INDICE
INDICE
Introduzione 2
CAPITOLO I
1. La Certezza del diritto nella conversione del risparmio in investimenti 9
2. La “tipicità” del contratto di investimento. La genesi del “contratto amministrato” 18
3. Dal “contratto di investimento” al “contratto finanziario” 28
4. La relazione di agency come postulato economico dei servizi di investimento 42
CAPITOLO II
1. La natura giuridica del master agreement, tra “contratto normativo” e
“contratto quadro” 49
2. Gli ordini, le operazioni e i contratti di borsa 63
3. Analogie con il factoring 74
4. La tesi negoziale e i suoi limiti 77
5. La tesi del mandato e i suoi limiti 82
6. Casistica giurisprudenziale; il difetto di forma del master agreement e degli ordini 96
CAPITOLO III
1. La responsabilità dell‟intermediario nel diritto statunitense 102
2. Le regole di comportamento degli intermediari finanziari nell‟era post MIFiD 108
3. La violazione regole comportamento: la tesi della nullità e le ragioni di “private enforcement” 134
4. La soluzione accolta dalle Sezioni Unite 140
5. L‟intermediazione finanziaria tra regole di validità e regole di comportamento 148
6. L‟efficienza dei rimedi 156
7. Il meccanismo delle restituzioni 164
8. L‟annullamento del contratto come residuale strumento di tutela 173
Conclusioni 178
Bibliografia 191
Introduzione.
Questa tesi sintetizza l‟attività di ricerca compiuta nell‟ambito del dottorato di ricerca in diritto dell‟impresa presso il Dipartimento di Diritto Privato Generale della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo.
Come si avrà modo di vedere più analiticamente nel prosieguo, il problema dei rapporti tra il master agreement e i singoli ordini di borsa si inserisce nell‟ambito di una discussione più generale correlata alla “sopravvivenza” degli istituti tradizionali del diritto civile e commerciale, come regolati dal codice civile, rispetto alle nuove “impalcature” legislative di settore, che nell‟ultimo ventennio si sono succedute in un crescendo di numero e di importanza.
Con riferimento al settore dell‟intermediazione finanziaria, già sul finire degli anni ottanta, un articolo di X. Xxxx osservò come la novità delle operazioni condotte sul mercato mobiliare, la continua creazione di nuovi “prodotti” e di nuove “forme di intermediazione finanziaria”, imponesse a dottrina e giurisprudenza di “verificare la compatibilità dei principi di diritto comune con la disciplina speciale e la possibilità tecnica di colmare le lacune di una legislazione frammentaria con il ricorso a principi di diritto comune”1.
A ben vedere siffatto rilievo è ancor più attuale oggi giorno rispetto a quanto già non lo fosse in precedenza, essenzialmente per due ordini di ragioni.
1 ALPA, Una nozione pericolosa: il c.d. “contratto di investimento”, in ALPA (a cura di), I valori mobiliari, Padova, 1991, pag. 393 e ss..
La prima ha un chiave di lettura politico-economica: i recenti scandali finanziari (Cirio, Parmalat e Argentina) hanno imposto un‟accurata riflessione sull‟efficacia degli strumenti di tutela dei risparmiatori a fronte delle violazioni delle regole di comportamento, legali e regolamentari, imposte agli intermediari, senza precedenti rispetto ai tempi passati2.
Il dibattito dottrinario, invero, si è essenzialmente concentrato e polarizzato sulle ragioni a sostegno della tutela risarcitoria di siffatte violazioni, ovvero su quelle a fondamento di un rimedio più penetrante ed attinente al vizio genetico dei contratti di investimento, violativi dei precetti di cui al Testo Unico Finanziario e al Regolamento Intermediari della CONSOB, più volte modificato.
Il dogma della generale insindacabilità da parte dell‟Autorità Giudiziaria del regolamento contrattuale voluto dalle parti, salvo che nei casi espressamente previsti dalla legge, è apparso sempre più in discussione, da parte di chi ha fatto notare la frammentarietà del diritto dei contratti3: il punto cardine intorno al quale ruotano le regole sulla prestazione dei servizi di investimento è quello della trasparenza.
2 Iter che ha determinato l‟approvazione della l. 262/2005, meglio nota come “legge sul risparmio”.
3 Il riferimento è chiaramente orientato al filone dottrinario del c.d. “terzo contratto”; in particolare cfr. GITTI- VILLA, Il terzo contratto, L‟abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Bologna, 2008, con Postilla sul terzo contratto di PARDOLESI, pag. 323-341; in sintesi, in questa categoria vi rientrerebbero una fascia di rapporti che, non riconducibili ai modelli classici, per essere caratterizzati da asimmetria di potere contrattuale, esigono un migliore coordinamento sistematico tra la disciplina del contratto e la regolamentazione della concorrenza e del mercato. Cfr. pure ROPPO Parte generale del contratto, Contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul “terzo contratto”), in Riv. dir. priv., 4, 2007, pag. 669 e ss., nonché XXXXXXXXX, Il “terzo contratto”, in Contr., 2009, 5, p. 493.
