative e capitali dall'estero (Agenzia delle Entrate circ. n. 16/E dell'11.6.2014; Assonime circ. 6.52013 n. 11).
Nonostante svolgano un ruolo essenziale per il rilancio del nostro sistema economico produttivo nello scenario mondiale, le start up innovative sono soggette a determinati termini e condizioni e, in particolare, in ordine a forma sociale e durata della disciplina di favore.6
In linea generale, le start up innovative possono assumere la forma di società di capitali - anche cooperative - di diritto italiano o di Societas Europea residente in Italia (ex art. 73 DPR 917/86), purché le azioni o quote rappresentative del capitale sociale non siano quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione (ad. 25 co. 2 del DL 179/2012).7
In particolare, le forme giuridiche ammissibili sono: la società per azioni (s.p.a), società in accomandita per azioni (s.a.p.a.), società a responsabilità limitata (s.r.l.), comprese quelle semplificate e quelle a capitale ridotto, società cooperativa e, infine, la società europea (s.e.). L'iter costitutivo, quindi, seguirà le regole ordinarie previste per il particolare tipo di società8, a cui devono aggiungersi i particolari adempimenti che il legislatore prevede ai fini della qualificazione dell'impresa. 9
1.3. Tipologie di start up: analisi del contesto nazionale
Considerando questo nuovo modo di fare impresa nell'ambito dello scenario economico odierno, è possibile individuare almeno sei tipologie differenti di startup10, a seconda dei settori merceologici di competenza e della mission, e per ciascuna di esse ci sono caratteristiche peculiari di cui tener conto.11
3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti" (c.d. decreto "Investment compact") modificato la disciplina delle start up. Si veda par. 1.3
6 Si veda nello specifico il par. 1.4. per quanto riguarda gli aspetti organizzativi
7 Si intende per Societas Europea ogni società costituita ai sensi del Regolamento (CE) n. 2157/2001, nonché la Società Cooperativa Europea, disciplinata dal Regolamento (CE) 1435/2003. E’ escluso che possano rientrare nella tipologia delle start up innovative le società tra professionisti, considerato che, pur in mancanza di un esplicito divieto in tal senso, appare difficile ipotizzare che nello sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad atto valore tecnologico, che, come si è detto, deve costituire l'oggetto sociale esclusivo o prevalente di tali società, possa esser ricondotto l'esercizio in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci, caratteristico di tale tipo sociale (Consiglio Nazionale del Notariato studio n. 224/2014-I del 20.3.2014).
8 La legge 33/2015 all’art. 4, comma 10-bis introduce inoltre la possibilità di costituire la start-up innovativa con firma digitale senza coinvolgere il notaio. L’atto costitutivo e le successive modifiche societarie potranno continuare ad essere redatti per atto pubblico, ma anche per atto sottoscritto con firma digitale.
9 Per la disamina delle principali caratteristiche(organizzative) delle forme societarie previste dal nostro ordinamento, con evidenza delle novità introdotte dalla legge 221/2012 e dalle successive modifiche normative si rimanda al par 1.4
10 La classificazione delle start up è stata effettuata da Xxxxx Xxxxx in un articolo comparso su “The Accelerators”, il blog sulle
In linea generale vi sono quelle relative al lifestyle, di piccole dimensioni, acquisibile, sociale e all’interno di una grande azienda.
Gli imprenditori lifestyle sono come dei surfisti californiani, che danno lezioni di surf per pagare le bollette in modo da poter stare il maggior tempo possibile a contatto con la propria passione: l’acqua. Queste persone vivono la vita che amano, non lavorano per nessuno, ma per sé stessi per perseguire la loro passione personale.
Per queste ragioni, deve ritenersi che il carattere innovativo della loro iniziativa, generalmente, prescinde dalla ricerca scientifica e non necessiti di applicazioni o test sperimentali che ne conclamino la validità. Piuttosto sarebbe da ricercare nella scelta convinta di un'idea creativa e nella determinazione con cui questi startupper la mettono in pratica seppur con l'intento di emanciparsi economicamente.12
La seconda categoria, molto diffusa in Italia, si può riscontrare nella piccola impresa familiare. In queste l’imprenditore è colui che gestisce direttamente l’attività. Si tratta di persone che investono il proprio capitale nel business (o quello preso in prestito da familiari e amici, o dalle banche), assumendo spesso familiari o persone del luogo come dipendenti. Spesso queste attività sono a malapena redditizie, ma nella maggior parte dei casi questi imprenditori lavorano con passione e dedizione creando nuovi posti di lavoro quantomeno a livello locale. Un esempio particolarmente riuscito di start up familiare è rappresentato da “Il marito in affitto”, start up nata tra padre e figlio e diventata un caso di successo in Europa e che ha origine dalla necessità di mettere in contatto chi cerca e chi offre lavoro sul terreno dei lavoretti manuali.13
Nelle startup che mirano ad essere acquisite lo scopo finale non è quello di guadagnarsi da vivere, bensì quello di costruire un’azienda che verrà quotata in Borsa o acquisita con profitti di svariati milioni. Per funzionare efficientemente, le scalabili necessitano di venture capitalist; esempi di queste startup sono Google, Twitter, Skype e Facebook.
Le startup acquisibili (prevalentemente) sono quelle dei settori IT e informatico; esse cercano dei finanziatori come business angels14 o crowdfunding.,15
startup del Wall Street Journal, il 24 giugno 2015 e disponibile su: xxxx://xxxxx.xxx.xxx/xxxxxxxxxxxx/0000/00/00/xxxxx-xxxxx-xxx-0- types-of-startups-2/
11Si veda, xxxx://xxxxxxxxxxxxx.xxxx000.xxxxxx00xxx.xxx/0000/00/00/xxxxxxx-xxxxxx-xxxxx-xx-xx-xxxxx-xxxxx-xxxxxxx-xxxxxxxx-0
12 Un esempio di lifestile startup è “Pinktrotters”, ossia un social network di donne che da tutto il mondo si ritrovano per viaggiare in posti glamour insieme. Per informazioni si consulti il sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/
13 La storia è la seguente: Xxxx Xxxxx Xxxxxxx, 64 anni di Monza, dopo decenni di lavoro come agente di commercio per grosse aziende alimentari decide di dar sfogo alla passione che ha sempre avuto per i lavori manuali, avviando con suo fratello una carrozzeria. Nel 2007 con la crisi è costretto a chiudere l’attività, ritrovandosi con il figlio Xxxxx (allora 28 enne) e senza lavoro. Da questa situazione critica è nata l’idea de “Il marito in affitto”, sfruttando finalmente l’attitudine e la passione di entrambi per il fai-da-te. Il franchising oggi registra settanta licenziatari, si sviluppa su tutto il territorio italiano e all’estero, 150 collaboratori in Italia, presenti all’estero con 16 marchi: tra i Paesi si segnalano Cina, Canada e Australia. Si veda, xxxx://xxxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/0- consigli-sul-futuro-del-lavoro-dalle-6-startup-finaliste-al-next-di-napoli/.
14 Un investitore informale (in lingua inglese “angel investor” o “business angel”) è un soggetto che si assume i rischi di investimento. Per maggiori imformazioni si veda il sito on line: xxxx://xxx.xxxx.xx, dell’associazione italiana degli investitori informali in rete.
15 Il crowdfunding (dall'inglese crowd, folla e funding, finanziamento) o finanziamento collettivo in italiano, è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di(altre) persone e organizzazioni. È una pratica di micro finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse. La definizione è tratta da XXXXXXXX
Gli esempi di questo tipo di start up sono molteplici; basti pensare a Satispay, applicazione che consente di scambiare denaro con altri utenti e pagare dallo smartphone, a MoneyFarm per la scelta e la gestione degli investimenti, a Jusp che ha sviluppato un sistema per trasformare lo smartphone in un Pos (Point of sales), a GreenAddress per la gestione del portafoglio Bitcoin, o ancora alle piattaforme di Equity Crowdfunding autorizzate da Consob tra cui Symbid Italia.16
Tuttavia, il rischio, in questo caso, è di svendere la propria azienda sottostimandola.
Vi sono poi le startup a vocazione sociale che hanno l’obiettivo di rendere il mondo un posto migliore, senza alcun interesse, quantomeno primario, nel prendere quote di mercato o creare ricchezza per i fondatori. Queste startup possono essere senza scopo di lucro, a scopo di lucro o ibride. La vocazione sociale che caratterizza queste start up non è un aspetto secondario bensì è un elemento fondamentale della loro natura.17 Tipicamente esse si pongono come obiettivo generale quello di rispondere a un bisogno della società e non solo a un bisogno del mercato. Per questo motivo, i loro modelli di business sono spesso poco attraenti per i finanziatori e presentano un tasso di ritorno sull’investimento più basso. Le start up innovative a vocazione sociale pertanto, hanno meno possibilità di nascere e svilupparsi rispetto alle altre imprese. Proprio per questo, il legislatore ha cercato di rimuovere questi ostacoli, prevedendo specifiche norme regolative volte a rendere più attrattivo l’investimento in tale tipologia (per esempio l’incentivo di natura fiscale previsti per le startup innovative che si formalizza, in generale, in una detrazione IRPEF del 19% o una deduzione IRES del 20% calcolata sulle somme investite, nel caso di startup a vocazione sociale, sale al 25%).18
Un ultimo tipo di start up è quello che sboccia all’interno di una grande azienda: esse nascono dalla constatazione che il ciclo di vita dell’ “azienda-madre”, per così dire, è finito, e che dunque essa per sopravvivere nel nuovo contesto economico, deve puntare ad un approccio innovativo: la start up.
Secondo l’analisi condotta dalla fondazione americana “Mind the Bridge”19,nell’ambito della classificazione del fenomeno in Italia, tre sono le diverse forme d’imprenditorialità innovativa, anche se la “start-up scalabile”20 sarebbe l’unico profilo21 in grado di raggiungere successo in poco tempo in quanto, accanto ad
A. - XXXXXXXXXXX X., Personal Fundraising e Crowdfunding: Nuove prospettive per il fundraising online, Egea Milano, p. 43.
16 Le informazioni sono tratte da xxxxx://xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxxx-x-xxxxx-xxxxxxxx-xxxxx-xx-xxxxxxx/.
17 Ne è, tra gli altri, un esempio, Pedius, la startup che ha sviluppato un sistema innovativo di comunicazione che consente ai non udenti di effettuare normali telefonate, utilizzando tecnologie di riconoscimento e sintesi vocale. Il sito on line di Pedius è xxxx://xxx.xxxxxx.xxx/xx/xxx/xxxxxxx/
18 Per quanto riguarda le già nominate “start up a vocazione sociale”, basti dire che si tratta di start up innovative che, oltre a rispettare tutti i requisiti che abbiamo descritto in precedenza, si caratterizzano anche per svolgere la propria attività in via esclusiva in settori di utilità sociale. I settori in questione sono quelli indicati all'articolo 2, comma I, del decreto legislativo 14 marzo 2006. n. 155.
19 Si tratta di un acceleratore e fondo di investimento (con sede in California), per ulteriori informazioni si veda il sito on-line, xxxx://xxxx.xxxxxxxxxxxx.xx/x-xxx-xxxx-xx-xxxxxxx-xx-xxxxxx-x-xxxxxxx/.
20 Con riferimento al contesto italiano, ritengo che non ci sia una netta distinzione tra le start-up scalabili e le acquisibili, in quanto le prime spesso vengono costituite con l'intento principale di essere alienate(e/o controllate) nel medio periodo in favore di multinazionali.
21 Gli altri 2 profili sarebbero: a) le start-up di prima generazione, se i fondatori, muniti di un bagaglio conoscitivo prevalentemente tecnico, si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro; b) Le start-up nate dalla crisi, se gli startupper sono ex-lavoratori dipendenti licenziati che, spinti dal desiderio di rimettersi in gioco, si trasformano in imprenditori normalmente
un solido background manageriale, costituito da esperienze, conoscenze e competenze nei specifici ambiti che importano l’attività prescelta, i founders offrono un’idea di business originale, concretamente proiettata nel breve-medio periodo.
Tuttavia, da un punto di vista dimensionale, il fenomeno italiano delle start up, essendo una novità rispetto ai più sviluppati ecosistemi imprenditoriali d'oltreoceano (e non solo), non può essere analizzato limitando il concetto di successo al solo profilo legato alle future possibili acquisizioni, ma occorre considerare tutte quelle forme imprenditoriali che hanno raggiunto tale attribuzione, cioè l’incidenza, in aumento, delle start up sul sistema societario nazionale.
Secondo i dati emersi dal rapporto sulle start up innovative relative al terzo trimestre del 2015 e divulgati da Infocamere22, a fine settembre 2015 il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese, ai sensi del decreto legge 179/2012, è pari a 4.704, in aumento di 456 unità rispetto alla fine di giugno (+10,8%).
Le startup rappresentano lo 0,31% del milione e mezzo di società di capitali italiane (in crescita dello 0,03% rispetto ai dati del 2014 a causa di una flessione del numero di società di capitali), e, in media ogni startup presenta 4,1 soci, la metà ne presenta un massimo di 3; si tratta di valori superiori a quelli del complesso delle società di capitali, tenendo altresì presente che è ipotizzabile che i soci siano coinvolti direttamente nell’attività d’impresa .23
I dati sopra esposti, pertanto, potrebbero dimostrare che tale nuovo fenomeno socio-economico stia favorendo la cooperazione e l’affiliazione, non soltanto il desiderio diffuso di raggiungere l’autonomia e l’indipendenza economica.
Il capitale sociale delle startup è pari complessivamente a quasi 236 milioni di euro, che corrisponde in media a poco più di 50 mila euro a impresa (il capitale medio è rimasto stabile rispetto al trimestre precedente).
Sotto il profilo settoriale, il rapporto ha stimato che il 72,3% delle startup innovative fornisce servizi alle imprese (in particolare, prevalgono le seguenti specializzazioni: produzione software e consulenza informatica, 29,8%; attività di R&S, 15,4%; attività dei servizi d’informazione, 8,2%), il 18,8% opera nei settori dell’industria in senso stretto (su tutti: fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 3,9%; fabbricazione di macchinari, 3,4%; fabbricazione di apparecchiature elettriche, 2,2%); il 4,2% delle startup opera nel commercio e solo lo 0,09% nel settore agricolo.
Tabella 1.: Numero, dimensione start up e societa’ di capitali.
2° trim 2015 | 3° trim 2015 | Variazioni % 2° |
dopo accurate ricerche e nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie.
22 I dati sono rinvenibili su: xxxx://xxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/0_xxxxxxxxx_0000.xxx , divulgati il 7 Ottobre 2015.
23 X. x. 00
trim 2015 / 3° trim 2015 | |||
N. startup | 4.248 | 4.704 | 10,73 |
N. societa' di capitale | 1.515.626 | 1.528.539 | 0,85 |
Capitale sociale totale dichiarato dalle startup | 212.494.749 € | 235.867.445 € | 11,00 |
Capitale sociale totale dichiarato dalle societa' | 3.360.675.544. 631 € | 3.350.103.713.678 € | - 0,31 |
% startup sul totale societa' di capitale | 0,28 | 0,31 | n.d. |
Fonte: xxxx://xxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/0_xxxxxxxxx_0000.xxx
Se prendiamo in considerazione il numero degli impiegati avremmo questa situazione riferita al terzo trimestre 2015: si hanno 1.710 startup con dipendenti. Esse impiegano complessivamente 4.091 persone, in media 2,9 dipendenti per ogni xxxxxxx00, mentre almeno la metà delle startup con dipendenti impiega un solo dipendente.
1.4. Aspetti organizzativi delle start up innovative
Il Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. Decreto Crescita 2.0) ha l'obiettivo di rendere finalmente l'Italia un paese attrattivo e ospitale per la creazione e lo sviluppo di imprese innovative, attraverso l'introduzione di una disciplina di favore che interviene su più fronti.
24 Nel primo trimestre dello stesso anno erano impiegati in media 2,63 dipendenti per ogni impresa, startup. Si veda xxxx://xxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/0_xxxxxxxxx_0000.xxx
In particolare sono previste semplificazioni e agevolazioni volte a incoraggiare:
• la raccolta di capitale;
• l'assunzione di risorse umane qualificate, con notevole grado di flessibilità;
• la fidelizzazione delle risorse umane e del management;
• l'accesso a servizi qualificati;
• la riduzione dei rischi connessi all'attività d'impresa (primo fra tutti, nel breve periodo, le semplificazioni per l'accesso al credito).25
Questa disciplina, in linea generale, è finalizzata a favorire la fondazione di start up innovative e si estende per cinque anni dalla data di costituzione26; decorso tale termine, cessa l'applicazione della disciplina in parola, ferma restando l'efficacia dei contratti a tempo determinato fino alla scadenza del relativo termine (art. 31 co. 4 DL 179/2012).
Per essere qualificate come start up innovative e godere del relativo regime di agevolazione, si devono possedere alcuni requisiti sostanziali:
1. generali, di ordine strutturale ed organizzativo, in relazione alla costituzione ed alla vita dell'ente societario;
2. specifici ed alternativi, in ordine al carattere innovativo ed alla finalità di sviluppo tecnologico.
Tra i requisiti strutturali ricordiamo che le start up innovative devono possedere cumulativamente i seguenti requisiti:
• la costituzione e lo svolgimento dell'attività d'impresa da non più di 60 mesi27;
• la fissazione della sede principale dei propri affari e interessi in Italia, ma si considerano start up innovative anche le società non residenti in possesso dei medesimi requisiti, ove compatibili, a condizione che le stesse siano residenti in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo ed esercitino nel territorio dello Stato un'attività d'impresa mediante una stabile organizzazione (art. 1 co. 2 DM 30.1.2014);
• come già in precedenza accennato, la fissazione dell'oggetto sociale esclusivo o prevalente nello sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
• il mancato superamento, a partire dal secondo anno di attività, dell'importo di 5 milioni di euro quale totale del valore della produzione annua, come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio;
25 L’importanza di detti fattori verrà diffusamente trattata nei capitoli che seguono.
26 In precedenza, il periodo di esenzione previsto era di 4 anni. L’art. 4, comma 11-ter, lettera b) del Decreto Investment Compact, intervenendo sul comma 8 dell’art. 26 del DL 179/2012, estende da 4 a 5 anni il periodo massimo di esonero dal pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria dovuti per gli adempimenti relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese, nonché dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle camere di commercio.
27 In precedenza, prima dell’introduzione della Legge 33/2015 il periodo rilevante era di 48 mesi. Per tutte le modifiche introdotte dalla riforma de qua si veda, PAGAMICI B., Start up innovative, oneri di avvio: esenzione per 5 anni, in Ipsoa Quotidiano, Aprile 2015.
• la mancata distribuzione (dalla costituzione fino al termine del regime di favore) degli utili. Da qui il divieto posto dal legislatore di distribuire dividendi. L'idea del legislatore è che gli utili debbano essere utilizzati per patrimonializzare l'azienda o per effettuare investimenti in ricerca e sviluppo, favorendo così la crescita della start up. Non si tratta di un divieto assoluto, ma di una limitazione operante fintanto che l'impresa mantiene la qualifica di start up innovativa. La possibilità che in futuro vengano distribuiti utili rappresenta una condizione fondamentale per attrarre investitori. Per questo motivo il divieto deve considerarsi limitato al periodo di 60 mesi, o al minor periodo nel caso di perdita anticipata dei requisiti, in cui l'impresa è considerata start up innovativa;28
• la costituzione della società non deve derivare da fusione, scissione societaria o a seguito di cessione dl azienda o di ramo d’azienda. Il riferimento alle operazioni di fusione, scissione societaria, cessione di azienda o di ramo di azienda, deve essere inteso in generale, come divieto di costituzione di imprese agevolabili per effetto di un'operazione di ri-organizzazione aziendale, ivi inclusi il conferimento d'azienda o di ramo d'azienda (Agenzia delle Entrate dm. 161E12014).
Si noti inoltre che soci della start up innovativa possono essere sia le persone fisiche che le persone giuridiche. La normativa, tuttavia, richiede che, per i primi due anni di attività, i soci persone fisiche abbiano un ruolo centrale. È previsto, infatti, che tali soci detengano al momento della costituzione, e per i successivi ventiquattro mesi, la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria dei soci. Tale criterio è volto a favorire esclusivamente le start up che si potrebbero definire genuine, quelle che come mostrano i numerosi casi di successo (Facebook, Google, Twitter etc.) nascono dalla passione di individui che si lanciano in avventure imprenditoriali (a volte visionarie), di cui desiderano mantenere il controllo, almeno nella fase iniziale dello sviluppo.
Fondamentale, infine, nell'ambito della seconda categoria di previsioni alternative, è il possesso del requisito dell'innovatività, non attribuibile a qualsiasi impresa neo-costituita. Il riconoscimento del carattere di “impresa innovativa” viene fatto discendere dal legislatore dalla sussistenza di almeno uno dei seguenti requisiti:
28Si veda, DI XXXXX X., Creare una start up innovativa. Tutto quello che bisogna sapere per diventare un imprenditore di successo, Xxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx 0000.
29
Tabella 1.2. Fonte: V. nota 15.
1.5 Riflessioni conclusive
Da quanto sin qui sommariamente emerso e, come si vedrà più approfonditamente nel prosieguo, i fattori di successo per lo sviluppo di una start up possono così essere riassunti:
1) le competenze interne ed, in particolare, le caratteristiche dell’imprenditore(prime fra tutte, a mio avviso, curiosità e fantasia/creatività)
2) le competenze interne ed, in particolare, le risorse destinate alle attività di R&S;
3) le competenze esterne ed, in particolare, la rilevanza del capitale relazionale (venture capital, incubatori, accordi strategici, etc.);
4) la localizzazione dell’impresa.30
Ognuno di questi fattori, sui quali si concentreranno seppur parzialmente(in senso lato) i successivi capitoli, riveste un’importanza non trascurabile poiché le decisioni relative alla localizzazione, alla configurazione delle strutture di approvvigionamento e di R&S, come tutte le questioni riguardanti l'organizzazione e le relazioni con l’esterno31, essendo spesso irreversibili32, sono in grado di determinare il successo o meno di una start up innovativa.
29 Si veda, DI XXXXX X. - XXXXXXX, G., Guida alle Start up innovative, IPSOA, 27 feb 2013, 9. E’ bene precisare che la percentuale indicata in merito alle spese di R&S da sostenere, a seguito della novità introdotte dalla Legge 33/2015 è del 15%.
30 In tal senso, interessante è lo studio condotto da XXXXXXXXXXXX M. – XXXXXXX J., Identifying competitors: challanges for start-up firms, in International Journal of Management Cases, Vol. 15, n. 4, pp. 234-246, 2013.
31 Più precisamente, secondo la teoria organizzativa di Xxxxxxxx, “la scelta dei meccanismi operativi a supporto delle attività che le organizzazioni realizzano, dipende strettamente dal fenomeno delle interdipendenze”, inteso come l'insieme degli scambi, condivisioni di risorse e/o informazioni, frutto dell'interazione reciproca fra i vari stakeholders.
32 Tendenzialmente rigide, ad. es. la presenza necessaria di un responsabile tecnico per il corretto funzionamento delle immobilizzazioni materiali di nuova generazione installate in azienda.
D'altronde, anche Xxxxxxxx Xx Xxxxxx, xxsponsabile editoriale della rivista “Corriere Innovazione”33, in occasione della presentazione del quarto numero nazionale(di “corriere innovazione”) del 2014 alla Leopolda di Firenze, era dello stesso avviso. Nel corso dell'intervista34, infatti, riferendosi all'innovazione quale “terreno critico su cui si gioca il futuro del paese”, sostiene che, per ottenere le migliori performance imprenditoriali in chiave innovativa (e combattere il fenomeno della precarietà giovanile), occorre “incrociare la creatività con l'organizzazione”35.
Quest'ultima, ad avviso di chi scrive, per raggiungere elevati livelli di performance aziendali così durature da poterne decretare il successo, dovrebbe essere intesa, non già soltanto come il risultato di una serie di azioni coordinate che gli stakholders compiono con l’intento di raggiungere esclusivamente i propri obiettivi36, ma pure come il frutto “di un insieme di relazioni personali e proiettate nel lungo periodo, in una parola di “dono”.... da parte dei lavoratori... riscontrabile maggiormente nelle organizzazioni snelle, di piccole dimensioni”.37
Ciò in quanto la collaborazione ed il coinvolgimento, che derivano da tali forme relazionali, stimolano positivamente l’andamento degli obiettivi di crescita, proiettando la start-up innovativa verso un modello organizzativo flessibile e dinamico in termini di creatività ed, appunto, di innovazione.
33 Rivista a cura cura del giornale “corriere della sera”, composto dagli omonimi magazine e sito in lingua inglese oltre che italiana
34Fonte:"xxxx://xxxxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxx-xxxxxxxx-xxxxxxxxxxx/xx0000x0-0x00-00x0-xxxx 423021bc1236"
35 Con tale espressione, il responsabile editoriale intende, nello specifico, l'efficiente collegamento fra il “motore necessario per ogni sorta d'innovazione” e “la capacità di evidenziare le diversità delle proprie fantasie creative”.
36 Cioè dando vita a quelli che X. Xxxxxxx xxxeralmente intende “scambi di mercato”, impersonali ed istantanei, ma ad ogni modo necessari per il corretto funzionamento dell'azienda
37 Si veda, BRUNI L., XXLDXXXX X., Il dono. Le sue ambivalenze e i suoi paradossi par. “il Comportamento di donazione, Di Xxxxxxxx, 0014, pagg. 236-242.
CAPITOLO 2. LE POLITICHE EUROPEE PER L’INNOVAZIONE E LA COMPETITIVITÀ
2.1. Premessa
Come si è potuto apprendere dall’analisi della normativa delle start-up effettuata nel primo capitolo della presente trattazione, l’innovazione ha un ruolo sempre più importante nella nostra economia, sia perché rappresenta un indiscutibile vantaggio per i cittadini, consumatori o lavoratori che siano, sia perchè migliora la progettazione, lo sviluppo, la produzione e l’utilizzo di nuovi prodotti, nonché i processi industriali e i servizi. 38
È fondamentale per creare posti di lavoro migliori, costruire una società più sostenibile e migliorare la qualità della nostra vita, ma anche per salvaguardare la competitività dell’Unione europea sul mercato mondiale.
E proprio in virtù del processo di integrazione europea, è impensabile, oggi, parlare di innovazione con riferimento alle economie dei singoli stati membri (e per quanto più specificatamente ci riguarda, di quella italiana), se non si analizza la politica di sviluppo e dell’innovazione in ambito europeo.
