CAPITOLO I – IL CONTRATTO DI SPONSORIZZAZIONE 3
UNIVERSITÀ COMMERCIALE “XXXXX XXXXXXX”
SCUOLA DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Il contratto di sponsorizzazione nell’attività sportiva
Relatore:
Prof. Xxxxxx Xxxxxx
Controrelatore:
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx
Tesi di laurea magistrale di:
Xxxxxx Xxxx Matricola n. 3023205
Anno Accademico 2020 - 2021
INDICE
CAPITOLO I – IL CONTRATTO DI SPONSORIZZAZIONE 3
1. Introduzione 3
2. Prospettiva storica 5
3. Il contratto di sponsorizzazione 9
3.1. Sponsorizzazione e advertising 11
3.2. La sponsorizzazione come contratto di pubblicità 12
3.3. La disciplina giuridica del contratto di sponsorizzazione 14
3.3.1. Dalla donazione al contratto bilaterale 15
4. La qualificazione giuridica del contratto di sponsorizzazione 16
4.1. I primi tentativi della dottrina 17
4.2. Il contratto di sponsorizzazione come contratto atipico 19
4.3. L’approccio della giurisprudenza 22
4.4. La disciplina delle federazioni 24
4.5. Il contratto di sponsorizzazione nella prassi 25
5. Gli elementi essenziali del contratto di sponsorizzazione 27
5.1. Le parti del contratto 27
5.1.1. Lo sponsor 27
5.1.1.1. Le diverse articolazioni dello sponsor 28
5.1.1.2. Lo sponsor tecnico 29
5.1.1.3. Il pool di sponsorizzazione 31
5.1.2. Lo sponsee 33
5.1.2.1. L’atleta 33
5.1.2.2. Il club o la scuderia 34
5.1.2.3. Le Federazioni o le Leghe 36
5.1.2.4. L’evento 36
5.2. L’oggetto del contratto 37
5.3. La causa del contratto 40
CAPITOLO II – TUTELA DELLE ASPETTATIVE DI RITORNO COMMERCIALE 43
1. L’inadempimento nel contratto di sponsorizzazione 43
1.1. L’inadempimento dello sponsor 43
1.2. L’inadempimento dello sponsee 44
1.2.1. Il contratto di sponsorizzazione come contratto aleatorio 44
1.2.2. L’obbligazione dello sponsorizzato: obbligazione di mezzi o di risultato? 45
1.2.3. Il concetto di alea economica 47
2. La tutela del ritorno pubblicitario 48
2.1. Un caso emblematico: i risultati sportivi deludenti 48
2.2. L’obbligo di diligenza nell’adempimento del contratto di sponsorizzazione 50
3. I DIVERSI APPROCCI DELLA DOTTRINA 53
3.1. Il principio della presupposizione 54
3.2. I principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto 55
3.2.1. I principi di buona fede e correttezza recepiti dalla giurisprudenza: un leading case in materia 58
4. I VARI CASI DI INADEMPIMENTO DELLO SPONSORIZZATO 60
4.1. L’infortunio dell’atleta 61
4.1.1. Il risarcimento del danno e il caso Meroni 63
4.2. Gli insuccessi dello sponsee nello svolgimento dell’attività sportiva 66
4.2.1. L’ingerenza dello sponsor 68
4.3. I provvedimenti dell’autorità sportiva riguardanti lo sponsee 70
4.3.1. L’azionabilità dei provvedimenti da parte dello sponsor 73
4.4. Le dichiarazioni, i comportamenti e le vicende dello sponsorizzato o dei terzi 77
4.4.1. Il caso Sintec Phonola – Il Messaggero nei rapporti esterni 79
4.4.2. Il caso Sintec Phonola – Il Messaggero nei rapporti interni 81
5. I rimedi all’inadempimento dello sponsorizzato nella prassi contrattuale 84
5.1. Le clausole di riservatezza 85
5.2. Le clausole risolutive espresse 86
5.3. Altri tipi di clausole 90
5.4. Clausole che pongono ulteriori obblighi in capo allo sponsorizzato 92
5.5. Le c.d. Morality Clauses 94
5.5.1. I limiti delle morality clauses per la giurisprudenza 95
5.5.2. Gli orientamenti della dottrina in tema di limiti delle morality clauses 98
5.5.3. Ambiguità delle moral clauses e sindacato di liceità 100
CAPITOLO III – LO SFRUTTAMENTO COMMERCIALE DELL’IMMAGINE DEGLI SPORTIVI 102
1. INTRODUZIONE 102
2. Il diritto d’immagine nell’ordinamento italiano 103
3. Il consenso dell’interessato 107
4. La concezione personalistica del diritto d’immagine 109
4.1. Il diritto d’immagine come diritto della personalità e la tesi della revocabilità del consenso 111
5. La concezione patrimonialistica del diritto di immagine 113
5.1. Il diritto d’immagine come diritto dalla duplice natura e la tesi dell’irrevocabilità del consenso116
6. I DIVERSI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA 120
6.1. La Corte di Cassazione accoglie la tesi della revocabilità del consenso 122
7. I problemi derivanti dalla concezione del diritto d’immagine come diritto della personalità 125
7.1. La precarietà dei contratti di sponsorizzazione e i problemi dello sponsor 126
7.2. L’utilizzo dell’immagine dello sponsorizzato senza il suo consenso e i rimedi previsti 128
7.2.1. Il risarcimento dei danni patrimoniali 129
7.2.2. Il risarcimento dei danni non patrimoniali 133
7.3. L’utilizzazione dell’immagine altrui senza consenso: le eccezioni dell’art. 97 l. 633/1941 135
7.3.1. L’applicazione giurisprudenziale del criterio della prevalenza: alcuni casi esemplificativi 139
7.4. La risoluzione dei problemi nella prassi contrattuale 141
8. Il diritto d’immagine nel mondo dello sport: i limiti posti da Leghe e Federazioni 142
9. I DIRITTI DI IMMAGINE DEI CALCIATORI PROFESSIONISTI 145
10. CONCLUSIONI 149
INDICE GIURISPRUDENZIALE 154
BIBLIOGRAFIA 157
CAPITOLO I – Il contratto di sponsorizzazione
1. Introduzione
Il contratto di sponsorizzazione è uno strumento di comunicazione aziendale dalla struttura e dalle dinamiche complesse.1
Con il termine sponsorizzazione, infatti, si è soliti indicare, nella pratica imprenditoriale, vari rapporti giuridici di contenuto eterogeneo, prevalentemente attinenti al settore dello sport, della cultura e dello spettacolo, in altre parole dell’entertainment in senso lato, per mezzo dei quali lo sponsor (generalmente un’impresa) si propone di incrementare la propria notorietà e la propria immagine agli occhi del pubblico, attraverso I’abbinamento o il collegamento, nelle più svariate forme e contro corrispettivo, del suo nome o dei suoi marchi a fatti o persone di pubblico interesse, terzi rispetto all’impresa cui il messaggio è riferito.2
Il termine sponsor, parola di origine latina che indica il garante, è a noi ritornato tramite la rielaborazione semantica della lingua anglosassone ed è stato largamente recepito nel linguaggio comune. Ad oggi, il termine ha assunto un’indeterminatezza e un’ambiguità tali da impedire di darne un’univoca definizione generale e universale, poiché si spazia da definizioni limitate all’ambito sportivo, ad altre maggiormente attinenti al settore radiotelevisvo.
La sponsorizzazione rappresenta, dunque, un fenomeno giuridico-economico- comunicazionale, con la conseguenza quindi che l’espressione in esame viene utilizzata non solo per definire il negozio giuridico che intercorre tra le parti contraenti, lo sponsor e lo sponsorizzato, ma anche per indicare, in maniera forse non del tutto
1 M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Xxxxxx, 0000. p. 2
2 X. Xxxx, X. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Riv. dir. inf., 1985, p. 445
appropriata, sia la forma di comunicazione pubblicitaria che ne è il prodotto, sia il mezzo o supporto pubblicitario attraverso il quale questa particolare forma di comunicazione si realizza.
Sotto il profilo più strettamente giuridico, il contratto di sponsorizzazione si presenta come un fenomeno multiforme in grado di assumere connotati diversi in base alle esigenze proprie del settore in cui viene inserito, in relazione alle situazioni, alle capacità economiche e alle finalità delle parti, che ne determinano le specifiche obbligazioni in esso dedotte.3
Ai fini della nostra analisi prenderemo principalmente in considerazione l’approccio a tale fenomeno da parte del mondo sportivo di cui il contratto di sponsorizzazione è ormai diventato parte integrante. È proprio in questo ambito, infatti, che in Italia tale contratto ha trovato la maggiore applicazione, in quanto si adatta perfettamente alla composita moltitudine di soggetti che seguono le competizioni agonistiche e al grande ritorno mediatico che le stesse garantiscono, permettendo la massimizazzione della diffusione del messaggio pubblicitario e, di conseguenza, del ritorno commerciale.4
Il successo del contratto di sponsorizzazione in questo ambito è ascrivibile, inoltre, alla componente emozionale e passionale insita nello sport che è in grado di coinvolgere il destinatario del messaggio, sollecitandone una sorta di complicità. Ciò è dovuto anche al ruolo di potente veicolo comunicativo che lo sport ha assunto negli anni e che lo ha reso forierio di valori ed ideali in tutto il pianeta. L’azienda sponsorizzatrice mira a creare una sorta di «interferenza di immagine» con la notorietà dell’evento sponsorizzato ed a divenire, di conseguenza, nell’opinione pubblica, sinonimo di sport e, nei casi più fortunati, persino di vittoria. Tra sponor e sponsorizzato si instaura, così, una sorta di fenomeno osmotico che si riflette, in ultima analisi, nelle “emozioni” che le
3 X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006.
4 X. Xxxxxx, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. Civ., 2001, II
vicende reciproche provocano nei destinatari del messaggio pubblicitario e nelle induzioni ad atti di consumo.
Occorre inoltre sottolineare che nella sponsorizzazione la durata, la frequenza, e l’intensità della diffusione del messaggio comunicazionale, dipendono dal tipo e dalle circostanze proprie dell’avvenimento in cui si inserisce il contratto. Il mondo sportivo, ad esempio, specialmente se si considerano gli sport più popolari come il calcio, si contraddistingue per una intensa e martellante divulgazione sui diversi media che fornisce al nome e al marchio dell’impresa sponsor maggiori occasioni per essere notati dal pubblico. Infatti, se lo sport ha visto accrescere nel corso degli anni il suo attualmente consolidato potere mediatico, ciò è dovuto in larga parte alla sempre maggiore diffusione dei mezzi di comunicazione di massa nella nostra società. Nello specifico, la trasmissione dell’evento sportivo in diretta televisiva rappresenta lo strumento per mezzo del quale si desta l’interesse degli sponsor per lo sport, poiché permette di ottenere il grado ottimale della comunicazione di massa, terreno di forte attrazione pubblicitaria. Il suo supporto è stato di cruciale importanza per il successo della sponsorizzazione in quanto non si limita a trasmettere l’evento permettendo di raggiungere la ristretta cerchia di coloro che vi assistono (audience diretta o primaria), ma, diffondendo notizie e cronache dell’avvenimento, riesce anche a raggiungere quella che viene definita audience indiretta o secondaria.5
2. Prospettiva storica
Nonostante l’idea di acquisire prestigio mediante l’accostamento del proprio nome ad uno che già godeva di popolarità sia presente sin dai tempi più antichi6, la diffusione
5 Così M. V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova 1988
6 Così si legge in X. Xxxxxxxxxxxxx, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987 p. 289, il quale sottolinea che a Roma nobili e patrizi traevano vanto e fama da giochi e gare che essi sponsorizzavano, mentre in Inghilterra, mercanti e produttori traevano vanto e prestigio dal rendere noto che servivano Casa
del contratto di sponsorizzazione in ambito sportivo in Italia si colloca negli anni ’507 anche se per lungo tempo sia la dottrina economica che quella giuridica si sono interessate al fenomeno in maniera episodica e marginale.
Inizialmente, infatti, questo tipo di contratto fu accolto dagli operatori del mondo pubblicitario con diffidenza e sospetto in quanto le sponsorizzazioni apparivano come decisioni estemporanee ed irrazionali dei proprietari o del top-management delle aziende dettate dagli interessi personali e dalle passioni sportive, piuttosto che come una vera e propria tecnica di comunicazione legata ad una logica aziendale di conseguimento del profitto.8 In questa prima fase, in Italia, si assisteva ad operazioni di carattere prevalentemente mecenatesco volte ad affermare l’immagine personale e la credibilità dell’imprenditore in alcune specifiche realtà sociali ed economiche in modo analogo a quanto avveniva con le tradizionali figure degli imprenditori che divenivano presidenti di società calcistiche o patron di squadre di basket o di ciclismo.9 La novità consisteva, tuttavia, nella forma tecnica prescelta. Dall’atto unilaterale tipico del mecenatismo, che si concretizzava in un contributo personale a fondo perduto, si passava ad un contratto di natura commerciale, nel quale venivano individuate a favore dell’azienda sponsor prestazioni quale corrispettivo delle somme di denaro pagate. In questo modo l’imprenditore non doveva sopportare direttamente i costi, che venivano invece integralmente imputati all’azienda, formalmente beneficiaria dell’operazione, ed erano fiscalmente detraibili a titolo di spese di pubblicità10.
reale o nobili famiglie accostando tali nomi illustri ai propri prodotti e servizi; X. Xxxxxx, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. Civ., 2001, II, p. 3, il quale precisa che da alcuni studiosi è stata prospettata l’ipotesi che il noioso ed interminabile catalogo delle navi che si trova nel libro II dell’Iliade non poteva non avere, stante la capacità attrattiva dell’opera di Xxxxx, altra ragione che la volontà del poeta di accontentare gli “sponsor”, che erano costruttori di navi.
7 Si pensi all’esperienza del Vicenza Calcio che nel 1953 si lega all’industria tessile Lanerossi dando vita al Lanerossi Vicenza.
8 Cfr. X. Xxxxxx, Società sportive e contratti di sponsorizzazione, in Giur. it., 1993
9 X.X.Xxxxxxx, X.Xxxxxxxx, Il fenomeno «sponsorizzazione» nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, in Dir. inform., 1990, 637
10 Per approfondimenti in materia tributaria si rinvia alla letteratura specializzata. Cfr. X. Xxxx Xxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Il Fisco, 1986; X. Xxxxx, Le sponsorizzazioni sportive: aspetti contrattuali e
Nonostante si iniziassero a intravedere le potenzialità dello strumento della sponsorizzazione, vi era ancora una certa diffidenza nei confronti di questa forma pubblicitaria. Ciò derivava, probabilmente, da una concezione dello sport purista e moralistica che vigeva in quegli anni, legata ad una falsa interpretazione dei principi decoubertiniani che rendevano l’attività sportiva piena di limiti e tabù.11
Un primo passo fondamentale verso l’evoluzione della concezione dello sport, avviene nel 1968 con l’apertura del torneo tennistico di Wimbledon anche ai giocatori professionisti. Questo momento segna una svolta decisiva verso l’apertura al “professionismo” in tutti gli sport e alimenta in Italia un lungo e vivace dibattito tra la dottrina e la giurisprudenza in merito alla natura del rapporto contrattuale tra professionisti e società sportive12. Tale dibattito porterà all’emanazione della legge 23 marzo 1981, n. 91 (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti) che, sebbene sia stata definita come una legge rivolta principalmente al mondo del calcio13, dettava i requisiti affinchè gli atleti potessero essere qualificati come professionisti e regolava il loro rapporto di lavoro. La possibilità di qualificare gli atleti come professionisti costituì, poi, una premessa per lo sfruttamento economico dello sport. Per il conseguimento di tale finalità era fondamentale che lo sport riuscisse a catalizzare l’attenzione di enormi masse di persone, mediante l’accentuazione del profilo tecnico-spettacolare. Inoltre, si stava assistendo ad una progressiva trasformazione dello sport da fenomeno elitario a fenomeno di massa che ha contribuito a creare le condizioni ideali per la massimizzazione dello sfruttamento
fiscali, in Il Fisco, 2001. X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Il fenomeno delle sponsorizzazioni sportive: analisi giuridica e fiscale, in Enti non profit, 10, 2011.
11 C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, Napoli, 1989
12 In quegli anni la dottrina, pur distinguendo tra sportivi dilettanti e professionisti, si divideva tra chi collocava tale rapporto nell’area del lavoro autonomo, chi si richiamava alla disciplina dei rapporti di natura associativa e chi, infine, riconduceva il rapporto nell’area del rapporto di lavoro subordinato. Per una più completa trattazione del tema si rinvia a X. Xxxxxxx, Osservazioni in tema di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1964; X. Xxxxxxxxxx, Il contratto di lavoro sportivo professionistico, in Lineamenti di diritto sportivo, a cura di X. Xxxxxxxxxx, X. X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
13 Così X. Xxxxxx, La disciplina del lavoro autonomo e subordinato, in Giust.civ., 1993, II.
economico dello sport.14 Gradualmente dunque, si iniziò a determinare una trasformazione delle società sportive verso strutture di gestione aziendali più efficienti. Alla figura del singolo imprenditore-dirigente si andò progressivamente sostituendo quella dell’impresa come centro gestionale composto da dirigenti abituati a prendere decisioni sulla base di analisi e verifiche di gruppo e abituati a muoversi in determinati contesti economici e sociali.
Il cambiamento occorso, tuttavia, ha palesato l’esigenza del riconoscimento di un reale contenuto economico allo sport professionistico.15 Tale esigenza è stata prontamente recepita dal legislatore con l’emanazione del d.l. 20 settembre 1996 n. 485, convertito con modifiche nella legge 18 novembre 1996 n. 586, che novellando la legge 23 marzo 1981 n. 91, ha determinato il transito da uno scopo “ideale” delle società sportive ad uno scopo “lucratico”, e di conseguenza ha consentito alle stesse di implementare le tecniche commerciali in uso per reperire sempre maggiori flussi finanziari.16
In un siffatto contesto, l’approccio alla sponsorizzazione è cambiato, iniziando a focalizzarsi su principi diversi come il ritorno economico e la necessità di gestione dell’attività di sponsorizzazione stessa. In altre parole, si erano verificate le condizioni ideali per un progressivo abbandono degli sporadici e isolati interventi di stampo mecenatesco per lasciare il posto a iniziative di sponsorizzazione inquadrate in una precisa ottica di gestione aziendale. Ciò è testimoniato anche dai dati che analizzano gli investimenti per attività di sponsorizzazione nel settore dello sport in Italia. In particolare, un importante aumento degli investimenti di sponsorizzazione sportiva si verificò a partire dal 1983, anno in cui, anche grazie all’effetto del mondiale di calcio
14 M. X. Xx Xxxxxx, Xxxxxxxxxxxxxxxx x xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
15 C. X’Xxxx, X. Xxxxxxxxxx, Riflessioni civilistiche sul contratto di sponsorizzazione sportiva, in Comparazione e diritto civile, 2014, p. 4.
16 Sul punto e con più ampio riferimento alla organizzazione dell’attività sportiva, X. Xxxxxx, Organizzazione dell’attività agonistica, autonomia dell’ordinamento sportivo e d.l. n. 220 del 2003, in Giust. Civ., 2003, 11
del 1982 vinto dall’Italia, si registrò una crescita degli investimenti del 26,5%17 nominale rispetto all’anno precedente.
Parallelamente, anche le federazioni hanno colto la necessità di approfondire il dialogo tra sport e industria al fine di giungere ad una collaborazione che potesse soddisfare da un lato le aspirazioni di accrescimento della popolarità e le sempre maggiori esigenze di auto-finanziamento dei singoli sport, dall’altro la possibilità per le aziende di associare il proprio marchio ai principali protagonisti di un settore dotato di una rilevante trasversalità geografica e sociale. Nonostante una diffidenza iniziale ad aprire le porte ad uno sfruttamento economico massivo degli sport, alimentata dalla visione purista e moralistica delle discipline sportive che vigeva in quegli anni, gradualmente le federazioni sportive hanno predisposto regole di utilizzazione pubblicitaria dello sport, di risoluzione dei conflitti concernenti i rapporti pubblicitari tra società e atleti ed, infine, hanno stipulato accordi con la radio e la televisione per normare le riprese televisive.
3. Il contratto di sponsorizzazione
Il contratto di sponsorizzazione, anche se menzionato in numerosi provvedimenti legislativi non trova all’interno del nostro ordinamento una specifica disciplina. Il legislatore ha definito la sponsorizzazione con riferimento all’attività radiotelevisiva18,
17 Dati del servizio elaborazione Imago UPA/INTERMATRIX 1987/1989.
18 Legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), che all’art. 8, comma 12, statuisce che “ai sensi della presente legge, per sponsorizzazione si intende ogni contributo di un’impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o radiofoniche o di produzione di opere audiovisive o radiofoniche, al finanziamento di programmi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti”
in materia di beni culturali19 e in ambito tributario20. Tuttavia, i testi legislativi non inquadrano compiutamente il fenomeno e non individuano la causa e l’oggetto del contratto, ma si limitano a regolarne la mera attività, ossia il contenuto del messaggio pubblicitario, ed a qualificare giuridicamente una parte del contratto, lo sponsor.
Per una più puntuale definizione giuridica della sponsorizzazione bisogna quindi ricorrere ad una delle non numerosissime decisioni in tema della Corte di Cassazione, secondo la quale si potrebbe definire la sponsorizzazione come una figura che, sebbene non sia specifcamente disciplinata dalla legge, “comprende una serie di ipotesi nelle quali comunque si ha che un soggetto, detto sponsorizzato, ovvero secondo la terminologia anglosassone, sponsee, si obbliga a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo.”21 Sebbene anche tale definizione non risulti del tutto completa ed esaustiva, preoccupandosi in particolare dello studio del fenomeno dal punto di vista contrattuale, essa mira a sottolineare essenzialmente i tratti fondamentali (sinallagmaticità) e lo scopo commerciale (ritorno economico e di immagine) di tali accordi.
Il contratto di sponsorizzazione si caratterizza, quindi, per l’utilizzazione dell’altrui attività di pubblico richiamo al fine di veicolare i segni distintivi dello sponsor tramite mezzi per così dire improvvisati ed in forma, almeno nella maggior parte delle sponsorizzazioni, prevalentemente accidentale.
19 D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), che rubrica l’art. 120 “Sponsorizzazione di beni culturali” e nella prima parte del comma 1, nel testo sostituito dal d.lgs., marzo 2008, n. 62, sancisce che “è sponsorizzazione di beni culturali ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o l’attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività del soggetto erogante”.
20 D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44, prevede all'art. 4, la seguente definizione di sponsorizzazione: «ogni contributo di un'impresa pubblica o privata o di una persona fisica, non impegnata nella fornitura di servizi di media audiovisivi o nella produzione di opere audiovisive, al finanziamento di servizi o programmi di media audiovisivi al fine di promuovere il proprio nome, il proprio marchio, la propria immagine, le proprie attività o i propri prodotti».
21 Cass. Civ., 11 Ottobre 1997, n. 9880, in Foro it., 1998, I, 499.
3.1. Sponsorizzazione e advertising
Le caratteristiche sin qui delineate permettono di operare un raffronto con la pubblicità tradizionale, intesa in senso tecnico (c.d. advertising), con la quale spesso nella prassi il contratto di sponsorizzazione viene assimilato e confuso.