Di questa, appunto, possiamo distinguere almeno tre diverse accezioni nel diritto dei contratti4:
(i) l'accezione originaria, si può far risalire tale momento verso la metà degli anni ottanta, in occasione della presentazione di alcuni progetti di legge sul credito al consumo e sulla disciplina dei rapporti tra le banche e la clientela, nonché in occasione della diffusione della circolare dell‟ABI del 25 ottobre 1988, contenente il testo di un “accordo interbancario per la pubblicità e la trasparenza delle condizioni praticate alla clientela” e un regolamento contenente regole di autodisciplina per le banche aderenti; è appena il caso di precisare che l‟espressione trasparenza, in quel contesto, veniva utilizzata dai commentatori in connessione con l'impiego da parte delle banche di clausole contrattuali contenenti il rinvio agli usi bancari (c.d. norme bancarie uniformi) e con riferimento alla clientela composta da “consumatori”, o, altrimenti, “contraenti o parti deboli” del rapporto5;
(ii) una accezione successivamente invalsa, di portata più generale, riguardante la fase della trattativa, la fase della formazione del contratto e la fase della redazione del contratto, se il contratto non è predisposto, o quella della sottoposizione all‟aderente del contratto già predisposto, ed ancora la inclusione
4 ALPA, Quando il segno diventa comando: la “trasparenza” dei contratti bancari, assicurativi e dell‟intermediazione finanziaria, in Riv. Trim dir. e proc. civ., 02, 2003, pag. 465 e ss.
5 XXXXXXXX, “Trasparenza” bancaria e diritto “comune” dei contratti, in Banca borsa., 1990, I, p. 297 ss.; ALPA, La “trasparenza” del contratto nei settori bancario, finanziario e assicurativo, in Giur. it., 1992, IV, pag. 409; CARBONE, La trasparenza bancaria e la tutela del risparmiatore, in Corr. giur., 1992, IV, p. 479 e ss.
nei contratti di clausole potenzialmente abusive ex art. 1469-bis c.c.6. Da qui la problematica sulla asimmetria dell'informazione che si registra tra il professionista e il consumatore, la inclusione di clausole vessatorie nei contratti dei consumatori e nei contratti di subfornitura. Ed ancora la discussione sulla possibile estensione della normativa che presidia la trasparenza del contratto inteso come contratto concluso tra parti pariteticamente informate, non contenente clausole vessatorie ai contratti che non appartengono alla categoria dei contratti dei consumatori;
(iii) una accezione più connotata e specifica, che riguarda i settori del mercato finanziario, come risulta dalla disciplina dell‟attività bancaria e dell‟intermediazione finanziaria. Su questo punto può dirsi che la trasparenza informativa non si appiattisce sulla regola del clare loqui relativa al procedimento formativo della volontà, quindi anteriore al momento perfezionativo dell‟accordo contrattuale, bensì ad elemento intrinseco al regolamento stesso, nel significato del concreto assetto di interessi voluto dalle parti.
Xxxxxxxx, può agevolmente intuirsi come il ruolo giocato dalla buona fede e la sua rilevanza sulle forme tutela, a seguito di una rilettura costituzionalmente orientata della tradizionale dicotomìa tra regole di comportamento e regole di validità, sia risultato decisivo nella composizione dei contrasti7.
6 XXXXXXXXX, La trasparenza delle condizioni contrattuali (contratti bancari e contratti con i consumatori), in Banca borsa, 1997, I, pag. 96.
0 Xxx. Xxxx., Xxx. Xx., xxx. Xxxxxx, xx. 00000 e 26725 del 19 dicembre 2007, rispettivamente in Foro it., I, 2008, pag. 784, e in Contr., 3, 2008, pag. 221 e ss., nonché Dir. fall., 2008, II, 1 ss.
La seconda chiave di lettura dei rapporti tra diritto comune e diritto speciale è invece squisitamente giuridica: qualsiasi soluzione in un‟ottica economica di ottimizzazione dei rimedi si intenda adottare, le conseguenze della violazione delle regole di comportamento degli intermediari non possono non passare dall‟esatta qualificazione della fattispecie giuridica.
Quest‟ultimo e decisivo punto, forse, è quello più controverso e destinato a perdurare nonostante gli interventi nomofilattici, condivisibili o meno, che hanno cercato di rendere certo un apparato normativo settoriale, per molti aspetti difficilmente compatibile con le categorie dogmatiche tradizionali8.
Probabilmente, ad avviso di chi scrive, l‟ordinamento giuridico italiano sta conoscendo tuttora un periodo di transizione, che come tutte le rivoluzioni in atto mette in crisi le certezze acquisite, essenzialmente correlato al fatto che la normativa sulla prestazione dei servizi di investimento è una normativa giovane e di importazione.
Invero, il primo intervento legislativo di senso compiuto è costituito dalla l. 1/1991 (c.d. Xxxxx Xxx), la quale dettava solo poche regole di comportamento da osservare nell‟attività di intermediazione.
Successivamente, il sistema si è andato delineando in modo sempre più incisivo dell‟autonomia negoziale, a seguito dei molteplici interventi di ambito comunitario, finalizzati alla massima armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri9.
8 Cfr. infra capitolo II.
9 Cfr. Rapporto Xxxxxxxxxx, presentato a Stoccolma nel 2001, disponibile su
xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxx_xxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxx_xx.xxx.
La storia insegna che l‟efficienza e l‟efficacia di un sistema si misura in relazione alla sopravvivenza o meno ai momenti di crisi.
Gli Stati Uniti d‟America, la cui legislazione a protezione dei risparmiatori è assunta a modello delle legislazioni d‟oltreoceano, come si avrà modo di verificare10, hanno conosciuto la crisi determinata dal crollo di Wall Street come momento epocale di svolta della coscienza giuridica ed economica.
Dalla crisi è derivata, in primo luogo, una rivisitazione del principio dell‟intervento dello Stato nell‟economia, ancora più attuale in tempi recenti (basta che si pensi ai salvataggi degli Istituti di credito coinvolti nel default dei titoli legati ai mutui subprime11).
In secondo luogo, è stata introdotta in via regolamentare la rule 10b-5 della SEC come clausola generale della tutela risarcitoria delle condotte fraudolente in ambito finanziario, con il precipuo scopo appunto, di limitare il ricorso al judge- mad law, ritenuto contrario alla necessità di certezza della regola giuridica.
