DIPARTIMENTO DI DIRITTI DELLA PERSONA E COMPARAZIONE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SALERNO
DIPARTIMENTO DI DIRITTI DELLA PERSONA E COMPARAZIONE
DOTTORATO DI RICERCA
Comparazione e diritti della persona XI ciclo nuova serie
TESI DI DOTTORATO
Complessità delle operazioni contrattuali e interesse delle parti.
Nuove prospettive del collegamento negoziale
Coordinatore:
Xx.xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Tutor: Dottoranda:
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Anno accademico: 2011-2012
INDICE - SOMMARIO
Capitolo primo
1. Profili introduttivi e impostazione metodologica | 4 |
2. Operazioni contrattuali complesse: il “peso” dell’autonomia privata | 12 |
2.1. Segue. Il “ruolo” dell’autorità giudiziaria | 17 |
3. Il contratto misto. Cenni | 24 |
4. Il contratto complesso. Cenni | 34 |
5. Il collegamento negoziale. Premesse | 36 |
5.1. Segue. Approccio sistematico: profili classificatori | 38 |
6. Elementi costitutivi del collegamento negoziale: profili ricostruttivi | 46 |
6.1. Segue. Rilevanza giuridica del collegamento. Teorie soggettive e | |
teorie oggettive | 57 |
6.2. Segue. Trattamento normativo. Rilievi patologici | 67 |
Capitolo secondo | |
IPOTESI DI COLLEGAMENTO NEGOZIALE: TRA TRADIZIONE | E |
1. Premessa | 85 |
2. Contratto di credito al consumo. Il dato normativo “preunionista” | 87 |
3. Il dato normativo successivo alle direttive comunitarie | 93 |
4. Il contratto di credito collegato. Definizioni e rilievi disciplinari | 99 |
4.1. Segue. Il ruolo della giurisprudenza nella ricostruzione del fenomeno e ... | 108 |
4.2. statuizioni sul regime delle eccezioni | 115 |
5. Contratto di leasing finanziario: specificazioni | 120 |
6. Qualificazione giuridica del fenomeno: la rilevanza del collegamento negoziale | 128 |
6.1. Tutela dell’utilizzatore tra azione diretta e disciplina applicabile | 132 |
6.2. La critica della dottrina | 136 |
6.3. Clausola di inversione del rischio | 141 |
7. Contratto di handling: cenni | 144 |
7.1.Contratto di handling e trasporto aereo: un collegamento funzionale? | 148 |
8. Contratto di concessione di vendita: cenni | 153 |
OPERAZIONI CONTRATTUALI COMPLESSE: CATEGORIE DOGMATICHE A CONFRONTO
TENDENZE INNOVATIVE
8.1. Inquadramento sistematico e … 156
8.2. Segue: … collegamento negoziale 161
Capitolo terzo
LINEAMENTI DI ANALISI COMPARATIVA
1. L’esperienza francese: l’elaborazione esegetica dei contratti
interdipendenti ed indivisibili 168
2. Action directe tra le parti del medesimo insieme 174
3. Credito al consumo 179
4. Crédit-bail 190
5. Il collegamento negoziale nell’esperienza tedesca. Prime riflessioni 201
5.1. Segue. Effetti giuridici del collegamento e pluralità di parti 208
6. Dall’Abzahlungsgesetz alla Verbraucherkreditgesetz 212
6.1. Segue. Il contratto di leasing finanziario: cenni 219
7. L’attuazione della direttiva 2008/48/Ce. Brevi cenni conclusivi 224
Considerazioni conclusive 228
Indice bibliografico 241
CAPITOLO PRIMO
Operazioni contrattuali complesse: categorie dogmatiche a confronto
SOMMARIO: 1. Profili introduttivi e impostazione metodologica. – 2. Operazioni contrattuali complesse: il “peso” dell’autonomia privata. - 2.1. Segue. Il “ruolo” dell’autorità giudiziaria. - 3. Il contratto misto. Cenni. - 4. Il contratto complesso. Cenni. - 5. Il collegamento negoziale. Premesse. - 5.1. Segue. Approccio sistematico: profili classificatori. - 6. Elementi costitutivi del collegamento negoziale: profili ricostruttivi. - 6.1. Segue. Rilevanza giuridica del collegamento. Teorie soggettive e teorie oggettive. - 6.2. Segue. Trattamento normativo. Rilievi patologici.
1. Profili introduttivi e impostazione metodologica.
Per trovar giustizia bisogna essere fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede.
Così Xxxxx Xxxxxxxxxxx, fine politico e colto giurista, che con il suo Elogio dei giudici, composito di una ricca messe di aneddoti e considerazioni piene di humour sulla difficile convivenza tra i due banchi di udienza, continua ad appassionare chiunque è interessato all’eterno problema della giustizia terrena ed in particolare al modo in cui essa viene amministrata in Italia1.
Incoraggiare l’avvocato, dopo anni di professione, a credere ancora nella giustizia, a credere che è sempre possibile ottenerla in concreto, pur nella consapevolezza che è impossibile bandire “la universale ingiustizia, (…) regola eterna di tutta la vita”, significa “essere fedeli”, ovvero avere fiducia nel raggiungimento di un risultato giusto.
Trattasi o meno di un’emozionante scoperta, l’altro formante, quello dottrinale, non può rimanerne disinteressato. Ed allora, qualsiasi steso, contributo, scritto, orientamento, va letto con la consapevolezza che sia stato elaborato per il fine ultimo della “giusta” concretizzazione della regola giuridica. Non può d’altronde tacersi del comune orientamento che legge nello scopo eminentemente pratico del diritto, costituito dall’applicazione delle regola giuridica, l’imprescindibile parametro su cui deve fondarsi l’analisi comparatistica2.
1Non può non rinviarsi a X. XXXXXXXXXXX, Elogio dei Giudici, Introduzione di X. Xxxxxx, IV edizione, settima ristampa, marzo 2010. Sono richiamate in proposito le espressioni introduttive di
X. Xxxxxx, il quale così conclude “Guardi il lettore il fregio di questo libro: una bilancia, nella quale il piatto più pesante è quello che porta una rosa, rispetto all’altro, che porta un codice: la poesia batte il diritto”. Elogio dei giudici ebbe fortuna larghissima fin dalla prima apparizione nel 1935 come testimoniano le tre edizioni seguenti. Del 1938, del 1954 e del 1959, di cui sono stata realizzate innumerevoli stampe.
2 V. B. XXXXX, I contratti collegati nelle esperienza giuridiche italiana e francese, Napoli, 1999, p. 13, il quale in tema richiama L.J. XXXXXXXXXXXXX, Introduzione al diritto comparato, trad. ita., Torino, 1996, pp. 21, 181.
Questa appassionata considerazione si innesca in un altrettanto appassionato studio sul tema delle c.d. ‘operazioni contrattuali complesse’, specie se circoscritto al fenomeno, dalle manifestazioni più svariate e articolate, generalmente definito ‘collegamento negoziale’, che si riscontra allorquando per svariate causali due o più negozi giuridici interagiscono, anche unilateralmente, tra loro. Tale semplicistica delucidazione appare sufficiente per rivelare quante possibili ipotesi di collegamento negoziale possono riscontrarsi nella prassi dei traffici giuridici, sebbene in maniera più o meno consapevole e con l’ausilio più o meno conscio dell’avvocato. Sicché una traccia altrettanto ampia dello stesso la si riscontra nelle decisioni giurisprudenziali che, anche in maniera meramente indiretta, ovvero intervenendo su singole ipotesi negoziali, nelle quali è ravvisata l’esistenza di un collegamento, sembrano proiettarsi sulla più ampia fenomenologia in esame e di là dal singolo caso deciso.
Negli ultimi anni l’emergere di realtà negoziali di particolare complessità ha dato adito ad esigenze di studio e di approfondimento di non scarso rilievo, anche a dispetto dell’invariabilità delle formule verbali cui costantemente ricorre la stessa giurisprudenza3. Queste si configurano come un criterio di utilizzazione giurisprudenziale o di creazione dottrinale preordinato a perimetrare i nuovi e sempre più frequenti assetti di interessi che l’autonomia privata si determina per perseguire finalità ulteriori rispetto a quelle tradizionalmente individuate dal legislatore in singoli tipi contrattuali, sebbene nell’ambito dei concetti e delle regole stabilite4.
Il ricorso a tali formule verbali ha rappresentato lo strumento di cui si è dotata la dottrina e su cui a riposto la giurisprudenza per imporsi a quella “inerzia giuridica”, che da sempre impedisce all’ordinamento statuale di adattarsi con immediatezza alle sollecitazioni che provengono dall’esterno5.
3 Discorre di invariabilità di formule verbali X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, Milano, 1999, p. 3, il quale richiama una definizione ricorrente in giurisprudenza.
4 V. A. XXXXXXX, Collegamento negoziale e cessione del contratto: riflessioni sul leasing, in Contratto e impresa, 2004, III, p. 1042, la quale scrive “lo studio del collegamento negoziale rappresenta il frutto della crescente consapevolezza delle potenzialità empiriche di uno strumento assai idoneo all’incremento delle relazioni economiche – commerciali”, così il rinvio a X. XXXX, Il collegamento contrattuale: note in materia civile, arbitrale internazionale e di conflitti di legge, in Nuova giur. civ. comm., 1998, II, p. 69.
5 Così X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova, 1999, il quale testualmente riprende X. XXXXXXXXX, Il negozio indiretto e le società commerciali, prolusione catanese del 1930, in Studi per Vivante, I, Roma, 1931, p. 36 ss., ora in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 3 e 7.
La tipizzazione contrattuale da tempo appare insoddisfacente, incapace di fornire risposte adeguate alla realtà degli affari, che si arricchisce in misura proporzionalmente crescente al mutare della realtà socio economica, con effetti direttamente incidenti sul mercato, anche finanziario, sulle tipologie di operatori, sulle caratteristiche produttivo-distributive dei prodotti, ergo, sulle forme di scambio che meglio sembrano prestarsi alle nuove esigenze.
Le trasformazioni economico e sociali, insieme con l'evoluzione tecnologica, la globalizzazione, la conseguente creazione di un mercato unico e la diffusione del web hanno contribuito a vagliare il singolo contratto come frammento di una più ampia operazione contrattuale, che è stata dai più, e a vario titolo, definita “complessa”, in quanto funzionale alla realizzazione di un interesse che evidentemente può esprimersi esclusivamente attraverso un’articolata sequenza di differenti e coordinati momenti negoziali.
L’ordinamento, proprio attraverso il principio-valvola dell’autonomia privata, risulta notoriamente aperto e ricettivo nei confronti delle creazioni dell’ambiente socio-economico6, connotate abitualmente di profili di laboriosità. La regolamentazione di interessi si manifesta, infatti e sempre più spesso, come il prodotto di una pluralità di atti e attività.
Elementi di complessità emergono dalle tematiche dei negozi indiretti, dei negozi in frode alla legge, dei contratti misti, dalla stessa atipicità, nonché, di tutta evidenza, dal fenomeno del collegamento negoziale7.
Ed allora, l’operazione contrattuale complessa si traduce in un fenomeno di espressione dell’autonomia privata indirizzato alla soddisfazione di interessi “concreti”, i quali benché sprovvisti di risposte dirette all’interno del Codice Civile assurgono a manifestazione di contingenti aspetti della realtà socio- economica. Le svariate operazioni contrattuali che hanno trovato vita, sono state talora collocate nella categoria empirica del contratto misto, tra l’altra in quella del negozio indiretto, ed ancora in quella del collegamento negoziale, elevandosi alcuni elementi strutturali costanti a motivo di differenziazione e di “sussunzione” null’uno o nell’altro fenomeno.
Il collegamento negoziale, come categoria concettuale intorno alla quale è gravitato il presente studio, si inserisce all’interno di un discorso che, sebbene non
6 Testualmente X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit.
7 Si veda G.B. XXXXX, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, in Dir. Xxxx., 2008, 3, p. 317 ss.
rappresenta di per sé momento di novità, può acquisirne se lo si vaglia, da una lato, alla stregua delle figure di collegamento negoziale tipizzate dal legislatore, i cui risultati sono oggetto di confronto con i risultati di analisi comparatistica concernenti le medesime figure di collegamento negoziale, così come disciplinate in altri ordinamenti e novellate in attuazione della normativa europea. Dall’altro, attraverso un’analoga e parallela analisi di talune e frequenti ipotesi di collegamento ‘volontario’ e delle conseguenti problematiche che da tali operazioni contrattuali si sono elevate. Infine, mediante l’esame di (oramai) diffuse forme di operazioni contrattuali complesse benché di dubbia qualificazione in termini di collegamento.
Si intende sin d’ora precisare che di fronte a fattispecie negoziali che hanno oramai raggiunto un elevato grado di tipicità sociale, per le quali sarà lo studio del formante giurisprudenziale ad assumere connotati preminenti, si ergono a motivo di interesse ed approfondimento quelle fattispecie di più recente diffusione, ancora scarsamente analizzate dalla giurisprudenziale e spesso finanche trascurate dal formante dottrinale. Si tratta di quelle operazioni negoziali rappresentative dei mutamenti imposti all’economia e al mercato dall’evoluzione tecnologica del terzo millennio, che ha direttamente inciso sia sui rapporti tra professionista e consumatore sia sui rapporti tra soli professionisti (rectius: tra imprese), generando un sistema di erogazione dei servizi, i cui elementi di novità ineriscono e i servizi in sé considerati e le modalità di somministrazione degli stessi. Basti pensare ai servizi sanitari (in case di cura, terapie di riabilitazione, terapie termali, servizi di dieta), ai servizi per l’igiene e l’estetica di una persona, ai servizi cc.dd. del tempo libero (alberghieri, catering, campeggi attrezzati, teatri, cinema, sport), ai servizi di corriere, recapito espresso e posta privata, ai servizi duraturi di insegnamento, di traduzione, scuola guida, master, ai servizi di informazione o investigativi, ai servizi di consulenza e difesa, di manutenzione e di pulizia, ai servizi di pubblicità, sponsorizzazione e concessione della pubblicità. Se tali sono i servizi personali che possono formare oggetto dei principali contratti di durata, la descrizione va integrata con analoghi contratti aventi ad oggetto servizi “meccanizzati” o “automatizzati” la cui diffusione, come anzidetto, proprio grazie all’evoluzione tecnologica, è in rapida crescita. Il riferimento è ai contratti aventi ad oggetto i servizi bancari (contratti bancomat, domestic-bank, cc.dd. di home-
banking), i sevizi informatici in senso stretto nonché la prestazione automatica dei servizi telefonici8.
Orbene, di là dalla circostanza che l’erogazione di un servizio di durata tira in gioco direttamente il contratto di somministrazione di servizi, essi si inseriscono appieno nel solco di quella complessità di cui si discorreva, perché costituenti l’oggetto talvolta di un contratto definito complesso, tra l’altra di un contratto misto o ancora di prestazioni riconducibili alla più ampia fenomenologia del collegamento negoziale. Parimenti è a dirsi quando oggetto dell’erogazione non è un servizio, quale bene avente, non solo per la teoria economica, natura immateriale, bensì un bene materiale (rectius: bene economico), qualificabile come capitale o bene di consumo.
E dunque, di fronte al vuoto legislativo, la riconduzione a sistema di queste nuove figure contrattuali, per il tramite delle categorie dogmatiche de quibus, come si preciserà di qui a poco, non potrà trascurare il ruolo assolto dall’assetto di interessi sotteso al contratto posto in essere, e ciò tanto se esso si configura come contratto, per cosi dire, civilistico, quanto se coinvolga un professionista e un consumatore o, ancora, esclusivamente professionisti.
Solo in un momento successivo della presente ricerca, si procederà all’analisi di talune (selezionate) ipotesi di collegamento negoziale, che, come anticipato, saranno diversamente vagliate a seconda del grado di tipizzazione raggiunto. Infatti, di fronte al tipo legale o al tipo sociale, quali ad esempio il contratto di credito al consumo, da un lato, ed il leasing finanziario, dall’altro, non potrà non assumere valore determinante il formante giurisprudenziale. Di fronte al contratto, per così dire, “nuovo” (o di più recente diffusione), quale il contratto di handling o ancora il contratto di concessione di vendita, ed in assenza di una diffusa opera giurisprudenziale, si analizzerà lo scarno formate dottrinale, senza trascurare, ad ausilio dei risultati sistematici che ci si propone di raggiungere, la valenza (anche) interpretativa, come si avrà modo di approfondire, della esaminanda figura del collegamento negoziale.
Si precisa ancora che l’analisi continuerà, su di un piano comparatistico, mediante l’esame di analoghe ipotesi di collegamento negoziale nei Paesi in cui esse hanno trovato maggiori riscontri, analisi questa che non potrà ignorare quel
8 Per una interessante disamina di tali c.d. nuovi contratti si rinvia a X. XXXXXXXX, Il contratto di somministrazione di servizi, in Tratt. dei Contratti, I contratti di somministrazione e di distribuzione, a cura di X. XXXXXXXX e A.M. XXXXXXX, Torino, 2011, p. 5 ss.
processo di uniformazione che è in atto per il tramite dell’Unione Europea. Si segnala, infatti, che la legislazione comunitaria è da tempo orientata a garantire la libera circolazione delle persone, delle merce, dei capitali. Su questo proposito di fatti, a livello macroeconomico, essa ha delineato la struttura del mercato sia mediante le direttive, che liberalizzano interi settori di attività economica (ad esempio in materia creditizia ed assicurativa), sia mediante la disciplina della concorrenza nelle sue molteplici applicazioni (divieto di concentrazioni, aiuti di Stato e sfruttamento abusivo di posizioni dominanti sul mercato). A livello microeconomico, invece, si collocano le direttive aventi ad oggetto i rapporti tra i privati, che regolano il corretto funzionamento delle contrattazioni ed il riequilibrio delle posizioni contrattuali (clausole vessatorie, nullità di protezione, obblighi di informazioni, diritto di recesso). In particolare, si registra una crescente ricchezza di profili inerenti l’equilibrio tra le prestazioni, sia esso “genetico” che “funzionale”, nonché una crescente attenzione alla disparità di forza contrattuale tra le parti contraenti, ciò sia nel caso di contratti conclusi tra un professionista e un consumatore che in convenzioni stipulate tra più professionisti9, secondo un tendenza volta a riconoscere, come per il principio di uguaglianza, un valore sostanziale anche alla libertà contrattuale. Ed ecco che, se l’opera di uniformazione si propone la realizzazione di un mercato unico ed, all’interno di questo, di una “concorrenza perfetta”, tale essendo il proposito della Comunità Europea nella prima fase, la stessa libertà contrattuale potrà assurgere a diritto fondamentale dell’Unione Europea e, con essa, perché no, le svariate forme che ne sono manifestazione, tra cui certamente il collegamento negoziale.
Se questo è il fine ed il percorso metodologico della presente ricerca, sin da subito si è ritenuto di dovere approfondire i dettami della categoria dogmatica de qua, sui cui aspetti, finanche strutturali, dottrina e giurisprudenza continuano a pronunciarsi, e contestualmente a tracciarne le linee di confine rispetto ad altre ed altrettanto “complesse” forme di manifestazione dell’autonomia contrattuale.
Ut appena anticipato, e più in dettaglio, si rileva che gli aspetti problematici del fenomeno del collegamento negoziale si ergono dalla diffusa mancanza di una regolamentazione “organica” dello stesso. Tuttavia, benché tale carenza sia allo stato ancora connotata di attualità, l’inciso mal si adatta a talune limitate ipotesi di
9 Così X. XXXXXXX, Il contratto di abbonamento alla pay tv, in I contratti di somministrazione e di distribuzione, cit., p. 458 ss.
collegamento negoziale disciplinate dal legislatore, per le quali ha trovato riscontro l’automatica risoluzione di quegli aspetti problematici cui si accennava.
L’assenza di una disciplina organica unitamente all’orientamento che lungi dal valutare i singoli aspetti del fenomeno regolati dal legislatore, con riguardo a particolari ipotesi di collegamento funzionale, come espressione di una vera e propria tipizzazione del collegamento negoziale10, sono indicativi dell’evidente esigenza di piegare lo studio all’analisi non solo e non soprattutto del formante normativo, bensì ed in particolare del formante dottrinale e di quello giurisprudenziale11. Indubbiamente l’interesse mostrato dal legislatore, che già di per sé giustifica una rivisitazione del problema alla luce delle recenti novità, si inserisce tra le svariate ragioni che spingono ad esaminare simile tematica, allo stesso però vanno affiancati, da un lato, i copiosi interventi scientifici volti a dissiparne ogni dubbio, dall’altro, il proliferare di vicende contrattuali fonte di contenzioso, questioni entrambe vertenti sulle conseguenze giuridiche ingenerate dall’intrecciarsi di una pluralità di negozi connessi12.
Da un lato, dunque, ipotesi di collegamento negoziale non disciplinate e di notevole diffusione nella prassi contrattuali, dall’altro ipotesi di collegamento negoziale tipizzate dal legislatore, anche con interventi novellativi recenti, “costretti” dalla fonte comunitaria e che in particolar modo vanno ad arricchire e definire la disciplina “speciale” del diritto dei consumatori.
Ed è proprio il caso di sottolineare che rispetto a tali ipotesi di collegamento negoziale, che usufruiscono di una disciplina legislativa propria, sarà vagliata la tenuta delle teorie dottrinali elaborate intorno alle medesime figure prima dell’intervento del legislatore. Avendo il formante legislativo definito la disciplina applicabile, per tali figure l’approccio che si propone consta proprio di un confronto con le teorie dottrinali diffusesi per sopperire ad un’iniziale inerzia legislativa, salvo non trascurare l’esame dell’eventuale evoluzione giurisprudenziale.
10 In riferimento alla normativa sul credito al consumo, discorre di categoria normativa, Trib. Rovigo, 10 marzo 2011, n. 26, in De Jure.
11 Sulla nozione di “formante” X. XXXXX, Introduzione al diritto comparato, Torino, 1992, p. 43 ss.
12Non si taccia della circostanza che unitamente a quanto precisato, rappresentano stimoli di studio dell’esaminando fenomeno l’opportunità di un ripensamento complessivo della questione “unità e pluralità negoziale”, finalizzato a verificare la persistente validità concettuale della categoria del collegamento funzionale e a delimitarne l’ambito applicativo, nonché i diversi aspetti dell’individuazione del concetto di causa e di tipo negoziale.
Ça va sans dire, di là dalle figure appena ricordate di collegamento negoziale esistente per volontà della legge, cosiddetto “necessario”, la legittimazione del nesso tra contratti e con essa il potere dei giudici di rilevarlo e di trarne le relative conseguenze vanno rintracciati nei principi e nell’insieme degli istituti che governano l’autonomia privata, senza che tale potere si trasformi in una intollerabile e inammissibile invadenza nella sfera di libertà contrattuale garantita dalla legge.
Sicché in questa prima fase, benché si voglia evitare un’analisi meramente strutturale o descrittiva del fenomeno, si tenterà di sciogliere il nodo mediante un intervento che si articolerà, da un lato, nel tentativo di risolvere le questioni dell’esistenza del nesso e dell’individuazione dei criteri che ne giustificano la rilevanza, dall’altro, ed in particolar modo, nella individuazione dei principi dell’ordinamento che giustificano quelle conseguenze giuridiche riassunte nella nota formula simul stabunt, simul cadent, non senza stimare l’attualità della stessa.
In particolare ci si soffermerà sulle ripercussioni che le vicende di ogni singola fattispecie coinvolta possano determinare sull’altra, con particolare riguardo alle ipotesi di invalidità o di inefficacia, alle cause di risoluzione e di rescissione. La premessa di un’operazione di tal guisa consiste nel ritenere errato condurre l’indagine alla stregua di un singolo negozio, sicché ove questo sia parte di un disegno più articolato lo scenario di riferimento non potrà non essere la valutazione dell’assetto di interessi nella sua unità.
Di qui la successiva rilevanza funzionale del fenomeno, avallata e confermata dalla posizione del giudice, il quale assume il ruolo di garante fra il potere privato e l’ordinamento, tant’è che, in ipotesi in cui la “volontà di collegare” non è manifestata, egli è onerato del compito di “rilevare” il collegamento negoziale, “valutare” la meritevolezza degli interessi perseguiti ed eventualmente sanzionare la contrarietà dell’atto all’ordinamento, nonché, anche in armonia con i principi espressi in ipotesi tipiche di collegamento, individuarne la disciplina applicabile.
L’approccio al fenomeno, dunque, cambia. Sin da subito, però, è da rilevare che la disciplina dettata dal legislatore per regolare ipotesi tipiche di collegamento è senz’altro d’ausilio all’analisi di fattispecie di collegamento c.d. funzionale, rispetto alle quali il fine, ovvero l’analisi critica, consta della individuazione e valutazione del trattamento concreto che nel nostro ordinamento e negli altri
ordinamenti considerati viene riservato ai rapporti giuridici tra loro collegati. Solo la comparazione (rectius: microcomparazione) di fattispecie concrete potrà consentire di mettere a confronto le congruenze e le discordanze tra le soluzioni adottate dai vari ordinamenti nelle ipotesi esaminate, ed, eventualmente, traghettare lo studio verso conclusioni da esprimersi in termini generali13 e, perché no, in una dialettica che non perderà di vista quella dimensione europea di cui si diceva.
Ad assumere rilevanza, dunque, è l’attività ordinaria di interpretazione del contratto, funzionale alla ricostruzione dell’assetto che i privati hanno conferito ai loro interessi patrimoniali nella maniera più conforme possibile alle loro “intenzioni”. Ad avallare il peso riposto nel ruolo del giudice, insito nelle iniziali “parole” di questo studio, il rilievo che, come condivisibilmente affermato, il meccanismo del collegamento si configura come uno strumento posto a servizio dell’autonomia privata, ed il giudice non può non tenerne conto, dovendo la rilevazione giudiziale della combinazione conformarsi all’intento programmatico e all’assetto di interessi che le parti avevano concordato di realizzare14.
2. Operazioni contrattuali complesse: il “peso” dell’autonomia privata.
Si direbbe: un classico tra principi della tradizione e tendenze innovative. Autorevolissima dottrina nel descrivere la vicenda storica del negozio giuridico,
spendendo parole anche a servizio di chi si approccia alla materia come studente della facoltà di giurisprudenza, ha precisato che il concetto di negozio giuridico è stato elaborato dai giuristi come manifestazione della potestà del volere del singolo, “la teoria negoziale è nata come parte della teoria del soggetto di diritto”, in un momento storico in cui proprio la categoria negoziale contribuì a porre al centro del sistema il soggetto e la signoria del volere15.
13 A discorrere di microcomparazione è X. XXXXX, I contratti collegati nelle esperienza giuridiche italiana e francese, cit. p. 13, dal quale si mutua la segnalata e condivisa necessità di adottare un criterio di analisi di tipo funzionale, che metta al centro dell’attenzione il problema giuridico concreto, per verificare, in una prospettiva tecnica, le soluzioni ad esso attribuite nei vari formanti normativo, giurisprudenziale e dottrinale. A tale metodo si ispira altresì lo studio comparatistico, di qui il rinvio dello stesso A. a X. XXXXXXXX e X. XXXX, Introduzione al diritto comparato, I, Principi fondamentali, trad. ita., Milano, 1992, p. 35; M. XXXXX, Utilità e metodi del diritto comparato, trad. ita., Napoli, 1974, p. 96-98; X. XXXXXXXX, Comparazione e Diritto Civile, in AA. VV., Sistemi giuridici comparati: ipotesi applicative, Salerno, 1997, p. 36.
14 Testualmente, l’interessante contributo di X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge. Un classico alla prova i esperienze recenti, in I contratti, 11, 2011, p. 1049.
15 E’ l’autorevole voce di X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, p. 769 ss., l’elaborazione della categoria negoziale, continua l’a., senza dubbio costituì un importante
Questa particolare costruzione, però, perse rilievo contestualmente alla trasformazione del mercato, il contratto, infatti, (ci si avvale ancora delle autorevolissime parole del Giurista) “si rilevava come lo strumento cardine della nascente impresa e dunque come strumento complesso che doveva mediare la soggettività del volere con le oggettive necessità del mercato”. Fu immediato il dibattito dottrinale sorto intono alle figure della “dichiarazione” e della “volontà”, che consentì alla prima di acquisire autonoma funzione, già riconosciuta alla seconda, nonché a beneficiare, talvolta, di un giudizio di prevalenza in caso di contrasto.
A raccogliere i frutti di decine e decine di pagine spese da insigni giuristi intorno a tale argomento, che avrebbe mutato in maniera considerevole un sistema che ruotava intorno alla proprietà, è stato il legislatore del 1942. Di qui, e si apprezzano nuovamente la parole del Giurista, la scelta di porre “il contratto al centro del sistema, svincolandolo dalla proprietà e collegandolo nettamente e decisamente alla situazione di scambio, centro motore della imprenditorialità. (…) L’aver condotto ad unità il sistema ha imposto di tenere conto delle necessità del commercio che pretendono una obiettivizzazione del rapporto in funzione di una migliore e più facile circolazione dei beni, a cui è di ostacolo una eccessiva rilevanza dell’interno volere dei soggetti”.
Ebbene, si è valutata indispensabile questa premessa perché costituisce la radice di un discorso che rinviene le sue basi proprio nel contratto come funzione di scambio16, ormai da tempo sganciato dai connotati giusnaturalistici della signoria della volontà, nonché, ad adiuvandum, del contratto inteso come “autoregolamento di interessi”17.
elemento di evoluzione per lo strumento contrattuale. Ancora nel 1865 il contratto era infatti regolato nel terzo libro tra i modi di acquisto e di trasmissione della proprietà che costituiva il centro intorno a cui ruotava l’intero sistema del diritto privato.
16 X. XXXXXXX, Il contratto alle soglie del terzo millennio, in Contr. e imp., 2000, p. 926; ID., Il negozio giuridico, in Tratt. Dir. civ. e comm., diretto da CICU-MESSINEO, II ed., Milano, 2002, p. 21, ha sostenuto che, vigente ancora il codice del commercio, il contratto rappresentava “l’affare commerciale, il rapporto di scambio mediante il quale l’imprenditore capitalistico realizza il profitto”. L’intuizione è di X. XXXXX, Recensione a Xxxxxx, Teoria del negozio giuridico, in Giur. it., 1974, IV, c. 139, il quale critica Xxxxxx e la pandettistica tedesca perché non considerano come “l’autonomia privata non si esaurisca in un fatto psicologico individuale come la volontà, ma attenga alla vita di relazione e configuri un fenomeno sociale”. La teoria di Xxxxxx, invero, risentiva ancora dell’impostazione liberista che postulava una netta scissione in campo economico tra privato e pubblico, tra cittadini e Stato; si veda altresì X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1956, p. 105 ss., il quale vede nell’autonomia privata un “fatto sociale”.
17 Inevitabile il riferimento a X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1943, p. 45 ss., il quale vede l’autonomia privata come “potestà di auto-regolamento dei propri interessi
Di matrice classica è l’indagine sul concetto di autonomia contrattuale, intesa, appunto, come facoltà di autoregolamentare i propri interessi. L’autonomia contrattuale rappresenta una delle fonti del regolamento contrattuale e si manifesta, inter alia, nella libertà di fissare il contenuto del contratto (art. 1322, comma 1, c.c.), nella libertà di dar vita a contratti atipici (art. 1322, comma 2, c.c.), ergo, nella libertà dei privati di regolamentare i propri interessi modellando il contenuto del contratto all’interno del tipo contrattuale o, anche, dello schema atipico, nonché nella libertà di dar vita a contratti misti o a contratti collegati.
Dunque, pur rappresentando il singolo negozio l’espressione privilegiata della autonomia dei privati, esso talvolta si manifesta insufficiente rispetto all’interesse perseguito dai privati, pertanto solo mediante il ricorso ad operazioni che richiedono il coordinamento della singola attività negoziale con una pluralità di altre attività (negoziali e non) è consentito alle parti la soddisfazione dei propri interessi18.
Non c’è dubbio che in una moderna economia gli interessi che spingono le parti a concludere un affare sono diversi e plurimi e tali da non ammettere la loro sintetizzazione in un unico schema negoziale. Di talché si pongono come espressione dell’autonomia privata operazioni contrattuale, rectius, economiche, complesse, in quanto non confinate all’interno di un unico schema contrattuale (tipico o atipico che sia), bensì in una pluralità di schemi negoziali espressione di un unico regolamento di interessi19. Il singolo negozio se di per sé insufficiente, si eleverà, unitamente agli elementi essenziali e non essenziali che lo compongono, a singolo “momento” di una operazione economica che l’ordinamento giuridico dovrà valutare “unitariamente”, in quanto strumento o, come è stato precisato,
riconosciuta dal diritto per costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici fra privati: il negozio giuridico è allora atto di autonomia privata, atto di auto-regolamento di privati interessi”; anche SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., p. 105 ss., concepisce il negozio giuridico come atto di autoregolamento di interessi; non si taccia però di chi ha inteso il contratto in termini di “strumento a plurimo impiego”, assolvendo esso, a fianco alla funzione tradizionale di manifestazione di autonomia privata e di autoregolamentazione, la funzione di mezzo per il perseguimento di interessi superindividuali, così XXXXXXXXXX, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1961, p. 391; BARCELLONA, Enc. del dir., XXIV, p. 493.
18 G. B. FERRI, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, cit., p. 318.
19 Discorre di operazione economica come una “sequenza unitaria e complessa”, X. XXXXXXXXX, “Il contratto frazionato” e l’unità dell’operazione economica, in Giustizia civile, I, 2008, p. 739.
modalità tecnica20 più idonea alla realizzazione dell’affare che i privati intendono regolare.
Ma vi è di più. Proprio sul piano “dell’affare, considerato e valutato in tutte le sue componenti tipologiche, morfologiche e funzionali occorre pertanto volgere l’indagine, la quale richiede e postula l’esigenza di un esame complessivo dell’assetto di interessi, al fine di coglierne, nel suo esatto significato, la disciplina che lo governa”21.
Il singolo atto di autonomia privata può racchiudere in sé i paradigmi dell’affare che i privati intendono realizzare e, dunque, esprimere quell’unitarietà che è tendenzialmente insita in qualsivoglia schema negoziale. In tali casi, nulla quaestio.
Frequentemente, l’inidoneità della singola attività negoziale alla realizzazione dell’affare proposto, induce l’autonomia privata ad esprimersi mediante complesse operazioni, che, in quanto espressioni di una libertà privata tesa a realizzare un risultato unitario, non possono non essere vagliate, analogamente al singolo negozio, nella loro unitarietà.
Benché la precisazione può apparire agli occhi di molti come conclusione naturale della premessa, in verità è stata in più occasioni ribadita per scongiurare ogni tentativo di dimostrazione della contrarietà tra il concetto di “unitarietà dell’affare” e l’idea di operazione economica22.
E dunque, l’autonomia contrattale può trovare espressione in un singolo atto negoziale, allorquando l’emersione degli interessi sottostanti sia sufficientemente ricollegabile a quest’ultimo, ed allora l’operazione avrà struttura, per così dire, “semplice”, ovvero può comporsi di una pluralità, o di un collegamento, di negozi, con ciò assumendo morfologia “complessa”23.
Occorre infine una precisazione, di non poco rilievo.
20 L’espressione è, ancora una volta, di G. B. FERRI, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, cit., p. 318
21 Testualmente riportate le parole di X. XXXXXXXXX, Il pegno “anomalo”, Padova, 1990, p. 132.
22 A precisarlo è G.B. FERRI, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, cit., p. 318.
23 Non è mancato chi ha precisato che se un collegamento negoziale dà luogo ad un’operazione economica, non può dirsi, viceversa, che ogni operazione economica dia luogo ad un collegamento. L’operazione economica, a differenza del collegamento negoziale, potrebbe costituirsi anche di atti giuridici in senso stretto. Tale categoria, precisa altresì l’A. può essere impiegata tanto per il procedimento negoziale, quanto per il collegamento negoziale, i quali, rispetto ad essa, potrebbero definirsi come “momento dinamici”, X. XXXXX, Frode alla legge e collegamento negoziale, Milano, 2006, p. 74.