A livello continentale, la politica dell’innovazione, strettamente collegata alle altre politiche dell’UE, ha l’obiettivo di tradurre i risultati della ricerca in servizi e prodotti nuovi e migliori, al fine di restare competitivi sul mercato mondiale e migliorare la qualità della vita dei cittadini europei.
In tale prospettiva, l’UE ha sviluppato il concetto di “Unione dell’innovazione”, i cui obiettivi sono, tra gli altri, i seguenti:
- fare dell’Europa una protagonista di livello mondiale nel campo scientifico;
- rimuovere gli ostacoli all'innovazione (si pensi ai costi eccessivi dei brevetti, alla lentezza nella definizione delle norme, alla carenza di competenze) che attualmente impediscono alle idee di approdare rapidamente sul mercato;
- realizzare partenariati per l’innovazione tra le istituzioni europee, le autorità nazionali e regionali e le imprese.39
Nel prosieguo della trattazione si tratteggeranno gli elementi costitutivi della politica comunitaria in materia di innovazione, per capire, poi, come tale politica possa positivamente influenzare lo sviluppo delle start-up.
2.2. Le politiche per l’innovazione in un quadro europeo
L’attenzione dell’Unione Europea alle politiche per l’innovazione, lo sviluppo e il trasferimento tecnologico da metà degli anni Novanta ha sempre visto un progressivo e costante incremento.
38Si è così espresso il Parlamento europeo, nel paper “Politica dell’Innovazione”, Note sintetiche sull'Unione europea, 2015. 39L’Unione dell’innovazione, come si vedrà nel prosieguo, è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020 per un'economia intelligente, sostenibile e solidale
Ripercorrendo brevemente il percorso delle politiche dell’Unione sulla innovazione, bisogna risalire al 1995, quando fu pubblicato il primo documento nel quale la Commissione Europea prende posizione sull’innovazione, il Green Paper on Innovation, nel quale si identificavano i fattori positivi e negativi dai quali dipendeva la ricerca in Europa e si formulavano delle proposte di azioni con le quali aumentare la capacità di innovazione dell’Unione.
Al Green Paper ha fatto seguito nel 1996 il First Action Plan for Innovation in Europe, il primo programma di azione europeo che individuava delle misure di intervento per affrontare la cultura dell’innovazione, agevolare lo sviluppo di un ambiente innovativo e orientare la ricerca verso l'innovazione.40
Tuttavia, solo agli inizi del duemila, ci si rese conto che era necessario adottare una strategia unica per la costruzione di una economia della conoscenza e coordinare dle politiche economiche nazionali.
In tale prospettiva, l’innovazione acquistava progressivamente un ruolo centrale nelle politiche europee, diventando con quella che verrà definita la strategia di Lisbona41, uno dei fattori chiave per lo sviluppo degli Stati Membri.
Nella capitale portoghese, durante il vertice tenuto del marzo 2000, i capi di stato e di governo discutono su come fronteggiare la competizione internazionale, su come l’Europa può rispondere all’incalzante fenomeno della globalizzazione e alla necessità di fare fronte alla nuova dimensione della competitività globale, garantendo comunque, nel nuovo contesto mondiale, il modello sociale europeo, sulla bassa crescita economica, l’allargamento dell’Unione e la conseguente diminuzione del reddito medio pro capite.42 Conseguentemente, la strategia, che rappresenta il primo piano d’azione strutturato dell’Unione nell’ambito dell’innovazione, ha come obiettivo principale quello di aumentare la competitività degli Stati membri nei confronti degli altri grandi protagonisti mondiali, prevedendo una serie di riforme per consolidare il mercato interno, incrementare la ricerca, l’innovazione e l’educazione, facendo dell’Unione Europea “l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una coesione sociale entro il 2010”.43
40 Le tappe della politica europea per l’innovazione sono dettagliatamente riportate da MAINI E.– NICOXXX X., Le politiche europee per l’innovazione, in L'innovazione come motore della competitività territoriale, AA. VV. (a cura di), FrancoAngeli, 2011, p. 73.
41 La Strategia di Lisbona viene lanciata, come detto, con il vertice di Lisbona del marzo 2000 ma progressivamente definita e concordata attraverso i lavori dei Consigli Europei di Nizza nel dicembre 2000, e di Goteborg e Laeken nel 2001. A tal proposito, DECARO M., Dalla Strategia Di Lisbona a Europa 2020, Fondazione Xxxxxxx Xxxxxxxx, 0011, pp. 38-39, scrive: “Successivamente, nel Consiglio europeo di Barcellona, del 15-16 marzo 2002, la Strategia è integrata dalla previsione di uno “spazio europeo della ricerca” (SER), con l'obiettivo di un rapporto tra investimenti in ricerca e sviluppo pari al 3 per cento del PIL dell'UE: due terzi di questo nuovo investimento dovrebbero provenire dal settore privato. In questa stessa sede, il Consiglio invita la Commissione ad elaborare un piano d'azione, definito eEurope 2005, in modo da favorire la diffusione, l'uso, la disponibili- tà e la sicurezza delle reti a banda larga, agevolando l'affermazione del eGovernment, dell’ eLearning, dell'eHealth ed dell'eBusiness. Il VI Programma quadro (VI PQ 2002-2006) costituisce il principale strumento giuridico e finanziario dell'UE per l'attuazione del SER, insieme agli interventi nazionali e alle altre iniziative di cooperazione scientifica da realizzare a livello europeo. Esso è rivolto principalmente a sostenere la cooperazione in materia di ricerca, a promuovere la mobilità ed il coordinamento, a mettere la ricerca e l'innovazione al servizio di altre politiche dell'UE. In questo senso si introducono due nuovi strumenti: le reti d'eccellenza (destinate a integrare le attività dei centri di eccellenza "virtuali") ed i progetti integrati (per costituire una massa critica nelle attività di ricerca e conseguire obiettivi scientifici e tecnologici chiaramente definiti)”.
42 Sempre MAINI E. – NICOXXX X., Xx politiche europee per l’innovazione, op. cit., p. 73.
43 Era questo il famoso obiettivo prefissatosi dal Consiglio Europeo straordinario di Lisbona tenutosi tra il 23 e iL 24 marzo 2000.
Per raggiungere detto obiettivo, la strategia compie un importante passo in avanti, qualificando la conoscenza come bene comune. La conoscenza, infatti, oltre ad essere un elemento fondamentale per la crescita individuale e del capitale sociale, grazie alla tecnologia e alla digitalizzazione, diventa anche un “bene strategico” per lo sviluppo sostenibile della comunità.44
Su queste basi, il Consiglio europeo, nella primavera del 2007, ha definito la libertà di circolazione della conoscenza come la quinta libertà, che si aggiunge alle tradizionali quattro libertà di circolazione (dei beni, dei servizi, delle persone e dei capitali).
A ribadire ciò, due anni dopo, il Rapporto Monti del 9 maggio 2010 sulla “Nuova strategia del single market al servizio dell'economia e della società europea”, sostiene, a ragione, che la non-digital Europe costituisce un costo considerevole per l’Unione europea, la quale sempre secondo il citato rapporto, potrebbe aumentare il suo PIL del 4 per cento, promuovendo un rapido sviluppo del mercato unico del digitale entro il 2020.45 Senza soffermarsi in questa sede sulle critiche e i punti di debolezza della strategia46, è sufficiente sottolineare come la stessa si sia gradualmente trasformata in una struttura eccessivamente complessa, con finalità e azioni multiple e con una ripartizione poco chiara delle responsabilità e dei compiti, soprattutto tra l’UE e gli Stati membri.
Nonostante ciò, la strategia di Lisbona ha avuto l’indiscutibile merito di aver dato un decisivo impulso alla politica europea per l’innovazione e la ricerca, influenzando anche il Trattato di Lisbona del 2007.
Basti pensare all’art. 179 TFUE che ha modificato l’art. 163 TCE: mentre quest’ultimo faceva riferimento all’obiettivo di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell’industria della Comunità, di favorire lo sviluppo della sua competitività internazionale e di promuovere le azioni di ricerca ritenute necessarie ai sensi di altri capi del presente trattato, il nuovo articolo 179 TFUE parla anche della necessità di “realizzare uno spazio europeo della ricerca nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente”.
44A tal proposito, ritengo che, adottando l’innovazione come linea strategica per il rilancio dei sistemi economici nazionali, è indispensabile predisporre un sistema educativo che, progressivamente, stimoli la curiosità per tematiche attuali di rilievo nella fase finale dell'istruzione primaria obbligatoria. In particolare, in Italia, tale curiosità andrebbe trasformata in creatività durante il periodo di formazione secondario, il più idoneo per proiettare lo studente al “self employment” in quanto pronto a maturare quello spirito di entrapreneuship già ampiamente diffuso in gran parte del mondo sviluppato (es. In America, dove il 40% della popolazione è selfemployer) che spesso consente di raggiungere elevati livelli di soddisfazione e benessere sociali (oltre ad indirizzare un intero ecosistema imprenditoriale al progresso).
45 Si Veda, MONTI M., A New Strategy for the Single Market. At the Service of Europe’s Economy and Society. Report to the President of the European Commission, 9 maggio 2010. Si veda anche il Rapporto dell’European Policy Centre (EPC), The Economic Impact of European Digital Single Market. Final Report, marzo 2010, reperibile in www. epc. eu /dsm / 2 / Study _ by_ Copenhagen. Pdf., p. 44
46 Purtroppo le cose sono andate un po’ diversamente: XXXXXXX C., La crisi finanziaria e l'Unione europea. Le prime reazioni, Governare l'economia globale, dice: “Nella crisi e oltre la crisi il nuovo secolo si era aperto con la tragedia delle Torri gemelle a New York e la recrudescenza dei conflitti nell’area mediorientale, era proseguito con le mille incertezze dell’UE sulla riforma dei Trattati, concludendosi poi con la crisi finanziaria del 2008 e del 2009. Di questi avvenimenti l’UE è stata spesso più vittima che responsabile diretta, ma resta il fatto che gli obiettivi del 2000 sono oggi lontani anni luce, con una disoccupazione che si avvia a superare la soglia del 10%, una crescita che stenta a ripartire e un forte squilibrio dei conti pubblici che ha portato la Grecia sull’orlo della bancarotta e altri Paesi, come Portogallo, Irlanda e Spagna (ma l’Italia non sta molto meglio) sul banco dei sorvegliati a vista”.
Il Trattato di Lisbona fornisce così un notevole impulso alla politica comunitaria sull’innovazione, cominciata nel 2000 dal Consiglio europeo, integrata nel 2002 dallo Spazio Europeo della Ricerca (SER, ossia il Progetto dell’Unione Europea volto a conseguire tre finalità: la creazione di un mercato interno della ricerca destinato a rafforzare la cooperazione, incentivare la concorrenza e ottimizzare l’assegnazione delle risorse; una ristrutturazione del tessuto europeo della ricerca, che consista essenzialmente nel miglioramento del coordinamento delle attività e delle politiche di ricerca nazionali; lo sviluppo di una politica europea che non si limiti al mero finanziamento di attività di ricerca, ma che comprenda tutti gli aspetti delle altre politiche nazionali ed europee legate al settore della ricerca) e riaffermata dal Consiglio europeo del 2007, che l’ha considerata la quinta libertà del mercato interno, come già detto.
2.3. Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020
Come detto, la strategia di Lisbona adottata nel 2000 aveva l’obiettivo di fondare l’economia dell’Europa sulla conoscenza al fine di realizzare una crescita economica intelligente, sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Per riaffermare e, in un certo senso, dare coerenza a quanto perseguito con la strategia di Lisbona e per rispondere alle gravi conseguenze della crisi economica iniziata nel 2008, la Commissione nell’ottobre del 2010 ha proposto la strategia Europa 2000,47 che mantiene le priorità della sua antenata, ossia una crescita intelligente che sviluppi un’economia fondata sulla conoscenza e l’innovazione, una crescita sostenibile, più verde e più competitiva e una crescita inclusiva, con alti tassi di occupazione, a sostegno della coesione sociale e territoriale48.
Nello specifico, Europa 2020 consiste in una serie di iniziative faro, per la cui realizzazione si rendono necessari gli interventi dell’UE, degli Stati membri e delle autorità locali e regionali.
Le iniziative in questione sono le seguenti:
1. L’Unione dell’Innovazione, di cui si è detto nelle premesse e che consiste nel ri-orientare la politica in materia di R&S e innovazione in funzione delle sfide principali, colmando al tempo stesso il divario tra scienza e mercato per trasformare le invenzioni in prodotti.49
2. Youth on the move, ossia migliorare la qualità e l'attrattiva internazionale degli istituti europei di
47 Il tempo completo della strategia è disponibile su: xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxx0000/xxxxx_xx.xxx
48 In adesione a quanto sostenuto dall’articolo 173 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), ai sensi del quale “l’Unione e gli Stati membri provvedono affinché siano assicurate le condizioni necessarie alla competitività dell’industria dell'Unione”.
49“L’iniziativa faro “Unione dell’innovazione” della strategia Europa 2020 delinea un approccio strategico e integrato alla ricerca e all’innovazione, stabilendo il quadro di riferimento e gli obiettivi ai quali dovrebbero contribuire i futuri finanziamenti dell’Unione per la ricerca e l’innovazione. La ricerca e l’innovazione rappresentano inoltre fattori essenziali per altre iniziative faro della strategia Europa 2020, in particolare “Un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse”, “Una politica industriale per l’era della globalizzazione”, nonché ad altri obiettivi politici quale la politica in materia di clima ed energia”, si esprime così il II considerando del Regolamento (UE) n. 1291/2013 del parlamento europeo e del consiglio dell'11 dicembre 2013, che, come vedremo, istituisce il programma “Orizzonte 2020”.
insegnamento superiore promuovendo la mobilità di studenti e giovani professionisti.
3. Un’agenda europea del digitale, al fine di trarre vantaggi socio-economici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull'internet superveloce.
4. Un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse - favorire la transizione verso un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio. L’Europa non deve perdere di vista i suoi traguardi per il 2020 in termini di produzione di energia, efficienza energetica e consumo di energia.
5. Una politica industriale per la crescita verde, che consiste nell’ aiutare la base industriale dell’UE ad essere competitiva nel mondo post-crisi, promuovere l’imprenditoria e sviluppare nuove competenze.
6. Un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro, con l’obiettivo di porre le basi della modernizzazione dei mercati del lavoro per aumentare i livelli di occupazione e per garantire la sostenibilità dei nostri modelli sociali a mano a mano che i figli del baby boom andranno in pensione.
7. Piattaforma europea contro la povertà, per garantire coesione economica, sociale e territoriale aiutando i poveri e le persone socialmente escluse e consentendo loro di svolgere un ruolo attivo nella società.
In attuazione di queste sette iniziative, gli Stati membri sono stati chiamati ad elaborare le rispettive strategie, per ripristinare la sostenibilità della crescita e delle finanze pubbliche.
E’ la Commissione che valuta e valuterà i progressi verso il conseguimento degli obiettivi e presenterà le proposte necessarie per orientare gli interventi e far progredire le iniziative faro dell'UE, mentre il Parlamento europeo mobiliterà i cittadini e fungerà da co-legislatore per le iniziative principali.
Questo approccio di partenariato è, come accennato, esteso ai comitati dell'UE, ai parlamenti nazionali e alle autorità nazionali, locali e regionali, alle parti sociali, alle parti interessate e alla società civile, affinché tutti partecipino al conseguimento dei traguardi fissati.
2.4. Il nuovo programma di ricerca e innovazione – Horizon 2020
Per perseguire gli obiettivi prefissatosi, tra le altre cose, Europa 2020 punta a migliorare le condizioni e l’accesso ai finanziamenti per la ricerca e l’innovazione, affinché, come si è accennato, le idee innovative possano trasformarsi in prodotti e servizi in grado di generare crescita e occupazione, anche in virtù del fatto che l’Unione dell’innovazione vuole creare un vero mercato unico europeo dell’innovazione in grado di attrarre imprese e attività innovative.
Per tale ragione, l’Unione europea, con il Regolamento (UE) n. 1291/2013 del Parlamento e del Consiglio dell’11 dicembre 2013, ha realizzato il più grande programma mai realizzato per la ricerca e l’innovazione, Orizzonte 2020 (o Horizon 2020), grazie al quale sono stati messi a disposizione quasi 80 miliardi di euro di finanziamenti50, per un periodo di sette anni (2014-2020), oltre agli investimenti nazionali pubblici e privati
50 Lo stanziamento complessivo è di 77 028,3 milioni di euro a prezzi correnti, di cui 74 316, 9 milioni di euro destinati al titolo XIX TFUE “Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Spazio”. La decisione si basa sulla Comunicazione “Verso uno spazio europeo della ricerca”, che come abbiamo già avuto modo di sottolineare in precedenza, è stato inserito all’interno della strategia di Lisbona nel
che questa somma attirerà.51
I capi di governo degli Stati Membri e dei componenti del Parlamento europeo hanno concordato che l’investimento sulla ricerca e sull’innovazione è essenziale per il futuro dell’Europa, ragion per cui è inserito nel piano Orizzonte 202,52 concordemente a quanto previsto nell’ambito della strategia Europa 2020.53
A tal proposito si è detto che: “L’Unione è impegnata a conseguire la strategia Europa 2020, che ha fissato obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva sottolineando il ruolo della ricerca e dell’innovazione quali motori fondamentali della prosperità sociale ed economica nonché della sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di incrementare la spesa di ricerca e sviluppo al fine di attrarre investimenti privati fino a due terzi degli investimenti totali, raggiungendo così un totale cumulativo del 3% del prodotto interno lordo (PIL) entro il 2020 e sviluppando, nel contempo, un indicatore di intensità dell’innovazione”.54
Proprio per quanto riguarda l’indicatore di intensità, a settembre del 2013 Commissione europea ha proposto un nuovo indicatore di innovazione che evidenzia che la Svezia, la Germania, l’Irlanda e il Lussemburgo sono gli Stati membri dell’UE che sfruttano al meglio l’innovazione. L’indicatore dei risultati dell’innovazione calcola la misura in cui le idee provenienti da settori innovativi riescono a raggiungere il mercato e creano migliori posti di lavoro in un’Europa più competitiva.55
Il grafico sottostante, grazie all’utilizzo del predetto indicatore, è in grado di testimoniare le differenze notevoli nei risultati dell’innovazione tra gli Stati membri dell’UE
2002.
51 Di questo argomento si tratterà più diffusamente nel terzo capitolo della presente trattazione.
52Il finanziamento alla ricerca dell'UE nell'ambito dei precedenti programmi quadro ha già riunito scienziati e industria, sia all'interno dell'Europa che nel resto del mondo, per trovare soluzioni a una vasta gamma di sfide. Le loro innovazioni hanno migliorato la vita delle persone, aiutato a proteggere l'ambiente e reso l'industria europea più sostenibile e competitiva. Orizzonte 2020 è aperto alla partecipazione di ricercatori di tutto il mondo.
La loro esperienza è stata essenziale per lo sviluppo di questo programma pioneristico - la Commissione ha raccolto i loro suggerimenti e ha tenuto conto delle raccomandazioni degli Stati membri e del Parlamento europeo, nonché delle lezioni apprese durante i programmi precedenti. Il messaggio era chiaro - rendere Orizzonte 2020 più semplice per gli utenti - e così è stato!
53 Horizon 2020 sostiene fortemente la strategia Europa 2020, fissando l’obiettivo di portare la spesa di R&S al 3% del PIL europeo entro il 2020.
54 Si esprime in questi termini il considerando n. 2 del Regolamento (UE) n. 1291/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.
55 L’indicatore si basa su:
- innovazione tecnologica misurata per mezzo del numero di brevetti;
- occupazione in attività ad alta intensità di conoscenza, in percentuale rispetto all’occupazione totale;
- competitività dei beni e dei servizi a elevata intensità di conoscenza, basata sul contributo della bilancia commerciale dei prodotti ad alta e media tecnologia al totale della bilancia commerciale e sulla quota rappresentata dall’esportazione di servizi ad alta intensità di conoscenza rispetto al totale dei servizi esportati;
- occupazione nelle imprese in rapida crescita in settori innovativi.
Tabella 2.1. Fonte: Sito istituzionale della Commissione Europea: xxxx://xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxx-xxxxxxx_XX-00- 831_it.htm
Questo programma (che sta contribuendo al raggiungimento di cui sopra si è detto), associando la ricerca all’innovazione e concentrandosi sui tre settori chiave dell'eccellenza scientifica, della leadership industriale e delle sfide per la società, si prefigge, quale obiettivo finale, quello di consentire all'UE l'acquisizione di un sapere scientifico sensibile di essere applicato per la produzione e lo sviluppo di output tecnologici di classe mondiale, realmente in grado di stravolgere la crescita economica (di medio-lungo periodo).
In particolare, secondo il Regolamento n. 1921/2013, Horizon 2020 ha l’obiettivo generale di: “rafforzare le proprie basi tecnologiche e scientifiche attraverso il conseguimento di uno Spazio europeo della ricerca (“SER”), nel quale possono circolare liberamente ricercatori, conoscenze scientifiche e tecnologiche, ed esortano l’Unione a progredire in direzione di una società della conoscenza e al diventare un’economia più competitiva e sostenibile nel suo settore industriale”.
Per raggiungere un SER pienamente sviluppato è necessario:
• Avere un flusso adeguato di ricercatori competenti, garantendo la presenza di ricercatori a livello internazionale e un passaggio tra varie discipline e tra settore pubblico e privato;
• Avere infrastrutture di ricerca di livello internazionale, accessibili alle equipe di ricerca provenienti dall’Europa e da tutto il mondo e viceversa, in modo che i ricercatori che lavorano in Europa possano accedere alle infrastrutture e alle apparecchiature internazionali situate in altri paesi del mondo.56
56 Tra gli incubatori italiani che svolgono questa funzione, merita un accenno H-Camp (H-Farm Seed Ventures), il nuovo programma di accelerazione di H-Farm Seed Ventures che, a febbraio 2013, è entrato a far parte del Global Accelerator Network, l’organizzazione internazionale alla quale partecipano i principali incubatori mondiali (tra i quali TechStars, Hub ventures, Spring Board, Startup Bootcamp). Si tratta di tre mesi di formazione e mentoring presso la sede di Roncade (Treviso) e finanziamenti
• gli organismi di ricerca di elevato livello qualitativo dovrebbero essere integrati nel tessuto sociale ed economico del paese in cui si trovano, impegnandosi anche per esempio in partnership pubblico/privato;
• Si dovrebbero condividere le conoscenze;
• I programmi e le priorità di ricerca dovrebbero: a) essere coordinate tra di loro garantendo i principi base che disciplinano le richieste di finanziamento della ricerca in tutti i programmi nazionali e regionali al fine di ottenere il massimo di qualità e trasparenza possibili; b) prevedere la partecipazione di altri paesi confinanti con l’Unione europea per affrontare a livello mondiale le sfide che attanagliano il mondo.
L’Unione ha inoltre l’obiettivo di: “contribuire a costruire una società e un’economia basate sulla conoscenza e sull’innovazione nell’Unione mediante la mobilitazione di finanziamenti supplementari per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione e i contributi al conseguimento degli obiettivi in materia di ricerca e sviluppo, compreso l’obiettivo del 3% del PIL per la ricerca e lo sviluppo in tutta l’Unione entro il 2020”, al fine di recuperare il gap rispetto alle altre super-potenze.
L’obiettivo generale si persegue con: “attività mirate ad attuare la ricerca, lo sviluppo, la dimostrazione e l’innovazione in ambito tecnologico, a promuovere la cooperazione internazionale, a diffondere e a ottimizzare i risultati nonché a stimolare la formazione e la mobilità”.57
In particolare, Horizon 2020 svolge queste azioni attraverso le tre priorità cui si è accennato, “che si rafforzano reciprocamente” e che hanno al loro interno degli obiettivi specifici.
Si tratta di: eccellenza scientifica, leadership industriale e sfide per la società.
In tutti e tre i campi, inoltre, si devono raggiungere gli obiettivi fissati dall’articolo 179 TFUE, attuare le azioni previste dal programma in questione mediante attività che coprono l’intera catena del valore, dalla ricerca al mercato e contribuire ad una crescita “intelligente, sostenibile ed inclusiva”, come previsto dalla strategia Europa 202058.
L’Unione Europea afferma che l’obiettivo generale, le priorità e gli obiettivi specifici devono essere raggiunti a livello di Unione, essendo questa l’unica via per realizzarli in maniera efficace, specificando che “Orizzonte 2020 massimizza il valore aggiunto e l’impatto dell’Unione, mantenendo il centro d’interesse sugli obiettivi e le attività che non possono essere realizzati in maniera efficace dall’azione dei soli Stati Membri”.
Per tale ragione, sono stati introdotti i seguenti strumenti per monitorare e quantificare i progressi realizzati all’interno del territorio dell’UE:
- Quadro di valutazione del’Unione dell'innovazione, basato su 25 indicatori,e un mercato europeo delle conoscenze per brevetti e licenze. Il Quadro di valutazione dell'innovazione europea (European Innovation Scoreboard — EIS) è uno strumento della Commissione europea sviluppato nel contesto della
seed fino a 300 mila euro. Con due sessioni annuali (primavera e autunno) da 10 team ognuna, 20 startup ogni anno possono accedere a un programma ideato per aiutare le nuove imprese a posizionarsi sul mercato.
57 Si veda il considerando n. 1 del Regolamento (UE) n. 1291/2013 del parlamento europeo e del consiglio.
58 Si veda, considerando n. 11 del Regolamento (UE) n. 1291/2013 del parlamento europeo e del consiglio.
Strategia di Lisbona per fornire una valutazione comparativa della capacità di innovazione degli Stati membri dell'UE.
- Un Quadro di valutazione dell’innovazione regionale (Regional Innovation Scoreboard - RIS), che classifica le regioni europee in quattro gruppi in base alla loro capacità di innovazione, analogamente al Quadro di valutazione dell’Unione dell'innovazione.59
- L’Innobarometro, ossia un sondaggio d'opinione effettuato ogni anno presso le imprese e il grande pubblico che verte sugli atteggiamenti e le attività attinenti alla politica dell’innovazione.
Anche a fronte di quanto detto nel primo capitolo della presente trattazione, non si può avere dubbio alcuno sul fatto che Horizon 2020 (e con essa tutto il cammino che l’Unione Europea ha compiuto verso l’innovazione) rappresenti un’ottima possibilità di sviluppo per le start up, soprattutto italiane.
Basti pensare che i bandi, dedicati all’innovazione e all’aumento di competitività delle PMI, promossi nell’ambito del programma in questione, durante il primo anno di vita, ossia il 2014, hanno sempre visto le PMI italiane in testa per numero di progetti presentati60 a testimonianza della loro dinamicità, non inficiata dalla pensante crisi economica che ha investito il nostro Paese.