L‟esperienza europea, in particolare quella italiana, più attenta all‟unitarietà del sistema nella soluzione delle questioni interpretative, ha seguito la via, talvolta tortuosa, della riconduzione delle fattispecie speciali entro gli schemi degli istituti tradizionali, la cui storicità spesso si pone come ostacolo alla completa efficienza del sistema.
Xxxx, allora, i temi oggetto di indagine: in che misura gli istituti tradizionali del diritto civile sono in grado di ricostruire compiutamente l‟intermediazione finanziaria? Dobbiamo ritenere che sia ridisegnata la separazione tra disciplina
10 Cfr. infra Capitolo III.
11 Cfr. XXXXXXX, Guida alla crisi finanziaria, Osservatorio sulla Finanza, Roma, 2009.
del mercato e disciplina dei rapporti tra Stato e cittadino nel senso di considerare la disciplina del mercato come segmento autonomo dell‟ordinamento? La market regulation deve essere affidata solo o prevalentemente alle autorità indipendenti? Possono dirsi realmente efficienti gli strumenti di tutela attualmente predisposti dall‟ordinamento a garanzia dei diritti dei risparmiatori?
Possiamo osservare come, in sostanza, dalla soluzione del primo quesito dipendano quelle ulteriori sull‟autonomia del diritto dei mercati finanziari rispetto all‟ordinamento in generale e sul ruolo dell‟Autorità di vigilanza nella regulation dei rapporti contrattuali tra intermediari e risparmiatori.
In seguito, come si avrà modo di vedere, non si potranno trascurare delle considerazioni sull‟efficienza delle azioni a tutela dei risparmiatori, a fronte delle violazioni poste in essere dagli intermediari, così come ridisegnate dalla Corte di Cassazione nelle celeberrime sentenze gemelle del 2007, anche alla luce del diritto statunitense e del c.d. private enforcement nei mercati finanziari12.
12 La necessità che l‟individuazione del rimedio di tutela debba tener conto delle istanze pubblicistiche sottese alla disciplina dell‟intermediazione finanziaria è espressa, anche, da ALPA, Gli obblighi informativi precontrattuali nei contratti di investimento finanziario. Per l‟armonizzazione dei modelli regolatori e per l‟uniformazione delle regole di diritto comune, in Contr. e impr., 2008, 4/5, pag. 916, che auspica l‟individuazione del “rimedio più adatto per tutelare l‟interesse pubblico e l‟interesse del contraente debole”.
CAPITOLO I
1. La Certezza del diritto nella conversione del risparmio in investimenti.
La cultura illuministica ha sempre messo in evidenza la necessità di una legislazione compiuta per il benessere collettivo. Così Xxxxxxx Xxxxxxxxxx scriveva “Le buone leggi sono l‟unico sostegno della felicità nazionale” nella Scienza della legislazione13, per certi versi anticipatrice della moderna economia del benessere.
L‟indagine sulla dinamica economica delle scelte finanziarie e sulle conseguenze economiche delle scelte stesse può in vario modo collegarsi a quella giuridica in un dato momento storico.
Pur nella loro piena autonomia scientifica e metodologica, il diritto e l‟economia infatti sono due scienze che si legano l‟una all‟altra, determinando, in questo legame, il fattore di successo od insuccesso dei propri fondamentali.
Ciascuna delle due discipline può, inoltre, assurgere a strumento di verifica, alla luce dei risultati dell‟altra, della validità delle sue ipotesi e dell‟efficienza delle teorie proposte.
Così, il corretto funzionamento di un‟economia di mercato è fondato sulla prefissione di regole e dalla garanzia dell‟osservanza comune delle “regole del gioco”.
Si afferma spesso, a questo proposito che la norma ha funzioni di “regolazione” dell‟economia e che un presupposto essenziale del funzionamento del sistema di
13 Napoli, 1785, pag. 5, l‟A. aggiunge inoltre “che la bontà delle leggi è inseparabile dall‟uniformità”.
economia di mercato è, appunto, l‟esistenza di un complesso coerente di norme che stabiliscono la composizione degli interessi, spesso contrapposti, dei singoli individui o dei gruppi in cui si articola la società, nonché la dinamica delle attività di produzione e di xxxxxxx00.
Nel diritto privato o pubblico un valore fondamentale cui erano ispirati interventi e regole è stato, fino ad alcuni decenni fa, quello della “certezza del diritto”.
Non è molto facile definire un significato preciso del termine “certezza del diritto”, anche se nella pratica giuridica l‟interesse alla certezza del diritto riceveva attenzione e tutela. Espressione di questa attenzione era, ad esempio, l‟adozione di una norma chiara in sostituzione di più norme contraddittorie oppure la formulazione, con un atto interpretativo di valore vincolante, di un chiarimento “per garantire la certezza del diritto”.
È pur vero che la scienza giuridica conosce un significato relativo del termine “certezza”, appunto perché sul piano ontologico è fatto di parole, articolate in proposizioni che si applicano ai fatti15.
Ma altrettanto indiscutibile appare la necessità, che a fronte di una certa condotta, di un‟azione giuridicamente rilevante, l‟agente possa fondare la propria decisione sulla base di sistema di norme in grado di fornire utili elementi utili per determinarne le conseguenze giuridiche.
14 XXXXXXXX, La perdita della certezza del diritto, riflessi sugli equilibri dell‟economia e della finanza pubblica, Pavia, XV Conferenza SIEP, 2003, pag. 22, sostiene che il presupposto per un corretto funzionamento del sistema di economia di mercato e della finanza pubblica non è soltanto l‟esistenza di un complesso articolato di regole, ma di regole dotate di adeguata chiarezza e di certa interpretabilità.