L’advertising si caratterizza per una diffusione “diretta” del messaggio promozionale, il cui contenuto e le modalità di diffusione sono determinate, direttamente o indirettamente, dal soggetto promotore della pubblicità in base alle proprie esigenze. Da un punto di vista giuridico, i due concetti non sono sullo stesso piano, in quanto come sostenuto da autorevole dottrina, la pubblicità in senso tecnico è una attività comunicazionale che consegue ad un atto negoziale, il contratto d’inserzione o di diffusione, mentre il contratto di sponsorizzazione è un atto negoziale da cui consegue un fatto comunicazionale.22 In altri termini, mentre nel contratto di advertising la diffusione del messaggio pubblicitario costituisce nei modi e nei termini convenuti l’obbligazione di una delle due parti, nella sponsorizzazione il messaggio pubblicitario viene diffuso attraverso un comportamento che si sarebbe tenuto indipendentemente dall’obbligazione.
Se dunque l’advertising viene definita come una forma diretta di comunicazione, in quanto pubblicizza in via immediata l’oggetto della promozione, la sponsorizzazione sarà quindi classificabile come una forma indiretta di comunicazione, poiché Il messaggio pubblicitario (in genere soltanto il marchio o il logo) viene inserito in un diverso ed autonomo contesto (si pensi ad esempio ad una competizione sportiva) utilizzato per valorizzare ed accrescere la conoscenza del prodotto o dell’impresa sponsorizzata. Ciò, da un lato, può indubbiamente costituire un vantaggio per l’impresa
22 X. Xxxx, X. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Riv. dir. inf., 1985, p. 473.
sponsorizzatrice, in quanto fa recepire al destinatario il messaggio pubblicitario durante la sua partecipazione, il più delle volte passionale, ad un evento reale; tuttavia impedisce all’impresa stessa di pianificare dettagliatamente i tempi, i xxxx e i mezzi dell’approccio con il pubblico, come avviene nell’advertising.
Quanto detto finora permette di capire come, sul piano della tecnica comunicazionale, i due strumenti analizzati presentino numerose differenze e non possano venire assimilati.
3.2. La sponsorizzazione come contratto di pubblicità
Per quanto concerne il quadro normativo, tuttavia, la sponsorizzazione viene equiparata a tutti gli effetti alle altre forme pubblicitarie.
La nozione legale di pubblicità (rectius: pubblicità commerciale) allo stato attuale della legislazione italiana, è infatti tanto imprecisa quanto estesa e non coincide certamente con quella tecnica di advertising. Infatti, allorquando nella legislazione nazionale si fa uso di espressioni come «pubblicità», «propaganda pubblicitaria», «messaggio» o
«promozione pubblicitaria», tali espressioni vanno intese in senso ampio dovendosi riferire a quei tipi di comportamento che siano in concreto idonei ad ingenerare o accrescere la propensione al consumo.23
Pertanto, si deve ritenere, e la dottrina è concorde sul punto24, che anche la divulgazione del nome, dei marchi o dei simboli dello sponsor, pur se avviene indirettamente, nell’ambito di un rapporto di sponsorizzazione, sia una forma, anche se impropria, di pubblicità. Infatti, da un lato la funzione economico-sociale di tutti i contratti di sponsorizzazione coincide con lo scopo/fine pubblicitario e dall’altro col
23 In tali sensi in giurisprudenza cfr. Pret. Milano, 31 gennaio 1984, in Riv. Dir. Ind., 1984, II, 228, con nota di X. Xxxxxx, Divieto di pubblicità delle sigarette e diritto di pubblicità del marchio.
24 In tal senso M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, 153; X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006, 1006 ss.
termine contratti di pubblicità si intende far riferimento a tutti quei contratti che, a prescindere dalla loro struttura e dalle loro caratteristiche, sono accomunati solo in virtù della loro relazione di fatto con la pubblicità. Da tale qualificazione discende che, nonostante dal punto di vista tecnico-economico la sponsorizzazione diverga nettamente dall’advertising, sul piano legale statuale ed autosciplinare la diffusione del nome, dei marchi e dei simboli dello sponsor nell’ambito di un rapporto di sponsorizzazione è soggetta a tutte le norme speciali in materia di pubblicità emanate dal legislatore, comprese quelle che la vietano o la limitano.
Questa impostazione dottrinale è stata confermata dalla giurisprudenza che in una sentenza fondamentale del 200425 si è espressa apertamente contro le sponsorizzazioni di manifestazioni da parte dei produttori di tabacco e l'apposizione sui veicoli da corsa dei marchi di sigarette, attraverso un'interpretazione estensiva dell'art. 8 del d.l. n. 4/1983, convertito in legge n. 52/1983 (il quale modificava la l. 10 aprile 1962, n. 165), che vieta la “propaganda pubblicitaria” di qualsiasi prodotto da fumo. Con questa pronunzia, infatti, la Corte di cassazione ha ritenuto che l'attività di sponsorizzazione debba rientrare in quella di propaganda pubblicitaria, giacché si concreta nella promozione ovvero nell'incentivazione commerciale di un prodotto conservando un effetto evocativo ed una funzione di richiamo pubblicitario del prodotto stesso. Di conseguenza, la Suprema Corte per la prima volta ha stabilito che sia vietata, in quanto ricade nell'ambito del divieto di propaganda pubblicitaria dei prodotti da fumo di cui all'art. 8 del d.l. n. 4/1983, qualsiasi sponsorizzazione di una manifestazione o di un bene con segni commerciali distintivi di un prodotto da fumo. L’orientamento stabilito dalla Corte di legittimità è stato poi ulteriormente confermata dall’emanazione del d.lgs. 16 dicembre 2004, n. 300, attuativo della direttiva
25 Cass. civ., 14 settembre 2004, n. 18431
comunitaria 2003/33/CE, in materia di pubblicità e di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco.26
Si deve tenere in considerazione, però, che nelle sponsorizzazioni, il contenuto del messaggio è concentrato il più delle volte nel semplice marchio o logo dello sponsor, così che difficilmente si porranno le problematiche giuridiche tipiche della comunicazione pubblicitaria, quali ad esempio quelle in tema di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa, disciplinate attualmente dal d. lgs. 2/8/2007, n. 145 (Attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole).27
Tuttavia, l’ascrizione dei contratti di sponsorizzazione entro la categoria dei contratti di pubblicità, assume un valore meramente descrittivo e classificatorio privo di alcuna rilevanza giuridica, poiché i contratti di pubblicità, non avendo ricevuto una autonoma e specifica disciplina, ricadono nell’ambito dell’atipicità legale.
3.3. La disciplina giuridica del contratto di sponsorizzazione
Davanti alla progressiva diffusione del contratto di sponsorizzazione e considerata la carenza normativa, gli interpreti si sono a lungo interrogati sulla sua natura e sulla sua qualficazione giuridica. Tale contratto, infatti, pur caratterizzandosi per l’abbinamento del nome dello sponsor al fatto o alla persona (o gruppo di persone) sponsorizzati, viene concretamente estrinsecato in una pluralità di strumenti giuridici attraverso i quali viene perseguito l’obiettivo. Si pensi a quegli accordi che prevedono, a carico dello sponsorizzato, sia l’obbligo di eseguire determinate prestazioni (come, ad esempio, indossare indumenti o utilizzare attrezzature riportanti il marchio dello sponsor), sia di
26 X. Xxxxxxx, Un leading case della Cassazione in materia di sponsorizzazione: l'importanza della correttezza dello sponsee, in Resp. Civ. e Prev., 2007, 3, p. 558.
00 X. X. Xxxxx, Xx sponsorizzazione tecnica e lo sfruttamento commerciale del marchio sportivo, in Nuova giur. civ., 2010, 12.
fornire allo sponsor un’autorizzazione a sfruttare la propria immagine per scopi pubblicitari. Pertanto, al fine di individuare una disciplina rigorosa, unitaria e generale che possa applicarsi alle diverse estrinsecazioni del contratto di sponsorizzazione sarà necessario ricostruirne l’evoluzione nel corso del tempo e tentare di identificarne le caratteristiche di base.
3.3.1. Dalla donazione al contratto bilaterale
Originariamente, sotto il punto di vista giuridico, nelle sue forme più elementari, la sponsorizzazione altro non era che una vera e propria donazione attraverso la quale il mecenate del tempo donava ad un soggetto una somma di denaro al solo fine di aiutarlo nell’impresa che egli doveva apprestarsi a compiere. Nessun corrispettivo era previsto e la causa del contratto altro non era che lo spirito di liberalità che muoveva il mecenate.
Progressivamente, questo schema iniziale iniziò a mutare. L’atto consiste, pur sempre, in una dazione di denaro da parte del mecenate ad un soggetto per il compimento di una determinata attività, tuttavia il mecenate inizia a riservarsi il diritto di rendere noto il fatto al pubblico. Lentamente, dunque, lo spirito di liberalità lascia il posto ad un nuovo elemento voluto dalle parti: il ritorno pubblicitario, che diventa così la causa del contratto. In altre parole, ciò che il mecenate vuole ottenere è la notorietà del fatto di avere corrisposto la somma di denaro per un fine ritenuto socialmente utile e meritevole. È bene precisare che l’atto rimane, comunque, tendenzialmente unilaterale in quanto al soggetto ricevente la somma di denaro non è imputata alcuna prestazione, se non il tollerare la divulgazione del rapporto intercorrente tra le parti.
Da questo schema contrattuale, chiamato sponsorizzazione impropria o impura, si passerà al più complesso schema della sponsorizzazione vera e propria, in cui la
condotta delle parti evidenzia esplicite finalità commerciali. In questa fattispecie, l’originario mecenate, che a questo punto dovrà più propriamente essere chiamato sponsor, non si accontenta del comportamento acquiescente della controparte, ma condiziona la corresponsione della somma a specifici comportamenti dello sponsee, che dovranno contribuire a perseguire l’effettiva causa del contratto: il ritorno pubblicitario.
Inizia quindi a delinearsi lo schema di un contratto bilaterale nel quale lo sponsorizzato si obbliga a forme di veicolazione del marchio dello sponsor dietro pagamento di un corrispettivo. Le obbligazioni così delineate sono poste in un nesso di condizionalità reciproca che permette di definire il contratto di sponsorizzazione come un contratto obbligatorio a prestazioni corrispettive.28
4. La qualificazione giuridica del contratto di sponsorizzazione
Questa prima ricostruzione ci permette di iniziare a delineare le caratteristiche principali di questa forma contrattuale.
Il contratto di sponsorizzazione, essendosi imposto e consolidato nella pratica degli affari, costituisce un tipo sociale.29 Con tale locuzione si definisce una prassi contrattuale consolidata che, grazie alla sua diffusione e al suo utilizzo, ha acquisito una propria fisionomia che, però, non trova diretto riscontro nei modelli normativi di riferimento ponendo così un problema di qualificazione giuridica. A tal fine sarà necessario, innanzitutto, il tentativo di inquadrarlo in una struttura tipica, mettendolo in comparazione con gli schemi dei contratti nominati. Dalla riconduzione del contratto atipico ad un tipo contrattuale, infatti, può dipendere, non solo, l’individuazione della
28 Cfr. X. Xxxxxxxxxxxxx, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987 p. 291; X. Xxxxxxxx,
Sponsorizzazione, in Contratto e impresa, Xxxxxx, 0000.
29 L’espressione risale a X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, Tratt. del dir. civ. it. diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1960, 125.
fonte legale che concorre alla formazione del regolamento contrattuale, ma persino la validità di singoli aspetti o dell’intero regolamento predisposto dalle parti.30
4.1. I primi tentativi della dottrina
Abbiamo visto come alcuni autori31 abbiano cercato di assimilare il contratto di sponsorizzazione ai contratti di inserzione pubblicitaria, sebbene questi ultimi costituiscano un tipo contrattuale innominato, enucleato da parte della dottrina ma non riconosciuto dall’ordinamento positivo e, dunque, non di grande rilevanza pratica. Altra parte della dottrina32 ha cercato di inquadrare la sponsorizzazione nell’ambito dei contratti di tipo associativo, anche se tale ricostruzione individuando nell’esercizio in comune dell’attività sportiva la causa del contratto di sponsorizzazione, non sembra aver colto a pieno l’essenza di tale contratto.
Più convincente sembra il tentativo, da parte di altri autori, di accostare il contratto in esame allo schema della locatio operis.33 Tale orientamento, attenendosi alla lettera degli articoli 1655 c.c., che disciplina il contratto d’appalto, e 2222 c.c., che disciplina il contratto d’opera, ritiene che le definizioni contenute in essi siano ampie al punto da potervi ricomprendere qualsiasi prestazione di un servizio a fronte di un corrispettivo, purché non vi sia vincolo di subordinazione. Di conseguenza, il contratto di sponsorizzazione per cui lo sponsorizzato si obbliga a forme di veicolazione del marchio dello sponsor dietro pagamento di un corrispettivo, rientrando nel tradizionale schema del do ut facias, dovrebbe rientrare nei due tipi legali menzionati (contratto di
30 In senso analogo x. X. Xx Xxxx, Xx xxxx xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
31 Cfr. C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, Napoli, 1989.
32 In questo senso U. Xxx Xxxx, Aspetti giuridici della sponsorizzazione dello sport, Relazione al Convegno organizzato a Verona il 27-28 Marzo 1891 dalla POPAI Italia sulla comunicazione aziendale attraverso la sponsorizzazione.
33 Cfr. M. V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova 1988
appalto di servizi e contratto d’opera), a seconda che lo sponsee sia o meno qualificabile come imprenditore.
Tuttavia, la dottrina prevalente ritiene che la qualifica di imprenditore richiesta dall’art. 1655 c.c. non debba essere generica, ma collegata con l’attività specifica dedotta nel contratto di appalto, e dunque lo sponsee non dovrebbe soltanto limitarsi a svolgere attività d’impresa (come avviene nel caso delle società sportive), bensì dovrebbe esplicare professionalmente un’attività organizzata nel campo della comunicazione. Di conseguenza, il contratto di sponsorizzazione non sembra poter essere ricompreso nello schema del contratto di appalto, in quanto gli sponsee, soprattutto nell’ambito delle sponsorizzazioni sportive, sono generalmente eventi o soggetti che non svolgono attività nel campo della comunicazione. Per di più, si deve notare che lo sponsee non è obbligato al raggiungimento di alcun risultato nei confronti dello sponsor, in quanto egli svolge la propria attività per il raggiungimento di obiettivi sportivi, tipici della disciplina praticata, e che nulla hanno a che vedere con la prestazione di un servizio in favore dello sponsor.
Inoltre, anche se potrebbe superare gli ostacoli appena rilevati, non sarebbe neanche corretto ricondurre il contratto in esame allo schema del contratto di prestazione d’opera. Ciò poiché la prestazione dello sponsee, solitamente, va ben oltre la prestazione d’opera a carattere prevalentemente personale descritta dall’art. 2222 c.c, ed equiparando le due non si terrebbe in conto la complessa realtà giuridica inerente al fenomeno in esame, come dimostrano la pluralità di prestazioni che, cumulativamente o alternativamente fanno capo allo sponsorizzato. Per di piú, come è stato puntualmente osservato, lo sponsorizzato agisce per il conseguimento di finalità proprie (quale quella, ad esempio, della vittoria in una competizione sportiva), che nulla hanno a che vedere con il prestare servizi allo sponsor.
Per quanto detto finora, sebbene vi possa essere qualche punto di contatto tra i diversi schemi contrattuali, si deve escludere che tutta la disciplina dell’appalto o del contratto d’opera si possa applicare integralmente ai contratti di sponsorizzazione. Sarà, tutt’al più, compito dell’interprete individuare le norme proprie di questi tipi contrattuali che potranno essere applicate al concreto accordo preso in esame.
4.2. Il contratto di sponsorizzazione come contratto atipico
Da questi tentativi, si percepisce come la dottrina abbia tentato più volte, talvolta persino forzatamente, di “tipizzare” in ogni modo il contratto di sponsorizzazione. In realtà, questa tendenza di dover ricondurre un contratto atipico a un tipo contrattuale a tutti i costi, è stata più volte criticata da altre parte della dottrina che ha ritenuto che in questo modo si corra il rischio di collegare taluni effetti del contratto al tipo, anziché alla volontà delle parti. Ciò, in casi estremi, potrebbe, persino, portare al risultato di far dipendere dal contratto effetti non voluti dalle parti e neppure compatibili con la natura del contratto stesso.34
Da tali considerazioni sembra potersi concludere che non è sostenibile la possibilità di applicare al contratto di sponsorizzazione una delle discipline predisposte dal legislatore per alcune figure contrattuali tipiche. Il contratto di sponsorizzazione si è infatti affermato nella prassi per soddisfare esigenze nuove e specifiche della moderna comunicazione d’impresa. La dottrina prevalente si è dunque ormai attestata su una posizione più intermedia, limitandosi a ricondurre tale contratto alla categoria dei contratti atipici35. Nel nostro ordinamento, infatti, la possibilità di stipulare anche contratti c.d. atipici è prevista dall’art. 1322 c.c., norma che riveste un ruolo centrale di
34 In tal senso v. X. Xxxxx, X. Xx Xxxx, Il contratto, IV edizione, Milano, 2016, 1401 ss.
35 Cfr. X. Xxxxxxxx, Sponsorizzazione, in Contr. e impr., Padova, 1985, 255; X. Xxxxxxxx, X.Xxxxx, La sponsorizzazione, Milano, 1988, 19; G. Vidiri, Società sportive e contratti di sponsorizzazione, in Giur. It., 1993, 9, X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006.
adattamento dell’ordinamento alle diverse e mutevoli esigenze connesse all’evoluzione socioeconomica del paese. Il suddetto articolo al secondo comma, stabilisce che le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una propria disciplina, la cui legittimità è però subordinata alla condizione che questi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Per poter qualificare un contratto come atipico non è, dunque, sufficiente che tale accordo non sia espressamente disciplinato dalla legge, ma è anche necessario che tale contratto soddisfi la condizione di meritevolezza descritta dalla norma.
Nel caso del contratto di sponsorizzazione si può dire che tale condizione venga ampiamente soddisfatta indipendentemente dai diversi criteri che sono stati utilizzati in questo giudizio di meritevolezza. Tale giudizio, infatti, ha suscitato da sempre un approfondito dibattito dottrinale intorno alla sua natura. Parte della dottrina36 ritiene che per esprimere il giudizio in esame si debbano utilizzare i criteri enunciati dall’art. 1343 c.c., vale a dire la non contrarietà del negozio a norme imperative, al buon costume o all’ordine pubblico, o comunque ai principi generali dell’ordinamento giuridico desumibili dalla Costituzione e dalla legislazione ordinaria; altra dottrina37, in senso più estensivo, ritiene che si debba fare riferimento alla oggettiva utilità sociale del contratto intesa come la conformità della causa alle esigenze della comunità rilevanti anche secondo i parametri costituzionali.
Qualsiasi interpretazione si accolga, è opportuno notare che il contratto di sponsorizzazione ha assunto una funzione economicosociale, consistente in uno scopo pubblicitario per lo sponsor e in un ritorno economico per lo sponsorizzato che, oltre a non collidere con il dettato dell’art. 1343 c.c. e con i principi costituzionali, in positivo realizza anche una vera e propria utilità sociale, prestandosi ad una armonica
36 In questo senso G. B. Xxxxx, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 406 ss.
37 Vedi C. M. Xxxxxx, Diritto Civile, 3, il contratto, Milano, 1985.
integrazione di un complesso di valori fatti propri dall’ordinamento. Infatti, da un lato la pubblicità in genere è concordemente ritenuta attività tutelata dai principi costituzionali con riferimento alla libertà di iniziativa economica ai sensi dell’art. 41 Cost., e dall’altro i contratti di sponsorizzazione, pur non godendo ancora di una propria compiuta disciplina, si sono consolidati nella prassi per soddisfare ineccepibili esigenze finanziarie e di marketing e hanno ottenuto, come visto in precedenza, esplicita considerazione da parte del legislatore nazionale, in particolare nel settore radiotelevisivo e in materia tributaria, e dalle varie federazioni sportive nei relativi settori di competenza. 38 In tale ottica, il contratto di sponsorizzazione sarebbe idoneo a soddisfare i requisti dell’art. 1322 c.c. e sarebbe, dunque, riconducibile al contratto atipico a titolo oneroso.39 Tale conclusione, però, per quanto condivisibile, non sembra del tutto soddisfacente. La qualificazione del contratto di sponsorizzazione come contratto atipico, infatti, ha una mera rilevanza descrittiva e non contribuisce a risolvere i problemi circa la disciplina applicabile. La disciplina del contratto atipico, infatti, è lasciata esclusivamente alle disposizioni sulla parte generale del contratto e al regolamento contrattuale disposto dalle parti, che spesso, però, non regolano il rapporto in modo esaustivo. Di conseguenza, tale ricostruzione teorica rischierebbe di essere esclusivamente fine a sé stessa, non risolvendo il problema originario di indivduazione della disciplina applicabile alla sponsorizzazione.
Una volta di più, emerge come, a fronte di fattispecie atipiche, sfuggenti a rigorose definizioni e precisi inquadramenti, risulti di estrema difficoltà la riconduzione a regole uniformi, dovendosi piuttosto, caso per caso, ritrovarne la disciplina sulla base del contenuto dei singoli contratti.40
38 X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006, 1006 ss.
39 Cfr. X. Xxxxxxxx, Sponsorizzazione, in Contr. e impr., Padova, 1985; X. Xxxxxxxxxxxxx, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987
40 X. Xxxxx, La natura atipica del contratto di sponsorizzazione, nota a Cass. civ., 11 ottobre 1997, n.9880 in Resp. civ. prev., 1998, 1067 ss.
4.3. L’approccio della giurisprudenza
A fronte dell’approccio dottrinale, che permette di cogliere le numerose sfaccettature della questione, occorre necessariamente tener conto anche del modo concreto in cui procedono le decisioni.
Pur non essendo numerose le pronunce in merito, per via della frequente tendenza di devolvere le questioni in merito ai rapporti di sponsorizzazione ai tribunali arbitrali, la giurisprudenza, qualora sia stata chiamata a statuire sulla natura del contratto in esame, ha cercato di ricondurre la fattispecie a uno dei tipi legali. Tale operazione, però, è stata svolta, differentemente dalle ricostruzioni adottate dalla dottrina, facendo ricorso alla figura del contratto complesso o misto.
Secondo giurisprudenza consolidata41, le parti, nell’esplicazione della loro autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto, dar vita a più negozi distinti ed indipendenti, ovvero ad un unico negozio giuridico composto. In particolare, tra i negozi composti possiamo distinguere il contratto complesso e il contratto misto. La figura del contratto complesso viene utilizzata per identificare il contratto che risulta dall’unificazione di più contratti tipici presi nel loro contenuto globale e caratterizzata dall’esistenza di una causa unica che collega le varie prestazioni dedotte in modo che tendano al raggiungimento di un intento negoziale unico. Il contratto misto viene inteso invece come il contratto che risulta dalla unificazione di clausole costituenti semplici frammenti di più contratti tipici, in modo che la fusione delle cause faccia sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengano assunti quali elementi di un negozio unico.42 Il risultato che si vuole ottenere,
41 In questo senso x. Xxxx., 12 luglio 2005, n. 14611; Cass., 10 luglio 2008, n. 18884; Cass., 1° ottobre
2014, n. 20726.