2.5. Conclusioni
A conclusione di quanto si è qui detto, è opportuno svolgere l’attenzione alle ultime azioni poste in essere dall’UE, in esecuzione di quanto previsto dal programma Horizon 2020.
Con riferimento all’anno in corso, il 2016, nell’ambito dei bandi Horizon 2020, la Commissione UE ha destinato 40 milioni di euro per supportare le PMI con idee e progetti innovativi in diversi settori merceologici.
Si tratta, più in generale, degli SME Instrument o strumenti di supporto delle PMI, articolati in più fasi che vanno dalla sovvenzione forfettaria per ottenere studi di fattibilità alla messa a disposizione di servizi di training e mentorship, dal finanziamento di veri e propri business plan all’agevolazione di incontri con potenziali investitori.
L’obiettivo di questa iniziativa è attivare proposta imprenditoriale con l’elaborazione di prototipi, test e studi di marketing fino al lancio con successo delle innovazioni sul mercato.61
Nell’ambito dei bandi Horizon 2020, la Commissione ha inoltre deliberato precisi Work Programme (o piani di lavoro) per il 2016 e il 2017 per costituire strumenti di supporto specifici per le PMI (SME Instrument, appunto), volti a finanziare progetti di innovazione che possano condurre idee, già sufficientemente sviluppate, “dal laboratorio al mercato”.
59 Le regioni europee sono classificate quali Regioni leader dell'innovazione (34 regioni), Regioni che tengono il passo (57 regioni), Regioni innovatrici moderate (68 regioni) e Regioni in ritardo (31 regioni).
60 I dati relativi ai bandi sono rinvenibili, su CI - Corriere Innovazione, n. 6 del 2014, PMI Piccole Ma Innovative, p. 14.
61 Un esempio è fornito da Almacube, partner dei soci di Italian Angels for Growth, che è la prima esperienza in Italia in cui un’Università e un’Associazione degli imprenditori hanno unito le loro competenze per dar vita a un incubatore innovativo.
In definitiva, con gli strumenti PMI e il relativo stanziamento di oltre 40 milioni di Euro per il biennio 2016- 2017, l’UE intende potenziare la competitività delle imprese europee e lo sviluppo di nuovi marchi e brevetti, al fine di dare impulso alla crescita economica e di facilitare la creazione di nuovi posti di lavoro.
E l’Italia come si sta comportando in questa sfida verso la competitività? Alcuni dati possono aiutarci a rispondere a questa domanda.
ITALIA | 2012 | 2013 | 2014 |
Saldo servizi di ricerca e sviluppo (ml€) * | 1,458 | 1,781 | 2,288 |
Personale addetto alla R&S nelle imprese italiane (migliaia) ** | 120,162 | 124,736 | 127,003***** |
Numero brevetti concessi (migliaia)*** | 2,237 | 2,353 | 2,274 |
Saldo commercio di prodotti ad alto contenuto tecnologico (ml€)**** | n. q. | 109.610 | 112.259 |
* Fonte: Airi - Associazione italiana per la ricerca industriale “Personale addetto alla R&S”.
** Fonte: Istat, “Commercio estero e attività internazionali delle imprese”, 2015.
*** Fonte: Airi – Associazione italiana per la ricerca industriale “Brevetti, concessioni dell'Ufficio Europeo dei Brevetti (UEB), per Paese e gruppi di Paesi”.
**** Fonte: Istat, “Il sistema produttivo: competitività e performance”, 2015; Istat – Ice, Commercio estero e attività internazionali delle imprese, 2015. NB: Il calcolo di tale fattore include: 1)macchinari ed apparecchiature meccaniche ed elettroniche; 2)prodotti finiti diversi(fra i quali strumenti ed apparecchi professionali, scientifici e di controllo); 3)articoli(e preparati) farmaceutici, chimico-medicinali e botanici. Inoltre, il saldo è calcolato al netto dei saldi a debito per: a) Strumenti per irradiazione, apparecchiature elettromedicali ed elettro-terapeutiche; b)Strumenti ottici e attrezzature fotografiche. I valori di entrambi i dati, infatti, risultano negativi per il biennio 2013/14 .
***** Fonte: valore presunto, pari alla somma del valore nel 2013 con il 50% dell’incremento del 2013 rispetto al valore dell’anno precedente, cioè 124,736 + (124,736-120,162)/2.
La scelta di questi tre parametri indispensabili per il corretto espletamento degli obiettivi europei nell’ambito delle politiche innovative finora prese in analisi presenta delle ragioni di fondo che occorre illustrare, al fine di non trascurare alcune limitazioni che lo stesso elaborato assume nel sintetizzare quei fattori determinanti per la crescita del paese.
Innanzitutto, con riferimento al “saldo per i servizi in R&S”, i valori indicati misurati da Banca d’Italia62 se, da un lato, confermano che gli investimenti (pubblici, privati e comunitari), effettuati negli ultimi anni per la creazione di incubatori certificati e strutture idonee a promuovere il progresso tecnologico-scientifico si stanno progressivamente trasformando in rilevanti fonti di reddito per il paese, dall’altro lato, evidenziano una netta dipendenza dell’Italia nell’ambito di altre importanti voci della “spesa per servizi” che, a mio avviso, frenano il carattere innovativo richiesto dall’UE agli stati membri.
Per quanto concerne “il personale addetto alla R&S nelle imprese italiane”, si vuole sottolineare l’importanza ricoperta dall’impiego di personale qualificato ad alto contenuto di conoscenza, non soltanto con riferimento al fenomeno occupazionale connesso agli incubatori installati nel nostro paese ed ai parchi scientifici, ma anche in termini di capacità di accesso del settore privato a competenze tecnico-scientifiche essenziali per le crescita e lo sviluppo delle attività economiche coinvolte. Infatti, con l’introduzione della disciplina delle start-up innovative nel nostro ordinamento, il sistema economico italiano è oggi in grado di sostenere elevati costi per la R&S grazie alle diverse agevolazioni finanziarie previste”63
Con riferimento al numero di brevetti concessi, è opportuno ricordare che la Commissione Europea ha dato il via libera all’adesione dell’Italia al Brevetto Unico Europeo, traguardo che, malgrado le proteste, riconosce all’Italia l’importante ruolo che ricopre in Europa in materia di ricerca ed innovazione64.
A tal riguardo, la Commissione europea ricorda che “si tratta di una grande svolta, in quanto l’Italia è il quarto più grande paese in Europa in termini di convalida dei brevetti”.
Secondo la dichiarazione rilasciata dal sottosegretario del MISE Xxxxxx Xxxxxx, che prevede l’adozione in Italia del “brevetto unitario a partire dal 2016”, i brevetti italiani avranno “un’automatica protezione legale ed uniforme in tutti i paesi UE che prevede stessi iter e pagamento”.
Per questa ragione sono stati presi in considerazione (soltanto) i brevetti rilasciati dall’ufficio europeo dei brevetti65 e non già quelli dell’UIBM. I primi, inoltre, secondo l’EPO, consentiranno un abbattimento dei costi di registrazione “sino al 78%”66 , rispetto all’ordinaria procedura nazionale.
Con riferimento ai marchi, il MISE non ha ancora pubblicato i dati relativi agli ultimi anni in grado di
62 Si veda il rapporto Istat “Commercio estero e attività internazionali delle imprese, 2015, pag. 134.
63 Si veda più diffusamente il terzo capitolo.
64 Si veda l’articolo dell’1.10.2015 sulla proprietà intellettuale de “Il Sole 24ore”.
65 In inglese è il principale organo di EPO - “European patent organizzation”.
66 Si v. nota 63.
fornire delle analisi statistiche rilevanti.
Tuttavia, attraverso la direzione generale dell’UIBM e la collaborazione di Xxxxxxxxxxx, nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali inerenti (in primo luogo la diffusione della cultura brevettuale, ha previsto dal 2016 un bando67 “per la concessione di agevolazioni in favore prevalentemente delle PMI”, che da quest’anno potranno estendere all’estero (in Europa o nel mondo) la proprietà intellettuale dei propri marchi. Infine, con riferimento “al commercio di prodotti ad alto contenuto tecnologico”, la ragione del loro inserimento tra i fattori nazionali che meglio riflettono i progressi dell’ecosistema imprenditoriale in termini di competitività ed innovazione, risiede essenzialmente nel fatto che la produzione delle start-up innovative italiane riguarda per legge, oltre ai servizi, tutti quei prodotti frutto dell’impiego di alte tecnologie o innovazioni di prodotto (come nel caso delle PMI innovative).
E’, dunque, attraverso questo parametro che si potrebbe dispiegare l’incidenza delle nuove produzioni sul PIL rispetto al contributo annualmente fornito dalla commercializzazione dei prodotti tradizionali68.
67 Si veda, xxxx://xxx.xxxx.xxx.xx/xxxxxxxxxxx/xxxxxxx0/Xxxxx%00Xxxxxx%00x0.xxx.
68 Ai fini di completezza, è bene precisare che i dati indicati in tabella con riguardo a questo fattore di innovatività presentano un limite quantitativo, in quanto vengono escluse le innovazioni di prodotto delle attività manifatturiere rivolte alla produzione di "prodotti alimentari, bevande e tabacco", a causa della difficile aggregazione dei valori presenti nelle classificazioni Istat.
CAPITOLO 3 – LE AGEVOLAZIONI RELATIVE A CONTRATTI DI LAVORO ED ASSUNZIONI
3.1. Premessa
Come si è accennato nei capitoli che precedono, l’analisi delle norme giuslavoristiche da applicare alle start up innovative è argomento di notevole interesse, poiché, oltre alla crescente importanza che le stesse hanno assunto negli ultimi anni, l’ordinamento italiano, con il Decreto legge. 179/2012, si è dotato di una disciplina giuslavoristica specifica per tali società, derogatoria della disciplina ordinaria.
Sostanzialmente, con riferimento al diritto del lavoro, le peculiarità di cui godono le start up innovative riguardano la disciplina delle assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato, la stipula di contratti a tempo determinato, la “composizione” della retribuzione e l'assegnazione di strumenti finanziari.
Mentre la disciplina delle assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato verrà trattata nel capitolo che segue, in questa sede ci concentriamo, innanzitutto, sulla disciplina del contratto a tempo determinato.
3.2. Il contratto a tempo determinato. Cenni
Il Decreto Legge 179/12, all’art. 28, ha previsto per i contratti a tempo determinato una serie di deroghe alla normativa ordinaria che trovano applicazione esclusivamente per un periodo di 4 anni dalla costituzione della start up innovativa, di 3 anni se la start up era costituita da 3 anni, di 2 anni se la start up era costituita da 4 anni.
Le agevolazioni in materia, avendo quale finalità un nuovo rilancio dell’occupazione, soprattutto giovanile, si muove in una duplice direzione: maggiore flessibilità in ingresso ed abbassamento del costo del lavoro. Riguardo al primo versante, l’art. 28, della Legge n. 221/2012 prevede, per un periodo di quattro anni, la derogabilità alle restrizioni in materia di assunzioni a tempo determinato di cui alla Legge n. 368/2001.
Al fine di ben comprendere gli aspetti derogatori della disciplina relativa alle start up, giova ripercorrere brevemente la disciplina dei contratti a tempo determinato dettati dalla Legge n. 368/2001, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva comunitaria 1999/70/Ce e che è stata oggetto di numerose modifiche sino alla legge del 16 maggio 2014, n. 78, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 34/2014 (il c.d. “Decreto Poletti”).
Quest’ultimo rappresenta, nel nostro ordinamento lavoristico, una sorta di “spartiacque” per quel che riguarda la disciplina dei contratti a termine.
Prima di esaminare le novità introdotte dalla riforma, si diceva, è opportuno delineare le caratteristiche del contratto in questione, partendo dal D. Lgs n. 368/2001 che per primo lo fa configurato.
L’art. 1 del D.Lgs. n. 368/200169, abrogando e superando la precedente disciplina che prevedeva ipotesi tassative in cui era “consentita l'apposizione di un termine al contratto di lavoro” (art. 1, legge n. 230/1962) cui si erano aggiunte solo in seguito (art. 23, legge n. 56/1987)70 ulteriori ipotesi di ricorso al lavoro a termine introdotte dalla contrattazione collettiva nazionale o locale, il decreto legislativo (art. 1) ha "liberalizzato" la possibilità di stipulare contratti a termine “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo; organizzativo e sostitutivo” (art. 1, decreto cit.).
La specificazione delle ragioni del ricorso al contratto a termine deve essere inserita nel contratto di assunzione ("atto scritto" ex art. 1 decreto cit.) e sembra reggere la causa dello stesso contratto71.
In realtà, la vastità delle espressioni utilizzate ha dato vita ad un contenzioso sul punto72, soprattutto da parte di chi riteneva che fra l'una e l'altra forma di assunzione (a termine ovvero a tempo indeterminato) vi dovesse ancora essere della differenziazioni; ovvero che fra l'una e l'altra vi dovesse ancora essere il rapporto che corre fra la regola e l'eccezione73; in tal caso sarebbe spettato all'interprete il compito di individuare precise ipotesi ad hoc in cui fare "temporaneamente" ricorso a tale forma di lavoro flessibile.
Al contrario, la dottrina e la giurisprudenza che invece riteneva che le due forme di assunzione (a termine ovvero a tempo indeterminato) dovessero considerarsi assimilabili sotto ogni effetto74, trovava nell'ampia gamma delle ipotesi introdotta dal legislatore (in una con la abrogazione delle causali tassative tipizzate dalla legge n. 230/1962) una conferma che il lavoro a termine potesse essere utilizzato senza alcuna eccezione per la normalità degli accadimenti della vita aziendale, così come avviene per il contratto a tempo indeterminato, dipendendo la scelta del tipo di assunzione (a tempo ovvero a tempo indeterminato) unicamente dalle decisioni delle parti interessate (datore di lavoro e lavoratore).
69 L’art. in questione afferma che: “a) è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo;
b) l'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente od indirettamente, da atto scritto ove sono riportate le motivazioni alla base dello stesso;
c) copia del contratto deve essere consegnata al lavoratore entro i cinque giorni lavorativi successivi all'inizio della prestazione;
d) l'atto scritto non è necessario se la durata del rapporto, di natura prettamente occasionale, non supera i dodici giorni.
70 Così X. XXXXXX, in Dir. prat. lav., 1987, 12, p. 879.
71 In assenza di ulteriori specificazioni, tali espressioni (« le ragioni ») devono intendersi piuttosto "estese" e tali da ricomprendere tutte le ipotesi in precedenza utilizzate per la stipulazione del contratto a termine (picchi di lavoro; sostituzioni personale; attività stagionali; attività straordinarie etc.) alcune delle quali, peraltro, richiamate nella stessa legge (ad es. art. 10, comma 7).
72 Cosi come sostenuto da XXXXXX, Contratti a termine, un decreto trappola, in Il Corriere della Sera, 12 ottobre 2011.
73L’. 1, comma 39, L. 24 dicembre 2007, n. 247, a decorrere dal 1° gennaio 2008 (successivamente, così sostituito dall'art. 1, comma 9, lett. a), L. 28 giugno 2012, n. 92), aveva aggiunto all’art. 1 del D.Lgs. 368/2001 il seguente primo comma: “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. Si veda PERA, che fa leva su quanto previsto espressamente dall'accordo quadro Unice – Ceep – Ces poi recepito da parte della Direttiva 99/70 per concludere che “(...) il termine è l'eccezione che deve essere "basata su ragioni oggettive", prevenendo la possibilità di abusi », op. cit., 305; analogamente si veda centofanti, op. cit., 913 e ss
74 Così come avviene per la scelta dell'orario di lavoro, a tempo pieno o ridotto, ex art. 1, D. Lgs. 61/2000 dove si prevede espressamente che “Nel rapporto di lavoro l'assunzione può avvenire a tempo pieno o a tempo parziale”
In ogni caso è indubbio che nel contratto di assunzione, così come previsto dall'art. 1, comma 2 andavano
«specificate» le ragioni di carattere «tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» che giustificano il ricorso al contratto a termine.
Più in particolare, il contratto doveva contenere una descrizione della causa del contratto a termine: in buona sostanza della ragione effettiva e concreta che sorregge, giustificandola, l'apposizione del termine, altrimenti non giustificata.
In altri termini, non era sufficiente la mera riproduzione letterale nel contratto delle ragioni contenute nell'art. 1 della legge, ma era compito delle parti (ed in particolare dei datori di lavoro) di "specificare" come vuole la legge in che cosa si traduce la ragione «di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» che consente l'apposizione di un termine al contratto di lavoro.
E se il riferimento alla ragione di carattere "sostitutivo" non creava particolari problemi, anche al fine di consentire una verifica sul corretto uso dello strumento, il contratto di assunzione doveva motivare, ad esempio per il caso di ragioni di carattere "tecnico", l'assunzione di un lavoratore dotato di una particolare professionalità o competenza, così come per le ragioni di carattere "produttivo", era bene individuare espressamente il picco di lavoro o l'incremento di produzione che rendeva giustificato l'utilizzo di forza lavoro esterna all'organico aziendale.
Gran parte della dottrina ha sostenuto che, anche al fine di non "ingessare" l'individuazione iniziale delle ragioni, era opportuno che il contratto di assunzione, più che "definire" a priori una ragione anzi che un'altra, enunciasse, spiegandola chiaramente, la necessità aziendale che ha dato origine alla scelta di utilizzare un lavoratore a termine, lasciando poi all'interprete, in caso di eventuale contenzioso, di qualificare tale necessità come una ragione tecnica, produttiva piuttosto che organizzativa.
In tal senso deponeva altresì la stessa legge (art. 1, comma 2) laddove si prevedeva che nell'atto scritto devono essere “specificate le ragioni di cui al comma precedente”, e cioè una o più fra quelle indicate dalla legge che possano entrare in gioco anche contemporaneamente nell'assunzione di uno o più lavoratori a termine.
Del resto non è certo infrequente che, nello svolgimento dell'attività aziendale, il ricorso a personale esterno a termine possa rispondere contemporaneamente a differenti "ragioni" (produttive, organizzative o tecniche, finanche sostitutive) senza dover essere "ingabbiato" una volta per tutte in una classificazione rigida che non risponde più alla odierna realtà produttiva
Sotto altro profilo, si segnala che per le ipotesi di contratto a termine "sostitutivo " la legge non prevedeva più come era in passato (art. 1, legge n. 230/1962) l'obbligo di indicare il nominativo del dipendente sostituito nella lettera di assunzione.
Tuttavia, e tenuto conto che la prova rigorosa della sostituzione – diretta ovvero "a cascata" – del dipendente doveva comunque essere fornita dal datore di lavoro in caso di contestazione75, un efficace controllo ex post sulla corrispondenza delle ragioni programmatiche dell'assunzione e l'inserimento funzionale del lavoratore a termine nell'azienda non poteva agevolmente prescindere dalla puntuale indicazione del nome del lavoratore sostituito nel contratto di assunzione
Dunque, l'onere della prova spettava sempre al datore di lavoro. In sostanza, il lavoratore che contestasse la legittimità della limitazione della durata del rapporto, poteva limitarsi a sostenere nel ricorso che non rispondono a realtà le circostanze che l'imprenditore ha posto alla base del contratto, senza che con questo sia violato l'art. 414, n. 4, c.p.c. che impone al ricorrente di indicare i fatti e gli elementi di diritto su cui si fonda la domanda: sta a quest'ultimo dimostrare la legittimità del proprio comportamento76. Tale onere si ricavava anche dal successivo art. 4, comma 2, quando si dice chiaramente che per la giustificazione della eventuale proroga esso è a carico del datore.
Prima del riforma intervenuta con il Jobs Act, l'art. 1 aveva già subito con la legge n. 247/2007, una integrazione attraverso il comma 01 in base alla quale si affermava che “il contratto di lavoro subordinato è stipulato, di regola, a tempo indeterminato”: tale principio, lungi dal rappresentare una presunzione legale a favore di tale tipologia, stava a significare anche, secondo l'indirizzo amministrativo espresso con la circolare del Ministero del lavoro n. 13 del 2 maggio 2008, che la fattispecie "ordinaria" nei rapporti di lavoro subordinato era rappresentata dal contratto a tempo indeterminato. Tale principio è stato reso più stringente dalla riforma Fornero: infatti il nuovo comma 01, quale scaturisce dall'art. 1, comma 9, della legge
n. 92/2012, afferma che «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, divenendo, in sostanza, una sorta di "contratto dominante"».77
Questo principio, complice anche la situazione economica, viene, nella sostanza, ora, di molto attenuato, come si vedrà più nel dettaglio dal capitolo che segue, da quanto viene affermato nel nuovo articolo 1, comma 1: «È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell'art. 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Fatto salvo quanto disposto dall'art. 10, comma 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati per ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in
75 E ciò anche se il decreto in esame non attribuisce specificamente al datore di lavoro l'onere probatorio dell'esistenza delle ragioni organizzative invocate, come invece prevede chiaramente all'art. 4, 2° co. per il caso della prova della esistenza delle ragioni giustificatrici la proroga del contratto.
76 Si è così espressa Cass., 24 giugno 1986, n. 4217, in Dir. prat. lav., 1986, 42, 274
77 L’articolo 1 del D. LGS. 81 del 2015 recita: “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato».
Con un’innovazione rispetto alla disposizione contenuta nella legge n. 230/1962 la legge prevedeva (art. 1, comma 2) che l'apposizione del termine fosse priva di effetto se non risultava “direttamente o indirettamente da atto scritto”, che deve altresì, prosegue l'art. 1, comma 1 del decreto specificare, come visto, “le ragioni del ricorso al contratto a termine”.
Com'è noto, nella vigenza della precedente disciplina il termine del contratto doveva risultare per iscritto, essendo chiaramente tale condizione richiesta ad substantiam, laddove la mancanza di forma scritta del termine comportava, per giurisprudenza ormai consolidata, la “conversione” del contratto a termine in uno differente a tempo indeterminato.
In linea con tale continuità, anche la legge in esame (art. 1) precisa che in assenza di forma scritta l'apposizione del termine debba considerarsi “priva di effetto”, da cui necessariamente discende il requisito della forma scritta è richiesto ad substantiam.
Tuttavia la legge prevedeva anche che il termine potesse risultare indirettamente da atto scritto.
Per superare il disagio, da più parti78sono state avanzate delle letture dell'articolo volte a spostare l'avverbio
« indirettamente » non sull'apposizione del termine, che deve sempre risultare da un atto scritto, bensì sul momento identificativo della durata del rapporto: “si pensi, infatti, al caso in cui l'evento finale non sia individuabile a priori al momento dell'assunzione (ad es. la cessazione di un evento particolare; il venir meno di una certa attività lavorativa; il compimento di un'opera o di un servizio ovvero il rientro dalla malattia del dipendente sostituito”.
In tal caso, l'atto scritto solitamente il contratto di lavoro deve contenere a pena d'inefficacia l'apposizione del termine, la cui individuazione potrà essere certa («direttamente»)79.
In ogni caso, qualora l'apposizione del termine non risultasse da atto scritto “L'apposizione del termine è priva di effetto”, con la conseguenza, in applicazione della giurisprudenza consolidata espressa nel vigore della precedente disciplina, della trasformazione del contratto a termine in uno a tempo indeterminato alle dipendenze del datore di lavoro.
Prevedendo anche per il contratto a termine ciò che normalmente avviene per il contratto a tempo indeterminato la legge statuiva espressamente che “La copia dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione” (art. 1, comma 3).
Da ultimo (art. 1, comma 4) si prevedeva che non vi fosse necessità di forma scritta quando la durata del contratto non superi i dodici giorni di durata.
78 Si veda la Relazione di accompagnamento al decreto legislativo 368/2001 in www. Xxxxxxxxx.xx.
79 In tal senso si veda la nota illustrativa Confindustria 10 ottobre 2001 dove si precisa « (...) deve risultare il termine che viene apposto al contratto – direttamente, in quanto viene indicata in modo esplicito la data finale, ovvero, indirettamente, in quanto la data finale è connessa ad un evento certus an sed incertus quando (...) >; in termini sostanzialmente analoghi si vd. Relazione di accompagnamento al D. Lgs. 368/2001, op. cit.
Tale previsione ricalcava fedelmente quanto in precedenza previsto dalla legge n. 230/1962 (art. 1, legge cit.)80.
L’art. 3 del D.Lgs. n. 368/2001 individuava le ipotesi in cui non era possibile assumere lavoratori con contratto a termine. Simili, in larga parte, alla casistica già individuata dalla legge n. 196/1997 per l’utilizzazione dei lavoratori interinali, attraverso la stipula del contratto di fornitura, essi erano:
a) la sostituzione di lavoratori in sciopero;
b) il divieto di assunzione in sostituzione di lavoratori licenziati al termine delle procedure collettive di riduzione di personale, previste dagli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991.
c) il divieto di assunzione presso unità produttive interessate da cassa integrazione guadagni o da contratti di solidarietà difensiva che riguarda lavoratori adibiti a mansioni cui si riferisce il contratto a temine.
d) le imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. n. 626 del 199481, e successive modificazioni ed integrazioni.
L'art. 4 del D.Lgs. n. 368/2001 affrontava l'istituto della proroga in maniera del tutto diversa da come era stato disciplinato dall'art. 1, comma 2, della legge n. 230 del 196282. Lì, fatto salvo il consenso del lavoratore, la proroga doveva avere una valenza eccezionale, non era ammessa per più di una volta e per un tempo superiore a quello iniziale, allorché la stessa era richiesta da esigenze contingenti ed imprevedibili e si riferiva alla stessa attività per la quale era stato stipulato il contratto a termine. Con la normativa del 2001, fermo restando il consenso del lavoratore, la proroga era possibile una sola volta quando il contratto iniziale è inferiore a tre anni. Non c'era più lo specifico riferimento alla eccezionalità e la durata poteva essere superiore al contratto iniziale. La motivazione doveva essere oggettiva e riferirsi alla stessa attività per la quale fu stipulato il contratto originario. L'onere della dimostrazione della motivazione era, in caso di contenzioso, a carico del datore di lavoro.
80 L'ultimo comma dell'art. 1 ripeteva, in maniera pedissequa, quanto già affermato dalla legge n. 230/1962: per i rapporti di breve durata non superiori a dodici giorni, a carattere meramente occasionale, non è necessaria la forma scritta. La prova di queste situazioni non è, infatti, soggetta a prescrizioni formali e, in caso di giudizio, può essere fornita dal datore di lavoro secondo i principi generali sulla ripartizione dell'onere probatorio (Cass., 8 luglio 1995, n. 7507). Qui non è detto chiaramente come debba essere inteso tale periodo: ad avviso di chi scrive, i dodici giorni dovrebbero essere considerati lavorativi, in quanto appare plausibile che il Legislatore abbia preso quale parametro di riferimento «due settimane». L'occasionalità è un requisito essenziale, cosa che comporta l'inapplicabilità dell'istituto della proroga, in considerazione della brevità dell'impegno. Ovviamente, tutti gli adempimenti connessi alla instaurazione del rapporto (comunicazione anticipata on-line, scritturazione sul Libro Unico del lavoro nei termini di legge, ecc.) vanno effettuati.