15 Il tema della certezza delle regole giuridiche è affrontato anche in un saggio di XXXXXXX dal titolo Il rovescio del diritto, Milano, 1991.
Chiaramente, il problema posto in questi termini, si sposta allora sul grado di approssimazione della norma giuridica rispetto all‟atto posto in essere.
Così, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, prevalentemente dettata in riferimento alle garanzie del sistema penale italiano, la certezza del diritto significa che, in una data situazione o al verificatisi di determinati presupposti, il soggetto interessato possa fare affidamento, in base ad una regola dotata di “sufficiente chiarezza”, sull‟esistenza di un divieto o proibizione o di un obbligo giuridico e del correlativo diritto.
Si sostiene, dunque, un concetto di certezza del diritto assimilabile ad un giudizio di calcolabilità delle conseguenze giuridiche di un determinato comportamento umano, sovrapponendosi il piano della norma giuridica, che appartiene al mondo del dover essere, con quello empirico dell‟essere, nella sua propria dimensione umana.
Infatti la mancanza di una univoca definizione del comando giuridico nel caso concreto o la presenza di dubbi in ordine a quale debba essere la regolazione di poteri giuridici, ovvero la qualificazione di un bene, pongono il soggetto economico, pubblica amministrazione od operatore privato, famiglia o impresa, nella necessità di attuare “scelte non sorrette dalla previsione di conseguenze definite e quindi basate su calcoli probabilistici in ordine alle possibili conseguenze giuridiche”. La perdita del requisito della certezza del diritto è un fenomeno già da tempo denunciato da studiosi di teoria generale o di diritto
pubblico16: in primo luogo, ciò avviene perché nei sistemi economici attuali, si guarda più all‟efficacia della norma in ordine al conseguimento dell‟obiettivo a breve termine che all‟inserimento meditato della norma, nel lungo termine, in un sistema armonioso e coerente.
A ridurre il livello di certezza del diritto ha contribuito, da ultimo, l‟evoluzione del formante giurisprudenziale. L‟elevato contenzioso ed eccesso di litigiosità ha determinato l‟adozione di sentenze anche molto differenziate quanto a soluzioni interpretative delle norme.
E‟ ben vero che nei più moderni e dinamici paesi ad economia di mercato (in particolare nell‟ordinamento britannico ed in quello degli U.S.A.) la giurisprudenza ha svolto un ruolo fondamentale nel determinare l‟evoluzione delle regole del diritto e l‟adeguamento dei sistemi giuridici alle esigenze della trasformazione economica, in sostanza, ha svolto la funzione creatrice del diritto. Ma si è trattato pur sempre di evoluzioni razionali caratterizzate da linee di fondo coerenti ad una logica giuridica di fondo e da un‟elevata continuità istituzionale. L‟incertezza della situazione giuridica costituisce, in linea generale per il singolo operatore e per il sistema economico nel suo complesso, un fattore di diseconomia.
16 X. XXXXX, “La legge oscura”. Come e perché non funziona, Bari, 2000; a pag. 155 l‟A. afferma che la legge è oscura quando non consente “l'estrazione di una norma vincolante”, in genere perché afflitta da ambiguità, irrazionalità o incoerenza; cfr. anche A. XXXXXXX, Fonti e norme nell‟ordinamento e nell‟esperienza costituzionale, Torino, 1993, pag. 6 e ss. che distingue il concetto di “oscurità” in senso “forte” da quello di “tono minore”; nel primo caso la legge è inesistente, in quanto colpita da “radicale nullità”; nel secondo caso, invece, può ammettersi “l‟annullamento giudiziale” ad opera della Consulta. Secondo L‟A. la definizione corretta di “oscurità” è solo la prima: se l‟enunciato è oscuro non esistono né disposizione né norma.
La situazione di incertezza nell‟interpretazione delle regole di diritto, inoltre, può richiedere di sostenere all‟operatore costi elevati per compensare consulenti o imprese che svolgono ricerche di carattere teorico e pratico sull‟interpretazione del diritto.
Infatti, negli assetti contrattuali l‟incertezza del diritto va considerata come un fattore di incremento dei costi di transazione.
I fenomeni di incertezza della situazione giuridica possono, inoltre, determinare situazioni di asimmetria informativa. E‟ ben possibile, infatti, che la conoscenza della situazione giuridica e dell‟interpretazione della norma di legge sia distribuita in modo diseguale fra le parti di un contratto o di un rapporto giuridico.
Ne deriva il venir meno delle condizioni che qualificano l‟assetto del sistema concorrenziale che, com‟è noto, deve essere caratterizzato dal pieno ed eguale accesso alle informazioni da parte dei partecipanti al gioco economico e quindi dalla piena conoscenza delle condizioni (equal access).
Ma anche nel settore dell‟intermediazione finanziaria, può dirsi che l‟incertezza del diritto generi spostamenti tra la domanda e l‟offerta di investimenti, determinando un‟allocazione non efficiente delle risorse: chi investe, infatti, fonda la propria decisione strategica sulla base di una serie di preferenze, anche determinate dallo stato delle norme giuridiche storicamente presenti in un dato sistema.
Ragion per cui, il valore del proprio risparmio convertito in investimento,
dipende essenzialmente dal grado di tutela che la posizione soggettiva derivante dal contratto (sia essa attiva che passiva) conserva nell‟ordinamento giuridico,
riflettendosi nella stessa scelta di investimento. La conversione di risparmio in investimenti, non a caso, è stato indicato come il problema cruciale dei moderni sistemi capitalistici17.