Il lemma “operazione” viene talvolta affiancato all’aggettivo “economica” tra l’altra a quello “contrattuale”. Non si tratta di concetti tra essi incompatibili o comunque destinati a trovare riscontro o applicazioni in ambiti differenti, bensì di concetti ugualmente indirizzati ad esprimere le potenzialità della autonomia privata come capacità di autoregolamento di interessi. Lo scarto, o mismatch, tra i due sembrerebbe operare sul piano della potenzialità espansiva dell’autonomia privata, considerato che il concetto di operazione “economica” è potenzialmente idoneo a contenere tutte le operazioni complesse, nel senso anzidetto, che si manifestano attraverso una pluralità o sequenza di momenti negoziali e non.
Numerosi sono i contributi che si sono soffermarti sulla nozione di “operazione economica”, la quale con la diffusione nella realtà dei traffici giuridici delle strutture complesse “da fenomeno storico – è assurta - a fenomeno giuridico”24, fino a divenire oramai un concetto “tipizzato”25.
Dottrina e giurisprudenza hanno fatto largo uso dell’operazione economica come categoria unificante degli atti di autonomia xxxxxxx00, dandone una definizione che si innesca nel tentativo di delinearne il rapporto rispetto al contratto, e, nel contempo, ponendo in luce la duplice prospettiva dalla quale l’autonomia può essere vagliata27.
Da un lato, come manifestazione del potere dei privati di dar vita ad un titolo formale da cui conseguono diritti ed obblighi, cosicché il contratto non designerà l’operazione economica concretamente realizzata nella realtà dei traffici, quanto la veste formale dell’operazione economica, la sua formalizzazione giuridica28.
Dall’altro, come potere di stabilire un assetto, semplice o complesso, di interessi patrimonialmente valutabili, sicché di là dalle distinzioni, e il contratto e
24 Sono le parole di X. XXXXXXXXX, Il pegno “anomalo”, cit., p. 134.
25 Xxxxxx, X. XXXXXXXXX, Il Contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 93.
26 In tal senso quella dottrina che parte dalla considerazione dell’atto di autonomia privata come unità, sia su di piano strutturale, sia su quello funzionale, nella sua globalità, si veda M.C. PERCHINUNNO, Collegamento negoziale e contratti informatici: dai contratti sul software all’open source, in Contr. e impr., 2005, I, p. 306, ed ivi i riferimento dottrinali.
27 Secondo una dottrina, contratto e operazione economica operano su piani differenti, BIANCA, Il contratto, 2000, II ed., p. 27, l’a. sostiene che il contratto “è titolo giuridico sul quale l’operazione è fondata”. Inoltre afferma che “il contratto, precisamente, non è lo scambio di beni e di servizi ma è l’accordo, tacito o esplicito, mediante il quale gli interessati decidono l’affare e in base al quale deve accertarsi quali sono le prestazioni spettanti alle parti”.
28 In tal senso i rapporti e gli interessi che costituiscono la sostanza reale di ogni contratto si possono riassumere nell’idea di operazione economica, X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. dir. priv., a cura di XXXXXX e ZATTI, Milano, 2001, p. 73, il quale afferma che “l’analisi del diritto presuppone che il contratto sia la veste giuridica di un’operazione economica, o economicamente valutabile”.
l’operazione economica mireranno a far emergere l’unitarietà del complesso assetto d’interessi sottostante29, entrambi rilevando come espressione della potestà delle parti di auto-regolamento dei propri interessi30.
2.1. Segue. Il “ruolo” dell’autorità giudiziaria.
Il frequente impiego dell’espressione ‘operazione economica’ sia in contributi giuridici sia in apporti di rilievo strettamente economico non ha evitato la concentrazione degli studiosi, in un momento immediatamente successivo alla emersione di tale categoria dogmatica, sulla reale utilità della medesima, valutata sia come strumento meramente descrittivo di un fenomeno strutturalmente individuato31 sia come strumento dotato di funzione qualificante dello stesso fenomeno32.
E dunque, dalla breve disamina sul ruolo assunto dalla figura de qua nell’ambito della autonomia contrattuale, quale categoria dogmatica che racchiude in sé svariate manifestazioni di volontà funzionali all’autoregolamento degli interessi, si giunge ad un altrettanto breve esame sul ruolo assolto dall’autorità giudiziaria,
29 In tal senso si sostiene una sorta di immedesimazione tra contratto e operazione economica, X. X’XXXXXX, Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 291 ss. Si veda, altresì, X. XXXXXXX, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, p. 176, il quale ravvisa nell’unità dell’operazione economica un limite per l’intervento del giudice: “il giudizio soggettivo del giudice incontra due limiti: il primo, interno, derivante dalla stessa logica dell’operazione economica privata che deve indirizzare il giudice alla ricerca dell’interesse dedotto nell’assetto pattizio e alla sua tutela”.
30 Si richiamano nuovamente le parole di X. XXXXXXXXX, Il Contratto e l’operazione economica, cit., p. 98, il quale afferma che “al di là dal tipo opera l’operazione economica, cioè la concreta disciplina dell’autoregolamento dei privati interessi”. Discorre invece di “affare” X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge. Un classico alla prova i esperienze recenti, cit., p. 1046, inteso come l’insieme dei rapporti, delle prestazioni, degli interessi, dei costi, dei vantaggi e dei rischi con un unico scopo o funzione.
00 X. X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 186, secondo cui l’insieme plurinegoziale, siccome espressione di un disegno unitario che deve ricevere una disciplina parimenti unitaria, come se fosse un singolo contratto, usufruisce del concetto di operazione economica, dotato di maggiore elasticità rispetto al più rigido concetto di tipo negoziale. Ma si tratta di mera questione nominalistica, in quanto è preferibile restare fedeli alle locuzioni tradizionali ed esprimersi in termini di contratti collegati anziché di operazione; costui giunge a tale conclusione sebbene in un contributo precedente discorreva di valenza interpretativa del concetto, ID., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., V, 1996, c. 145 ss.
32Così X. XXXXXXXXX, Il Contratto e l’operazione economica, cit., p. 102, il quale discorre di qualificazione in concreto delle singole cause dei contratti collegati che compongono l’operazione economica; analogamente parlano di categoria ordinante di portata generale sul piano della tecnica interpretativa, A. M. AZZARO E P. SIRENA, Il giudizio di vessatorietà delle clausole, in Trattato dei contratti, I contratti dei consumatori, a cura di X. XXXXXXXXX ed X. XXXXXXXXX, Tomo I, 2005, p. 101.
legittimata a rilevarne l’unitarietà funzionale nonostante profili strutturali a conformazione complessa.
Invero tale decisivo passaggio si colora del crescente spazio conquistato nell’ambito dell’ermeneutica contrattuale dalla predetta categoria, vagliata altresì come espressione della possibilità di adattare le tecniche interpretative alla nuova e più complessa realtà dei traffici e contestualmente superare i risultati che discendono dall’utilizzo delle tradizionali classificazioni del contratto, al fine ultimo di pervenire ad una compiuta ed esauriente ricostruzione dei profili significativi dell’affare33.
Il frequente ed incessante impiego della predetta nozione, nelle decisioni della giurisprudenza di merito e di legittimità, deriva, salvo i casi di utilizzo asistematico della figura, dalla necessità di ricostruire l’affare su di un piano funzionale o anche di giustificarne l’unitarietà nonostante la complessità strutturale. Quest’ultima spesso si traduce in pluralità negoziale in quanto caratterizzata dall’esistenza di più fattispecie negoziali legate tra di loro da un nesso e preordinate (insieme) alla realizzazione del medesimo interesse.
Ça va sans dire, il concetto di operazione economica assurge a trait d’union degli studi sul collegamento negoziale, consentendo alla stessa giurisprudenza, mostratasi incline a rigidi formalismi, da cui hanno preso piede i tradizionali dibattiti intorno alla diatriba unità-pluralità negoziale, di ricondurre ad unità, su di un profilo funzionale, tali operazioni contrattuali34.
A tal fine la legittimazione dell’autorità giudiziaria troverà fondamento nei principi e nell’insieme degli istituti che governano l’autonomia privata, la quale, da un lato, disvela come fonte di legittimazione del potere dei privati di autoregolamentare i propri interessi, anche mediante fattispecie strutturalmente complesse, dall’altro, funge da argine al potere interpretativo del giudice, legittimato a rilevare l’unitarietà funzionale della complessa operazione contrattuale, senza che ciò si traduca in una inammissibile invadenza nella sfera di libertà contrattuale dei privati.
33 Si veda A. M. AZZARO e P. SIRENA, Il giudizio di vessatorietà delle clausole, in I contratti dei consumatori, cit., pp. 95-96.
34 Sebbene sul dibattito unità-pluralità si ritornerà, vale sin da subito evidenziare che in tema di collegamento negoziale, la giurisprudenza di legittimità recentemente ha precisato che il criterio discretivo tra contratto unico e contratto collegato non è dato da elementi formali, quali l’unità o la pluralità dei documenti contrattuali, o dalla contestualità delle stipulazioni, bensì dall’elemento sostanziale dell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti, Cass. civ., 26.03.2010, n. 7305, in Giud. dir., 2010, 19, 38.
E’ stato sul punto efficacemente rilevato che il codice civile fornisce le basi normative che consentono (rectius: legittimano) l’autorità giudiziaria ad una valutazione d’insieme della operazione contrattuale realizzata, ossia non circoscritta al singolo “atto”, mero momento di una fattispecie plurima, senza che ciò sfoci in un giudicato “invasivo” della libertà privata. In particolare, il testo codicistico riconosce il contratto come atto di autonomia privata, lo definisce con riferimento alla nozione di rapporto giuridico ed introduce un giudizio di meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti dai privati. Tale impianto normativo pare fondare, da un lato, “un dato economico-sociale di fattispecie – gli interessi concretamente perseguiti attraverso il regolamento”, dall’altro, “un dato valutativo – la meritevolezza di questi secondo l’ordinamento giuridico – che a sua volta stabilisce i confini della valutazione dell’ordinamento sull’atto di autonomia privata”35. Il che vale quanto dire che il regolamento di interessi realizzato dai privati sopporterà dall’autorità giudiziaria un duplice controllo, il primo in astratto, ossia di conformità rispetto alle norme e ai principi dell’ordinamento, il secondo in concreto, di congruenza dell’assetto di interessi rispetto al rapporto che le parti hanno intenso disciplinare. Il discorso diventa a questo punto più complicato, appare infatti inevitabile ricorrere all’altro istituto disciplinato dal codice civile, che va ad integrare il dialogo sull’autonomia contrattuale ed intorno al quale la dottrina continua a spendere pagine e pagine di parole, la causa.
Non è questa ovviamente la sede per dilungarsi su di un istituto così travagliato, né si vuole pretendere di farlo, però, dinanzi ad una fattispecie atipica o complessa, l’interprete dovrà ricorre ad una metodologia che non gli consentirà di prescindere dalla causa del regolamento contrattuale, ossia dalla ragione dell’affare, giustificativa dell’operazione realizzata, “quale essa è desumibile dal concreto atteggiarsi degli interessi nel caso singolo, desumibili in concreto, - o - dalla più complessa operazione economica, e non già, in astratto, dalla costruzione del tipo contrattuale quale configurato dal legislatore”36.
E’ evidente che è proprio la causa ad avallare il duplice controllo dell’autorità giudiziaria di cui sopra, essa legittima un raffronto dinamico tra interessi
35 Le espressioni sono di X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge, cit., p. 1052.
36Sono le parole di X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 808, il quale richiama sul punto
C.M. XXXXXX, Diritto civile, IV, Milano, 1993, p. 452; G.B. XXXXX, Xxx. di. dir. Com., 86, I, 127;
X. XXXXXXXXX, Riv. dir. civ., 03, I, p. 93.
perseguiti dai privati e interessi ritenuti leciti e dunque protetti dall’ordinamento. Consente altresì di indagare sui concreti risvolti dell’operazione economica vista nella sua complessità, ivi compresi gli aspetti soggettivi ed oggettivi che sfuggono del tutto ad una indagine condotta per schemi e per tipi37.
D’altronde se l’atteggiamento dell’interprete italiano nel procedimento di qualificazione delle operazioni contrattuali si è sempre caratterizzato per una tendenza alla sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, anche mediante la frantumazione dell’operazione contrattuale, laddove complessa, il sistema dettato dal codice in materia contrattuale ha cominciato a vacillare di fonte all’affermarsi di nuove esigenze sociali ed economiche, correlate alla sempre più marcata dimensione transazionale degli affari. Proprio tale metodologia, c.d. tipologica, racchiude in sé i rischi di un marcato distacco dell’interprete dalla realtà, ossia dai concreti interessi sottesi alle complesse operazioni economiche38.
Quanto precisato non pare contrastare con il dettato normativo sull’ermeneutica contrattuale, fase che precede la qualificazione del contratto e che mira definitivamente a chiarire quanto statuito dai contraenti. Il codice, infatti, prescrive che nell’interpretare il contratto il giudice deve indagare la “comune intenzione delle parti” oltre il senso letterale delle espressioni utilizzate, e deve farlo valutando il comportamento “complessivo” delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto39.
37 Ancora una volta X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 811, che raffronta i problemi posti dal tipo legale con quelli posti dalla causa, per evidenziarne la non coincidenza, analogamente X. XXXXXXXXX e X. XXXXXX, La causa del contratto, in Manuale di diritto privato, diretto da X. XXXXXXXXX, Torino, 2006, p. 224; si veda, altresì, X. XXXX, Causa e contratto. Profili attuali, in Causa e contratto, a cura di VACCA, Torino, 1997, p. 257 ss.; di contro, sull’idea che la causa sia elemento individuativo del tipo BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, 1950, p. 186 ss.; X. XXXXXXXXX, Diritto civile: metodo, teoria, pratica: saggi, Milano, 1951, p. 75 ss. e 105 ss.; X. XXXXXXXX, Il contratto in generale, in Tratt. CICU-MESSINEO, t. 1, Milano, 1968, p. 684; X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, p. 173. Precisa invece che l’opportunità di distinguere tra causa e tipo riceve conferma sul terreno della comparazione, X. XXXXXXX, La causa e il tipo, in Trattato di diritto privato europeo, a cura di X. XXXXXX, Padova, 2003, p. 264 ss., la quale evidenzia che il tipo, diversamente dalla causa, non è un concetto radicato nei sistemi giuridici europei, dato che al ricorso alla tipizzazione da parte dei giuristi italiani, francesi o tedeschi corrisponde una sostanziale disattenzione al tipo nell’ambiente di common law; inevitabile sul punto il rinvio a X. XXXXXXXX e X. XXXX, Introduzione al diritto comparato, II, Istituti, trad. ita., Milano, 1992.
38In tal senso, X. XXXXX, I contratti collegati nelle esperienza giuridiche italiana e francese, cit., p. 10 ss. La tendenza alla tipizzazione manifestata dalla giurisprudenza italiana costituisce un dato acquisito negli studi dedicati a questo tema, inter alias, X. XXXXX, Il contratto, a cura di X. XXXXX x X. XX XXXX, X. 0, Xxxxxx, 1993, p. 419 ss.
39 Sulla distinzione ontologica tra la fase dell’interpretazione e quella della qualificazione del contratto X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 371, secondo cui l’interpretazione, come fissazione di
Non invade, dunque, la sfera di libertà contrattuale il giudice che nel valutare l’atto di autonomia privata, di cui deve stabilire gli effetti, cerca “intenzioni” e “interessi” delle parti sia all’interno del regolamento contrattuale, senza alcun potere di modifica né di alterazione del contenuto, sia all’esterno, nei comportamenti da esse assunti e negli atti successivi e precedenti ad esse imputabili, purché utili o necessari per una corretta ricostruzione della fattispecie contrattuale40.
Il fine ultimo di tali osservazioni consta dell’esigenza di ricondurre la rilevazione della complessità (rectius: combinazione) contrattuale nell’ambito dell’ordinaria attività di interpretazione del contratto che si snoda lungo i poteri a tal fine riconosciuti dalla legge all’autorità giudiziaria ed, in quanto tali, pienamente conformi al più generale principio di autonomia contrattuale41.
quanto concretamente voluto dalle parti, precede la qualificazione, come l’accertamento della minore del sillogismo precede la conclusione; analogamente X. XXXXXXX, Adempimento e rischio contrattuale, 1969, 285 ss. e 323 ss.; XXXXXX, Il contratto, cit., p. 472 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 809; diversamente sulla impossibilità di disgiungere interpretazione e qualificazione, in quanto finalizzate ad individuare la disciplina del rapporto stesso, X. XXXXXXXXXXX, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1983, p. 240, secondo cui “interpretazione e qualificazione non sono due entità ontologiche a sé stanti, non sono due momenti che hanno oggetti diversi, ma espressioni ed aspetti di un medesimo processo conoscitivo che in essi trova il suo unitario modo di attuazione”. Tale X. sostiene altresì che è innegabile il condizionamento esercitato sulla qualificazione evolutiva del fatto dalla realtà del momento in cui l’atto storicamente compiuto riceve esecuzione, la quale potrebbe essere diversa da quella lontana del suo compimento. Lungo questa direttiva, discorre di interpretazione storico-evolutiva che consente di ricomporre qualificazione giuridica e interpretazione in un procedimento unitario, teso a ricostruire il regolamento contrattuale in una prospettiva dinamica riferita alla fase attuativa, X. XXXXXXX, La causa e il tipo, cit., p. 288, la quale richiama altresì le regole ermeneutiche poste dai Pincipi Unitroid, in cui, precisa l’a., tra le righe si legge una corrispondenza biunivoca tra interpretazione e qualificazione, in particolare l’art. 4.3, impone all’interprete di avere riguardo a tutte le circostanze rilevanti del caso e, fra queste, alla natura e allo scopo del contratto, usando una formula volutamente generica che, senza richiamare espressamente la categoria del tipo, sottende la consapevolezza che l’accertamento del significato dell’accordo debba essere improntato ad una visione di insieme degli elementi della vicenda negoziale, quali la funzione dell’operazione economica che essa intende realizzare, la qualità degli interessi in gioco e la misura degli impegni assunti dalle parti.
40 Si veda X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge. Un classico alla prova i esperienze recenti, cit., p. 1053; X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, p. 438, il quale nel ricordare la preferenza accordata, nell’ipotesi di collegamento negoziale, al concetto di interesse piuttosto che a quello di intendo, conclude che è proprio all’interesse comune alle parti che deve attribuirsi il ruolo di collante dei contratti che partecipano alla medesima operazione.
41 D’altronde la giurisprudenza ha in più occasioni ribadito che “accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici”, si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. III, 17.05.2010, n. 11974, in Giust. civ. mass., 2010, 5, 761; Cass. civ., 26.03.2010, n. 7305, cit.; Cass. civ., sez. III, 04.03.2010, n. 5195, in Guida al dir., 2010, 14, 61; Xxxx. Civ. sez. III, 18.07.2003, n. 11240; Cass. civ., sez. III, 10.07.2008, n. 18884, in Giust. civ. mass., 2008, 7-8, 1123; Cass. civ., sez. III, 08.10.2008, n. 24792, in Guida. al dir., 2008, 46, 79, in cui si discorre dell’interpretazione del regolamento contrattuale come “quaestio facti”, insindacabile in sede di
La giurisprudenza ha così legittimamente usufruito delle categorie dogmatiche elaborate dalla dottrina per fronteggiare quella crisi del sistema contrattuale provocata dalla modernizzazione ed evoluzione delle esigenze economico-sociali. I concetti di collegamento o di connessione o, quello più generale, di operazione economica, hanno rappresentato, da un lato, gli strumenti a servizio dell’autonomia privata per la realizzazione di interessi non “sussumibili” nel tipo, dall’altro, gli strumenti di cui il giudice può e deve far uso, in sede di interpretazione del contratto, per una corretta ricostruzione dell’assetto che i privati hanno conferito ai loro interessi patrimoniali, o, meglio, per una riconduzione ad unità della complessa struttura regolamentare, stante la funzione di “collante” tra i negozi assolta dagli interessi concretamente perseguiti42.
Xxxx, ai predetti concetti è stata riconosciuta, altresì, una xxxxxx xxxxxxx interpretativa43.
Invero non è mancato chi ha giustificato tale conclusione mercé l’art. 1469, ter, 1 comma, c.c., ove è stato previsto che la vessatorietà della clausola (del contratto del consumatore) deve accertarsi avuto riguardo al tipo di prestazione che forma oggetto del contratto, alle circostanze che ne accompagnano la conclusione ed alle clausole del contratto medesimo, o di altro contratto collegato da cui dipende44.
In più occasioni tale norma è stata ritenuta espressiva del concetto di operazione economica, ovverosia il primo appiglio normativo che ha recepito una categoria fin d’ora solo dogmatica, in quanto con essa è stata segnalata la necessità di una valutazione complessiva del regolamento strutturalmente complesso, mediante l’analisi delle singole clausole, valutate nel loro rapporto di relazione.
La rilevanza nella normativa sui contratti dei consumatori di una categoria dogmatica già dotata di una duplice valenza, “interpretativa” ed “operativa”, nonostante la collocazione sistematica, ha indotto taluni commentatori ad
legittimità se immune da vizi logici e da violazione delle norme ermeneutiche previste dagli artt. 1362 ss. c.c.
42 Per tale ultima espressione si rinvia a X. XXXXXXX, Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999, p. 29; X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit.,
p. 438 ss.
43 X. XXXXX, Frode alla legge e collegamento negoziale, cit., p. 75, nel precisare che l’assetto di interessi costituisce la proiezione oggettivata dell’operazione, nel senso che a partire da quest’ultimo sarà possibile giungere al comune intento (rectius: interesse) delle parti, discorre di un’indagine deduttiva della rappresentazione che presumibilmente le parti si erano fatta sul risultato dell’operazione da esse poste in essere.
44 Oggi trafusa nell’art. 34 cod. cons.
attribuirgli portata generale45. Per meglio dire, secondo tale orientamento, il concetto di operazione economica, per mezzo del combinato disposto degli artt. 1469 bis, 1 comma, x.x. x 0000 xxx, 0 xxxxx, x.x., xx un lato andrebbe ad esprimere il paradigma interpretativo del collegamento contrattuale, ovvero il metodo ermeneutico attraverso cui ricostruire l’operazione nella sua dimensione economico-effettuale, e, dall’altro, il relativo criterio di discernimento46.
Invero, sebbene il legislatore abbia mostrato interesse per il collegamento tra contratti introducendo la nozione di “contratto di credito collegato”47 nell’ambito della disciplina speciale del diritto dei consumatori, così risolvendo ex lege questioni prima oggetto di dibattiti dottrinari e giurisprudenziali, un dato rimane incontestabile, il nostro ordinamento continua a non conoscere le categorie del collegamento negoziale o dell’operazione economica come generali istituti del diritto civile. Ne consegue che la rilevazione giudiziale della funzione unitaria assolta dal regolamento strutturalmente complesso, trova i suoi limiti all’interno del sistema, che, di contro, conosce i concetti di ‘autonomia contrattuale’, ‘causa’ e ‘contratto’. Proprio da tali istituti si delineano gli argini al potere di interpretazione e qualificazione della combinazione contrattuale, il cui esercizio, seppur modellato alle nuove esigenze mediante categorie dogmatiche a xxxxxx xxxxxxx interpretativa, non può risolversi in un’attività contraria alle intenzioni e agli interessi delle parti, rappresentando la normativa speciale un “mero” surplus al potere del giudice che il sistema è già di per sé in grado di giustificare48.
00 X. X. XXXXXXXX, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1997, p. 248; X. XXXXX, Commento sub art. 1469 ter, co. 1 e 2, in Commentario al capo XIV-bis del codice civile dei contratti del consumatore, in NLCC, p. 1441.
46 Ancora una volta X. XXXXX, Commento sub art. 1469 ter, co. 1 e 2, cit., per il quale la norma assume un preciso significato sistematico, poiché focalizza la portata valutativa, e non solo descrittiva, del collegamento negoziale in essa tipizzato, evidenziando sul piano del diritto positivo l’unità dell’operazione economica; FERRANDO, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, cit., p. 240 ss., la quale precisa che la norma individua nella clausola di buona fede oggettiva il criterio valutativo generale, con cui sindacare l’assetto regolamentare complessivo dell’operazione economica unitariamente considerata e, perciò, determinare l’effettiva portata del collegamento negoziale; si mostrano perplessi rispetto alla menzionata proposta A. M. AZZARO E
P. SIRENA, Il giudizio di vessatorietà delle clausole, cit., p. 103, non già con riferimento alla specifica categoria dei contratti del consumatore, rispetto a cui concordano, ma nella misura in cui si assume la buona fede come criterio discretivo generale del collegamento negoziale. Una tale affermazione significa, infatti, accantonare (e sottovalutare) la rilevanza del profilo soggettivo, quale fondamento del fenomeno, in tutti i casi in cui il collegamento riguardi contratti “negoziati”.
47 Il riferimento, da ultimo, è al d.lgs. 13 agosto 2010 n. 141 che ha recepito la direttiva 2008/48/CE, in materia di contratti di credito al consumo.
48 D’altronde proprio in tema di collegamento negoziale, i giudici di legittimità con la sentenza del 25 novembre 2008, n. 28053, resa a Sezioni Unite, in Guida al diritto, 2009, 2, p. 68, hanno chiarito che la rilevazione del nesso, delle sue modalità e conseguenze, richiede un’indagine
3. Il contratto misto. Cenni.
Ut supra precisato, la libertà contrattuale, espressione e manifestazione della libertà privata, si manifesta anche nelle scelte di contenuto che le parti hanno inteso imprimere al regolamento contrattuale realizzato, scelte che, come si è avuto modo di evidenziare nelle precedenti riflessioni, si apprezzano in maniera particolare nelle ipotesi di contratti atipici, misti, complessi e collegati49.
Non si tratta di autonome ed indipendenti categorie dogmatiche aventi un proprio ed individuale ambito di operatività, almeno secondo quell’orientamento, sostenuto da una parte della dottrina ed avallato dalla giurisprudenza, che preferisce costruire la disciplina del contratto atipico, avente fonte normativa, come categoria al cui interno annoverare sia il contratto complesso che il contratto misto, questo inteso come combinazione di elementi propri di una pluralità di contratti nominati50.
I contributi della dottrina e le decisioni della giurisprudenza che hanno delineato gli aspetti, le peculiarità e gli effetti del contratto non sussumibile nel tipo legale, discorrendo di atipicità, di contratto misto o di nesso negoziale, hanno altresì marcato l’indispensabile esigenza di vagliare il profilo funzionale dell’operazione,
sull’effettiva volontà delle parti e sulla reale funzione economico sociale che esse hanno inteso dare ai contratti nell’economia dell’affare.
49 In più occasione i giudici di legittimità si sono così espressi: “Le parti, nell’esplicazione della loro autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto, dar vita a più negozi distinti ed indipendenti, ovvero a più negozi tra loro collegati; le varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono così distinguersi in contratti collegati, contratti misti (quando la fusione delle case fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente) e contratti complessi (contrassegnati dall’esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un’intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente indipendenti e tendenti al raggiungimento di un intendo negoziale oggettivamente unico). Così Xxxx. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n. 18884, in Notariato, 2008, 6, p. 617; Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7074, in Mass. giur. it., 2006.
50 V. R. SACCO, La qualificazione, in Tratt. a cura di XXXXXXXX, II, Torino, 1982, 10, p. 441, secondo cui “quasi sempre il contratto legalmente atipico produce effetti elementari propri di contratti tipici: effetti propri della vendita, della locazione, del mandato, del contratto d’opera. Ciò permette alla giurisprudenza di scindere i vari effetti elementari, “costruire” la figura contrattuale corrispondente, per ricomporre l’unità dell’intero, parlando di contratto complesso o di contratto misto”. X. XXXXX, op. cit., p. 51, secondo il quale dal fenomeno del collegamento negoziale e da quello del contratto misto vanno distinte le ipotesi in cui le parti apportano semplici modifiche allo schema tipico utilizzato, senza però alterarlo, ravvisandosi in tali casi senz’altro un contratto tipico. Dal che si deduce che, viceversa, il contratto misto debba sempre considerarsi atipico.
inteso come fine intrinseco del contratto o scopo pratico individuale perseguito dai contraenti51.
A ben vedere, nelle fonti dottrinarie si è giunti ad avallare una fisiologica commistione di tali tematiche con quelle del negozio indiretto e del negozio in frode alla legge, trattati in medesimi contesti argomentativi, spesso e non a caso concentrati sull’istituto della causa, all’interno dei quali non è sempre facile muoversi agevolmente. In un’ottica sistematica, a mera giustificazione della metodologia a fondamento di tali elaborati, disvelano proprio i limiti imposti alla libertà creativa concessa ai privati dall’art. 1322 c.c., costoro possono combinare le cause di diversi contratti per realizzare un unitario regolamento di interessi, purché questo non tenda a realizzare un risultato vietato dalla legge o contrario a norme imperative, ordine pubblico o buon costume, e dunque non si traduca in un regolamento con causa illecita52.
Di là da tali ultime osservazioni, dovendo muoversi all’interno del perimetro del presente studio, l’elemento valutato utile a tal fine è stato rinvenuto nella “complessità” strutturale del regolamento posto in essere, “bilanciata” dall’unitarietà funzionale di cui esso si connota, che sarà vagliata in relazione alle intenzioni e agli interessi perseguiti dalla parti. Questa rappresenta una mera e sintetica conclusione delle riflessioni precedentemente acquisite sul peso dell’autonomia privata e sul ruolo (rectius: potere) del giudice di fronte ad un regolamento contrattuale complesso o, genericamente, atipico. D’altronde l’opera del giudice di ricostruzione dell’affare, come ante precisato, non potrà prescindere dall’elemento funzionale (la causa, intesa come funzione economico- individuale)53, che dovrà ricavarsi dal concreto regolamento d’interessi
51 D’altronde, è proprio in ciò che consiste la “seconda funzione della causa”, quella di consentire la qualificazione del contratto e dunque l’individuazione della sua disciplina legale, così X. XXXXXXXXX e X. XXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 225.
00 X. X. XXXXXXXX, voce “Contratto collegato”, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 49. In merito alla commistione tra collegamento negoziale e frode alla legge, ex multis, X. XXXXXXX, voce Frode alla legge, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VIII, 1992, p. 503 ss.; X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge. Un classico alla prova i esperienze recenti, cit., p. 1044;
X. XXXXX, Frode alla legge e collegamento negoziale, cit., ed ivi i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.
53 La Suprema Corte ha avallato la teoria della causa come funzione economica-individuale del contratto mediante la pronuncia dell’8 maggio 2006, 10490, in Corr. Giur., 2006, p. 1718, con nota di X. XXXXX, La causa come “funzione economico sociale”: tramonto di un idolum tribus?, in cui è stata abbandonata la nozione di causa come funzione economico-sociale del contratto, reiterata negli anni dalla giurisprudenza, per accogliere quella basata “sulla sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare (…). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale (…)”.
desumibile, in modo unitario, dalla pluralità di schemi negoziale concretamente utilizzati54.
Le odierne dinamiche dei mercati inducono i contraenti, con frequenza sempre maggiore, a ricorrere ad operazioni contrattuali che consentono la concretizzazione di interessi che non trovano riscontro nel tipo legale, il quale, benché corrisponda all’id quod plerumque accidit, è ben lungi dal rappresentare una sintesi di tutti gli interessi socialmente utili55.
Di talché l’operazione realizzata, frequentemente disvela come “una relazione di sintesi e contemporaneità ideale fra due o più negozi che cooperano al medesimo risultato economico-sociale”56. Tale è la definizione tradizionale di contratto misto, che si connota, appunto, della confluenza all’interno di un unico schema regolamentare di una pluralità di schemi tipici, o meglio di taluni elementi di un tipo e di taluni elementi di un altro tipo contrattuale57. D’altronde vagliare la compresenza all’interno di un unico regolamento contrattuale di elementi appartenenti a differenti schemi tipici, e collocare tale regolamento all’interno della categoria concettuale del contratto misto, significa confermare la tendenza tipizzante della giurisprudenza italiana, orientata storicamente a rilevare l’operazione contrattuale, a qualificarla e a definirne gli effetti sempre mediante una metodologia tipologica, ovvero modellata sul tipo legale58. Accertare, dunque, la categoria dogmatica del contratto misto, significa, in sostanza, assistere alla attuazione di un interesse economico unitario mediante la compenetrazione di
54 G.B. FERRI, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, cit., p. 327.
55 Così, X. XXXXX, Il fatto, l’atto, il negozio giuridico, Milano, 2005, II.
56 Così X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 1994, p. 298; in tema X. XX XXXXXXX, I contratti misti, Padova, 1933; L.V. XXXXXXXXX, Gli atti equiparati alla divisione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, p. 533 ss., che si sofferma sulla utilità della categoria dei contratti misti.
57 Vi è però chi ritiene che “la categoria dei contratti misti non ha autonomia concettuale, anzi (…) non è una categoria”, F. DI SABATO, Unità e pluralità di negozi (contributo alla dottrina del collegamento negoziale), in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 457.
58 Si rinvia a X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 431, secondo cui “di fronte ai contratti che non appartengono a nessun tipo legale (e, dunque, sono contratti atipici), scatta nella giurisprudenza un riflesso condizionato che la porta a cercare qualche tipo legale, cui il contratto sia riconducibile; precisa inoltre X. XXXXXXXXX, Il contratto con causa mista, Padova, 1995, p. 299, che è proprio dalla necessità che si tratta di fusione di contratti tipici che emerge l’impossibilità di definire a causa mista i contratti atipici, i quali avranno invece una propria causa che risulterà dalla sintesi degli elementi ed effetti essenziali dell’operazione così posta in essere.
elementi causali propri di più contratti nominati: un’operazione economica la cui conformazione eccede il tipo legale59.
E’ stato altresì precisato che, in una prospettiva evolutiva, il contratto misto, potrà divenire atipico nel momento in cui se ne registrerà una certa reiterazione o tipicità giurisprudenziale, per poi eventualmente assurgere a tipo legale con l’intervento regolatore del legislatore60. Sulla stessa scia, altro autore, ha parlato di fuga dalla tipicità, per segnalare il progressivo emergere della figura atipica, scandita da tappe intermedie non completamente assimilabili né al tipo legale né allo schema atipico (assoluto), benché potenzialmente destinata a divenire tale. Tra queste tappe intermedie si colloca certamente il contratto misto61.
Per inciso si precisa che il tipo giurisprudenziale (o anche socialmente tipico) presuppone una ripetizione di comportamenti, ossia una pratica generale che pur se non assurta a consuetudine, ne potrebbe costituire la base, dettando già una regola, d’altronde è a livello di giudizio che si manifestano le reali esigenze dei traffici e i reali problemi che il legislatore è tenuto a risolvere con una disciplina uniforme62. La fattispecie portata ad esempio dal sostenitore del predetto orientamento è quella del leasing. Si precisa però, salvo non si voglia discorrere di leasing operativo (quale fattispecie di locazione immobiliare), che in punto di qualificazione dell’operazione di leasing finanziario, dottrina e giurisprudenza hanno configurato la stessa anche in termini di unico contratto plurilaterale ovvero di collegamento negoziale con diversità di parti63, al fine di legittimare, in assenza di clausole contrattuali di “trasferimento” delle azioni di garanzia, l’utilizzatore alla tutela della propria posizione nei confronti del fornitore inadempiente64. La
59 Sono le parole di X. XXXXXXXXXX, La rilevanza contrattuale dell’obbligazione di custodire nei contratti misti a struttura complessa, nota a Cass. civ. sez. II, 17 novembre 2010, n. 23211, in I contratti, 4, 2011, p. 333.
60 Cfr. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 819.
61 Così X. XXXXXXXXX e X. XXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 225.
62 Testualmente X. XXXXXXX, Obbligazioni e contratti, Napoli, 2006, p. 889.
63 Tale ultima proposta vede nell’operazione contrattuale un contratto di vendita, concluso tra concedente e fornitore, e un contratto di locazione finanziaria, sottoscritto da concedente ed utilizzatore, ovviamente legati da un nesso.