42 Le massime sono ripetute in maniera uniforme: Cass., 16 marzo 2006, n. 5851; Cass., 17 dicembre 2004, n. 23470; Cass., 24 marzo 2004, n. 5941; Cass., 16 maggio 2003, n. 7640.
tramite il ricorso alle due figure sopracitate, è quello di individuare i tipi legali cui appartengono i diversi elementi che compongono il contratto di sponsorizzazione per poter determinare la disciplina applicabile a quest’utlimo.
Due sono i possibili criteri per la determinazione della disciplina di questo tipo di figure giuridiche complesse: l’applicazione delle norme corrispondenti al tipo di cui fa parte l’elemento prevalente (teoria dell’assorbimento o criterio della prevalenza); oppure l’applicazione diretta delle norme corrispondenti ai vari elementi commisti (teoria della combinazione).43
La giurisprudenza è abbastanza unanime nel seguire il criterio della prevalenza. 44 Di conseguenza, l’indagine svolta dai giudici procede identificando gli elementi prevalenti del contratto, i quali possono consentire la subordinazione e l’assorbimento degli altri; individuando il tipo cui essi sono riconducibili e riconducendo a quest’utlimo il contratto in esame. Questo modo di procedere, tuttavia, rischia di compromettere o svalutare gli elementi subordinati che potrebbero non essere adeguatamente attenzionati, con la conseguenza che il reale intento economico delle parti venga distorto. In questi casi, parte della giurisprudenza45 correttamente assoggetta il contratto misto o complesso alla disciplina del contratto prevalente, applicando residualmente le norme proprie del contratto “assorbito”. In questo modo, oltre ad essere rispettata l’autonomia negoziale delle parti, si applicherà una disciplina più esauriente possibile, che andrà a regolare nel dettaglio il rapporto contrattuale.
00 X. Xxxxx, X. Xx Xxxx, Xx contratto, IV edizione, Milano, 2016, 1410 ss.
44 Così Cass. 26 luglio 1946, n. 1013; Cass. 22 luglio 1960, n. 2090, in Giur. It., 1961, I, 304; Cass., 12
aprile 1999, n. 3578; Cass., 22 giugno 0000, x. 00000, in Contr., 2006, 325.
45 X. Xxxx. 0 dicembre 1997, n. 12199, in Giur. It. 1998, 1808; Cass. SS. UU., 12 maggio 2008, n. 11656, in
Corriere giur., 2008, 1380.
4.4. La disciplina delle federazioni
In ambito sportivo, il contratto di sponsorizzazione, oltre ad essere sottoposto alla normativa nazionale secondo quanto esposto precedentemente, è soggetto anche alle specifiche disposizioni in materia dettate dalle varie Federazioni, Associazioni e Leghe sportive. Queste istituzioni, seppur in momenti diversi e con differenti modalità, hanno cercato di dare risposta all’esigenza del mondo sportivo di risolvere propri specifici problemi che altre fonti non erano in grado di affrontare.
È bene ricordare, tuttavia, che tali organizzazioni non hanno natura pubblicistica e, pertanto, sono prive di quell’autonomia normativa che si concretizza nel potere di emanare norme vincolanti anche al di fuori dell’ambito federale. Ciò nonostante, le disposizioni emanate da tali enti, limitando fortemente la capacità contrattuale dei soggetti sportivi, devono gioco-forza essere osservate anche dai soggetti esterni alla federazione di appartenenza dello sportivo che hanno instaurato con quest’ultimo un rapporto di sponsorizzazione. Ciò è possibile, unicamente, tramite l’inserimento nel contratto di sponsorizzazione di una specifica clausola che riconosca espressamente e richiami le disposizioni federali in materia. Spesso sono le stesse Federazioni o le Leghe ad esse connesse che impongono ai propri affiliati di inserire nei contratti di sponsorizzazione una clausola tramite la quale i rispettivi sponsor dichiarano di aver preso conoscenza e di accettare i vincoli normativi dettati in materia dalla relativa federazione.
Le suddette normative, pur variando nel contenuto da organizzazione ad organizzazione, si preoccupano essenzialmente di stabilire sia le tipologie di sponsorizzazioni ammesse per i propri affiliati (come dimostra il caso dell’abbinamento non ammesso nel calcio dalla Lega Serie A ma autorizzato nel basket dalla F.I.P.), sia di delimitare gli spazi sulle attrezzature e sul campo da gioco che possono essere
occupati dalle scritte pubblicitarie degli sponsor, nonché i relativi limiti di dimensione e contenuto. Talvolta, le Federazioni si preoccupano persino di controllare e valutare la conformità del contenuto dei contratti di sponsorizzazione stipulati dai propri affiliati alle disposizioni anzidette. In questi casi, l’efficacia degli accordi viene sospesa e subordinata alla condizione dell’avvenuta ratifica o autorizzazione da parte degli appositi organi della Federazione.
4.5. Il contratto di sponsorizzazione nella prassi
Si è arrivati, così, alla conclusione che il contratto di sponsorizzazione è un contratto nominato, socialmente tipico e legalmente atipico, sinallagmatico e a titolo oneroso.
Tra le varie figure contrattuali cui può ricondursi, alcune si avvicinano a figure già tipizzate (appalti, contratti d’opera, di licenza di nome o di marchio), altre a figure atipiche, alcune a figure semplici, altre a figure più complesse, risultanti, cioè, dalla fusione di più modelli contrattuali nominati. Da un’analisi della prassi contrattuale è possibile ricavare, all’interno di questa eterogena categoria di contratti, vari tipi di accordi.
In primo luogo, si potranno avere contratti nei quali lo sponsee assume obbligazioni di facere, che si inquadrano nell’attività imprenditoriale da lui svolta. Questo è il caso, prevalentemente, della sponsorizzazione di trasmissioni radiotelevisive, alle quali possono riconoscersi i caratteri tipici dell’appalto di servizi.
Altri tipi di contratti di sponsorizzazione prevederanno che lo sponsorizzato assuma prevalentemente obbligazioni di facere, le quali, tuttavia, non si inquadrano nell’attività imprenditoriale da lui svolta. Ciò può darsi nei casi in cui lo sponsee non svolga attività d’impresa (ed è il caso, tipicamente, della sponsorizzazione di singole persone), o nei casi in cui svolga attività d’impresa in un settore diverso da quello comunicazionale
(come avviene tipicamente nella sponsorizzazione delle società sportive). Le prestazioni richieste allo sponsorizzato in questo tipo di contratti potranno essere sia di tipo attivo (si pensi all’obbligo dello sponsee di abbinare il nome o il marchio dello sponsor alla denominazione del proprio club, o di partecipare alle manifestazioni promo-pubblicitarie indette dallo sponsor o, infine, di rilasciare dichiarazioni a favore del prodotto), ma potranno anche, in altri casi, sconfinare in obbligazioni di tipo permissivo (come potrebbe essere l’obbligo dello sponsee di consentire a che lo sponsor apponga il suo marchio sulle divise degli sportivi appartenenti alla squadra, e, collateralmente, obbligo di valersi di quelle divise nello svolgimento della propria attività).
Si potranno avere, inoltre, contratti nei quali lo sponsee assume obbligazioni di tipo prevalentemente permissivo e di semplice pati, consistenti nell’autorizzazione allo sponsor di valersi del nome/marchio della manifestazione sponsorizzata, come pure di svolgere, all’interno di quest’ultima, determinate attività o manifestazioni collaterali, ma che tuttavia non escludono anche eventuali obbligazioni di facere (sponsorizzazione di un evento);
Infine, potranno darsi contratti nei quali, a fronte dell’assunzione da parte dello sponsee di uno o più degli obblighi di cui sopra, lo sponsor corrisponda, anziché una somma di denaro, beni o servizi strumentali allo svolgimento dell’attività dello sponsee, o all’evento sponsorizzato (cd. sponsorizzazioni tecniche).
Questi tipi di accordi, che a prima vista possono apparire molto diversi fra loro, sono accomunati da un unico elemento: la realizzazione di una funzione unitaria, vale a dire il ritorno pubblicitario.
5. Gli elementi essenziali del contratto di sponsorizzazione
Ai fini della nostra trattazione, sarà dunque necessario procedere ad un’analisi delle varie caratteristiche del contratto di sponsorizzazione per distinguere nel dettaglio i diversi tipi di contratto.
5.1. Le parti del contratto
Per quanto concerne il profilo soggettivo, si può notare che i titolari del rapporto contrattuale sono essenzialmente due: lo sponsor, colui che sponsorizza, e lo sponsee, vale a dire il soggetto sponsorizzato.
5.1.1. Lo sponsor
Lo sponsor è il soggetto che tramite il contratto di sponsorizzazione persegue un ritorno di immagine. Sebbene astrattamente qualsiasi soggetto possa servirsi del contratto di sponsorizzazione per divulgare un messaggio (nel rispetto delle eventuali normative di settore), la prassi contrattuale dimostra che solitamente lo sponsor altro non è che un’impresa. In virtù di ciò, parte della dottrina ha cercato di ricondurre il contratto di sponsorizzazione alla categoria composta da quei contratti nominati che presuppongono che almeno una delle due parti sia un imprenditore. 46 In questo modo, alcune norme dettate per questo tipo di contratti, chiamati dalla dottrina “contratti di impresa”47, sarebbero estendibili in via analogica anche al contratto di sponsorizzazione.
46 C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, Napoli 1989, 94.
00 Xxx. X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, in Tratt. di dir. civ. e comm., Xxxx e Messineo, Milano, 1973.
Qualunque sia la natura dello sponsor, l’obbligo principale previsto a suo carico è, di regola, il versamento di una somma di denaro. Questa obbligazione permette, come già evidenziato in precedenza, di definire il contratto di sponsorizzazione come un contratto a titolo oneroso. Lo sponsor sarà chiamato a scegliere non solo chi o cosa sponsorizzare, ma anche con quale intensità e tempistiche, ai fini di massimizzare il ritorno economico in una precisa ottica aziendale.
5.1.1.1. Le diverse articolazioni dello sponsor
Quando un soggetto decide di intraprendere una politica comunicazionale di sponsorizzazione, può anche optare tra diversi livelli di intervento, che offrendo diverse opportunità di diffusione del marchio, corrispondono a diversi impegni finanziari.48
Un primo livello di intervento è quello del c.d. sponsor unico. In questo caso lo sponsor ha la possibilità di eliminare qualsiasi confusione con altri possibili partner e può perseguire una completa fusione tra l’immagine del soggetto o evento sponsorizzato e la propria, determinando quindi un altissimo ritorno di immagine potenziale. Chiaramente questo tipo di sponsorizzazione richiede costi molto elevati e considerata anche la sempre maggiore gamma di possibilità di intervento, tale figura rappresenta ormai una tipologia di sponsorizzazione in declino.
Negli ultimi anni si sta diffondendo notevolmente la figura del main sponsor o sponsor principale. Il main sponsor è il partner che si impegna maggiormente dal punto di vista economico nei confronti dello sponsee e quindi è colui che gode di maggiori spazi e opportunità. Ad esempio, nel caso della sponsorizzazione di una squadra egli potrà generalmente apporre il proprio logo su tutto l’abbigliamento sportivo e da riposo e su tutti gli altri spazi messi a disposizione dalla società sportiva, mentre nella
48 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006
sponsorizzazione di un evento è colui che viene associato al nome della manifestazione o che comunque viene indicato come il soggetto che ha permesso la realizzazione dell’evento stesso. La presenza dello sponsor principale presuppone chiaramente la presenza di altri sponsor che sono detti sponsor secondari o minori. Essi sono tali in quanto si impegnano economicamente in misura inferiore rispetto a quello primario e quindi godono di minori spazi ed opportunità. Lo sponsor secondario, infatti, solitamente non compare sulle divise degli atleti, così come non aggiunge il proprio nome a quello dell’evento sponsorizzato. Talvolta, essendo in genere lo sponsor minore un fornitore di beni o di servizi, può ottenere il titolo di «Fornitore ufficiale» di cui può avvalersi per realizzare iniziative promo-pubblicitarie.
5.1.1.2. Lo sponsor tecnico
Un altro ambito di sponsorizzazione è rappresentato dallo sponsor che fornisce il materiale strettamente necessario per lo svolgimento dell’attività sportiva specifica. In questo caso si parlerà di sponsorizzazione tecnico-sportiva che può essere definita come l’attività aziendale che si propone di sfruttare il potenziale di notorietà di determinati soggetti, organizzazioni, manifestazioni o eventi, per esporre un prodotto, oggettivamente collegabile all’attività sponsorizzata. In questo caso, l’obbligazione principale gravante sullo sponsor consisterà in una dazione di beni o sevizi e solo eventualmente sarà accompagnata dal versamento di una somma di denaro. In alcuni casi le parti possono prevedere che alla prestazione principale della fornitura di beni e servizi venga anche affiancata, come prestazione accessoria, anche quella di versamento di una somma di denaro, così come la stessa prestazione principale di fornitura può essere sostituita da una mera offerta di acquisto a prezzo scontato dei beni e servizi suddetti.
Bisogna notare che, a differenza di quanto sostenuto in precedenza da parte di autorevole dottrina49 che identificava la fornitura del materiale con la liberalità d’uso, giurisprudenza e dottrina sono oggi concordi nel ritenere anche il contratto di sponsorizzazione tecnica come un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive. Come sostenuto, infatti, da un’importante sentenza della Corte di Cassazione50 in materia, lo sponsor persegue sempre un interesse patrimoniale e pertanto la fornitura altro non è che un’obbligazione che si pone in rapporto sinallagmatico con le prestazioni della controparte.
Questo tipo di sponsorizzazione, dunque, non è altro che un negozio complesso che partecipa, a seconda dei casi, della natura di determinati contratti tipici. Di conseguenza, sarà possibile riconoscere nel contratto di sponsorizzazione tecnica, di volta in volta, gli elementi della compravendita, nel caso in cui la proprietà dei beni venga trasferita dallo sponsor allo sponsorizzato, della locazione o della somministrazione.51
Lo sponsor tecnico, generalmente, beneficia degli stessi veicoli comunicazionali di quello unico o principale con la differenza che le dimensioni delle sue scritte pubblicitarie sono più ridotte. Tuttavia, l’elemento peculiare di questo tipo di sponsorizzazione è rappresentato dall’esistenza di un collegamento oggettivo tra attività sponsorizzata e caratteristiche del prodotto dell’impresa sponsorizzatrice. Ciò consente di creare un rapporto diretto tra prodotto e prestazione sportiva, non solo rendendo visibile il nome dello sponsor che lo produce ma anche esponendo il prodotto stesso, rappresentativo dell’offerta aziendale. Lo sponsor in questo modo persegue, oltre ad una finalità promozionale, anche il vantaggio di natura tecnica di saggiare la qualità e la effettiva tenuta dei propri prodotti attraverso le prestazioni agonistiche e
49 X. Xxxxxxxx, La sponsorizzazione: profili generali, in Contr. e impr., 1985
50 Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2006, n.12801.
51 In questo senso M. Xxxx, P. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Riv. dir. inf., 1985, pp. 470-471
potrà trarne le indicazioni necessarie per migliorarne le qualità e le caratteristiche, instaurando un dialogo diretto con gli atleti che li utilizzano.
Va notato che nella pratica si usa distinguere tra “sponsorizzazioni tecniche” in senso stretto e “forniture ufficiali” (official supplies). Nelle prime oggetto della prestazione saranno beni o servizi strettamente inerenti all’attività sportiva (come ad esempio l’attrezzatura da gara dell’atleta), mentre nelle seconde l’oggetto della prestazione sarà di natura più generica seppur possa essere utilizzato comunque nello svolgimento dell’attività (si pensi agli alimenti o alle bevande energetiche).
5.1.1.3. Il pool di sponsorizzazione
Merita, infine, di essere segnalata la tendenza commerciale che, a causa dei sempre maggiori costi e dell’impegno finanziario richiesto alle aziende che vogliono sponsorizzare, si è diffusa nel campo della sponsorizzazione negli ultimi anni, portando aziende solitamente operanti in diversi settori di mercato ad unirsi per sponsorizzare congiuntamente un grande evento o un soggetto che riveste una particolare importanza per un dato sport, come ad esempio la Federazione di riferimento o uno dei club più prestigiosi. Questo istituto, che prende il nome di “pool”, si è sviluppato prevalentemente nel settore delle sponsorizzazioni tecniche come risposta all’esigenza dello sponsee di ricevere più forniture di beni e servizi integrate tra loro. Tuttavia, esso si è ben presto allargato a tutte le tipologie di sponsorizzazione, anche al di fuori dell’ambito sportivo, dati i numerosi vantaggi che ne ricavano entrambe le parti del contratto. Infatti, anche le singole aziende partecipanti al pool traggono il beneficio di non dover più contrattare singolarmente con lo sponsorizzato e, di conseguenza, limitano il rischio di trovarsi in una situazione di squilibrio contrattuale.
Pertanto, alla figura della singola impresa sponsorizzatrice si viene così a sostituire il pool, l’insieme delle aziende che negozierà direttamente il contratto con lo sponsee e gestirà i rapporti concernenti le forniture. Solitamente, questo tipo di accordi sono inoltre accompagnati da clausole di esclusiva che impediscono al soggetto sponsorizzato di stipulare accordi separati con singole imprese e che allo stesso tempo gli impongono di utilizzare esclusivamente i prodotti forniti dal pool per lo svolgimento della propria attività. Parallelamente, alle varie imprese costituenti il pool potrà essere concesso il diritto di utilizzare sui prodotti o nelle pubblicità il logo o il marchio dello sponsee, delle volte accompagnato anche dalla dicitura “fornitore ufficiale”.
Per lungo tempo, la dottrina si è interrogata sulla natura giuridica del pool di imprese e, ad oggi, sembra concorde nel ritenere che questo istituto possa essere considerato come un vero e proprio consorzio tra imprese con attività esterna a fini di sponsorizzazione (art. 2612 c.c.).52 Infatti, il pool è perfettamente inquadrabile nella nozione classica di consorzio, inteso come organizzazione per la disciplina di un’attività commerciale inerente allo scopo dell’impresa ma che non costituisce di per sé attività lucrativa. In questo senso, il fondo consortile, formato dalle quote di partecipazione dei consorziati e dai successivi contributi degli stessi, costituisce la dotazione patrimoniale gestita dal consorzio per il raggiungimento dei fini pubblicitari e verrà utilizzata per il pagamento delle eventuali contribuzioni in denaro del contratto.53 Ciò garantisce, inoltre, alle aziende partecipanti di godere nei confronti dei terzi del beneficio della responsabilità limitata (art. 2615 c.c.).
Dal punto di vista negoziale, comunque, salve alcune peculiarità che i rapporti presentano soprattutto sotto l’aspetto soggettivo, non si ravvisa alcuna diversità fra i contratti di sponsorizzazione conclusi da un pool o da un singolo sponsor tecnico.
52 In questo senso v. X. Xxxxxxxx, Sponsorizzazione, in Contratto e impresa, Padova, 1985; X. Xxxx, P. Testa,
I contratti di sponsorizzazione, in Riv. dir. inf., 1985.
53 M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990.
5.1.2. Lo sponsee
L’altra parte del contratto di sponsorizzazione è lo sponsee. Lo sponsorizzato, generalmente, è quel soggetto che svolge un’attività di pubblico richiamo, non pubblicitaria, tramite la quale può divulgare il nome o il marchio dello sponsor. L’obbligazione che sorge in capo allo sponsee è dunque quella caratteristica del contratto di sponsorizzazione.
Tuttavia, come visto in precedenza, le obbligazioni assunte dallo sponsorizzato possono essere tra le più varie ed in base alla loro declinazione cambierà il tipo di sponsorizzazione.
Una prima analisi in merito alle obbligazioni dello sponsee può partire, pertanto, dall’individuazione dei potenziali soggetti da sponsorizzare nell’ambito dello sport.
5.1.2.1. L’atleta
Sponsorizzato per eccellenza è l’atleta.
Solitamente la sponsorizzazione dell’atleta rientra nella c.d. sponsorizzazione tecnica. Di conseguenza, l'azienda sponsor fornirà all'atleta il materiale sportivo recante il suo marchio, necessario per svolgere l’attività sportiva, come la divisa, le scarpe, gli sci o la racchetta. In capo all’atleta graverà quindi, essenzialmente, l’obbligo di utilizzare i prodotti forniti dallo sponsor nell’ambito della propria attività sportiva. In alcuni casi, tale obbligazione potrà essere accompagnata da altre obbligazioni accessorie che potrebbero riguardare autonome attività di promozione dei prodotti dello sponsor.
Sponsorizzando il singolo atleta, lo sponsor avrà, quindi, la possibilità di contrattare direttamente con egli lo spazio su cui apporre il marchio o il logo dell’azienda, nel rispetto dei regolamenti e delle normative cui l’atleta deve sottostare nello svolgimento
della propria attività. L’aspetto peculiare di questo tipo di sponsorizzazione è costituito dal fatto che il ritorno di immagine, riguardando un singolo atleta, dipenderà non solo dai suoi risultati sportivi ma soprattutto dalla sua personalità, dalla sua simpatia e dalla sua particolare forza comunicativa.
5.1.2.2. Il club o la scuderia
Un secondo tipo di sponsorizzazione potrà riguardare direttamente un intero club o una scuderia.
In questo caso, lo sponsor può garantirsi la possibilità di apporre il suo marchio sulla divisa degli atleti, dei tecnici, degli accompagnatori o sui veicoli di gara della squadra sponsorizzata. Ciò permette all'azienda investitrice di ottenere un elevato ritorno economico ed un’ampia diffusione del proprio marchio o logo dal momento che per il tifoso la divisa della propria squadra rappresenta un vero e proprio oggetto di culto che molto spesso viene acquistato all'inizio di ogni stagione sportiva. Per di più negli ultimi anni le maglie sportive sono entrate nell’immaginario collettivo e vengono utilizzate, soprattutto dai più giovani, come veri e propri accessori di moda e non sono più soltanto indossate dal tifoso per recarsi alla manifestazione sportiva, ma vengono indossate anche da chi non è tifoso nel tempo libero, trasformandosi così in un inconsapevole quanto efficacissimo strumento di diffusione del marchio dell'azienda sponsor. La capacità di diffusione di questo tipo di sponsorizzazione si può cogliere appieno considerando, inoltre, che tramite le riprese televisive, le foto pubblicate sui quotidiani, i poster e le figurine della squadra o di un suo singolo componente, verrà evidenziato inevitabilmente anche il logo dello sponsor stampato sulla maglia.
Una specifica forma di sponsorizzazione di una squadra, non ammessa in alcuni sport come il calcio, è denominata “abbinamento”. Questo tipo di accordo consente allo
sponsor non solo di apporre il proprio logo sulle maglie o sugli accessori da gara, ma anche di utilizzare come denominazione della squadra sponsorizzata il proprio nome o marchio (ad esempio, nel basket, la squadra Olimpia Milano ha mutuato la propria denominazione più volte nel corso del tempo e adesso è nota come Emporio Armani Olimpia Milano). In questo modo, il collegamento tra sponsor e sponsorizzato diventa più profondo e stretto, in quanto il nome del primo sarà inscindibilmente legato ai risultati del secondo. È bene precisare, tuttavia, che questo tipo di accordo non comporta alcun effetto giuridico sulla autonomia dello sponsorizzato il quale conserva la piena titolarità della gestione amministrativa e sportiva del club, al di fuori di ogni ingerenza da parte dello sponsor.