L‟analisi del risparmio si impernia su di un elemento particolarmente rilevante: la non esistenza di motivi logici per cui si debba necessariamente verificare un equilibrio tra risparmio e investimento tale da assicurare la piena occupazione del lavoro e della capacità produttiva esistente.
Innanzitutto, è evidente che l‟individuo che si astiene dal consumo corrente accresce la propria ricchezza indipendentemente dalla forma in cui decida di detenerla. Ma ciò cessa di essere vero non appena ci si sposti a ragionare a livello aggregato.
Una decisione collettiva di ridurre il consumo corrente, destinando al risparmio una quota maggiore del reddito, determina un corrispondente aumento della ricchezza sociale solo se le decisioni di risparmio si traducono, direttamente o indirettamente, in decisioni di investimento. Coloro che ritengono che la trasformazione del risparmio in investimento debba necessariamente avvenire “suppongono erroneamente che vi sia un nesso che unisca le decisioni di astenersi dal consumo presente con le decisioni di provvedere al consumo futuro”.
Diversamente, il risparmio non si traduce necessariamente, direttamente o indirettamente, in investimento, in quanto i fattori che regolano le decisioni
17 XXXXXX, The General Theory of Employment, Interest and Money, New York, 1936.
d‟investimento sono essenzialmente indipendenti da quelli che regolano le decisioni di astenersi dal consumo corrente.
Ogni individuo determina quanto del suo reddito è speso in beni di consumo e quanto è risparmiato; ma, presa questa decisione, ve ne è una successiva che riguarda la forma in cui detenere il risparmio. Le alternative considerate da Xxxxxx nella General Theory sono due: a) mantenere il risparmio in forma liquida (moneta); b) convertire il risparmio direttamente o indirettamente in investimento.
In altri termini, una volta presa la decisione di risparmiare, all‟individuo resta ancora un grado di libertà: la possibilità di mantenere il risparmio sotto forma di moneta piuttosto che convertirlo in investimento.
Quanto vale per il risparmio vale più in generale per la ricchezza: anch‟essa può essere detenuta in moneta piuttosto che in beni capitali (o attività finanziarie) che producono un rendimento.
Il motivo fondamentale per cui si desidera detenere ricchezza sotto forma di moneta, anziché in forme più produttive, è perché la moneta, in virtù della sua liquidità, rappresenta, la migliore difesa contro il futuro incerto..
In altre parole, il desiderio di detenere moneta è un indicatore del grado di sfiducia nei confronti del futuro: “Il possesso effettivo di moneta placa la nostra inquietudine”.
Xxxxxxxx Xxxxxx, possiamo assumere che la decisione di tesaurizzare il proprio risparmio corrisponda alla decisione di detenerlo presso una banca sotto forma di deposito, mentre la decisione di convertirlo in investimento
corrisponde alla decisione di acquistare titoli, cioè effettuare prestiti a favore di imprese che intendono fare investimenti reali.
I depositi presso le banche hanno in generale lo stesso grado di liquidità della moneta contante.
A tale riguardo il ruolo delle banche è evidentemente cruciale. Le banche infatti possono agire in modo tale da neutralizzare la più alta preferenza per la liquidità da parte del pubblico: è sufficiente che esse acconsentano ad accogliere i depositi che il pubblico desidera, acquistando allo stesso tempo i titoli che il pubblico non desidera detenere.
Il prezzo dei titoli dipende dall‟offerta e dalla domanda ed è in correlazione inversa con il tasso d‟interesse; se il pubblico mostra di avere una maggiore propensione a “realizzare”, la domanda di titoli si riduce e, quindi, il tasso d‟interesse aumenta scoraggiando gli investimenti.
Se però le banche agiscono in senso inverso a quello del pubblico, non si ha necessariamente un effetto negativo sui prezzi dei titoli e sugli investimenti. Il prezzo dei titoli dipende perciò “dai sentimenti del pubblico e dal comportamento del sistema bancario”.
Così, anche in un contesto più complesso come quello ora considerato, non esistono ragioni necessarie per cui le decisioni di risparmiare si traducano automaticamente in decisioni di investire. In questo quadro il risparmio in quanto tale non è una virtù sociale, nel senso che non significa necessariamente contribuire all‟accrescimento della ricchezza collettiva e delle generazioni future.
In termini più analitici, ciò significa che non è il risparmio che determina l‟investimento, ma piuttosto il contrario.
Un aumento dell‟investimento aggregato implica un incremento della domanda di beni (capitali) da produrre; ciò fa crescere sia l‟occupazione sia il reddito; l‟aumento del reddito porta con sé l‟aumento del risparmio.
La certezza dell‟ordinamento giuridico è una variabile che incide sia sul piano psicologico, nella misura in cui la scelta tra risparmio e impiego fruttifero appare legata alle aspettative future, sia sul piano strettamente economico della convenienza o meno dell‟investimento rispetto ai rischi di questo.
Ecco perché il compito del Legislatore, prima, e degli altri operatori del diritto, dopo, non può non tenere conto della necessità di costruire un sistema giuridico organico e compiuto, che possa offrire agli operatori economici un tessuto normativo certo e chiaro su cui fondare le proprie scelte di investimento.
L‟ultima graduatoria diffusa dalla Banca Mondiale è impietosa verso il nostro Paese: l‟Italia è l‟ultima ruota nel carro dei Paesi OCSE e settantottesima nella classifica mondiale per quanto concerne la capacità di attrarre gli investimenti dall‟estero18.
Nel periodo 2000-2004 l‟Italia ha ricevuto il 2 per cento del totale degli investimenti diretti esteri pervenuti nell‟Unione Europea, a fronte del 6 per cento ciascuno di Francia e Germania, 7 per xxxxx xxxxx Xxxxxx, 0 per cento dell‟Olanda, 14 per cento del Regno Unito.