64 A parere della dottrina maggioritaria si tratta, però, di conclusione difficilmente condivisibile, in quanto presenta delle forzature già sul piano della ricostruzione della scansione delle fasi contrattuali dell’operazione, si rinvia a X. XXXXX, La qualificazione del leasing fra contratto plurilaterale ed operazione giuridica, in Studium iuris, 2001, p. 1156; X. XXXXXXXX, La locazione finanziaria, Torino, 1996, p. 194; ID., Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, Rimini, 1982; X. XXXXXXXXX, X xxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p.
216. A favore della trilateralità del contratto di leasing si esprimono X. XXXXXXXX, Vizi della cosa concessa in leasing e diritti dell’utilizzatore, nota a Cass. 26.01.2000, n. 854, in Giur. it., 2000, p.
soluzione che ha trovato il favore del formante giurisprudenziale, l’unica che consentirebbe di superare la contrapposizione tra parte e terzo, vede nell’operazione complessiva “la ricostruzione del collegamento negoziale nei termini di unitario regolamento di interessi”65, con pressoché costante esclusione della teoria della trilateralità giuridica66. Ma sul tema si ritornerà.
Ictu oculi, il passaggio evolutivo da contratto misto a contratto atipico, e successivamente ed eventualmente a contratto tipico, manifesta l’insita discrepanza tra le citate figure. Da un lato, infatti, un contratto ancora privo di una propria fisionomia e disciplina, la quale sarà mutuata dalla disciplina del tipo prevalente o da quella combinata di tutti i tipi a modello. Dall’altro un contratto autonomo, dotato di un’altrettanto autonoma disciplina che non si apprezza con riguardo allo schema tipico similare bensì alla funzione concretamente svolta dall’operazione, con utilità, in proposito, del disposto dell’art. 1374 c.c., da cui pare evincersi che in mancanza di legge puntuale o di usi, ricorre l’equità e non l’analogia67.
Altra figura contrattuale che ha consentito di rilevare le congenite ambiguità68 della categoria del contratto misto è rappresentata dal c.d. negotium mixtum cum donatione69, qualificato da parte della dottrina come un vero e proprio esempio di
1136 ss.; X. XXXXXXXX, Trilateralità del contratto di leasing e riduzione del contratto ad equità senza ricorrere all’applicazione dell’art. 1526 c.c., in Resp. civ. e prev., 1994, p. 182; X. XXXXXXX, La locazione finanziaria, Padova, 1998, p. 24 ss.
65 Sono le parole di X. XXXXX, La qualificazione del leasing fra contratto plurilaterale ed operazione giuridica, cit., p. 1160; ID., Profili del collegamento negoziale, cit., p. 204 ss.
66 Si veda, Cass. 30 marzo 2005, n. 6728, in Resp. giust. civ., 2005, p. 3304, “l’operazione di leasing finanziario, pur non dando luogo ad un contratto plurilaterale, realizza un collegamento negoziale tra contratto di fornitura e contratto di leasing, e tale collegamento ha l’effetto giuridico di legittimare l’utilizzatore a esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura”; Cass. 27 luglio 0000, x. 00000, xx I contratti, 4, 2007, p. 374, con nota di X. XXXXXXXXX, Causa unitaria nell’ambito dell’operazione di leasing finanziario e tutela dell’utilizzatore: una svolta della Cassazione?; Cass. civ., 29 settembre 2007, n. 20592, in NGCC, 2008, p. 356, con nota di I.L. XXXXXX, Collegamento negoziale, la causa concreta e la clausola di traslazione del rischio: la giustizia contrattuale incontra il leasing. In senso contrario Xxxx. 26 gennaio 2000, n. 854, in Foro it., 2000, I, 2269 ss., la quale peraltro riconosceva, salva la natura di litisconsorte necessario del concedente, all’utilizzatore (e proprio sulla scorta di tale ricostruzione in termini di unicità negoziale dell’operazione giuridica di leasing) la facoltà di agire in giudizio al fine di ottenere la risoluzione del contratto di fornitura.
67 Ancora una volta, X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 819, il quale discorre del contratto misto, rispetto a quello atipico, come variante intermedia, con applicazione anche dell’art. 1322, comma 2, c.c., nella direzione della tipicità.
68 Tale espressione è di G.B. FERRI, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, cit., p. 328.
69 Si tratta dell’ipotesi in cui in una vendita potrebbe “celarsi” una donazione, considerata, ad esempio, l’esiguità del prezzo.
negozio misto70. Invero, di là dalle riflessioni espresse dal formante dottrinale finanche sull’ammissibilità di tale figure71, altra parte della dottrina ha strumentalizzato il dibattito per definire le peculiarità della categoria dogmatica del contratto misto, considerate nella prospettiva delle tematiche sulla causa del negozio.
Se su di un piano strutturale il contratto misto si configura come la risultante della combinazione di frammenti di diversi tipi contrattuali che si fondono nell’unico schema negoziale, condizionandosi reciprocamente, su di un piano funzionale è l’univocità causale72 che attribuisce a tale categoria una autonoma fisionomia. Ne consegue che i contratti tipici da cui sono stati mutuati taluni elementi diversificanti il tipo, nella nuova operazione economica non saranno suscettibili di un autonomo e separato apprezzamento, avendo perduto la propria individualità73.
Orbene la compresenza di frammenti appartenenti a tipi legali differenti in un unico schema negoziale dotato di un’unica causa, presuppone quantomeno la compatibilità tra i due schemi tipici e le rispettive funzioni, questa conclusione apparentemente ovvia si scontra con l’orientamento che legge in una vendita mista a donazione un contratto misto, laddove la non conciliabilità tra la vendita e la donazione è lampare.
Il contratto misto, inteso come sopra precisato (ossia come “commistio” di differenti strutture tipiche)74, non è di certo immaginabile laddove gli schemi tipici, seppur confluenti in un unico regolamento avente causa unica, concorrono tra loro, mantenendo integra la propria autonomia, sicché “le prestazioni sono giustificate per un verso dallo scambio (cioè dalla vendita) e per altro verso dalla liberalità (cioè dalla donazione)”75.
70 V. C.M. XXXXXX, Diritto civile, cit., p. 454, secondo cui in taluni casi un unico rapporto può presupporre una duplicità di autonomi tipi, dando vita ad un autonomo schema del tutto peculiare perché caratterizzato dalla riferibilità ad una pluralità di tipi legali e funzioni; in tal senso altresì X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge, cit., p. 1046.
71 Sul punto X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridica, cit., p. 537.
72 Si veda X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 173, il quale precisa che la causa può risultare dalla commissione di tipi legislativamente regolati.
73 Si rinvia ancora una volta a X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 819.
74 Sono le parole G.B. XXXXX, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, cit., p. 329, il quale precisa che la natura mista del negozio derivi dall’uso atipico (perché commistio) di più strutture negoziali tipiche.
75 Ancora X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 819, il quale precisa che allora si applicherà la disciplina della vendita per le garanzie e l’inadempimento nonché quella della donazione per il resto, con l’avvertenza che se essa, come precisa la giurisprudenza, è indiretta vale solo l’art. 809, con esclusione, tra l’altro, degli artt. 778 ss. c.c.
Dunque, non di contratto misto dovrà discorrersi, bensì, secondo un’opinione, di utilizzazione anomala di una singola struttura tipica, ossia la vendita, che, per sua natura, tende a realizzare uno scambio oneroso76. Per meglio precisare, trattasi di ipotesi di impiego di un tipo per finalità diverse da quelle che il tipo stesso, utilizzato dalle parti, astrattamente consentirebbe. Invero, l’interprete, che deve anteporre alla valutazione (rectius: qualificazione), l’interpretazione dello specifico regolamento di interessi posto in essere dalla parti, dovrà riconoscere che dietro l’“apparente” tipo vendita, si cela una “reale” funzione donativa77.
Secondo il citato orientamento, da un punto di vista funzionale, sembra che le parti abbiano dato vita ad un’operazione economica complessa, spiegando un regolamento negoziale che qualora interamente sussumibile nello schema della vendita, non avrebbe loro consentito di realizzare il risultato concreto voluto, il quale non è coincidente con quello “astrattamente” realizzabile mediante il tipo.
Sebbene le motivazioni che sorreggono i richiamati orientamenti dottrinali non trovano perfetta coincidenza, entrambe giungono alla medesima conclusione, il negozio misto con donazione non è “catalogabile” tra i contratti misti.
Tale precisazione consente di proporre un’immediata e subitanea riflessione. La difficoltà di usufruire, finanche per finalità ermeneutiche, in tale particolare caso elevato a modello esemplare, della categoria del contratto misto (e il discorso non muta con riguardo alla categoria del collegamento negoziale), non toglie rilievo alla circostanza che l’interprete debba avere sempre riguardo all’interesse effettivamente e concretamente perseguito dalla parti, unitariamente considerato, al fine di comprendere la funzione economico-individuale cui mira il regolamento.
76 In tal senso G.B. XXXXX, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico
– individuale del negozio giuridico, cit., p. 329, sebbene di poi evidenzia che si è in presenza di un caso di negozio misto, del tutto singolare e sostanzialmente eccentrico all’idea che la dottrina dominante sembra avere della categoria dei negozio misto.
77Sicché, precisa ancora G.B. XXXXX, ult. op. cit., p. 329, dovendo seguire i sostanziali profili dell’operazione economica, riconducendola funzionalmente allo schema della donazione, che nel caso concreto costituirebbe la vera finalità che gli autori del negozio intendono realizzare, in tema di forma sarà necessaria quella solenne, nonostante il tipo formalmente realizzato sia stato quello della vendita.
L’a., precisa, altresì, che se nel concreto si dovesse constatare la decisa prevalenza dell’intento liberale, nonostante lo schema della vendita posto in essere dalle parti, è evidente che qualora l’ordinamento ponesse un tassativo divieto di donare (come, ad esempio, accadeva nel sistema originario del codice civile del 1942, per la donazione tra i coniugi, stante il divieto contenuto dall’art. 781 c.c., ora abrogato), si dovrebbe fondatamente ritenere nulla (perché contra legem) la vendita tra coniugi attraverso cui si fosse inteso perseguire un vero e proprio intendo donativo, essendo tale concreto tipo di vendita caratterizzato da una funzione economico-individuale identica a quella cha caratterizza il tradizionale schema della donazione.
Si è sempre di fronte ad un’operazione economica complessa, che, analogamente alle ipotesi di negozi misti, si presenta da un punto di vista della funzione economico-individuale “univoca”78, tale essendo la risultante della valutazione del concreto ed unitario assetto di interesse perseguito dalle parti mediante la struttura negoziale cui hanno dato vita.
Le riflessioni dottrinali dedicate al contratto misto hanno elevato a momento cardine dei contributi l’individuazione della disciplina ad esso applicabile e dei criteri strumentali alla definizione della medesima. Come innanzi precisato, a differenza del contratto atipico, quello misto, non gode di una propria autonomia né può pretendere una propria autonoma disciplina, manifestandosi come una categoria dogmatica che può connotarsi dei più svariati contenuti voluti dall’autonomia privata, salvo il limite invalicabile della liceità funzionale.
Ebbene, di là dall’appiglio normativo rappresentato dall’art. 1323 c.c., che poco giova sul piano dei contenuti79, la rilevazione degli ulteriori riferimenti normativi è sfociata nella elaborazione di due teorie dottrinali, le quali si sono divise il campo allorquando si è ritenuto di non dover coinvolgere le tematiche dell’atipicità e dell’analogia80.
Per inciso si premette che mediante la qualificazione in termini di atipicità del contratto misto, la dottrina ha riconosciuto in misura maggiore la rilevanza del rapporto concreto e della sua meritevolezza, aprendo nuovi spazi all’individuazione della disciplina più adatta (rectius: più giusta) alle peculiarità del regolamento di interessi posto in essere dalle parti, allontanandosi così dal classico metodo tipologico che ha, di contro, influenzato le teorie di cui appresso81.
Il primo orientamento ritiene doversi applicare la disciplina del tipo la cui funzione, nella combinazione degli elementi, è in concreto prevalente, trattasi
78 Si segnala ancora una volta la precisazione di G.B. XXXXX, ult. op. cit., p. 329, che discorre di operazione univoca più che unitaria dal punto di vista della funzione economica-individuale.
79 V. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., p. 820, secondo cui l’art. 1323 c.c. ha carattere regolamentare solo sul piano della struttura.
80 In tal senso X. XXXXX, La vendita con esclusiva, in Scritti in tema di vendita con esclusiva e di fusione delle società commerciali, Torino, 1990; X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, art. 1321 – 1352, in Comm. Cod. civ., a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXX, Bologna-Roma, 1970, pp. 47- 48; X. XXXXXXXX, Il contratto in generale, cit., pp. 714-715; S.O. XXXXXX – X. XXXXXXXXX, voce Contratti misti e contratti collegati, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, pp. 5-6; C.M. XXXXXX, Il contratto, cit., p. 488.
81 In termini X. XXXXX, I contratti collegati nelle esperienza giuridiche italiana e francese, cit. p. 88.
della teoria c.d. della prevalenza (o dell’assorbimento)82. Altra dottrina, ed altra giurisprudenza a seguito, ritiene invece che la disciplina del contratto misto consegue dalla combinazione delle norme di legge dettate per ciascuno dei negozi tipici che lo compongono (c.d. teoria della combinazione)83.
Ovviamente il compito dell’interprete non è di poco conto. La prima teoria rimette allo stesso l’incombenza di identificare la causa prevalente, ovvero di far affiorare e rendere evidente l’interesse che ha mosso le parti alla definizione di quell’assetto negoziale.
Però se il fine consta nella comprensione delle reali intenzioni delle parti, celate dietro il tipo “meramente apparente” di cui esse hanno usufruito, allora non solo pare cadere la stessa teoria dell’assorbimento bensì finanche la categoria del contratto misto.
Per meglio dire, se in un contratto confluiscono elementi della vendita ed elementi dell’appalto, e, come è stato detto, il fattore decisivo ai fini della disciplina applicabile è l’interesse della parti (nel senso che se le parti hanno avuto interesse a scambiarsi un bene in natura contro una somma di denaro, dovrà raffigurarsi una vendita, laddove se l’interesse originario e fondamentale delle parti sia stato quello di compiere e ricevere un’opera, sarà raffigurabile l’appalto)84, allora dovrà concordarsi con chi ravvisa, come nell’ipotesi di vendita mista con donazione, un uso anomalo o distorto di una singola struttura tipica
82 Tra gli altri, X. XXXXXXXXXX, Natura del contratto cassetta-forte per custodia, in Riv. dir. comm., II, 1911, p. 903 ss.; A. ASQUINI, Il contratto di trasporto terrestre di persone – Parte generale, Padova, 1915, p. 69 ss.; osserva X. XXXXXXXXXX, I contratti, Torino, 2009, p. 194, n. 212, che il giudice è sempre chiamato a decidere se, nella concreta fattispecie, debba trovare applicazione la norma dettata per un certo tipo contrattuale o quella dettata per un altro tipo; deve cioè risolvere un potenziale conflitto tra norme. Tant’è vero che, laddove il conflitto non si prospetta, perché non si ravvisa l’esigenza di una disciplina unitaria, si tende a dare spazio nei limiti della compatibilità con il tipo prevalente, alle norme dell’altro tipo. In giurisprudenza Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n. 18884, cit.; Cass. Civ., 12 maggio 2008, n. 11656, in Riv. notariato, 6, p. 1475, con nota di XXXXXXXX: “in tema di contratto misto (nella specie, di vendita e di appalto), la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (c.d. teoria dell’assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente”.
83 Così, tra gli altri, X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico, Napoli, 1948, p. 228; X. XX XXXXXXX, I contratti misti. Delimitazione, classificazione e disciplina. Negotia mixta cum donatione, Padova, 1934, p. 176 ss.
84 A sostenere la teoria dell’assorbimento, pur sottolineandone i dubbi, X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, Il collegamento negoziale nelle società per azioni. La delibera collegata, Milano, 2008, p. 16.
contrattuale, non avendo il tipo c.d. prevalente perso la propria autonomia, in quanto meramente celato dietro una struttura “distorta” del tipo non prevalente.
Si è, però, obiettato che il contratto misto si caratterizza per la sua funzione che è diversa da quella dei tipi contrattuali che lo compongono in quanto è una funzione unitaria e composita, distinta, dunque, dalle singole cause di tali tipi85.
I sostenitori della teoria dell’assorbimento precisano altresì che in ipotesi di equilibrio tra le varie componenti del contratto misto, senza che possa individuarsi la prevalenza di un tipo rispetto all’altro, troverà ingresso la teoria della combinazione86.
Sul punto vale riferire che i limitati riscontri recepiti da quest’ultimo orientamento, che ravvisa nella “complessità” un fattore distintivo non solo della struttura dell’operazione ma anche della disciplina ad essa applicabile, subiscono l’obiezione dell’assenza di coerenza nell’insieme delle disposizioni che a mò di mosaico trovano riscontro87. Condivisibilmente è stato precisato che tale sistema non può non dotarsi e del criterio della compatibilità tra le differenti discipline, vista la loro concorrente applicazione, e dei criteri a mezzo dei quali risolvere i possibili conflitti tra le medesime88, paralizzandone l’applicazione quando si rilevi il contrasto insuperabile con la disciplina del tipo prevalente.
Nei casi di difficoltà applicative di entrambe le teorie, è stato caldamente auspicato un intervento regolatore del legislatore o, al limite, un consolidamento
85 Così M.C. XXXXXX, Il contratto in generale, Milano, 2010, p. 21, la quale tra l’altro nel richiamare la giurisprudenza della Cassazione, precisa che la teoria della prevalenza non porta alla irrilevanza giuridica degli elementi secondari: anche questi sono voluti dalle parti e devono essere tenuti presenti nella disciplina del contratto, sia pure in posizione subordinata e sempre che le norme che regolano tali elementi non siano incompatibili con quelle del contratto prevalente.
86 Precisa altresì che la teoria dell’assorbimento “può trovare applicazioni senza forzature solo fino al punto in cui giunge l’elasticità del tipo” A. XXXXXXXXXX, I contratti, cit., p. 195
87 In tal senso X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., p. 47. Va segnalata però una recente tendenza del formante giurisprudenziale a preferire il criterio dell’integrazione, si rinvia, ex multis, a Cass. civ. sez. II, 17 novembre 2010, n. 23211, in I contratti, 4, 2011, p. 333, con nota di X. XXXXXXXXXX, cit., in cui i giudici di legittimità, ferma la compatibilità tra la disciplina del contatto di prestazione d’opera con quella del contratto di deposito (a meno di non voler soffermarsi sul discorso onerosità-gratuità), applicano quest’ultima ai profili dell’operazione da essa disciplinati: dalle regole di questo tipo viene tratta la soluzione al problema della responsabilità del riparatore per i danni subiti dagli autoveicoli a seguito dell’allagamento che aveva coinvolto l’officina, sì come della gratuità o onerosità della custodia dei beni. Pertanto l’omessa custodia del bene sottratto dovrà essere valutata non secondo le ordinarie norme sulla responsabilità per colpa, bensì facendo operare la disciplina della responsabilità ex recepto. Dunque troverà applicazione l’art. 1780 c.c. quando l’obbligazione di custodia e della riconsegna sia ricompresa nel contenuto di un contratto diverso (e nella specie il contratto d’opera) o formi parte di un contratto misto nelle quali confluiscono le cause del deposito o di altro contratto.
88 In tal senso X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 820, ed ivi i richiami giurisprudenziali.
del contratto come tipo giurisprudenziale89, cui tentare di anteporre, per ovvie ragioni, la definizione di un quadro normativo di riferimento sufficientemente articolato e compiuto.
4. Il contratto complesso. Cenni.
In dottrina si riconosce una certa tendenza ad esaminare il contratto complesso come fenomeno che “va distinto” dal collegamento negoziale e dal contratto misto90.
Ictu oculi la distinzione non può essere meramente terminologica, dacché in tale sede, anche prima di indagare il fenomeno contratti collegati, occorre delineare gli aspetti e definire i contorni di questa categoria dogmatica, dotata (sembrerebbe) di propria autonomia ed individualità.
Corrente è la definizione che vede nel contratto unico a struttura complessa l’integrale combinazione delle componenti di più schemi tipici, e dunque una fattispecie contrattuale dotata di un’unica causa, ma caratterizzata da una pluralità di prestazioni.
Seguendo l’iter argomentativo del formante dottrinale, da un punto di vista strutturale il contratto complesso si distingue dal contratto misto, perché l’uno è null’altro che la combinazione di più schemi tipici, presi nella loro interezza, l’altro la combinazione di frammenti propri di una pluralità di schemi nominati (propriamente le componenti che li caratterizzano)91.
Sebbene in entrambi i casi il contratto è inteso come “unico contratto”, perché unica è la causa, la pluralità di elementi che compongono il negozio complesso, laddove singolarmente presi, sono tutti astrattamente idonei ad integrare gli
89 X. XXXXXXX, Il contratto di logistica, in I contratti di somministrazione e di distribuzione, in Tratt. dei Contratti, diretto da X. XXXXXXXX x X. XXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, p. 74, il quale rivolge tale auspicio al contratto di logistica, “stante l’evidente impossibilità di individuare la prestazione prevalente in un rapporto caratterizzato da una pluralità di prestazioni riferibili ad una molteplicità di tipi contrattuali (appalto, mandato, trasporto, spedizione e deposito), che però concorrono a formare una prestazione complessa e unitaria”. Con riguardo al contratto tipizzato l’a. richiama il franchising, l’esempio di tipo giurisprudenziale è invece il leasing.
90 Discorre di complessità in senso sia oggettivo che soggettivo E. XXXXX, Teoria generale del negozio, cit., p. 301. L’a. precisa che la complessità può essere meramente oggettiva, quando il negozio, provenendo da un’unica parte, consta di più dichiarazioni “dirette a regolare la medesima materia”; oppure soggettiva, quando il negozio “consta di dichiarazioni o comportamenti omogenei, concernenti il medesimo oggetto, e che sono opera di due o più soggetti diversi”.
91Cfr. A. XXXXXXXXXX, I contratti, cit., p. 200, così distingue il contratto complesso dal contratto misto.
estremi di un distinto e autonomo negozio92. A fortiori la distinzione consterebbe altresì nell’unicità di prestazione nell’un caso a fronte della pluralità di prestazioni nell’altro93.
Tuttavia il rilievo che sia indimostrato che all’univocità della causa corrisponda l’univocità della prestazione, posto che tra le diverse obbligazioni potrebbe intercorrere un rapporto di accessorietà o subordinazione, è suffragato da coloro che negato autonomia alla categoria del contratto complesso94.
Le critiche sollevate da questa dottrina al riconoscimento del contratto complesso come categoria dogmatica a se stante, bypassano il discorso strutturale e precisano che segnare una linea di confine tra le due figure è di scarsa utilità, in quando le conseguenze pratiche sono le medesime e consistono nell’accertamento del negozio avente rilievo maggiore per l’individuazione della disciplina applicabile95. A supporto di tale orientamento, dai più non condiviso, vi è l’opera di abbandono della giurisprudenza, orientata ad esprimersi indifferentemente in termini di contratto misto tout court o di contratto composto.
Nel collegamento negoziale, invece, la pluralità di negozi non si combinano in un’unica fattispecie contrattuale, rimanendo essi strutturalmente autonomi sebbene abbiano formato oggetto di stipulazioni coordinate. Invero, fermo il
00 X. X. XXXXXXXX, Questioni attuali sul contratto – Approfondimenti tematici e giurisprudenza annotata, Milano, 2004, p. 46.
93 Discorrono di unicità di prestazione nel contratto misto X. XXXXXXXXXX x G. DE MARZO, Manuale di diritto civile, V. III, Il contratto, 2008, p. 187; laddove a discorrere del contratto complesso come caratterizzato da una pluralità di prestazioni sono X. XXXXXXXXX e X. XXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 228.
94 V. R. SENIGAGLIA, La rilevanza contrattuale dell’obbligazione di custodire nei contratti misti a struttura complessa, cit., pp. 333-334, il quale richiama il più recente orientamento dei Giudici di Legittimità, che pur negando indipendenza al contratto complesso rispetto al contratto misto, prescindono dalla distinzione obbligazione principale – obbligazione accessoria. L’a. testualmente riporta le espressioni della giurisprudenza di legittimità “il contratto con il quale taluno si impegna a riparare una cosa e a custodirla a pagamento fino alla riconsegna è un contratto misto a struttura onerosa e complessa in quanto partecipa sia della natura del contratto d’opera che della natura del contratto di deposito, con la conseguenza che è applicabile la disciplina propria dell’affidamento della res al depositario”.
95 A richiamare tale orientamento X. XXXXXXXXXX e G. DE MARZO, Manuale di diritto civile, cit.,
p. 190, ed ivi i riferimenti giurisprudenziali; a riconoscere un’unica categoria chiamata indifferentemente contratto misto o complesso è R. XXXXX, La qualificazione, in R. SACCO - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da R. XXXXX, Torino, 2004, p. 449; a rinvenire nel negozio complesso una species del genus di contratto misto è X. XXXXXXXX, Il contratto in generale, cit., p. 132; discorre indistintamente di contratto misto o complesso S. XXXXX, Contratto di trasporto terrestre, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. XXXX – X. XXXXXXXXXXX – X. XXXXXXX, Milano, 2007, p. 30, con particolare riferimento al contratto di trasloco o sgombero, propendendo, ai fini della individuazione della normativa applicabile, per la teoria della combinazione o integrazione, tant’è che “gli elementi propri dei distinti negozi nominati confluiscono nel contratto complesso (o misto), con una combinazione che dà vita ad una convenzione unitaria, autonoma ed indivisibile, che proprio nel suo insieme si differenzia dai vari negozi dai quali ha mutuato gli elementi costitutivi”.
rimando alle pagine successive, vale precisare che il collegamento negoziale rileva a livello funzionale “ponendo in relazione e influenzando (per dirla con Gaxxxxx) i rapporti giuridici che nascono dai singoli contratti, i quali sono e restano tipologicamente e causalmente autonomi e diversi”96.
Non si vuole anticipare quanto a breve si dirà sul collegamento negoziale, ma è intuibile il seguente rilievo, sebbene nel contratto complesso gli elementi integranti schemi contrattuali tipici si fondono in un unico regolamento contrattuale dotato di unica causa, in ipotesi di collegamento, i contratti posti in essere rimangono strutturalmente autonomi benché destinati a realizzare un’ampia e complessa operazione economica, la cui causa, per dirla con parte della dottrina, è “ulteriore” rispetto a quella tipica dei singoli schemi coinvolti.
5. Il collegamento negoziale. Premesse.
Occorrono, in primis, talune premesse.
L’itinerario della dottrina italiana sul collegamento negoziale nonché il frequente ricorso a tale strumento linguistico da parte della giurisprudenza, tendono a smentire l’affermazione secondo cui la macro-categoria del collegamento negoziale sembra aver da tempo esaurito le proprie potenzialità espansive. L’asserzione non muta nonostante il rilievo che vede dottrina e giurisprudenza svelare una certa concordia relativamente ai suoi profili più significativi, considerati oramai come dati acquisiti.
Non appare di banale rilievo individuare il trend metodologico seguito in alcuni studi monografici sul tema97. Come si è avuto modo di precisare, taluna dottrina ha voluto concentrarsi sulle fattispecie concrete e sulle conseguenti decisioni giurisprudenziali, esaminate e vagliate al fine di cogliere, per il tramite dell’attività interpretativa del giudicante, i profili funzionali dell’operazione contrattuale, unici forieri dell’esistenza e della rilevanza del nesso. Indubbiamente, oggi, tra le svariate ragioni che spingono ad esaminare tale figura
96 X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 820; fonda la distinzione tra contratto complesso e collegamento sull’unità o pluralità di cause X. XXXXXXXX, Contratto collegato, cit., p. 49; C.M. BIXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1984, p. 456.
97 Il riferimento è prevalentemente al contributo di X. XXXXX, op. cit., p. 9 ss.
si colloca altresì l’interesse mostratone dal legislatore, che ugualmente giustifica una rivisitazione del problema alla luce delle più recenti novità normative98.
Ma vi è di più. Non insolito si mostra il ricorso alla esaminanda categoria dogmatica allorché ci si imbatte nei profili funzionali di quei regolamenti contrattuali che si pongono a servizio di interessi, per così dire, “nuovi”, ossia piegati alle nuove logiche e dinamiche dei mercati e dunque imputabili e ai privati e alle imprese. Di qui, inter alia, l’attualità dello studio, il quale, sebbene verta su di un tema che, per dirla con i più in dottrina, sembra oramai aver consolidato i suoi tratti, disvela la sua attuale utilità di fronte a prassi contrattuali di recente diffusione nonché, in taluni casi, prive finanche di tipicità sociale, consentendo il conseguimento di risultati interpretativi di non banale rilievo.
Si vuole sin da subito rilevare che, mediante un approccio di tipo funzionale, l’analisi proposta vedrà il suo nucleo di indagine nella ricerca del fondamento della rilevanza giuridica del fenomeno, nella validità ed efficace dello stesso, per poi concentrarsi sugli eventuali e pure possibili profili patologici. A riprova infatti dell’inutilità di un’analisi meramente strutturale o descrittiva si richiama quell’orientamento che, in uno studio più recente, giunge finanche a negare la stessa possibilità logica di configurare l’esistenza del collegamento in ipotesi ad esso ricondotte secondo una logica appunto esclusivamente “strutturale”99. Sixxxx xi tenterà di sciogliere il nodo mediante un intervento che si articolerà, secondo una logica funzionale, da un lato, nel tentativo di risolvere le questioni dell’esistenza del nesso e dell’individuazione dei criteri che ne giustificano la rilevanza, dall’altro, ed in particolar modo, nella individuazione dei principi dell’ordinamento che giustificano l’attuale portata del radicato brocardo simul stabunt, simul cadent.
Laddove la prassi contrattuale non consentirà di esaminare il fenomeno attraverso il predetto metodo funzionale, perché la recente diffusione di complessi regolamenti contrattuali ha dato, fin d’ora, poco spazio al formante giurisprudenziale, verrà recuperata la rilevanza cosiddetta “interpretativa” dello stesso, elevandosi a criterio utile e strumentale all’attività qualificatoria.
98 Il riferimento è al già richiamato d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che ha recepito la direttiva 2008/48/CE in materia di contratti di credito al consumo, introducendo la nozione di “contratto di credito collegato”.
99 Così N. XXXX, Note introduttive, in X. XXXXX, I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Milano, 2007, p. 3 ss.; si rinvia altresì al successivo paragrafo di questo studio.
Si vuole infine aggiungere che, sebbene finanche l’analisi comparatistica (laddove il formante giurisprudenziale lo consentirà) sarà condotta alla stregua del predetto percorso metodologico, appare produttivo un primo, seppur sommario, esame di tipo strutturale della figura. Per meglio dire, l’analisi e la comparazione di ipotesi peculiari di collegamento negoziale, nell’ottica anzidetta, rintracciabili rispettivamente nella seconda e nella terza “tappa” di questo studio, non impedisce un iniziale impatto di tipo classificatorio e meramente strutturale delle categorie o dei concetti giuridici che sul tema hanno interessato il formate dottrinale e quello giurisprudenziale. Vieppiù se si considera, pare utile precisarlo, che l’analisi degli aspetti approfonditi in questa sede non ha mai perso di vista l’orientamento giurisprudenziale di volta in volta affermatosi.
5.1. Segue. Approccio sistematico: profili classificatori.
Un’analisi di tipo sistematica del collegamento negoziale, finalizzata ad esaminare il fenomeno da un punto di vista statico, ovvero a comprenderne la struttura e a fornirne una definizione, è generalmente rintracciabile nei contributi dottrinali a carattere prevalentemente generale, rispetto ai quali, in una posizione diametralmente opposta, insistono gli studi, forse prevalenti, che mediante un approccio di tipo inverso, traggono dall’esame di una specifica ipotesi di collegamento conclusioni a valenza generale100.
100 Tra i primi contributi, fondamentale è quello di X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, in Riv. it. sc. giur., 1937, p. 3 ss., si vedano altresì I. LA LUMIA, Deposito e locazione di opere. Negozio giuridico e pluralità di negozi, in Riv. dir. comm, 1912, II, p. 916 ss.; X. XXXXX, Vendita con esclusiva, in Dir. e prat. comm., 1933, p. 270 ss.; X. XXXXXX, Suxxx xromessa di pagare il debito altrui, in Foro it., 1936, I, c. 1466 ss.; ID., Deposito in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, in Giur. civ. comm., I, 1937, p. 1477; G. XXXX, Contratti parasociali, Milano, 1942, p. 67 ss.; X. XXXXXX, In tema di collegamento funzionale tra contratti, in Giur. compl. cass. civ., 1946, II, p. 328; X. XXXXXXXXX, Nexxxxx xollegato, negozio illegali e ripetibilità del pagamento, in Temi, 1951, p. 154 ss.; X. XXXXXXX, In tema di negozi collegati, in Giur. compl. cass. civ., 1951, III, p. 320; A. XXXXXXXX, Appunti in tema di negozi giuridici collegati, in Giust. civ., 1954, p. 264 ss.; X. XXXXXXXXX, Collegamento e connessione tra negozi, in Riv. dir. comm., 1955, I, p. 357 ss.; F. DI SABATO, Unità e pluralità di negozi (contributo alla dottrina del collegamento negoziale), cit., p. 412 ss.; X. XXXXXXXX, Sux xegozi collegati, in Riv. dir. comm., 1962, II, p. 342 ss.; X. XXXXXXXX, voce Contratto collegato, cit., p. 48; A. XXXXXX- XXXXXXXX, Negozi collegati e negozio di collegamento, in Dir. e giur., 1968, p. 837 ss.; C. DI NAXXX, Collegamento negoziale e funzione complessa, in Riv. dir. comm., 1977, I, p. 279 ss.; X. XXXXXXX, Un interessante caso di collegamento negoziale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, p. 1586 ss.; X. XXXXXXXXX, Negozi collegati in funzione di scambio (su alcuni problemi del collegamento negoziale e della forma giuridica delle operazioni economiche di scambio), in Riv. dir. civ., 1979, II, p. 397 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 375 ss.; R. XXXXXXXX, Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, cit.; X. XXXXXXXXXXXX, Il collegamento negoziale, Napoli, 1983, passim; G.P. XXXXXXX, Sul collegamento funzionale di contratti, in Giur. it., 1984, I, 1, c.
Le originali ricostruzioni del fenomeno si caratterizzano proprio in quanto preordinante a rintracciare gli elementi costitutivi dello stesso, così come desunti dalla descrizione che si preferiva della figura, per poi addivenire ad una catalogazione delle differenti ipotesi di collegamento, anche solo astrattamente ipotizzabili. Le svariate classificazioni proposte, dunque, rappresentano l’iniziale ed immediato contatto con lo studio del collegamento negoziale.