81 In Dir. prat. lav., 1996, 23, 1622.
82 Il testo adottato dall'art. 4 è diverso da quello già espresso dall'art. 2 della legge n. 230/1962 e il riferimento a "ragioni oggettive", riconducibili a situazioni tecniche, organizzative e produttive e non più ad esigenze contingenti ed imprevedibili, potrebbe pure autorizzare una lettura diversa della proroga rispetto a quella consolidatasi durante la vecchia disciplina. In sostanza, si potrebbe sostenere come l'istituto possa valere anche per sostituire (senza soluzione di continuità) un altro lavoratore che si assenta e che svolge le medesime mansioni ("stessa attività lavorativa" per la quale è stato stipulato il contratto).
Va tenuto presente, tuttavia, che l'orientamento consolidato, propende per un riferimento non alle mansioni del lavoratore ma alla causa tipica del contratto a termine e cioè al tipo di motivazione alla base del rapporto originario. Essa appare, al momento, alquanto ardita e richiede una profonda riflessione giuridico-amministrativa, atteso che una interpretazione che facesse riferimento alla sola causale motivata potrebbe portare a considerare il contratto come a tempo indeterminato sin dalla data della prima stipulazione, secondo il principio chiaramente espresso al comma 4 dell'art. 5 per il quale si avrebbero due assunzioni successive a termine, senza soluzione di continuità.
Da quanto sopra emerge che l'istituto della proroga non era applicabile ai contratti a tempo determinato di durata pari o superiore a 36 mesi.
Il consenso del lavoratore è un elemento indispensabile per la proroga: esso va verificato nel momento in cui si accerti la necessità (perché ricorrono i presupposti di legge) di “allungare” il contratto: per la sua validità ed efficacia non è necessaria la forma scritta83.
Un problema del tutto particolare è rappresentato dall'istituto della proroga per i dirigenti che possono stipulare contratti a termine di durata non superiore a cinque anni. La giurisprudenza, sotto la vigenza della precedente normativa, aveva chiarito che la proroga era possibile anche senza necessità di rispetto delle condizioni modali e temporali stabilite dall'art. 2 della legge n. 230/196284.
L'istituto della proroga trovava applicazione anche nel settore del pubblico impiego, fatte salve, se richieste dalla specialità dell'ordinamento, le necessarie autorizzazioni degli organi sovraordinati.
Prevedeva l'art. 5 del decreto che se il contratto prosegue oltre la scadenza «del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato» si avranno le seguenti conseguenze: 1) per i primi 10 gg. successivi alla scadenza, il datore di lavoro dovrà corrispondereal lavoratore una maggiorazione del 10%; 2) dal 10 al 20 gg., il datore di lavoro corrisponderà una maggiorazione del 40%.
Se il contratto prosegue ulteriormente (e cioè dopo il 20° gg.) si otterranno i seguenti casi: 3) per contratti di durata iniziale inferiore a 6 mesi, se il contratto prosegue oltre il 20 gg. «il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini» (art. 5, comma 2); 4) per contratti di durata iniziale invece superiore a 6 mesi, se il contratto prosegue oltre il 30 gg. ci sarà la trasformazione del contratto in altro a tempo indeterminato ed in questo caso si pagherà la maggiorazione del 40% della retribuzione sino al 30 gg.
Era ammessa la stipulazione di contratti a termine anche successivi purché sia rispettato l'intervallo rispettivamente di 10 o 20 gg. a seconda che il contratto precedente abbia durata inferiore o superiore a 6 mesi.
Se l'assunzione successiva non rispettava tale intervallo si aveva l'assunzione a tempo indeterminato a partire dal secondo contratto (art. 5, comma 2).
Qualora invece non vi fosse alcuna soluzione di continuità fra i due contratti (e cioè manchi del tutto l'intervallo fra un contratto e l'altro), il lavoratore si considerava a tempo indeterminato «dalla data di stipulazione del primo contratto» (art. 5, comma 4).
Se il rapporto a termine continuava oltre il ventesimo giorno (se inferiore a sei mesi) oltre il trentesimo (se uguale o superiore a sei mesi) il contratto si considerava a tempo indeterminato a partire dalla scadenza di
83 Cass., 23 novembre 1988, n. 6305, in Mass. giur. lav., 1989, 28.
84 Si è così espressa Cass., 28 novembre 1991, n. 12741, in Mass. giur. lav., 1992, 36; Cass., 17 agosto 1998, n. 8069, in Dir. prat.
lav., 1998, 5, 330.
tali termini: questa disposizione valeva per tutti i datori di lavoro, ad eccezione delle Amministrazioni pubbliche per le quali va fatto un discorso a parte, completamente diverso.
Il comma 3 dell'art. 5, riprendendo, integralmente, quanto contenuto nell'art. 12 della legge n. 196/1997 si preoccupa del problema legato alla successione dei contratti. Quest'ultima disposizione aveva già abbassato i limiti previsti dalla legge n. 230/1962 (quindici o trenta giorni tra un contratto e l'altro, correlati alla durata del precedente se inferiore o no ai sei mesi), portandoli, rispettivamente a dieci e venti giorni. La norma del 2001 è rimasta invariata, per cui se tali termini minimi (che sono di calendario) non sono rispettati, il secondo contratto si considerava a tempo indeterminato.
Con la legge 16 maggio 2014, n. 78, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 34/2014 (c.d. “Decreto Poletti”), rappresenta, nel nostro ordinamento lavoristico, il traguardo di un percorso iniziato, timidamente, con l'art. 28 della legge n. 221/2012 in favore delle c.d. « star-up innovative» per l'assunzione a tempo determinato del personale e, proseguito, in maniera più incisiva, con le leggi n. 92/201285, n. 99/2013 e, soprattutto, con la contrattazione collettiva, anche di secondo livello, sviluppatasi a partire dal 28 giugno 2013, data di entrata in vigore del D.L. n. 7686.
Si tratta di un passaggio epocale, che è, tuttavia, come si avrà modo di accennare, in linea con la Direttiva comunitaria n. 1999/70/Ce e con l'accordo quadro sottoscritto tra Ces, Unice e Ceep (è sufficiente il solo requisito del limite massimo fissato a trentasei mesi, rispetto ai tre possibili ipotizzati anche in alternativa)87 e che postula un profondo ripensamento dell'istituto, rispetto al quale molti altri aspetti sono stati toccati88.
85 La legge 28 giugno 2012, n. 92, di riforma del mercato del lavoro è intervenuta rendendo più stringenti i limiti temporali di utilizzo del contratto, ma introducendo, nel contempo, la possibilità di una prima stipula fuori dal contesto dell'obbligatorietà dei motivi che consentono l'apposizione del termine. Per il disposto del comma 9 dell'articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. legge Fornero), il comma 01 dell'articolo 1 del D.Lgs. n. 368/2001 risulta avere il seguente tenore: «Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro».
86 L'aggravamento della crisi occupazionale che attanaglia il nostro Paese (e non solo) ha fatto sì che intervenisse un ulteriore provvedimento, il D.L. 28 giugno 2013, n. 76 che ha apportato alcuni correttivi (di cui si tratterà nel paragrafo successivo) alle misure precedenti riducendo, fra l'altro, gli intervalli minimi tra un contratto e l'altro. E consentendo la proroga del contratto acausale, introdotto dalla citata legge n. 92/2012.
87 D.Lgs. n. 368/2001 attua la direttiva 1999/70/Ce che, a sua volta, trova il suo fondamento nell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dal Ces, dall'Unice e dal Ceep, il 18 marzo 1999 con il quale le parti firmatarie riconoscono «che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra datori di lavoro e i lavoratori. Esse inoltre riconoscono che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori». L'accordo «indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e un uso dei contratti di lavoro a tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori».
Con la legge 24 dicembre 2007, n. 247 di recepimento del Protocollo d'intesa fra Governo e Parti sociali del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e welfare, il principio comunitario è stato ripreso e portato in premessa all’articolo 1 del D.Lgs. n. 368/2001 andando così a ribadire che tale tipologia contrattuale rappresenta la fattispecie "ordinaria" di costituzione dei rapporti di lavoro.
88 Si intende fare riferimento ai limiti numerici legali prima non esistenti, al momento della verifica degli stessi, alle proroghe non più correlate ai singoli contratti, all'introduzione di una sanzione amministrativa applicabile in caso di sforamento della
Tale riforma (definitiva “Jobs Act”) è espressamente una riforma in due tempi: la prima fase, quella attuale, per risolvere l'emergenza, la seconda avrà l'obiettivo ambizioso di tracciare un quadro completo delle regole applicabili al mercato del lavoro89.
Il primo step, come si diceva, si è perfezionato il 20 maggio 2014 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge n. 78/2014 di conversione del D.L. n. 34/2014.
L'obiettivo che questa riforma si pone, come invero si sono poste anche le precedenti riforme, ma con risultati contraddittori e talvolta inequivocabilmente censurabili, è semplificare e rendere chiare le regole in modo che non ci siano più alibi nell'applicazione di "contratti sbagliati", come si evince dalle parole del Ministro Xxxxxxx.
Con la legge in esame, il governo è intervenuto modificando, non solo il contratto a termine, ma anche la fattispecie dell'apprendistato90.
Tuttavia, la successiva disamina verterà solo il contratto a termine e gli aspetti sostanzialmente modificati dalla recentissima riforma91.
Dal 21 marzo 2014, con l'entrata in vigore del D.L. 20 marzo 2014, n. 34, i datori di lavoro possono stipulare contratti a tempo determinato senza alcun obbligo di indicare la causale, sottostando a due soli vincoli:che la durata del contratto non superi i 36 mesi, proroghe comprese; che il numero dei lavoratori a termine non superi il 20 per cento dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno dell'assunzione.
Intorno a questi due cardini vertono le modifiche apportate al D.Lgs. n. 368/2001 dal D.L. n. 34/2014, con la previsione di un periodo transitorio, introdotto in sede di conversione in legge del
D.L. 34/2014 relativamente ai limiti quantitativi.
Dunque, la modifica in esame è intervenuta in modo rivoluzionario sul contratto a tempo determinato, impattando in primo luogo sull'articolo 1, comma 1 del D.Lgs. n. 368/2001 abolendo
percentuale massima, all'informazione sui diritti di precedenza ed alle nuove previsioni in favore delle donne in astensione obbligatoria per maternità.
89 Della riforma si sono occupati, tra gli altri, XXXXXXX – GHEIDO – XXXXXX, Lavoro a tempo determinato – XX 00 xxxxx 0000, x. 00, Xxxxx, 0000; Job act, le novità per le imprese (a cura di) P. XXXXXX, Xxxxx, 2014; XxXXXXX Jobs Act (Legge 16 maggio 2014, n. 78), Maggioli Editore, 2014.
90 Numerosi gli aspetti modificati rispetto al testo originario, ma molti i dubbi che chi quotidianamente deve applicare le nuove regole si trova di fronte.
Infatti, se alcuni punti di criticità del testo ante conversione hanno trovato puntualizzazione nella legge n. 78/2014, sono rimasti irrisolti molti aspetti che costituiscono un fattore di rischio con conseguente latente contenzioso che si può innescare proprio a causa dei dubbi interpretativi. Peraltro, le modifiche hanno riguardato in misura significativa due istituti molto utilizzati e cioè il contratto a tempo determinato e quello di apprendistato. A fornire importanti indicazioni è intervenuta la Fondazione Studi del Consiglio nazionale dei Consulenti del lavoro con la circolare n. 13 del 12 giugno scorso.
Un corposo documento che interviene sui diversi aspetti toccati dal legislatore.
91 Per un’ampia analisi della riforma si vedano, tra gli altri, DAL BON E., Xxxxxx a termine: acausalità e limiti, in Diritto e Pratica del Lavoro, 31 / 2014, p. 1737; BACCHINI F., Jobs Act e legge di conversione: l’inizio di una svolta? In Diritto e Pratica del Lavoro, 29 / 2014, p. 164; XXXXXXX P. - SCAINI F., Le novità del Jobs Act in materia di contratto subordinato a termine, in Il Fallimento, 6 / 2014, p. 718.
completamente, per tutti i tipi di rapporti a tempo determinato, l'obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo che inducono il datore di lavoro ad apporre una scadenza al contratto.
Questo intervento è di sicuro impatto, per una serie di ragioni, non per ultimo per la grande diffusione di contenzioso92che la causale aveva prodotto negli anni, e che gli interventi precedenti avevano cercato, in modo discutibile, di semplificare. Questa volta la semplificazione è lampante: si è proceduto infatti ad eliminare, cancellare, far scomparire le causali di ricorso, senza distinzione tra primo contratto e contratti successivi.
Il disposto normativo, nella sua nuova stesura, recita infatti:
«È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato (a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro)93 di durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell'articolo 20 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276».
Per comprendere l'innovazione di tale previsione legislativa, basti pensare che la causale dal 2001 ad oggi, aveva completamente fallito creando la diffusione di un contenzioso formalistico, senza garantire un filtro contro gli abusi.
Una ricostruzione delle modifiche apportate alla normativa di riferimento in materia di rapporto a tempo determinato, evidenzia un costante pregiudizio nei confronti di questa fattispecie contrattuale. Dapprima evidente con la disciplina dettata dalla legge n. 230/1962, nella tipizzazione (in ultimo anacronistica) delle causali di ricorso al contratto a tempo determinato. In seguito con l'introduzione del D. Lgs. n. 368/2001 che aveva prodotto l'effetto illusorio di attenuare tale pregiudizio, in particolare con la novità dell'introduzione di una clausola generale ed elastica delle «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» che dovevano legittimare l'apposizione del termine.
La lettura del disposto normativo, ma ancor più la dottrina e soprattutto la giurisprudenza ad esso successiva, avevano evidenziato la necessità di non limitarsi all'individuazione della causale così come indicata dall'articolo 1, comma 1, ma anche la specificazione, per iscritto, delle ipotesi di legittima apposizione del termine, a pena di inefficacia della clausola di apposizione del termine.
92 Così si è espresso, Tribunale dell'Aquila, sez. lav., 14 marzo 2012; Tribunale di Reggio Calabria, sez. lav., 29 gennaio 2007, Tribunale di Bologna, sez. lav., 28 febbraio 2012; Xxxxx x'Xxxxxxx xx Xxxxxxx 00 maggio 2011, sez. lav., n. 231.
93 Il testo tra parentesi è stato soppresso e sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.L. n. 34/2014.
Emerse da subito, infatti, come non fosse sufficiente richiamare formule astratte e generiche, ma occorresse esplicitare la concreta situazione di fatto riconducibile alla causale prescelta, anche al fine di consentire al lavoratore di conoscere pienamente la motivazione alla base dell'instaurazione del rapporto, permettendo al contempo, nell'eventuale fase di conflitto, un efficace controllo giudiziale sulla causale, onde accertarne la sussistenza in concreto, la veridicità e la rispondenza al rapporto in atto94.
Questa situazione aveva portato alla diffusione di un enorme contenzioso in materia di causali nei contratti a tempo determinato; contenzioso che portava a guardare con diffidenza e timore all'apposizione delle stesse.
Il Decreto Poletti si inserisce in maniera decisiva in questa situazione, eliminando ogni causalità95. Rimangono invece invariate le previsioni dell'articolo 3, comma 1 del D.Lgs. n. 368/2001.
Tra le novità più importanti rilevabili nella disciplina dei contratti a termine dopo le profonde modifiche introdotte con la legge n. 78/2014, spicca quella delle proroghe.
Prima di tutto è utile fare chiarezza sul significato di questo istituto e sulle differenze con quello dei rinnovi.
La proroga si verifica ogni volta che le parti di un contratto a termine, prima della scadenza, vogliono allungare la sua durata. Si parla, invece, di rinnovo quando le parti, dopo la scadenza del termine decidono di avviare un nuovo rapporto.
La riforma del mercato del lavoro in esame nulla cambia sulla disciplina dei rinnovi, ritoccata più volte dalle riforme precedenti, mentre interviene in maniera rilevante sulla disciplina delle proroghe.
Il nuovo articolo 4 comma 1 del D.Lgs. n. 368/2001, subisce una importante modificazione ed il testo, nella sua attuale stesura, recita:
«Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 3 anni. In questi casi (la
94 Così, Cass. civ., sez. lav., n. 3862/201
95 Prima del decreto in commento, il D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni nella legge n. 99/2013, pubblicato a distanza di 11 mesi dall'entrata in vigore della legge n. 92/2012, impattando in maniera significativa proprio su quest'ultima, aveva introdotto il primo contratto acausale della durata di 12 mesi.
Le modifiche apportate alla fattispecie contrattuale in oggetto, si ponevano l'obiettivo di accelerare la creazione di posti di lavoro, a tempo determinato e indeterminato, soprattutto per i giovani e i disoccupati di tutte le età e probabilmente contribuivano a perorare la causa della flessibilità buona, agendo però, ancora una volta, sul riconoscimento legale dei comportamenti che prima della riforma Fornero erano da ricondursi a fattispecie illecite (ci si riferisce alla acausalità) e comunque contrari al principio della stabilizzazione dei rapporti. Si tenga conto inoltre che la previsione che aveva introdotto il contratto acausale della durata di 12 mesi, sebbene si ponesse sicuramente a supporto delle aziende in termini di miglioramento della flessibilità, aveva caratteristiche di scollamento dall'effettivo contesto socio - economico posto che i 12 mesi messi a disposizione per i contratti acausali non erano e non sono certo sufficienti per poter permettere alle aziende di avere certezza circa la ripartenza: la tuttora persistente instabilità del mercato non offre infatti prospettive di ripresa a così breve termine. Risulta quindi, ancora una volta, superato o si auspica superabile ogni possibilità di scollamento con il reale contesto, permettendo non solo l'abolizione di ogni causale, ma estendendone la durata ai 36 mesi complessivi.
xxxxxxx è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca) le proroghe sono ammesse, fino ad un massimo di 5 volte, nell'arco dei complessivi 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi e a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai 3 anni».
La proroga, secondo il vecchio articolo 4, era strettamente legata al singolo contratto e poteva essere prevista anche per un periodo superiore al termine iniziale (e, comunque, entro il tetto massimo dei 36 mesi) a condizione che vi fosse il consenso del lavoratore, che si riferisse alla stessa attività lavorativa e che, infine, sussistessero ragioni oggettive.
Ora, la previsione dell'originario D.L. n. 34/2014 che annunciava addirittura 8 proroghe nell'ambito dello stesso contratto, è stata superata dal testo definitivo pubblicato in Gazzetta Ufficiale la sera del 19 maggio 2014, il numero massimo delle stesse viene stabilito in 5 nell'ambito dei 36 mesi e a prescindere dal numero dei rinnovi contrattuali.
In sostanza, le proroghe costituiscono una sorta di "concessione" da spendere nell'arco temporale massimo e non sono più riferite ai singoli contratti a tempo determinato. Da ciò ne consegue che il datore di lavoro può gestire, con la fine delle ragioni giustificatrici, le proprie eventuali esigenze sia stipulando una pluralità di contratti a termine, sia attingendo alle proroghe, che, infine, essendocene le condizioni, ricorrendo alla possibilità di "sforamento" del termine, con la prosecuzione del rapporto fino a 30 o 50 giorni (a seconda della durata del contratto) con le maggiorazioni legali previste dall'articolo 5 del D.Lgs. n. 368/2001.
Le motivazioni oggettive, determinanti per la legittimità della vecchia proroga, non ci sono più: l'eliminazione è coerente con il fatto che è stata superato il requisito delle ragioni giustificatrici.
Il consenso del lavoratore è invece sempre richiesto: su questo aspetto nulla è cambiato rispetto al passato e la stessa giurisprudenza ha convenuto, fin dalla vigenza della legge n. 230/1962, che lo stesso potesse essere manifestato anche in forma orale96, o addirittura ravvisabile in «fatti concludenti» quali la prosecuzione dell'attività lavorativa97, potendo essere fornito dal prestatore, anche in via preventiva, al momento della stipula iniziale98.
La proroga deve riguardare la «stessa attivitàà lavorativa»: in passato, in presenza delle «causali», la giurisprudenza99 l'aveva riferita alla «dimensione oggettiva riferibile alla destinazione aziendale». Ciò stava a significare che attraverso la proroga il dipendente non poteva essere
96 Si vedano le pronunce della Cass. civ., sez. lav., n. 6305/1988; Cass. civ., sez. lav., n. 4360/1986; Cass. civ., sez. lav., n. 3517/1981.
97 In tal senso, Cass. civ., sez. lav., n. 4939/1990.
98 Così, Cass. civ., sez. lav., n. 6305/1980.
99 Si è così espresso, Cass. civ., sez. lav., n. 10140/2005; Cass. civ., sez. lav., n. 9993/20.
adibito ad altre attività non correlate a quelle per le quali il contratto era stato originariamente stipulato. Detto questo, e in attesa di auspicabili chiarimenti amministrativi ed orientamenti dottrinari, non può che affermarsi il principio secondo cui il lavoratore non possa essere utilizzato, anche in reparti od uffici diversi, soltanto per le mansioni per le quali è stato sottoscritto il contratto originario.
Una ulteriore novitàà, conseguente alla fine delle ragioni giustificatrici, è rappresentata dal fatto che il legislatore della legge n. 78/2014 ha provveduto ad eliminare il comma 2 dell'articolo 4 (l'onere della prova della esistenza delle stesse a carico del datore di lavoro) in quanto esso era divenuto del tutto superfluo.
Il problema della applicabilità delle nuove regole ai contratti in essere stipulati prima del 21 marzo 2014 (data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014) è stato risolto dall'articolo 2-bis (introdotto in sede di conversione) il quale afferma che le modifiche introdotte con l'articolo 1 (contratti a termine) e con l'articolo 2 (contratti di apprendistato) si applicano unicamente ai rapporti di lavoro instaurati a decorrere dalla data appena citata, fermi restando gli effetti già prodotti dalle disposizioni del D.L. n. 34/2014 (prima delle modifiche) che è stato in vigore dal 21 marzo al 19 maggio 2014 . Detto principio non è altro che l'applicazione di quanto previsto, in via generale, sotto l'aspetto civilistico, secondo cui nei contratti si applicano le regole vigenti al momento della loro conclusione.
Per quanto riguarda la durata massima e successione di contratti, la regola generale prevede che tra un datore di lavoro e un lavoratore la somma complessiva dei rapporti instaurati per le stesse mansioni non possa eccedere la durata massima di 36 mesi.
Nel computo rientrano tutti i periodi di attività lavorativa, quindi si calcolano anche quelli svolti sulla base di proroghe e rinnovi; non si calcolano invece i periodi di inattività eventualmente intercorsi tra la fine di un contratto e l'inizio di un nuovo rapporto.
La legge specifica che nel computo rientrano solo i periodi di lavoro svolti per mansioni equivalenti: ne consegue che il datore di lavoro potrebbe anche superare i 36 mesi cambiando le mansioni, ma ovviamente questo sarebbe oggetto di una verifica molto rigorosa in sede giudiziale. La legge consente poi alla contrattazione collettiva di allungare il termine di 36 mesi, e consente anche di stipulare oltre il termine di 36 mesi un altro contratto della durata massima definita dagli accordi interconfederali, previa convalida presso la Dtl.
Ulteriore elemento di sicuro interesse è che, mentre la legge n. 92/2012 aveva specificato che devono essere computate nel periodo di 36 mesi anche le missioni svolte nell'ambito di un contratto di somministrazione a termine, la legge n. 78/2014 di conversione del Decreto Poletti,
nel ritoccare questa disposizione, ha ulteriormente chiarito che la soglia dei 36 mesi si applica al solo contratto a termine100.
Inoltre, le modifiche introdotte dalla legge n. 78/2014 in riferimento al diritto di precedenza, si sostanziano come segue.
a) Il diritto di precedenza (che riguarda anche i lavoratori stagionali) deve essere espressamente richiamato nel contratto a termine, che deve essere redatto in forma scritta, come ribadito dall'articolo 1, comma 2, del D.L. n. 34/2014.
L'aver previsto, come obbligatorio, l'inserimento dell'informativa sul diritto di precedenza, risolve, una lunga diatriba circa l'informazione che i datori di lavoro, secondo l'Inps, dovevano, comunque, fornire ai propri dipendenti con contratto di lavoro a termine circa il diritto di precedenza. Tale onere era espressamente richiesto dall'Istituto ai fini dell'applicazione dell'articolo 4, comma 12, della legge n. 92/2012 il quale subordina, tra le altre cose, il riconoscimento di agevolazioni correlate ad una nuova assunzione incentivata al rispetto del diritto di precedenza geminato da un precedente rapporto che avesse superato la soglia dei 6 mesi. Ora, l'averlo inserito in una disposizione normativa fa cessare qualsiasi controversia, fermo restando che un eventuale mancato rispetto non inficia la validità dell'altro rapporto instaurato e pertanto ciò che viene meno sono, soltanto, gli incentivi correlati.
Il diritto di precedenza va espressamente richiamato nella lettera di assunzione.
C’è da aggiungere che, secondo la nuova disciplina i contratti a termine non possono eccedere il 20% dell'organico, calcolato come somma dei lavoratori a tempo indeterminato presenti all'inizio dell'anno di riferimento.
Un aspetto che è variato nel passaggio parlamentare è stato il riferimento alle imprese che, con un organico fino a 5 dipendenti potevano sempre assumere un lavoratore con contratto a termine. Il riferimento alle imprese infatti è stato sostituito, più propriamente, con le parole «i datori di lavoro»: che il cambiamento sia stato giusto lo dimostra il fatto che, ora, anche i datori di lavoro che non sono imprese (si pensi, ad esempio, agli studi professionali, alle associazioni o alle fondazioni) e che, prima erano esclusi, possono assumere lavoratori con contratto a tempo determinato acausale.
Quando si parla di datori di lavoro con un organico (di lavoratori subordinati a tempo indeterminato) fino a 5 unità, si intende che il numero va da 0 fino a 5.
100 La previsione della legge n. 78/2014 arriva a rafforzare quanto era stato affermato dall'interpello ministeriale n. 32/2012 nel quale il Ministero del lavoro aveva risposto ad una istanza avanzata da Assolavoro, in ordine alla corretta interpretazione del disposto normativo ex articolo 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, afferente al computo del periodo massimo di occupazione del lavoratore in caso di successione di più contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti.