Qualunque sia la concreta forma di sponsorizzazione di una squadra, sempre più spesso, sulla base di precisi accordi contrattuali, il nome dell'azienda sponsor viene inserito su ulteriori spazi, come ad esempio i mezzi di trasporto, i cartelloni pubblicitari a bordo campo o i backdrop delle interviste, e solitamente tale obbligo ricade sullo sponsorizzato. In alcuni contratti si contemplano anche iniziative per un maggior coinvolgimento dello sponsor nelle attività del club e si tende sempre più a concedergli la possibilità di sfruttare le immagini della squadra e il suo simbolo per scopi promo - pubblicitari e/o di merchandising.
La sponsorizzazione di una squadra, dunque, offre diversi veicoli di comunicazione e diverse opportunità promozionali che consentono allo sponsor di ricevere un'ampia visibilità e quindi, un rilevante ritorno di immagine. Tuttavia, bisogna tenere presente che la positività o negatività del ritorno pubblicitario, essendo esso direttamente legato all'immagine della squadra sponsorizzata, dipenderà da fattori quali i risultati ottenuti sul terreno di gioco e le vicende sportive (e non) che la riguardano, che sono indipendenti e incontrollabili dallo sponsor.
5.1.2.3. Le Federazioni o le Leghe
Anche le Federazioni e le Leghe sportive possono essere sponsorizzate.
L’art. 15 d.lgs. 242 del 1999 ha, infatti, riconosciuto alle federazioni sportive natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato senza fini di lucro, pertanto il ricorso alla sponsorizzazione è per le stesse finalizzato al recupero delle somme erogate nell’esercizio della propria attività.54
In questi casi, solitamente, l'azienda sponsor ottiene il diritto di essere riconosciuta come il partner ufficiale di una Federazione o Lega e di conseguenza avrà la possibilità di avvalersi di tale qualifica per fini pubblicitari. Talvolta questo tipo di accordo può anche concretizzarsi in una sponsorizzazione della squadra nazionale della relativa Federazione. Ciò comporta che lo sponsor godrà, naturalmente, di una minore visibilità in termini quantitativi e temporali, dati i non frequenti e concentrati impegni delle squadre nazionali, che verrà però compensata dalla particolarità e dal prestigio del soggetto sponsorizzato.
Alla sponsorizzazione di una Federazione, solitamente ormai, non partecipa più un solo sponsor, ma piuttosto una pluralità di partner spesso organizzati nel c.d. pool.
5.1.2.4. L’evento
Infine, in ambito sportivo, è possibile sponsorizzare anche gli eventi.
In questo caso, lo sponsor ha la possibilità di ottenere e utilizzare a fini pubblicitari la qualifica di partner ufficiale della manifestazione e potrà anche accordarsi per la presenza del suo marchio su specifici elementi connessi all'evento, come i manifesti, le locandine e i biglietti. Anche se solitamente lo sponsor si limita ad effettuare una
54 X. Xxxxxxxxx, Le sponsorizzazioni, Manuale di diritto dello sport, a cura di X. Xx Xxxxx, Napoli, 2010
mera attività comunicazionale, è possibile che egli collabori attivamente alla organizzazione dell’evento.
Merita di essere segnalata, inoltre, una tendenza sorta di recente e che porta sempre più frequentemente lo sponsor, sulla falsariga dell'abbinamento, ad aggiungere il suo nome alla denominazione della manifestazione, come è avvenuto per esempio per la supercoppa italiana di pallacanestro dell’anno 2020 denominata “Eurosport Supercoppa 2020”.
La sponsorizzazione dell'evento sportivo elimina o riduce in modo rilevante i rischi di ritorno negativo legati al risultato sportivo dello sponsee, tipici della partnership con una squadra o di un atleta, e consente allo sponsor, soprattutto nelle manifestazioni più importanti di ricevere visibilità a livello internazionale. Tuttavia, questa forma di sponsorizzazione incontra un limite sostanziale nella durata limitata e nella bassa frequenza dell'evento stesso. Per di più, lo sponsor dovrà tenere conto della effettiva portata e diffusione dell’evento perché, chiaramente, ogni evento sportivo avrà una propria capacità penetrativa dei mercati e differenti limiti comunicazionali.
Anche in questo tipo di accordi, come per la sponsorizzazione delle Federazioni, è sempre più frequente la tendenza alla costituzione di un pool di aziende sponsor, soprattutto nel caso di manifestazioni sportive di notevole importanza.
5.2. L’oggetto del contratto
Analizzando le parti del contratto si può notare come i tipi di accordi in cui questo negozio giuridico si può concretamente estrinsecare siano tra i più vari. Di conseguenza, svariate saranno anche le obbligazioni dedotte nei singoli contratti.
Tuttavia, sulla base della prassi contrattuale, si può procedere ad un’analisi in merito all’oggetto del contratto55 e al rispetto della normativa nazionale.
Abbiamo visto come nella prassi, il contratto di sponsorizzazione sia un contratto atipico a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive. La prestazione dello sponsor, infatti, solitamente consiste in una dazione di denaro e pertanto viene determinata o risulta agevolmente determinabile. Parte della dottrina ritiene che nel caso in cui sia previsto a carico dello sponsor il pagamento di una somma di denaro non quantificata nel suo preciso ammontare, la determinazione di essa possa essere fatta ricorrendo, tramite il criterio della prevalenza, al disposto dell’art. 2225 c.c. in tema di contratto d’opera, anche se questa ipotesi difficilmente si presenterà nella pratica.
Come si è detto, nelle sponsorizzazioni cd. tecniche, la prestazione dello sponsor non consiste necessariamente ed esclusivamente nella dazione di una somma di denaro, bensì nel trasferimento allo sponsorizzato in proprietà o in temporaneo godimento di beni, come attrezzature sportive o generi di abbigliamento, o specifici servizi, quali, ad esempio, quelli di trasporto. La dottrina unanime ritiene che anche in questi casi il contratto rimarrà del tipo do ut facias con la differenza che si applicherà la specifica normativa del tipo negoziale riscontrabile tranne nel caso in cui, in osservanza dei principi di autonomia privata, le parti non abbiano provveduto ad una diversa regolamentazione.56 Pertanto, se la proprietà dei beni verrà trasferita dallo sponsor allo sponsorizzato allora si farà riferimento alla disciplina codicistica della compravendita per quanto concerne, ad esempio, i vizi della cosa (art. 1490 c.c.).
Per quanto riguarda lo sponsee, invece, si è visto come gli obblighi dello stesso possano essere tra i più vari.
55 Ai fini della nostra trattazione, adotteremo l’impostazione della dottrina prevalente che identifica l’oggetto del contratto con il suo contenuto. Per una più completa trattazione sul lungo dibattito dottrinale in merito si rinvia a X. Xxxxx, G. De Nova, Il contratto, IV edizione, Milano, 2016.
56 M. X. Xx Xxxxxx, Xxxxxxxxxxxxxxxx x xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
Generalmente, come emerge dall’analisi della prassi contrattuale, l’obbligazione principale dello sponsee consiste nell’esercitare la propria attività di pubblico richiamo in modo tale da consentire la veicolazione del messaggio aziendale. Merita a tal proposito di essere ricordato quanto detto precedentemente circa l’inserimento del contratto di sponsorizzazione nella categoria dei contratti di pubblicità che comporta il suo assoggettamento all’intera normativa, anche autodisciplinare, prevista in tema. Di conseguenza, i contratti contrari alle norme imperative in materia pubblicitaria (si pensi al divieto di pubblicizzare prodotti da fumo) dovranno essere considerati nulli per illiceità dell’oggetto.
Inoltre, non di rado le obbligazioni a carico dello sponsorizzato vengono identificate in maniera generica tramite clausole che prevedono unicamente che lo sponsee si impegni a fare “quanto necessario” per divulgare il marchio dello sponsor. Ciò si verifica perché spesso è proprio lo stesso genere di attività svolta dallo sponsorizzato a non permettere di fissare in anticipo i contenuti obbligatori nei confronti dello sponsor, tuttavia, questa genericità comporta problemi in termini di coercibilità delle relative obbligazioni. Si è osservato, in dottrina, che in questi casi la genericità delle obbligazioni non si traduce in un motivo di invalidità per violazione dell’art. 1346 c.c., perché dal contesto del contratto sarà sempre possibile determinare quale prestazione sia richiesta all’obbligato il quale potrà essere dotato di una ampia discrezionalità nello svolgimento di essa, senza che ciò valga ad escludere l’obbligazione assunta.57 Nella prassi, comunque, la rilevante diffusione dei contratti di sponsorizzazione, è stata accompagnata da un progressivo affinamento del suo contenuto che ha portato ad abbandonare schemi normativi improntati alla genericità, ed a ricorrere invece ad una elencazione minuziosa delle prestazioni dovute.
57 In questo senso M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990; X. Xxxxxx, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. Civ., 2001.
5.3. La causa del contratto
La sponsorizzazione quale contratto atipico e innominato ha posto preliminarmente il problema di identificare la «ragione pratica» che giustificasse questo negozio.
A seguito di un'indagine svolta sul piano sociale ed economico si è potuto rilevare come la causa del contratto di sponsorizzazione vada individuata nell’utilizzazione, a fini direttamente o indirettamente pubblicitari dell’attività, del nome o dell’immagine altrui verso un corrispettivo, sia esso una somma di denaro o una fornitura di beni o servizi. In altre parole, la funzione tipica del contratto di sponsorizzazione è quella di far conoscere al pubblico lo sponsor e i suoi prodotti (scopo pubblicitario) collegandoli con un evento o una persona noti che otterranno in cambio un corrispettivo in denaro (ritorno economico). La dottrina maggioritaria tende, dunque ad indentificare la causa con il fine pubblicitario che le parti perseguono, in una espressione: “il ritorno pubblicitario”. 58 D’altronde, è proprio la veicolazione del messaggio aziendale dello sponsor per fini pubblicitari, tramite l’attività di pubblico richiamo di natura non pubblicitaria dello sponsorizzato, che caratterizza e permette di definire come tale un contratto di sponsorizzazione.
Per lungo tempo, la dottrina era abbastanza unanime nel non limitare il ritorno pubblicitario unicamente alla veicolazione e circolazione del nome o marchio dello sponsor, ma estendeva tale concetto e la funzione del contratto di sponsorizzazione diveniva anche quella di promuovere un apprezzamento favorevole da parte del pubblico. In altre parole, secondo la ricostruzione della dottrina, lo sponsor tramite il contratto di sponsorizzazione non si limitava ad ottenere genericamente la circolazione del proprio marchio, ma voleva ottenere uno specifico risultato commerciale.
58 X. Xxxxxxxxxxxxx, I contratti di sponsorizzazione, in Impresa, 1986.
Ciò, chiaramente, pone alcuni problemi in quanto il ritorno pubblicitario non è qualcosa di tangibile e misurabile. Di conseguenza, sarà impossibile valutare con precisione se e come la condotta dello sponsorizzato abbia influito sull’apprezzamento del pubblico o se e quanto questo sia stato inficiato dalle attività e dai comportamenti dello sponsee. Numerosi studi condotti da economisti ed esperti di marketing hanno d'altronde dimostrato che il ritorno economico che deriva dal contratto di sponsorizzazione è un risultato del tutto aleatorio, in quanto dipendente da molteplici fattori, tra i quali il risultato sportivo positivo non è necessariamente il più rilevante.59
Emergono, a tal proposito, numerose questioni circa l’aleatorietà del contratto di sponsorizzazione, le caratteristiche delle obbligazioni dello sponsorizzato e l’inadempimento delle stesse, nonché circa la legittimazione dello sponsor a pretendere il conseguimento di un risultato specifico che verranno affrontati nel prosieguo della trattazione.
Per il momento possiamo limitarci a concludere che la funzione tipica del contratto di sponsorizzazione è quella di promuovere un apprezzamento favorevole da parte del pubblico verso lo sponsor e i suoi prodotti (scopo pubblicitario) collegandoli con un evento o una persona noti che otterranno in cambio un corrispettivo in denaro (ritorno economico).
In base a quanto detto finora si può definire il contratto di sponsorizzazione come il contratto in forza del quale lo sponsorizzato assume obbligazioni di facere o di pati verso lo sponsorizzante contro un corrispettivo in denaro, beni e/o servizi, in modo da consentire a quest’ultimo di sfruttare, tramite abbinamenti o collegamenti, la propria notorietà nonché la risonanza dell’attività e degli eventi che ad egli fanno capo, al fine
59 Per quanto riguarda la letteratura economica, X. Xxxxxx, X. Xxxxx, The Meanings of Sports Sponsorship "Success": Not Just a Transaction but a Relationship, 10 febbraio 2005, disponibile su xxxx://xxxx.xxx/xxxxxxxxx 2393789, evidenziano come non vi sia consenso nella letteratura sulla reale efficacia dello strumento sponsorizzazione.
di incrementare fra il pubblico la popolarità del nome dello sponsor e di diffonderne il marchio. Tale definizione permette di inquadrare il negozio tra quelli a prestazioni corrispettive, di individuarne l’oggetto nell’abbinamento o collegamento del nome o del marchio dello sponsor alla persona, alle attività o all’evento sponsorizzati e di riconoscere la causa del contratto in un fine “pubblicitario” non limitato alla sola veicolazione del nome (marchio o prodotto) dello sponsor, ma esteso anche a promuovere un apprezzamento favorevole, da parte del pubblico.
CAPITOLO II – Tutela delle aspettative di ritorno commerciale
1. L’inadempimento nel contratto di sponsorizzazione
1.1. L’inadempimento dello sponsor
Tra le varie prestazioni che afferiscono al contratto di sponsorizzazione, quelle dovute dallo sponsorizzato e quelle proprie dello sponsor, queste ultime dovrebbero risultare di più facile inquadramento concettuale.
Abbiamo visto, come le obbligazioni a carico dello sponsor consistano, prevalentemente, nel pagamento di una somma di denaro o nel trasferimento di beni o servizi. Pertanto, esse pongono indubbiamente pochi problemi quando si tratti di accertarne l’eventuale inadempimento.
Qualora l’obbligazione consista nella dazione di una somma di denaro, nel caso di inadempimento totale o parziale si applicheranno gli ordinari rimedi contrattuali in tema di inadempimento e lo sponsorizzato potrà chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1564 c.c., essendo il contratto di sponsorizzazione un contratto di durata.60
Nelle ipotesi di sponsorizzazione tecnica, sappiamo che, trattandosi di un negozio complesso, potranno essere individuati in esso elementi di diversi contratti tipici. Pertanto, qualora l’obbligazione dello sponsor abbia ad oggetto il trasferimento di beni,
60 Per la qualificazione del contratto di sponsorizzazione come contratto di durata v. M.V. De Giorgi,
Contratti di sponsorizzazione e doveri di correttezza, in Dir. Inf., 1994.
ad essa si dovranno applicare anche le norme dettate a tutela del compratore per la mancanza di qualità, per i vizi e per l’evizione della cosa venduta (art. 1476 c.c.)61.
Per quanto riguarda l’inadempimento dello sponsorizzato si impongono maggiori approfondimenti data la varietà di obbligazioni che possono gravare in capo allo sponsorizzato e alla peculiarità delle stesse.
1.2. L’inadempimento dello sponsee
Prima di affrontare il tema dell’inadempimento dello sponsorizzato sono necessari ulteriori precisazioni circa la natura giuridica del contratto di sponsorizzazione e la natura delle obbligazioni principali gravanti in capo allo sponsorizzato.
1.2.1. Il contratto di sponsorizzazione come contratto aleatorio
E’ stato in precedenza analizzato come elemento centrale del contratto di sponsorizzazione venga considerato il ritorno pubblicitario, al punto da essere considerato come la funzione economico-sociale del contratto perseguita dalle parti. In dottrina, ci si è interrogati a lungo circa l’effettiva incidenza del ritorno pubblicitario e su che posizione esso rivestisse all’interno del rapporto tra sponsor e sponsee.
Inizialmente, parte della dottrina riteneva infatti che quel ritorno pubblicitario, identificato con la causa del contratto, potesse addirittura rientrare nell’oggetto dell’obbligazione assunta dallo sponsorizzato. In questo senso lo sponsorizzato si sarebbe impegnato non solo a svolgere la propria attività per permettere l’apposizione
61 Cfr. sulle speciali forme di garanzia previste a tutela dell’interesse del compratore nella vendita: X. Xxxxxx, Le garanzie legali per il compratore secondo il codice civile, Torino, 2011; X. Xxxxxxxx, La compravendita: xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
del marchio o del nome dello sponsor, ma a svolgerla perseguendo determinati risultati e garantendo il ritorno commerciale atteso dall’impresa sponsorizzante. Tuttavia, abbiamo visto come il ritorno pubblicitario non è solo risultato difficile da commisurare, in quanto dipendente da molteplici fattori, ma è anche quanto mai aleatorio e incerto nella sua realizzazione.
Accogliendo questa impostazione si può, dunque, sostenere che il rischio contrattuale assunto dallo sponsor è indubbiamente più rilevante di quanto comunemente accada. Di conseguenza, il contratto di sponsorizzazione potrebbe essere qualificato come contratto atipico aleatorio, e da ciò discenderebbero tutte le implicazioni relativamente alla non applicabilità della risoluzione del contratto per eccesiva onerosità sopravvenuta.
1.2.2. L’obbligazione dello sponsorizzato: obbligazione di mezzi o di risultato?
Così configurata, l’obbligazione dello sponsee sembrerebbe rientrare nella categoria, seppur molto discussa, delle obbligazioni di risultato. In base a questa classificazione, lo sponsorizzato sarebbe quindi obbligato a raggiungere il determinato risultato preteso dal creditore-sponsor. La valutazione sull’eventuale inadempimento dello sponsorizzato non andrà, quindi, operata con riguardo alle modalità da lui utilizzate nell’esecuzione della prestazione, ma unicamente con riguardo al raggiungimento di un determinato livello di ritorno pubblicitario.
Tale impostazione, tuttavia, oltre a porre non pochi problemi circa la valutazione dell’inadempimento dello sponsee, non è più ritenuta condivisibile dalla dottrina maggioritaria.62 Infatti, si ritiene ormai pacificamente che lo sponsorizzato non è tenuto
62 Cfr. M.V. De Giorgi, Contratti di sponsorizzazione e doveri di correttezza, in Dir. Inf., 1994, 1019; X. Xxxxxx, Società sportive e contratti di sponsorizzazione, in Giur. it., 1993, IV, 419. Contra X. Xxxxxxx, Modellistica contrattuale e sponsorizzazione, in Quadr. Dir. priv., 1990, 127-129 e D. Aniceti, Lo
a far sì che il ritorno pubblicitario si realizzi come voluto dallo sponsor, ma solo a porre in essere un comportamento destinato a soddisfare quello che è l’interesse di secondo grado della controparte, vale a dire la divulgazione del nome o del marchio, strumentale alla realizzazione dell’interesse primario, il ritorno pubblicitario.63 L’obbligazione principale assunta dallo sponsorizzato non è quindi una obbligazione di risultato ma di mezzi. Egli, infatti, non promette di realizzare o garantire un determinato risultato ma di svolgere unicamente nel tempo quelle attività o di tenere quei comportamenti previsti in contratto, garantendo esclusivamente una diligente esecuzione. Bisogna tuttavia ricordare come, in accordo con la dottrina piú accreditata, l'obbligazione di mezzi comporta per il debitore lo stesso sforzo volitivo e tecnico necessario per l'obbligazione di risultato.
Da tale qualificazione discende, inoltre, che la mancata realizzazione delle attese e delle aspettative nello sponsor non vale a legittimare la risoluzione del contratto né ad obbligare lo sponsee al risarcimento dei danni. Dunque, lo sponsor non potrà rivalersi sulla controparte nel caso che l'avvenimento finanziato non raggiunga la diffusione e la celebrità da lui sperata, e tanto meno potrà farlo se non ottiene o ottiene parzialmente quei ritorni in termini di immagine che si aspettava alla stipula del contratto. In altre parole, oggetto del rapporto di sponsorizzazione è la divulgazione di segni distintivi, comportamento qualificato da un determinato grado di utilità e convenienza in ordine al fine, il ritorno pubblicitario, la cui realizzazione non è ricompresa nell’ambito del rapporto obbligatorio.
Pertanto, si potrà parlare di inadempimento dello sponsorizzato nel caso in cui non venga assicurata la divulgazione dei segni distintivi dello sponsor, come concordato
sfruttamento pubblicitario della notorietà tra concessione di vendita e contratto di sponsorizzazione, in Giust. civ., I, 1998, 1065 per cui la distinzione deve in ogni caso considerarsi superata.
63 In questo senso v. la nota ricostruzione di X. Xxxxxxx, <<Obbligazioni di risultato>> e <<Obbligazioni di mezzi>> (Studio critico), I, L’oggetto dell’obbligazione nelle due categorie di rapporti, in Riv. Dir. Comm., 1954, I, p. 185 ss.
dalle parti. Tuttavia se il mancato raggiungimento del risultato di per sé non costiuisce causa di risoluzione del contratto, ben può assumere i connotati di condizione risolutiva del contratto di sponsorizzazione se in qualche modo imputabile al soggetto sponsorizzato, essendo la sua negligenza parte del processo causale che lo ha determinato.
1.2.3. Il concetto di alea economica
Se, dunque, l’obbligazione principale dello sponsorizzato consiste nella divulgazione del nome o marchio dello sponsor, non si riconosce più quel contorno di incertezza che aveva ravvisato la dottrina inizialmente. Ed invero, per quanto tale obbligazione possa essere genericamente descritta nel contratto, essa non risulterà incerta dall’interpretazione complessiva del testo contrattuale.
Ad un’analisi più approfondita emerge, infatti, che gli elementi su cui verterebbe l’incertezza altro non sono che elementi che consentono la graduazione del ritorno pubblicitario, il quale però costituisce unicamente la causa del contratto, non l’oggetto della prestazione dello sponsee. L’univocità di quest’ultima impedirà dunque di configurare il contratto di sponsorizzazione come contratto aleatorio. Tranne qualche rara eccezione, infatti, non sarà garantita l’entità del seguito dell’evento, il numero di riprese televisive o la divulgazione di immagini dell’evento a mezzo stampa. Di conseguenza, le fortune dello sponsee potranno aumentare il valore pubblicitario della prestazione, ma non cambiarne il contenuto.
Appare dunque chiaro che lo sponsor assume un rischio contrattuale abbastanza rilevante, tuttavia l’alea ravvisata nel contratto in esame costituisce pur sempre un elemento esterno al contratto e quindi uno dei tanti rischi economici che le parti affrontano con la stipulazione. Di conseguenza, essa riguarderà esclusivamente alcuni
elementi o circostanze marginali, come ad esempio la vittoria di un torneo prestigioso o l’infrangere un record, che non riguardano il contenuto dell’obbligazione principale e che dunque permetteranno tutt’al più di parlare di alea economica del contratto.
2. La tutela del ritorno pubblicitario
Sebbene il contratto di sponsorizzazione non sia caratterizzato sotto l'aspetto oggettivo e funzionale da profili di aleatorietà, lo sponsor potrà comunque risentire in diversa misura del buono o cattivo esito delle prestazioni sportive del soggetto sponsorizzato. Ne consegue, pertanto, in chiave interpretativa, il problema di stabilire se a fronte di una «pessima riuscita» dell'attività sponsorizzata sussistano gli estremi affinchè lo sponsor possa invocare, a protezione della propria immagine e soprattutto a garanzia del proprio ritorno pubblicitario, la tutela della risoluzione per inadempimento ovvero per inesatto adempimento con relativa richiesta di risarcimento danni.64
Al fine di procedere in questa analisi si rende necessario indagare le decisioni della giurisprudenza e dei collegi arbitrali in merito.