A ben vedere, infatti, l’utilità che si intende ricavare dalla impostazione metodologica preferita, non può, tutt’oggi, prescindere da una prioritaria analisi di tipo strutturale, diretta a favorire la comprensione del rilievo che si intende attribuire a tale concetto giuridico. Si procederà, dunque, ad una preventiva e contenuta ricognizione delle varie tipologie di collegamento negoziale, così come
1459 ss.; ID., Negozi collegati ed eccezione di inadempimento, ivi, 1982, I, 1, c. 377 ss.; X. XXXXXXXXX-TURTUR, I negozi collegati, in Giust. civ., 1987, II, p. 251 ss.; G. XXXXX, Il collegamento negoziale tre tipicità e atipicità, in Giust. civ., 1996, I, p. 1095 ss.; A. XXXX, Il collegamento contrattuale: note in materia civile, arbitrale internazionale e di conflitti di legge, cit., p. 69 ss. ; S. XXXXXXX XXXXXX – X. XXXXXXXXX, voce Contratti misti e contratti collegati, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, ad vocem; X. XXXXXXXXXX, La dicotomia contratti misti- contratti collegati: tra elasticità del tipo ed atipicità del contratto, in Riv. dir. comm., 1996, II, p. 547 ss.; X. XXXXXXXX, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, cit., p. 233 ss.; ID., Criteri obiettivi (e “mistica della volontà”) in tema di collegamento negoziale, in Foro pad., 1974, I, p. 338 ss.; ID., I contratti collegati, in G. XXXX-X. XXXXXXX, I contratti in generale, III, in Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da X. XXXXXXX, Torino, 1991, p. 571 ss.; ID., I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, in Contr. e Impr., 2000, 127 ss.; A. XXXXXXXX, Sulla definizione di collegamento contrattuale, in Contratti, 1999, p. 336 ss.; X. XXXXXXXX, I contratti collegati: profili dell’interpretazione, in Europa e dir. priv., 2000, p. 133 ss.; X. XXXXX, Causa del contratto, collegamento negoziale e presupposizione, nota a Trib. Isernia, 18 novembre 2005, in Giur. mer., 2006, p. 567 ss.
Si ricordano altresì quali contributi monografici: A. XXXXXXXX, I contratti collegati, Milano, 1998;
X. XXXXXXX, Il collegamento contrattuale volontario, cit., X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit.; X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit.; X. XXXXX, I contratti collegai nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit.; X. XXXXXX, Il collegamento volontario tra contratti nel sistema dell’ordinamento giuridico. Sostanza economica e natura giuridica degli autoregolamenti complessi, Napoli, 2000.
Con riguardo alle specifiche ipotesi di collegamento negoziale: M. XXXXXXX, In tema di negozi collegati gioco, in Riv. dir. comm., 1952, II, p. 369 ss.; M.R. SPALLAROSSA, Contratti collegati e giudizio di buona fede, in Giur. mer., 1972, I, p. 419 ss.; X. XXXXXXX XXXXXXX, Sul collegamento di atti di società collegate, ivi, 1977, I, p. 503 ss.; E. XXXXXX, Il fenomeno dei negozi collegati e le sua applicazioni in tema di contratti assicurativi, in Giust. civ., 1975, I, p. 1384 ss.; E. XXX XXXXX, Concessione di immobile in godimento collegata con prestazione d’opera, in Giur. it., 1985, I, 1,
c. 307 ss.; A. XXXXXXXX, In tema di mutuo collegato con il giuoco, in Riv. dir. comm., 1998, II, p. 137 ss.; X. XXXXXXX, Riflessi di vicende sospensive dell’efficacia del contratto nel collegamento negoziale, in Dir. e giur., 1992, p. 602; X. XXXXXXX, Il collegamento di negozi: note sul caso Maxxxxxx, in Giust. civ., 1992, p. 3213 ss.; X. XXXXXXXX, Credito al consumo e collegamento negoziale, in Giur. mer., 1993, I, p. 1016 ss.; C. DE MARI, Collegamento negoziale materiale e legittimazione all’azione di nullità, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1075 ss.; G.M. ARMONE, Collegamento negoziale e revocatoria; qualche osservazione, ivi, 1995, I, 1, c. 767 ss.; G.L. RAXXXXX, Projet finance e collegamento negoziale, in Contr. e Impr., 1996, p. 225 ss.; X. XXXXXX MAGGIORE, Una ipotesi di collegamento negoziale e le sue conseguenze in caso di fallimento di una parte, in Dir. Fall., 1999, II, p. 815 ss.; M.M. GAETA, Contratti bancari collegati e regole di condotta, in Contratti, 2001, p. 231 ss.; X. XXXXX, Convenzione matrimoniale e cessione del contratto; riflessioni sul leasing, in Contr. e Impr., 2004, p. 1038 ss.; R. XXXXX, I patti parasociali e il collegamento negoziale, in Giur. comm., 2004, I, p. 200 ss.
ordinate dalla dottrina, secondo criteri pressoché univoci che rinvengono il loro antecedente storico nella ricostruzione del noto giurista Xxxxxxx Xxxxxxxxxx000, il cui contributo, risalente a poco più di settanta anni fa, ha assunto carattere, per così dire, “ordinatore”102.
Ebbene, ravvisare l’esistenza di un legame tra più fattispecie negoziali e riconoscere che lo stesso sia rilevante per il diritto, ha significato, per la dottrina più risalente, identificare nella pluralità di negozi e nella connessione tra i rispettivi elementi costitutivi un’ipotesi di collegamento negoziale. I criteri utilizzati dal formante dottrinale, in maniera pressoché univoca, e sorretti da un intendo classificatorio delle pluralità di fattispecie di collegamento, selezionate per l’esistenza degli elementi menzionati, si distinguono per differente natura.
Si è soliti, in primis, discernere il collegamento unilaterale da quello bilaterale, secondo una riflessione che risulta tutt’oggi attuale103. Ravvisare
101 Negozi giuridici collegati, cit., p. 3 ss., il quale precisa che “due elementi nuovi debbono (...) aggiungersi alla struttura tipica dei negozi: un elemento obiettivo, che attiene alla funzione che essi esplicitano in concreto, e cioè uno stretto nesso economico e teleologico tra di essi; e un elemento subbiettivo, che consiste nell’intuizione di coordinare i vari negozi verso uno scopo comune”.
E’ rilevante precisare che la dottrina italiana ha cominciato ad interessarsi a questo tema sotto l’influsso della dottrina straniera, in modo particolare di quella tedesca. Si è soliti richiamare, in proposito, Enxxxxxxx xhe scriveva di contratti posti in combinazione meramente esteriore (die nur ausserliche Verbindung), per indicare la sola unitarietà dell’atto di emissione, contrapponendo tale categoria ai contratti in combinazione in dipendenza unilaterale o bilaterale (Verbindung mit gegenseitiger oder einseitiger Abhangigkeit) in cui negozi di per sé completi sono considerati come un tutto e, infine, la categoria dei contratti in combinazione alternativa (alternative Verbindung), in cui, al verificarsi di un determinato avvenimento, consegue la conclusione di uno solo dei due negozi combinati, ENXXXXXXX-XXXXXXX, Lehrbuch des bürgerlichen Xxxxxx, XX, Xxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxxxxxx00, Xxxxxxxx, 0000, p. 384; ulteriori precisazioni si leggono in C. DI NAXXX, Collegamento negoziale e funzione complessa, cit., p. 317; C. DE MARI, Collegamento negoziale materiale e legittimazione all’azione di nullità, cit., c. 1076; in giurisprudenza Cass. 10 luglio 1973 n. 1999, in Ass. Foro it., 1973, p. 582; Cass. 22 dicembre 1955 n. 3916, ivi, 1955, p.
854.
102 In questi termini X. XXXXXXXXX, Contratti d’impresa e collegamento negoziale, in I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Quad. riv. tri. dir. e proc. civ., Milano, 2007, p. 10.
103 Si vedano X. XXXXXXXXXXXX, voce Collegamento negoziale, cit., p. 377, il quale richiamando l’analoga distinzione proposta da Enneccerus, precisa che la stessa è utile al limitato fine di porre in luce che il collegamento può operare altresì in una sola direzione; C.M. BIXXXX, Diritto civile, Il contratto, Milano, 1987, 3, p. 456, secondo cui, invece, l’interdipendenza tra i negozi è normalmente reciproca; X. XXXXXXXX, voce Contratto collegato, cit., p. 52, il quale in merito al collegamento unilaterale, ravvisabile, ad esempio, nel legame tra contratto di garanzia e contratto principale, discorre di rapporto di accessorietà o ausiliarietà; si veda altresì X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 5, il quale nel richiamare l’orientamento di F. Di Xxxxxx, secondo cui il collegamento bilaterale costituisce “un’eccezione” in quanto è riscontrabile nella sola ipotesi di contratti “reciproci”, “in cui, pur essendovi prestazioni a carico di entrambe le parti, tuttavia le prestazioni che caratterizzano il tipo (...) figurano in un contratto a carico di una parte e nell’altro, reciprocamente, a carico dell’altra”, precisa che, appare implicito, immaginare ciò solo in ipotesi di negozi collegati stipulati dalle medesime parti, non rappresentando la pariordinazione dei negozi un’eccezione nel caso di collegamento tra negozi stipulati tra parti differenti (collegamento tra il negozio Tizio-Caio ed il negozio Tizio-Sempronio), in quanto nei disegni del contraente comune a
un’interdipendenza reciproca tra negozi esclusivamente nella seconda ipotesi, in cui il rapporto di pariordinazione dei medesimi è tale che l’uno dipende dall’altro e viceversa, non significa escludere il collegamento nel caso di univoca dipendenza di un contratto dall’altro.
Si coglie l’occasione per precisare, infatti, che affrontare la tematica del collegamento negoziale nella sua fase patologica, implica evidentemente una preventiva analisi del tipo di condizionamento esistente fra gli schemi negoziali coinvolti nell’operazione.
Quella che corre tra collegamento necessario e collegamento volontario è la più significativa tra le partizioni proposte. Si distinguono, dunque, i casi in cui sia la legge ad introdurre una relazione tra più contratti (ed allora si discorrerà di collegamento “necessario” o “tipico”) da quelli in cui il collegamento trae fondamento dall’autonomia delle parti (ed allora si tratterà di collegamento “volontario” o “atipico”)104.
Pur qualificando come sovrabbondante una delucidazione sulla predetta bipartizione, si vuole tuttavia precisare che il collegamento necessario si manifesta allorché la connessione tra due o più negozi deriva dalla natura di uno di essi, dando vita ad un nesso, per così dire, strutturale, che rende superflua l’indagine in ordine alla sussistenza della volontà, avendo l’ordinamento già valutato l’un negozio presupposto di validità o di efficacia dell’altro. Nella categoria del collegamento necessario, però, sono annoverate ipotesi assai distanti tra loro, perché comprensive di fattispecie in cui l’autonomia privata non può dirsi del tutto irrilevante105. Si distinguono, infatti, le fattispecie in cui un negozio è destinato ad influire sulla nascita (generando l’ulteriore ipotesi classificatoria che
tali negozi, ben può esservi l’interesse unitario al combinato prodursi degli effetti di ciascuno di essi, e dunque si ricorda F. DI SABATO, Unità e pluralità di negozi, cit., p. 436 ss.
104 In tal senso X. XXXXXXXX, I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, cit., p. 130.
105 Si veda X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 7, il quale ricorda che nella categoria del collegamento negoziale necessario la dottrina vi ha collocato ipotesi notevolmente distanti tra loro, in particolare il fenomeno del rapporto tra contratto di locazione e di sublocazione, quello del rapporto tra società e patto parasociale ed ancora il fenomeno del rapporto tra opificio e somministrazione dell’energia necessaria al funzionamento di esso.
L’A. richiama sia la dottrina che ha ricondotto al collegamento necessario il fenomeno del rapporto tra contratto di locazione e subcontratto, sia la dottrina che colloca nel collegamento necessario ipotesi in cui la volontà delle parti è davvero irrilevante, essendo il nesso posto direttamente dal legislatore, precisa altresì per tale ultima ipotesi che si pone piuttosto un problema di interpretazione della legge più che della volontà delle parti. In tale termini, altresì, F. DI SABATO, Unità e pluralità di negozi, cit., p. 428; S.O. XXXXXX – X. XXXXXXXXX, voce Contratti misti e contratti collegati, cit., p. 2.
sfocia nella categoria del collegamento cosiddetto genetico) e sul contenuto di altri negozi, in quanto il nesso è posto direttamente dal legislatore106; le ipotesi di negozi modificativi o estintivi di altri negozi107; le ipotesi di negozi necessariamente collegati su di un piano meramente funzionale, come nei casi dei contratti di garanzia, dei contratti astratti necessariamente collegati al titolo causale che ne giustifica l’efficacia, dei negozi fiduciari e dei negozi indiretti108; ed ancora le ipotesi, o la ipotesi, di negozio accessorio necessariamente (rectius: normativamente) collegato al negozio principale benché “non necessario” ai fine della realizzazione della funzione economica individuale dell’operazione contrattuale realizzata, rimanendo lo stesso una mera eventualità. Il riferimento è al patto di famiglia ed al “successivo contratto” di cui all’art. 758 quater, comma 3, c.c.109.
E, dunque, nonostante l’ampiezza della categoria, pur ammettendo che, di là da questioni interpretative del dato normativo, anche un problema di effetti o di quali effetti (rectius ulteriori effetti) derivino dal nesso (necessario) tra i negozi, sembra diffusa l’opinione secondo cui si ha collegamento in senso tecnico solo in presenza di un nesso “volontario” tra i negozi110, non ravvisandosi per le altre forme di collegamento l’esigenza di analoghi presupposti di rilevanza. Taxxxx xn dottrina è giunto finanche a negare la possibilità logica di configurare il collegamento negoziale in ipotesi in cui la relatio tra più negozi rileva su di un piano strutturale o meramente normativo, tali casi, secondo il citato orientamento, svuotano di utilità la categoria dogmatica de qua, figlia dell’arbitrato e
106 Il riferimento è al rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo.
107 Tra i negozi modificativi si annoverano la rinnovazione e la sostituzione, tra quelli estintivi la revoca.
108 La ricostruzione è ripresa da X. XXXXX, I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit., p. 27 ss., al quale si rinvia in particolare per le interessanti osservazioni sul negozio fiduciario.
109 La dottrina ha subito rinvenuto nel rapporto tra patto di famiglia e successivo contratto di assegnazione un caso di collegamento negoziale, contraddistinto dalla circostanza che benché normativamente imposto rappresenta un caso di collegamento volontario e non necessario se è vero che la creazione dello stesso, è rimessa comunque alla volontà delle parti, sul punto si rinvia a
X. XXXXXX, Il patto di famiglia, in Trattato teorico-pratico diretto da X. XXXXXXXX XXXXXXXXX, Torino, 2011, p. 408; ID., Il patto di famiglia – Uno studio di diritto interno e comparato, in Comparazione e diritto civile, diretta da X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, Torino, 2012, p. 127 ss.
110 In termini, ex multis, X. XXXXXXXX, I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, cit., p. 130; X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, Padova, 2° ed., 1993, II, 1, p. 199; S.O. XXXXXX – X. XXXXXXXXX, voce Contratti misti e contratti collegati, cit., p. 1 ss., nonché X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, Trattato del contratto, diretto da X. XXXXX, XX, Xxxxxx, 0000, p. 180.
dell’ineffabile e dunque talmente ampia ed estesa da perdere in specificità e rendersi non individuabile111.
In effetti pur volendo escludere che in siffatte ipotesi debba procedersi ad una ricostruzione dell’operazione realizzata, in quanto trattasi di nesso (appunto) “necessario”, dirigendosi la volontà esclusivamente in termini di scelta nella realizzazione dell’operazione, le uniche (e pur rilevanti) problematiche che esso determina attengono agli effetti che la combinazione di negozi promana. Ne consegue che proprio su di un profilo patologico, ed in assenza di una risposta a livello normativo, si tratterà di precisare le conseguenze che l’invalidità o l’inefficacia del negozio presupposto sono in grado di produrre sull’altro112.
Sotto altro profilo, si propone la distinzione tra collegamento genetico e collegamento funzionale a seconda del momento in cui si annida il legame113. Nelle ipotesi di collegamento genetico il nesso concerne la fase formativa del negozio114, di contro esso sarà funzionale allorquando un negozio incide sullo svolgimento del rapporto che nasce dall’altro115, realizzando la combinazione di due o più fattispecie l’interesse auspicato dai contraenti.
Ancora una volta l’orientamento dominante ha perimetrato l’indagine sul collegamento negoziale escludendovi il cosiddetto collegamento genetico, né gli orientamenti minoritari sono giunti a conclusioni convincenti, adottando costruzioni facilmente vincibili116. L’obiettivo constava nell’esigenza di evitare di rendere vana la ricerca di regole comuni e generali e dunque di ridurre
111 Cfr. X. XXXX, Note introduttive, cit., p. 3 ss.
112 V. C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa e del tipo, cit., p. 181; ma analogamente anche X. XXXXX, I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit., p. 28.
113 La distinzione è attribuibile a X. XXXX, Contratti parasociali, cit., 68.
114Un’ipotesi, assai dubbia, di collegamento genetico è stata ravvisata nella sequenza contratto preliminare-contratto definitivo. Condivisibile è, tuttavia, l’obiezione secondo cui non potrebbe sussistere un collegamento tra negozi la cui coesistenza è logicamente inconcepibile, nonché in ipotesi in cui le vicende di validità ed efficacia dell’uno non si riversano sull’altro (quello definitivo) purché validamente concluso. Sono altresì ricondotti al tipo di collegamento genetico il contratto normativo e il contratto tipo, rispetto ai contratti definitivi stipulati tra le parti, nonché i negozi di coordinamento. Sul punto si rinvia a X. XXXXX, op. cit., p. 25, secondo cui tale problematica va affrontata con la consapevolezza che, nel procedimento conclusivo del contratto, può verificarsi una sequenza di fattispecie che costituiscono rapporti dal contenuto più o meno vincolante rispetto alla produzione degli effetti definitivi, o, a volte, anticipatorio degli stessi.
115 E viceversa nell’ipotesi di collegamento bilaterale.
116 Si veda X. XXXXXXXXXXXX, voce Collegamento negoziale, cit., p. 378, secondo cui il contratto preliminare e il contratto definitivo danno luogo ad un collegamento genetico, e non vale replicare che “se ai fini del collegamento si richiede una pluralità di negozi per qualche aspetto connessi, questo non implica poi che i diversi negozi debbano operare contemporaneamente; contra X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 15, il quale sostiene che non può tale fenomeno individuarsi in ragione della circostanza che una pluralità di negozi presenta “qualche aspetto” di connessione.
l’espressione “collegamento negoziale” a mera formula linguistica, priva di capacità individuativa117.
Ebbene, in ipotesi di collegamento funzionale il nesso non andrà ad incidere sulla nascita dei contratti bensì sul piano degli effetti che da essi ne derivano, ovvero sullo svolgimento del rapporto che ne consegue. Anche l’interesse della giurisprudenza è pressoché rivolto a tale ipotesi di collegamento, che esclusivamente si eleva a strumento di manifestazione dell’autonomia privata i cui divisati risultati non si palesano perseguibili se non mediante la combinazione degli schemi (e dei relativi effetti) disciplinati dall’ordinamento.
Ammettere che esclusivamente il nesso di natura funzionale abbia rilievo nello studio del collegamento negoziale significa altresì escludere dall’area di interesse il collegamento cosiddetto “occasionale” o “materiale”, caratterizzato da un legame meramente esteriore, che non genera alcun fenomeno di estensione delle vicende giuridiche dell’un negozio nei confronti dell’altro. Trattasi, infatti, di ipotesi in cui contratti strutturalmente e funzionalmente autonomi sono solo casualmente riuniti da circostanze estrinseche, tra cui, a mero titolo esemplificativo, l’unità del documento che li contiene o la contestualità della relativa stipulazione118.
Gli ulteriori criteri classificatori proposti, meno influenti e diffusi rispetto a quelli innanzi esposti, si innescano in quel percorso (di tipo strutturale) che la dottrina, specie quella più risalente, era solita seguire per riconoscere rilievo giuridico al “collegamento”, ne consegue che la limitata ricognizione che si è voluto proporre in tale sede trova motivazione nell’approccio metodologico che si è prescelto. Per converso, infatti, un richiamo puntuale a tutti gli orientamenti susseguitisi, finanche avallato da peculiari fattispecie concrete riconducibili ad
117 In tal senso X. XXXXX, ult. op. cit., p. 15; si veda anche X. XXXXXXXX, Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, cit., p. 30, secondo cui l’espressione “collegamento negoziale” comprende una serie di ipotesi non riconducibili ad un criterio di generale applicazione, tant’è che il collegamento contrattuale non assume autonoma rilevanza giuridica al di fuori dei casi di collegamento per volontà della legge.
118 Si rinvia, ex multis, a X. XXXXXXXX, I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, cit., p. 130, nota 8; C.M. XXXXXX, Il contratto, 1984, cit., p. 454 ss.; X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, cit., p. 188 ss.; X. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 22 ss.; in giurisprudenza Cass. 3 febbraio 1992, n. 1751, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1076 con nota di DE MARI, Collegamento negoziale materiale e legittimazione all’azione di nullità; richiamata altresì da X. XXXXX, op. cit., p. 18, non essendo tali contratti destinati a perseguire un’operazione economica unitaria, il legame estrinseco che li accomuna non è in grado di modificare le sorti e le vicende dei distinti contratti, l’a. nel richiamare “l’interesse”, di cui discorre la sentenza, evidenzia che esso costituirebbe il discrimen tra collegamento rilevante e non rilevante, o, volendo, tra collegamento e non collegamento.
ogni tipologia proposta, non gioverebbe ad un’analisi del tema che si vuole districare lungo un approccio funzionale119. E’ evidente, infatti, che la scelta di riproporre esclusivamente taluni dei criteri utilizzati dalla dottrina “descrittiva” ha un suo speculare ingrediente nell’ormai consolidato superamento, da parte della dottrina “funzionale”, di quelle fattispecie di valore puramente ed esclusivamente descrittivo, che hanno contribuito ad avvallare l’orientamento che discredita il “collegamento” quale autonomo concetto giuridico120.
Non è un caso che a seguire il solco sì tracciato si è giunti ad affermare che esclusivamente sul piano funzionale, esterno al negozio, la categoria dei negozi collegati può ancora celebrare le proprie vittorie121.
Xx allora si deve evidenziare il motivo della scelta metodologica.
Se, da un lato, appare convincente l’orientamento che riconosce una indiscutibile tecnicità al collegamento nell’ipotesi in cui esso risulti volontario e funzionale, dall’altro lo stesso orientamento riflette la propria incompletezza nel negare in modo assoluto la rilevanza giuridica del nesso, per così dire, “tipizzato” dal legislatore, potendo l’interprete ricavare dalla speciale e recente normativa un valido strumento ermeneutico122. Tanto, per precisare che, sebbene l’indagine volgerà allo studio di talune fattispecie inquadrabili sia nella sub-categoria di collegamento “tipico” sia in quella di collegamento “atipico”, considerato che la rilevanza del collegamento necessario è diretta conseguenza di un’esplicita norma oppure della funzione tipica svolta dalle fattispecie connesse, solo in quelle ipotesi definite di collegamento volontario, essa sarà indirizzata alla cognizione (rectius: giustificazione) della rilevanza giuridica della relatio, la quale tendenzialmente si snoda lungo la seguente alternativa: o attribuire all’elemento obiettivo del collegamento un autonomo rilievo o subordinare la rilevanza del collegamento alle determinazioni soggettive degli autori dell’operazione.
119 In questi termini X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, cit., p. 180, il quale richiama X. XXXXXXXX, voce Contratto collegato, cit., p. 49 ss.; X. XXXXXXXXX, Collegamento e connessione tra negozi, cit., p. 357 ss.; X. XXXXXXXX, Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 264 ss.
120 Si rinvia a X. XXXXX, op. cit., p. 17, il quale ripropone in maniera esaustiva le varie posizioni dottrinali, al fine di escludere dal novero dei possibili oggetti della comparazione, le fattispecie di valore meramente descrittive.
121 X. XXXX, Note introduttive, cit., p. 3.
122 Ritiene che non può escludersi a priori che potrebbe essere comunque proficuo verificare l’idoneità della circostanza che due negozi si trovino ad operare legati da un rapporto definibile come di collegamento e ad avere conseguenze anche su piani diversi da quello funzionale X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 34.
Solo alla luce dell’indagine sulla rilevanza giuridica del nesso si giungerà a vagliare la validità della formula simul stabunt simul cadent, al fine di comprendere, in mancanza di un riferimento normativo, i principi mediante i quali essa possa trovare ancora riscontro nella prassi del collegamento contrattuale.
D’altronde, com’è noto, persino le decisioni giurisprudenziali su cui si riflette la prima trattazione organica della materia123 sono state selezionate perché solite ricostruire l’essenza e gli effetti giuridici del fenomeno, ravvisandolo nelle fattispecie connotate dai seguenti tre elementi: (i) pluralità di negozi distinti; (ii) esistenza di un nesso funzionale intercorrente tra tali negozi; (iii) comunicazione, sul piano degli effetti, delle vicende proprie di un contratto anche all’altro contratto collegato o agli altri contratti collegati.
Procediamo, dunque, con ordine.
6. Elementi costitutivi del collegamento negoziale: profili ricostruttivi.
Che si tratta di un tema molto delicato lo si intuisce dalla cospicua produzione dottrinale richiamata, dalla costante elaborazione giurisprudenziale rinvenuta nonché, e non da ultimo, dal successo che tale tecnica di esercizio o di organizzazione continua ad avere nella prassi contrattuale dell’autonomia privata124. Il ricorso a vecchie formule di elaborazione dottrinale, cui è riconducibile il collegamento come concetto giuridico, spesso decontestualizzate dalle fattispecie concrete vagliate di volta in volta dall’autorità giudiziaria, segna tutt’oggi il primo passo da percorrere se si intende comprendere quando e perché il collegamento assume rilevanza giuridica, la disciplina giuridica all’uopo applicabile nonché la comunicazione delle vicende patologiche dall’uno all’altro contratto.
Le ricostruzioni susseguitesi in dottrina e talvolta riprese, anche in maniera acritica, dal formante giurisprudenziale hanno frequentemente anteposto all’analisi effettuale del collegamento, quella strutturale, mediante una ricerca degli elementi costitutivi della fattispecie, di volta in volta selezionati e valutati.
123 Il riferimento non può non essere a GIORGIANNI, Negozi giuridici collegati, cit., p. 3 ss., così come cit. in FERRANDO, I contratti collegati, cit., p. 573.
124 In termini X. XXXXXXX, Collegamento negoziale ed autonomia disciplinare dei contratti collegati, nota a Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n. 18884, in I contratti, 12, 2008, p. 1098; discorre di tecnica di organizzazione finalizzata alla costruzione di un affare X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge. Un classico alla prova i esperienze recenti, cit., p. 1047.
Ne consegue che la corretta identificazione degli stessi tutt’ora costituisce parte di una complessa argomentazione che si pone a completamento dell’indagine sull’individuazione delle diverse tipologie di collegamento, che, ut supra, non sono assolutamente riconducibili all’interno di un unico ampio contenitore.
Ed allora, sul presupposto che si ravvisa il collegamento solo di fronte ad una situazione plurinegoziale, uno degli elementi caratterizzanti la base di tale complessa operazione economica sembrerebbe essere rappresentato proprio dalla pluralità di contratti e dal nesso che funzionalmente li lega.
Trova, pertanto, rilievo il contrasto dottrinale sorto intorno alla selezione dei criteri discretivi in base ai quali distinguere l’unicità della fonte negoziale dalla pluralità, al fine di rintracciare all’interno dell’area delle operazioni contrattuali cosiddette complesse, le figure di collegamento negoziale. La predetta selezione ha consentito, al più, di ravvisare nel criterio di volta in volta vagliato (o a mezzo dello stesso) un elemento costitutivo della fattispecie, salvo poi respingere l’osservazione una volta respinta l’utilità del criterio.
L’attenzione si soffermerà proprio su tale discorso, al fine di chiarire la struttura del collegamento e ricostruirlo nei suoi aspetti essenziali.
Vale però nuovamente premettere, all’analisi dottrinale che di qui a poco si rivisiterà, la seguente osservazione: se in ipotesi di collegamento necessario la chiave di lettura dello stesso, ossia di rintraccio del rilievo giuridico del nesso, è rappresentata dal dato normativo, i dubbi esistono e si concretano solo intorno alla figura del collegamento volontario125.
Si precisa, altresì, che se questo tipo di collegamento rappresenta il cuore pulsante della presente indagine, nonostante la terminologia utilizzata, la ricerca del criterio discretivo tra le ipotesi di unità e quelle di pluralità di negozi finisce per concernere unicamente i casi rientranti nell’ambito “contrattuale”126.
Il contratto, infatti, in armonia con quanto delineato dall’art. 1321 c.c. e dall’art. 1322 c.c., rappresenta lo strumento di autonomia flessibile e multifunzionale per
125 Sul punto non sembrano esservi dubbi, si rinvia a funzionale X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., pp. 38-39; X. XXXXX, op. cit., p. 41.
126 In tal senso ed esplicitamente X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 40 ss.; discorre invece di fattispecie costituita da fatti/atti di varia natura X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., 1989, p. 216; il medesimo rilievo si desume, invece, implicitamente da quei contributi, già richiamati, che, analizzando il tema del collegamento, lo ravvisano unicamente tra “contratti”, come evincibile finanche dalle intitolazioni utilizzate. Si precisa, altresì, che lo studio è stato sempre indirizzato verso la ricerca del discrimen tra contratti misti e contratti collegati, a nulla rilevando le altre forme di manifestazione dell’autonomia privata.
eccellenza, utilizzabile dai privati per la composizione dei loro più svariati interessi e, quindi, per il perseguimento delle più svariate funzioni economiche127. Di talché taluno in dottrina ha ipotizzato l’esigenza di definire correttamente la categoria dogmatica de qua, precisando che, proprio in ragione del criterio discretivo utilizzato di fronte al dilemma unità-pluralità, dovrebbe giungersi ad ammettersene l’utilità esclusivamente di fronte ad un nesso tra contratti. Per meglio dire, se il criterio discretivo tra unità e pluralità negoziale viene individuato nella unità o pluralità funzionale, stimata come corretta l’antinomia secondo la quale ad un’unità di funzione corrisponderebbe un’unità strutturale laddove ad una pluralità di funzioni corrisponderebbe una pluralità strutturale, unicamente di collegamento tra contratti dovrà discorrersi. Tanto perché essendo le altre forme di autonomia negoziale caratterizzate da una funzione astratta predefinita (è il caso del testamento, del matrimonio), l’unicità funzionale non può non tradursi in una semplice unità strutturale128. Invero, giunge a questa conclusione anche quella dottrina che, pur non ricorrendo a criteri di tipo funzionale al fine di individuare la soluzione al problema, finisce per fondare la propria analisi sulla volontà delle parti in ordine alla struttura (unitaria o plurima) dell’operazione; volontà (rectius: disponibilità) che perde certamente rilevanza in relazione a negozi funzionalmente univoci, poiché la realizzazione di quella determinata funziona astratta è, al contempo, necessaria rispetto alla individuazione concreta di quel particolare negozio, e sufficiente ad affermare che un solo negozio di quel tipo è stato perfezionato129.
A sostegno di quanto detto ed in un’ottica comparatistica si richiama altresì la teorica della dottrina tedesca, che da un primissimo discorso improntato sul problema dei verbundene Geschäfte, ossia dei ‘negozi’ collegati, è giunta di poi a discorrere di Vetragsverbindungen ossia dei collegamenti ‘contrattuali’130.
127 Testualmente X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 51 ss., che sottopone a vaglio critico taluni tra gli altri strumenti dell’autonomia privata e, nel sottolineare i connotati del contratto che, in linea di massima, ne spiegano anche un certo grado di indefinibilità, rinvia a X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 22 ss., specie p. 29.
128 D’altronde non è un caso che il discrimen “unità-pluralità” abbia da sempre investito ipotesi riconducibili all’area dei contratti; rispetto alle promesse unilaterali, è stato invece precisato che il discorso non muta in ipotesi di promessa unilaterale tipica, se invece si tratta di promessa unilaterale atipica, l’irrilevanza della questione strutturale è figlia dell’irrilevanza della questione del collegamento funzionale tra promesse unilaterali, sono le parole di X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 65.
129 Ancora X. XXXXXXX, ult. op. cit., pp. 64-65, che richiama i predetti orientamenti.
000 Xx xxxxxx, X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxxxxxx0, Xxxxxx-Xxx Xxxx, 0000, p. 349 ss.; X. XXXXX-X XXXXXXX, Xxxxxxxxxx, I, Allgemeiner Teil, Heidelberg, 1984, p. 182 ss.; X. XXXXXXXXX, Handbuch
Invero, questa è solo una breve parentesi, per così dire “ermeneutica”, utile per la comprensione (o incomprensione) dell’aggettivo qualificativo variamente adoperato in dottrina ed in giurisprudenza di fronte ad un’ipotesi di xxxxx tra schemi negoziali, ma probabilmente destituita di ogni fondamento se solo trae conferma la superfluità del quesito “unità o pluralità negoziale” ai fini della collocazione del regolamento contrattuale complesso nell’una o nell’altra categoria.
Per tale motivo, l’analisi ora promana lungo il tentativo di comprendere l’attualità e l’utilità della ricerca del criterio discretivo, per surclassarne la rilevanza una volta acquisita la consapevolezza dell’eccessivo grado di incertezza e di arbitrio che dominano le argomentazioni formulate dalla dottrina.
Volendo prescindere dagli orientamenti più risalenti131, formatisi sotto la vigenza del codice del 1865, che vennero quasi unanimemente criticati dalla dottrina dominante132, le impostazioni che hanno preso piede nella prima metà del secolo sono state collocate in tre filoni principali133.
Secondo il primo orientamento, al fine di distinguere tra unità o pluralità strutturale, bisogna ricorrere all’elemento soggettivo della ‘volontà’ delle parti, spettando ad esse stabilire il numero di schemi negoziali necessari al perseguimento dello scopo che si sono proposte di raggiungere134.
des Schuldrechts. VII. Das Schuldverhältnis, Tubingen, 1989, p. 157 ss.; X. XXXX-X. XXXXXX-X.X. XXXXX, Das Schweizerische Obligationenrecht, Zurich, 1991, p. 307 ss., dove la tematiche viene affrontata sempre in rapporto alla questione dei contratti misti.
131 Il criterio discretivo è stato di volta in volta rinvenuto nell’unità del documento, nell’unità dell’atto di emissione, nell’unità dell’obbligazione, nell’unità del corrispettivo. Si rinvia, dunque, rispettivamente a X XXXXXXXXX, Gemischte Vertrage im Reichsschuldrecht, in Jher. Ùjahr., (60), 1911, pp. 115-117, secondo cui l’unicità del documento costituisce elemento decisivo perché quell’unità, che di solito è individuabile solo in via di fatto (tatsaclicher Zusammenhang) o da un punto di vista economico (wirtschäftlicher Zusammenhang), emerge anche come unità giuridica (juristischer Zusammenhang); in senso critico X. XXXXXXXX, Allgemeibes Schldrecht des BGB, I, München und Xxxxxxx, 0000, p. 324; sempre criticamente X. XXXXX, Il concordato nel fallimento e prima del fallimento, Torino, 1902, p. 217; per l’ultimo orientamento richiamato X. XX XXXXXXX, I contratti misti, cit., pp. 50-51, che vede nell’unità del corrispettivo “un indizio molto probatorio, poiché le parti fanno corrispondere la determinazione del corrispettivo, nel senso visto, al loro modo di pensare nei riguardi dell’unità, o meno, del contratto”, in Germania, X. XXXX-X. XXXXXX-
X.X. XXXXX, Das Schweizerische Obligationenrecht, cit., p. 310.
132 Forse un po’ frettolosamente aggiunge X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 74.
133 Si veda ancora una volta X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 75, nota 15, secondo il quale l’esposizione più completa di questi tre indirizzi, nella dottrina italiana, è attribuibile a X. XXXXX, Xxxxxxx con esclusiva, cit., pp. 39-46.
134 Principale sostenitore di questa teoria è stato HONIGER, Vorstudien zum Problem der gemischten Vertrage, Freiburg im B., 1906; in Italia l’indirizzo soggettivo è stato sostenuto da X. XXXXXXXXX, Il sevizio bancario delle cassette-forti di custodia, in Riv. dir. comm., 1905, I, p. 196, secondo il quale “quando le prestazioni appariscono tra loro connesse per rispondere ad un fine unico che le parti si sono proposte, si dovrà concludere per l’esistenza di un solo contratto”; T.