La Dgai, in risposta al quesito avanzato, ritenne che un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di 36 mesi, potesse impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Il limite quantitativo di utilizzazione può essere derogato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, che potranno fissare un tetto più ampio o più basso, ma anche definire un criterio di calcolo diverso101.
Tornando al testo normativo non si può che sottolineare come il legislatore abbia individuato il momento ed il modo nel quale va calcolata la percentuale del personale in forza nell'anno di riferimento.
Esso è il 1° gennaio dell'anno al quale si riferisce l'assunzione ed il computo va effettuato soltanto sul personale in forza a tempo indeterminato.
Ciò significa che la fotografia non tiene assolutamente conto di altro personale, a vario titolo, in organico, come i lavoratori a termine, quelli accessori, quelli con contratto di lavoro intermittente a tempo determinato o quelli che sono titolari di rapporti di natura autonoma. L'aver scelto, quale riferimento la data del 1° gennaio, indubbiamente favorisce i conteggi, soprattutto se rapportata ad altri criteri presenti nella contrattazione collettiva che fanno riferimento alla media semestrale od annuale.
La scelta adottata dal legislatore per quanto appaia di facile interpretazione, presenta però alcune criticità.
Si pensi ad esempio all'ipotesi di aziende nate in corso d'anno e che pertanto al 1° gennaio non avevano personale in forza, o alle ipotesi di intervenute operazioni societarie che hanno comportato, ad esempio, incorporazioni, o si pensi se, durante l'anno, a seguito di acquisizione, anche in virtù di una norma contrattuale, del personale già in forza presso un altro datore di lavoro a seguito di cambio di appalto o, comunque, di successione nel contratto, si debba mantenere (come parrebbe) il riferimento al 1° gennaio.
Molte di queste criticità potranno essere risolte con chiarimenti espressi in via amministrativa dallo stesso Ministero del Lavoro102.
101Si è sostenuto che emerge come, nella maggior parte dei casi, le imprese continueranno ad applicare l'aliquota contrattuale che, se si eccettua il Ccnl dei bancari e quello dei metalmeccanici che non ne fanno cenno, è presente nella maggior parte delle pattuizioni collettive più importanti, andando da un 7% nel settore del lavoro elettrico a un 35% in quello dell'autotrasporto, con, talora, una quantificazione indistinta tra contratti di lavoro a tempo determinato e contratti di somministrazione, e, talaltra, una dimensione aziendale diversa ove il riferimento contrattuale è all'unità produttiva (ad esempio, il contratto del terziario) e non all'azienda nel suo complesso.
102 Per la computabilità dei dipendenti a tempo indeterminato occorre tenere presenti alcune disposizioni che sembrano restringere la base di calcolo (a meno di interpretazioni amministrative espansive che non sembrano, tuttavia, trovare un supporto normativo), atteso che non vanno compresi quei lavoratori per i quali la norma non ne prevede il conto ai fini dell'applicazione di istituti contrattuali o legali o prevede una contabilità parziale:
a) gli apprendisti, per tutta la durata della fase formativa, ivi compresi quelli (pochissimi) assunti dalle liste di mobilità, atteso quanto affermato dall'articolo 7, comma 3, del D.Lgs. n. 167/2011.
b) gli assunti con contratto di reinserimento ex articolo 20 della legge n. 223/1991;
c) i lavoratori provenienti da esperienze di lavori socialmente utili o di pubblica utilità, così come previsto dall'articolo 7, comma 7, del D.Lgs. n. 81/2000;
d) i lavoratori somministrati, perché dipendenti dall'Agenzia di lavoro.
In applicazione del disposto di cui all'articolo 5, comma 4 septies del D.Lgs. n. 368/2001, in caso di violazione del limite percentuale si applica la sanzione amministrativa: a) pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno; b) pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno103.
In passato, una giurisprudenza consolidata aveva ritenuto che lo sforamento del limite contrattuale portasse alla conversione a tempo indeterminato del rapporto e, tale rischio (che riguarda anche la clausola legale del 20%) sussiste ancora, atteso che, una lettura formale del testo attuale (che, ovviamente, prescinde sia dal dibattito parlamentare che dalle polemiche dei “media”) introduce una sanzione amministrativa che potrebbe non escludere altre conseguenze sul piano civilistico. Essa è rapportata alla durata del rapporto a termine "eccedente" che è pari al 20% della retribuzione (da intendersi come “globale di fatto”) per ogni mese o frazione di mese superiore ai 15 giorni se l'infrazione si è realizzata per un solo lavoratore, per salire al 50% se interessa più lavoratori.104
Indubbiamente, la sanzione amministrativa potrebbe essere particolarmente pesante, in presenza di un rapporto a termine in violazione della percentuale che ha avuto una lunga durata: basti pensare ad un contratto a termine durato 3 anni, cosa che potrebbe produrre un importo pecuniario pari a migliaia di euro, solo riferendosi ad una percentuale del 20%.
Preme fare ultime annotazioni. Innanzitutto il suddetto obbligo di adeguamento al tetto del 20% previsto a decorrere dal 2015 opera a condizione che la contrattazione collettiva non fissi un limite percentuale più favorevole.
Le sanzioni non si applicano ai rapporti instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore del Decreto.
I lavoratori a tempo parziale sono calcolati pro-quota rispetto all'orario contrattuale pieno, così come previsto dall'articolo 6 del D.Lgs. n. 61/2000, mentre per quelli intermittenti a tempo indeterminato le prestazioni lavorative vanno rilevate con riferimento al semestre precedente, secondo quanto afferma l'articolo 39 del D.Lgs. n. 276/2003.
103 Gli importi della sanzione amministrativa, irrogata dagli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, confluiscono nel fondo sociale per l'occupazione e la formazione, previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera a) della legge n. 2/2009. Sarà, sicuramente, il Dicastero del Welfare, a dettare le modalità operative in base alle quali agiranno gli ispettori del lavoro (e gli altri organi deputati a far rispettare le norme relative alla regolarità dei rapporti).
104 Analoga previsione è prevista dal comma 4 dell’art. 23 del D. Lgs. 81/2015 (“Numero complessivo di contratti a tempo determinato”) che recita: “In caso di violazione del limite percentuale di cui al comma 1, restando esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, per ciascun lavoratore si applica una sanzione amministrativa di importo pari: a) al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno; b) al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno”.
Il datore di lavoro che alla data di entrata in vigore del Decreto abbia in essere rapporti di lavoro a tempo determinato che comportino il superamento del limite percentuale, è tenuto a rientrare entro il 31 dicembre 2014. In caso contrario non potrà stipulare contratti a termine finché non rientri nel limite percentuale.
Inoltre, l'articolo 10, comma 7, del D.Lgs. n. 368/2001 affida ai contratti nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, l'individuazione dei limiti quantitativi di ricorso al lavoro a tempo determinato ex articolo 1, comma 1 del medesimo D.Lgs. (cosiddette “clausole di contingentamento”).
Anche in questo contesto normativo, non ci si discosta dall'orientamento comune alla recente produzione di legislazione giuslavorista, che vede un crescente coinvolgimento del sindacato nella gestione del mercato del lavoro.
L'individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato stipulato ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Sono in ogni caso esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni.
Tuttavia, per poter godere dell'esenzione, il datore di lavoro deve specificare nel contratto che il rapporto soddisfa esigenze sostitutive: pertanto, in via eccezionale, sopravvive una forma di causale (che ha una doppia utilità, in quanto consente anche di non pagare la maggiorazione contributiva dell'1,4%, introdotta nel 2012 dalla riforma dell’allora Ministro del Lavoro, Xxxx Xxxxxxx).
Le esigenze sostitutive devono essere indicate applicando le regole e i criteri definiti dalla giurisprudenza già prima della riforma. Pertanto, la ragione sostitutiva deve essere indicata in modo tale da rendere possibile l'individuazione della persona che il lavoratore deve sostituire. In concreto, questo vuol dire che il datore di lavoro deve indicare il nome del lavoratore sostituito, in alternativa, può indicare elementi ulteriori (l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentono di determinare il numero dei lavoratori da sostituire105;
105 Così, Cass. civ., sez. lav., n. 10175/2010; Corte Costituzionale n. 107/2013.
c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
d) con lavoratori di età superiore a 55 anni (D.L. n. 76/2013)
Il limite quantitativo generale, in alcuni settori produttivi, si sovrappone con regole preesistenti che già stabilivano ipotesi di acausalità. Per il trasporto aereo e i servizi postali, infatti, in aggiunta alla regola generale appena introdotta dalla riforma del Ministro del Lavoro, Xxxxxxxx Xxxxxxx, vige un regime ulteriore di acausalità, applicabile solo in certi periodi dell'anno (da aprile a ottobre, di regola), entro la soglia del 15% massimo dell'organico.
La riforma non ha abrogato questi regimi preesistenti, e quindi i contratti stipulati sulla base delle norme che li hanno istituti si potranno sommare con le assunzioni effettuate ai sensi della normativa generale106.
3.3. Le agevolazioni per le start up nei contratti a tempo determinato
L’art. 28 del D.L. 179/2012 ha previsto, a favore delle start up innovative, alcune agevolazioni in materia di rapporto di lavoro subordinato da applicarsi nella fase di avviamento e crescita della nuova impresa innovativa, a vantaggio nuovamente della semplificazione, della flessibilità operativa e della riduzione degli oneri.
Tali agevolazioni riguardano in particolare i seguenti aspetti:
- i contratti di lavoro a termine;
- la retribuzione.
106 La legge n. 78/2014 di conversione del Decreto Poletti ha introdotto, rispetto al testo originario, un comma dedicato al settore della ricerca scientifica. Si tratta del comma 4b-octies della legge, che va ad inserirsi nell'articolo 10 della legge sul lavoro a tempo determinato (D.Lgs. n. 368/2001) quale comma 5-bis.
La norma si compone di due periodi che hanno un diverso campo di applicazione ed operano, in favore del settore della ricerca, una deroga a due limiti introdotti dal decreto. Vediamoli uno ad uno.
Nel primo periodo si stabilisce che i contratti a tempo determinato stipulati da questi enti con lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa ricerca non soggiacciono al limite del 20% dell'organico stabile previsto dall'articolo 1, comma 1 del D.L. n. 34/2014.
La ratio della disposizione è evidente. Gli istituti di ricerca vivono generalmente di commesse, incarichi e progetti che hanno finanziamenti a essi strettamente collegati, ed è dunque comprensibile che la maggior parte del loro organico sia assunto con riferimento ad ogni progetto.
La disposizione contenuta nel secondo periodo della norma ha un campo di applicazione diverso, non limitato ad una tipologia di ente, ma individuato solo dall'attività che forma oggetto del contratto di lavoro a tempo determinato.
Si applica infatti ai contratti che hanno a oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e dispone che essi possano avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono.
In questo caso, quindi, il limite dal quale si vuole esentare questa tipologia di contratti è quello di durata massima del contratto, stabilito in 36 mesi.
Anche in questo caso la ratio della disposizione è di facile intuizione. Come è stato rilevato nella relazione introduttiva al disegno di legge di conversione del Decreto Poletti al Senato, nel settore della ricerca l'ingaggio a termine per periodi anche superiori al triennio, legati alla durata del progetto di ricerca, costituisce uno standard comunemente accettato e praticato a livello internazionale e nazionale.
Gli stessi bandi per progetti di ricerca finanziati dall'Unione Europa, si ricorda nella relazione, prevedono una durata quinquennale.
In particolare la norma in esame disciplina che le disposizioni di favore operano solo nel corso dei primi quattro anni dalla data di costituzione della start-up innovativa o per il più limitato periodo previsto per la start-up innovativa già esistente.
Alle start-up innovative è riconosciuta la possibilità di stipulare contratti di lavoro a termine in applicazione delle disposizioni del D. lgs. 368/2001 e del capo I del titolo III del D.lgs. 276/2003, beneficiando di alcune deroghe alle disposizioni ivi contenute, nei termini che seguono.
Innanzitutto, viene sancito che il contratto di lavoro a termine, per le start-up innovative, può avere una durata minima di sei mesi ed una massima di trentasei mesi.
Oltre al limite massimo di trentasei mesi, le start-up innovative possono sottoscrivere con lo stesso soggetto un ulteriore successivo contratto, per la durata residua del periodo massimo di applicabilità della normativa di favore alla start-up innovativa, a condizione che la stipulazione avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro componente per territorio.
I contratti stipulati ai sensi del comma 3 dell’art. 28 sono in ogni caso esenti dalle limitazioni quantitative di cui all’art. 10, comma 7, del D.lgs. 368/201, cioè quelle previste dai contratti collettivi nazionali del lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
Sempre l’art. 28, comma 3, del Decreto 179/2012 disciplina che nell’intervallo temporale di durata massima del contratto a termine e sempre per lo svolgimento delle medesime attività inerenti o strumentali l’oggetto sociale della start-up innovativa, possono essere conclusi con lo stesso lavoratore più contratti a tempo determinato senza soluzione di continuità.
La start-up innovativa, dunque, potrà assumere personale con contratti a tempo determinato della durata minima di 6 mesi e massima di 36 mesi. All’interno di questo arco temporale, i contratti potranno essere anche di breve durata e rinnovati più volte, senza l’osservanza dei termini ordinari (10/20 gg.) o anche senza soluzione di continuità.
Dopo 36 mesi, il contratto potrà essere ulteriormente rinnovato una sola volta, per un massimo di altri 12 mesi, a condizione che la stipulazione avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e quindi fino ad arrivare complessivamente a 48 mesi. Dopo questo periodo, il collaboratore potrà continuare a lavorare in start-up con un contratto a tempo indeterminato.
In seguito alle modifiche introdotte dal D.L. 20.3.2014 n. 34, come si è detto, è venuto meno l’obbligo della causale ai fini della legittimità del contratto a tempo determinato.
Qualora, per effetto di successione di contratti a termine, il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi, comprensivi di proroghe o rinnovi, o la diversa maggiore durata prevista, e indipendentemente dagli eventuali periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.
La prosecuzione o il rinnovo dei contratti a termine oltre la durata massima prevista, ovvero la loro trasformazione in contratti di collaborazione privi dei caratteri della prestazione d’opera o professionale, determinano la trasformazione degli stessi contratti in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Le disposizioni trovano applicazione per il periodo di 5 anni dalla data di costituzione di una start-up innovativa, ovvero per il più limitato periodo previsto per le società già costituite.
Non è previsto alcun limite numerico di contratti a termine in relazione al numero di contratti a tempo indeterminato: si potrebbe ad esempio avere una start up con due dipendenti a tempo indeterminato e dieci dipendenti a tempo determinato.
Il contratto potrà prevedere, oltre ad una retribuzione fissa non inferiore al minimo tabellare, anche una parte variabile legata alla produttività e/o redditività dell’impresa, o all’efficienza e/o produttività del dipendente (es. stock option).
Premettendo che il predetto limite temporale quadriennale in relazione alle imprese già costituite si riduce proporzionalmente, è bene soffermarsi su alcune delle deroghe dette.
Innanzitutto, fermo restante la possibilità (genericamente, giova ribadirlo, prevista per tutte le imprese) di stipulare dei contratti cc.dd. acausali per una durata di 12 mesi, le ragioni tecnicoproduttive (presupposto di legittimità per l’apposizione di un termine al contratto) si ritengono sussistenti ogni qualvolta l’attività lavorativa sia inerente o strumentale all’oggetto sociale dell’impresa start up.
Inoltre, con riferimento alla possibilità di stipulare una pluralità di contratti a termine, senza soluzione di continuità, con lo stesso lavoratore, a prescindere dal c.d. periodo di latenza che, attualmente, come visto, è di 10 o 20 giorni a seconda che il contratto abbia una durata inferiore o superiore ai sei mesi, occorre osservare come siano previste delle misure immediatamente applicabili quali quelle incentrate: - sull’ esenzione dal contributo addizionale Aspi (per le assunzione non a tempo indeterminato) pari all’1,4% del reddito imponibile; - sul credito d’imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato a tempo indeterminato; • - sulla non assoggettabilità fiscale e contributiva dei redditi del lavoratore (o dei percettori di redditi assimilati al lavoro dipendente) provenienti dall’attribuzione datoriale di strumenti finanziari, stock options e work for equity.
Sempre nella direzione di una riduzione del costo del lavoro, il legislatore, ha previsto, in capo alla contrattazione collettiva, il potere di: - rideterminare i minimi tabellari in funzione all’avvio delle imprese innovative; - riadattare le regole collettive inerenti la gestione del rapporto di lavoro alle specifiche esigenze delle start up. Fermo restante la potenziale efficacia di tali misure agevolative, non può non sottolinearsi come lo sviluppo delle imprese innovative già di per sé concorrerebbe a risolvere uno dei grossi problemi delle politiche occupazionali degli ultimi 20 anni: l’adeguamento del nostro tessuto economico alla domanda di lavoro dei neo-laureati che, non di rado, si vedono occupati in realtà che hanno poco in comune con il percorso di studi da questi intrapreso.
Infine, l’art.27bis del Decreto 179/2012, introdotto in sede di conversione in legge107, prevede alcune semplificazioni per la start up innovativa o l’incubatore certificato che intende accedere al credito d’imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato di cui all’art. 24 del DL 83/2012 (convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134).
Il beneficio corrisponde al 35% con un limite massimo di Euro 200.000,00 annui ad impresa, del costo aziendale sostenuto per le assunzioni a tempo indeterminato di:
- personale in possesso di un dottorato di ricerca universitario conseguito presso una università italiana o estera se riconosciuta equipollente in base alla legislazione vigente in materia;
- personale in possesso di laurea magistrale in discipline in ambito tecnico o scientifico, di cui all’Allegato 2 al D.L. 83/2012, impiegato in attività di ricerca e sviluppo.
Per la start-up innovativa e l’incubatore certificato, al fine della concessione dell’agevolazione, sono previste le seguenti deroghe alla normativa generale prevista dal D.L. 83/2012:
- è ammessa l’assunzione a tempo indeterminato sotto forma di apprendistato;
- non è richiesta la certificazione della documentazione da parte di un professionista iscritto al registro dei revisori o del Collegio sindacale prevista dal citato art. 24, commi 8, 9 e 10;
- l’istanza di cui all’art. 24, comma 6 del Decreto 179/2012, è redatta in forma semplificata, secondo le modalità che saranno stabilite con un apposito decreto direttoriale del Ministro dello sviluppo economico.108
3.4. Remunerazione variabile dei dipendenti e attraverso strumenti di partecipazione al capitale
Alle start-up innovative è data facoltà di remunerazione variabile: fatto salvo un minimo tabellare, è lascito alle parti stabilire quale parte della remunerazione sia fissa e quale variabile.109
In particolare, la retribuzione dei lavoratori assunti da una start-up è costituita :
- da una componente fissa, che non può essere inferiore al minimo tabellare previsto, per il rispettivo livello di inquadramento, dal contratto collettivo applicabile;
- da una componente variabile, consistente in trattamenti collegati all’efficienza o alla redditività dell’impresa, alla produttività del lavoratore o del gruppo di lavoro, o ad altri obiettivi o parametri di rendimento concordati tra le parti, incluse l’assegnazione di opzioni per l’acquisto di quote o azioni della società e al cessione gratuita delle medesime quote o azioni. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono definire, in via diretta ovvero in via delegata ai livelli decentrati, mediante accordi interconfederali o di categoria o avvisi comuni, i criteri per la determinazione di minimi tabellari e le disposizioni
107 La legge di conversione è del 17.12.2012 n. 221.
108 Si veda diffusamente sull’argomento dei contratti a tempo determinato, X. Xxxxxxxxxx – x. Xxxxxxxx, Come finanziare una start up innovativa, Epc Editore,2015, p. 171-173.
109 Ibidem, pp. 173-182
finalizzate all’adattamento delle regole di gestione del rapporti di lavoro alle esigenze delle start up innovative.
Al fine di incentivare e fidelizzare i lavoratori dipendenti, i collaboratori e gli amministratori delle start-up innovative e degli incubatori certificati, l’articolo 27 del D.L. 197/2012 prevede specifiche agevolazioni per remunerare i propri collaboratori con strumenti di partecipazione al capitale sociale (come le stock options), e i fornitori di servizi esterni attraverso il cosiddetto work for equity.
Il regime fiscale e contributivo che si applica a questi strumenti è vantaggioso e concepito su misura rispetto alle esigenze tipiche di una start-up.
Queste sono le due diverse agevolazioni:
a) agevolazione fiscale e contributiva per le retribuzioni corrisposte al personale sottoforma di assegnazione di azioni/quote della start-up, piani di stock option e strumenti analoghi;
b) agevolazione fiscale per la remunerazione di prestatori di opere e servizi mediante l’assegnazione di azioni/quote o altri strumenti finanziari delle start-up (“work for equity”).
Tutto ciò deroga al divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni qualora l’operazione sia effettuata in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di strumenti finanziari a dipendenti, collaboratori, componenti dell’organo ammnistrativo o prestatori di opere o servizi, anche professionali (stock options e work for equity) ed usufruendo del regime fiscale e contributivo di favore: il reddito derivante dall’attribuzione di questi strumenti finanziari non concorre alla formazione della base imponibile, sai a fini fiscali che contributivi.
L’agevolazione consiste nella non imponibilità, sia ai fini fiscali che contributivi, del reddito da lavoro dipendente ed assimilati derivante dalla assegnazione al personale di strumenti finanziari e diritti simili.
I soggetti beneficiari dell’agevolazione specifica per le start-up innovative sono:
a) gli amministratori delle start-up;
b) i lavoratori legati da un rapporto di lavoro dipendente con le start up innovativa o con l’incubatore certificato, anche se a tempo determinato o part-time;
c) i collaboratori continuativi, vale a dire tutti quegli altri soggetti, ivi inclusi i lavoratori a progetto, il cui reddito viene normalmente qualificato come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ai fini fiscali, diversi dai prestatori di opere e servizi.
La relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del D.L. in esame110 chiarisce che: “tra gli emolumenti premiali oggetto dell’esenzione, devono intendersi ricompresi tutti gli incentivi attribuiti mediante l’assegnazione, a titolo gratuito od oneroso, di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi emessi o diritti assegnati dalle start-up innovative, ivi inclusi i piani di incentivazione che prevedano:
110 Conversione in legge del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese approvato con il nuovo titolo “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”. La legge di conversione è del 17.12.2012 n. 221.
(i) la diretta assegnazione di strumenti finanziari (anche sotto forma di c.d. restricted stock);
(ii) l’attribuzione di opzioni di sottoscrizione o acquisto di strumenti finanziari;
(iii) la promessa di assegnare strumenti finanziari nel futuro (le c.d. restricted stock unit)”.111
Questo regime agevolato, specifico per amministratori, dipendenti e collaboratori di start up innovative e di incubatori certificati, si affianca a quello previsto, per le generalità dei dipendenti delle imprese, dall’articolo 51, comma 2, lett. G) del Tuir ed è applicabile, questa la differenza sostanziale, indipendentemente dalla circostanza che sia realizzato un piano incentivante rivolto alla generalità degli amministratori, dipendenti e collaboratori continuativi della start-up innovativa o dell’incubatore certificato, ovvero rivolto solamente ad alcuno di essi. Inoltre, l’articolo 27 in esame riconosce il regime di favore senza prevedere alcun limite di importo non imponibile degli strumenti finanziari, diversamente a quanto disposto dall’articolo 51, comma 2, lett. G), del TUIR che limita la non concorrenza al reddito alle azioni assegnate ai dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo di imposta a euro 2.065.83 per dipendente.
Il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione, da parte delle start-up innovative ai propri amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di strumenti finanziari o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari, non concorre alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti, sia ai fini fiscali, sia ai fini contributivi, a condizione che tali strumenti finanziari o diritti non siano riacquistati dalla start-up innovativa, dalla società emittente o da qualsiasi soggetto che direttamente controlla o è controllato dalla start-up innovativa ovvero è controllato dallo stesso soggetto che controlla la start-up innovativa.
Sono compensi agevolabili: assegnazione di “strumenti finanziari, o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari”.
A titolo puramente esemplificativo, le start-up innovative e gli incubatori certificati abilitati potranno, pertanto, attribuire ai beneficiari i seguenti compensi agevolati: azioni e/o quote; stock option; restricted stock e restricted stock unit; strumenti finanziari partecipativi.
Nel caso in cui un soggetto abilitato intenda attribuire ai propri beneficiari uno degli Strumenti Finanziari suindicati, nel rispetto delle modalità applicative di seguito indicate, può optare per l’adozione di un accordo o regolamento che ne disciplini espressamente i termini e le condizioni di emissione e/o maturazione, soprattutto nel caso in cui l’assegnazione sia estesa ad un numero elevato di beneficiari.
Assegnazione di azioni o quote: l’assegnazione di azioni o quote può avvenire mediante l’aumento di capitale a titolo gratuito112 e l’aumento di capitale a titolo oneroso113.
111 La Relazione è consultabile sul sito del Sentato della Repubblica xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx/00/XXX/Xxxxxx/Xxxxxxx/00000.xxx
112 Per le condizioni dell’aumento di capitale a titolo gratuito, sI veda l’articolo 2442 cod. civ.
Cessione di azioni o quote proprie: il soggetto abilitato può acquistare azioni o quote proprie e successivamente assegnarle ai propri beneficiari sia a titolo oneroso che a titolo gratuito.
Anche per l’attribuzione di stock option, restricted stock o rescticted stock unit: valgono le norme suddette.
Assegnazione di strumenti finanziari partecipativi: l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi a favore dei beneficiari dovrà essere deliberata dall’assemblea straordinaria. Come anticipato, la possibilità per i soggetti abilitati di emettere strumenti finanziari partecipativi a favore dei beneficiari dovrà essere espressamente prevista dallo statuto. Le azioni o gli strumenti devono essere emessi:
- successivamente al 19 dicembre 2012114;
- dalla start up con la quale il dipendente/collaboratore intrattiene il rapporto di lavoro, ovvero da una società direttamente controllata dalla start-up.
Qualora gli strumenti finanziari o i diritti siano ceduti in contrasto con tale disposizione, il reddito di lavoro che non ha previamente concorso alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti è assoggettato a tassazione nel periodo di imposta in cui avviene la cessione.
I beneficiari decadono dall’agevolazione qualora gli strumenti finanziari assegnati siano ceduto:
- alla start up;
- a un soggetto che controlla direttamente le start up;
- a un soggetto direttamente controllato dalle start up;
- a un soggetto controllato dalla stessa società che controlla le start up.