18 Fonte: banca dati de “ilSole24ore; SoleRadiocor”.
L‟attuale crisi finanziaria, che pure colpisce, con intensità evidentemente variabile, tutte le economie del mondo, rischia di esasperare ulteriormente questa tendenza. I dati parlano chiaro: nel 2008 il calo dei flussi netti FDI in Italia è stato del 95% su base annua, in Francia di circa il 28%.
Il sondaggio effettuato dal Comitato degli Investitori esteri di Confindustria fornisce una ricognizione indicativa dei principali giudizi dei manager di un campione di società multinazionali che hanno investito in Italia.
La lista degli elementi di insoddisfazione è, anzitutto, uno specchio dei ritardi del Paese, peraltro tutti lamentati nel corso dell‟attuale dibattito: procedure burocratiche lente e bizantine, elevato costo del lavoro, mancanza di certezza delle regole, instabilità politica e carenze infrastrutturali.
Si tratta, a ben vedere, di fattori esogeni che minano la competitività complessiva del Sistema Italia, non solo l‟attrazione degli investimenti esteri, e che necessitano comunque di interventi di riforma.
2. La “tipicità” del contratto di investimento. La genesi del “contratto amministrato”.
L‟esigenza illustrata nel paragrafo che precede, tuttavia, non sempre è stata tenuta in debito conto nei molteplici interventi legislativi, speciali rispetto al codice civile, che hanno regolato importanti settori dell‟economia nazionale.
Il dubbio in ordine all‟utile esperibilità nel mercato finanziario di principi e regole del diritto contrattuale fissato nel codice civile, emerse già all‟indomani dell‟entrata in vigore dei primissimi provvedimenti legislativi aventi ad oggetto
il mercato mobiliare (e precisamente dopo le modifiche apportate nel 1985 alla l. 7 giugno 1974, n. 216).
Più precisamente, sul cadere degli anni ottanta il dubbio fu posto da chi fece osservare come la novità delle operazioni condotte sul mercato mobiliare, la continua creazione di nuovi “prodotti” e di nuove “forme di intermediazione finanziaria” imponesse a dottrina e giurisprudenza di verificare la compatibilità dei principi di diritto comune con la disciplina speciale e la possibilità tecnica di colmare le lacune di una legislazione frammentaria con il ricorso a principi di diritto comune19.
In sostanza, sin dall‟inizio degli anni 90 del secolo scorso, si è preso atto che nelle società contemporanee “alle solenni architetture dei codici” si sono affiancati “altri diritti”. Ciò perché, la legislazione moderna ha dovuto scontare un deficit genetico del diritto dei contratti, risalente alla sistematica del codice napoleonico (e sulle sue orme, del codice italiano del 1865), consistente nella riconduzione del contratto in una posizione subordinata e strumentale alla proprietà, riflesso di un‟economia prevalentemente agricola, in cui la terra era la risorsa produttiva fondamentale. Nei sistemi economici evoluti, invece, la ricchezza economica e le risorse produttive consistono, più che in cose, in rapporti ed in pretese collegate ad obblighi altrui: e pretese ed obblighi nascono dai contratti.
19 ALPA, Una nozione pericolosa: il c.d. “contratto di investimento”, op. cit., pag. 393 e ss.; INZITARI, Vigilanza e correttezza nelle attività di intermediazione mobiliare, in MAZZAMUTO E TERRANOVA (a cura di) L‟intermediazione mobiliare, Napoli, 1993, pag. 131 ss. Cfr. anche MERUSI, Interessi e fini nei controlli sugli intermediari finanziari, in Banca borsa, 1989, I, pag. 181.
Se si mantiene l‟equazione che assimila a proprietà ogni valore economico fortemente tutelato dal diritto, il contratto crea proprietà. Tuttavia, il fenomeno è particolarmente marcato nel settore dei beni finanziari: il contratto si configura esso stesso, direttamente, come bene.
Al disegno sistematico ed unitario del codice civile si sono sostituiti una pluralità di “micro-sistemi” retti ciascuno da proprie regole, da “logiche autonome e principi organici” loro propri20, i quali fanno sì che anche fattispecie astrattamente simili siano assoggettate a discipline differenziate21.
Ai dubbi manifestati da alcuni si contrapposero le sicurezze di altri, che negarono decisamente che i contratti conclusi nei mercati finanziari costituissero un “microsettore” a sé dell‟ordinamento, con la conseguenza che, secondo questo orientamento, ben si sarebbero potute estendere a tali contratti gli schemi, le regole e i principi ricevuti dalla tradizione civilistica e fissati nel codice civile22.
In questa direzione, anzi, si è ritenuto di poter assegnare un ruolo di primaria importanza al “diritto privato comune”.
Quest‟ultimo, quale insieme di tecniche e regole sperimentate, sarebbe in grado di guidare il giudizio critico dell‟interprete in ordine alla disciplina speciale del mercato mobiliare. Il “diritto privato comune” potrebbe operare in tal senso,
20 IRTI, L‟età della decodificazione, Milano, 1999, pag. 22, secondo cui, in sintesi, il codice civile conserverebbe la propria centralità per le regole generali in esso contenute, in materia di obbligazioni e tutela dei diritti; dello stesso A. cfr. anche la Relazione al Convegno “Codificazione, semplificazione e qualità delle regole”, tenutosi in data 17 marzo 2005 alla Facoltà di Giurisprudenza dell‟Università di Roma Tre.
21 LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Riv. dir. civ., 1, 2007, pag. 739 e ss.
22 XXXXXXXXXX, I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, pag. 18.
secondo la dottrina ora riferita, in virtù del fatto di essere “vecchio dell‟esperienza di secoli”23.