In una posizione intermedia trovano collocazione quegli orientamenti che valutano come necessario affiancare all’elemento soggettivo della volontà, quello obiettivo della connessione economica e di fatto tra le prestazioni135. Benché perduri l’elemento soggettivo, tale teoria ha vagliato criticamente il primo orientamento, in quanto la volontà risulta strumentale allo stretto ambito della valutazione degli interessi perseguiti dai privati, o, al più, ai fini dell’individuazione di un eventuale nesso funzionale tra i rapporti coinvolti nella stessa vicenda concreta, ma certamente non utile alla qualificazione giuridica della fattispecie. L’attuazione dell’operazione posta in essere dalle parti è frutto della valutazione fattane dall’ordinamento giuridico, a nulla rilevando a tal fine l’elemento volontaristico, le parti semplicemente mirano al perseguimento di un dato risultato pratico non preoccupandosi, normalmente, del numero di negozi da utilizzare.
La dottrina dominante è apparsa ferma su questa posizione e pertanto favorevole ad un criterio desumibile in base all’elemento oggettivo della connessione economica delle prestazioni, fino a giungere persino al definitivo superamento del ruolo della volontà quale criterio discretivo, ammesso, come è ovvio, che la qualificazione delle fattispecie in termini di unitarietà e pluralità sia davvero indispensabile ai fini della individuazione del trattamento normativo.
Si giunge allora ad esaltare l’aspetto obiettivo dell’atto, inteso come stato di fatto ovvero dichiarazione precettiva cui l’ordinamento ricollega effetti giuridici136.
XXXXXXXXX, Il negozio indiretto e le società commerciali, prolusione catanese del 1939, cit., p. 36 ss., ora in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, pp. 16-17, secondo cui “per aversi un negozio unico (. . .) sembra innanzitutto necessaria l’unicità della fonte e cioè della o delle manifestazioni di volontà dalle quali risulta il negozio”, pertanto, prosegue l’a. “l’elemento decisivo è quello del collegamento nella volontà delle parti dei vari scopi da esse perseguiti: quando gli intendi economici perseguiti dalle parti sono strettamente connessi tra loro può parlarsi di negozio unico”; ID., Contratto misto, negozio indiretto, “negotium mixtum cum donatione”, in Riv. dir. comm., 1930, II, p. 464, dove viene precisato che “elemento decisivo è quello del collegamento nella volontà delle parti”; si veda ancora B. SCORZA, Natura giuridica dell’abbandono della nave agli assicuratori, in Riv. dir. comm., 1932, p. 567; X. XXXXXXX, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1958, p. 427.
135 Si rinvia a X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 76, che ravvisa in Regelsberger e in Xxxxxxxxx, i principali sostenitori di tale teoria poi seguita dalla dottrina italiana, in particolare ci si riferisce a
X. XXXXXX, Il negozio giuridico indiretto, Milano, 1937, p. 85, nota 4, secondo il quale l’elemento della volontà, pur non potendo, da solo, costituire criterio decisivo, darà pur sempre la traccia ad una valutazione giuridica, sia pur condotta sulla realtà obbiettiva della situazione di fatto.
136 Si veda X. XXXXX, op. cit., p. 44, il quale richiama X. XXXXX, Teoria generale di negozio giuridico, cit., 1994, p. 50, secondo cui il solo competente a stabilire effetti giuridici di un dato tipo di negozio è sempre l’ordine giuridico; X. XXXXXXXXXXXX, voce Collegamento negoziale, cit.,
Invero in seno a questo orientamento si colloca sia l’indirizzo che rinviene il criterio discretivo nel numero delle prestazioni concretamente dedotte in contratto e tali per cui l’una rende possibile o consente il sorgere dell’altra137, sia l’indirizzo che ricorre al concetto di causa, tale per cui l’unicità della causa è determinante per ritenere unico il negozio posto in essere138.
Il ricorso a tale ultimo concetto, la causa, ha interessato anche la dottrina formatasi sotto la vigenza del nuovo codice e, nonostante la varietà di interpretazione e di definizioni che si è cercato di fornirne, ancora viene in uso e per la comprensione della categoria dogmatica de qua e per tracciarne una distinzione rispetto alla categoria dei contratti misti139.
Appare però doverosa una precisazione. Se le più recenti elaborazione dottrinali ricorrono facilmente al concetto giuridico di causa allorché si soffermano sul concetto giuridico di collegamento negoziale, occorre distinguere le peculiarità delle tesi avanzate e il fine cui l’elemento causa è preordinato.
p. 376; X. XXXXXXXXXXXX, Il collegamento negoziale, cit., p. 28, il riferimento è comunque ai sostenitori della teoria precettiva del negozio.
137 Si rinvia a X. XXXX, Contratti parasociali, cit., p. 38, da cui si evince che la dottrina maggioritaria fosse concorde nel ritenere decisivo il legame individuabile fra le prestazioni eterogenee, il fatto che poi questo legame venisse descritto in termini di unicità di fine all’interno della volontà delle parti, ovvero di subordinazione funzionale di una prestazione rispetto all’altra, ovvero ancora di unicità di funzione obiettiva, assume rilievo minore rispetto a quanto solitamente si afferma, è della stessa opinione X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 81.
138 V. I. LA LUMIA, Deposito e locazione di opere, cit., p. 923; X. XX XXXXXXX, I contratti misti, cit., p. 55; A. XXXXXX, Il contratto di assicurazione in abbinamento, Roma, 1935, p. 94 ss.; F.M. XXXXXXXX, Sistemi dei contratti di utilizzazione della nave, Milano, 1937, p. 61; X. XXXXX, Vendita con esclusiva, cit., 44 ss., a giudizio del quale “perché un rapporto, da cui sorgano prestazioni molteplici e di diversa natura, debba considerarsi come negozio unico occorre che, nonostante la mancanza di omogeneità, fra le varie prestazioni corra una connessione tale, un tale rapporto di interdipendenza, che unica ne risulti la funzione economica ossia la causa”, invero lo stesso Autore in Le polizza di abbonamento nell’assicurazione (a proposito di un recente libro), in Studi Urbitani, 1936, ora in Scritti giuridici, II, Napoli, 1990, p. 690, precisa che in caso di prestazioni della medesima natura occorre invece, a suo giudizio, far riferimento al criterio della volontà delle parti, così scrive “una casa ed un fondo possono vendersi con un unico contratto o con due contratti distinti. Nell’ipotesi in cui la volontà delle parti sia manifestata in un unico atto, lo stabilire se si verifichi l’una ipotesi o l’altra dipende esclusivamente dalla volontà delle parti. Si avrà contratto unico se la casa ed il fondo sono dedotti in contratto come oggetto di un unico rapporto, come parti di un’unica prestazione; si avranno invece due contratti se la casa e il fondo sono dedotti in contratto come oggetti distinti di rapporti autonomi”.
139 A riprendere il dibattito dottrinale concernente la distinzione contratti collegati, contratti misti è
X. XXXXX, op. cit., p. 45, il quale richiama la nota ricostruzione di Xxxxxxxxxx in merito, precisando che nonostante l’impostazione dichiarata di voler ricusare ogni riferimento al concetto di causa per la identificazione dei criteri distintivi tra collegamento e contratto misto, finisce con l’utilizzare proprio tale criterio. Se infatti, precisa l’Autore, il contratto misto si caratterizza proprio per l’esistenza di una causa unica o di un unico sinallagma, di collegamento potrà trattarsi proprio quando sussistono una pluralità di cause o di sinallagmi.
E’ frequente leggere, anche nel formante giurisprudenziale, il lemma ‘causa’ allorquando si propongono definizioni teoriche del collegamento negoziale ovvero allorquando se ne voglio stilare gli elementi costituitivi.
Rimandando il secondo profilo ad un momento successivo dello studio, il primo punto di vista ci induce a richiamare un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui “il collegamento contrattuale non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un complesso ed unitario risultato economico, non per mezzo di un singolo contratto, ma attraverso una pluralità di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, restando così soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale”140. Viene in tal modo confermata l’utilità del “criterio causa” per differenziare tra loro le fattispecie negoziali complesse o, a dire di altri, i negozi giuridici composti. Tant’è che, volendo riprendere quanto già precisato, ricorre il contratto misto quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto, secondo la maggioranza della dottrina, alla regola della causa prevalente. Quello complesso, invece, allorché alla fusione di più tipi contrattuali fa riscontro l’unicità della causa, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con una tale intensità da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia si che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente indipendenti e tendenti ad un raggiungimento di un intendo negoziale oggettivamente unico141.
Sicché alla stregua dell’operata ricostruzione, il collegamento negoziale potrà ravvisarsi esclusivamente in presenza di una pluralità di cause o di sinallagmi,
140 Si veda, più di recente, Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n. 18884, in I contratti, 12, 2008, p. 1093 ss., con nota di X. XXXXXXX, il quale sembra avallare la tesi che immagina l’esistenza di un negozio di collegamento, precisa infatti l’a. “la disciplina dei negozi collegati si gioca su due piani: quello del singolo contratto collegato, che mantiene la propria autonomia disciplinare; quello derivante dal nesso di funzionalità che lega i contratti, riguardante essenzialmente il problema della trasmissibilità delle vicende patologiche dall’uno all’altro contratto collegato; nonché Cass. civ., 18 luglio 2003, n. 11240, in Rass. dir. civ., 2005, p. 512 ss., con nota di X. XXXXXX, Sulla struttura del collegamento funzionale tra contratti; in Giur. it., 2004, I, 1, 738 ss., con nota di REDI; più di recente, Cass. civ., sez. III, 04 marzo 2010, n. 5195, in Guida al diritto, 2010, 14, p. 61; in dottrina, inter alia, X. XXXXXXXXX, Il credito finalizzato: il credito al consumo, in Obbl. e contr., febbraio, 2006, p. 162.
141 Sono le parole di X. XXXXXX, Sulla struttura del collegamento funzionale tra contratti, cit., p. 512 ss.; ma si veda altresì X. XXXXXXX, nota a Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n. 18884, cit., p. 1102; X. XXXXXXXX, nota a Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2007, n. 7524, in I Contratti, 2, 2008, p. 132 ss., in particolare nota 69, il quale precisa che laddove tutti i contratti perdessero la loro individualità, si innescherebbe un processo di fusione da cui risulterebbe solo un unico contratto complesso.
differenziandosi così rispetto alle ipotesi riconducibili nella categoria del contratto misto o in quella del contratto complesso.
Sicuramente rilevanti appaiono le osservazioni critiche di chi ravvisa nella causa un elemento estremamente controverso, sia per le innumerevoli interpretazioni e definizioni ad essa proposte da dottrina e giurisprudenza, sia per la stessa intrinseca qualità di “concetto giuridico”, tale per cui essa è ben lungi dal rappresentare un sicuro e determinante criterio discretivo. A ciò si aggiunga l’orientamento critico che denota come il ricorso al concetto di causa, intesa nel senso ‘tipico’ di funzione economico e sociale del contratto, determina difficoltà interpretative nelle ipotesi, teoricamente possibili, in cui il collegamento risulti tra più fattispecie assolutamente atipiche142.
Invero, a voler controbattere il citato orientamento, che mina dunque alla classica distinzione proposta dal formante dottrinale e da quello giurisprudenziale tra contratti misti e contratti collegati, distinzione che fonda sull’unicità della causa, da un lato, a fronte della pluralità di cause autonome e distinte, dall’altro, è sufficiente, secondo taluni, portare a completamento l’indagine mediante la ricerca del profilo funzionale della esaminanda fattispecie. Sicché la rilevata pluralità di cause e strutture, determinerà, prima, “l’ulteriore sforzo di giustificare la rilevanza giuridica del collegamento”, e poi l’individuazione e la giustificazione dell’unitario regime giuridico cui saranno sottoposte le differenti fattispecie (sotto il profilo della validità e dell’efficacia)143, mediante il superamento di un approccio meramente descrittivo. La stessa dottrina, di là dalle incertezza sull’utilità del solo concetto giuridico della causa, quale criterio discretivo tra contratti misti e contratti collegati, incertezze che investono in particolar modo il profilo patologico della fattispecie, precisa che le ipotesi normalmente riportate quali esempi di collegamento negoziale si distinguono dal contratto misto, come d’altronde è stato accennato, altresì in quanto solo in
142 In tal senso X. XXXXXXXXXXXX, Collegamento, cit., p. 376: “Ma anche per tale ipotesi dovrà essere sempre possibile a nostro avviso – avendo riguardo al profilo funzionale che costituisce il criterio più affidante – individuare, al di sotto della congerie di atti dalle parti posti in essere, i termini e così gli effetti di ciascun negozio”.
143 Testualmente X. XXXXX, op. cit., p. 55 ss., il quale rileva la necessità di una rivalutazione del problema, considerato che la causa non riesce a spiegare né la rilevanza del collegamento né il suo trattamento normativo, essendo frequenti i casi in cui i giudici di fronte ad un collegamento negoziale, invece di procedere all’applicazione ad ognuno dei negozi collegati della sua disciplina tipica, diversamente da quanto avviene nel caso di contratto misto, hanno proceduto alla disapplicazione di norme e disposizioni, anche inderogabili, proprie del regime riferibile al singolo negozio individuato.
quest’ultima figura è sempre individuabile un unico sinallagma tra una sola coppia di prestazioni, semplici o complesse.
Ancora, nel solco del reiterato tentativo di tracciare i confini interni all’area delle fattispecie negoziali complesse, si inserisce vieppiù quella dottrina che vuole ricostruire il nesso tra i vari contratti collegati, mediante il criterio di interpretazione complessiva del contratto dettato dall’art. 1363 c.c., da applicarsi alla complessa operazione posta in essere.
Per meglio dire, secondo tale orientamento, l’interferenza del tema della causa con quello del collegamento negoziale, si giustifica alla stregua del predetto criterio funzionale, mirante ad individuare il significato del contratto in coerenza con la causa concreta di esso, come integrata dagli interessi determinanti l’operazione144. La risoluzione di gran parte delle questioni che promanano dalla figura del collegamento negoziale sono riconducibili ad un problema tipicamente interpretativo, pertanto è l’intenzione delle parti a consentire la distinzione tra contratti collegati ed unico contratto con causa mista o complessa, da vagliarsi nella sua dimensione oggettiva e avuto riguardo al raffronto tra modello di operazione economica sotteso alla scelta del tipo concretamente posto in essere dai contraenti.
Tale teoria respinge l’idea dell’unicità della causa come limite invalicabile dell’autonomia privata, dovendosi vagliare la stessa in termini di giustificazione razionale dell’affare considerato nella sua interezza145, in quanto la condotta di una delle parti, legittima e ragionevole in astratto e nella prospettiva del singolo contratto, può risultare irragionevole se valutata dalla prospettica dell’ulteriore contratto che forma l’operazione economica considerata nel suo complesso.
Proprio in tale prospettiva e parallelamente a quanto avviene in materia di studi del singolo contratto, dove dalla ricerca sulla volontà delle parti l’attenzione si sposta alla tutela degli interessi coinvolti nel contratto, anche in materia di
144 In tal senso X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, cit., p. 183, quanto precisato si fonda sul rilievo che “è la causa che giustifica il contratto e il relativo regolamento e che pertanto consente di chiarire il significato delle dichiarazioni e dei comportamenti delle parti e di superare eventuali incoerenze, ambiguità o anche discordanze del testo” e poiché la ragione pratica dell’affare, a sua volta, potrebbe essere identificata solo considerando il contenuto dell’accordo in cui si rileva il disegno unitario del contratto, l’interpretazione si verrebbe a tradurre “in un’operazione circolare nella quale le dichiarazioni ed il comportamento delle parti concorrono ad indicare la causa del contratto e questa, a sua volta, concorre a chiarirne il significato”, l’a. cita testualmente C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 433.
145 Ossia di livello minimo di razionalità della scelta dei contraenti, atto ad assicurare la tutela da parte dell’ordinamento giuridico del contratto posto in essere alla stregua della stessa.
contratti collegati ci si è spostati dalla prevalente considerazione della volontà delle parti alla predominante valutazione degli interessi delle stesse, con una transizione dal piano prevalentemente formale a quello evidentemente sostanziale. Questa lettura, segnando evidenti ripercussioni sul piano interpretativo da un lato, eleva il ruolo svolto dall’autorità giudiziaria, tenuta a desumere dal composito regolamento contrattuale l’esistenza di diversi e distinti negozi “avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza”146 e, dall’altro, recepisce un concetto di causa del contratto, indubbiamente conforme ai più moderni concetti di autonomia negoziale e di funzione del negozio giuridico.
Xxxxxxxxxxxx è stata di poi l’attenzione di un giurista sul tema, il quale diversi anni addietro ha avanzato un orientamento simile nelle conclusioni a quello testé citato, che ancora (o solo) oggi si connota di evidente attualità per l’incalzante evolversi della dialettica tra autonomia contrattuale e cosiddetti nuovi “beni”, oggetto di circolazione giuridica prima, e di (eventuale) intervento legislativo poi.
Costui ha sostenuto che il criterio discretivo tra unità e pluralità negoziale va ricercato a monte della “fattispecie”, valutando se la fattispecie concreta costituisca un singolo “accordo” contrattuale, alla stregua dell’art. 1321 c.c. in combinazione con l’art. 1325 c.c., oppure se siano ravvisabili una pluralità di accordi in tal senso147. Il criterio viene successivamente sviluppato e verificato in ordine ad una pluralità di fattispecie, riconoscendo particolare riguardo a quello che, alla fine, è ritenuto l’elemento più significativamente rilevante allo scopo, e cioè la presenza di una pluralità di centri di interesse che – nell’ambito di un’operazione funzionalmente unitaria – perseguono specifici risultati economico- giuridici. In tali casi, lo strumento del collegamento funzionale permette di
146 Cfr. Cass. Civile, sez. II, 27 marzo 2007, n. 7524, in I contratti, 2, 2008, p. 132, con nota di X. XXXXXXXX, Il collegamento negoziale occasionale. In specie la Suprema Corte ha ravvisato un’ipotesi di collegamento occasionale tra singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, solo causalmente riunite, e tali che la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui esse si sostanziano. I giudici di legittimità, considerato che ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale occorre far riferimento alla volontà delle parti, la cui interpretazione costituisce una questione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, hanno appurato che il giudice di secondo grado ha coerentemente interpretato il contenuto degli atti negoziali in questione ed ha svolto un’accurata indagine al fine di stabilire l’esistenza o meno di un collegamento tra detti atti (una procura speciale rilasciata dal marito alla moglie in sede di adozione del regime patrimoniale di separazione dei beni, con facoltà di compimento degli atti di disposizione e con obbligo di rendiconto, ed il rogito notarile con cui la moglie aveva venduto a se stessa la metà indivisa dei beni di esso con prezzo irrisorio), precisando che in specie non poteva essere ravvisata un’unica fattispecie trattandosi di negozi aventi una propria autonomia ed una causa diversa, non essendo stati concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca indipendenza.
147 Così X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., pp. 141-142.
apprezzare e recuperare sul piano interpretativo quell’unitarietà funzionale frammentata in una pluralità strutturale148. Secondo tale impostazione assumono rilevanza le operazioni, quali il leasing finanziario o il lavoro interinale, detto appunto leasing di manodopera, o il project financing, connotate da crescente cooperazione e integrazione tra diversi soggetti, e che non potrebbero essere considerate né alla stregua di contratti plurilaterali, né alla stregua di contratti di scambio. E’ pure evidente come in tal modo gli effetti dell’operato collegamento non si riducano nella possibile estensione delle patologie contrattuali da un contratto all’altro, ma finiscono per investire il principio di stretta relatività degli effetti del contratto149.
L’indagine sembra, dunque, anticipare la problematica poi sviluppata da chi ha assunto la materia e la fenomenologia dei cosiddetti “contratti di rete” come terreno di verifica ma al tempo stesso di superamento dello strumento del collegamento negoziale e della relativa regola aurea del simul.
Nel precisare che sul punto si ritornerà, vale allo stato dotarsi di quegli utili strumenti, variamente selezionati da dottrina e giurisprudenza, preordinati all’accertamento della rilevanza giuridica del collegamento e del suo trattamento normativo, e dunque concentrare lo studio sugli elementi costitutivi del collegamento mediante un’analisi che ancora si connota di profili strutturali. Tanto, non senza segnalare esplicitamente quanto pare desumersi implicitamente dal rivisitato “stato dell’arte” sul dibattito dottrinale unicità-pluralità dei documenti contrattuali. Di là dalle divisate posizioni che hanno negato l’utilità dello stesso alla stregua delle argomentazioni arbitrarie che sorreggono i differenti criteri proposti, ben lontane da un’indagine che si attagli su connotati positivi, si giunge a valicare il dato meramente formale, caratterizzato dalla unità o pluralità degli schemi negoziali, per indagare esclusivamente su quello di carattere sostanziale, rappresentato dalla valutazione degli interessi (o anche dei centri di interessi) sottesi all’operazione contrattuale complessa. Sicché, come avallato anche dal formante giurisprudenziale, il giudice di merito vaglierà l’esistenza di un collegamento contrattuale non (o non più) attraverso elementi formali, quali l’unità o la pluralità dei documenti contrattuali o la contestualità delle stipulazioni,
148 Ancora X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 166, 214 ss.
149 Precisa ancora X. XXXXXXX, ult. op. cit., pp. 219-224.
bensì mediante un’indagine interpretativa e valutativa dell’elemento sostanziale, costituito dall’unicità o pluralità degli interessi perseguiti150.
6.1. Segue. Rilevanza giuridica del collegamento. Teorie soggettive e teorie oggettive.
Una volta rivisitato il dibattito dottrinale sorto intorno al primo degli elementi che costituiscono l’essenza dell’esaminando fenomeno, occorre, in sintonia con la già richiamata (primitiva) impostazione organica sulla materia, volgere l’attenzione al successivo passo ermeneutico seguito dall’interprete, ossia l’individuazione degli ulteriori due elementi, uno soggettivo e l’altro oggettivo, utilizzati al fine di riconoscere il momento in cui il collegamento possa ritenersi esistente.
Lo sforzo dottrinale diffusosi intorno a tale problematica è stato modellato alla stregua della teoria del negozio giuridico, per la individuata natura del collegamento, consistente in un’espressione dell’autonomia negoziale. E’ apparso, dunque, inevitabile identificare nel fenomeno de quo e un sostrato soggettivo e un sostrato oggettivo, tant’è che la quaestio iuris al vaglio della dottrina e della giurisprudenza, nella anzidetta ottica di ricerca della rilevanza giuridica del nesso, non verteva sulla individuazione del valore da riconoscere a ciascun elemento, singolarmente preso e di per sé sufficiente a dare rilevanza al nesso, bensì nella ricerca della modalità di espressione dei predetti criteri oggettivi e soggettivi, qualificati quali semplici canoni interpretativi della volontà delle parti151.
Per meglio dire, se “nella struttura del collegamento vi è dunque un elemento oggettivo che unifica l’operazione economica (lo scopo pratico unitario) e vi è un elemento soggettivo (l’intenzione di attuare il collegamento)”, come è stato sinteticamente ed efficacemente precisato nell’ottica di una concezione puramente formale del contratto152, ci si è chiesti qual è il grado (minimo) di estrinsecazione di entrambi gli elementi che consente all’interprete di riconoscere l’esistenza del
150 Su questa posizione, in giurisprudenza, ex multis, Xxxx. Civ., sez. III, 18 luglio 2003, n. 11240, in I contratti, 2, 2004, p. 118 ss., con nota di F. BRAVO, L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la “sovrapposizione” contrattuale; Cass. Civ., sez. II, 26 marzo 2010, n. 7305, cit.
151 Ricca di spunti e di contenuti è la ricostruzione operata da X. XXXXX, op. cit., p.58.
152 Sono le parole di X. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 578, la quale ha sottolineato che la richiamata impostazione si forma nella culla della concezione dogmatica del contratto, in un clima culturale improntato ad un rigido concettualismo e all’astrattezza del ragionamento, nell’ambito del quale ogni problema di disciplina del contratto finiva per essere impostato come problema attinente la “struttura” del contratto.
xxxxx al fine di trarne le conseguenze che da esso ne derivano. Va da sé che insufficiente e sterile appare l’affermazione secondo la quale affinché possa ravvisarsi una ipotesi di collegamento negoziale è necessaria le presenza congiunta di entrambi gli elementi153.
E dunque, alla sintetica ricostruzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale cui si darà spazio di qui a poco, fino alle più recenti ipotesi ricostruttive, vale premettere che il formante dottrinale ha inteso ravvisare l’elemento oggettivo nel concreto coordinamento dei rapporti e delle vicende nate dalla fattispecie, ovvero nel nesso teleologico o economico tra i due contratti, nella loro interdipendenza, preordinati alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di un assetto economico unitario e globale. Laddove il requisito soggettivo è stato identificato nella volontà comune delle parti di coordinare negozi giuridici distinti verso la realizzazione di un’unica operazione economica.
Come ante precisato, se entrambi gli elementi, anche di fronte ad una ipotesi di collegamento negoziale, si presumono necessari, lo sforzo teorico operato dalla dottrina ha visto, da un lato, schierarsi i sostenitori della teoria soggettiva, secondo la quale al fine di dare rilevanza giuridica alla connessione occorre una esplicita manifestazione di volontà delle parti in tal senso, dall’altro, i sostenitori della teoria oggettiva, secondo la quale la volontà che sorregge il collegamento negoziale può essere anche presunta, e dunque desumersi dalla connessione dei rapporti e delle relative vicende prodotte, destinate alla realizzazione di quell’unicum che denota di complessità l’operazione.
Conformemente ad un primordiale approccio, ben presto superato, che si colorava della matrice culturale in cui il fenomeno giuridico in esame ha avuto emersione, la tradizione pandettistica, la dottrina ha enfatizzato il ruolo dello “scopo comune”, perseguito dalle parti attraverso il coordinamento dei diversi contratti, facendo leva sulla “signoria del volere”, ossia sulla comune effettiva volontà delle parti di legare le sorti dei vari schemi negoziali connessi154. Si discorreva, in proposito, di animus colligandi, quale elemento costitutivo della struttura stessa del negozio, tale per cui “ciascuna dichiarazione di volontà (deve
153 Affermazione ripresa da X. XXXXXXXX, Il collegamento negoziale occasionale, cit., p. 139.
154 V. G. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 578, secondo cui superando la concezione puramente formale del contratto, la teoria del collegamento negoziale finisce per spostare l’attenzione dalla “struttura” alla “funzione” dei contratti, ravvisata nello “scopo pratico” che le parti intendono realizzare con l’impiego di distinti (ma collegati) schemi negoziali.
essere) emessa oltre che con la direzione ad un suo proprio scopo pratico, anche con quella verso un altro scopo pratico: quello di collegare”155.
L’esaltazione dell’elemento volontaristico è emersa anche in orientamenti dottrinali che hanno assunto posizioni più intermedie, aprendosi al cosiddetto “intento empirico” e, con esso, ad una valutazione dell’affare inteso in senso giuridico ed economico. Per meglio dire, il fondamento della rilevanza giuridica del collegamento, secondo questa teoria, risiederebbe sì, nella volontà delle parti, ma emergerebbe in chiave di “intendo”. Pur vagliando positivamente l’accostamento di tale orientamento verso le teoriche oggettive, l’altra parte del formante dottrinale ha biasimato la concreta difficoltà di distinguere tra intendo empirico e motivo, entrambi ancorati su criteri psicologici poco sicuri156, fino ad argomentate come la volontà di collegare dovrebbe, in definitiva, necessariamente obbiettivarsi nel contenuto dei diversi negozi. Tutt’oggi i giudici di legittimità esprimono l’irrilevanza dei motivi anche (e soprattutto) di fronte ad una presunta fattispecie di collegamento negoziale. Si suole infatti richiamare una pronuncia relativamente recente della Suprema Corte157, che sembra promanare interesse proprio per aver escluso il collegamento funzionale tra il contratto di mutuo (rectius: di prestito al consumo) e quello relativo all’acquisto dell’autoveicolo, richiamando a tal fine un orientamento espresso in una pronuncia isolata dello stesso giudice di legittimità, in cui si afferma che “il nesso teleologico unisoggettivo tra i due contratti di mutuo e di vendita, eventualmente tenuto presente dal mutuatario, od anche la consapevolezza, da parte del mutuante, della
155 Testualmente X. XXXXXXXXXX, I negozi giuridici collegati, cit., p. 336. Per una completa rivisitazione degli Autori che hanno sostenuto questa teoria, vagliata anche rispetto a non trascurabili varianti, si rinvia nuovamente a X. XXXXX, op. cit., p. 59 ss.; nonché a X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 245 ss.
156 Nuovamente il rinvio a X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 246, il quale precisa che il ricorso alla categoria di intendo (considerata come qualcosa di diverso sia rispetto alla causa che rispetto ai motivi) è stato assai frequente nella dottrina italiana dell’epoca, sulla scia delle teorizzazioni tedesche di fine ‘800 sulla c.d. Absicht. Questo, ad avviso dell’a., è uno degli indicatori più significativi del disagio avvertito dagli studiosi, stretti tra il dogma dell’irrilevanza dei motivi e le prime concezioni oggettive della causa, le quali ben poco spazio concedevano all’emersione dei reali e concreti interessi che le parti tendevano a soddisfare attraverso il negozio (in merito, cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto, cit., p. 440 ss.).
157 Cass. Civ., sez. I, 8 luglio 2004, n. 12567, con nota di X. XXXXXXX LUONI, Collegamento negoziale e mancata applicazione del principio di buona fede, in I contratti, 1, 2005, p. 28 ss., la Corte non individua nel caso di specie il nesso tra i due negozi per aver impostato l’accertamento del collegamento come questione di interpretazione dei contratti e di ricerca del loro significato e per aver individuato nella menzionata clausola, materiale utile ai fini dell’individuazione della comune intenzione delle parti e quindi della reale funzione economico-sociale che queste intesero dare ai contratti nell’economia dell’operazione programmata; contra, e richiamata dallo stesso a., Xxxx. 20 gennaio 1994, n. 474, in Foro it., 1994, I, 3094.
destinazione della cosa mutuata ad un determinato scopo proprio del mutuatario, costituiscono elementi relegati nel campo dei motivi, non essendo di per sé sufficienti a dar vita ad uno stretto rapporto funzionale di interdipendenza reciproca fra due negozi, per cui lo svolgimento e le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionandone la validità e l’esecuzione”158. La Corte di Cassazione statuisce espressamente l’irrilevanza dei motivi e, di fronte ad un contratto di mutuo finanche qualificato in termini di prestito al consumo, nega la configurabilità del collegamento negoziale, sindacando in tal modo l’indagine del giudice di merito per non aver chiarito “perché mai la circostanza che nel modulo utilizzato nella richiesta di finanziamento fossero espresse le ragioni che avevano indotto il mutuatario a richiedere il mutuo dovesse trascendere la sfera dei semplici motivi, per assurgere a causa del collegamento negoziale, né ha chiarito perché mai il versamento della somma, effettuato dalla banca al venditore su delega irrevocabile del mutuatario, dovesse caratterizzare irreversibilmente il contratto come mutuo di scopo”. Precisa altresì la Suprema Corte che il collegamento deve “esprimersi in termini di causa del negozio e non di semplice motivo che abbia indotto il mutuatario a richiedere la somma in prestito”.
Sulla medesima scia della teorica soggettiva si pone altresì quella tesi estrema, rimasta isolata, che vuole la volontà delle parti non solo espressamente sancita ai fini della giuridica esistenza del collegamento negoziale ma, altresì, preordinata a dar vita ad una autonoma fattispecie negoziale, il cosiddetto negozio di collegamento, su cui è destinata a fondarsi la rilevanza del nesso, indirizzato sotto certi aspetti ad assorbire i singoli negozi tra loro collegati159.
Pur avendo tale orientamento anticipato talune riflessioni della dottrina più recente, soprattutto relativamente all’unitarietà funzionale delle fattispecie caratterizzate dal collegamento negoziale160, esso, quale variante della teoria soggettiva, è stato criticamente vagliato da coloro i quali hanno inteso esaltare l’elemento oggettivo ai fini del riconoscimento della rilevanza giuridica del collegamento. L’altra parte del formante dottrinale, per così dire, ha segnalato che il richiamo all’autonomia contrattuale vale, per lo più, a fornire una spiegazione
158 Così Cass. 14 aprile 1970, n. 1019, in Rep. foro it., 1970, voce Obbligazioni e contratti, n. 77,
p. 1479.
159 Così X. XXXXXX XXXXXXXX, Negozi collegati e negozio di collegamento, cit., p. 837
160 La riflessione è di X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 248, nota 15. Da un punto di vista della funzione, il negozio di collegamento individuerebbe il complessivo intento economico verso il quale sono coordinate le singole fattispecie connesse.
del fondamento teorico della rilevanza giuridica delle interconnessioni tra i contratti, senza avere un ruolo decisivo ai fini dell’accertamento in concreto del collegamento nelle singole fattispecie che l’interprete è chiamato a realizzare. Sicché, considerato altresì che gli effetti dell’atto negoziale sono frutto della positiva valutazione che l’ordinamento dà del regolamento posto in essere e non possono ricollegarsi direttamente alla volontà, è dall’analisi degli elementi obiettivi che può essere verificata la sussistenza in concreto del collegamento. Esso, è stato precisato, sarà riscontrabile nell’unicità dell’operazione economica perseguita comunemente dalle parti, nonché nella subordinazione o nell’interdipendenza che ciascun contratto possa avere nei confronti dell’altro o degli altri cui è collegato161; non di animus colligandi, dunque, dovrà discorrersi, bensì di contenuto obbiettivo dell’atto volitivo.
Per inciso è opportuno evidenziare che l’orientamento dominante in giurisprudenza pur ammettendo l’imprescindibilità dell’elemento soggettivistico, propone il riscontro dello stesso in via interpretativa, potendo la volontà che sorregge il collegamento negoziale rilevare anche in via presuntiva162.
Anche le teorie obbiettive hanno acquisito i più svariati contenuti, assumendo connotazioni più estreme o più rilevanti in taluni casi piuttosto che in altri163.
L’orientamento testé richiamato individua il collegamento nella funzione obbiettivamente perseguita dai negozi, esso rileverebbe nella condizione di strumentalità in cui le parti li hanno posti, di talché, a giudizio di questa dottrina, in luogo della invalsa terminologia “collegamento per volontà delle parti” dovrebbe ricorrersi all’espressione “collegamento per atto di volontà delle parti” onde chiarire che “queste vogliono direttamente l’atto negoziale nella particolare relazione in cui è stato posto rispetto ad altro negozio”, ma “non manifestano
161 In tal senso X. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 591, la quale si colloca nel solco delle critiche più radicali al c.d. dogma della volontà.
162 Fra tutte, Cass. civ, sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24792, cit., dove si legge “l’esistenza di un collegamento negoziale tra due negozi giuridici non può che desumersi dalla volontà delle parti, che possono anche concordare che uno soltanto dei contratti sia dipendente dall’altro, se il regolamento di interessi che l’uno è volto a disciplinare non dipende da quello dell’altro. La relativa interpretazione costituisce una quaestio facti insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e da violazione delle norme ermeneutiche prevista negli artt. 1362 ss. c.c.”.
163 Anche questa volta il rinvio è all’esame delle differenti teorie proposto da X. XXXXX, op. cit.,
p. 62 ss.; nonché da X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 250 ss.
una volontà avente come propria esclusiva direzione l’introduzione del vincolo tra i negozi”164.
Altra dottrina, in una prospettiva analoga, tra gli indici di tipo oggettivo, enfatizza il giudizio di buona fede di cui all’art. 1369 c.c., onde individuare le soluzioni più aderenti al programma economico delle parti, così giungendo ad attribuire al problema della rilevanza giuridica del collegamento portata preminentemente interpretativa165.
Intermedia appare la posizione di chi situa la problematica del collegamento nel più generale ambito della presupposizione, di cui tuttavia viene accolta la versione, per così dire, oggettivata, della Geschäftsgrundlage166.