In tal caso ha luogo l’assoggettamento a tassazione, nell’esercizio di cessione, del reddito di lavoro originariamente esentato.
In caso di cessione degli strumenti finanziari ricevuti, a prescindere dalla eventuale decadenza dall’agevolazione, le plusvalenze realizzate sono tassate secondo le modalità ordinarie.
Regime diverso per strumenti assegnati ai professionisti, in seguito a prestazioni di opere e servizi (esenzione valida anche per la cessione di crediti).
L’articolo 27, comma 4, del D.L. prevede inoltre che: “Le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a fronte dell'apporto di opere e servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero di crediti maturati a seguito della prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali, resi nei confronti degli stessi, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l'apporto, anche in deroga all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, al momento della loro emissione o al momento in cui è operata la compensazione che tiene luogo del pagamento”.
113 Per le condizioni dell’aumento di capitale a titolo gratuito, sI veda l’articolo 2438 cod. civ.
114 Data di conversione del D.L. 179/2012
Le disposizioni in esame, al fine di garantire alle imprese start-up innovative l’accesso a servizi di consulenza altamente qualificati, ivi compresi quelli professionali, codifica il regime di non imponibilità degli apporti di opere e servizi già contemplata dall’Agenzia delle entrate (Circ 10/E del 16.3.2005) e lo estende anche all’ipotesi in cuoi gli apporti abbiano ad oggetto crediti maturati a fronte di opere e servizi resi a favore delle suddette imprese.
Per le start up innovative ed incubatori certificati la possibilità di assegnare strumenti finanziari e diritti di opzione con regime fiscale incentivato, in applicazione del comma 4 dell’articolo 31 del D.L., cessa:
- al venir meno di uno dei requisiti previsti dal comma 2 dell’articolo 25 per essere considerati start-up innovative;
- in ogni caso, trascorsi cinque anni dalla data di costituzione, ovvero per il più limitato periodo previsto per le società già costituite alla data del D.L. 197/2012.
CAPITOLO 4 –PHD e start up
4.1 I dottorati di ricerca: analisi comparata
Come è emerso nel corso della trattazione, per una start up la forza lavoro è un elemento distintivo di particolare importanza perché la possibilità di disporre di un insieme composito ed articolato di capacità e conoscenze che permettono di utilizzare e ottimizzare le risorse a propria disposizione massimizzandone così la loro efficienza può essere un importante vantaggio competitivo un imprenditore. Tra queste competenze, riveste un ruolo determinante la formazione scolastica e le precedenti esperienze dei lavoratori dell’azienda, fattori che, opportunamente combinati, permettono all’imprenditore di acquisire conoscenze di vario genere, necessarie per la nascita e lo sviluppo di una nuova attività imprenditoriale.
Nel processo di avvio della nuova impresa in termini di funzione o di area di influenza si possono individuare le seguenti variabili:
• variabili socio-culturali, che si riferiscono alla conformazione ambientale dei gruppi sociali e ai rapporti che intercorrono reciprocamente all’interno dell’ambiente e interconnettendo anche gli imprenditori. Un aspetto che incide sull'ambiente socio/culturale è l’impianto scolastico ed universitario, che consente di tramandare i valori imprenditoriali tramite gli strumenti didattici e i meccanismi di valutazione utilizzati, incrementando la vis imprenditoriale nel contesto ambientale.
• variabili fisico-naturali, che si attribuiscono all'insieme delle condizioni naturali (entità del territorio, risorse, clima, vie di comunicazione, etc.), demografiche (della popolazione e la sua suddivisione per età e sesso, ecc.) insistenti in una determinata area.
• variabili politico-legislative, in riferimento alle norme che ordinano il sistema dal punto di vista giuridico e influenzano il regime politico vigente.
• variabili economiche, che riguardano specialmente i vincoli del mercato e la condizione per l'impresa di trovare capitali, al modello di struttura che norma la produttività, commerciale, finanziaria di una nazione ed il suo connesso livello di sviluppo.
• variabili tecnologiche, che si ascrivono alle acquisizioni dello sviluppo scientifico e tecnico, che rappresentano il sostegno dei processi d’innovazione.115
115 Un esempio di start up di successo, anche grazie alle competenze della forza lavoro è rappresentato da Xxxxxxx, una applicazione per i telefoni cellulari che permette di scoprire le persone attorno a te che condividono amici e interessi con te. Glancee usa Facebook per trovare gli amici in comune e Wikipedia per incrociare gli utenti in base ai loro interessi. Si tratta di uno strumento di social discovery che rivela le connessioni meno visibili che abbiamo con le persone in cui inciampiamo ogni giorno al bar, campus o addirittura dal fruttivendolo. Fondata nel 2010 da Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx, è stata acquisita da Facebook nel 2012. È stata comprata prima di aver iniziato a guadagnare e senza aver ricevuto alcun finanziamento. Xxxxxx Xxxxxxx, ventottenne veronese, ha venduto la sua applicazione per mettere in contatto tra loro persone con interessi simili. Così il giovane Xxxxxxx racconta la sua straordinaria esperienza ad un giornalista: "Xxxx Xxxxxxxxxx mi ha portato a passeggio per il campus. Le nostre idee sul social discovering erano molto allineate e mi ha convinto che Facebook fosse il posto giusto dove svilupparle" Glancee è stata una delle applicazioni che più ha attirato l'attenzione durante il South by Southwest (SXSW); si può a
Nel progresso economico corrente, la crescita di idee e progetti creativi ha un valore economico sempre più importante. La necessità di idee creative si sente più impellente nel ramo dell’alta tecnologia, dove nascono continuamente nuovi bisogni ai quali si deve essere in grado di generare nuova ricchezza e “proprietà intellettuale” (brevetti, diritti d'autore, marchi di fabbrica, design registrato), al fine di sostenere lo sviluppo dei settori economici più tradizionali. Per una nazione come l'Italia, che ha una forma industriale, appunto, indirizzata verso le produzioni tradizionali, i piani di crescita e di trasformazione derivano dalla sua capacità di concepire nuove proposte imprenditoriali e dalle specifiche caratteristiche dei nuovi imprenditori, soprattutto nei settori ad alta tecnologia.
Nella vita di un’impresa, l’avvio è la fase decisiva: essa deve essere convenientemente elaborata e implementata al fine di minimizzare i rischi economico-finanziari e commerciali che comunemente si devono affrontare nei primi mesi e anni.
In questo senso si sono attivate numerose iniziative di collaborazione con il mondo produttivo e le realtà imprenditoriali, nazionali ed internazionali, che contraddistinguono da tempo molte delle università italiane che si sono impegnate nella valorizzazione della ricerca, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, corredandosi di specifiche cariche per l’implemento tecnologico e impegnandosi nella creazione dei potenziali imprenditori, prodigandosi nella realizzazione di strutture a sostegno della nuove aziende116 e nella concretizzazione delle cosiddette “imprese spin off”.117
ragione considerare uno degli eventi tech più importanti in Usa, dove è esploso il fenomeno del social discovering. L’applicazione funzionava attraverso l’uso di un algoritmo che studia Wikipedia per suggerire possibili amicizie tenendo conto degli interessi personali e del luogo dove uno si trova. Se qui c'è un amico di Facebook, una notifica push lo segnala. Xxxxxxx è ben consapevole che per avere successo bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare. Si augura che il suo esempio rappresenti un sensibile contributo alla comunità di startupper italiani e crede che questo successo darà sicuramente visibilità e autorità all’Italia. Il messaggio finale di Glancee è il non dover mollare l'Italia e venire in America, anzi: servono forte volontà, persistenza, coraggio e voglia di fare per riuscire nei propri xxxxxxx.Xx prospettiva tipica dell’impresa startup è una prospettiva di crescita: il business model di chi lancia una start-up è sempre indirizzato alla scalabilità. Per citare l’esempio di Facebook l’iscrizione è voluta fortemente quale gratuita dal suo fondatore perché la gratuità è funzionale al meccanismo del “Hey, sei su Facebook? No? Iscriviti così condividiamo foto o quello che ci pare, tanto non costa niente”. IL fatto che il modello di business di Facebook permetta a Facebook di avere introiti nonostante questa gratuità nell’iscrizione costituisce la scalabilità del modello stesso: più incentivi all’iscrizione, quindi più utenti, quindi più introiti dalla pubblicità quindi migliore gestione dei contenuti degli utenti stessi che inviteranno altri a diventare utenti (“tanto è gratis”) e così via. La scalabilità nel caso di Facebook è costituita dai cosiddetti effetti di rete ma in generale significa possibilità di avere ampi margini di crescita (si consideri il fenomeno Google e quando è stata fondata) e la crescita interessa una categoria di professionisti fondamentali per le imprese startup: gli investitori.
116 Dal 2000, il Politecnico di Torino collabora con Motoria a progetti di ricerca applicata, il Parco Scientifico del San Xxxxxxxx di Milano ospita al suo interno un centro di ricerca della società farmaceutica Schering-Plough e, dal 2004 l'Università di Trento ospita un nuovo centro di ricerca della Microsoft.
117 Impresa nata per scorporamento da un’altra, la quale mantiene tuttavia un ruolo fondamentale nei confronti della nuova realtà imprenditoriale, esercitando su di essa una significativa influenza soprattutto in termini di competenze e di attività svolte. Il processo di s.-o. consiste nella creazione di una nuova organizzazione ‘estratta’ da una precedente che impiega il know how accumulato dall’azienda “madre” per sviluppare un nuovo sentiero di conoscenze e uno specifico utilizzo che non rientrano in termini istituzionali o strategici nei fini della organizzazione di origine. A seconda del tipo di filiazione, si distinguono s.-o. imprenditoriali (venture o corporate s.-o.) e s.-o. accademici (academic o university s.-o.). I primi sono una emanazione di un’altra impresa già esistente; i secondi, entrati significativamente nelle politiche industriali dei Paesi occidentali a partire dagli anni 1980 e 1990, sono imprese high tech generate valorizzando i risultati della ricerca accademica, svolta nelle università o nei centri pubblici della ricerca (quali CNR, ENEA, INFM ecc.). Questa tipologia consente il trasferimento di conoscenza direttamente nel tessuto produttivo e possiede, con maggiore facilità rispetto alle imprese tradizionali, la capacità di assorbire le innovazioni messe a punto nei laboratori di ricerca (Cfr. Dizionario di Economia e Finanza, Treccani 2012).
Negli ultimi periodi si è sostenuto un impegno sempre maggiore nelle attività didattiche sia attraverso la formazione di studenti, sia attraverso i corsi universitari accompagnati da attività di ricerca, forum, convegni, tutti rivolti alla nascita e crescita delle nuove aziende.
Nella formazione delle università è in aumento progressivo il numero di corsi con oggetto l’imprenditore e l’imprenditorialità, con lo scopo di formare un rilevante bacino di possibili nuovi imprenditori, oltre che di un capitale umano di alto livello. A tutto ciò si deve unire la presenza dei centri per imprenditorialità nelle istituzioni accademiche, specularmente a quanto già accade nelle maggiori università americane.
Le università mirano sulla qualità della didattica e la scientificità, mettendosi in connessione con le istituzioni presenti nel territorio e in contatto con le imprese già esistenti. Questo movimento rappresenta l’impulso per lo sviluppo economico divenendo fonte di incremento dell'imprenditoria. Le università danno un forte impulso verso lo sviluppo di nuove imprese collaborando all'avviamento di cambiamenti e di nuove tecnologie, ampliando la gamma dei prodotti e dei servizi disponibili sul territorio, incrementando anche la differenziazione qualitativa.
Le università offrono l'occasione per entrare in contatto con soggetti e persone che possono avere “complementarietà” nell’azione imprenditoria, riducendo i costi di valutazione e di scelta durante l'intero processo di start-up. Consideriamo poi il ruolo decisivo giocato anche dalle attività formative e didattiche che danno l’opportunità al potenziale imprenditore di acquisire competenze manageriali e imprenditoriali che attiveranno il processo di creazione.
Il forte sistema di incentivi alle nuove imprese offerto dalle Università stimola lo sviluppo e la commercializzazione di nuovi prodotti (risultato nella maggior parte dei casi di una specifica attività di ricerca) e dall’altro legittima ed incoraggia l'azione imprenditoriale. All’interno delle università, soprattutto americane, si riscontra la presenza di un sistema di incentivi e di relazioni, proveniente da strutture quali le associazioni di alunni ed ex alunni e dai centri per l'imprenditorialità, che permette all’imprenditore di operare in un clima di valori condivisi ed all'interno di un "contesto favorevole all'iniziativa imprenditoriale.118
Inoltre, le università hanno il potere di far entrare in contatto gli imprenditori e creare possibilità di scambio di opinioni attraverso workshop, convegni, pratical project works, visit to local enterprises.
In questa prospettiva, anche in Italia, è stata introdotta un’agevolazione particolarmente interessante per le start up innovative, prevista dal programma nazionale Fix0 “S&U”.
Il Programma “Formazione e Innovazione per l’Occupazione Scuola e Università” (Fix0 “S&U”) è gestito da “Italia Lavoro” s.p.a. (agenzia di assistenza tecnica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) e concede contributi alle imprese che assumono:
118 Si veda, XXXXXXXX, X., Imprenditore ed università nello start-up di impresa: ruoli e relazioni critiche, Firenze University press, Firenze 2008, 99.
a) giovani dottori di ricerca di età compresa tra i 30 e i 35 anni non compiuti con contratto di lavoro a tempo pieno e determinato (almeno 12 mesi) o indeterminato;
b) giovani apprendisti in alta formazione e ricerca di età compresa tra i 16 e i 29 anni con contratto di lavoro anche part-time (almeno 12 mesi).
La prima misura aveva l’obiettivo di incentivare l’assunzione a tempo pieno di dottori di ricerca, di età compresa tra i 30 e i 35 anni non compiuti, attraverso contributi alle imprese private (di qualsiasi forma giuridica) per la stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato (almeno 12 mesi) o a tempo indeterminato.
Potevano presentare domanda di contributo i datori di lavoro privati che assumano a tempo pieno dottori di ricerca di età compresa tra i 30 e i 35 anni non compiuti.
Il bando ha previsto risorse finanziarie pari ad 1 milione di euro.
Le imprese vincitrici del bando hanno ricevuto un contributo (a titolo di de minimis) pari a:
1) 8.000,00 euro per ogni soggetto assunto con contratto di lavoro subordinato full time (a tempo indeterminato o determinato per almeno 12 mesi),
2) Più un eventuale contributo fino a 2.000,00 euro, pari al 95% delle spese per le attività di assistenza didattica individuale (minimo 80 ore).
La seconda misura prevedeva, invece, la concessione di contributi alle imprese private (di qualsiasi forma giuridica) che assumevano giovani con contratti di apprendistato di alta formazione e ricerca finalizzati allo svolgimento di attività di ricerca oppure al conseguimento dei seguenti titoli di studio: diploma di istruzione secondaria superiore, certificato di specializzazione tecnica superiore (IFTS), diploma di tecnico superiore (ITS), laurea triennale, laurea magistrale a ciclo unico, master universitario I° e II° livello, diploma di specializzazione, diploma di perfezionamento, dottorato di ricerca.
Potevano presentare domanda di contributo i datori di lavoro privati che assumano, a tempo pieno o a tempo parziale per almeno 24 ore settimanali, giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca che abbiano la sede operativa sul territorio italiano. Il contratto doveva avere una durata minima di 12 mesi.
Soggetti destinatari delle azioni di reinserimento lavorativo incentivato erano: diplomandi, diplomati, laureandi, laureati e dottorandi di ricerca di età compresa tra i 16 e i 29 anni.
Il bando, con una disponibilità finanziaria massima di Euro 3.216.000,00 euro, prevedeva un contributo per le imprese (a titolo di de minimis) pari a 6.000,00 Euro per ogni soggetto assunto con contratto di apprendistato a tempo pieno; 4.000,00 euro per ogni soggetto assunto con il contratto di apprendistato a tempo parziale per almeno 24 ore settimanali.
L’elenco delle imprese vincitrici ed ammesse a ottenere il contributo è stato pubblicato nei primi mesi del 2016.119
3.2 Il dottorato di ricerca e le start up
in virtù di quanto detto sin qui, il nostro legislatore ha previsto un’ulteriore agevolazione per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, ed in particolare nel mondo delle start-up, di giovani con un profilo altamente qualificato.
E’ stato, infatti, previsto un regime di favore per le start-up innovative e gli incubatori certificati che spettava a tutti i titolari di reddito di impresa e valevole per le assunzioni a tempo indeterminato, anche in caso di trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, di personale in possesso di titoli quali:
a) dottorato di ricerca universitario conseguito presso una Università italiana o estera se riconosciuto equipollente in base alla legislazione vigente in materia;
b) laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, di cui all’allegato 2 del D.L. 83/2012, impiegato in attività di ricerca e sviluppo.120
L’incentivo, introdotto dal “Decreto crescita (D.L. 83/2012, il cui decreto attuativo è entrato in vigore il 22.1.2014), destinato ogni tipo di impresa, riguarda soltanto per le assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo il 22 giugno 2012 e sino al 31 dicembre 2014 ( così come previsto dalla Legge di conversione n. 190/2014).121
Tali agevolazioni consistono in un credito di imposta pari al 35% del costo aziendale sostenuto per le assunzioni a tempo indeterminato per un periodo non superiore a 12 mesi decorrenti dalla data dell’assunzione. Il credito d’imposta non rientra nell’ambito di applicazione degli aiuti di Stato122, poiché risulta invece soggetta al regime “de minimis” per le start-up innovative e gli incubatori certificati.
119 Tutte le informazioni sono rinvenibili sul sito: xxx.xxxxxxxxxxxx.xx
120 Le lauree auree magistrali in discipline di ambito tecnico o scientifico si cui all’allegato 2, sono: LM-12 Design; LM-13 Farmacia e farmacia industriale; LM-17 Fisica; LM-18 Informatica; LM-20 Ingegneria aerospaziale e astronautica; LM-21 Ingegneria biomedica; LM-22 Ingegneria chimica; LM-23 Ingegneria civile; LM-24 Ingegneria dei sistemi edilizi; LM-25 Ingegneria dell'automazione; LM-26 Ingegneria della sicurezza; LM-27 Ingegneria delle telecomunicazioni; LM-28 Ingegneria elettrica; LM-29 Ingegneria elettronica; LM-30 Ingegneria energetica e nucleare; LM-31 Ingegneria gestionale; LM-32 Ingegneria informatica; LM-33 Ingegneria meccanica; LM-34 Ingegneria navale; LM-35 Ingegneria per l'ambiente e il territorio; LM-4 Architettura e ingegneria edile – architettura; LM-40 Matematica; LM-44 Modellistica matematico-fisica per l'ingegneria; LM-53 Scienza e ingegneria dei materiali; LM-54 Scienze chimiche; LM-6 Biologia; LM-60 Scienze della natura; LM-61 Scienze della nutrizione umana; LM-66 Sicurezza informatica; LM-69 Scienze e tecnologie agrarie; LM-7 Biotecnologie agrarie; LM-70 Scienze e tecnologie alimentari; LM-71 Scienze e tecnologie della chimica industriale; LM-72 Scienze e tecnologie della navigazione; LM-73 Scienze e tecnologie forestali ed ambientali; LM-74 Scienze e tecnologie geologiche; LM-75 Scienze e tecnologie per l'ambiente e il territorio; LM-79 Scienze geofisiche LM-8 Biotecnologie industriali; LM-82 Scienze statistiche LM- 86 Scienze zootecniche e tecnologie animali LM-9 Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche; LM-91 Tecniche e metodi per la societa' dell'informazione.
121 Per le assunzioni effettuate dall’1 gennaio 2015 si può, invece, usufruire del credito d’imposta (50%) previsto per attività di ricerca e sviluppo.
122 L’articolo 107 del TFUE introduce il principio dell’incompatibilità con il mercato interno (vale a dire il principio del divieto) degli aiuti concessi dagli Stati. Come prima definizione, anche se imprecisa, si può affermare che un “aiuto di Stato", rilevante ai sensi della normativa dell’Unione Europea, è un’agevolazione (sotto qualsiasi forma) concessa senza corrispettivo dallo Stato o
Il credito di imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato di cui al Decreto 23 ottobre 2013, prevede particolari agevolazioni in favore delle start-up innovative:
- Decorrenza agevolazioni. Le disposizioni di maggior favore per le start up innovative sono in vigore a partire dal 19 dicembre 2012 e comunque si applicano alle assunzioni di personale qualificato effettuate successivamente alla loro iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese;
- Contratti di lavoro agevolabili. E’ agevolabile il costo del personale assunto o trasformato a tempo indeterminato, compreso (solo per le start-up innovative) quello assunto attraverso i contratti di apprendistato;
- Risorse riservate. Riserva di risorse per le start up innovative pari ad Euro 2.000.000 annui.
- Modalità. Istanza redata in forma semplificata rispetto alle altre imprese. Per il resto valgono le norme generali sull’agevolazione:
- i lavoratori devono essere impiegati in attività di ricerca di base, ricerca industriale o sviluppo sperimentale;
- i posti di lavoro devono essere mantenuti per almeno 2 anni;
- le domande devono essere presentate tramite una apposita piattaforme informatica, attenendosi alle procedure e allo schema di domanda oggetto di specifiche comunicazioni annuali del Ministero dello Sviluppo Economico:
- il credito di imposta pari al 35% del costo aziendale sostenuto, per un periodo non superiore a 12 mesi, dal datore di lavoro per il nuovo assunto, da utilizzare in compensazione nel modello F24. L’agevolazione può essere utilizzata per un periodo massimo di un anno per ogni dipendente e con il tetto annuale di 200 mila euro;
- il costo aziendale di riferimento è rappresentato dalla somma della retribuzione lorda prima delle imposte, dei contributi obbligatori, quali gli oneri previdenziali e dei contributi assistenziali obbligatori per legge (ad es. assegni familiari e simili), per un periodo non superiore a 12 mesi decorrenti dalla data di assunzione;
- nei confronti delle imprese non soggette a revisione legale dei conti e prive di un collegio sindacale è concesso, ai sensi dell’art. 24, comma 9, del D.L. n. 83 un ulteriore contributo sotto forma di credito di imposta, pari alle spese sostenute e documentate per l’attività di certificazione contabile, entro un limite massimo di 5.000 euro e, comunque, sempre entro il tetto massimo pari a 200.000 euro per ciascun anno.
mediante risorse statali, a soggetti, che svolgono attività economica su un determinato mercato, conferendo loro un vantaggio, in grado di incidere sugli scambi interni e di falsare o minacciare di falsare la concorrenza. Il principio non è tuttavia assoluto, ma ammette deroghe per gli aiuti che perseguono determinati obiettivi.
La riserva destinata ogni anno a start-up innovative e incubatori certificati è di due milioni di euro. Se queste quote dovessero esaurirsi, entrambi i soggetti accedono, in regime “de minimis”, alle risorse disponibili rimanenti.123
L’importo del contributo sotto forma di credito d’imposta, riconosciuto al termine del controllo di ammissibilità, è indicato dall’impresa nella propria dichiarazione dei redditi relativa la periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è maturato.
Il contributo sotto forma di credito d’imposta:
- non concorre alla formazione del reddito, né alla base imponibile dell’Irap;
- non rileva ai fini del rapporto di cui agli artt. 61 e 109, comma 5, Xxxx (interessi passivi e altri componenti negativi deducibili).
Il credito di imposta può essere utilizzato in compensazione presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dell’Agenzie delle Entrate, pena lo scarto dell’operazione di versamento. Costituiscono cause di decadenza di diritto a fruire del contributo:
a) Riduzione o mantenimento, nei due anni, per le PMI, e nei tre anni, per le imprese di grandi dimensioni, successivi all’assunzione per la quale si fruisce del credito d’imposta, del numero totale dei dipendenti a tempo indeterminato, al netto dei pensionamenti. Costituisce motivo di revoca totale del credito d’imposta concesso il mancato incremento dell’occupazione complessiva (riferita solo si dipendenti a tempo indeterminato) dell’impresa beneficiaria nei due, o tre, anni successivi a quello in cui è intervenuta l’assunzione per la quale si fruisce del credito d’imposta. Per la verifica di tale condizione, la norma stabilisce che si prenda a riferimento, come dato occupazionale complessivo iniziale, il numero dei dipendenti a tempo indeterminato dell’impresa rilevato dal bilancio approvato dal CdA, ed esposto nella nota integrativa, relativo all’esercizio precedente a quello in cui è intervenuta l’assunzione. Si richiama, pertanto, l’attenzione delle imprese e, in particolare, del soggetto certificatore, in sede di compilazione delle istanze, ad inserire correttamente tale dato desumendolo dalla documentazione aziendale. Con i medesimi criteri, il soggetto certificatore provvederà a desumere dalla documentazione aziendale il dato occupazionale che dovrà essere comunicato, ai fini della verifica del mantenimento del credito d’imposta, con l’obbligo di restituzione degli importi già fruiti, maggiorati come per legge.
b) Mancata conservazione dei nuovi posti di lavoro per i quali di fruisce del credito d’imposta. Specifico motivo di revoca è rappresentato, inoltre, dalla mancata conservazione, ovvero dal mancato mantenimento del rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato del personale altamente qualificato per il quale di fruisce del credito d’imposta, per almeno due anni, per le PMI, e per almeno 3 anni per le imprese di grandi dimensioni.
123 Ogni impresa, nell’arco di tre esercizi, non può ricevere somme superiori a 100 mila euro nel settore del trasporto di merci su strada per conto terzi, 15 mila nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli, 30 mila nei settori pesca e acquacoltura e 200 mila in tutti gli altri settori.
c) Delocalizzazione della propria attività, realizzata dall’impresa beneficiaria successivamente all’11 agosto 2012, in un paese non appartenente all’Area Economica Europea, con la riduzione delle attività produttive in Italia nei tre anni successivi al periodo di imposta in cui ha fruito del contributo.
d) Accertamento definitivo di violazioni non formali sia alla normativa fiscale che a quella contributiva in materia di lavoro dipendente per le quali sono state irrogate sanzioni di importo non inferiore a 5.000 euro, oppure violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dalle vigenti disposizioni;
e) i casi in cui siano emanati provvedimenti definitivi della magistratura contro il datore di lavoro per condotta antisindacale.