La principale obiezione mossa alla tesi della tipicità del “contratto di investimento” consisteva nel rilevo dell‟impossibilità di individuare una categoria unitaria entro la quale ascrivere le varie forme di valori mobiliari e di investimenti finanziari, che già sul finire degli anni ‟80 apparivano disomogenee e prive di elementi comuni24.
Il diritto nordamericano conosce già la nozione di contratto di investimento dal 1933, quando entrò in vigore il Securities Act.
Così la sec. 2 di quest‟ultimo formula la nozione di security, secondo cui “The term „„security‟‟ means any note, stock, treasury stock, security future, security- based swap, bond, debenture, evidence of indebtedness, certificate of interest or participation in any profit-sharing agreement, collateral-trust certificate, preorganization certificate or subscription, transferable share, investment
contract, voting-trust certificate, certificate of deposit for a security, fractional
undivided interest in oil, gas, or other mineral rights, any put, call, straddle, option, or privilege on any security, certificate of deposit, or group or index of securities (including any interest therein or based on the value thereof), or any put, call, straddle, option, or privilege entered into on a national securities exchange relating to foreign currency, or, in general, any interest or instrument commonly known as a „„security‟‟, or any certificate of interest or participation
23 IRTI, Notazioni esegetiche sulla vendita a domicilio di valori mobiliari, in AA. VV., Il sistema finanziario ed i controlli: dall‟impresa al mercato, Milano, 1986, pag. 103 e ss..
in, temporary or interim certificate for, receipt for, guarantee of, or warrant or right to subscribe to or purchase, any of the foregoing”.
Il contratto di investimento non appare dunque legalmente tipizzato, se non per l‟essere ricondotto alla categoria del valore mobiliare25.
Difatti, la sua nozione è stata prevalentemente definita in via pretoria, nella giurisprudenza delle Corti statuali26 come “un contratto, un affare o uno schema col quale un soggetto investe il suo denaro in una impresa a capitale diffuso ed è perciò portato a ripromettersi di ottenere profitti derivanti dagli sforzi dei promotori o di terzi”.
Si tratterebbe, dunque, di una definizione del contratto di investimento più orientata nel suo aspetto funzionale, l‟attività di investimento, intesa come aspettativa del profitto, che non nel suo aspetto strettamente giuridico, considerato comunque che il diritto americano non conosce le categorie dogmatiche più salienti della tradizione dei sistemi di civil law.
Ad ogni modo, è indubbio che, così costruita, la nozione di contratto di investimento rientra nella più ampia categoria del security, anche perché il contratto con cui si dispone di un valore mobiliare è dalla sec. 2 (3) del S. A. del 1933 essenzialmente ricondotto allo schema della compravendita (The term “sale” or “sell” shall include every contract of sale or disposition of a security or interest in a security, for value), a differenza del nostro ordinamento in cui la nozione di contratto di investimento appare costruita per definire un momento
25 X. XXXXXXX, Valore mobiliare ed investment contract, in Contr. e impr., 1, 1992, pag. 107.
26 nel leading case, W.J. Xxxxx Company v. Sec, 1946, 328 U.S.
negoziale antecedente all‟operazione finanziaria da porre in essere, cioè nel rapporto cliente- intermediario.
Sotto questo aspetto la “concezione” italiana sembra più vicina, invece, all‟esperienza inglese, che già nel Financial Services Act del 1986 concepiva l‟investment contract come un customer agreement (nozione più ampia) tra operatore e cliente.
Nell‟esperienza italiana, invero, già da tempo la migliore dottrina sottolinea la complessità della disciplina comune del contratto a causa del proliferare di discipline speciali o di settore che, ne hanno messo in discussione la tenuta sul piano generale.
Senza considerare, peraltro, l‟incidenza del diritto comunitario sull‟ordinamento privato le cui interferenze sono state sovente causa di accesi dibattiti e contrasti applicativi.
Si considera un dato acquisito alla sistematica del diritto civile che il “contratto” non è certamente più una categoria unitaria27, tuttavia, all‟interno della sua tripartizione (contratto del codice civile, contratto del consumatore, contratto con squilibrio di potere contrattuale) la seconda e la terza categoria assumono rilevanza crescente per lo studio dell‟interazione tra la disciplina codicistica e la disciplina giuridica del mercato, o meglio, le singole discipline proprie di ciascun mercato.
27 ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001 pag. 769 e Parte generale del contratto, Contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul “terzo contratto”), in Riv. dir. priv., 2007, 4, pag. 669 e ss.
La rilevanza stessa del contratto come strumento dell‟economia di mercato permette infatti
di verificare e di valutare, da un lato, l‟impatto della disciplina settoriale su quella di parte generale, nel senso di riconoscere che le norme di settore destinate a tutelare i soggetti di un determinato mercato incidono direttamente sul piano della contrattazione, e che, per il tramite della disciplina stessa del contratto, consentono di addivenire a forme di regolazione del mercato.
La prassi ha insegnato che il regime di tutela consiste nella tipizzazione del contenuto contrattuale, ora per effetto diretto di una legislazione settoriale (come nel caso della legge sulla subfornitura), ora attraverso l‟attribuzione di poteri normativi riconosciuti dalla legge alle Autorità indipendenti come strumenti di amministrazione in senso tecnico dell‟autonomia contrattuale delle parti individuali, o ancora mediante la contrattazione interassociativa (recte regolamentare), quando il contratto collettivo sia negoziato dalle associazioni maggiormente rappresentative dei professionisti e dei consumatori, le cui regole si oggettivizzano sul piano dei rapporti individuali come clausole d‟uso, in qualche caso irrigidendosi come clausole inderogabili in peius quando la negoziazione sia imposta dalla legge).