Sempre nella citata ottica obbiettiva si pone un ulteriore orientamento, avente tutt’oggi seguito in dottrina ed in giurisprudenza, che ravvisa tra le singole fattispecie collegate un ulteriore nesso avente natura causale. A ben vedere, la posizione di questa dottrina può definirsi intermedia in quanto fonda su una nozione di causa del negozio intesa come la sua funzione economico-individuale, e dunque si pone nel solco di quell’ulteriore orientamento, che oggi può definirsi consolidato, che finisce per evocare accanto alla dimensione oggettiva della regola negoziale, intesa quale espressione di finalità individuali, oggettivamente in essa rilevabili, una dimensione soggettivistica e dunque teleologica e funzionale167.
In tale prospettiva si giunge a riconoscere esistenza giuridica al collegamento negoziale alla stregua di quell’ulteriore funzione (rispetto alla causa di ciascun negozio coinvolto) di cui si connota l’intera operazione complessivamente ed unitariamente intesa, che funge anche da monito per giudizi di liceità-illiceità sul regolamento contrattuale unitariamente inteso da parte dell’ordinamento giuridico168. Parte della dottrina e della giurisprudenza discorre così di “fine
164 Così C. DI XXXXX, Collegamento negoziale, cit., p. 341, dalla cui tesi pare evincersi che gli effetti giuridici non sarebbero mai prodotti direttamente dal negozio, che semmai si porrebbe come fonte indiretta dei medesimi.
000 X. X. XXXXXXXXXXXX, Xx collegamento negoziale, cit., p. 157, secondo cui il concetto di buona fede interpretativa, se può essere utile, insieme a quello di cui all’art. 1362 c.c., per rintracciare l’esistenza del collegamento non può però essere utilizzato in modo surrettizio per attribuire rilievo giuridico al fenomeno.
166 Cfr. X. XXXXXXXXX, Negozi collegati in funzione di scambio. Su alcuni problemi del collegamento negoziale e della forma giuridica delle operazioni economiche di scambio, cit., p. 428, posizione qualificata intermedia da X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 251, nota 25.
167 Sono le parole di G.B. FERRI, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico – individuale del negozio giuridico, cit., p. 327, alle cui brillanti riflessione sull’evoluzione del concetto giuridico di causa si rinvia.
168 La Suprema Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza 25 novembre 2008, n. 28053, in Guida al diritto, 2009, 2, p. 68, ha testualmente precisato che “il collegamento negoziale si realizza
ulteriore”, inteso come elemento sintomatico del nesso tra i distinti negozi. In particolare alla luce di alcune pronunce della Corte di Cassazione, questo elemento oggettivo può essere identificato nel “risultato che trascende la funzione dei singoli negozi (…) produttivi di effetti giuridici ulteriori che non coincidono con quelli dei negozi singolarmente considerati”169, ma anche “nell’unico regolamento dei reciproci interessi”170, o, infine, “nella finalità complessiva che (…) rende inscindibile l’assetto economico costituito dai diversi contratti”171.
Nel solco dello stesso trend, la giurisprudenza più recente ha inteso ricorrere al concetto di “causa concreta”172, avente specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella parziale dei singoli contratti, causa rinvenuta nell’interesse che le parti si sono proposte di realizzare con l’operazione negoziale, con conseguente apprezzabilità funzionale dell’interesse espresso nei singoli negozi.
Pur giungendo ad analoghe conclusioni, Xxxxx, uno dei Padri di questa teoria, svilisce l’autonomia dei singoli negozi collegati, rilegandoli al rango di singole
attraverso la creazione di un vincolo tra i contratti che, nel rispetto della causa e dell’individualità di ciascuno, l’indirizza al perseguimento di una funzione unitaria che trascende quella dei singoli contratti e investe la fattispecie negoziale nel suo complesso”.
169 Cass. 9 aprile 1983, n. 2520, in Foro it., 1983, I, 1900 ss.; Cass. 18 gennaio 1988, n. 321, in
Giust. civ., 1988, I, p. 1214 ss.; Cass. 20 novembre 1992, n. 12401, in Foro it., 1993, I, p. 1506 ss.;
Cass. 4 settembre 1996, n. 8070, in I Contratti, 1997, p. 26 ss.; Cass. 23 aprile 2001, n. 5966, in I
Contratti, 2001, p. 1126 ss.; Cass. 23 giugno 2003, n. 9970, in Gius., 2003, p. 2776; più di recente Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2010, n. 11974, cit.; in dottrina, ex multis, X. XXXXX, Collegamento negoziale: funzionale o occasionale?, nota a Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2001, n. 8844, in Giur. it., 2002, p. 1618, secondo cui il collegamento sussiste in presenza di una funzione ultima che ne costituisce il nesso funzionale, altrimenti dovrà dimostrarsi che tra i contratti non esiste alcun nesso, ovvero ne esiste uno solo esteriore, relativo a fattori meramente contingenti. Contraria è la posizione di X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 67 ss., secondo il quale il fine ulteriore non è requisito dotato di valenza generale, poiché caratterizzerebbe solo il collegamento di tipo bilaterale; X. XXXXX, op. cit., p. 56, secondo cui tale ulteriore causa dovrebbe essere indice dell’esistenza anche di un autonomo negozio di collegamento (l’a. infatti precisa che questa tesi ripropone in una mutata ottica oggettiva la teoria, criticata, che fonda il nesso sul c.d. negozio di collegamento), con ciò riproponendosi le problematiche inerenti l’applicazione di una disciplina diversa rispetto a quella tipica del contratto coinvolto, così incidendo sulla qualificazione dell’atto. L’a. riconosce all’elemento causale una mera funzione descrittiva, costituita dalla realizzazione, attraverso una pluralità di fattispecie negoziali, di un intendo giuridico unitario e complessivo; R. CLARIZIA, Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, cit., p. 35 ss., secondo cui il risultato complessivo in cui si identifica il suddetto “fine ulteriore” è privo di rilevanza giuridica, poiché attiene al profilo squisitamente economico.
170 Cass. 18 luglio 2003, n. 11240, in Rass. dir. civ., 2005, p. 512 ss., con nota di MAISTO, e in Giur. it., 2004, I, 1, 738 ss., con nota di REDI; Cass., 12 dicembre 1995, n. 12733, in Giur. civ., 1996, I, 2658 ss.
171 Cass. 28 giugno 2001, n. 8844, cit.
172 X. Xxxx., xxx. XXX, 00 xxxxxx 0000, x. 00000, in Corriere giuridico, 10, 2007, p. 1428, con nota di
A.L. XXXXXXXX, nonché in I contratti, 4, 2007, p. 374, con nota di X. XXXXXXXXX, In materia di leasing finanziario; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2010, n. 3589, in Diritto & Giustizia, 2010, con nota di XXXXXXX; In dottrina C.M. XXXXXX, Diritto civile, cit., p. 422, secondo cui in ipotesi di collegamento negoziale si individuerebbero molteplici interessi (e cause) parziali, realizzate dai singoli negozi, ed un interesse complessivo, quale giustificazione del collegamento.
clausole del regolamento contrattuale, tant’è che, precisa l’Autore, se nel collegamento necessario i singoli negozi che ne fanno parte sembrano poter mantenere una loro sostanziale autonomia funzionale, in ipotesi di collegamento volontario ciò non avviene. Se in astratto ciascun negozio collegato può certamente dar vita ad una regolamentazione economica singolarmente valutabile sotto il profilo funzionale, in ipotesi di collegamento non sarà “l’apprezzabilità funzionale del singolo negozio (come tale)” a dare rilevanza al nesso, bensì la “considerazione dell’apprezzabilità funzionale dell’intera operazione complessivamente ed unitariamente, risultante dal collegamento di cui essa faccia parte”173.
Orbene, di là dai rilievi critici mossi nei confronti di questo orientamento, inerenti in particolar modo la difficoltà pratica di cogliere la distinzione tra causa complessiva dell’operazione posta in essere e cause autonome dei singoli negozi coinvolti, ovvero di cogliere l’utilità pratica della predetta sovrapposizione, se è vero, come è vero, che la causa del collegamento impedirebbe la qualificazione dei singoli contratti nei termini tipici di riferimento, con conseguente rivisitazione strutturale del fenomeno, da vagliare in termini unitari, e revisione dello stesso concetto di negozi collegati174. Di la da ciò, si diceva, la suddetta teoria riconosce all’interprete un ruolo determinante e nel contempo esalta l’interesse o gli interessi delle parti, quali elementi sintomatici della decisione sull’esistenza (rectius: sul rilievo giuridico) del collegamento.
A ben vedere, la giurisprudenza, nel solco di questo trend, per così dire, “obbiettivo”, senza entrare in antitesi con la “comune intenzione delle parti”, la quale finisce per essere ricostruita dall’analisi degli elementi obbiettivi dell’affare, e dunque a posteriori, in via interpretativa, giunge ad apprezzare l’esistenza del collegamento alla stregua degli interessi comunemente perseguiti dalle parti. Vieppiù se si considera che i profili funzionali possono emergere solo successivamente all’interpretazione dello specifico regolamento di interessi, ovvero solo dopo che se ne sia compresa ed individuata “la reale portata, il senso
173 Cfr. G.B. FERRI, ult. op. cit., p. 331, il quale precisa che se l’eventuale nullità dell’intero negozio si fa derivare dalla rilevanza funzionale che la singola clausola nulla ha nel negozio, ai sensi dell’art. 1419, primo comma, c.c., nel collegamento negoziale dalla nullità del singolo negozio deriverà la nullità di tutta l’operazione economica soltanto sulla base della eventuale rilevanza funzionale che, nel collegamento stesso, il negozio nullo possa assumere. Ben potendosi, come accade in ipotesi di nullità parziale, verificare che l’operazione complessiva possa ancora sussistere stante il ruolo marginale del negozio nullo.
174 Sono le parole di X. XXXXX, op. cit., p. 70.
e il ruolo degli schemi tipici, eventualmente coinvolti in concreto”175. Sicché, si è detto, la predominante considerazione degli interessi delle parti, a discapito della volontà delle stesse parti, determina una transizione dell’ambito del problema da un piano prevalentemente formale ad un piano evidentemente sostanziale176. In questa prospettiva è proprio l’abbandono dei criteri formali di indagine, in favore di quelli sostanziali, che consente di riconoscere rilievo giuridico alle relazioni esistenti tra i contratti, secondo una valutazione non frammentaria che permette di tenere conto dell’intera operazione realizzata.
Benché questa disamina pare priva di originalità, in quanto da tempo la dottrina ha sottolineato l’importanza dell’esame degli interessi perseguiti comunemente dalle parti, in vista della realizzazione dell’unitaria operazione economica, onde valutare “se un contratto si ponga come premessa logica ed economica” dell’altro, al punto che il venir meno dell’uno sia tale da lasciare insoddisfatto l’interesse che aveva mosso le parti a contrarre177, il formante giurisprudenziale tutt’oggi definisce il collegamento negoziale come un “meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato a un unico regolamento dei reciproci interessi”178.
Non è casuale che nelle medesime sentenze, in cui testualmente si discorre di “unicità o pluralità degli interessi perseguiti”, la giurisprudenza, nell’ottica della teorica oggettiva, ravvisa nella nozione di causa concreta, ossia di causa intesa come ragione pratica del contratto o, meglio, come “interesse che l’operazione contrattuale è diretta a realizzare”179, il criterio discretivo tra unicità e pluralità dei contratti. Ed ecco che la Suprema Corte giunge ad affermare che le “cause” si mostrano teleologicamente orientate a realizzare quello che è stato definito un “unico regolamento di interessi”180.
175 Così G.B. XXXXX, xxx. op. cit., p. 328.
176 Così F. BRAVO, L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la “sovrapposizione” contrattuale, cit., p. 123 ss.
177 In tal senso X. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 595.
178 I giudici di legittimità in svariate occasioni si sono espressi in tal senso, inter alia, si rinvia a Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2010, n. 7305, cit.; Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n. 18884, cit.; Trib. Rovigo, 10 marzo 2011, n. 26, in De jure.
179 Cfr. C.M. XXXXXX, Diritto civile, 2000, cit., pp. 447 e 452.
180 Cfr. nota 169, e più di recente Cass. S.U., 27 marzo 2008, n. 7930, in Xxxx. xxx. xxx., 0000, 0, x.
000; Cass., sez. II, 26 marzo 2010, cit.
Il quadro fin qui delineato, necessita ora di essere completato mediante le più recenti osservazioni della dottrina e della giurisprudenza, da cui potrebbe trarre conferma la teorica della ciclicità dei corsi storici.
Rappresentano, infatti, spunti di osservazione le riflessioni di chi ravvisa nell’elemento soggettivo, costituito dall’intento delle parti di collegare i vari negozi, lo strumento di rilevanza del fenomeno, anche su di un piano strutturale. Ebbene, questa dottrina richiama un recente orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità che ritiene necessaria l’emersione all’esterno del suddetto “intento”, dovendo il nesso teleologico tra i negozi tradursi “nell’inserimento di appropriate clausole di salvaguardia della parte che vi ha interesse”, ovvero risultare “esplicitato ed accettato dagli altri contraenti, in guisa da poter pretendere da essi una condotta orientata al conseguimento dell’utilità pratica cui mira l’intera operazione”181.
Sicché si ritorna al profilo formale e alla espressa manifestazione della volontà di collegare.
E’ fin troppo presto e fin troppo facile discorrere di casi isolati. Né tantomeno si è in grado di poter concepire un certo ed evidente ritorno al passato, soprattutto se si considera, come taluno ha osservato in dottrina, che finanche dietro i vecchi orientamenti giurisprudenziali soggettivistici si è sempre celata una propensione
181 Cfr. Cass. 16 febbraio 2007, n. 3645, richiamata da X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge. Un classico alla prova di esperienze recenti, cit., p. 1045, nota 5, precisa l’a., per i giudici di legittimità la connessione tra contratti che riflette mere esigenze personali di un contraente, mai esplicitate nel contratto, non potrebbe dar luogo al collegamento negoziale né alle sue conseguenze. La decisione si riferisce al frequentissimo caso del collegamento tra due compravendite, che vede un soggetto contemporaneamente nella qualità di venditore del proprio immobile e compratore di un secondo, collegate nel senso che la prima vendita serve a procurare la provvista per la seconda, la quale perciò richiede di essere conclusa esattamente nello stesso termine nel quale è perfezionata la prima, sì da consentire all’interessato di pagare il nuovo immobile ed avere in sequenza una casa di abitazione. A tale scopo, per il raggiungimento del quale si richiede l’apposizione e il rispetto di un termine essenziale per la stipula della seconda compravendita, la Corte ritiene necessario un collegamento esplicito, attraverso una clausola diversa e ulteriore rispetto a quella della mera apposizione di un termine per la conclusione del definitivo (normalmente non ritenuto di per sé essenziale): una clausola di collegamento, per l’appunto, che renda edotti e partecipi i secondi venditori delle esigenze di coordinamento funzionale della controparte; Corte d’Appello Firenze, 14 settembre 2011, in Obb. e contr., 02, 2012, p. 147, in cui si legge “affinché possa ritenersi sussistente un collegamento funzionale tra due contratti, tale che la risoluzione di uno comporti la risoluzione anche dell’altro, non è sufficiente che si rinvenga un nesso causale e una funzione economica unitaria, essendo necessario che il collegamento venga evidenziato in apposite clausole, e dunque sia espressamente accettato dalle parti contraenti”.
verso le teoriche obbiettive, attraverso l’adesione ad una volontà non necessariamente manifestata in maniera espressa182.
Probabilmente tale orientamento è espressione di una reazione difensiva del formante giurisprudenziale di fronte al dilagante ricorso alla categoria dogmatica de qua, considerate le notevoli conseguenze effettuali che essa determina, o probabilmente una reazione del giudicante di fronte a fattispecie concrete difficilmente qualificabili in termini di collegamento in sede interpretativa.
Non potrà che attendersi l’ulteriore sviluppo della giurisprudenza sul tema, fermo restando che l’incipit “strutturale” di questo studio rappresenta un mero tentativo di descrivere il fenomeno e di porre le basi per il preminente, benché successivo, piano funzionale, esterno al negozio. Sicché restituendo alla giurisprudenza il suo fondamentale potere interpretativo, il collegamento negoziale sarà vagliato attraverso peculiari e selezionate fattispecie di collegamento salvo consentire un’anticipazione, ancora in tale sede, di talune limitate osservazioni in ordine alle problematiche sul trattamento normativo dell’intera operazione, nonché in ordine all’aspetto delle conseguenze giuridiche che da essa discendono, racchiuse nella nota formula del simul.
6.2. Segue. Trattamento normativo. Rilievi patologici.
Tema di analisi e di riflessione della teoria del collegamento negoziale è stato, e lo è tutt’ora, il problema della disciplina applicabile, del trattamento giuridico cui sono sottoposti i contratti collegati, problema che costituisce, come è stato correttamente osservato, il vero banco di prova, uno degli aspetti più rilevante intorno al quale ruota il tema del collegamento, sebbene generalmente solo accennato dagli studiosi del diritto183.
Precisare che oggetto della presente analisi è solo il collegamento volontario rappresenta un’ovvietà, infatti basta all’uopo ricordare che per le fattispecie di
182 Sul punto si rinvia a X. XXXXXXX, Collegamento negoziale ed autonomia disciplinare dei contratti collegati, cit., p. 1101, ed ivi i richiami dottrinali. Se da un’attenta lettura delle massime giurisprudenziali emerge un approccio di favor della giurisprudenza verso posizioni volontaristiche, tale approccio disvela tutta la sua apparenza solo che si ponga attenzione alle motivazioni delle sentenze, ove usualmente emerge un’attenta valutazione in chiave oggettiva del concreto regolamento di interessi.
183 La riflessione è di X. XXXXX, op. cit., p. 76. Benché il contributo dell’a. risalga a più di un decennio fa, essa disvela ancora la sua attualità.
connessione cosiddetta necessaria l’individuazione della disciplina è conseguenza di una precisa disposizione normativa184.
Ed allora l’interrogativo sollecita il “teorico” e si impone al “pratico” esclusivamente di fronte ad una fattispecie di collegamento volontario e funzionale, preventivamente qualificata come tale dall’interprete. Invero, ed anche in tal caso si rammenta il pensiero del giurista, nascendo il collegamento dalla semplice combinazione di due fattispecie tipiche, “ad ogni singola fattispecie collegata potrà, naturalmente, applicarsi la disciplina tipica per essa prevista dal legislatore”. Trattasi però di un’affermazione di principio, che trae fondamento dalla tradizionale dicotomia contratti misti/contratti collegati e dalla circostanza che questi ultimi preservano, nonostante il nesso, la propria funzione tipica, come ampiamente ha sostenuto la giurisprudenza (in parte richiamata nel precedente paragrafo). I contratti collegati saranno pertanto soggetti, quasi per definizione, alla disciplina prevista dalla legge per ogni rapporto individuato, sempre che siano riconducibili ad una fattispecie tipizzata185.
La dottrina si è spesso limitata a precisare che per ciò che attiene alla disciplina applicabile, ciascun singolo contratto, conservando la propria individualità ed i propri requisiti di accordo, oggetto, causa e forma, sarà ovviamente soggetto non solo alla disciplina prevista per il tipo a cui il medesimo è riconducibile ma anche, in ogni caso, alle regole codicistiche sui contratti in generale. Se così non fosse, è stato in più occasioni chiarito, l’individualità propria di ciascun tipo negoziale andrebbe smarrita, i contratti sarebbero fusi in un unico negozio con causa unica ed il collegamento negoziale lascerebbe spazio alla commistione dei contratti, proprio nell’ottica dell’anzidetta dicotomia186.
D’altronde a supporto della tesi testé richiamata, si rinviene quel costante e già ricordato orientamento giurisprudenziale che ravvisa nel collegamento negoziale non un nuovo ed autonomo contratto bensì un meccanismo realizzato mediante una pluralità di contratti coordinati, i quali conservano una loro causa e una
184 Si richiama in proposito l’art. 11, dir. 2008/122/CE, che sul presupposto che il contratto di multiproprietà è sovente parte di un’operazione economica più complessa che porta alla stipula di diverse tipologie di contratti collegati, fissa il dovere degli Stati Membri di garantire che l’esercizio da parte del consumatore del diritto di recesso dal contratto di multiproprietà (o dal contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine) comporti automaticamente e senza alcuna spesa per il consumatore la risoluzione di tutti i contratti ad esso accessori.
185 A richiamare il citato orientamento è, criticamente, X. XXXXX, op. cit., p. 76.
186 Sono le parole di X. XXXXXXXX, Il collegamento negoziale occasionale, cit., p. 143; X. XXXXXXX,
Collegamento negoziale ed autonomia disciplinare dei contratti collegati, cit., p. 1101.
propria distinta individualità giuridica. Sicché, a titolo esemplificativo, nell’ipotesi di contratto di mutuo di scopo in cui sia previsto la destinazione della somma mutuata per l’acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra gli anzidetti contratti, per cui il mutuatario è obbligato all’utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita del bene, da cui consegue il venir meno dello stesso scopo del contratto di mutuo, legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata, direttamente ed esclusivamente al venditore, in ragione del vincolo di reciproca indipendenza187.
Non è un caso, dunque, che nelle medesime sentenze si ricorre al concetto giuridico di causa per sottolineare l’autonomia funzionale dei contratti collegati nonché le peculiarità del collegamento, che a differenza del contratto misto vuole appunto un xxxxx tra schemi negoziali che non perdono la loro individualità. Causa intesa, dunque, non come elemento oggettivo della categoria dogmatica de qua, a mezzo del quale riconoscere rilevanza giuridica al nesso, bensì come criterio discritevo tra unità e pluralità negoziale, a mezzo del quale spiegare il trattamento normativo cui sarà soggetto il suaccennato “meccanismo”.
A ben vedere, però, è stato criticamente osservato che la suddetta impostazione fonda su basi giuridiche non solide, essendo il concetto di causa di per sé insufficiente a giustificare il trattamento normativo del collegamento allorquando l’autorità giudiziaria, proprio in considerazione dell’esistenza di una connessione tra contratti giuridicamente rilevante, ha proceduto alla disapplicazione di norme e disposizioni, anche inderogabili, proprie del regime riferibile al singolo negozio individuato188.
187 Tra gli altri, Trib. Rovigno, 10 marzo 2010, n. 26, cit.
188 Così X. XXXXX, op. cit., p. 54 ss. Si vuole in proposito richiamare, benché non verta su ipotesi di collegamento volontario, il caso di collegamento tra contratto di società e contratto di lavoro del socio lavoratore, che, benché concepito in adesione alle tesi c.d. dualiste, recepite nel diritto positivo con la l. 2001/142, ha determinato un problema di condizionamento reciproco fra i negozi e le rispettive discipline, per scoprire se la contestuale conclusione dei due accordi, programmata per legge, provochi assestamenti nell’attuazione delle regolamentazioni eteronome integrative o se la loro applicazione non subisca variazioni, rispetto a quanto accade fuori dal contesto della società cooperativa. Il quesito non trova univoca soluzione nella legge, la quale non spiega (né avrebbe potuto farlo stante la riflessione teorica che insiste tra mutualità e collegamento negoziale) come tale accordo incida sulle rispettive discipline, rimettendo il compito all’interprete. La tesi prevalente, però, vede in tal caso un’ipotesi di collegamento necessario (discorrendo di collegamento in forma tipica), in quanto l’autonomia negoziale è circoscritta dalle previsioni eteronome e il modello della società cooperativa può ormai aver luogo solo con un collegamento tra più contratti. Nel caso della legge n. 142 del 2001, la volontà di stipulare due negozi non è in
E dunque, a contrario, proprio l’inevitabile spazio concesso all’analisi degli interessi perseguiti è strumentale alla identificazione delle conseguenze giuridiche che rilevano dalle fattispecie di collegamento di volta in volta vagliate, pertanto, ferma l’assoggettabilità di ogni singolo schema negoziale alla disciplina sua propria, forme di adattamento possono trovare giustificazione proprio in considerazione della rilevanza giuridica riconosciuta al nesso.
L’opera interpretativa e di qualificazione in termini di collegamento negoziale, fattane dal giudicante, determina talune conseguenze che traggono la loro ragion d’essere proprio nella categoria dogmatica de qua: la trasmissione delle patologie, la qualificazione dei rapporti (o dei comportamenti) alla luce dell’operazione economica complessiva, la valutazione della illiceità o meno della complessiva operazione, nonché, e non da ultimo, la ricostruzione della disciplina giuridica applicabile. Sicché, come si rileva dalle motivazioni delle sentenze e di là dalla massima estrapolata, l’opera interpretativa supera l’autonomia formale dei singoli contratti inducendo l’interprete a vagliare quali norme si applicano (o disapplicano) all’operazione economica posta in essere rispetto alla disciplina propria di ogni singolo atto contrattuale coinvolto.
Si conviene, dunque, con chi ha precisato, in una più recente ricostruzione, che la “disciplina giuridica applicabile a questo insieme di rapporti non è la mera sommatoria delle norme invocabili attraverso la somma dei contratti, ma quel quid pluris e differente che risulta dall’operazione economica che l’interprete ha ricostruito facendo uso degli ordinari canoni ermeneutici prescritti dalla legge”189. Il procedimento interpretativo sfocia, dunque, nella migliore determinazione della normativa applicabile alla fattispecie di collegamento complessivamente intesa, esplicandosi in una indagine positiva che risente della complessità e completezza del fenomeno, le cui conseguenze non saranno relegate alla sola formula del simul.
discussione e tale combinazione è un effetto della stessa legge, però il punto nodale consta proprio nella interazione tra il nesso indicato dalla predetta legge e la disciplina integrativa, la cui interpretazione non può non adattarsi alle peculiarità del collegamento. Per una interessante disamina sul nesso tra il licenziamento e l’esclusione X. XXXXXXXX, Collegamento negoziale e recesso intimato al socio-lavoratore, in Il lavoro nella giurisprudenza, 5, 2007, p. 444.
189 Sono le parole di X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge, cit., p. 1049, la quale discorre di una costruzione dell’operazione economica unitaria/unica mediante steps successivi. Si veda altresì X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 218, il quale precisa che siccome la relazione fra due o più contratti strutturalmente diversi assume rilievo, sub specie juris, ove sia riscontrabile un unitario assetto di interessi, la disciplina è da modellare come se si avesse dinanzi un unico contratto.
Altra dottrina giunge a conclusioni analoghe mediante una ricostruzione che fonda sull’espressione “unitario regolamento degli interessi perseguiti”, frequentemente utilizzata dalla giurisprudenza per la descrizione del fenomeno. Se in passato si giungeva a considerare l’unitario regolamento come un “nuovo contratto”190, questa dottrina, similmente, oggi suggerisce di ricorrere all’espressione “sovra-contratto” per indicare appunto una sovra-struttura che contempli in sé i distinti contratti dotati di una propria ed autonoma causa, ma collegati l’un l’altro191. Per meglio dire, secondo codesto orientamento, i singoli contratti collegati conservano l’autonomia, l’individualità e l’autosufficienza sotto il profilo strutturale, essendo dotati di tutti i requisiti propri del contratto, enunciati dall’art. 1325 c.c., essi, però, vengono al contempo in rilievo sotto altro profilo, perché, in forza del loro collegamento, vanno a costituire un ulteriore contratto complesso che, sia per evitare ambiguità semantiche sia per rendere ragione della presenza e permanenza dei singoli contratti collegati, viene definito come “sovra-contratto”, dotato di una propria autonoma struttura (sovra-struttura contrattuale). Il suddetto sovra-contratto o contratto sovrapposto, dotato di accordo, oggetto e causa, varrebbe a costituire, precisa l’Autore, una recondutio ad unitatem della tesi volontaristica (soggettiva) e della tesi causale (oggettiva), varrebbe a conservare la rilevanza dei singoli contratti collegati, giustificherebbe la comunicazione delle vicende di un contratto con quelle dell’altro e per ciò che attiene alla disciplina applicabile, ciascun singolo contratto, conservando la propria individualità, sarà soggetto, come di consueto, alla disciplina prevista per il tipo a cui è riconducibile o comunque, in difetto, alle regole codicistiche sui contratti in generale, salvo che <<le operazioni di qualificazione del contratto “composto” non portino a considerare prevalenti la “causa” del “sovra- contratto” rispetto alla causa dei singoli contratti collegati>>.
L’Autore, a supporto della propria tesi, richiama sia il concetto di “causa remota” bettiano192, sia la massima della sentenza della Corte di Cassazione annotata193, il cui incipit, “il contratto di collegamento negoziale non dà luogo ad
190 Il richiamo è a X. XXXXX, La qualificazione, cit., p. 467 ss.
191 La tesi è di F. BRAVO, L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la “sovrapposizione” contrattuale, cit., p. 127 ss.
192 La causa remota, che l’A. definisce particolarmente rilevante ai fini del discorso portato avanti, concerne la connessione eventuale del negozio con distinti rapporti giuridici, siano essi preesistenti, coevi o futuri.
193 Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2003, n. 11240, cit.
un nuovo ed autonomo contratto”, a dire dello stesso, contrasta con la tesi proposta solo in apparenza giacché i giudici di legittimità, da un lato, discorrono di “unitario regolamento di interessi”, ponendo le basi per la teoria del sovra- contratto, dall’altro, delineano il fenomeno mediante una ricostruzione non incompatibile con la teoria proposta, tant’è che, precisa l’Autore, essa rende meglio l’idea degli effetti del collegamento, “offrendo all’interprete un diretto accesso alla disciplina del contratto anche con riferimento alla complessa e unitaria operazione giuridico-economica”.
Sebbene disvela come una versione rivisitata della teoria del nuovo contratto, ancorché più coerente con l’orientamento che vuole gli schemi negoziali collegati come autonomi e distinti da un punto di vista causale, la tesi proposta appare ricca di spunti soprattutto in punto di giustificazione del trattamento normativo cui è soggetta l’operazione di collegamento.
Vale però criticamente evidenziare che, benché tragga fondamento dal lemma 'regolamento’, cui costantemente ricorre il formante giurisprudenziale, non pare possa rinvenirsi nello stesso un’anticipazione della teoria del sovra-contratto, tanto vieppiù se si considera che in giurisprudenza in passato era in uso proprio la definizione del collegamento come “nuovo ed autonomo contratto”, mentre ora si ricorre costantemente alle espressioni di “meccanismo” e di “regolamento unico di interessi”. Appare dunque pletorico utilizzare la formula linguistica (meramente descrittiva) del sovra-contratto per giustificare gli effetti che scaturiscono da un’ipotesi di collegamento contrattuale, soprattutto allorquando l’adattamento della disciplina applicabile all’operazione contrattuale complessa voluta dalle parti è di per sé possibile proprio per l’esistenza del nesso nonché consequenziale all’opera interpretativa del giudicante, senza che ciò svilisca la declamazione dell’unicità del regolamento come strumento di costruzione giuridica del fenomeno194.
194 Eloquente sul punto è l’espressione utilizzata dal Trib. Torino, 22 febbraio 2010, in De jure, secondo cui “per stabilire se ricorra un collegamento negoziale (…) è necessario rifarsi alla volontà delle parti e ricercare oltre i singoli schemi negoziali (ognuno perfetto in sé e produttivo dei suoi effetti e, pertanto, almeno in apparenza indipendente), se ricorre un collegamento specifico, per cui gli effetti dei vari negozi si coordino per l’adempimento di una funzione unica: se, cioè, al di là di quella singola funzione dei vari negozi, si possa individuare una funzione della fattispecie negoziale considerata nel suo complesso, per cui le vicende, o addirittura, la disciplina di ciascuno di essi sia variamente legata all’esistenza ed alla sorte dell’altro”; analogamente ed ivi richiamata Xxxx. 8 luglio 2004, n. 12567.
D’altronde và precisato che sempre in punto di disciplina applicabile, dal nesso di funzionalità che lega i contratti deriva altresì il noto problema della trasmissibilità delle vicende patologiche dall’uno all’altro contratto collegato, su cui il presente studio, anche alla stregua di una metodologia ancora strutturale, non può non soffermarsi.
Occorre in primis precisare che l’autorità giudiziaria investita del potere di intervenire su di una fattispecie di collegamento negoziale da essa stessa rilevata, potrà essere tenuta a vagliare o la trasmissibilità delle vicende patologiche da un negozio all’altro collegato o l’illiceità dell’operazione economica complessivamente intesa, ad onta dell’eventuale liceità della causa di ciascuno dei contratti coinvolti. In tale ultimo caso, come è stato correttamente rilevato, il collegamento negoziale funge, altresì, da strumento interpretativo che consente quel “generale guadagno consistente nel recupero della legalità”. Per meglio dire, all’esito dell’attività interpretativa e dunque ex post, l’interprete potrà rilevare un risultato finale che costituisce elusione di una norma imperativa, in quanto corrispondente ad un assetto di interessi uguale o simile a quello vietato dalla legge. Da qui il capovolgimento del tradizionale rapporto tra illiceità e causa del contratto, che ha consentito alla giurisprudenza di restituire innumerevoli casi di “frode alla legge” realizzati mediante un “congegno” che si manifesta come lecita manifestazione dell’autonomia privata195. Sebbene trattasi di comportamenti ritenuti ad alto grado di pregiudizio sociale, non è questa la sede per dedicarsi al collegamento negoziale inteso come contratto in frode alla legge, pertanto è sulla regola del simul stabunt simul cadent che soffermeremo l’attenzione.
L’analisi dottrinale ha rilevato che oggetto di pressante interesse intorno alla categoria dogmatica del collegamento negoziale è stato (e lo è tutt’ora) il problema delle ripercussioni delle vicende di invalidità o di inefficacia che ogni singola fattispecie coinvolta possa determinare sull’altra. Xxx è stata affiancata la tematica inerente la possibilità per ogni contraente di opporre l’eccezione di inadempimento, quando l’altro non abbia adempiuto alle obbligazioni derivanti dal diverso contratto collegato.
Gli orientamenti susseguitisi, (talvolta) supportati da isolate pronunce giurisprudenziali, hanno consentito di esaminare il fenomeno de quo dalla
195 Cfr. X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e contratto in frode alla legge, cit., p. 1055. Si veda anche X. XXXXX, Contratti collegati e operazioni complesse, in I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Milano, 2007, p. 46.
prospettiva che meglio lo caratterizza (rectius: che in misura maggiore attira l’interprete) e benché forieri di differenti passaggi argomentativi rispetto alle simili conclusioni cui pervengono, tutti (o quasi tutti) rilevano come strumenti di esplicazione della tradizionale regola del simul.
Il suddetto noto brocardo sovente è richiamato sia dal formante dottrinale che da quello giurisprudenziale a supporto delle conseguenze che scaturiscono dal legame tra autonome fattispecie, inerenti gli effetti della trasmissibilità delle vicende patologiche dall’una all’altra fattispecie, di contro però non è mancato chi già diversi anni fa è andato oltre la mera formula linguistica e la sterilità della stessa, ritenendola incapace di dare un’immagine corretta del fenomeno e di risolvere il problema della disciplina allo stesso applicabile, ponendo le basi per una metodologia funzionale che tenesse in debita considerazione gli interessi delle parti, cui costantemente oggi la giurisprudenza ricorre196.
Conformemente non può darsi rilievo assoluto alla precisazione secondo cui qualsivoglia vizio nella genesi e nel funzionamento di un negozio, si ripercuote inevitabilmente sul negozio connesso determinandone la caducazione, pena l’eccessiva semplificazione di un discorso assai più complesso197.
Surclassando le svariate teorie dottrinali proposte198, cui (al limite) un breve cenno potrà vagliarsi come sufficiente, in tale sede poche osservazioni si rilevano utili per l’analisi che si è inteso portare avanti.
In primis, l’individuazione della vicenda patologica oggetto della cosiddetta ‘ripercussione’ del vizio da un negozio all’altro, come effetto ‘tipico’ del nesso. Giova sul punto immediatamente aggiungere che, seppur differente, connessa è la questione dell’opponibilità dell’exceptio inadimpleti contractus nell’ambito dei negozi collegati, vale a dire la legittimità del rifiuto di eseguire la prestazione oggetto di un contratto nell’ipotesi di mancata esecuzione della prestazione cui la controparte è tenuta in forza di altro contratto collegato al primo199.