La circolare del 9 gennaio 2015124, in risposta all’Interpello - Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 - Articolo 29 decreto- legge 18 ottobre 2012, n. 179 – Incentivi all'investimento in start-up innovative in caso di sottoscrizione di quote per il tramite di società fiduciarie, ha precisato inoltre che:
- fermo restando il rispetto della condizione generale di cui al precedente punto a), nel caso in cui il credito d’imposta sia stato concesso per l’assunzione di più dipendenti, l’eventuale mancata conservazione parziale dei nuovi post di lavoro per i quali si fruisce del credito d’imposta, determina la revoca parziale del credito concesso, con riferimento ai singoli dipendenti per i quali il rapporto di lavoro non è stato conservato;
- l’eventuale mancata conservazione del rapporto di lavoro relativo al profilo altamente qualificato può non costituire causa di revoca dalle agevolazioni qualora il dipendente cessato venga sostituito, entro 60 giorni, da figura professionale avente le stesse caratteristiche ci cui all’art. 2 lett. a) e b) del decreto 23 ottobre 2013.
Sulla piattaforma MiSE sono attive in continuità la funzioni per gli adempimenti periodici relativi alle istanze inerenti gli esercizi precedenti. Analoghe procedure sono previsti per gli anni successivi.125
3.3 Start-up innovative e Jobs Act
Come accennato nel capitolo che precede, la lsneegge 10 dicembre 2014, n. 183 (e i successivi decreti legislativi emanati in virtù della delega in essa contenuta) si fonda su quattro pilastri: il primo rappresentato dalla liberalizzazione del contratto a termine, il secondo dall’introduzione di una tipologia contrattuale nuova a tutele crescenti, il terzo dalla revisione del sistema di ammortizzatori sociali, il quarto dalla sperimentazione di un contratto di ricollocazione professionale. Il pacchetto di misure era finalizzato, nelle intenzioni dei proponenti, non solo a ridurre i costi ed aumentare la flessibilità del lavoro per favorire il rilancio produttivo, ma anche a superare la forte segmentazione del mercato del lavoro italiano ed il
124Il testo della risoluzione è rinvenibile sul sito: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxx/xxxx/xxxxxx/xxx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxx soluzioni/risoluzioni+2015/gennaio+2015+risoluzioni/risoluzione+n+9e+del+22+gennaio+2015/RIS+9e+del+22+01+15.pdf
125 Le informazioni sono tratte da Xxxxxxxxxx X. – Xxxxxxxx A., Come finanziare una start up innovativa, op. cit., pp. 183-192.
dualismo di tutele fra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, fra dipendenti a tempo pieno e indeterminato e dipendenti atipici con impegni temporanei e precari, fra lavoratori di medio-grandi imprese (più di 15 dipendenti nell’unità produttiva) e lavoratori di piccole imprese.
Il primo obiettivo si è cercato di raggiungerlo attraverso: i) la maggiore flessibilità in entrata nel mercato del lavoro posto che, pur a fronte di esigenze di lavoro stabile, il datore di lavoro potrà assumere a tempo determinato e potrà mantenere il lavoratore in questa situazione per 36 mesi (termine massimo previsto dalla legge), con reiterate proroghe (fino a 5) e plurimi rinnovi (nel rispetto dell’intervallo minimo rispettivamente di 10 o 20 giorni a seconda della durata infra o ultra semestrale del contratto), o per il periodo temporale più esteso autorizzato dalla contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero a seguito di semplice mutamento fattuale delle mansioni svolte dopo il primo triennio126. Ciò senza possibilità di sindacato giurisdizionale in ordine alla legittimità del ricorso alla figura contrattuale temporanea e quindi anche in ipotesi palesemente abusive, che vengono sanzionate solo in caso di superamento delle soglie massime legali (20% della forza lavoro occupata nell’impresa) con una sanzione amministrativa pecuniaria determinata in percentuale alle retribuzioni corrisposte ed al numero delle violazioni commesse127; ii) la maggiore flessibilità in uscita tramite l’utilizzo di un contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezioni crescenti128 che per il primo triennio di vigenza non prevede l’applicabilità della disciplina dei licenziamenti economici o per ragioni obiettive d’impresa, ma solo un contributo per il licenziamento progressivamente crescente e predeterminato in maniera fissa, con eventuale concorso dell’imprenditore al pagamento dell’indennità di disoccupazione involontaria pubblica che andrà a percepire il lavoratore una volta licenziato, in assenza di qualsivoglia controllo giudiziale sulla intervenuta cessazione del rapporto, salvo che quest’ultima non avvenga per ragioni discriminatorie129; iii) la maggiore flessibilità di gestione del rapporto di lavoro attraverso l’uso derogatorio del contratto collettivo aziendale; iv) la maggiore flessibilità nella gestione del lavoro pubblico attraverso la revisione delle discipline della mobilità, del distacco, del collocamento in disponibilità a seguito degli esuberi determinati dal processo di revisione della spesa pubblica, delle assunzioni temporanee, del divieto di trattenimento in servizio al raggiungimento dell’età pensionabile, oltre ad una consistente riduzione di spesa a seguito del blocco del turn over, della contrattazione collettiva nazionale e decentrata e degli stipendi fermi al 2010.
126 Così, Brollo M., La flessibilità del lavoro a termine dopo il “Jobs Act”, in Diritto del lavoro e mercato globale, Atti del Convegno in onore di Xxxxx Xxxx (Torino, 11-12 aprile 2014), pp. 135 e segg.
127 Si veda, la denuncia presentata dalla CGIL, principale sindacato italiano, alla Commissione europea in data 7 agosto 2014 di violazione da parte del d.l. italiano n. 34/2014 della Direttiva 1999/70/CE, nonché dell’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 24 della Carta Sociale Europea, e della Direttiva 2000/78/CE in materia di parità di trattamento nell’accesso all’occupazione e di lotta alla discriminazione fondata sull’età: “ È facile dunque prevedere che il contratto di lavoro a tempo determinato diventerà “la forma comune” di lavoro rovesciando completamente le finalità e la stessa impostazione perseguita dalla Direttiva 1999/70/CE, realizzando quella forma di “precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti” che la Corte di Giustizia ritiene sia in palese contrasto con la fonte normativa europea ”.
128 In tal senso Perulli A., Il diritto del lavoro tra libertà e sicurezza, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, I, pagg. 272-275
129 Documento di economia e finanza (D.E.F.) 2014, Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, Sezione terza, parte I, pag. III.
Il secondo obiettivo è forse più complicato da raggiungere, poiché è difficile che un’impresa rinunci a gestire in assoluta libertà svariati e ricorrenti contratti a termine, per assumere con un contratto a tutele crescenti che, sebbene più conveniente del modello tipico di lavoro subordinato, comunque sarebbe più oneroso del contratto a termine (almeno se si usa l’accortezza di fare contratti a termine di durata non massima o comunque non consistente). 130
Peraltro, il contratto a termine riscuoteva in Italia oltre il 70% dei consensi in termini di nuove assunzioni prima della riforma e con la riforma la percentuale è cresciuta, residua poco spazio concreto per il contratto a tutele crescenti.
La segmentazione ed il dualismo potrebbero, pertanto, conservarsi inalterati, con il rischio di un peggioramento per i giovani, destinati tutti a rimanere stabilmente nella temporaneità e nel precariato. D’altro canto la frammentazione dei modelli contrattuali utilizzati in Italia per disciplinare le diverse forme di conferimento del lavoro a vantaggio dell’impresa (oltre al lavoro subordinato, fra le altre, il contratto d’opera professionale, il contratto di agenzia, il contratto societario, il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, il contratto di lavoro a progetto, il contratto di associazione in partecipazione, il contratto di franchising, il contratto di procacciamento d’affari) risponde in prima battuta ad esigenze reali dell’impresa, che ha interesse economico a ricorrere a quella particolare tipologia contrattuale. Conseguentemente, una eliminazione e reductio ad unum dei contratti esperibili, invece di determinare una semplificazione e uno snellimento operativo con conseguente abbattimento dei costi burocratici di gestione, potrebbe essere causa invece di rigidità organizzative e di difficoltà operative nell’ambito di una gestione per obiettivi e di una gestione per progetti.
A fronte dei primi timidi segnali di ripresa dell’economia italiana, sarebbe opportuno, sul versante sociale comunque usare toni non troppo ottimistici, sia perché non qualunque crescita è positiva e porta benessere diffuso, sia perché un eventuale arretramento delle condizioni di lavoro, sollecitato da situazioni contingenti di mancata ripresa post crisi, rischia di divenire strutturale e consolidato e portare ad un peggioramento di lunga durata del tasso di coesione ed inclusione sociale, con possibili conseguenti effetti negativi sul piano della democraticità e della partecipazione, informale e istituzionale, alla vita del paese.131
In tal senso, se è vero che lo Stato italiano è obbligato a dar corso all’attuazione delle misure indicate dalla UE anche sul versante del mercato del lavoro, è anche vero che tali misure sono solo tratteggiate da parte delle istituzioni europee, non sono definite in maniera minuziosa e quindi lasciano spazi di manovra attuativa.
130 Così, Carinci F. (a cura di), La politica del lavoro del Governo Xxxxx - Atto II, Adapt Labour Studies e-Book Series, n. 32, 2014; Pizzoferrato A., Il percorso di riforme del diritto del lavoro nell’attuale contesto economico, in Argomenti Dir. Lav., 2015, 1, 53.
131 Di questa opinione, Pizzoferrato A., Il percorso di riforme del diritto del lavoro nell’attuale contesto economico, op. ult. cit.
E’ necessario un approccio pragmatico, che sappia dosare le indispensabili iniezioni di flessibilità richieste dalla crisi e dal confronto con sistemi economici a basso costo del lavoro e a limitate protezioni sociali con la salvaguardia del modello sociale e della dignità del lavoro, preservando lo scopo e la missione del diritto del lavoro.
Sin qui una valutazione generale della novità introdotte dal Jobs Act. Con particolare riferimento alle novità introdotte dal Jobs Act nel mondo delle start up, bisogna sottolineare quanto segue.
Dal primo gennaio 2015 è operativa l’agevolazione dell’esenzione triennale da contribuzione Inps per i lavoratori assunti a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2015.
Questa agevolazione è cumulabile con il credito d’imposta del 50% per assunzione di personale altamente qualificato impegnato in progetti di ricerca e sviluppo secondo gli orientamenti comunitari in quanto non rientra, come detto, nella disciplina degli aiuti di stato.
Nel caso che non lo sia start-up innovativa dovrà valutare la convenienza tra le diverse agevolazioni esistenti considerando che il credito d’imposta è una tantum mentre l’esonero contributivo è triennale.
Per favorire forma di occupazione stabile, viene introdotto uno sgravio contributivo ai datori di lavoro privati che assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato (con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico) nel periodo dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015. Lo sgravio è concesso per un periodo massimo di 36 mesi relativamente ai contributi previdenziali (non i contributi INAIL) a carico dei datori di lavoro fino ad un importo massimo pari a Euro 8.060 annui.
L’esonero non spetta:
- per i lavoratori che nei 6 mesi precedenti siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro;
- per i lavoratori per i quali il beneficio sia già stato usufruito in relazione a precedente assunzione a tempo indeterminato;
- per i lavoratori già assunti con un contratto a tempo indeterminato nei 3 mesi antecedenti al 1° gennaio 2015.
Lo sgravio non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente. Sono soppressi i benefici contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori disoccupati da almeno 214 mesi o sospesi dal lavoro o cassintegrati di cui all’articolo 8, comma 9, della L. n. 407/1990. Inoltre, in sede di approvazione parlamentare, l’agevolazione in esame è stata estesa anche ai datori di lavoro agricolo che assumono con contratto a tempo indeterminato (no apprendistato) con decorrenza dal 1° gennaio 2015, con riferimento ai contratti stipulati non oltre il 31.12.2015, con esclusione dei lavoratori occupati a tempo determinato che risultino iscritti negli elenchi nominativi per un numero di giornate di lavoro non inferiore a 250 giornate con riferimento all’anno solare 2014.
Per le assunzioni effettuate da start-up innovative ed incubatori certificati nell’anno 2015 si rende quindi necessaria un’attenta analisi comparativa dei costi e benefici di ogni scelta effettuata in sede di assunzione del personale in funzione dei benefici finanziari fiscali e contributivi attivabili.132
132 Ancora Xxxxxxxxxx X. – Xxxxxxxx A., Come finanziare una start up innovativa, op. cit., pp. 193-195.
CONCLUSIONI
A conclusione della presente trattazione, è opportuno svolgere delle riflessioni finali.
Come è stato confermato al recente Internet Festival di Pisa del primo fine settimana di ottobre 2015 che diffonde il libro bianco delle start up rivolto al governo, il mondo delle start up è in crescita: quattromila e oltre nuove imprese innovative, circa ventimila gli addetti, una realtà ad oggi in crescita. Nonostante ciò, il settore dei capitali di rischio per finanziare l’avvio di un’attività in Italia è ancora immaturo: nel 2014 gli investimenti in questo settore sono stati lo 0,002% del Pil, contro una media europea dello 0,024%.
La proposta indirizzata al Governo riguarda, in particolare, burocrazia e sistema fiscale, e si articola in diversi punti: agevolazioni per piccole e medie imprese che acquistano da startup innovative; revisione del regolamento Consob sul crowdfunding e dei limiti normativi rivolti agli organismi di investimento collettivo del risparmio per investimenti diretti o indiretti in startup; creazione di Fondi di tipo aperto per garantire la raccolta di almeno un miliardo di euro derivanti dall’industria del risparmio verso le startup; creazione di un Fondo di matching con Cassa Depositi e Prestiti; promozione all’estero del Made in Italy; armonizzazione delle regole di ingaggio dei fondi regionali.
In ogni caso, per quanto riguarda prettamente il tema trattato nel presente lavoro, i dati sono incoraggianti. Infatti, secondo quanto emerge dalla Relazione al Parlamento del Ministero dello Sviluppo Economico “Sullo stato di attuazione della normativa a sostegno delle startup e delle PMI innovative del settembre 2015”, il fenomeno delle start up sta assumendo dimensioni interessanti anche sotto il profilo occupazionale: “secondo i dati di fonte camerale, al 30 giugno 2015 le startup innovative impiegavano quasi 20.800 lavoratori (16.861 soci – presumibilmente coinvolti direttamente nell’attività d’impresa come soci lavoratori – e 3.924 dipendenti), circa 2.900 unità in più rispetto al trimestre precedente e 5.800 in più rispetto a fine 2014, quando i soci erano 14.862 e i dipendenti 3.025.”
Analizzando più a fondo il fattore capitale umano, si osserva che “un quarto dell’universo complessivo delle startup presenti nel Registro è costituito da imprese giovanili (under 35). Si tratta di un valore più che doppio rispetto al peso percentuale riscontrabile nel totale imprese (12%) e pari a quattro volte il dato relativo alle società di capitale (7%). Tale gap si amplifica notevolmente qualora si osservino tutte le società in cui è presente almeno un giovane nella compagine dei soci o nell’organo amministrativo (41% per le startup vs 13,6% per le società di capitali).
Per il 2013 è stato possibile ricostruire le informazioni sugli occupati per 1.443 imprese, su 1.486 iscritte al 31 dicembre, per un totale di 2.630 addetti (personale impiegato a qualsiasi titolo, inclusi i lavoratori autonomi). La distribuzione per settore di attività economica evidenzia il peso rilevante delle attività dei servizi e in particolare delle attività di software e di ricerca e sviluppo.
Di queste imprese, 634 presentavano, tra gli addetti, degli occupati dipendenti (1.554). Nel 2014 il numero di imprese con dipendenti è significativamente aumentato: in 1.010 imprese, sulle 3.179 iscritte al 31 dicembre, erano presenti 2.725 occupati dipendenti. L’aumento del numero di imprese con dipendenti è stato accompagnato da un aumento della dimensione media che passa da 3,2 dipendenti a 3,4 dipendenti.
L’aumento della dimensione media risulta quasi omogeneo sul territorio e per attività economica. Fa eccezione il Meridione dove il numero di imprese startup raddoppia nel periodo considerato mentre la crescita nelle altre aree è circa del 50%. Verosimilmente, il consistente aumento registrato nel Mezzogiorno è attribuibile a nuove imprese che, nella fase di avviamento, hanno un numero ridotto di dipendenti.”133 Sembrerebbe, quindi, che la strada intrapresa dal legislatore dia i suoi frutti e sarebbe opportuno continuare a perseguirla. Del resto, il Decreto sviluppo e le leggi successivamente sono state emanate dal legislatore a favore delle start up innovative, co l’obiettivo di favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico e l’occupazione (in particolare giovanile), contribuire allo sviluppo di una nuova cultura imprenditoriale più dinamica, creare un contesto maggiormente favorevole all'innovazione, promuovere maggiore mobilità sociale, attrarre talenti in Italia e capitali dall’estero.
Ciò nonostante la prova dei fatti con la realtà ha deluso, per lo meno in parte, le aspettative, sia a causa della giovane età delle imprese innovative, che per quanto possano usufruire delle agevolazioni fiscali e giuslavoristiche a loro riservate, necessitano comunque di tempo per potersi affermare con risultati migliori, sia per il tradizionalismo tipico italiano che impedisce ciò che aldilà dei confini nazionali accade, invece, con regolarità: conferire maggiore dinamicità e libertà nel fare, nel proporre nuove idee e nel ricevere continui stimoli positivi.
Ne è un esempio evidente il sistema universitario italiano, che dedica ancora troppo poco spazio alla formazione dei giovani su come creare e gestire un’impresa, mentre all’estero i corsi dediti all’insegnamento dell’imprenditorialità sono inseriti nel percorso formativo di base degli studenti. Si pensi alla Silicon Valley, il regno dell’innovazione tecnologica e della creazione della ricchezza, dove il fallimento è visto come una fase di apprendimento nel percorso che porta al successo e ciò incentiva molti giovani a tentare nuove sfide imprenditoriali, rendendo, tra l’altro, il mercato del lavoro estremamente dinamico.
In altre parole, il cambiamento dell’ambiente imprenditoriale italiano non deve essere solo economico; del resto, promuovendo la visione di un’Italia più favorevole all’innovazione, gli stessi provvedimenti dettati a favore delle start up (ed analizzati nella presente trattazione) hanno implicazioni di natura sociale e culturale, oltre che economica, per il futuro dell’Italia.
L’innovazione, infatti, deve essere il fattore chiave per lo sviluppo economico e il paradigma delle politiche economiche e sociali volte alla crescita, con l’obiettivo di: concedere ai giovani e non l’opportunità di trasformare il proprio talento in iniziativa imprenditoriale; garantire un Paese che tende al progresso e che
133 Tutti i dati sono rinvenibili sul sito on line del Ministero dello Sviluppo Economico xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxxxx/Xxxxxxxxx_0000_xx_Xxxxxxxxxx-Xxxxxxx_x_XXX_xxxxxxxxxx.xxx
vanta una cultura del rischio diffusa, caratterizzato da una maggiore mobilità sociale, dove i luoghi dove si genera la conoscenza, le scuole, dialogheranno maggiormente con i luoghi in cui essa trova concreta applicazione, le aziende; diffondere la cultura del merito e della trasparenza; insegnare che il fallimento non ha solo aspetti negativi e divulgare politiche che, laddove si rivelassero infruttuose, siano in grado di correggere il proprio corso.
L’obiettivo finale è che nei prossimi anni la situazione per le giovani realtà italiane possa migliorare, soprattutto in termini di occupazione e, per raggiungere questo traguardo, l’attività imprenditoriale italiana deve ricevere maggior sostegno dall’azione governativa.
In un tempo di così profondi cambiamenti, anche in virtù dell’enorme potenzialità delle start up, infatti, sarebbe opportuno che l’attività imprenditoriale venisse sostenuta con un maggiore e più continuo impegno del governo e della comunità nazionale per alzare quantità e qualità dell’imprenditorialità, anche perché possono essere ancora molte le opportunità lavoro offerte dalle start-up.
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RIASSUNTO
La nostra economia, che ancora vive le conseguenze dell’ultima grave crisi economica, ha visto negli ultimi anni un aumento considerevole del numero di start up innovative, ossia di “società che hanno quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”, fondate, la maggior parte delle volte, da giovani imprenditori.
Questo dato è una chiara testimonianza del fatto che l’innovazione ha un ruolo sempre più importante nella nostra economia, sia perché rappresenta un indiscutibile vantaggio per i cittadini, consumatori o lavoratori che siano, sia perchè migliora la progettazione, lo sviluppo, la produzione e l’utilizzo di nuovi prodotti, nonché i processi industriali e i servizi.
È fondamentale per creare posti di lavoro migliori, costruire una società più sostenibile e migliorare la qualità della nostra vita, ma anche per salvaguardare la competitività dell’Unione europea sul mercato mondiale.
E proprio in virtù del processo di integrazione europea, è impensabile, oggi, parlare di innovazione con riferimento alle economie dei singoli stati membri (e per quanto più specificatamente ci riguarda, di quella italiana), se non si analizza la politica di sviluppo e dell’innovazione in ambito europeo.
A livello continentale, la politica dell’innovazione, strettamente collegata alle altre politiche dell’UE, ha l’obiettivo di tradurre i risultati della ricerca in servizi e prodotti nuovi e migliori, al fine di restare competitivi sul mercato mondiale e migliorare la qualità della vita dei cittadini europei.
In tale prospettiva, l’UE ha sviluppato il concetto di “Unione dell’innovazione”, i cui obiettivi sono, tra gli altri, i seguenti:
- fare dell’Europa una protagonista di livello mondiale nel campo scientifico;
- rimuovere gli ostacoli all'innovazione (si pensi ai costi eccessivi dei brevetti, alla lentezza nella definizione delle norme, alla carenza di competenze) che attualmente impediscono alle idee di approdare rapidamente sul mercato;
- realizzare partenariati per l’innovazione tra le istituzioni europee, le autorità nazionali e regionali e le imprese.
Al fine di raggiungere tali obiettivi, nel 2000 l’Unione Europea ha approvato la Strategia di Lisbona, con l’obiettivo di fondare l’economia dell’Europa sulla conoscenza al fine di realizzare una crescita economica intelligente, sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Per riaffermare e, in un certo senso, dare coerenza a quanto perseguito con la strategia di Lisbona e per rispondere alle gravi conseguenze della crisi economica iniziata nel 2008, la Commissione nell’ottobre del 2010 ha proposto la strategia Europa 2000, che mantiene le priorità della sua antenata, ossia una crescita intelligente che sviluppi un’economia fondata sulla conoscenza e l’innovazione, una crescita sostenibile, più verde e più competitiva e una crescita inclusiva, con alti tassi di occupazione, a sostegno della coesione sociale e territoriale.
Nello specifico, Europa 2020 consiste in una serie di iniziative faro, per la cui realizzazione si rendono necessari gli interventi dell’UE, degli Stati membri e delle autorità locali e regionali.
Le iniziative in questione sono le seguenti:
1. L’Unione dell’Innovazione, di cui si è detto nelle premesse e che consiste nel ri-orientare la politica in materia di R&S e innovazione in funzione delle sfide principali, colmando al tempo stesso il divario tra scienza e mercato per trasformare le invenzioni in prodotti.
2. Youth on the move, ossia migliorare la qualità e l'attrattiva internazionale degli istituti europei di insegnamento superiore promuovendo la mobilità di studenti e giovani professionisti.
3. Un’agenda europea del digitale, al fine di trarre vantaggi socio-economici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull'internet superveloce.
4. Un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse - favorire la transizione verso un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio. L’Europa non deve perdere di vista i suoi traguardi per il 2020 in termini di produzione di energia, efficienza energetica e consumo di energia.
5. Una politica industriale per la crescita verde, che consiste nell’ aiutare la base industriale dell’UE ad essere competitiva nel mondo post-crisi, promuovere l’imprenditoria e sviluppare nuove competenze.
6. Un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro, con l’obiettivo di porre le basi della modernizzazione dei mercati del lavoro per aumentare i livelli di occupazione e per garantire la sostenibilità dei nostri modelli sociali a mano a mano che i figli del baby boom andranno in pensione.
7. Piattaforma europea contro la povertà, per garantire coesione economica, sociale e territoriale aiutando i poveri e le persone socialmente escluse e consentendo loro di svolgere un ruolo attivo nella società.
In attuazione di queste sette iniziative, gli Stati membri sono stati chiamati ad elaborare le rispettive strategie, per ripristinare la sostenibilità della crescita e delle finanze pubbliche.
E’ la Commissione che valuta e valuterà i progressi verso il conseguimento degli obiettivi e presenterà le proposte necessarie per orientare gli interventi e far progredire le iniziative faro dell'UE, mentre il Parlamento europeo mobiliterà i cittadini e fungerà da co-legislatore per le iniziative principali.
Questo approccio di partenariato è, come accennato, esteso ai comitati dell'UE, ai parlamenti nazionali e alle autorità nazionali, locali e regionali, alle parti sociali, alle parti interessate e alla società civile, affinché tutti partecipino al conseguimento dei traguardi fissati.
Per perseguire gli obiettivi prefissatosi, tra le altre cose, Europa 2020 punta a migliorare le condizioni e l’accesso ai finanziamenti per la ricerca e l’innovazione, affinché, come si è accennato, le idee innovative possano trasformarsi in prodotti e servizi in grado di generare crescita e occupazione, anche in virtù del fatto che l’Unione dell’innovazione vuole creare un vero mercato unico europeo dell’innovazione in grado di attrarre imprese e attività innovative.
Per tale ragione, l’Unione europea, con il Regolamento (UE) n. 1291/2013 del Parlamento e del Consiglio dell’11 dicembre 2013, ha realizzato il più grande programma mai realizzato per la ricerca e l’innovazione,
Orizzonte 2020 (o Horizon 2020), grazie al quale sono stati messi a disposizione quasi 80 miliardi di euro di finanziamenti, per un periodo di sette anni (2014-2020), oltre agli investimenti nazionali pubblici e privati che questa somma attirerà.
Questo programma (che sta contribuendo al raggiungimento di cui sopra si è detto), associando la ricerca all’innovazione e concentrandosi sui tre settori chiave dell'eccellenza scientifica, della leadership industriale e delle sfide per la società, si prefigge, quale obiettivo finale, quello di consentire all'UE l'acquisizione di un sapere scientifico sensibile di essere applicato per la produzione e lo sviluppo di output tecnologici di classe mondiale, realmente in grado di stravolgere la crescita economica (di medio-lungo periodo).
Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi è necessario per l’Unione Europea:
• Avere un flusso adeguato di ricercatori competenti, garantendo la presenza di ricercatori a livello internazionale e un passaggio tra varie discipline e tra settore pubblico e privato;
• Avere infrastrutture di ricerca di livello internazionale, accessibili alle equipe di ricerca provenienti dall’Europa e da tutto il mondo e viceversa, in modo che i ricercatori che lavorano in Europa possano accedere alle infrastrutture e alle apparecchiature internazionali situate in altri paesi del mondo.