2.1. Un caso emblematico: i risultati sportivi deludenti
Emblematico in tal senso è il lodo arbitrale (Coll. Arbitrale 17 Luglio 1990)65 in cui lo sponsor chiedeva di recedere anticipatamente dal contratto a causa dei risultati sportivi deludenti conseguiti dalla squadra sponsorizzata. In particolare, il Maglificio lamentava che l’Aurora Basket aveva dilapidato il proprio patrimonio agonistico, vendendo i
64 Cfr. X. Xxxxxx, «Cattivo» ritorno pubblicitario per lo sponsor: sfortuna o inadempimento del soggetto sponsorizzato per negligente gestione dell’evento?, nota a Coll. Arbitrale, 17 luglio 1990, in Giur. It. 1991, 826.
65 Coll. Arbitrale 17 Luglio 1990 Maglificio Irge c. A.S. Aurora Basket Desio, in Dir. Inf. 1991, 642
giocatori migliori e non provvedendo ad adeguate sostituzioni. Ciò, a detta dello sponsor, aveva causato un indebolimento della squadra che ha portato l’Aurora a perdere tutti gli incontri disputati sino a quel momento, determinando la retrocessione del Club e la conseguente perdita di seguito tra tifoseria e pubblico più in generale.
Il Collegio, nel risolvere il caso in oggetto, è partito dal delineare gli aspetti contenutistici e funzionali del contratto di sponsorizzazione.
Con riguardo all’obbligazione dello sponsorizzato, il Collegio ha precisato come egli non si impegni a conseguire il ritorno pubblicitario perseguito dallo sponsor in quanto sebbene il ritorno pubblicitario caratterizzi la funzione del contratto, esso non rientra di regola nel contenuto della sua obbligazione. Pur riconoscendo, quindi, che l’obbligazione principale dello sponsee possa essere ricondotta nella categoria delle obbligazioni di mezzi, il Collegio ha comunque ritenuto sanzionabile il comportamento dello sponsor sulla base di due argomentazioni.
In primo luogo, secondo il Collegio, il caso in esame non riguarderebbe un semplice insuccesso sportivo, ma una vera e propria “débâcle” visto che la squadra non era riuscita a non perdere nessun incontro stagionale.
In secondo luogo, il Collegio ha ritenuto che l’insuccesso tecnico non fosse imputabile esclusivamente ad una “stagione sportiva infelice” o “all’alea connessa alle competizioni sportive”, ma ad una vera e propria “gestione imprudente e non sufficientemente attenta” agli interessi del team. In particolare, l’aver ceduto i diritti di utilizzo dei giocatori di maggiore importanza all’interno della squadra senza avere provveduto a sostituirli avrebbe determinato un peggioramento degli standard qualitativo e tecnico che la squadra aveva al momento della stipulazione del contratto di sponsorizzazione, che permettevano allo sponsor di aspettarsi un determinato livello di ritorno pubblicitario. D’altronde prima di stipulare il contratto di sponsorizzazione, lo sponsor solitamente valuta la gestione e lo standard qualitativo e tecnico della
squadra, proprio per accertarsi che quel determinato sponsee gli possa permettere di raggiungere il proprio fine primario. I risultati sportivi, dunque, non sarebbero la causa dell’inesatto adempimento, ma esclusivamente il risultato di una cattiva gestione della squadra.
Il Collegio quindi ha ritenuto il comportamento dell’Aurora Basket censurabile, non in quanto non idoneo a raggiungere il livello di ritorno commerciale dello sponsor, ma in quanto lesivo dell’obbligo di diligenza “che, quantomeno, richiede che sia stato fatto tutto quanto il possibile per evitare pregiudizi al << ritorno pubblicitario >> atteso dallo sposor. In altre parole, come sostenuto da autorevole dottrina, si può arrivare ad affermare che la cattiva gestione della squadra da parte dello sponsorizzato abbia rappresentato a tutti gli effetti un inadempimento contrattuale nella fase strumentale, in quanto esso ha inciso sul risultato finale del contratto di sponsorizzazione.66
2.2. L’obbligo di diligenza nell’adempimento del contratto di sponsorizzazione
La decisione sopra riportata, dunque, introduce il concetto dell’obbligo di diligenza.
Il Collegio ha ritenuto che, essendo l’obbligazione dello sponsee qualificabile come obbligazione di mezzi, ad assumere rilevanza sarà lo sforzo di diligenza in sé considerato. Se è certo che lo sponsee non è tenuto a condursi in modo da far sì che il positivo effetto pubblicitario si produca, egli deve in ogni caso evitare i comportamenti che possano frustarne la realizzazione, compromettendo l’utilità che lo sponsor si attende dalla stipulazione del contratto. La cattiva gestione della squadra, secondo quanto stabilito dal Lodo, avrebbe quindi leso il generale obbligo di diligenza che
66 M. Bianca, «Cattivo» ritorno pubblicitario per lo sponsor: sfortuna o inadempimento del soggetto sponsorizzato per negligente gestione dell’evento?, nota a Coll. Arbitrale, 17 luglio 1990, in Giur. It. 1991, 826.
richiede che sia stato fatto quanto possibile per evitare pregiudizi al ritorno pubblicitario atteso dallo sponsor.
In quest’ottica, l’attività dello sponsorizzato sebbene non finalizzata al raggiungimento di un determinato risultato, dovrà essere svolta e portata a termine nel modo più conveniente ed opportuno. Allo sponsor dovrà essere garantita l'attitudine del veicolo a conseguire l'effetto promozionale, avendo riguardo al risultato che era ragionevolmente lecito attendersi nel momento in cui si formò la volontà negoziale.67 Si ritiene, infatti, che lo sponsor scelga una determinata squadra da sponsorizzare perché in un'ottica di strategia aziendale, in base a certe premesse (notorietà della squadra, classificazione, standard professionale), si auspica il raggiungimento di dati risultati.68 Non è dunque la concreta gestione della squadra che rileva per lo sponsor, purché sia mantenuto lo standard qualitativo e tecnico che la squadra aveva al momento della stipulazione del contratto di sponsorizzazione. Di conseguenza, la cattiva gestione sportiva operata dallo sponsor costituirebbe di per sé inadempimento, qualora denoti uno scostamento da parte dello sponsee dai doveri di diligenza normalmente attendibili e su cui lo sponsor legittimamente confidava al momento della stipula del contratto.
La decisione in esame e il corollario che da essa ne discende ha suscitato non pochi dubbi e perplessità in dottrina.
Parte della dottrina ha ritenuto infatti che con questa decisione si rischierebbe di legittimare l’intromissione dello sponsor nella gestione della società sponsorizzata, ed in particolare nella gestione tecnico-sportiva della squadra, diritto fra l’altro espressamente escluso dal contratto in questione come sancito dal Lodo stesso. E’
67 Cfr. X. Xxxxxx, «Cattivo» ritorno pubblicitario per lo sponsor: sfortuna o inadempimento del soggetto sponsorizzato per negligente gestione dell’evento?, nota a Coll. Arbitrale, 17 luglio 1990, in Giur. It. 1991, 826.
68 In senso analogo X. Xxxxx, Debacle sportiva e tutela delle aspettative di ritorno pubblicitario dello sponsor, nota a Xxxx. Civ., sez. III, 08 aprile 2014, n. 8153, in Dir. Industriale, 2014, 4, 385.
stato infatti rilevato come la decisione in esame abbia di fatto dilatato l’obbligazione dello sponsee fino ad imporre a quest’ultimo una determinata conduzione della propria attività. Questa conclusione, tuttavia, si scontra con l’essenza propria del fenomeno della sponsorizzazione, nel quale la peculiare attività svolta autonomamente dallo sponsorizzato funge unicamente come veicolo pubblicitario dei segni distintivi dello sponsor. Infatti, l’attività dello sponsor rileva ai fini dell’obbligazione dedotta in contratto unicamente come presupposto e pertanto non potrà essere suscettibile di valutazione alla stregua del criterio di diligenza.69 Questo potrà essere unicamente adottato per valutare lo svolgimento dell’obbligazione principale dello sponsee, vale a dire se la pubblicizzazione avviene nei tempi e con le modalità convenute.
In conclusione, sebbene il Collegio Arbitrale abbia perseguito il condivisibile fine di tentare di approntare uno strumento giuridico che possa tutelare lo sponsor, parte debole del contratto, in quelle situazioni in cui il risultato pubblicitario ottenuto è notevolmente inferiore a quello che era lecito aspettarsi al momento della conclusione del contratto, la decisione in esame appare non del tutto lineare e soffre di alcune incongruenze concettuali.
69 P. Testa, Obblighi dello sponsee, diligenza e buona fede, nota a Coll. Arbitrale, 17 luglio 1990, in Giur. It. 1991, 894.
3. I diversi approcci della dottrina
Nonostante l’approccio del lodo appena analizzato non possa ritenersi condivisibile, in esso il Collegio Arbitrale ha comunque tentato di operare un inquadramento giuridico del contratto di sponsorizzazione, identificandone la causa nonché l’oggetto dell’obbligazione dello sponsorizzato e le caratteristiche di tale obbligazione.
Permane, tuttavia, il problema di individuare l’ambito di inadempimento dello sponsorizzato e gli eventuali strumenti giuridici a disposizione dello sponsor in simili casi. D’altronde, negare che la buona gestione societaria e sportiva della squadra costituisca una obbligazione propria dello sponsee, non può tuttavia comportare che questi possa disinteressarsene a tal punto da mettere a repentaglio le aspettative di ritorno pubblicitario dello sponsor.
Infatti, se si riconosce che l’obbligazione principale dello sponsorizzato consiste nel divulgare i segni distintivi dello sponsor, i classici casi di inadempimento riguarderanno esclusivamente il mancato rispetto dei modi e tempi di divulgazione dei loghi o marchi come concordato nel regolamento contrattuale. Di conseguenza, si applicheranno le disposizioni generali del contratto in materia di risoluzione per inadempimento.
La dottrina, tuttavia, si è interrogata a lungo riguardo la possibilità di tutelare lo sponsor anche in quelle situazioni in cui i comportamenti pregiudizievoli dello sponsorizzato, non rientrando nel contenuto tipico del rapporto obbligatorio, siano difficilmente sussumibili in ipotesi di inadempimento.
3.1. Il principio della presupposizione
Una parte della dottrina70 ha inizialmente cercato di risolvere la questione utilizzando il cd. principio della presupposizione. Questo principio, elaborato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, implica che il vincolo contrattuale sia legato ad una situazione di fatto che funge da “presupposto” del contratto. Tale situazione deve essere conosciuta da entrambe le parti al momento della stipula del contratto, tuttavia il suo verificarsi non deve dipendere dai comportamenti delle stesse. Da ciò discende che nel caso in cui il presupposto venga meno o non si realizzi, dovrebbe venire meno anche il vincolo contrattuale e dunque il contratto dovrebbe ritenersi sciolto.71
Nel caso del contratto di sponsorizzazione, il presupposto che ha indotto le parti a stipulare il contratto non sarebbe altro che il livello di notorietà dello sponsorizzato e il ritorno pubblicitario che la sua attività garantisce. Di conseguenza, nei casi in cui lo sponsee collezioni una serie di risultati negativi o non gestisca adeguatamente la propria attività, verrà meno il presupposto che ha indotto le parti a stipulare il contratto e lo sponsor avrà la possibilità di risolverlo.
In realtà, tale ricostruzione non sembra essere del tutto corretta.
Infatti, requisito fondamentale del principio della presupposizione è che la situazione di fatto identificata come presupposto del contratto non debba dipendere da comportamenti delle parti. Appare invece abbastanza chiaro come, nel caso del contratto di sponsorizzazione, le parti ben potranno influenzare il ritorno pubblicitario, individuato come presupposto del contratto. Xxxx, è proprio per rimediare al caso in cui
70 In questo senso v. X. Xxxx, X. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Riv. dir. inf., 1985, p. 476; M. Xxxxxx, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990.
71 Tale principio è riconosciuto ormai da tempo in giurisprudenza, cfr. Cass. 17 settembre 1970, n.
1512, in Giust. civ. Mass., 1970, 823 e troverebbe fondamento normativo nell'art. 1467 c.c., come clausola implicita in ogni contratto, così Xxxx. 11 novembre 1963, Giust. civ. Mass., 1963, 1387.
lo sponsorizzato influisca sul ritorno pubblicitario che la dottrina ha fatto ricorso a tale principio per tutelare le aspettative dello sponsor.
In effetti, sembra che la ricostruzione appena prospettata confonda la presupposizione, intesa come base oggettiva del contratto, con la presupposizione in senso soggettivo, vale a dire con il fatto che la volontà contrattuale di una delle parti muova dal convincimento che una certa situazione di fatto futura dovrà senz’altro verificarsi. D’altronde, il fatto che lo sponsor non raggiunga il ritorno commerciale che si era prospettato sponsorizzando un determinato club o un determinato soggetto, costituirà un mero errore di previsione, rientrante nella normale alea del contratto, che quindi egli dovrà sopportare. Per tali motivi, tramite il ricorso al principio della presupposizione sembra che si tenti di dare la veste formale dell’obbligazione a carico dello sponsee ai motivi che hanno indotto lo sponsor a concludere il contratto.
3.2. I principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto
La soluzione giuridica che sembra forse più soddisfacente è stata individuata da altra parte della dottrina nel principio di buona fede e correttezza, che appre come lo strumento ideale per individuare i casi di inadempimento dello sponsee.
Il codice civile indica, infatti, tra i principi generali che regolano l’adempimento delle obbligazioni e l’esecuzione dei contratti, la correttezza come regola alla quale il debitore e il creditore devono improntare il proprio comportamento (art. 1175 c.c.), la buona fede come criterio informatore della interpretazione e della esecuzione del contratto (artt. 1366 e 1375 c.c.) e l'equita', intesa come parametro delle soluzioni da
adottare in relazione a vicende del rapporto non previste e regolate dalle parti (art. 1374 c.c.).72
Il criterio della correttezza o buona fede in senso oggettivo, funge dunque da metro di comportamento per i soggetti del rapporto il cui contenuto non è compiutamente determinato, ma necessita di adattamento con riferimento, volta per volta, agli interessi in gioco e alle caratteristiche del singolo caso. Si percepisce, quindi, come tali criteri trovino un maggior spazio di applicazione qualora il contratto da integrare sia privo di una disciplina legale specifica, come nel caso del contratto di sponsorizzazione. In particolare, la buona fede intesa in senso oggettivo integra il contratto imponendo a ciascuna parte di adeguare i propri comportamenti ad una giusta considerazione anche degli interessi dell'altra parte e di astenersi da condotte che possano rivelarsi pregiudizievoli per quest'ultima. Ciò implica che a ciascuna parte del rapporto obbligatorio sarà imposto di agire nel corso dell’esecuzione del contratto, e a presecindere dagli specifici obblighi contrattuali, in modo da preservare gli interessi dell’altra parte. In una diversa prospettiva, si può affermare che il criterio della correttezza e buona fede concorre alla formazione, in senso ampliativo, del regolamento contrattuale e di conseguenza permette di individuare degli obblighi ulteriori rispetto a quelli principali, da esso derivanti, diretti a non frustrare gli interessi delle parti sottesi all’operazione negoziale. Anche l'inadempimento di questi obblighi integrativi potrà dunque produrre risoluzione del contratto, ove il giudice di merito accerti che esso non è di scarsa importanza in relazione all'economia generale del rapporto, e dalla violazione di tale regola di comportamento potrà discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. 73
72 Tra le numerose applicazioni giurisprudenziali del dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto si segnalano, tra le altre: Cass. civ., 15 giugno 2019, n. 15885; Cass. civ., 10 novembre 2010, n. 22819;
Cass. civ., 31 maggio 2010, n. 13208, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 839; Cass. civ., 18 settembre 2009, n.
20106.
73 Cfr. X. Xxxxx, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove, in Resp. civ. e prev., 2011, 3.
Nel caso del contratto di sponsorizzazione, si potrebbe ricorrere al criterio della buona fede e correttezza per valutare comparativamente le aspettative dello sponsor in termini di ritorno pubblicitario e la condotta dello sponsorizzato. In tal modo verrebbe attribuita rilevanza a quei comportamenti dello sponsee che, seppur estranei all’ambito della sua obbligazione principale, appaiono in concreto macroscopicamente pregiudizievoli per gli interessi e le aspettative commerciali dello sponsor. Chiaramente tale criterio verrebbe in rilievo anche per valutare la condotta dello sponsor e permetterebbe così di operare una sorta di valutazione anche delle pretese dello sponsor.
Da quanto detto sinora deriva che nei casi in cui i comportamenti dello sponsorizzato si rivelino negativi per la propria immagine e, di riflesso, per quella dello sponsor, al punto da far sì che il contratto non possa più realizzare la sua funzione pubblicitaria e divenga del tutto inidoneo a realizzare l’assetto di interessi perseguito, sarebbe contrario a buona fede pretendere il proseguimento del rapporto in quanto totalmente privo di utilità per la controparte. Parte della dottrina ritiene persino che il verificarsi di tali circostanze giustificherebbe l’attribuzione allo sponsor di un diritto di recesso.74 Bisogna, tuttavia, sottolineare che il principio di buona fede e correttezza non potrà certo essere richiamato tutte le volte in cui le aspettative dello sponsor non si realizzino, anche a causa di comportamenti dello sponsorizzato, ma soltanto nei casi eccezionali in cui la condotta dello sponsee sia macroscopicamente lesiva di tale principio e delle aspettative dell’altra parte. D’altronde, il contratto di sponsorizzazione è caratterizzato da un piano di distribuzione dei rischi particolarmente gravoso nei confronti dello sponsor e potranno ben darsi casi in cui nonostante un impeccabile
74 In questo senso M.V. De Giorgi, Scorrettezze dello sponsee e diritti dello sponsor, in Dir. inf. e informatica, 1991, riprendendo una delle applicazioni del principio di buona fede prospettata dalla dottrina tedesca.
comportamento della controparte, non si raggiungano gli obiettivi di ritorno commerciale che lo sponsor si era prefigurato.
In conclusione dunque, la buona fede si pone come limite alla discrezionalità nell'esecuzione del contratto, nel senso che opera sul piano della selezione delle scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che l'esecuzione del contratto avvenga in armonia con quanto le parti avevano inteso porre in essere. In particolare, il principio in esame impone allo sponsorizzato di assumere comportamenti che non mettano in pericolo e pregiudichino il ritorno atteso dallo sponsor, l'immagine e la reputazione economica dello stesso. Nell’eventualità in cui questi vengano pregiudicati si applicheranno i rimedi esperibili in caso di inadempimento, quali la risoluzione del contratto e la condanna al risarcimento dell'eventuale danno che sia stato cagionato.
3.2.1. I principi di buona fede e correttezza recepiti dalla giurisprudenza: un leading case in materia
La soluzione della dottrina è stata poi recepita dalla giurisprudenza in una importante sentenza della Corte di Cassazione del 200775 che si pone come leading case in materia di inadempimento dello sponsorizzato.
Nonostante, infatti, casi analoghi fossero giunti innanzi ai tribunali ordinari, è soltanto in questa occasione che la questione della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza da parte dello sponsorizzato arriva fino alla Corte di legittimità.
Il caso in questione riguarda un contratto di sponsorizzazione stipulato tra un’impresa produttrice di biciclette, la Cicli Xxxxxxxxx Xxxxx s.r.l. e la Cise s.a.76, società di intermediazione pubblicitaria titolare del diritto di utilizzo in esclusiva del veicolo
75 Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2006, n.12801.
76 Si tratta di una società anonima (s.a.), tipo sociale non previsto nel nostro ordinamento. La società in questione infatti aveva sede a San Marino.
pubblicitario costituito dall'attività del gruppo professionistico ciclistico "Team Saeco".77 In particolare, con tale contratto la Cicli s.r.l. si obbligava a fornire al gruppo sportivo, per il tramite della Cise, le biciclette e il materiale di gara necessario agli atleti ed al pagamento di una somma monetaria, contro l’impegno della Cise di utilizzare l’attività sportiva della squadra come veicolo pubblicitario del nome e dei marchi dello sponsor. Tuttavia, l’impresa non ha pagato quanto pattuito e per questo motivo la Cise ha ottenuto un decreto ingiuntivo di pagamento del corrispettivo contrattuale, contro il quale la Cicli ha proposto opposizione, proponendo inoltre una domanda riconvenzionale per ottenere la risoluzione del contratto. Questa infatti riteneva che lo sponsee avesse consentito la divulgazione dell’ accordo stipulato con il nuovo sponsor per la stagione seguente, prima della normale scadenza del contratto di sponsorizzazione in corso.
La questione è arrivata fino alla Corte di Cassazione che ha colto l’occasione per sancire alcuni principi fondamentali in materia di contratto di sponsorizzazione.
In particolare, recependo l’orientamento dottrinale riportato in precedenza, la Suprema Corte ha stabilito che anche laddove non siano espressamente richiamati nel dettato contrattuale, i doveri di correttezza e buona fede sanciti dagli articoli 1175 e 1375 c.c. entrano a far parte del contratto di sponsorizzazione come tipizzatosi nella prassi. Pertanto, in base a questi doveri, si possono individuare obblighi ulteriori o integrativi che sono volti a tutelare gli interessi diretti a non pregiudicare l'operazione negoziale di sponsorizzazione e a non frustrare il ritorno pubblicitario che lo sponsor lecitamente ritiene di poter ottenere dal contratto di sponsorizzazione. In altre parole, lo sponsorizzato dovrà adottare tutti i comportamenti in concreto necessari ad evitare allo
77 X. Xxxxxxx, Un leading case della Cassazione in materia di sponsorizzazione: l’importanza della correttezza dello sponsee, nota a Cass., 29 maggio 2006, in Resp. civ. e prev., 3, 2007, 558 ss.
sponsor una lesione di immagine, che possa comprometterne la reputazione ed il ritorno pubblicitario sperato.
Inoltre, la Cassazione ha riconosciuto che l'inadempimento degli obblighi integrativi discendenti dai principi di correttezza e buona fede, in quanto posti in rapporto di corrispettività con le obbligazioni tipiche della controparte, può condurre alla risoluzione del contratto, previo accertamento da parte del giudice di merito che, in concreto, tale inadempimento è di non scarsa importanza in relazione all'economia generale del contratto.78
Nel caso di specie, in particolare, la Corte ha riconosciuto l’inadempimento non solo dello sponsor per non avere pagato il corrispettivo pattuito, ma anche dello sponsorizzato per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, non avendo inibito la pubblicizzazione del nuovo accordo di sponsorizzazione per la seguente stagione sportiva.
Tale sentenza con la quale la Cassazione enuncia alcuni principi di diritto che appaiono destinati a divenire massime giurisprudenziali costanti, si pone dunque come punto di svolta fondamentale nella valutazione dell’inadempimento dello sponsorizzato. Il comportamento di quest’ultimo nel corso dell’esecuzione del contratto, infatti, non dovrà essere limitato all’adempimento dell’obbligazione principale ma dovrà essere valutato alla stregua dei principi di correttezza e buona fede e del rispetto degli obblighi ulteriori che da questo discendono.