196 La critica è di X. XXXXX, op. cit., p. 71 ss., il quale precisa che “qui non si tratta di legare le sorti di due regolamenti contrattuali, che altrimenti sarebbero autonomi (…), ma piuttosto di considerare una vicenda nella sua unità funzionale, in cui ogni effetto giuridico trova giustificazione non soltanto nella controprestazione sinallagmaticamente connessa, ma nell’intera attuazione della complessiva vicenda”.
197 Così X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e cessione del contratto: riflessioni sul leasing, cit., p. 1047.
198 Per una completa disamina delle stesse si rinvia a X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 31 ss.; X. XXXXX, op. cit., p. 71 ss.
199 La giurisprudenza costantemente precisa che dal nesso di interdipendenza consegue che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionandone l’esecuzione, la validità e l’efficacia,
In secundis, la imprescindibile rilevanza degli interessi delle parti nell’ambito dell’unitaria e complessiva operazione negoziale posta in essere, tant’è che, se esclusivamente in tale prospettiva ha senso discorrere di disciplina applicabile all’operazione, modellata in virtù dell’asserito nesso negoziale, analogamente (e congiuntamente) è a dirsi per l’influenza delle vicende patologiche, da vagliarsi quali vizi del regolamento plurinegoziale complessivamente inteso.
Ebbene, dal primo punto di vista dottrina e giurisprudenza si sono soffermate sia sulle cause di risoluzione e di rescissione che colpiscono uno dei contratti collegati sia sulle cause di nullità e di annullabilità, precisando in punto di distinzione delle une dalle altre che “le cause di risoluzione e di rescissione sembrano lasciare sussistere un margine di discrezionalità valutativa che consente di stabilire se il vizio-spia del singolo negozio è vizio del regolamento plurinegoziale complessivo (…) sebbene non sia dato rilevare un vizio con riferimento ai singoli negozi, in se considerati, che lo compongono”200.
Invero, e di là dai profili meramente linguistici che escludono che possa parlarsi di comunicabilità dei vizi e conseguente invalidità del negozio connesso, dovendosi più correttamente discorrersi di sostanziale ‘inutilità’ di quest’ultimo, attesa l’impossibilità di svolgere la funzione cui era inizialmente proposto201, và detto che, ed il rilievo è al secondo profilo evidenziato, in ambedue le ipotesi l’interprete è chiamato a vagliare eventuali elementi di incompatibilità con l’originario programma negoziale.
Per meglio dire, l’importanza “non scarsa” dell’inadempimento, ex art. 1455 c.c., l’eccessiva onerosità, ex art. 1467 c.c., così come le cause di rescissione,
rendendo inoltre possibile la proposizione dell’eccezione di inadempimento in relazione a prestazioni del contratto collegato, cfr., tra le altre, Cass.16 maggio 2003, n. 7640, in Gius., 2003,
p. 2262; Trib. Trieste, 27 settembre 2007, in Foro it., 2008, I, p. 1342 ss., con nota di BITETTO; Trib. Nola, 10 aprile 2010, in De Jure; App. L’Aquila, 26 luglio 2011, n. 657, in Giurisprudenza locale, Abruzzo, 2011. Di diverso avviso è stata invece App. Roma con la sentenza 17 giugno 2008, in Obbl. e contr., 3, 2009, p. 271, che in ipotesi di donazione modale, in cui l’assunzione dell’obbligazione da parte dei donatari è avvenuta con atto separato, pur ravvisando tra i due contratti un’ipotesi di collegamento negoziale, non ha accolto la domanda di risoluzione, proposta dagli appellanti (donanti), in quanto “come si desume dall’art. 793, comma 4, c.c., la risoluzione della donazione modale per inadempimento dell’onere può essere domandata solo se espressamente prevista e non anche se l’adempimento dell’onere abbia costituito il solo motivo determinante”.
200 Sono le parole di X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 219.
201 In tal senso DI XXXXX, Collegamento negoziale e funzione complessa, cit., p. 331; SCHIZZEROTTO, Il collegamento negoziale, cit., pp. 196-197, il quale precisa che il collegamento negoziale si informa del principio per cui utile per inutile vitiatur. Ancor prima sosteneva tale tesi
X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, cit., p. 350, secondo il quale se ad esempio uno dei negozi ha causa illecita, gli altri essendo collegati devono considerarsi non illeciti, bensì inefficaci; salva l’ipotesi in cui l’illiceità è frutto proprio della combinazione tra i negozi.
siano esse dovute dall’iniquità delle condizioni pattuite per “salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”202, ovvero dalla enormità della lesione, ai sensi degli artt. 1447 e 1448 c.c., pur determinando in capo al giudicante uno spazio d’azione dotato di maggiore ‘elasticità’203 rispetto alle cause di nullità e di annullabilità, non potranno non indurre lo stesso ad una valutazione che tenga conto dell’operazione economica unitariamente intesa. Sicché, è stato correttamente precisato, in presenza di cause che legittimano l’esperibilità dell’azione di rescissione, poiché il vizio consiste in uno squilibrio economico valutato nel concorso di altre circostanze qualificanti, l’autorità giudiziaria dovrà verificare se tale squilibrio, accertato sul piano del singolo negozio, venga riequilibrato all’interno del regolamento plurinegoziale204. Analogamente, laddove l’inadempimento risulti, in un tale contesto allargato, non avere scarsa importanza (avuto riguardo all’interesse della controparte), sarà precluso il positivo esperimento dell’azione di risoluzione, in quanto non sussisterà alcun vizio rilevante205.
Mutati mutandis, dunque, analoghe considerazioni valgono in punto di invalidità dei contratti collegati. In termini generali è stato precisato che la trasmissione delle cause di invalidità da un negozio all’altro riflette ipotesi di nullità conseguenti a carenze di elementi essenziali in una delle due pattuizioni o alla
202 X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 220, ha però precisato che l’attualità del pericolo e la correlata urgenza di attivarsi per scongiurarlo ovvero per attenuarne la gravità sembrano scarsamente compatibili con la pianificazione di una più complessa (ed equilibrata) operazione plurinegoziale che includa il negozio mercé il quale si cerca di ovviare alla situazione di pericolo.
203 Che consiste appunto nell’accertamento dell’“eccessiva” onerosità sopravvenuta, della “non scarsa importanza” dell’inadempimento, della “iniquità” delle condizioni contrattuali.
204 E’ stato altresì precisato che, sebbene limitatamente al caso di combinazione fra un contratto unilaterale ed un contratto a prestazioni corrispettive, nulla osta però a che una lesione rilevante risulti dalla combinazione di negozi, nessuno dei quali, in sé, lesionario, così XXXXXXXXX, Negozi collegati in funzione di scambio, cit., p. 406, nt. 19; contra X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., p. 224, nota 114, secondo cui valutare il problema in termini di combinazione di negozi, in ciascuno dei quali si raggiunge la soglia massima della non rescindibilità, appare scarsamente coerente con la prospettiva dell’unità del regolamento complessivo.
205 Testualmente X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., pp. 219-220, il quale tuttavia precisa che ove vi sia un collegamento negoziale con diversità di parti, non può affermarsi con sicurezza che lo stato di bisogno e l’approfittamento, una volta accertati sul piano del singolo negozio, siano riscontrabili anche sul piano dell’insieme plurinegoziale (è verosimile che lo stato di bisogno vi sia in entrambi i negozi, se in esso versi il contraente comune a tali negozi; nel qual caso, comunque, sarà l’approfittamento a potersi riscontrare in una ipotesi e non nell’altra). Potrebbero non esservi, nel concreto, uno o alcuni di quei requisiti, dalla cui compresenza discende l’applicabilità dell’art. 1448 c.c.: tale norma, pertanto, non sarebbe invocabile per disciplinare unitariamente l’insieme dei negozi collegati; similmente X. XXXXXXXX, I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, cit., p. 135, secondo la quale, appunto, solo tenuto conto dell’unitario assetto di interessi voluto dalle parti è possibile stabilire se vi sia inadempimento, se questo sia grave, e quindi se possa essere concessa le risoluzione.
violazione di norme imperative, ipotesi di illiceità del contratto ed ipotesi di annullabilità conseguenti ad eventuali vizi del consenso206.
Orbene, una volta superati gli orientamenti che chiariscono la regola del simul ricorrendo alla esplicita previsione normativa207, alla qualificazione del singolo negozio collegato come un semplice fatto o come un precetto208, alla nullità parziale ex art. 1419 c.c.209, nulla osta allo scioglimento del dubbio mediante quell’esclusiva metodica fin qui regolarmente segnalata e che si fonda sul costante modus procedendi dell’interprete di fronte a tale operazione economica complessa: costui dovrà vagliare l’interesse delle parti alla stregua del complessivo regolamento dettato dall’intera vicenda contrattuale, sicché potrà giungersi finanche a negare l’esistenza del vizio all’interno del singolo negozio, se la prospettiva di indagine è l’operazione unitariamente intesa. Per meglio dire, il vizio se esiste è già stato valutato tale alla stregua del complessivo regolamento di interessi210, altrimenti non è vizio, con ciò evidenziandosi l’inidoneità della regola
000 X. X. XXXXX, op. cit., p. 76; in giurisprudenza, a titolo esemplificativo ed in ipotesi di vizio di nullità, si richiama Trib. Rovigo, 10 marzo 2010, n. 26, in De Jure, in cui all’accertata nullità del contratto di compravendita ha fatto seguito la dichiarazione di nullità del contratto di mutuo ad esso collegato. Viene altresì precisato che se la clausola che limita la facoltà di opporre eccezioni è ordinariamente circoscritta al contratto, nel senso che le eccezioni si devono riferire al negozio giuridico nel quale la clausole è inserita, nell’ipotesi di contratti collegati tale regole è derogata, sicché la clausola che impedisce di opporre eccezioni fondate sul rapporto negoziale collegato deve ritenersi vessatoria, e dunque nulla. In ogni caso, precisano i giudici, anche a voler ritenere operativa la suddetta clausola, la accertata nullità del contratto di compravendita inficia comunque quello di finanziamento; si veda altresì Trib. Novara, 13 febbraio 2012, n. 97, in De Jure.
207 Secondo questa teoria, sul presupposto che la sanzione della nullità possa derivare solo da una esplicita previsione normativa, che vieti un particolare tipo di fattispecie, è escluso che l’illiceità di un negozio produca una qualche conseguenza su un altro negozio collegato, si sottolinea inoltre che l’intera materia della invalidità è regolata dalla legge e non vi sarebbe, pertanto, spazio per l’autonomia privata. Criticamente X. XXXXX, op. cit., p. 72, ed ivi i richiami dottrinali. L’a. rileva sia che le conclusione cui giunge questa dottrina porterebbero alla negazione, dal punto di vista delle conseguenze, di ogni rilevanza giuridica del collegamento, sia che lascia perplessi la circostanza che l’ininfluenza dell’invalidità del contratto sulla validità o efficacia dell’altra fattispecie connessa, sia sostenuta proprio da chi giustifica la rilevanza del nesso in termini di presupposizione (e quindi di condizione tacita).
208 V. F. DI SABATO, Unità e pluralità di negozi, cit., p. 437; contra X. XXXXX, op. cit., p. 73 ss.
209 X. XXXXXX, La nullità parziale, in ALPA-BESSONE, 1991, p. 405; SACCO, Il contratto, cit., p. 86, secondo cui la nullità di un contratto si riflette normalmente su di un contratto collegato ma salva sempre la “prova di resistenza” di cui all’art. 1419 c.c.; X. XXXXXXXXX, Collegamento negoziale, cit., p. 379, che ammette la sopravvivenza di quella parte dell’operazione che conserva il suo interesse economico, sia pure ridotto, per le parti. In giurisprudenza, tra le altre, App. Perugia, 12 marzo 2003, in Rass. Giur. umbra, 2003, p. 415. Critica è la posizione di X. XXXXXXX FERRARA, op. cit., p. 326, che ritiene inapplicabile l’art. 1419 c.c. e conseguentemente qualifica nulli tutti gli atti collegati; X. XXXXX, op. cit., pp. 78-79, secondo cui il mancato effetto estensivo lungi dall’essere giustificato dal principio di conservazione, dovrebbe essere invece dedotto proprio dall’accertata carenza di idoneo collegamento tra gli atti considerati.
210 L’espressione è di X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., pp. 221-222; similmente X. XXXXX, Collegamento negoziale: funzionale o occasionale?, nota a Xxxx., sez. II, 28 giugno 2001
n. 8844, cit., p. 1620, secondo il quale ad un’unità funzionale dell’intera operazione deve corrispondere un’unica amministrazione; X. XXXXXXXX, I contratti collegati: principi della
simul stabunt simul cadent, già privata, attraverso le cause di rescissione e di risoluzione, di quell’automatismo storicamente osannato.
La premessa, dunque, di un’operazione di tal guisa consiste nel ritenere errato condurre l’indagine alla stregua di un singolo negozio, ove questo sia parte di un disegno più articolato, pertanto lo scenario di riferimento non può non essere la valutazione dell’assetto di interessi nella sua unità.
Con riguardo all’eccezione di inadempimento, i limiti sollevati ad uno strumento di prevenzione di tal portata fondano principalmente sulla presupposta esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive, in cui sostanzialmente ogni prestazione trova il suo corrispettivo nell’altra e dunque sul nesso di sinallagmaticità che l’art. 1460 c.c. non fa che ravvisare nell’ambito di un unico contratto211.
Il rilievo trova il suo ancoraggio nella frequente ed attuale previsione giurisprudenziale che ravvisa i negozi collegati come strutturalmente autonomi, dotati di propria causa e funzione tipica, sicché privi delle condizioni che consentono di ravvisare un nesso di corrispettività tra le obbligazioni da essi nascenti. Invero, benché la giurisprudenza continua a definire (recitus: descrivere) il fenomeno come strutturalmente caratterizzato dalla presenza di più negozi autonomi, avente causa propria e muniti della propria individualità giuridica, in piena armonia con quella tradizionale incongruenza tra la definizione del collegamento negoziale ed il suo trattamento giuridico che permea lo studio e l’esame del fenomeno212, la stessa giurisprudenza è giunta ad affermare l’esistenza di un nesso di corrispettività fra le prestazioni nascenti da contratti collegati e, dunque, fra le prestazioni oggetto dell’operazione cui essi danno vita.
tradizione e tendenze innovative, cit., p. 137, secondo cui il collegamento da tecnica che consente di far riflettere su di un contratto le vicende proprie dell’altro ad esso collegato, diviene tecnica che rende possibile l’apprezzamento globale dell’operazione contrattuale compiuta, operazione che va perciò direttamente apprezzata dal giudice; X. XXXXX, op. cit., p. 78 ss.
211 Dal tenore letterale della disposizione e dalla natura di rimedio sinallagmatico dell’istituto, si ritiene che l’art. 1460 c.c. debba essere limitato ai soli casi in cui il contratto, non ancora eseguito, abbia ad oggetto obbligazioni poste tra loro in rapporto di corrispettività, analogamente a quanto previsto con riferimento all’azione di risoluzione per inadempimento. Vi è però chi ritiene che l’eccezione di inadempimento avrebbe un ambito applicativo ben più ampio di quello dell’azione di risoluzione e a questo non perfettamente sovrapponibile.
212 Il rilievo è di X. XXXXX, op. cit., p. 82 ss., il quale discorre di disagio manifestato con evidenza nel dibattito dottrinale: ed, infatti, pur sostenendosi e riconoscendosi, in generale, l’incidenza delle vicende di un contratto su quello collegato, si cerca con affanno di accordare tale ripercussione, inquadrandola nell’ambito degli istituti disposti dal codice civile, senza tradire l’affermazione di partenza, costituita dall’assoluta autonomia strutturale e funzionale di ogni atto interessato dalla vicenda giuridica complessiva. A ritenere che il rimedio predisposto dall’art. 1460 c.c. sarebbe invocabile con riferimento ai contratti bilaterali imperfetti, a quelli collegati e ai contratti collegati con comunione di scopo, purché rispetto a questo ultimo si sia verificato l’inadempimento di una prestazione essenziale, è C.M. XXXXXX, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, p. 331.
Si aggiunga che lo stesso formante giurisprudenziale, sempre nell’anzidetta ottica descrittiva, a fronte dell’autonomia strutturale e funzionale dei singoli negozi interessati, discorre altresì di unitario regolamento di interessi alla cui realizzazione essi sono finalizzati e all’interno del quale nulla osta all’individuazione di un sinallagma tra le prestazioni che da esso traggono origine. L’assunta consapevolezza del fenomeno del collegamento negoziale nell’ambito della prassi contrattuale, ha oramai consentito al formante giurisprudenziale di ammettere, ex se, l’opponibilità dell’exceptio inadimpleti contractus e di giungere ad un’allargata nozione di “legame di corrispettività”, ritenuta sussistente anche tra negozi strutturalmente distinti e funzionalmente collegati, in cui la prestazione rimasta inadempiuta e quella scaturente da un diverso negozio di cui si rifiuta l’inadempimento siano legate, appunto, da un vincolo di corrispettività213. Sicché anche il giudizio di conformità a buona fede imposto dal comma 2 dell’art. 1460 c.c., dovrà essere accertato non con riferimento a ciascuno dei contratti collegati posti in essere, ma all’affare nel suo complesso214.
Vale, infine, in tale sede meramente accennare, in quanto il discorso sarà approfondito sol che si passi dal profilo strutturale a quello funzionale, alle ipotesi di collegamento negoziale soggettivamente eterogenee, dovendo distinguere tra negozi stipulati dalle medesime parti e negozi stipulati da parti parzialmente diverse.
L’argomento rileva su di un piano patologico ed ancor più processuale, però, di là dagli effetti che su tali profili ne scaturiscono, è interessante sin da subito
213 La Corte ha poi ulteriormente specificato che benché esercitabile tra contratti strutturalmente diversi, l’eccezione di inadempimento presuppone pur sempre che i due contratti che si assumono collegati siano stati conclusi, poiché essa attiene comunque al momento funzionale di ogni contratto a prestazioni corrispettive, cfr. Cass. 7 giugno 2000, n. 7719, in Rep. Foro it., 2000, Contratto in genere, p. 599. Altresì, Trib. Nola, 10 aprile 2010, cit., che in presenza di un preliminare di vendita ed un contratto di appalto per la realizzazione di una villetta bi-familiare, effettivamente integranti un’ipotesi di collegamento negoziale, ha ravvisato, sotto il profilo sinallagmatico, che il corrispettivo previsto per la realizzazione del contratto di appalto costituisce parte integrante e prevalente del prezzo convenuto per la compravendita del fondo di proprietà dei resistenti, rendendo possibile la proposizione dell’eccezione di inadempimento in relazione a prestazioni dei contratti collegati.
214 Così X. XXXXXXXXXX, Eccezione di inadempimento, in Obbl. e Contr., 10, 2006, p. 833. Particolare è la decisione Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 2011, n. 3392, Operazioni di finanziamento e nullità della clausola di rinuncia all’eccezioni di inadempimento, in I contratti, 11, 2011, p. 994, con nota di T. RUMI, la quale precisa che benché condivisibile è il risultato cui è giunta la Corte, che ha qualificato “nulla” la clausola di inopponibilità delle eccezioni di inadempimento del venditore nei confronti del fornitore, non persuade il percorso argomentativo seguito, in quanto i giudici di legittimità per giustificare la suddetta nullità ricorrono, in modo discutibile, al principio di buona fede, laddove alla stessa conclusione si sarebbe potuti pervenire facendo applicazione della disciplina esistente del credito al consumo (art. 42 cod. cons.).
precisare che anche in tal caso proprio lo “strumento” dell’unitario regolamento di interessi ha consentito il superamento dei limiti posti dalla posizione del “terzo” nell’accezione di cui all’art. 1372 c.c.. Ogni contraente benché parte di un singolo negozio collegato, è altrettanto parte dell’operazione economica complessivamente intesa, tale precisazione, in un’ottica che non perde di vista l’unitarietà del regolamento contrattuale, vale a sgombrare il campo da ogni dubbio sull’esclusione dell’operatività in specie del menzionato art. 1372 c.c., ne consegue che ciascun contratto non potrà dirsi, con riguardo ai contraenti dell’altro, una res inter alios acta, proprio perché unitaria è la divisata operazione economica realizzata215.
Non si taccia, altresì, del vero punctum dolens del suddetto discorso, rappresentato, e di qui il profilo processuale, dalla legittimazione di una parte di un atto negoziale ad agire nei confronti di chi è parte esclusivamente del negozio a questo collegato. Estensione, questa, che ha trovato terreno fertile nel formante giurisprudenziale e in quello dottrinale, tanto da ricorrere alla categoria dogmatica de qua per giustificare l’operatività dell’azione diretta anche in casi, per così dire, limite216.
Classico è l’esempio del leasing finanziario. Nel tentativo di fornire un solido strumento di riequilibrio contrattuale nell’ambito dell’operazione di leasing, in cui frequente è il proposito di far gravare sull’utilizzatore il rischio della mancata o difettosa consegna del bene da parte del fornitore, dottrina e giurisprudenza nettamente allineate nel ricostruire la fattispecie in termini di collegamento negoziale, hanno riconosciuto all’utilizzatore validi sostegni giuridici, al fine di abilitarlo ad agire direttamente, iure proprio, nei confronti del fornitore inadempiente.
Altrettanto consolidato è l’analogo principio espresso nell’ipotesi di contratto di mutuo di scopo, in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto di un determinato bene. Il collegamento negoziale esistente tra i due contratti per cui il mutuatario è obbligato all’utilizzazione della somma mutuata
215 X. XXXXX, Profili di collegamento negoziale, cit., pp. 188-189, se per “terzo” si vuole intendere il soggetto sul cui negozio, volta a volta, si vengono a ripercuotere vicende patologiche dell’altro negozio collegato, al quale egli non ha preso formalmente parte, tale nozione nulla ha a che vedere con il terzo di cui all’art. 1372 c.c., né, quindi, con il terzo di cui all’art. 1411 c.c., che resta pur sempre tale rispetto al contratto concluso tra promittente e stipulante.
216 Sulla c.d. azione diretta, sebbene nella peculiare figura del subcontratto, X. X’XXXXXXXXX, Il subcontratto, in Obbl. e contr., 6, 2006, p. 543 ss.
per la prevista acquisizione, determina che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita del bene, che importa il venir meno dello stesso scopo del contratto di mutuo, legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata non al mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente al venditore217.
D’altro canto, come si avrà modo di evidenziare, analogo riscontro si è registrato nel dato positivo, infatti non può non venire alla mente il nuovo art. 125-quinquies t.u.b.218, che in materia di contratto di credito al consumo detta le regole per disciplinare l’inadempimento del fornitore, legittimando il consumatore a chiedere la risoluzione del contratto alla duplice condizione che l’inadempimento, del quale il fornitore si sia reso responsabile, non sia di “scarsa
217 Testualmente Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2010, n. 3589, cit., il suddetto principio è stato affermato anche da Xxxx. 23 aprile 2001, n. 5966, in Rass. dir. civ., 2003, p. 489, con nota di MAISTO, La logica del collegamento funzionale tra contratti nell’attuale esperienza giuridica, il mutuatario, il quale impiega la somma secondo la destinazione prevista in contratto, sostanzialmente non ricava alcun vantaggio, perché non consegue la proprietà del bene, sicché in difetto di sinallagma della fattispecie complessiva risultante dal collegamento negoziale, il venditore, che riceve la somma mutuata, deve restituirla; precisa, inoltre, Trib. Rovigo, 10 marzo 2010, n. 26, cit., che la facoltà concessa al consumatore non è esclusa dalla mancanza della clausola di esclusiva tra l’istituto erogante e il fornitore di servizi, posto che la Corte Europea di Giustizia, con sentenza del 23 aprile 2009 – nella causa C- 509/2007 – su ricorso del Tribunale di Bergamo, ha stabilito che “ove la normativa applicabile alle relazioni contrattuali prevede la possibilità per il consumatore di procedere contro il creditore per ottenere la risoluzione del contratto di finanziamento e la restituzione di somme già corrisposte, la direttiva 87/102 non prescrive che siffatte azioni siano subordinate alla condizione di esclusiva in questione” con la conseguenza che non è necessario tale presupposto per l’esercizio dei diritti di parte. Inoltre la stessa sentenza precisa che tale condizione può essere prevista solo per far valere altri diritti, non previsti dalle disposizioni nazionali in materia di relazioni contrattuali, come il diritto al risarcimento del danno causato da inadempienza del fornitore. Il Trib. di Torino, invece, con sentenza 22 febbraio 2010, cit., in un caso simile, contraddistinto però dalla presenza nel regolamento contrattuale della suddetta clausola di esclusiva, ricorre alla stessa sentenza della Corte Europea di Giustizia, per escludere la vessatorietà della clausola nonché la richiesta di disapplicazione dell’art. 42 cod.cons. per contrasto con la ratio della direttiva Comunitaria n. 87/102/CEE, sul presupposto che secondo i giudici comunitari la normativa comunitaria, la quale prevede il requisito di esclusiva, si pone rispetto alle singole legislazioni nazionali solo come tutela minima e non esclude che gli Stati membri possano mantenere o adottare misure più severe per la protezione del consumatore.
Ovviamente non si taccia della circostanza che l’assetto della tutela del consumatore è mutato con la direttiva 2008/48/CE, che nel ravvisare un collegamento ex lege non prevede più la presenza di un vincolo di esclusiva tra creditore e fornitore, come appresso si dirà.
218 D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva 2008/48/CE ed ha novellato gli artt. 121 ss. del testo unico bancario; a titolo esemplificativo si ricorda altresì l’art. 11, dir. 2008/122/Ce, secondo cui tenuto conto che il contratto di multiproprietà è parte di un’operazione economica più complessa che porta alla stipula di diverse tipologie di contratti collegati, fissa il dovere degli Stati membri di garantire che l’esercizio da parte del consumatore del diritto di recesso dal contratto di multiproprietà (o dal contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine) comporti automaticamente e senza alcuna spesa per il consumatore la risoluzione di tutti i contratti ad esso accessori, sul punto si rinvia a X. XXXXX, Diritto di recesso, divieto di acconti e prospettive applicative nella dir. 2008/122/CE in materia di contratti di multiproprietà, in Obb. e contr., 11, 2009, p. 917.
importanza” (ai sensi dell’art. 1455 c.c.) e che il consumatore abbia preventivamente ed inutilmente costituito in mora il fornitore.
Come precisato l’approccio funzionale, più consono alle peculiarità del problema, consentirà di tornare in seguito sul tema delle azioni dirette, pertanto un’ultima osservazione si intende rilevare. Il riferimento è ad una pronuncia resa in punto di giurisdizione dai giudici di legittimità a Sezioni Unite, poiché connessa ai rilievi patologici del collegamento negoziale e dunque ai profili processuali con essi attinenti 219.
Le Sezioni Unite hanno posto una netta distinzione tra gli aspetti processuali e quelli sostanziali della fattispecie di collegamento, precisando che la clausola di proroga della competenza giurisdizionale è volta a regolare profili processuali e non diritti ed obblighi inerenti al rapporto, pertanto essa spiega effetti sul piano processuale e la sua validità non è soggetta a controlli intrinseci collegati alla disciplina del rapporto sostanziale. In specie la clausola di proroga della competenza giurisdizionale di cui all’art. 17 della Convenzione di Bruxelles era contenuta nel contratto di deposito e non in quello collegato di agenzia, sicché ne è stata esclusa l’estensione a controversie relative ad altri contratti diversi benché collegati a quello cui la clausola accede. Per meglio precisare la Corte ha chiaramente ed espressamente negato la rilevanza del collegamento in punto di giurisdizione, precisando che è escluso che tramite la clausola compromissoria contenuta in un contratto, la deroga alla giurisdizione del Giudice ordinario ed il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative a contratti collegati.
La decisione dà adito a riflessioni sull’ambito di rilevanza giuridica del collegamento negoziale, avendo le Sezioni Unite affermato un principio generale che va al di là della restrittiva interpretazione cui sono subordinate le condizioni di validità della clausola di cui all’art. 17 della convenzione di Bruxelles. L’indagine consta della individuazione degli argini entro cui la predetta esclusione opera, il collegamento, infatti, spiega sicuramente effetti su di un piano
219 Cass. civ., sez. un., 14 giugno 2007, n. 13894, in Guida al diritto, 2007, 37, p. 58, sulla base dei principi stabiliti dall’art. 5 convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, dalla l. n. 218 del 1995 e dalla Convenzione di Roma del 19.06.1980, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva affermato la giurisdizione del giudice italiano interpretando il paragrafo 269, 1,
B.G.B. – secondo cui, ove il luogo dell’esecuzione della prestazione non sia determinato dalle parti o non possa desumersi dalle circostanze, coincide con il luogo di residenza del debitore al momento della costituzione del rapporto – in conformità con la giurisprudenza tedesca, nel senso che nelle controversie relative ad obbligazioni collegate ad un determinato territorio, come quelle nascenti da un contratto di agenzia con diritto di esclusiva, la competenza spetta al giudice del luogo ove ha sede l’agente.
processuale, e, sebbene appare semplicistico in tale sede elencare una sintesi dei medesimi, si ritiene, a supporto, bastevole ricordare il riferimento alle suddette azioni dirette. L’analisi si profila più complessa di quanto possa apparire.
Tanto, vieppiù, se si considera una recente pronuncia con la quale la giurisprudenza di legittimità, proprio alla stregua del nesso esistente tra due negozi, rilevato dal giudice di merito, ha ritenuto applicabile la clausola di deroga della competenza territoriale benché integrante il contenuto contrattuale di un unico atto negoziale220.
Nonostante il rilevante profilo di interesse che si erge dal discorso, non è questa la sede per approfondire circostanze di preminente rilievo processuali, per cui sarà sempre nell’ottica dei rilievi di diritto sostanziale che proseguirà la presente indagine.
220 Cass. civ., sez VI, 8 febbraio 2012, n. 1875, in Red. giust. civ. mass., 2012, 2, nella specie la
S.C. ha ritenuto applicabile, in forza del collegamento negoziale, la clausola di deroga della competenza territoriale contenuta nel solo contratto di conto corrente bancario, collegato ad un contratto di acquisto e negoziazione di strumenti finanziari.
CAPITOLO SECONDO
Ipotesi di collegamento negoziale: tra tradizione e tendenze innovative
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Contratto di credito al consumo. Il dato normativo “preunionista”. – 3. Il dato normativo successivo alle direttive comunitarie. - 4. Il contratto di credito collegato. Definizioni e rilievi disciplinari. - 4.1. Segue. Il ruolo della giurisprudenza nella ricostruzione del fenomeno e ... 4.2. ... statuizioni sul regime delle eccezioni. - 5. Contratto di leasing finanziario: specificazioni. - 6. Qualificazione giuridica del fenomeno: la rilevanza del collegamento negoziale. - 6.1. Tutela dell’utilizzatore tra azione diretta e disciplina applicabile. -
6.2. La critica della dottrina. - 6.3. Clausola di inversione del rischio. - 7. Contratto di handling: cenni. - 7.1. Contratto di handling e trasporto aereo: un collegamento funzionale? - 8. Contratto di concessione di vendita: cenni. - 8.1. Inquadramento sistematico e … - 8.2. Segue: … collegamento negoziale.
1. Premessa.
Sin dalle prime parole di questo studio si è tentato di giustificare l’approccio metodologico preferito. Delineare il percorso scelto infatti ha significato motivare l’analisi di un tema su cui sono state negli anni spese pagine e pagine di inchiostro, ha significato rimarcarne i profili di novità, ha significato identificare quei contenuti che non ne sviliscono la rilevanza ovvero che ne impediscono un uso distorto, di fronte a quei regolamenti contrattuali che seppur complessi solo apparentemente appaiono sussumibili nella categoria dogmatica de qua.
Ebbene, come già precisato, dall’analisi del “tipo” normativo introdotto e regolato dal legislatore, che si condurrà senza mai perdere di vista il ruolo del giudice e dello studioso, l’attenzione si sposterà sul caso “atipico” di collegamento negoziale fondato sul mero dato giurisprudenziale, che ha sempre (o quasi sempre) esaltato il ruolo dell’interprete nella valutazione degli interessi concreti, caso privo di appiglio normativo ma già giunto ad un non trascurabile grado di tipicità sociale. Infine si osserveranno peculiari esempi di operazioni contrattuali complesse di ancora dubbia tipicità sociale e di improbabile collocazione nella categoria giuridica de qua, come a breve si preciserà.
Dopo un esame del fenomeno di tipo strutturale, ancorché ancorato, lo si ribadisce, agli orientamenti del formante giurisprudenziale221, si giungeranno ad esaminare ipotesi di collegamento negoziale appartenenti ai modelli esemplificativi richiamati.
221 Sul punto si rinvia al capitolo precedente.
E dunque, il primo tassello è costituito dalla classica figura del contratto di credito al consumo, che si inserisce all’interno di quella che si è soliti definire “politica europea di protezione e tutela dei consumatori” che si è andata progressivamente sviluppando a partire dalla metà degli anni settanta del XX secolo, seppur in maniera settoriale, disorganica ed episodica222. L’intervento del nostro legislatore, e quindi quell’appiglio normativo di cui si diceva, è stato provocato proprio dalla spinta europeista, in particolare da ultimo dalla direttiva 2008/48CE, che ha abrogato la precedente direttiva 87/102/CEE, costituendo oggi l’attuale parametro di uniformazione delle discipline nazionali in materia di credito al consumo.
La seconda ipotesi di collegamento negoziale che si andrà ad esaminare, in particolare in quell’ottica funzionale che consente alla categoria dei negozi collegati, come da taluni precisato, di celebrare i propri trionfi223, si inserisce nel solco di quel condivisibile orientamento che ha ravvisato nella categoria, se accettata, dei contratti di impresa le novità più significative in tema di contratti collegati224. Dagli anni settanta in poi si è assistito ad una fioritura di nuove figure contrattuali avvenuta per opera dei mercatores, il superamento dei confini nazionali del diritto commerciale e la sempre crescente incidenza che il diritto comunitario ha al suo interno, ha consentito la diffusione di figure contrattuali le quali benché prive di tipicità legale, hanno da tempo superato il traguardo della tipicità sociale225.
Tra esse certamente si colloca il contratto di leasing, che può essere sicuramente considerato tra gli esempi più significativi di collegamento negoziale come dimostrano sia il fatto che all’argomento sono state dedicate monografie, saggi ed articoli, sia il numero delle decisioni giurisprudenziali ad esso dedicate e puntualmente esaminate in un’ottica sistematica che non tace sulla figura del collegamento.
222 Per una panoramica sull’evoluzione della politica europea di protezione dei consumatori, R. TORINO, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, Torino, 2010, passim.
223 Così X. XXXX, Note introduttive, cit., p. 8.
224 In tal senso X. XXXXXXXXX, Contratti d’impresa e collegamento negoziale, cit., p. 9.
225 Ancora X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 23, il quale nel richiamare talune delle predette nuove figure contrattuali, leasing, factoring, forfaiting, franchising, quali esempi più noti, osserva che nessuno dei nuovi contratti, ad eccezione di quello che si chiamava contratto di crociera turistica e che dal 1995 è contratto tipico denominato “contratto di viaggio”, ha ricevuto il sigillo della tipicità legale, ad onta della circostanza che tutti avessero raggiunto a pieni voti il traguardo della tipicità sociale.
Anche negli altri ordinamenti l’emersione del leasing nel mondo degli affari ha determinato una prassi pressoché omogenea, caratterizzata da una precisa successione di atti, funzionali alla realizzazione di un’operazione economica unitaria.
Ma sul punto si ritornerà.
Allorquando l’attenzione si sposterà su ulteriori due figure, inquadrabili anch’esse nella categoria dei contratti di impresa ma di più recente diffusione, ovvero il contratto di handling e la più ampia fenomenologia dei contratti di concessione di vendita, le quali danno sicuramente luogo a complesse operazioni contrattuali, l’analisi sarà condotta facendo seguire all’iniziale approccio descrittivo una successiva valutazione funzionale. Ebbene, nel rinviare l’analisi alle pagine successive di questo studio, si vuole sin d’ora anticipare che di fronte a teoriche che ravvisano nelle anzidette figure esempi di collegamento negoziale, non v’è chi non veda un contestuale e indiscriminato uso della categoria dogmatica de qua, a discapito della necessaria esaltazione degli interessi sottesi al programma unitario voluto dalle parti alla cui realizzazione i differenti contratti sono preordinati.