• gli organismi di ricerca di elevato livello qualitativo dovrebbero essere integrati nel tessuto sociale ed economico del paese in cui si trovano, impegnandosi anche per esempio in partnership pubblico/privato;
• Si dovrebbero condividere le conoscenze;
• I programmi e le priorità di ricerca dovrebbero: a) essere coordinate tra di loro garantendo i principi base che disciplinano le richieste di finanziamento della ricerca in tutti i programmi nazionali e regionali al fine di ottenere il massimo di qualità e trasparenza possibili; b) prevedere la partecipazione di altri paesi confinanti con l’Unione europea per affrontare a livello mondiale le sfide che attanagliano il mondo.
In particolare, Horizon 2020 svolge queste azioni attraverso le tre priorità cui si è accennato, “che si rafforzano reciprocamente” e che hanno al loro interno degli obiettivi specifici.
Si tratta di: eccellenza scientifica, leadership industriale e sfide per la società.
Per tale ragione, sono stati introdotti i seguenti strumenti per monitorare e quantificare i progressi realizzati all’interno del territorio dell’UE:
- Quadro di valutazione del’Unione dell'innovazione, basato su 25 indicatori,e un mercato europeo delle conoscenze per brevetti e licenze. Il Quadro di valutazione dell'innovazione europea (European Innovation Scoreboard — EIS) è uno strumento della Commissione europea sviluppato nel contesto della Strategia di Lisbona per fornire una valutazione comparativa della capacità di innovazione degli Stati membri dell'UE.
- Un Quadro di valutazione dell’innovazione regionale (Regional Innovation Scoreboard - RIS), che classifica le regioni europee in quattro gruppi in base alla loro capacità di innovazione, analogamente al Quadro di valutazione dell’Unione dell'innovazione.
- L’Innobarometro, ossia un sondaggio d'opinione effettuato ogni anno presso le imprese e il grande
pubblico che verte sugli atteggiamenti e le attività attinenti alla politica dell’innovazione.
Dunque, alla luce di queste importanti novità legislative a livello comunitario che conducono sulla strada dell’innovazione, il nostro legislatore ha dettato, tra l’altro, una disciplina di favore per le start up innovative, contenuta negli arti. 25 - 31 del DL 179/2012 (c.d. Decreto Crescita 2.0), in seguito modificata nel senso di un ampliamento della nozione di start up per consentire a un maggior numero di società di poter accedere ai relativi benefici (DL 761/2013, conv. in L. 99/2013).
Il Decreto Crescita 2.0 ha l'obiettivo di rendere finalmente l'Italia un paese attrattivo e ospitale per la creazione e lo sviluppo di imprese innovative, attraverso l'introduzione di una disciplina di favore che interviene su più fronti.
- In particolare sono previste semplificazioni e agevolazioni volte a incoraggiare:
- • la raccolta di capitale;
- • l'assunzione di risorse umane qualificate, con notevole grado di flessibilità;
- • la fidelizzazione delle risorse umane e del management;
- • l'accesso a servizi qualificati;
- • la riduzione dei rischi connessi all'attività d'impresa (primo fra tutti, nel breve periodo, le semplificazioni per l'accesso al credito).
- Questa disciplina, in linea generale, è finalizzata a favorire la fondazione di start up innovative e si estende per cinque anni dalla data di costituzione; decorso tale termine, cessa l'applicazione della disciplina in parola, ferma restando l'efficacia dei contratti a tempo determinato fino alla scadenza del relativo termine (art. 31 co. 4 DL 179/2012).
- Per essere qualificate come start up innovative e godere del relativo regime di agevolazione, si devono possedere alcuni requisiti sostanziali:
- 1. generali, di ordine strutturale ed organizzativo, in relazione alla costituzione ed alla vita dell'ente societario;
- 2. specifici ed alternativi, in ordine al carattere innovativo ed alla finalità di sviluppo tecnologico.
- Tra i requisiti strutturali ricordiamo che le start up innovative devono possedere cumulativamente i seguenti requisiti:
- • la costituzione e lo svolgimento dell'attività d'impresa da non più di 60 mesi;
- • la fissazione della sede principale dei propri affari e interessi in Italia, ma si considerano start up innovative anche le società non residenti in possesso dei medesimi requisiti, ove compatibili, a condizione che le stesse siano residenti in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo ed esercitino nel territorio dello Stato un'attività d'impresa mediante una stabile organizzazione (art. 1 co. 2 DM 30.1.2014);
- • come già in precedenza accennato, la fissazione dell'oggetto sociale esclusivo o prevalente nello sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
- • il mancato superamento, a partire dal secondo anno di attività, dell'importo di 5 milioni di euro quale totale del valore della produzione annua, come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio;
- • la mancata distribuzione (dalla costituzione fino al termine del regime di favore) degli utili. Da qui il divieto posto dal legislatore di distribuire dividendi. L'idea del legislatore è che gli utili debbano essere utilizzati per patrimonializzare l'azienda o per effettuare investimenti in ricerca e sviluppo, favorendo così la crescita della start up. Non si tratta di un divieto assoluto, ma di una limitazione operante fintanto che l'impresa mantiene la qualifica di start up innovativa. La possibilità che in futuro vengano distribuiti utili rappresenta una condizione fondamentale per attrarre investitori. Per questo motivo il divieto deve considerarsi limitato al periodo di 60 mesi, o al minor periodo nel caso di perdita anticipata dei requisiti, in cui l'impresa è considerata start up innovativa;
- • la costituzione della società non deve derivare da fusione, scissione societaria o a seguito di cessione dl azienda o di ramo d’azienda. Il riferimento alle operazioni di fusione, scissione societaria, cessione di azienda o di ramo di azienda, deve essere inteso in generale, come divieto di costituzione di imprese agevolabili per effetto di un'operazione di ri-organizzazione aziendale, ivi inclusi il conferimento d'azienda o di ramo d'azienda (Agenzia delle Entrate dm. 161E12014).
Si noti inoltre che soci della start up innovativa possono essere sia le persone fisiche che le persone giuridiche. La normativa, tuttavia, richiede che, per i primi due anni di attività, i soci persone fisiche abbiano un ruolo centrale. È previsto, infatti, che tali soci detengano al momento della costituzione, e per i successivi ventiquattro mesi, la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria dei soci. Tale criterio è volto a favorire esclusivamente le start up che si potrebbero definire genuine, quelle che come mostrano i numerosi casi di successo (Facebook, Google, Twitter etc.) nascono dalla passione di individui che si lanciano in avventure imprenditoriali (a volte visionarie), di cui desiderano mantenere il controllo, almeno nella fase iniziale dello sviluppo. Fondamentale, infine, nell'ambito della seconda categoria di previsioni alternative, è il possesso del requisito dell'innovatività, non attribuibile a qualsiasi impresa neo-costituita.
La disciplina normativa introdotta da Decreto Crescita 2.0 sembra aver dato i suoi frutti: secondo i dati emersi dal rapporto sulle start up innovative relative al terzo trimestre del 2015 e divulgati da Infocamere, a fine settembre 2015 il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese, ai sensi del decreto legge 179/2012, è pari a 4.704, in aumento di 456 unità rispetto alla fine di giugno (+10,8%).
Le startup rappresentano lo 0,31% del milione e mezzo di società di capitali italiane (in crescita dello 0,03% rispetto ai dati del 2014 a causa di una flessione del numero di società di capitali), e, in media ogni startup presenta 4,1 soci, la metà ne presenta un massimo di 3; si tratta di valori superiori a quelli del complesso delle società di capitali, tenendo altresì presente che è ipotizzabile che i soci siano coinvolti direttamente
nell’attività d’impresa. Il capitale sociale delle startup è pari complessivamente a quasi 236 milioni di euro, che corrisponde in media a poco più di 50 mila euro a impresa (il capitale medio è rimasto stabile rispetto al trimestre precedente).
Sotto il profilo settoriale, il rapporto ha stimato che il 72,3% delle startup innovative fornisce servizi alle imprese (in particolare, prevalgono le seguenti specializzazioni: produzione software e consulenza informatica, 29,8%; attività di R&S, 15,4%; attività dei servizi d’informazione, 8,2%), il 18,8% opera nei settori dell’industria in senso stretto (su tutti: fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 3,9%; fabbricazione di macchinari, 3,4%; fabbricazione di apparecchiature elettriche, 2,2%); il 4,2% delle startup opera nel commercio e solo lo 0,09% nel settore agricolo.
Se prendiamo in considerazione il numero degli impiegati avremmo questa situazione riferita al terzo trimestre 2015: si hanno 1.710 startup con dipendenti. Esse impiegano complessivamente 4.091 persone, in media 2,9 dipendenti per ogni impresa, mentre almeno la metà delle startup con dipendenti impiega un solo dipendente.
Tra le novità che il nostro legislatore ha dettato per incoraggiare la creazione di start innovative, particolarmente importanti sono quelle in materia di lavoro. Infatti, l’ordinamento italiano, con il Decreto legge. 179/2012, si è dotato di una disciplina giuslavoristica specifica per tali società, derogatoria della disciplina ordinaria.
Sostanzialmente, con riferimento al diritto del lavoro, le peculiarità di cui godono le start up innovative riguardano la disciplina delle assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato, la stipula di contratti a tempo determinato, la “composizione” della retribuzione e l'assegnazione di strumenti finanziari.
Il Decreto Legge 179/12, all’art. 28, ha previsto per i contratti a tempo determinato una serie di deroghe alla normativa ordinaria che trovano applicazione esclusivamente per un periodo di 4 anni dalla costituzione della start up innovativa, di 3 anni se la start up era costituita da 3 anni, di 2 anni se la start up era costituita da 4 anni.
Le agevolazioni in materia, avendo quale finalità un nuovo rilancio dell’occupazione, soprattutto giovanile, si muove in una duplice direzione: maggiore flessibilità in ingresso ed abbassamento del costo del lavoro. Riguardo al primo versante, l’art. 28, della Legge n. 221/2012 prevede, per un periodo di quattro anni, la derogabilità alle restrizioni in materia di assunzioni a tempo determinato di cui alla Legge n. 368/2001.
L’art. 28 del D.L. 179/2012 ha previsto, a favore delle start up innovative, alcune agevolazioni in materia di rapporto di lavoro subordinato da applicarsi nella fase di avviamento e crescita della nuova impresa innovativa, a vantaggio nuovamente della semplificazione, della flessibilità operativa e della riduzione degli oneri.
Tali agevolazioni riguardano in particolare i seguenti aspetti:
- i contratti di lavoro a termine;
- la retribuzione.
In particolare la norma in esame disciplina che le disposizioni di favore operano solo nel corso dei primi quattro anni dalla data di costituzione della start-up innovativa o per il più limitato periodo previsto per la start-up innovativa già esistente.
Alle start-up innovative è riconosciuta la possibilità di stipulare contratti di lavoro a termine in applicazione delle disposizioni del D. lgs. 368/2001 e del capo I del titolo III del D.lgs. 276/2003, beneficiando di alcune deroghe alle disposizioni ivi contenute, nei termini che seguono.
Innanzitutto, viene sancito che il contratto di lavoro a termine, per le start-up innovative, può avere una durata minima di sei mesi ed una massima di trentasei mesi.
Oltre al limite massimo di trentasei mesi, le start-up innovative possono sottoscrivere con lo stesso soggetto un ulteriore successivo contratto, per la durata residua del periodo massimo di applicabilità della normativa di favore alla start-up innovativa, a condizione che la stipulazione avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro componente per territorio.
I contratti stipulati ai sensi del comma 3 dell’art. 28 sono in ogni caso esenti dalle limitazioni quantitative di cui all’art. 10, comma 7, del D.lgs. 368/201, cioè quelle previste dai contratti collettivi nazionali del lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
Sempre l’art. 28, comma 3, del Decreto 179/2012 disciplina che nell’intervallo temporale di durata massima del contratto a termine e sempre per lo svolgimento delle medesime attività inerenti o strumentali l’oggetto sociale della start-up innovativa, possono essere conclusi con lo stesso lavoratore più contratti a tempo determinato senza soluzione di continuità.
La start-up innovativa, dunque, potrà assumere personale con contratti a tempo determinato della durata minima di 6 mesi e massima di 36 mesi. All’interno di questo arco temporale, i contratti potranno essere anche di breve durata e rinnovati più volte, senza l’osservanza dei termini ordinari (10/20 gg.) o anche senza soluzione di continuità.
Dopo 36 mesi, il contratto potrà essere ulteriormente rinnovato una sola volta, per un massimo di altri 12 mesi, a condizione che la stipulazione avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e quindi fino ad arrivare complessivamente a 48 mesi. Dopo questo periodo, il collaboratore potrà continuare a lavorare in start-up con un contratto a tempo indeterminato.
In seguito alle modifiche introdotte dal D.L. 20.3.2014 n. 34, come si è detto, è venuto meno l’obbligo della causale ai fini della legittimità del contratto a tempo determinato.
Qualora, per effetto di successione di contratti a termine, il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi, comprensivi di proroghe o rinnovi, o la diversa maggiore durata prevista, e indipendentemente dagli eventuali periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.
La prosecuzione o il rinnovo dei contratti a termine oltre la durata massima prevista, ovvero la loro trasformazione in contratti di collaborazione privi dei caratteri della prestazione d’opera o professionale, determinano la trasformazione degli stessi contratti in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Le disposizioni trovano applicazione per il periodo di 5 anni dalla data di costituzione di una start-up innovativa, ovvero per il più limitato periodo previsto per le società già costituite.
Non è previsto alcun limite numerico di contratti a termine in relazione al numero di contratti a tempo indeterminato: si potrebbe ad esempio avere una start up con due dipendenti a tempo indeterminato e dieci dipendenti a tempo determinato.
Il contratto potrà prevedere, oltre ad una retribuzione fissa non inferiore al minimo tabellare, anche una parte variabile legata alla produttività e/o redditività dell’impresa, o all’efficienza e/o produttività del dipendente (es. stock option).
Premettendo che il predetto limite temporale quadriennale in relazione alle imprese già costituite si riduce proporzionalmente, è bene soffermarsi su alcune delle deroghe dette.
Innanzitutto, fermo restante la possibilità (genericamente, giova ribadirlo, prevista per tutte le imprese) di stipulare dei contratti cc.dd. acausali per una durata di 12 mesi, le ragioni tecnicoproduttive (presupposto di legittimità per l’apposizione di un termine al contratto) si ritengono sussistenti ogni qualvolta l’attività lavorativa sia inerente o strumentale all’oggetto sociale dell’impresa start up.
Inoltre, con riferimento alla possibilità di stipulare una pluralità di contratti a termine, senza soluzione di continuità, con lo stesso lavoratore, a prescindere dal c.d. periodo di latenza che, attualmente, come visto, è di 10 o 20 giorni a seconda che il contratto abbia una durata inferiore o superiore ai sei mesi, occorre osservare come siano previste delle misure immediatamente applicabili quali quelle incentrate: - sull’ esenzione dal contributo addizionale Aspi (per le assunzione non a tempo indeterminato) pari all’1,4% del reddito imponibile; - sul credito d’imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato a tempo indeterminato; • - sulla non assoggettabilità fiscale e contributiva dei redditi del lavoratore (o dei percettori di redditi assimilati al lavoro dipendente) provenienti dall’attribuzione datoriale di strumenti finanziari, stock options e work for equity.
Sempre nella direzione di una riduzione del costo del lavoro, il legislatore, ha previsto, in capo alla contrattazione collettiva, il potere di: - rideterminare i minimi tabellari in funzione all’avvio delle imprese innovative; - riadattare le regole collettive inerenti la gestione del rapporto di lavoro alle specifiche esigenze delle start up. Fermo restante la potenziale efficacia di tali misure agevolative, non può non sottolinearsi come lo sviluppo delle imprese innovative già di per sé concorrerebbe a risolvere uno dei grossi problemi delle politiche occupazionali degli ultimi 20 anni: l’adeguamento del nostro tessuto economico alla domanda di lavoro dei neo-laureati che, non di rado, si vedono occupati in realtà che hanno poco in comune con il percorso di studi da questi intrapreso.
Infine, l’art.27bis del Decreto 179/2012, introdotto in sede di conversione in legge, prevede alcune semplificazioni per la start up innovativa o l’incubatore certificato che intende accedere al credito d’imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato di cui all’art. 24 del DL 83/2012 (convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134).
Il beneficio corrisponde al 35% con un limite massimo di Euro 200.000,00 annui ad impresa, del costo aziendale sostenuto per le assunzioni a tempo indeterminato di:
- personale in possesso di un dottorato di ricerca universitario conseguito presso una università italiana o estera se riconosciuta equipollente in base alla legislazione vigente in materia;
- personale in possesso di laurea magistrale in discipline in ambito tecnico o scientifico, di cui all’Allegato 2 al D.L. 83/2012, impiegato in attività di ricerca e sviluppo.
Per la start-up innovativa e l’incubatore certificato, al fine della concessione dell’agevolazione, sono previste le seguenti deroghe alla normativa generale prevista dal D.L. 83/2012:
- è ammessa l’assunzione a tempo indeterminato sotto forma di apprendistato;
- non è richiesta la certificazione della documentazione da parte di un professionista iscritto al registro dei revisori o del Collegio sindacale prevista dal citato art. 24, commi 8, 9 e 10;
- l’istanza di cui all’art. 24, comma 6 del Decreto 179/2012, è redatta in forma semplificata, secondo le modalità che saranno stabilite con un apposito decreto direttoriale del Ministro dello sviluppo economico.
Alle start-up innovative è data, poi, facoltà di remunerazione variabile: fatto salvo un minimo tabellare, è lascito alle parti stabilire quale parte della remunerazione sia fissa e quale variabile.
In particolare, la retribuzione dei lavoratori assunti da una start-up è costituita :
- da una componente fissa, che non può essere inferiore al minimo tabellare previsto, per il rispettivo livello di inquadramento, dal contratto collettivo applicabile;
- da una componente variabile, consistente in trattamenti collegati all’efficienza o alla redditività dell’impresa, alla produttività del lavoratore o del gruppo di lavoro, o ad altri obiettivi o parametri di rendimento concordati tra le parti, incluse l’assegnazione di opzioni per l’acquisto di quote o azioni della società e al cessione gratuita delle medesime quote o azioni. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono definire, in via diretta ovvero in via delegata ai livelli decentrati, mediante accordi interconfederali o di categoria o avvisi comuni, i criteri per la determinazione di minimi tabellari e le disposizioni finalizzate all’adattamento delle regole di gestione del rapporti di lavoro alle esigenze delle start up innovative.
Al fine di incentivare e fidelizzare i lavoratori dipendenti, i collaboratori e gli amministratori delle start-up innovative e degli incubatori certificati, l’articolo 27 del D.L. 197/2012 prevede specifiche agevolazioni per
remunerare i propri collaboratori con strumenti di partecipazione al capitale sociale (come le stock options), e i fornitori di servizi esterni attraverso il cosiddetto work for equity.
Il regime fiscale e contributivo che si applica a questi strumenti è vantaggioso e concepito su misura rispetto alle esigenze tipiche di una start-up.
Queste sono le due diverse agevolazioni:
c) agevolazione fiscale e contributiva per le retribuzioni corrisposte al personale sottoforma di assegnazione di azioni/quote della start-up, piani di stock option e strumenti analoghi;
d) agevolazione fiscale per la remunerazione di prestatori di opere e servizi mediante l’assegnazione di azioni/quote o altri strumenti finanziari delle start-up (“work for equity”).
L’agevolazione consiste nella non imponibilità, sia ai fini fiscali che contributivi, del reddito da lavoro dipendente ed assimilati derivante dalla assegnazione al personale di strumenti finanziari e diritti simili.
I soggetti beneficiari dell’agevolazione specifica per le start-up innovative sono:
d) gli amministratori delle start-up;
e) i lavoratori legati da un rapporto di lavoro dipendente con le start up innovativa o con l’incubatore certificato, anche se a tempo determinato o part-time;
f) i collaboratori continuativi, vale a dire tutti quegli altri soggetti, ivi inclusi i lavoratori a progetto, il cui reddito viene normalmente qualificato come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ai fini fiscali, diversi dai prestatori di opere e servizi.
Questo regime agevolato, specifico per amministratori, dipendenti e collaboratori di start up innovative e di incubatori certificati, si affianca a quello previsto, per le generalità dei dipendenti delle imprese, dall’articolo 51, comma 2, lett. G) del Tuir ed è applicabile, questa la differenza sostanziale, indipendentemente dalla circostanza che sia realizzato un piano incentivante rivolto alla generalità degli amministratori, dipendenti e collaboratori continuativi della start-up innovativa o dell’incubatore certificato, ovvero rivolto solamente ad alcuno di essi. Inoltre, l’articolo 27 in esame riconosce il regime di favore senza prevedere alcun limite di importo non imponibile degli strumenti finanziari, diversamente a quanto disposto dall’articolo 51, comma 2, lett. G), del TUIR che limita la non concorrenza al reddito alle azioni assegnate ai dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo di imposta a euro 2.065.83 per dipendente.
Il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione, da parte delle start-up innovative ai propri amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di strumenti finanziari o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari, non concorre alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti, sia ai fini fiscali, sia ai fini contributivi, a condizione che tali strumenti finanziari o diritti non siano riacquistati dalla start-up innovativa, dalla società emittente o da
qualsiasi soggetto che direttamente controlla o è controllato dalla start-up innovativa ovvero è controllato dallo stesso soggetto che controlla la start-up innovativa.
Sono compensi agevolabili: assegnazione di “strumenti finanziari, o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari”.
A titolo puramente esemplificativo, le start-up innovative e gli incubatori certificati abilitati potranno, pertanto, attribuire ai beneficiari i seguenti compensi agevolati: azioni e/o quote; stock option; restricted stock e restricted stock unit; strumenti finanziari partecipativi.
Nel caso in cui un soggetto abilitato intenda attribuire ai propri beneficiari uno degli Strumenti Finanziari suindicati, nel rispetto delle modalità applicative di seguito indicate, può optare per l’adozione di un accordo o regolamento che ne disciplini espressamente i termini e le condizioni di emissione e/o maturazione, soprattutto nel caso in cui l’assegnazione sia estesa ad un numero elevato di beneficiari.
Assegnazione di azioni o quote: l’assegnazione di azioni o quote può avvenire mediante l’aumento di capitale a titolo gratuito e l’aumento di capitale a titolo oneroso.
Cessione di azioni o quote proprie: il soggetto abilitato può acquistare azioni o quote proprie e successivamente assegnarle ai propri beneficiari sia a titolo oneroso che a titolo gratuito.
Anche per l’attribuzione di stock option, restricted stock o rescticted stock unit: valgono le norme suddette.
Assegnazione di strumenti finanziari partecipativi: l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi a favore dei beneficiari dovrà essere deliberata dall’assemblea straordinaria. Come anticipato, la possibilità per i soggetti abilitati di emettere strumenti finanziari partecipativi a favore dei beneficiari dovrà essere espressamente prevista dallo statuto. Le azioni o gli strumenti devono essere emessi:
- successivamente al 19 dicembre 2012;
- dalla start up con la quale il dipendente/collaboratore intrattiene il rapporto di lavoro, ovvero da una società direttamente controllata dalla start-up.
Qualora gli strumenti finanziari o i diritti siano ceduti in contrasto con tale disposizione, il reddito di lavoro che non ha previamente concorso alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti è assoggettato a tassazione nel periodo di imposta in cui avviene la cessione.
I beneficiari decadono dall’agevolazione qualora gli strumenti finanziari assegnati siano ceduto:
- alla start up;
- a un soggetto che controlla direttamente le start up;
- a un soggetto direttamente controllato dalle start up;
- a un soggetto controllato dalla stessa società che controlla le start up.
In tal caso ha luogo l’assoggettamento a tassazione, nell’esercizio di cessione, del reddito di lavoro originariamente esentato.
In caso di cessione degli strumenti finanziari ricevuti, a prescindere dalla eventuale decadenza dall’agevolazione, le plusvalenze realizzate sono tassate secondo le modalità ordinarie.
Regime diverso per strumenti assegnati ai professionisti, in seguito a prestazioni di opere e servizi (esenzione valida anche per la cessione di crediti).
L’articolo 27, comma 4, del D.L. prevede inoltre che: “Le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a fronte dell'apporto di opere e servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero di crediti maturati a seguito della prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali, resi nei confronti degli stessi, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l'apporto, anche in deroga all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, al momento della loro emissione o al momento in cui è operata la compensazione che tiene luogo del pagamento”.
Le disposizioni in esame, al fine di garantire alle imprese start-up innovative l’accesso a servizi di consulenza altamente qualificati, ivi compresi quelli professionali, codifica il regime di non imponibilità degli apporti di opere e servizi già contemplata dall’Agenzia delle entrate (Circ. 10/E del 16.3.2005) e lo estende anche all’ipotesi in cuoi gli apporti abbiano ad oggetto crediti maturati a fronte di opere e servizi resi a favore delle suddette imprese.
Per le start up innovative ed incubatori certificati la possibilità di assegnare strumenti finanziari e diritti di opzione con regime fiscale incentivato, in applicazione del comma 4 dell’articolo 31 del D.L., cessa:
- al venir meno di uno dei requisiti previsti dal comma 2 dell’articolo 25 per essere considerati start-up innovative;
- in ogni caso, trascorsi cinque anni dalla data di costituzione, ovvero per il più limitato periodo previsto per le società già costituite alla data del D.L. 197/2012.
Infine, come detto, uno dei c.d. requisiti c.d. “alternativi” previsti per dall'art. 25 del Decreto Crescita 2.0) consta nell'impiego da parte delle stesse di dipendenti o collaboratori (a qualsiasi titolo):
(a) in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, i) in possesso di titolo di dottorato di ricerca; ii) iscritti a un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera; iii) in possesso di laurea e che abbiano svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero; ovvero,
(b) in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, in possesso di laurea magistrale.
A definizione di ciò, l'articolo 24 del D.L. 83/2012 prevede la possibilità per tutte le società “indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal settore economico in cui operano, nonché dal regime contabile adottato” di beneficiare di un “contributo sotto forma di credito d'imposta del 35%, con un limite massimo pari a 200 mila euro annui ad impresa, del costo aziendale” per l'assunzione a tempo indeterminato di personale altamente qualificato.
Il Ministero dello Sviluppo Economico, con il Decreto Ministeriale, ha chiarito che il credito di imposta previsto dall'art. 24 del D.L. 83/2012 è applicabile anche alle assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato poste in essere:
(a) in via generale, da tutte le società, mediante la “trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato”, purché “per un periodo non superiore a dodici mesi decorrenti dalla data dell'assunzione”;
(b) per le sole Start-up, attraverso un “contratto di apprendistato” della durata di dodici mesi.