4. I vari casi di inadempimento dello sponsorizzato
78 In proposito la Cassazione richiama le proprie pronunzie n. 97/1997 e n. 1472/1999, le quali, sia pur con riferimento al diverso contratto di compravendita, hanno esattamente messo in luce come anche l'inadempimento di un'obbligazione ulteriore rispetto a quelle tipiche − se collegata a queste con vincolo di corrispettività, per volontà delle parti o per legge, e se di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c. − può fondare la risoluzione del contratto.
Abbiamo visto dunque come l’applicazione del principio di buona fede e correttezza al contratto di sponsorizzazione possa far assumere un contenuto ulteriore, rispetto a quanto dedotto nel contratto, alle prestazioni dello sponsor e, soprattutto, dello sponsee. Pertanto, sembra opportuno analizzare una serie di decisioni giudiziali che, applicando tale principio, permettono di delineare con maggior precisione i casi di inadempimento dello sponsee più ricorrenti nella prassi e di conseguenza permettono di delineare gli obblighi ulteriori gravanti in capo allo sponsorizzato.
4.1. L’infortunio dell’atleta
Un primo caso che potrebbe rilevare in termini di inadempimento dello sponsorizzato è senza dubbio l’ipotesi in cui esso sia un singolo atleta e subisca un infortunio che gli impedisca di svolgere la propria attività sportiva con la conseguenza che egli non potrà eseguire la prestazione di veicolazione dei segni distintivi dello sponsor. In particolare, merita di essere analizzato il caso del grave infortunio che tiene fermo l’atleta per un consistente periodo di tempo, in quanto i lievi infortuni impediscono lo svolgimento dell’attività per un lasso di tempo così esiguo che sarebbe inutile se non controproducente l’esercizio di un eventuale rimedio giuridico da parte dello sponsor. In questo caso siamo di fronte ad un tipico caso di inadempimento del contratto di sponsorizzazione, in quanto lo sponsorizzato non potrà svolgere la prestazione principale dedotta nel contratto, vale a dire la divulgazione del nome o marchio dello sponsor. Tuttavia, lo sponsor non potrà tutelarsi chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c. perché l’infortunio che ha reso impossibile l’esecuzione della prestazione non può essere ricondotto ad una colpa dello sponsee. Peraltro, anche nell’eventualità in cui il tipo di infortunio potrebbe essere astrattamente ricondotto alla condotta dell’atleta - perché ad esempio non ha seguito
alla perfezione l’iter medico prescrittogli ed ha tentato di acellerare i tempi di recupero o perché ha eseguito una manovra o un’azione di gioco particolarmente azzardate – non sembra potersi invocare una sua responsabilità, in quanto sembra più corretto ricondurre tali eventi ai rischi tipici dell’attività sportiva che di conseguenza rientrano nell’alea normale del contratto di sponsorizzazione e sono stati accettati dallo sponsor al momento della conclusione del contratto.79
Quanto detto implica inoltre che non potrà essere domandata neppure una risoluzione giudiziale per eccessiva onerosità della prestazione ex art. 1467 c.c., essendo la sopravvenuta onerosità rientrante nella normale alea del contratto.
L’unico rimedio giuridico che appare esperibile dallo sponsor sarà dunque la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione. In particolare, bisogna distinguere il caso in cui il grave infortunio impedisca all’atleta di svolgere la propria attività per l’intera durata del contratto di sponsorizzazione, e dunque si tratterà di un’impossibilità definitiva di svolgere l’obbligazione di divulgazione dei segni distintivi (art. 1256 c.c.), dal caso in cui il grave infortunio impedisca all’atleta di svolgere la propria attività soltanto per un determinato periodo, inferiore all’intera durata del contratto, nel qual caso si parlerà di impossibilità temporanea di svolgere l’obbligazione (art. 1256 c.c.).
Per quanto concerne il caso dell’impossibilità definitiva, è necessaria un’ulteriore precisazione. Infatti, se il contratto di sponsorizzazione prevede unicamente a carico dello sponsorizzato l’obbligazione di veicolazione dei segni disintivi dello sponsor, l’impossibilità definitiva di adempiere a tale obbligazione comporterà l’impossibilità totale della prestazione (ex art. 1463 c.c.) e di conseguenza lo sponsorizzato potrà ritenersi liberato in quanto la sua obbligazione sarà estinta ai sensi dell’art. 1256 c.c., salva l’eventuale ripetizione della prestazione già eseguita dallo sponsor. Tuttavia,
79 In questo senso X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006, 1006 ss.
come già rilevato in precedenza, sovente i contratti di sponsorizzazione non prevedono a carico dello sponsee un’unica obbligazione, bensì prevedono altre obbligazioni accessorie, come ad esempio il presenziare ad eventi organizzati dallo sponsor, che normalmente potranno essere svolte anche dall’atleta infortunato. In questi casi, si dovrà necessariamente operare una valutazione della rilevanza della prestazione principale e delle prestazioni accessorie, al fine di determinare se lo svolgimento delle prestazioni accessorie possa, comunque, soddisfare lo sponsor e si possa quindi evitare la risoluzione del contratto.
Tornando al caso in cui lo sponsee subisca un infortunio che gli impedisca di svolgere la prestazione soltanto per un dato periodo di tempo, più o meno consistente, merita di essere segnalata la tendenza, molto diffusa nella prassi, per cui gli sponsor preferiscono tenere in vita il contratto piuttosto che invocarne la risoluzione, poiché lo sponsorizzato, soprattutto nei casi di atleta di primo livello, nonostante l'infortunio riceve una notevole attenzione da parte dei media, che procura quindi allo sponsor, a lui indissolubilmente legato, un notevole e comunque positivo ritorno di immagine.
4.1.1. Il risarcimento del danno e il caso Xxxxxx
Infine, nel caso di infortunio grave lo sponsor potrebbe tentare di agire giudizialmente nei confronti dell’atleta per ottenere il risarcimento del danno ex. art. 2043 c.c. per lesione del proprio credito da parte di terzo. Lo sponsor, infatti, potrebbe agire nei confronti del terzo che ha causato l’infortunio all’atleta chiedendo il risarcimento del danno prodotto dall’impossibilità di ricevere dallo sponsorizzato la prestazione dedotta in contratto.
Bisogna subito notare che la maggior parte degli infortuni che occorrono agli atleti si verificano nel corso dello svolgimento dell’attività sportiva. In particolare, l’infortunio potrà essere del tutto accidentale, come nel caso di un infortunio muscolare occorso al maratoneta, oppure potrà derivare da una condotta di un atleta competitore, come nel caso di un fallo da gioco piuttosto irruento. Se i casi in cui l’infortunio sia accidentale non rilevano in questa sede in quanto tali infortuni possono considerarsi completamente rientranti nella normale alea del contratto di sponsorizzazione sportiva accettata dallo sponsor; maggiori problemi pongono i casi in cui l’infortunio sia causato da un concorrente in quanto bisogna accertare se il comportamento dello sportivo che ha causato il danno si possa considerare fonte di responsabilità civile.
Secondo un filone giurisprudenziale consolidato80 il criterio decisivo per escludere la responsabilità civile è ormai individuato nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo. In particolare, si ritiene che tale collegamento ricorra quando la condotta dell’atleta , sebbene contraria al regolamento sportivo, trovi la sua funzione e ragion d'essere nel conseguimento del risultato sportivo. In questi casi, la condotta integrerà al massimo gli estremi per un illecito sportivo, vale a dire un tipo di illecito che ha causa soltanto ed esclusivamente nella violazione delle regole dello sport e sanzionato dall’ordinamento sportivo.
Una responsabilità civile e persino penale potrà essere riscontrata nei casi in cui la condotta sia stata posta in essere allo specifico scopo di ledere, utilizzando lo svolgimento dell’attività sportiva come mero pretesto o occasione per cagionare un danno, e nei casi in cui l’atleta, pur nell'osservanza delle regole, impieghi una violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale.81
80 Tra le altre vedi: Cass. civ., 8 agosto 2002, n. 1212, in Foro it., 2003, I, 168; Cass. civ., 10 maggio 2018,
n. 11270
81 Cfr. X. Xxxxx, Illecito sportivo, illecito civile e collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo: un’occasione sprecata, nota a Cass. civ., 10 maggio 2018, n. 11270, in Danno e Resp., 2018, 5, 598
Di conseguenza, andrà valutato caso per caso se la condotta dell’atleta che ha causato l’infortunio dello sponsee possa configurare una responsabilità civile ex art. 2043 c.c. e se quindi si possa ritenere lo stesso responsabile in via aquiliana anche della lesione del credito dello sponsor.
A tal riguardo, merita di essere segnalato un orientamento in proposito espresso dalla Corte di Cassazione relativamente al cd. caso Meroni82, in cui la Società Torino Calcio richiedeva il risarcimento del danno da parte del terzo che aveva cagionato la morte del proprio calciatore Xxxxxx. In questa occasione, la Corte ha avuto modo di stabilire i criteri in base ai quali il terzo che cagioni la morte del debitore altrui è obbligato a risarcire il danno subito dal creditore. In particolare, il terzo dovrà risarcire il creditore qualora la morte del debitore abbia determinato l'estinzione del credito e una perdita definitiva e irreparabile per il creditore medesimo. Tale perdita, nelle obbligazioni di fare, si avrà qualora il debitore sia insostituibile per il creditore, nel senso che quest’ultimo potrà procurarsi prestazioni eguali o equipollenti, esclusivamente a condizioni più onerose. Inoltre, la Corte ha precisato che comunque la valutazione sulla sussitenza dei requisiti andrà effettuata caso per caso tenendo conto della svariate peculiarità del caso di specie.
Nel caso Xxxxxx, la Corte di rinvio, in base al principio di diritto pronunciato dalla Corte di Cassazione, ha però sostenuto che tale requisito non sussistesse nella fattispecie in quanto ha ritenuto che il calciatore sia sostituibile, anche in considerazione del fatto che un atleta non garantisce sempre un determinato rendimento sportivo e che comunque in uno sport di squadra il singolo componente non può essere sempre determinante.
Sebbene la sentenza in esame faccia riferimento alla morte del debitore, si ritiene che i principi in essa delineati possano essere applicabili nel caso di infortunio grave
82 Cass. 26 Gennaio 1971, n. 174, in Foro It., 1971, I, 342
dell’atleta qualora questo determini l’estinzione del credito dello sponsor. Tuttavia, bisogna ritenere che nel caso di lesione del diritto di credito dello sponsor di un singolo atleta la conclusione dovrebbe essere diversa. Infatti, nel rapporto di sponsorizzazione individuale, lo sponsor sceglie come sponsee, dopo un’attenta valutazione e analisi di mercato, un soggetto altamente specifico e particolare ritenendo che gli possa garantire un determinato ritorno pubblicitario. In questa prospettiva, sarebbe difficile ipotizzare che lo sponsor possa ottenere una prestazione equipollente da parte di un altro soggetto, tenendo anche conto, come indicato dalla Suprema Corte, della brevità dell'intervallo intercorrente fra il venir meno del debitore ed il tempo in cui le sue prestazioni dovevano essere eseguite.
Pertanto, sembra potersi concludere che in casi analoghi venga soddisfatto il requisito della insostituibilità del debitore stabilito dalla Suprema Corte e dunque sarebbe configurabile una responsabilità del terzo per lesione del diritto di credito dello sponsor. Di conseguenza, il terzo potrebbe quindi essere chiamato a risarcire il danno.
4.2. Gli insuccessi dello sponsee nello svolgimento dell’attività sportiva
Tornando al caso esposto in precedenza della serie di insuccessi sportivi dello sponsorizzato83, si ritiene che il Collegio arbitrale forse più correttamente avrebbe potuto fare ricorso ai criteri di correttezza e buona fede. In quest’ottica la cattiva gestione della squadra che ha portato alla debacle sportiva potrebbe ben rilevare come violazione da parte del club del principio di buona fede.
Infatti, lo sponsor nel momento in cui sceglie una squadra da sponsorizzare tiene conto dello standard tecnico e qualitativo di quest’ultima per tentare di prevedere il risultato
83 Coll. Arbitrale 17 Luglio 1990 Maglificio Irge c. A.S. Aurora Basket Desio, in Dir. Inf. 1991, 642
sportivo ottenibile e di conseguenza il ritorno pubblicitario che può attendersi. D’altronde, è anche in base al valore del team ed ai risultati sportivi che ci si aspettano che viene determinato il corrispettivo del contratto.
La circostanza che la gestione tecnica della squadra non sia condotta in modo tale da conservare il valore che la squadra aveva al momento della stipulazione del contratto, non solo non consentirà un ritorno pubblicitario simile a quanto era lecito attendersi, ma potrebbe persino risolversi in un ritorno “negativo” per l’immagine dello sponsor. Pertanto, sebbene il comportamento dello sponsee rientri nell’ambito della propria peculiare attività e non costituisca inadempimento dell’obbligazione principale, potrà essere sanzionato per violazione del criterio di buona fede, in quanto colposamente lesivo degli interessi della controparte sottostanti all’esecuzione del contratto.
Rispetto a tale conclusione, in dottrina è stato osservato che la conduzione infelice della squadra e la conseguente serie di sconfitte non potrebbe giustificare il ricorso a tale criterio in quanto si tratta di mere scelte sbagliate o coincidenze sfortunate che sono piuttosto frequenti in ambito sportivo e che quindi lo sponsor avrebbe dovuto tenere in considerazione al momento della conclusione del contratto.84
In realtà, questa osservazione non sembra cogliere nel segno in quanto nel caso di specie non si parla di piccoli discostamenti dalla previsione iniziale, ma di un vero e proprio “disastro” sportivo senza precedenti e che molto raramente si verifica. Per di più, tale risultato è conseguito ad un vero e proprio ridimensionamento della squadra e delle sue ambizioni sportive, essendo stati ceduti i giocatori migliori senza che si sia provveduto a sostituirli. Tale comportamento, per quanto rientrante nell’ambito della discrezionalità della gestione tecnica dello sponsee, non può non essere considerato come un comportamento colposamente lesivo degli interessi dello sponsor.
84 In tal senso v. M.V. De Giorgi, Scorrettezze dello sponsee e diritti dello sponsor, in Dir. inf. e informatica, 1991.
Nonostante, infatti, lo sponsorizzato abbia il diritto di mutare l'assetto tecnico del team successivamente alla conclusione del contratto, lo stesso ha il dovere di veicolare il messaggio promozionale dello sponsor in modo adeguato e ciò non si realizza se il livello tecnico del team viene del tutto stravolto rispetto a quello esistente nel momento in cui si è perfezionato l'accordo.
Diverso, sarebbe stato il caso in cui la serie di sconfitte fosse susseguita ad altri eventi che rappresentano, invece, la normale alea sportiva, come ad esempio la serie di infortuni che impedisce di schierare gli atleti migliori per un gran numero di partite o la giornata storta della squadra che non riesce a battere un avversario di gran lunga inferiore. In questi casi, non potrà sussistere la responsabilità dello sponsee in quanto la parte sponsorizzata non ha agito in modo gravemente imprudente senza tenere in considerazione gli interessi dello sponsor ed in particolare il ritorno promozionale atteso da quest'ultimo.
4.2.1. L’ingerenza dello sponsor
Quanto detto finora, tuttavia, non deve indurre a pensare che i diritti dello sponsor possano sconfinare fino ad autorizzare una sua ingerenza nell’attività dello sponsorizzato. La dottrina difatti concorda nell'escludere, salvo diversa ed espressa pattuizione contrattuale, qualsiasi potere di ingerenza da parte dello sponsor sulle modalità di svolgimento dell'attività sportiva del soggetto sponsorizzato.85 Quest’ultimo, infatti, è l’unico titolare dell’attività svolta e di conseguenza sarà libero di organizzarla in base ai propri interessi, attuando le modalità di esercizio che ritiene
85 V. tra gli altri X. Xxxxxxx, Contratto di sponsorizzazione, sanzioni sportive e responsabilità contrattuale, in Danno e Resp., 2007, 7; X. Xxxxxx, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. Civ., 2001,
M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova, 1988.
opportune. Il fatto che lo sponsee debba tenere in considerazione gli interessi dello sponsor alla luce del principio di buona fede e correttezza, non può in alcun modo limitare la tendenziale libertà dello sponsorizzato di effettuare le scelte tecniche e gestionali che reputa maggiormente funzionali al perseguimento dei propri obiettivi istituzionali.
Ciò implica che quand’anche in via del tutto eccezionale lo sponsee si fosse genericamente impegnato contrattualmente a seguire le disposizioni di tipo tecnico o organizzativo impartite dallo sponsor, tale impegno non potrebbe vincolarlo al rispetto di specifiche indicazioni contrastanti con la normativa federale. D’altronde, la necessità per lo sponsorizzato di rispettare le prescrizioni dettate dalla competente federazione sportiva o dalla lega in cui milita costituisce un dato di fatto generalmente noto ad entrambe le parti o comunque agevolmente conoscibile da parte dello sponsor. Sicché non sembra che si possa ritenere vincolante una clausola che imponga allo sponsorizzato la violazione della normativa federale.
Tale circostanza, comunque, si verifica molto raramente ed anzi, come si ricava dall’analisi della prassi contrattuale, lo sponsorizzato solitamente tende a cautelarsi, nel momento in cui si conclude il contratto, tramite l’inserimento una clausola di non ingerenza con cui viene espressamente escluso che lo sponsor abbia qualsiasi potere decisionale in merito allo svolgimento dell'attività sportiva di controparte.
D’altra parte, va notato che il fatto che lo sponsor non abbia, in genere, alcun potere di controllo sull’attività peculiare dello sponsorizzato, implica che egli non potrà essere considerato responsabile per gli eventuali danni verso i terzi che possano derivare dall’esecuzione dell’attività sportiva. La responsabilità graverà in capo allo sponsor soltanto nel caso in cui dall’esercizio dell’attività propria dello sponsorizzato derivino pregiudizi nei confronti di terzi, provocati da vizi intrinseci del materiale fornito. Abbiamo visto, infatti, parlando degli obblighi dello sponsor, come nel caso di
abbinamento tecnico, egli sarà chiamato a rispondere della qualità del materiale fornito, sulla base delle norme proprie del tipo contrattuale che sarà applicabile al rapporto in questione.
4.3. I provvedimenti dell’autorità sportiva riguardanti lo sponsee
Gli insuccessi dello sponsee e la sua impossibilità a partecipare a determinati eventi, oltre a dipendere dai risultati ottenuti e dagli eventuali infortuni occorsi nello svolgimento dell’attività sportiva, possono derivare anche da provvedimenti sanzionatori dell’autorità sportiva. Non è raro, infatti, che un’autorità sportiva infligga sanzioni che possono riguardare sia le squadre, come la penalizzazione di punti in classifica o la squalifica dal campionato di appartenenza, sia i singoli atleti, si pensi alla squalifica per comportamenti violenti e/o antisportivi, per doping o per questioni legate alle scommesse.86
Qualora tali eventualità si verifichino, indubbiamente esse andranno a pregiudicare l’aspettativa di ritorno commerciale dello sponsor. Infatti, lo sponsor potrà subire sia un ritorno di immagine minore, dato che lo sponsee non potrà partecipare a determinate gare o competizioni e dunque gli sarà riservata meno attenzione da parte dei media; sia un ritorno di immagine negativo, essendo il suo nome o marchio legato all’immagine dello sponsorizzato che sarà inevitabilmente compromessa dalla sanzione. Bisognerà dunque distinguere i casi in cui lo sponsee per via della sanzione non potrà svolgere la propria prestazione di veicolazione dei segni distintivi dello sponsor, dai casi in cui lo sponsorizzato potrà comunque svolgere la propria
86 Emblematici in tal senso il cd. caso "Calciopoli" del 2006 che comportò diverse sanzioni alle più importanti società calcistiche italiane, tra cui la retrocessione nella seconda serie della squadra che aveva vinto il campionato, e la doppia squalifica per doping inflitta al marciatore Xxxx Xxxxxxxx tra il 2012 e il 2016.
prestazione ma in circostanze tali da causare un ritorno pubblicitario inferiore a quello che lo sponsor poteva lecitamente attendersi.
Nel caso in cui la sanzione sportiva comporti l’impossibilità per lo sponsorizzato di eseguire la prestazione principale fino alla scadenza del contratto di sponsorizzazione, perché ad esempio lo squalifica per le successive gare, sarà necessario valutare se l'impossibilità di eseguire la prestazione sia non imputabile allo sponsee debitore o se sia invocabile un inadempimento da parte dello stesso. La dottrina prevalente ritiene che in simili casi la causa che rende impossibile l’esecuzione della prestazione deriva da un comportamento dello sponsorizzato contrario alle normative della federazione o della lega di cui fa parte che si è impegnato a rispettare e che disciplinano l’esercizio dell’attività sportiva tramite la quale si esplica la prestazione principale.87 In particolare, il comportamento dello sponsorizzato configurerebbe una violazione del dovere di diligenza nell’adempimento del contratto prescritto dall’art. 1176 c.c. Infatti, entrambe le parti, sia nella fase delle trattative quanto in quella della esecuzione del contratto, pongono in essere condotte che si fondano sull'appartenenza all'ordinamento sportivo dello sponsee. Ciò implica che lo sponsorizzato per adempiere correttamente alla propria obbligazione sia tenuto non solo a veicolare i segni distintivi della controparte nell'esercizio di un'attività sportiva, ma anche al rispetto dei tipici valori sui quali si fonda il mondo dello sport e sulle peculiari regole che disciplinano l’attività in questione. È bene precisare, tuttavia, che si ritiene come negligente soltanto il comportamento del soggetto sponsorizzato che integri una grave violazione delle norme e dei principi summenzionati, mentre si ritiene che risultino irrilevanti quelle piccole infrazioni che vengono usualmente praticate nel normale esercizio dell'attività sportiva e che in quanto tali si ritiene siano state preventivamente accettate dallo sponsor come un
87 In tal senso v., tra gli altri, X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006; X. Xxxxx, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove, in Resp. civ. e prev., 2011.
rischio normalmente inerente al contratto di sponsorizzazione stipulato.88 Di conseguenza, si ritiene che lo sponsor, una volta provato il comportamento negligente della controparte, potrà richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento e il risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 1453 del codice civile. Nel caso in cui non si riesca a provare il comportamento negligente dello sponsorizzato, comunque si potrà configurare, a seconda dei casi, una impossibilità totale, parziale, assoluta o temporanea di esecuzione della prestazione e si potrà procedere analogamente a quanto visto nel caso di infortunio dello sponsorizzato.
Diverso è il caso in cui la sanzione inflitta allo sponsorizzato non comporti la squalifica dello sponsee, ma soltanto la revoca di determinati risultati conseguiti sul campo o la retrocessione in competizione di livello inferiore. In tali circostanze, i provvedimenti dell’autorità sportiva non comporteranno un’impossibilità definitiva di eseguire la prestazione in quanto lo sponsorizzato avrà già eseguito la prestazione principale o potrà comunque eseguirla seppur in diversi contesti da quelli previsti al momento dell’accordo. In quest’ottica, il comportamento dello sponsorizzato, che ha violato le norme che regolano lo svolgimento dell’attività sportiva, potrebbe costituire una violazione del principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto. Esso, infatti, andrebbe a ledere le aspettative di ritorno commerciale dello sponsor causando nella maggior parte dei casi, come già visto in precedenza, anche un ritorno negativo d’immagine. Pertanto, lo sponsor potrebbe ottenere la risoluzione del contratto per violazione da parte dello sponsorizzato di quegli obblighi ulteriori che impongono alle parti di tenere conto degli interessi della controparte sottostanti all’esecuzione del contratto.