2. Contratto di credito al consumo. Il dato normativo “preunionista”.
E’ fin troppo noto che il contratto di credito al consumo è, al contempo, fonte ed espressione di quella società di consumi che in assenza di esso non avrebbe potuto svilupparsi in maniera così significativa dalla seconda metà del XX secolo226.
In termini economici rappresenta un importante canale di finanziamento ed uno strumento di implementazione della circolazione di quei beni (c.d. durevoli) i cui costi generalmente oltrepassano il limite del reddito del consumatore. Costui, infatti, invece di attendere di possedere per intero la somma di denaro richiesta dal venditore o dal fornitore, ricorre al credito concessogli (sotto forma di dilazione di
226 Dati e indagini statistiche sul giro d’affari che gravita intorno al fenomeno del credito al consumo sono ricorrentemente condotte dall’Associazione bancaria italiana e dalla Banca d’Italia, sono indagini stimate considerando a parte i mutui bancari destinati all’acquisto di abitazioni, i quali non rientrano nella definizione legislativa di credito al consumo; a latere, però, non si tace della contestuale e preoccupante analisi sulla crescita dell’indebitamento degli italiani, sul punto si rinvia a X. XXXXXXXXXX, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori (d.lgs. 13.08.2010,
n. 141), in Obbl. e Contr., febbraio, 2011, p. 125; X. XXXXX e X. XXXXXXXX, La direttiva sul credito ai consumatori: alcune implicazioni giuridiche ed economiche, in Banca Impresa Società, 2008, n. 2, p. 291 ss.
pagamento, di prestito o di altra facilitazione) dal finanziatore, ovvero da colui che agisce nell’esercizio della propria attività professionale.
In termini giuridici il credito al consumo è stato per lungo tempo affidato unicamente all’autonomia dei privati, che, attraverso la tecnica del contratto per adesione, predisposto dalla parte forte del rapporto, si concretizzava in una struttura bilaterale tra produttore e consumatore, in virtù della quale il finanziatore-creditore era rappresentato dal produttore stesso (o dal commerciante dettagliante) del bene di consumo.
I prevalenti orientamenti dottrinali nel negare la riconducibilità del fenomeno de quo nel genus “contratti di credito” e talvolta nel negare l’esistenza della stessa categoria dei contratti di credito, per la difficoltà di ricondurre in uno schema causale unitario e constante le diverse fattispecie negoziali ad essa (solo) potenzialmente riconducibili227, si sono interrogati sull’inquadramento sistematico del fenomeno credito al consumo, fondando l’impianto teorico sul pressoché riconosciuto (giuridico) collegamento tra l’acquisto ed il finanziamento228.
La valutazione della fattispecie negoziale in chiave unitaria sia da un punto di vista prettamente economico-finanziario, sia da un punto di vista più propriamente giuridico, così come l’oggettiva difficoltà di ricondurre il fenomeno all’interno di un archetipo conosciuto, non hanno però costituito valide ragioni di intervento per il legislatore interno. Sicché la risposta ai conflitti sollevati dal credito al consumo, connaturali ai contrapposti interessi e alle contrapposte posizioni economiche occupate dalle parti, ovvero dall’impresa di finanziamento e/o di produzione di beni e servizi da un lato, e dall’individuo (persona fisica) dall’altro, è stata rinvenuta da parte di dottrina e giurisprudenza sia nella disciplina generale
227 Il dibattito dottrinario sull’esistenza della categoria dei contratti di credito, si è diffuso in Italia sulla scia di quanto accadeva nell’ordinamento tedesco che lo ha ricondotto ad uno schema negoziale unitario sotto il profilo causale, c.d. Kreditvertrage. Tra gli altri, si rinvia, a X. XXXXXX, “Soggetto” e “Contratto” nell’attività bancaria, Milano, 1981; con riferimento al credito al consumo, D. LA ROCCA, La qualità dei soggetti e i rapporti di credito, Napoli, 1992.
228 X. XXXXXXX, Il credito al consumo, in Trattato dei contratti, I contratti dei consumatori, cit., p. 544, il quale riferisce che l’unitarietà della fattispecie giuridica, a dispetto dell’inerzia del legislatore, era ed è sottolineata dalla frequente appartenenza del finanziatore al medesimo gruppo economico del fornitore ovvero dalla diretta derivazione del soggetto finanziatore dal gruppo industriale o commerciale del produttore. Nella prassi contrattuale indipendentemente dal legame fra il finanziatore ed il fornitore dei beni e/o servizi di consumo, è stato costatato che a) il finanziatore si riserva la facoltà di decidere se accordare il prestito all’esito di un’indagine sulle condizioni economiche del richiedente, b) la somma erogata viene corrisposta direttamente al fornitore, c) il finanziatore si cautela contro il rischio dell’insolvenza del consumatore mediante una garanzia reale (di norma, l’ipoteca sulle autovetture ed altri beni mobili iscritti in pubblici registri), d) il rimborso del finanziamento avviene in rate mensili costanti comprendenti la quota di capitale e gli interessi ad un tasso annuo soggetto normalmente a variazione in corso di rapporto.
dei contratti sia nella disciplina del tipo contrattuale di volta in volta richiamato per affinità con il fenomeno posto in essere.
Orbene di là da valutazioni sulla diretta proporzionalità tra l’incremento dei consumi, da un lato, e l’indebitamento dei consumatori per soddisfarli, dall’altro, come fisiologica conseguenza dell’operazione di credito al consumo229, nel sistema anteriore all’intervento del legislatore comunitario le vicende giuridiche sottoposte all’attenzione dell’interprete attenevano, in primis, al riconoscimento di una garanzia o di un diritto del creditore di soddisfarsi sul bene acquistato mediante il finanziamento, in secundis, alla tutela del debitore nel caso di inadempimento nel rimborso delle rate di prestito, infine, al problema dell’opponibilità al finanziatore delle eccezioni relative all’inadempimento del venditore nel contratto di acquisto.
Di fronte al vuoto legislativo, la risposta dell’interprete è stata rinvenuta prevalentemente nella disciplina della vendita a rate con riserva di proprietà, la quale delinea un meccanismo di finanziamento, analogo all’attuale contratto di credito al consumo, attraverso la separazione del godimento immediato del bene dall’acquisto della proprietà, quale conseguenza della dilatazione del pagamento del prezzo. In particolare proprio l’art. 1525 c.c. che disciplina la risoluzione del contratto in senso favorevole al compratore rateale, quale norma giudicata operante rispetto a qualsiasi forma di acquisto supportato da un finanziamento personalizzato, è stata acriticamente estesa anche a tutela del consumatore di un contratto di credito al consumo230.
La prassi contrattuale ha lasciato emergere, inoltre, che il finanziatore a garanzia del proprio credito iscriveva normalmente ipoteca mobiliare (laddove legislativamente consentito) sul bene oggetto del finanziamento, al fine di tutelarsi
229 Sul problema (internazionale) del sovra-indebitamento del consumatore si rinvia, con riguardo al diritto svizzero, a XXXXXXX-XXXXXXXXX-XXXXXXX, Privatautonomie zweischen Konsumkredit und Insolvenz, Jahrbuch des Schweizerischen Xxxxxxxxxxxxxxxxx/-xxxxxxxx xx xxxxx xxxxxx xx xx xxxxxxxxxxxx, Xxxx, 0000, x. 0; con riguardo a quello tedesco a MICKLITZ-ROTT, Credit, Overindebtedness and relief measures in Finland, Jahrbuch des Schweizerischen Konsumentenrechts/Annuaire de droit suisse de la consommation, Bern, 1997, p. 134; per la situazione francese a XXXXX, Crédit à la consommation et surendettement des menage – la situation en France, Jahrbuch des Schweizerischen Konsumentenrechts/Annuaire de droit suisse de la consommation, Bern, 1997, p. 281; X. XXXX, Sovraindebitamento del consumatore: l’esperienza francese, Fall., 1998, p. 954; M.C. XXXXXXX, Sovraindebitamento privato e ruolo della banca: il modello francese e il diritto comunitario, in Econ. dir. terz., 1992, p. 457.
230 Si invia a S.T. XXXXXXX, Commento all’art. 125 D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, in Nuove leggi civ. comm., 1994, p. 841, nota 59.
contro eventuali ipotesi di inadempimento del debitore231. Discussa, invece, è stata in dottrina ed in giurisprudenza l’applicabilità ai contratti di credito al consumo anche dell’art. 1526 c.c., ne veniva infatti proposta l’estensione in via analogica alla stregua della comune ratio di protezione del contraente debole, che è propria tanto della disciplina della vendita con riserva di proprietà quanto dell’esigenza sottesa all’auspicato intervento legislativo in materia di credito al consumo232. Si ipotizzava l’applicazione della norma in ipotesi di inadempimento del mutuatario al fine di scongiurare il riconoscimento in capo al finanziatore del diritto a trattenere le rate di mutuo già riscosse, esigere la differenza tra il valore attuale del bene e l’ammontare complessivo del finanziamento, oltre ovviamente al risarcimento del danno233. Sicché è apparso congruo proclamare l’estensione dell’effetto risolutivo alla fattispecie contrattuale “credito al consumo” in generale, ed al (collegato) contratto di compravendita in particolare, con conseguente obbligo di restituzione del bene in capo al consumatore e di rimborso del prezzo anticipatogli dal mutuante-finanziatore in capo al venditore234.
Proprio la categoria giuridica del collegamento negoziale ha invece consentito all’interprete di delineare il regime dell’opponibilità delle eccezioni, aprendo la strada al riconoscimento in capo al debitore (rectius: consumatore) del diritto di opporre al finanziatore l’eccezione di inadempimento del venditore.
Ovviamente ci si trova in un momento storico in cui il credito al consumo ha assunto indiscussa struttura trilaterale, attraverso l’inserimento tra il produttore- dettagliante e il consumatore di un soggetto finanziatore, il quale entra a far parte
231 Sul punto X. XXXXXXX, Il credito al consumo, cit., p. 547, il quale sottolinea che già il X.X. 00 marzo 1927, n. 436, aveva previsto l’ipotesi dell’ipoteca mobiliare iscritta sul bene acquistato mediante finanziamento personale, intesa a consentire al finanziatore di espropriare il bene nel caso di inadempimento del debitore (artt. 7 e 8).
232 Si veda Cass., 14 novembre 2006, n. 24214, secondo cui “la risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore è soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’art. 1526 c.c. con riguardo alla vendita con riserva della proprietà”.
233 Il primo comma della richiamata norma, infatti, in ipotesi di inadempimento imputabile al compratore, dispone la risoluzione del contratto con obbligo del venditore alla restituzione delle rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento dei danni.
234 Di là dal rilievo che il dibattito intorno all’estensione analogica dell’art. 1526 c.c. non si è placato con l’attuazione della direttiva 87/102, a causa della scelte di non procede al recepimento dell’art. 7 della medesima, sicché il vuoto legislativo in ipotesi di inadempimento del mutuatario non è stato colmato, parte della dottrina ha giudicato il ricorso all’analogia forzato ed equivoco perché la pretesa estensione del rimedio risolutivo anche al contratto collegato di compravendita appare indimostrata ed affetta da quello stesso apriorismo denunziato nell’esegesi dell’art. 125 t.u.b., sicché sembra opportuna, continua l’a., il ricorso all’azione generale di arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. nel caso di ingiustificati vantaggi, così X. XXXXXXXXX, Manuale di diritto privato europeo, Il Credito al consumo, a cura di X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, II, 2007, p. 979.
dell’operazione economica fornendo professionalmente il denaro necessario al consumatore per acquistare il bene. Caratteristica essenziale dell’operazione di finanziamento è che la predetta somma è esclusivamente destinata all’acquisto di quel bene, tant’è che il denaro fornito dal finanziatore viene da quest’ultimo usualmente corrisposto in via diretta al venditore, che trova così soddisfazione del prezzo di vendita, mentre il consumatore, quale debitore, sarà tenuto alla restituzione del finanziamento concesso nei confronti del finanziatore/creditore235. In ipotesi di inadempimento del fornitore, il collegamento esistente tra il duplice rapporto contrattuale, venditore e consumatore, da un lato, consumatore e finanziatore, dall’altro, tale da ricondurre ad unità l’operazione economica posta in essere dalle parti, ha consentito di giudicare illecite quelle clausole tendenti a separare i rapporti (di acquisto e di finanziamento) al solo fine di lasciare il finanziatore indenne rispetto alle eccezioni del debitore inerenti il comportamento
del fornitore.
Per meglio dire, proprio sulla scia della teorica del collegamento negoziale, che ha permesso di giustificare la reciproca connessione tra il contratto di finanziamento ed il contratto di cessione di beni e/o servizi, inquadrati nell’ambito di una più complessa operazione economica, è stata prospettata da parte della dottrina l’inefficacia di quelle clausole, inserite nel regolamento contrattuale, tendenti ad impedire il ripercuotersi delle conseguenze negative dell’inadempimento del fornitore sul rapporto di finanziamento, in quanto contrarie alla buona fede e alla correttezza236.
Si è giunti a tanto attraverso un’interpretazione della complessa operazione contrattuale sorretta dalla consapevole esistenza di un collegamento tra i due
235 A sottolineare la posizione di debolezza del consumatore, sin dalla struttura dell’operazione, è
R. TORINO, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, cit., p. 150, il quale sottolinea l’insidiosa posizione del consumatore proprio in ragione della compresenza di due rapporti contrattuali (collegati tra loro), fra venditore e consumatore e fra consumatore e finanziatore, in quanto il consumatore tenterà di concentrare la propria attenzione sul primo rapporto contrattuale, che gli consente di acquisire il bene o il servizio desiderato, mentre presumibilmente minore attenzione egli dedicherà al contenuto del contratto di finanziamento (solitamente caratterizzato da un significativo tecnicismo), meramente strumentale al conseguimento del bene e del servizio altrimenti per lui irraggiungibili.
236 Discorreva invece di nullità X. XXXXXXX, Il credito al consumo, Napoli, 1976, il quale muovendo dalla considerazione della partecipazione sostanziale del finanziatore all’intera operazione e facendosi carico sia della rilevanza giuridica pubblicistica della vicenda contrattuale, sia della ratio economica di supporto alla tesi dell’inopponibilità, discorreva di nullità di tali clausole in considerazione della loro contrarietà all’ordine pubblico.
contratti237, che ha consentito, inter alia, di giustificare anche talune conseguenze in punto di effetti del contratto. Si è detto, infatti, che <<il finanziatore, se non può dirsi parte del contratto al quale è rimasto fedelmente estraneo, tuttavia non può dirsi neanche “terzo” ai sensi e ai fini dell’art. 1372 c.c.: egli ha infatti un interesse proprio nell’operazione tale che alcuni degli effetti del contratto di fornitura possono prodursi anche nei suoi confronti>>238.
Sicché, è stato correttamente osservato che nella disciplina anteriore all’intervento del legislatore comunitario i dibattiti dottrinali e giurisprudenziali gravitati intorno al fenomeno del credito al consumo, sono giunti, da un lato, a riconoscere al debitore la tutela offerta dall’art. 1525 c.c., dall’altro a sottoporre ad unitaria interpretazione il complesso regolamento negoziale, alla stregua della categoria dogmatica del collegamento negoziale, sì da coinvolgere anche il finanziatore nelle vicende relative al contratto di acquisto, ritenendo contrarie a buona fede e correttezza le clausole di inopponibilità al finanziatore delle eccezioni di inadempimento imputabili al fornitore del bene o del servizio239.
237 Si ricorda, sul punto, quanto precisato da X. XXXX, La direttiva comunitaria sul credito al consumo, in Riv. dir. civ., II, 539, 1987, p. 13, secondo cui “l’interprete non può non rispettare l’identità e autonomia delle fattispecie negoziali tipiche e non gli è dato di confonderle in una fattispecie (unitaria) atipica, sia pure costante di una pluralità di elementi tipici. Nella specie – continua l’a. – non è dato annullare l’identità del contratto di “vendita” (o di locazione o altro) né quella del contratto di “prestito”; il che significa che il concorrere di queste due componenti nell’operazione economica che interessa va “costruito” in termini non di unità ma di collegamento negoziale”.
238 Sono le parole di X. XXXXXXXX, Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità di contratti, in Riv. dir. comm., 1992, p. 607; in tema si rinvia anche a F. XXXXXXX, Prime riflessioni sulla proposta di direttiva comunitari a sul credito al consumo, in Banca impr. soc., 1987, p. 439.
239 In tal senso X. XXXXXXX, Il credito al consumo, cit., p. 550, il quale sul punto richiama la meticolosa analisi comparatistica di X. XXXXXXX, Il credito al consumo, cit., p. 31 ss., che nel porre l’accento sul sistema convenzionale di attribuzione del rischio mediante la predisposizione di clausole di decadenza dal beneficio del termine nel caso di inadempimento dell’acquirente/debitore, lo confrontava con la disciplina dello stesso fenomeno all’epoca vigente negli altri ordinamenti, in particolare con quello tedesco e statunitense. L’a., nonostante una risalente pronuncia della Corte di legittimità avesse escluso l’applicabilità dell’art. 1525 c.c. al rapporto tra consumatore e finanziatore, per la specialità della norma e, quindi, la sua riferibilità soltanto alle vendite rateali con riserva della proprietà (Cass., 18 giugno 1956, n. 2165, in Dir. Xxxx., 1956, p. 621), riteneva che i “finanziamenti personali” connessi all’acquisto di beni di consumo durevoli o di servizi, da intendersi naturalmente in un’accezione molto più ampia che in passato, occupassero il medesimo spazio in cui un tempo operava la vendita rateale con riserva di proprietà, espressione di un’operazione economico-finanziaria piuttosto elementare. In altri termini, nel caso di “finanziamenti personali” il consumatore si veniva a trovare nell’identica situazione dell’acquirente finanziato dal venditore con patto di riserva domino, rimanendo indifferenti le circostanze che a) il pagamento rateale avvenisse al terzo finanziatore istituzionale ovvero al commerciante venditore del bene o fornitore del servizio e che b) la garanzia sul bene fosse concessa all’uno o all’altro. Da cui la conclusione ineccepibile dell’a. secondo cui “la subordinazione delle clausole di decadenza previste nei finanziamenti personali alle condizioni fissate dall’art. 1525 c.c. (…) appare non solo opportuna, ma anche legislativamente posta, concretizzando quelle “circostanze” previste dall’art. 1819 per l’esclusione della normativa in esso
3. Il dato normativo successivo alle direttive comunitarie.
Dalla maggior parte dei legislatori degli Stati europei, tra i quali certamente non si colloca il nostro, è stata avvertita l’esigenza di introdurre regole funzionali a tutelare il consumatore di fronte al corrente uso, registrato negli anni, del credito al consumo. Il legislatore comunitario nel primo considerando del suo primo intervento in materia (realizzato con la direttiva 87/102/CEE)240 osservava che “esistono notevoli divergenze nelle legislazioni degli Stati membri in materia di credito al consumo”, pertanto con il suo primo intervento ha inteso ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia. Come in ogni direttiva che si rispetti, anche in quella menzionata, con i differenti “considerando” il legislatore europeo ha motivato il proprio provvedimento dando conto degli interessi che lo hanno indotto ad uniformare le discipline degli Stati membri in materia di contratti di credito al consumo, interessi preordinati al miglior funzionamento del mercato interno a vantaggio sia degli operatori economici professionali, sia dei consumatori241.
Prescindendo volutamente dalle critiche (o anche giustificazioni) mosse nei confronti del legislatore italiano di fronte al vuoto legislativo nel quale ha dovuto operare il credito al consumo prima dell’intervento comunitario, è questa la sede per anticipate che proprio i connotati dell’esperienza francese, inglese e tedesca si sono rilevati anticipatori della stessa direttiva 87/102. Secondo quello che è stato definito “il consueto modo di formazione del diritto privato comunitario (oggi europeo)”, anche in tal caso il legislatore ha usufruito delle esperienze maturate in quei paesi dell’Unione già dediti alla disciplina, in specie, del credito al consumo. In particolare i modelli di riferimento immediati della direttiva sono provenuti proprio dall’ordinamento francese, da quello inglese e, infine, dal sistema tedesco.
fissata”. Quanto invece alle clausole di esonero della responsabilità del finanziatore ovvero di inopponibilità delle eccezioni relative al rapporto con il fornitore, l’a. affermava che “i criteri di individuazione e di attribuzione del rischio inerenti all’impiego di esse non possono ritenersi operanti, dal momento che il progetto del finanziatore esprime un interesse non meritevole di tutela, ponendosi l’utilizzazione di tali clausole come contraria all’ordine pubblico”.
240 Direttiva 87/102/CEE del Consiglio del 22 dicembre 1086, in GU L 42 del 12.02.1987, pp. 48- 53; per un’attenta analisi X. XXXXX e X. XXXXXXXX, Artt. 40-43, in Commentario al codice del consumo, Inquadramento sistematico e prassi applicativa, a cura di X. XXXXXXXXX e X. XXXXXXXXXXXXX, 2006, p. 357 ss.
241 In tal senso si è espressa altresì la Corte di giustizia CE nelle sentenze pronunciate nella causa C-208/98, Berliner Kindl Brauerei AG e Xxxxxxx Xxxxxxx, 2000, par. 20, e nella causa X-000/00, Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xx e Xxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, 2004. A richiamare gli ulteriori e successivi “considerando” è R. TORINO, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, cit., p. 151, al quale si rinvia.
Orbene nel rinviare a quanto appresso si dirà sul punto ed in una prospettiva comparatistica del tema, si intendono ora sintetizzare i punti essenziali del testo normativo comunitario, precisando che lo stesso è stato recepito in Italia con la legge 142/92, le cui norme sono di poi confluite negli artt. 121-128-bis del Testo Unico Bancario (t.u.b.) e negli artt. 40-44 cod. cons.242. La scelta del legislatore interno di far convergere la normativa di attuazione nel Testo Unico Bancario, è stata da taluni letta come il tentativo di dare una collocazione sistematica alla medesima benché a carattere “speciale”. La disciplina del contratto di credito al consumo, infatti, è stata posta di fianco alle disposizioni generali in tema di contratti bancari e nello stesso contesto normativo in cui si inserisce la definizione del concetto di “trasparenza”243, benché destinata non al cliente della banca in generale bensì al cliente-consumatore, soggetto caratterizzante della fattispecie normativa in esame244.
Dopo le rituali regole definitorie, di cui all’art. 1, il legislatore si premura di indicare, in maniera piuttosto dettagliata, il tasso anno effettivo globale (TAEG); i casi di esenzioni, dando una definizione del contratto in negativo che si snoda in un lungo elenco (art. 2), la pubblicità (art. 3), la forma e il contenuto del contratto (art. 4); la concessioni di credito sotto forma di anticipi su conto corrente (art. 6); il recupero del bene (art. 7); la facoltà di adempimento anticipato da parte del consumatore (art. 8); la cessione del credito o del contratto a terzi (art. 9); il pagamento o la garanzia a mezzo di titoli cambiari (art. 10); i diritti del consumatore nei confronti, rispettivamente, del fornitore e del creditore (art. 11); le autorizzazioni ed i controlli sull’attività di concessione del credito o di intermediazione (art. 12); le trattazione di reclami e assistenza ai consumatori (art. 12); le misure contro l’elusione della normativa (art. 14).
242 X. XXXXXXXXX, Manuale di diritto privato europeo, cit., p. 955, il quale sottolinea che se taluni ordinamenti hanno reagito alla nuova fenomenologia modificando le tecniche di protezione del sovvenuto acquirente nel rapporto trilaterale, l’Italia si è presentata in forte ritardo persino all’appello comunitario e l’adeguamento si deve, con buona probabilità, al passaggio dell’attività bancaria dal regime pubblicistico al mercato sempre imposto dall’Unione Europea.
Il vecchio regime pubblicistico continua l’a. non poneva neppure il problema della trasparenza del regolamento contrattuale e del riequilibrio del rapporto, perché, in concreto non esisteva un problema di acquisizione o di perdita di clientela costituendo l’efficienza bancaria una variabile indipendente. Il discorso cambia in termini di competizione nel mercato con il c.d. passaporto europeo, rilasciato alle banche per il libero insediamento e per la libera prestazione di servizi, tra cui espressamente il credito al consumo.
243 La disciplina del credito al consumo è stata collocata nel Titolo VI del Testo unico, riferito alla “trasparenza delle condizioni contrattuali”, con conseguente applicazione, anche per mezzo dell’art. 115, comma 3, delle norme dettate per le operazioni e i servizi bancari e finanziari.
244 Così X. XXXXXXX, Il credito al consumo, cit., p. 556.
Lo sforzo del legislatore comunitario si inserisce in quel programma di azione comunitaria in materia di politica dei consumatori introdotto con la decisione 1926/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio adottata in data 18 dicembre 2006, per il periodo compreso tra il 31 dicembre 2006 e il 31 dicembre 2013 avente lo scopo di a) integrare, appoggiare e controllare le politiche degli Stati membri, contribuendo alla tutela della salute e della sicurezza dei consumatori e alla difesa dei loro interessi economici e giuridici, b) contribuire alla promozione del diritto dei consumatori all’informazione, all’educazione e ad all’organizzazione per la salvaguardia dei loro interessi245.
Ciò che consente di distinguere questo fenomeno da altri aventi simile caratteristiche, tra cui si colloca il leasing finanziario, è inter alia la partecipazione alla operazione economica de qua proprio del soggetto consumatore che il nostro legislatore definisce all’art. 121 del t.u.b. secondo uno standard normativo oramai perfettamente collaudato a livello di disciplina europea dei rapporti tra i privati246. Vieppiù la maggiore precisione del legislatore comunitario rispetto alla normativa interna di attuazione, laddove l’art. 1 della direttiva scompone la definizione in esame in due parti, riferite, la prima, al soggetto finanziatore (ovvero al “creditore”, quale persona fisica o giuridica che concede un credito nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, ovvero un gruppo di persone), la seconda, al negozio giuridico posto in essere, il contratto di credito, intendendosi per tale il contratto in base al quale il creditore concede o promette di concedere un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria.
Il nostro legislatore si allontana parzialmente dalla soluzione comunitaria anzidetta, egli delimita l’ambito di applicazione della normativa attraverso una definizione che ha indotto la dottrina a soffermarsi su tre elementi caratterizzanti.
245 Cfr. R. TORINO, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, cit., p. 19, ed ivi i riferimenti agli atti normativi e agli altri documenti comunitari.
246 La definizione riflette le definizioni presenti nelle diverse direttive in tema di protezione del consumatore, riprodotte, sostanzialmente senza modifiche, dalla normativa interna di attuazione. A titolo esemplificativo si richiama l’art. 2 direttiva 1993/13 CEE, relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GUCE 21 aprile 1993, n. L 95/29), ripreso dall’art. 1469 bis, comma 2, c.c. (introdotto dalla L. 6 febbraio 1996, n. 52, legge comunitaria per il 1994); con le necessarie varianti del caso, l’art. 2 della direttiva 1990/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti “tutto compreso” (GUCE 23 giugno 1990, n. L 158/59) riprodotto nell’art. 5, D.lgs. 17 marzo 1995, n. 111; l’art. 2 della direttiva 1985/577/CEE, relativa ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali (GUCE 31 dicembre 1985, n. L 371/31), ripreso nell’art. 2, D.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50; l’art. 2 della direttiva 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GUCE 4 giugno 1997, n. L 144/19).
In primo luogo, l’operazione economica oggettivamente considerata, ed è il caso di ricordare che proprio da un punto di vista oggettivo essa consiste “nella concessione nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di analoga facilitazione finanziaria”. Da un lato, dunque, viene meno la mera “promessa” di credito, presupponendo l’art. 121, sul piano letterale, l’avvenuta conclusione del contratto, dall’altro, l’espressione “attività commerciale o professionale” pare ampliare il raggio di azione della fattispecie, come si desume più esplicitamente anche dal successivo riferimento all’“analoga” facilitazione finanziaria. Sicché non è mancato chi vi ha sussunto lo schema del leasing traslativo, lo schema del mutuo di scopo e finanche le convenzioni per l’utilizzazione della carta di credito ovvero i prestiti concessi dalle finanziarie a fronte della cessione del quinto dello stipendio247.
Il secondo elemento caratterizzante si concentra sul profilo soggettivo della fattispecie normativa, limitandosi però alla necessaria qualifica di consumatore dell’acquirente-finanziato. La definizione dello stesso, quale “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditorie o professionale”, da un lato rappresenta motivo di interesse per la soluzione restrittiva scelta dal legislatore, che limita la tutela alla persona fisica, dall’altro muove verso il terzo ed ultimo elemento caratterizzante, il profilo funzionale.
Quest’ultimo è rappresentato dallo “scopo” in forza del quale il consumatore agisce, che ha indotto la dottrina a porsi interrogativi di ordine sistematico, riprendendo i concetti normativi di causa e motivo del contratto.
Se questo è stato il confine applicativo delineato dal legislatore interno in attuazione degli obblighi comunitari, senza soffermarsi (almeno per ora) sugli altri contenuti comunitari ed interni della normativa, va detto che un’indagine condotta dalla Commissione a metà degli anni ‘90 aveva già evidenziato come la legislazione in essere non avesse favorito l’armonizzazione delle regole né la crescita di un mercato unico del credito al consumo. Tant’è che a questo iniziale provvedimento comunitario in materia, già emendato in due occasioni248, ha fatto
247 Si rinvia a X. XXXXXXXXX, Manuale di diritto privato europeo, cit., p. 960 nonché, ancora una volta, a X. XXXXXXX, Il credito al consumo, cit., p. 561 ss., ed ivi i riferimenti dottrinali.
248 Direttiva 90/88/CEE del Consiglio del 22 febbraio 1990 che modifica la direttiva 87/102/CEE, in GU L 61 del 10.3.1990, pp. 14-18 e direttiva 98/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, in GU L 101 dell’1.04.1998, pp. 17-23.
seguito un intervento di modifica mediante una nuova direttiva che già da sei anni era oggetto di negoziazione tra gli Stati membri249.
Modificando il trend fino a quel momento seguito dal legislatore “consumeristico” europeo, la nuova direttiva segna il passaggio dalla tecnica legislativa di armonizzazione minimale, di cui all’art. 15 della direttiva 87/102, alla tecnica della armonizzazione piena, c.d. full harmonization250. Con la direttiva 2008/48/CE infatti il legislatore europeo di fronte al non felice risultato raggiunto con il precedente intervento, evidenziando la necessità di garantire ai consumatori di beneficiare della crescente disponibilità di credito trasfrontaliero251, dichiara espressamente di facilitare la realizzazione di un mercato unico del credito attraverso una uniformazione completa delle legislazioni nazionali. Non viene più imposto agli Stati membri una soglia minima di tutela con facoltà di mantenere al loro interno regole nazionali capaci di garantire un livello di protezione diverso, sebbene più elevato rispetto a quello inseguito in sede comunitaria, ma si mira ad un’armonizzazione piena, completa, che sembra profilarsi come più consona agli obiettivi perseguiti252.
Le premesse però non sono risultate coerenti con le conclusioni, di poi, raggiunte. Il legislatore italiano, infatti, invece di novellare la precedente normativa di attuazione alla stregua delle nuove tecniche di tutela e di protezione introdotte, ha dato luogo ad una riforma complessiva dell’intera materia con un certo margine di discrezionalità, lasciato ai legislatori interni non tanto intenzionalmente quanto casualmente, attraverso non trascurabili lacune
249 Nel 2002 è stata emanata la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito ai consumatori COM/2002/0443 (11.9.2002), in GU C 331E del 31.12.2002, pp. 200-248.
250 La nuova tecnica legislativa rinviene il suo fondamento normativo nel solo art. 95 del Trattato CE (oggi, art. 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) e non anche nell’art. 153 del Trattato CE (oggi, art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), il cui ultimo comma si ritiene non avrebbe consentito l’abbandono della politica di armonizzazione minimale. 251 Come si desume dal quarto considerando della medesima.
252 La nuova tecnica del legislatore europeo, però, sin da subito non è stata esente da critiche, in particolare se ne è affermata l’incompatibilità rispetto al principio di sussidiarietà, di cui all’art. 5 Trattato UE. Si è ritenuto in proposito che il costante confronto tra le molteplici soluzioni elaborate dai diversi Stati costituisca un prezioso laboratorio di esperienze giuridiche da cui trarre continui spunti di miglioramento. Proprio con riferimento alla tutela dei consumatori, la dottrina ha colto l’occasione per ribadire come la diversificazione tra gli ordinamenti giuridici nazionali non sia un pericolo, ma un’opportunità e per affermare che la tecnica dell’armonizzazione minimale sia l’unica propriamente compatibile con il disegno di integrazione giuridica tra gli Stati Membri. Così P. SIRENA, L’inderogabilità delle disposizioni della direttiva e il rapporto con la disciplina sulle clausole abusive, in La nuova disciplina europea del credito al consumo, a cura di DE CRISTOFARO, Torino, 2009, p. 179 ss.
normative. Non è stata colta però l’occasione, da parte del nostro legislatore, per concentrare nel solo codice del consumo l’intera disciplina della fattispecie normativa in esame. Con il d.lgs. 13.08.2010 n. 141 reso in attuazione della richiamata direttiva, infatti, da un lato è stato novellato il Titolo IV, Capo II, del t.u.b., dall’altro sono state apportate modifiche al codice del consumo, sostituendo l’art. 67, comma 6, ed abrogando gli artt. 40, 41, 42 e parte dell’art. 38.
E dunque non stupisce la nuova lettura dell’art. 121 del t.u.b., coerente con una rivisitazione organica della disciplina che giunge finanche a modificarne l’ambito di operatività. Ebbene di là dagli aspetti, per così dire economici, che già di per sé ampliano il novero dei contratti interessati253, la nuova (o le nuove) definizioni hanno consentito di risolvere incertezze interpretative inerenti finanche il raggio di azione della fattispecie normativa. Il legislatore “scinde” (secondo una tecnica percepibile anche ad “occhio nudo”) il profilo soggettivo della fattispecie da quello oggettivo.
Dal primo punto di vista, però, va segnalato che la definizione di “consumatore” non muta rispetto alla precedente formulazione. Per quanto invece attiene al profilo oggettivo viene definito il “contratto di credito” come quel “contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione”. Viene meno dunque, in coerenza con l’impianto comunitario, il riferimento alla “concessione di credito nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale”, però nel contempo non si tradisce il fine che probabilmente aveva mosso il precedente legislatore verso l’utilizzo della predetta espressione, e di cui si è detto. Pare infatti che la dottrina, supportata da una nozione generale di credito al consumo, non dubiti sulla estensione della particolare tutela apprestata dal legislatore ad una serie di rapporti contrattuali intercorrenti tra finanziatori e consumatori. Si tratta di schemi contrattuali, tipici ed atipici, tutti caratterizzati da una comune finalità di “finanziamento”, realizzata tramite l’approntamento di mezzi finanziari con relativo obbligo di restituzione del tantundem254.
253 Si consideri che le nuove regole si applicano ai contratti di credito di importo tra i 200 e i 75 mila euro, elevando così il precedente limite di 31 mila euro.
254 Per quanto riguarda il credito finalizzato all’acquisto di uno specifico bene, le tipologie contrattuali più diffuse sono tendenzialmente quattro, i mutui di scopo, i crediti su pegno, le vendite a rate con riserva di proprietà, i contratti di leasing c.d. traslativo (o al consumo); per quanto riguarda il credito diretto, categoria che raggruppa i prestiti erogati senza vincoli di destinazione, le tecniche contrattuali attraverso cui esso viene realizzato sono essenzialmente tre, ossia prestiti personali, concessi direttamente al consumatore dalla banca o dalla società