88 X. Xxxxxx, Attività sportive e responsabilità dell'organizzatore, Napoli, 2005.
In alternativa, parte della dottrina ritiene che lo sponsor possa comunque richiedere la risoluzione del contratto per eccesiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.).89 La conseguenza negativa del provvedimento sanzionatorio, infatti, sia che consista in una revoca di risultati sia che consista in una retrocessione, non sarebbe considerabile come un fisiologico esito dell’attività sportiva, che dunque le parti conoscevano o ben potevano conoscere al momento della conclusione del contratto. Tale conseguenza sarà, invece, un esito patologico dello svolgimento dell’attività sportiva che, nella maggior parte dei casi, è causato dalla negligenza dello sponsorizzato e che, quindi, non potrà ritenersi compresa nella normale alea del contratto di sponsorizzazione, ma dovrà essere considerata come un avvenimento straordinario e imprevedibile. Inoltre, va notato che le sanzioni, specialmente nei casi di retrocessione, comportano un cambiamento in peius del contesto in cui si svolge l’attività di veicolazione dei segni distintivi dello sponsor tale per cui, nella stragrande maggioranza dei casi, la prestazione dello sponsor sarà resa eccessivamente onerosa avuto riguardo all’originario rapporto di valore fra le prestazioni. Infine, merita di essere segnalato che nei casi in cui sia stata chiesta la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, lo sponsorizzato potrà opporsi offrendosi di ricondurre il contratto ad equità, modificando equamente le relative obbligazioni, ai sensi del comma 3 dell’art. 1467 c.c.
4.3.1. L’azionabilità dei provvedimenti da parte dello sponsor
Abbiamo dunque visto quali sono le possibili tutele esperibili dallo sponsor nei confronti dello sponsee nel caso di provvedimenti sanzionatori dell’autorità sportiva che vadano ad incidere sull’attività di quest’ultimo. Tuttavia, non sono rari i casi in cui lo sponsor
89 X. Xxxxxxx, Tutela dello sponsor nell'ordinamento sportivo e nell'ordinamento giuridico statale, in Riv. Dir. Sport., 1991.
decida di non rivalersi sullo sponsorizzato ma anzi decida di schierarsi al suo fianco ed opporsi al provvedimento che andrebbe ad incidere sulle sue aspettative di ritorno pubblicitario.90 D’altronde, è indubbio che lo sponsor subisca un pregiudizio a causa del provvedimento federale sanzionatorio emanato nei confronti della parte sponsorizzata che sicuramente si rifletterà sulla capacità attrattiva di quest’ultima.
In primo luogo, merita quindi di essere chiarito innanzi a quale autorità lo sponsor sia legittimato ad impugnare il provvedimento sanzionatorio.
È noto, infatti, come il rapporto tra il sistema sportivo e il sistema statale sia stato sottoposto per lungo tempo a tensioni e oscillazioni. Particolarmente controversa e dibattuta è stata la questione riguardo a chi spettasse la giursdzione circa l’impugnabilità dei provvedimenti disciplinari emanati dagli organi competenti delle federazioni sportive.
A tal proposito, è intervenuto il d.l. 220/2003 che ha tripartito il sistema di tutela. È stato infatti individuato un primo settore in cui lo Stato manifesta indifferenza verso le situazioni giuridiche dell'ordinamento sportivo. Sarà quindi riservata agli organi di giustizia sportiva, come stauito dall’art. 2, comma 1, lett. a), b), la disciplina delle questioni aventi ad oggetto l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, nonché i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.
Nel secondo settore individuato dal decreto in esame, l'interesse dell'ordinamento statale risulta prevalente ed è perciò riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario.
90 Merita di essere segnalata la possibilità dello sponsor di adire l’ordinamento statale in simili casi. La questione in realtà e molto dibattuta in dottrina e ci si interroga circa la questione della tutela accordabile avverso le misure disciplinari, in ragione della loro idoneità a produrre conseguenze, giuridiche ed economiche, lesive di posizioni giuridiche soggettive, anche al di fuori del mero ambito sportivo. Per una più completa trattazione in merito si rimanda a X. Xxxxxxxx, L’ordinamento sportivo e la tutela giurisdizionale dei singoli, nota a Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, in Giornale Dir. Amm., 2020, 2, 213; X. Xxxxxxxx, Il riparto di giurisdizione in materia di sanzioni disciplinari sportive, in Dir. proc. amm., 2015, 107 ss.
In esso, ai sensi dell’art. 3, comma 1, rientra tutta l'area dei rapporti patrimoniali che possono intercorrere tra società, associazioni e atleti.
Infine, lo stesso art. 3 individua un terzo settore nel quale le situazioni giuridiche sono rilevanti per lo Stato, sebbene in via mediata rispetto all'attività delle istituzioni sportive, sicché è attribuita la giurisdizione al giudice amministrativo, ma solo una volta esauriti i rimedi esperibili davanti agli organi di giustizia sportiva (cd. pregiudiziale sportiva). Tale settore è residuale e al suo interno rientrano tutte le controversie aventi ad oggetto atti delle federazioni o del CONI non inquadrabili nel primo settore.
Alla luce di quanto detto, il caso da esaminare ai fini della trattazione sembrerebbe ricadere all’interno del primo settore. Tuttavia, bisogna notare come le misure disciplinari non producano effetti limitati esclusivamente all’ambito sportivo, bensì sono idonee a produrre conseguenze, giuridiche ed economiche, anche al di fuori di esso. Pertanto, per lungo tempo si è assistito in dottrina e giurisprudenza a un lungo dibattito circa la possibilità di accordare anche una tutela statale avverso le misure disciplinari degli organi di giustizia sportiva, nel caso in cui ledano posizioni giuridiche soggettive anche al di fuori dell’ambito sportivo. 91 Al riguardo ha avuto modo di esprimersi la Corte Costituzionale nel 2019, interpellata dal T.A.R. Lazio circa la legittimità dell'esclusione della tutela caducatoria, innanzi al giudice amministrativo, per le sanzioni disciplinari sportive. La Consulta, seguendo una propria decisione analoga del 2011, ha avuto modo di chiarire che la forza coercitiva dello Stato, di fronte a sanzioni sportive, si può esprimere essenzialmente in via indiretta, mediante la condanna al risarcimento dei danni.92
In quest’ottica, dunque, nel caso in cui un provvedimento sanzionatorio di un’autorità sportiva produca una lesione delle posizioni giuridiche soggettive, contro di esso potrà
91 Cfr. X. Xxxxxxxx, L’ordinamento sportivo e la tutela giurisdizionale dei singoli, nota a Xxxxx Xxxx., 00 giugno 2019, n. 160 in Giornale Dir. Amm., 2020, 2, 213.
92 Cass., 25 giugno 2019, n. 160.
essere proposto reclamo sia nei confronti delle autorità di giustizia sportiva sia nei confronti del giudice statale, chiedendo il risarcimento dei danni.
Abbiamo visto però come lo sponsor sia un soggetto estraneo alla struttura federale sportiva e di conseguenza egli non sempre sarà legittimato a proporre reclami davanti agli organi di giustizia sportiva. Infatti, non tutte le normative federali conferiscono la legittimazione a proporre tali reclami a soggetti estranei all’ordinamento, seppur aventi un interesse alla revoca del provvedimento. Prendendo ad esempio la normativa federale della FIGC, si nota come l’art. 49, secondo comma, del Codice di Giustizia Sportiva prevede che: “Nei casi di illecito sportivo sono legittimati a proporre ricorso o reclamo anche i terzi portatori di interessi indiretti, purché connotati da concretezza e attualità, compreso l'interesse in classifica.”. In altre parole, nel caso in cui venga inflitta una sanzione disciplinare per illecito sportivo ai danni dello sponsee, per determinare se lo sponsor sia legittimato a proporre reclamo innanzi l’autorità sportiva sarà necessario stabilire se egli abbia un interesse che sia tutelato, seppure indirettamente. Appare abbastanza chiaro come, nel suddetto caso, lo sponsor subisca un danno economico dall’illecito sportivo e dalle conseguenze da questo prodotte e pertanto si ritiene che egli vanti un interesse economico da tutelare. Inoltre, è indubbio che lo stesso tragga un maggior vantaggio da un migliore piazzamento dello sponsee per gli effetti di maggiore diffusione del marchio e nome commerciale, di conseguenza si deve ritenere che egli vanti anche un interesse in classifica.
Infine, si ritiene che lo sponsor possa agire nei confronti del provvedimento sanzionatorio dell’autorità sportiva mediante l’esercizio dell’azione surrogatoria regolata dall’art. 2900 c.c. Infatti, essendo il provvedimento lesivo, seppure indirettamente, dell’interesse dello sponsor all’adempimento della prestazione dello sponsorizzato derivante dal contratto, si ritiene che egli possa esperire l’azione surrogatoria nei casi in cui lo sponsee non voglia o non possa impugnare la sanzione.
Bisogna però notare che, per xxx xxx xxxxxxx xx xxxxxxxxx sportiva che obbliga i soggetti appartenti alla federazione a rivolgersi esclusivamente al sistema di giustizia sportiva per la risoluzione delle controversie tra loro insorte, lo sponsorizzato che decida di impugnare il provvedimento dovrà impugnarlo necessariamente innanzi ai giudici federali.93 Pertanto, poiché lo sponsor che si avvale dell’azione surrogatoria assume la veste di sostituto processuale del debitore surrogato, e come tale sarà soggetto a tutte le eccezioni sostanziali e processuali opponibili allo sponsee surrogato, si ritiene che anche nei suoi confronti potrà essere eccepito il difetto di giurisdizione del giudice statale. In altre parole, lo sponsor nei casi in cui decida di impugnare il provvedimento federale che sanziona lo sponsorizzato mediante un’azione surrogatoria, dovrà necessariamente promuovere il giudizio innanzi ai competeneti organi di giustizia sportiva.
4.4. Le dichiarazioni, i comportamenti e le vicende dello sponsorizzato o dei terzi
Per concludere l’analisi sui casi di inadempimento dello sponsorizzato, bisognerà analizzare anche le eventualità in cui lo sponsor lamenti una lesione dei propri interessi o delle obbligazioni dedotte in contratto per via di un dato comportamento tenuto dallo sponsee o da un terzo. In particolare, si fa riferimento alle circostanze in cui lo sponsorizzato o un terzo pongano in essere comportamenti o rilascino dichiarazioni che possono ledere l’immagine dello sponsor. L’interferenza di immagine che deriva dal contratto di sponsorizzazione, infatti, fa sì che i comportamenti tenuti dallo sponsorizzato possano essere associati anche alla figura dello sponsor che di
93 Ciò trova conferma in alcune pronunce di merito dell'autorità giudiziaria ordinaria, tra cui si segnala: Trib. Foggia 26 Novembre 1984, n. 969, in Riv. Dir. Sport ., 1985, 433 ss.
conseguenza potrà subire un negativo ritorno di immagine. Merita di essere notato inoltre che molto più spesso negli ultimi anni, per via del ruolo di potente veicolo comunicativo che lo sport ha assunto, le aziende, in una precisa ottica aziendale, decidono di sponsorizzare atleti e squadre i quali possano trasmettere messaggi di alto valore sociale, promuovendo determinati valori che si ritengono fondamentali in quel dato periodo storico. Pertanto, in casi analoghi, una dichiarazione o un comportamento dello sponsee in antitesi con il messaggio che l’azienda ha cercato di divulgare nel corso del tempo, potrebbe gettare un forte discredito sull’azienda stessa che vedrebbe così compromessa la propria credibilità.
Occorre, dunque, cercare di capire che strumenti giuridici abbia a disposizione lo sponsor per proteggere la propria immagine da simili avvenimenti attraverso l’analisi di un caso particolarmente rilevante in merito.
4.4.1. Il caso Sintec Phonola – Il Messaggero nei rapporti esterni
Il caso in esame94 riguarda la lesione della propria aspettativa di ritorno pubblicitario lamentata dall’azienda Sintec Phonola, la quale aveva concluso un contratto di sponsorizzazione per la stagione 1988/89 con la squadra “Associazione Pallacanestro Virtus Roma”, squadra militante nella serie maggiore di pallacanestro, con riserva alla Sintec di un diritto di prelazione per il rinnovo dell’accordo anche per la successiva stagione 1989/90. In particolare, l’azienda Sintec aveva proposto un ricorso cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in quanto, successivamente all’esercizio del diritto di prelazione entro il termine concordato, aveva appreso dagli organi di stampa che l’assetto proprietario della squadra era mutato e dalla stagione successiva la squadra si sarebbe chiamata “Il Messaggero – Banco di Roma”. Il ricorso era stato proposto proprio contro l’azienda “Il Messaggero”, che aveva rilevato la Virtus Roma e che aveva fatto intendere che l'immagine del precedente sponsor fosse connessa al declino sportivo della società sponsorizzata che in quella stagione si era verificato. Il Pretore di Roma, interpellato in merito, ha inizialmente riconosciuto che nonostante si fosse di fronte ad una controversia tra aziende sponsor non potevano essere invocate le norme in tema di concorrenza sleale in quanto le due aziende non operavano in un regime di concorrenzialità. Pertanto, egli ha qualificato il comportamento dell’azienda Il Messaggero come fonte di responsabilità aquiliana ex. art. 2043 c.c.. Infatti, è stato stabilito che le notizie divulgate dai media e dal futuro sponsor, fossero in diretto rapporto di causalità con la lesione di due diritti soggettivi: l’aspettativa di ritorno pubblicitario e la reputazione commerciale dello sponsor. In altre parole, per il Pretore
94 Pret. Roma 12 Luglio 1989, Sintec c. Il Messaggero, in Dir. Inf. 1990, 171
il fatto che fossero state diffuse notizie concernenti il cambiamento di denominazione e il fatto che l’immagine della Sintec fosse stata associata al declino della squadra aveva determinato non solo un effetto negativo sul pubblico, confondendolo in merito all’identità dello sponsor, ma aveva anche generato sul pubblico l’idea che questo cambiamento fosse stato punitivo nei confronti della società Sintec, a cui veniva di fatto attribuita la responsabilità per gli scarsi risultati ottenuti dalla squadra nel corso della stagione.
Tale decisione ha suscitato non poche critiche in dottrina. In primo luogo, è stato sottolineato come la sussistenza dell'illecito aquiliano non può essere ravvisata nella lesione delle aspettative di ritorno pubblicitario dello sponsor né nella lesione della reputazione commerciale dello stesso, in quanto abbiamo già visto come il ritorno pubblicitario non faccia parte dell’obbligazione gravante in capo allo sponsorizzato e rilevi ai fini del contratto esclusivamente come interesse che lo sponsor persegue e pertanto non sembra meritevole di tutela ex art. 2043 c.c..95
Allo stesso modo la dottrina ha sottolineato che non è altresì ravvisabile alcuna lesione alla reputazione commerciale dello sponsor poiché, nel caso in questione, le dichiarazioni del futuro sponsor non contengono apprezzamenti negativi sui prodotti o sulle qualità imprenditoriali del precedente sponsor, ma solo commenti relativi ad un'ipotetica sfavorevole influenza sulla squadra sponsorizzata, che, contrariamente a quanto sostenuto nella decisione, non potrà essere ritenuta vera dal pubblico, in quanto è di conoscenza comune il fatto che il contratto di abbinamento si limita ad essere una mera operazione pubblicitaria con nessuna influenza circa le modalità di gestione della squadra.96
95 X. Xxxxxxx Contursi- Lisi, Il contratto di sponsorizzazione, in Giur. Sist. Dir. Civ. e Comm. fondata da
X. Xxxxxxx, Torino, 2001, I contratti atipici, II, 86 ss.
96 Pret. Roma 12 luglio 1989, in Dir. inform., 1990, 171, con nota di M.V. De Giorgi, Contratto di sponsorizzazione e lesione delle aspettative di «ritorno commerciale».
In base a quanto detto quindi, lo sponsor non ha alcun diritto soggettivo, né altra posizione giuridica contrattualmente tutelata, ad ottenere il ritorno pubblicitario e di conseguenza non si potrà configurare una tutela verso l’esterno, in quanto il terzo non potrà ledere un diritto di credito che non sussiste.
4.4.2. Il caso Sintec Phonola – Il Messaggero nei rapporti interni
Per quanto riguarda i rapporti interni al contratto, sulla stessa vicenda ha avuto modo di esprimersi anche un lodo arbitrale97 che si concentra sul rapporto tra sponsor e sponsorizzato, vale a dire tra Sintec e Virtus Roma. In questo caso, il collegio arbitrale ha ritenuto che alcuni degli articoli in merito al cambio di sponsorizzazione fossero riconducibili allo sponsee, in quanto contenevano diverse dichiarazioni e interviste dell’allora presidente della Virtus Roma, e di conseguenza tale comportamento poteva rientrare nella violazione del dovere di diligenza nell’esecuzione del contratto. Secondo quanto stabilito dal lodo, lo sponsorizzato si sarebbe reso protagonista di condotte potenzialmente lesive delle aspettative di ritorno pubblicitario dello sponsor, qualificato dal collegio come causa del contratto di sponsorizzazione, e sebbene il contratto non prevedesse un obbligo di segretezza, si deve ritenere comunque implicita, negli obblighi positivi dello sponsee di veicolazione del marchio dello sponsor, l'esistenza dell'obbligo di astenersi da ogni azione che possa in qualunque forma arrecare delle turbative a quel ritorno pubblicitario.
In realtà, anche questa decisione è stata criticata in dottrina in quanto si ritiene che sarebbe stato più opportuno richiamare i doveri di correttezza e buona fede, piuttosto che i doveri di diligenza. In quest’ottica, come abbiamo già visto in precedenza, il
ritorno pubblicitario non è dedotto in contratto e dunque il comportamento dello sponsorizzato potrebbe unicamente essere inquadrato nella violazione degli obblighi aggiuntivi del contratto che discendono dal principio di buona fede e correttezza. Di conseguenza, lo sponsor avrebbe potuto lecitamente chiedere la risoluzione del contratto.
Parte della dottrina ha poi fatto un passo oltre riconoscendo un vero e proprio diritto in capo allo sponsor che nel caso di specie sarebbe stato violato dai comportamenti della società Virtus Roma.98 Lo sponsor, infatti, stipulando il contratto di sponsorizzazione si assicura senza dubbio il diritto di vedere il proprio nome (o il proprio marchio) unito al nome dello sponsorizzato e/o di vederlo veicolato tramite l’attività peculiare di quest’ultimo. Accanto a questo diritto, tuttavia, egli acquista anche il diritto ad essere riconosciuto e qualificato come sponsor e l’importanza di ciò si capisce alla luce della funzione pubblicitaria che riveste il contratto di sponsorizzazione. Tale diritto potrà quindi essere leso sia dal comportamento tipico del soggetto sponsorizzato che non adempia alla propria obbligazione di veicolazione dei segni distintivi dello sponsor, sia da comportamenti meno tipici ma idonei a generare nei terzi confusione e dubbio circa l’identità dello sponsor. Ma il diritto in esame potrà essere leso anche da eventuali comportamenti di terzi che neghino o sopprimano la qualifica di sponsor.
Pertanto, nel caso di specie, avrebbe dovuto, più correttamente, essere riconosciuta non soltanto la responsabilità della società Virtus Roma, per le dichiarazioni rilasciate dall’allora presidente, ma anche la responsabilità della società Il Messaggero che dando notizia del nuovo accordo di sponsorizzazione per la stagione seguente ha indotto nel pubblico la convinzione che la Sintec fosse stata destituita prematuramente dal ruolo di sponsor.
98 Pret. Roma 12 luglio 1989, in Dir. inform., 1990, 171, con nota di P. Testa, La tutela aquiliana dei diritti dello sponsor.
Un’altra circostanza in cui lo sponsor ha lamentato una lesione della propria aspettativa di ritorno pubblicitario causata da dichiarazioni e comportamenti dello sponsorizzato riguarda il cd. “caso Como”. Nella stagione sportiva 2002/2003, infatti, la società sportiva del Como, che militava nel campionato di calcio di Serie A, fu protagonista di deludenti prestazioni che provocarono la reazione della tifoseria lombarda che si rese protagonista di una serie ripetuta di incidenti sugli spalti e scontri che vennero fortemente sanzionate dai giudici sportivi e culminarono nella chiusura dello stadio. Il clima di già forte tensione fu ulteriormente acuito da alcune dichiarazioni denigratorie del presidente della società che si spinse fino a mettere in dubbio pubblicamente la regolarità del campionato. Per questi due motivi lo sponsor, al termine della stagione sportiva, propose in giudizio azione di merito per ottenere il risarcimento del danno all'immagine subito.
Tuttavia, tali richieste furono respinte dalla Corte di Cassazione, la quale, chiamata ad esprimersi in merito, decise di confermare la decisione di appello. In particolare, la Suprema Corte, ha respinto la richiesta di risarcimento non “sulla base di considerazioni di principio”99, ma poiché ha ritenuto non provati i fatti da cui sarebbero derivati i danni lamentati dall’azienda sponsor. La ricorrente, infatti, non aveva dedotto né dimostrato, nelle competenti sedi di merito, l'effettiva sussistenza ed entità delle perdite di profitti e il nesso causale fra dette perdite e le vicende della squadra sponsorizzata. Inoltre, la Consulta ha rilevato che il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla società sponsorizzata, non implicano un automatico prodursi di effetti negativi per lo sponsor sul piano pubblicitario, considerato che in questo ambito, il clamore e la notorietà, da qualsiasi occasione derivino, permettono ugualmente la circolazione del nome e dei segni distintivi associati al soggetto di cui si parla.
99 Cass. Civ., Sez. III, 08 aprile 2014, n. 8153.
In altre parole, la Suprema Corte pur riconoscendo che dal contratto di sponsorizzazione nasca un rapporto quasi di carattere fiduciario tra le parti, nell'ambito del quale assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede (ex. artt. 1175 e 1375 c.c.), che possono indurre a individuare obblighi ulteriori o integrativi rispetto a quelli tipici del rapporto, ritiene che non sia sufficiente un mero e generico richiamo a tali doveri di salvaguardia degli interessi della controparte, senza alcuna specificazione e prova dei comportamenti pregiudizievoli lamentati, della loro accessorietà rispetto all'accordo di sponsorizzazione e dei loro concreti effetti lesivi per l’azienda sponsor.
Alla luce di quanto detto emerge come la prova richiesta allo sponsor sia tutt’altro che agevole e come spesso le difficoltà di ricevere un equo ristoro dei danni subiti spinga le parti a trovare delle forme di tutela alternative a quella giudiziaria o arbitrale.
5. I rimedi all’inadempimento dello sponsorizzato nella prassi contrattuale
Dall’analisi delle possibili forme di inadempimento dello sponsorizzato si coglie come queste possano essere delle più varie e come non sempre sia semplice addivenire a una soluzione che possa soddisfare le parti nei casi in cui queste si verifichino. Inoltre, si può notare come spesso lo sponsor non disponga di rimedi giudiziari immediati ed efficaci nei confronti dell’eventuale inadempimento dello sponsee che possa ledere la sua aspettativa di ritorno commerciale, tanto da dover spesso sopportare un’alea normale del contratto molto gravosa che lo porta ad essere considerato parte debole del contratto di sponsorizzazione. Abbiamo visto, infatti, come anche nel caso in cui lo sponsor si decida ad affidarsi al giudizio degli arbitri o dei tribunali ordinari, rischiando di sopportare una notevole esposizione mediatica che potrebbe avere delle ripercussioni negative sulla propria attività, non sembra potere trovare facilmente un
preciso e puntuale ristoro del danno subito, essendo chiamato spesso a una prova alquanto gravosa dei comportamenti lesivi della controparte e degli eventuali effetti che questi hanno causato ai suoi investimenti e alla sua immagine e alle aspettative che lecitamente riponeva nel contratto di sponsorizzazione.
Pertanto, le parti, ed in particolar modo lo sponsor, hanno iniziato ad introdurre nei contratti di sponsorizzazione delle specifiche e peculiari clausole allo scopo di far fronte alle situazioni e alle conseguenze che derivano dal sempre più crescente fenomeno di commercializzazione dello sport. Tale fenomeno ha infatti messo in luce la necessità e l’importanza di una formulazione del dettato contrattuale quanto più possibile completa, precisa e dettagliata al fine di ridurre i rischi economici di tale contratto ed evitare l’insorgere di liti che, oltre ad essere lunghe e dispendiose, potrebbero comportare un negativo ritorno di immagine per entrambe le parti, data la notevole esposizione mediatica delle parti. Di seguito si proporrà un’analisi dei principali tipi di clausole che vengono più frequentemente inserite nei contratti di sponsorizzazione.
5.1. Le clausole di riservatezza
Un primo tipo di clausole molto diffuse nell’ambito delle sponsorizzazioni sportive è quello delle clausole di riservatezza. Lo scopo di tali clausole non è altro che quello di evitare la divulgazione da parte dello sponsorizzato di notizie riguardo la stipulazione di un nuovo contratto di sponsorizzazione con una diversa azienda prima della scadenza del rapporto col precedente sponsor, analogamente a quanto visto nel caso Sintec Phonola – Messaggero analizzato in precedenza. Tali clausole potranno dunque prevedere un diritto di recesso unilaterale a favore dello sponsor o una riduzione del corrispettivo preventivamente pattuito, in maniera proporzionale alle
quantità di informazioni trapelate. A tal proposito, bisogna tenere presente che l’esposizione mediatica che sovente caratterizza le parti, insieme alla rilevanza commerciale ed economica che rivestono i contratti di sponsorizzazione, i quali costituiscono una parte fondamentale dello sport business, rende molto difficile, al giorno d’oggi, mantenere segrete le trattative che riguardano le stipulazioni di nuovi accordi. Inoltre, tali contratti rappresentano una parte consistente delle entrate su cui possono contare gli atleti e le società sportive, pertanto questi soggetti tentano di non farsi trovare impreparati al termine di un contratto di sponsorizzazione, iniziando, talvolta, molto prima della loro naturale conclusione, le trattative per la conclusione di nuovi e magari più vantaggiosi accordi. Per queste ragioni, le clausole di riservatezza di più recente previsione possono prevedere un’autorizzazione per le parti a iniziare trattative con terzi per la conclusione di nuovi contratti di sponsorizzazione e che la diffusione di notizie circa la conduzione di tali trattative possa non costituire una violazione dell’impegno assunto, a condizione che le trattative siano svolte con discrezione ed evitino di creare confusione nel pubblico circa l’identità dello sponsor attuale. Inoltre, merita di essere segnalato che clausole di questo tipo non operano automaticamente, ma solo su esercizio del relativo diritto della parte lesa. In questo modo, le parti si riservano la possibilità di valutare quanto la diffusione di notizie possa costituire una lesione dei propri interessi o se esse possano comunque giovarsi della risonanza mediatica che ne potrebbe scaturire.
5.2. Le clausole risolutive espresse
Al fine di ridurre l'alea fisiologico-economica del contratto, le parti contraenti (e in particolar modo lo sponsor) hanno sempre più frequentemente tentato di inserire nell'accordo di sponsorizzazione specifiche clausole di tutela preventiva in relazione a
tutte quelle ipotesi e situazioni patologiche che possono verificarsi nel corso dell’esecuzione del contratto comportando una lesione delle aspettative che le parti lecitamente ripongono nello stesso. Tali clausole non sono altro che delle vere e proprie clausole risolutive espresse tramite le quali le parti tentano di elencare tutte le possibili cause di inadempimento in modo da non dover necessariamente ricorrere alla tutela giurisdizionale nei casi in cui queste effettivamente si verifichino.
Abbiamo visto come i casi di inadempimento più problematici riguardino l’obbligazione dello sponsorizzato, di conseguenza tali clausole verranno per lo più disposte a favore dello sponsor, il quale cercherà in questo modo di ridurre l’alea normale del contratto che è chiamato a sopportare.
Un primo esempio di clausole risolutive espresse inserite nei contratti di sponsorizzazione riguarda l’infortunio dello sponsorizzato (nel caso in cui ovviamente quest’ultimo sia un atleta). Non è raro, infatti, che i contratti di sponsorizzazione presentino delle clausole che prevedono la risoluzione dell'accordo di sponsorizzazione nel caso di cessazione definitiva dell'attività sportiva da parte dell'atleta sponsorizzato o talvolta persino nei casi di mancata partecipazione dello stesso a gare ufficiali per un determinato periodo continuativo. Tuttavia, come ricordato in precedenza, lo sponsor potrà anche non avere interesse a inserire nel contratto questo tipo di clausole in quanto, soprattutto nei casi di atleti di primo livello, questi potranno garantirgli un ritorno positivo di immagine nonostante la sospensione dell’attività sportiva ed inoltre la risoluzione del contratto successivamente ad un infortunio potrebbe essere percepita dai sostenitori dell’atleta come un abbandono dello sportivo in un momento di difficoltà causando, così, un ritorno di immagine negativo. Va segnalato quindi che per queste ragioni, al posto di una clausola risolutiva espressa talvolta potranno essere inserite delle clausole c.d. di sospensione temporanea dell'attività sportiva, in forza delle quali lo sponsor si riserva la facoltà di
prolungare la durata del contratto di sponsorizzazione per un periodo corrispondente a quello di inattività dell'atleta.100
Inoltre, sempre più frequentemente, al fine di tutelarsi in via preventiva da eventi che possono pregiudicare l'investimento economico effettuato sullo sponsee, lo sponsor pretende l'inserimento nel contratto di sponsorizzazione di una clausola risolutiva che operi in caso di incapacità dello sponsorizzato di praticare l’attività agonistica per un determinato periodo continuativo, qualunque siano state le ragioni di tale incapacità. In questo modo lo sponsor sarà tutelato anche nei casi in cui intervengano provvedimenti dell'autorità sportiva che sanzionino l’atleta impedendogli la partecipazione a determinate gare od eventi per un periodo continuativo. Menzione a sé merita il caso della squalifica per doping, per la quale si segnala la prassi, sempre più diffusa, data la gravità del fatto che costituisce persino illecito penale, di adottare una clausola risolutiva specifica, la quale peraltro non viene inserita solo nei contratti di sponsorizzazione individuale ma anche in quelli di sponsorizzazione di una squadra.101
Xxxxxxxx risolutive espresse potranno essere anche previste nel caso della serie di insuccessi sportivi dello sponsee o nel caso di retrocessione. Abbiamo già analizzato come queste ipotesi costituiscano una importante lesione del ritorno di immagine atteso dallo sponsor al momento della conclusione del contratto, pertanto in quasi tutti i contratti di sponsorizzazione pluriennali lo sponsor di una società sportiva, o talvolta anche di un singolo atleta, pretenderà l’inserimento di una clausola risolutiva espressa in forza della quale il contratto si risolverà automaticamente nel caso in cui lo sponsorizzato disputi una stagione fortemente negativa che culmini con una
100 X. Xxxxxxxxxx, La sponsorizzazione sportiva, in Contratti, 2006
101 L. 14 Dicembre 2000, n. 376 pubblicata in GU 18 dicembre 2000, n. 294; in Riv. Dir. Sport., 2000, 397 ss., con nota di commento di X. Xxxxxx, Prime riflessioni sulla legge antidoping, 7 ss.
retrocessione in una serie o categoria inferiore a quella in cui gareggiava al momento della sottoscrizione del contratto.
Infine, per quanto concerne le clausole risolutive espresse giova richiamare le argomentazioni della Suprema Corte in una importante pronuncia102 in materia, la quale ha stabilito che, anche in presenza di tale tipo di clausole, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede, preservando l'uno gli interessi dell'altro. Secondo la Corte, infatti, il principio di buona fede, va inteso come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto contrattuale (precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del contratto) e di conseguenza esso si pone anche come canone di valutazione sia dell'esistenza dell'inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l'abuso e gli eventuali comportamenti puramente pretestuosi.
Per tali ragioni nel caso in cui il giudice sia adito con la domanda volta alla pronuncia dichiarativa ex art. 1456 c.c., dovrà valutare le condotte in concreto tenute da entrambe le parti del rapporto obbligatorio e nel caso in cui risulti che la condotta del debitore, pur realizzando sotto il profilo materiale il fatto contemplato dalla clausola risolutiva espressa, è conforme al principio della buona fede, egli dovrà escludere la sussistenza dell'inadempimento tout court e, quindi, dei presupposti per dichiarare la risoluzione del contratto. In altre parole, la valutazione operata dal giudice non dovrà attenere al requisito soggettivo della colpa ma a quello oggettivo della condotta inadempiente, che in concreto non sarà effettiva, laddove essa, secondo una lettura condotta alla luce del canone della buona fede, risulti inidonea ad integrare la fattispecie convenzionale.
102 Corte di Cass., sez. I civ., 23 novembre 2015, n. 23868.
5.3. Altri tipi di clausole
I tipi di clausole tramite le quali lo sponsor cerca di tutelare il proprio investimento non si esauriscono, tuttavia, con le più classiche. Dall’analisi della prassi contrattuale emerge, infatti, come clausole sempre più varie vengano inserite nel dettato contrattuale per cercare di fare fronte alle diverse situazioni che possono emergere nel corso dell’esecuzione del contratto e per soddisfare le diverse esigenze delle parti, che non sempre coincidono con la risoluzione del contratto.
Un tipo di clausola molto diffusa nei contratti di questo tipo è la clausola di riduzione del corrispettivo. Tramite queste clausole lo sponsor potrà, nei casi previsti dal contratto, ridurre il corrispettivo proporzionalmente all’inadempimento o alla lesione del ritorno commerciale imputabile allo sponsorizzato. In questo modo, lo sponsor potrà ridurre di molto l’alea economica del contratto, garantendosi la possibilità di modulare l’investimento effettuato nel caso in cui non vengano rispettate le sue aspettative a causa di un comportamento colposo dello sponsee. Il vantaggio di una clausola di questo tipo consiste soprattutto nell’evitare il clamore mediatico che potrebbe scaturire da una risoluzione del contratto e che potrebbe trasformarsi in una pubblicità negativa per lo sponsor.
Molto simili alle clausole di riduzione del corrispettivo sono le clausole di valorizzazione del corrispettivo. Come si intuisce dalle diverse denominazioni, il meccanismo alla base delle due clausole è l’opposto: in forza della clausola di valorizzazione del corrispettivo lo sponsor si impegnerà a corrispondere un corrispettivo ulteriore (c.d. bonus o premio) allo sponsorizzato in misura variabile in base ai risultati sportivi raggiunti. Tramite questo meccanismo lo sponsor potrà dunque contenere l’investimento e fare in modo che questo sia proporzionale al guadagno e al ritorno pubblicitario ottenuti, riducendo l’alea economica del contratto in modo analogo alla
clausola di riduzione del corrispettivo, e allo stesso tempo incentiverà lo sponsorizzato al raggiungimento di determinati risultati sportivi che gli potranno garantire un maggiore e migliore ritorno d’immagine. La principale differenza tra le due clausole consiste nel fatto che la clausola di valorizzazione del corrispettivo è aleatoria in senso tecnico, dal momento che la prestazione dello sponsor di pagamento del bonus è incerta ab origine. Tuttavia l'inserimento nel contratto di sponsorizzazione di tale clausola non determina un cambiamento della natura dell'obbligazione dello sponsorizzato, che rimane sempre e comunque una obbligazione di mezzi, ma comporta solo la previsione di una eventuale prestazione accessoria dello sponsor.103 In altre parole, la prestazione principale dello sponsorizzato rimarrà sempre quella di veicolazione dei segni distintivi dello sponsor e il corretto adempimento di questa gli darà diritto a percepire il compenso pattuito in via principale. L’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi pattuiti nella clausola di valorizzazione del corrispettivo gli impedirà unicamente di avere diritto alla prestazione accessoria dello sponsor.
Un'altra clausola di recente previsione è strettamente connessa ad un’altra componente fondamentale dello sport business, ossia la cessione dei diritti televisivi. Parte fondamentale del ritorno commerciale ottenibile dallo sponsor è infatti costituita dalla visibilità e diffusione del messaggio pubblicitario veicolato dallo sponsee. Nel mondo sportivo, questi dipendono in larga parte dall’audience primaria raggiunta dalla prestazione dell’atleta o del club sponsorizzato e di conseguenza per la conclusione dell’accordo e la determinazione del compenso sarà fondamentale la determinazione della copertura televisiva dell’evento sportivo cui lo sponsee partecipa. D’altronde, è chiaro che la sponsorizzazione di un atleta che partecipa ad un evento sportivo trasmesso da una delle principali reti televisive in prima serata assicurerà un ritorno di
103 In senso analogo v. G. V. Briante, X. Xxxxxxxx, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. Sist. Civ. Comm., vol. I, Contratti in generale - I contratti atipici, a cura di X. Xxxx- X. Xxxxxxx, Torino, 1991, 435.
immagine maggiore rispetto alla sponsorizzazione di un atleta che gareggia in una competizione trasmessa esclusivamente da una televisione locale nel primo pomeriggio. Inoltre, negli ultimi anni si è assistito ad una notevole diffusione delle televisioni private e di piattaforme web che trasmettono in streaming a pagamento, che ha portato ad un incremento di trattative circa la cessione dei diritti televisivi da parte delle leghe sportive, di fatto determinando una profonda incertezza circa la fruibilità da parte del pubblico dei principali eventi sportivi.
Queste nuove esigenze hanno spinto gli sponsor a richiedere l’inserimento di una clausola con cui si assicurano la facoltà di risolvere il contratto nel caso in cui l'esposizione televisiva dello sponsorizzato subisca notevoli riduzioni dovute a scelte o a mutate condizioni di mercato.
5.4. Clausole che pongono ulteriori obblighi in capo allo sponsorizzato
Un altro tipo di clausole molto diffuse nei contratti di sponsorizzazione di atleti riguardano le clausole che pongono ulteriori obblighi nei confronti dello sponsorizzato. Abbiamo visto, infatti come la prestazione dello sponsorizzato sia caratterizzata da un elevato livello di ampiezza e genericità, consistendo esclusivamente nella divulgazione del marchio dello sponsor durante lo svolgimento della propria attività caratteristica.
Per tale motivo, nei casi in cui il tribunale o il collegio arbitrale sia chiamato a pronunciarsi circa l’operabilità della clausola risolutiva espressa o circa la regolarità e la prosecuzione dell’intero rapporto, dovrà procedere ad una verifica circa l’entità dell’inadempimento, il modo in cui questo si ripercuote sulla funzionalità del rapporto, ed in modo particolare, sui pregiudizi che lo sponsor potrà subire a seguito della condotta dello sponsee. Nonostante, infatti, pochi dubbi sorgano riguardo il contenuto della prestazione principale dello sponsorizzato e sull’eventuale inadempimento di
quest’ultima, maggiori problemi sorgono circa i comportamenti dello sponsee o gli eventi che possono emergere nel corso dell’esecuzione del contratto e che incideranno sulla graduazione del ritorno pubblicitario, inteso come causa del contratto, e sulle aspettative lecitamente riposte dallo sponsor nel contratto stesso.
Sebbene, come già visto, i principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto possono colmare in parte la generica obbligazione dello sponsorizzato, mediante l’introduzione di ulteriori obblighi nei confronti di quest’ultimo, la dottrina, proprio in ragione dei possibili risvolti patologici del rapporto, ha comunque suggerito un’integrazione quanto più dettagliata dell’obbligazione dello sponsorizzato.
Anche nel caso degli obblighi scaturenti dai principi di buona fede e correttezza, infatti, la valutazione finale circa la portata e l’eventuale inadempimento degli stessi sarebbe rimessa alla decisione del giudice, senza garantire dunque un grado di certezza e di stabilità adeguato che, solitamente, le parti di questi contratti auspicano.
Pertanto, nella prassi contrattuale si è assistito alla previsione e alla specifica individuazione di ulteriori obblighi in capo allo sponsee, mediante apposite clausole. Esse potranno essere delle più varie e potranno imporre all’atleta, lungo l’intera durata del contratto, di non svolgere altri sport e attività pericolose così da non porre a rischio la propria incolumità fisica e l’adempimento della prestazione principale, o di rilasciare dichiarazioni di apprezzamento dei prodotti dello sponsor, o, soprattutto negli ultimi tempi con l’avvento dei social network, di pubblicare sui propri account personali determinate foto che lo ritraggono mentre utilizza i prodotti dello sponsor.
Tali clausole andranno considerate come pienamente valide alla stregua di quelle che impongono obblighi generici, a condizione che risultino conformi ai principi di buona fede e correttezza.104
104 In tal senso v. C. X’Xxxx, X. Xxxxxxxxxx, Riflessioni civilistiche sul contratto di sponsorizzazione sportiva, in Comparazione e diritto civile, 2014, p. 46.
5.5. Le c.d. Morality Clauses
Menzione a parte meritano le c.d. morality clauses, un tipo di clausole nate in America per i contratti di sponsorizzazione degli atleti, in forza delle quali lo sponsor si riserva il diritto di risoluzione del contratto nei casi in cui lo sponsorizzato ponga in essere determinati atti o comportamenti maggiormente legati alla propria sfera privata, piuttosto che all’attività sportiva esercitata, che possano danneggiare la sua immagine. Abbiamo visto, infatti, come la sponsorizzazione sportiva crei un legame duraturo tra lo sportivo e il marchio abbinato. Di conseguenza, lo sponsor ha interesse a che lo sponsorizzato mantenga intatta la sua immagine pubblica poiché è grazie ad essa che il contratto può raggiungere lo scopo e lo sponsor può raggiungere il ritorno commerciale auspicato.
Pertanto, tramite questo tipo di clausole lo sponsor cercherà di evitare che lo sponsorizzato attui comportamenti che potrebbero, ad esempio, implicare risvolti penali, come l’utilizzo di droghe o la violenza privata, o che consistano in dichiarazioni o altri eventi che a parere dello sponsor risultino obiettivamente pregiudizievoli o anche soltanto lesivi dell’immagine e della reputazione dello sponsorizzato stesso e, di riflesso, del proprio marchio. In ogni caso, spesso si tratta di scandali di grande risonanza mediatica che inducono lo sponsor alla ragionevole decisione di non desiderare più di venire associato al nome o all’immagine dello sponsorizzato, che sarà fortemente compromessa agli occhi dell’opinione pubblica.
Solitamente gli sponsor tentano di redigere tali clausole in maniera tale che esse risultino più vaghe e ampie possibili in modo da tutelarsi da ogni possibile comportamento dello sponsorizzato che possa risultare dannoso per il proprio ritorno di immagine. Di conseguenza, tali clausole sono al limite dell'indeterminatezza e
costituiscono una sorta di clausola in bianco, la cui interpretazione può spesso condurre a liti tra le parti circa l’azionabilità della clausola stessa.
Inoltre, merita di essere segnalato che le “morality clauses” vengono in genere seguite o completate da una c.d. clausola penale con cui si prevede, in caso di risoluzione del contratto per uno dei motivi ricompresi nella “morality clause”, la perdita per il soggetto sponsorizzato del diritto a qualunque compenso e l'obbligo per lo stesso di pagare una determinata somma a titolo di penale oltre al risarcimento degli ulteriori danni eventualmente subiti dallo sponsor.
Si può facilmente intuire come tali clausole sollevino non pochi problemi circa i contrasti con i principi generali, anche costituzionalmente previsti, in tema di diritti della personalità. L’inserimento di “morality clauses” piuttosto gravose potrebbe addirittura portare ad uno stravolgimento delle classiche posizioni e dinamiche contrattuali, portando gli atleti sponsorizzati a diventare la parte debole del contratto e a dover sopportare vincoli piuttosto gravosi circa il proprio stile di vita e la propria sfera privata. Inoltre, il crescente ruolo che gli atleti hanno assunto negli ultimi anni come modelli di comportamento per i più giovani e come portatori di messaggi sociali, dovuto anche alla diffusione dei social networks in cui essi possono contare un grande seguito, porta gli sponsor a fare grande attenzione a quali dichiarazioni e apprezzamenti vengono rilasciati tramite questi mezzi di comunicazione e spesso le clausole in esame sono predisposte proprio al fine di dissociarsi dagli atleti in casi del genere ed evitare che le conseguenze e gli effetti negativi che ne discendano possano ripercuotersi sull’immagine della società sponsor.
5.5.1. I limiti delle morality clauses per la giurisprudenza
Le liti che derivano dall’interpretazione delle “morality clauses” molto spesso vengono risolte tramite il ricorso a transazioni o a mediazioni che le parti cercano di tenere più segrete possibili, per evitare di suscitare ulteriore clamore che si rivelerebbe dannoso per entrambi i contraenti. Pertanto, molto difficilmente i tribunali ordinari sono chiamati a pronunciarsi circa l’ammissibilità e i limiti di simili clausole.
Tuttavia, per comprendere meglio quali sono i limiti che le parti devono rispettare nella predisposizione di queste clausole e fino a che punto lo sponsor possa spingersi nel limitare le condotte degli atleti, può essere interessante analizzare uno dei pochi casi giunto ai tribunali ordinari e che ha suscitato un notevole clamore mediatico in quanto riguardava un noto calciatore di serie A.105 Egli aveva stipulato con un’azienda produttrice di prodotti per capelli un particolare contratto di sponsorizzazione avente ad oggetto lo sfruttamento da parte dell’azienda della propria immagine (c.d. “contratto di testimonial”). In particolare, in tale contratto era stata inserita una clausola mediante la quale l’atleta sponsorizzato si obbligava ad “agire per tutta la durata del (…) contratto con correttezza e lealtà e nel rispetto di elevati principi etici, senza causare alcun danno alla sua immagine e/o reputazione” ed una clausola risolutiva espressa in forza della quale si prevedeva che l’azienda aveva la facoltà di risolvere il contratto in caso di violazione da parte dello sponsorizzato di qualsiasi obbligazione contenuta nel contratto.
Nel corso dell’esecuzione del contratto, il calciatore è stato protagonista di uno scandalo mondiale in quanto sono state pubblicate delle fotografie che lo ritraggono ad un festino a luci rosse in compagnia di alcune prostitute transessuali. In seguito a questo evento, il calciatore dichiarò di essere stato vittima di una manovra estorsiva in quanto non era a conoscenza del fatto che le prostitute fossero transessuali. Tuttavia, lo scandalo ebbe chiaramente un grande risvolto mediatico e ciò spinse la nota
105 Trib. Milano, Sez. I civ., 9 febbraio 2015.