Non a caso, il progressivo aumento negli ultimi decenni degli interventi legislativi “mirati” e della moltiplicazione delle Authorities e dei relativi poteri è
stato sicuramente incentivato dalla progressiva erosione del modello di intervento diretto dello Stato nell‟economia28.
È il caso dei servizi di pubblica utilità (e del potere riconosciuto in capo alle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità di adottare “direttive concernenti la produzione e l‟erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi”, definendo, tra l‟altro, i livelli generali di qualità riferiti alla singola prestazione e al complesso di prestazioni da eseguirsi).
Specialmente con riguardo al settore dei contratti di intermediazione finanziaria, campeggia l‟intervento regolatorio ab externo, con tanto di moltiplicazione dei soggetti regolatori “terzi” rispetto al legislatore e al giudice (CONSOB, Banca d‟Italia, ISVAP).
E‟ plausibile che la tutela del consumatore di servizi finanziari discenda dal perseguimento di finalità di più ampio respiro rispetto alla mera protezione della parte “debole” del rapporto (quando risulta davvero tale); e che, in ultima analisi, il fondamento della regulation finanziaria vada individuato nella salvaguardia dell‟integrità del sistema finanziario e della trasparenza e correttezza del relativo market behaviour (regolamentazione transattiva); che, dunque, investitori e consumatori di servizi finanziari vengano protetti non individualmente, bensì attraverso la tutela della public confidence, della buona reputazione complessiva dell‟industria e del sistema finanziario.
28 Cfr. MICOSSI, in PADOA SCHIOPPA- KOSTORIS (a cura di), Le autorità indipendenti e il buon funzionamento dei mercati, Milano, 2002, pag. 8 e ss, nonché, sul tema della “neutralità”, Id. Il conflitto tra governati e governanti, in GRAFFINI (a cura di) L‟indipendenza dell‟autorità, Bologna, 2001, pag. 61. Sul tema della regulation cfr. XXXXXXX, Le amministrazioni indipendenti, Torino, 1996, pag. 237 e ss.; XXXXXXX, Costi e benefici dei diversi modelli di regolazione, in Analisi giuridica dell‟economia, I, 2002, pag. 385 ss.; XXXXXXX, Le autorità indipendenti nello “spazio regolatorio”, Bologna, 2005, pag. 1039.
Ma, si sostiene, è un fatto che la protezione individuale, fosse anche strumentale rispetto all‟obiettivo di assicurare l‟integrità del mercato, opera sul piano diritto contrattuale e si traduce nel disegno d‟incidere sull‟attività e sulle condotte che preparano il (o derivano dal) contratto, piuttosto che sul suo contenuto sostanziale29.
Ciò premesso, allora, preliminare appare l‟interrogativo: esiste ancora una distinzione tra “parte generale” e “parte speciale” della disciplina del contratto? La stessa tecnica legislativa introduce insiemi di norme definite “a vocazione metatipica”, e prevalentemente a carattere imperativo30, in quanto finalizzate a porre rimedio alle situazioni di disparità di potere contrattuale nell‟ambito della contrattazione tra professionista e consumatore, o tra imprenditore in posizione di forza e imprenditore “debole”.
Diversamente, le Autorità indipendenti o le categorie di soggetti associativi maggiormente rappresentative, introducono standard, modelli e discipline che assumono una funzione sempre più “tipizzante” dei relativi rapporti contrattuali, mirando a creare veri e propri tipi contrattuali extralegali31.
La tipizzazione ad opera delle Autorità indipendenti, il c.d. contratto “amministrato”, costituisce oggi il più avanzato fronte di mediazione tra
29 PARDOLESI, Postilla, op. cit., pag. 330.
30 Tutto ciò testimonia la sostanziale unitarietà del fenomeno delle autorità indipendenti, come soggetti necessariamente dotati di funzioni normative, oltre che amministrative, ai fini della gestione complessiva di un settore o ambito di attività, ponendo al tempo stesso il problema di rintracciare un regime, possibilmente comune, dei poteri in esame. Sull‟efficacia orizzontale di tali atti nei rapporti fra privati, cfr. ALPA, I poteri regolamentari delle Autorità amministrative indipendenti, in AMOROSINO XXXXXXXXXX XXXXXX (a cura di), Istituzioni mercato e democrazia. Liber amicorum per Xxxxxxx Xxxxxxxx, Torino, 2002, pag. 11 ss.
31 GITTI, Autorità indipendenti, contrattazione collettiva, singoli contratti, in X. XXXXX (a cura di), L‟autonomia privata e le autorità indipendenti, Bologna, 2006, pag. 94 e ss.; Id., La tenuta del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, in Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, in Atti del Convegno (Pisa, 25-26 maggio 2007), Milano, pag. 15.
l'intervento statale nell‟economia e la riconfermata centralità del libero mercato e della concorrenza; cui è assegnata, fra l'altro, proprio la funzione di dettare precise regole per la esplicazione del quomodo dell'esercizio dell'autonomia privata.
Tuttavia, la stessa funzione di eterointegrazione, storicamente demandata alla disciplina del tipo contrattuale, è oggi svolta in massima parte da regole eccentriche rispetto all‟impianto codicistico fondato sulla dialettica tra parte generale e parte speciale.
La questione, allora, posta dalla progressiva frammentazione del diritto dei contratti è quindi quella dei limiti all‟autonomia contrattuale delle parti nel primo caso, mentre quella del modus perandi delle regole dirette alla ricostruzione del contenuto del contratto, e cioè, in sostanza, “quelle che consistono nel colmare le lacune” nel secondo.
Il passaggio ulteriore è costituito allora dall‟indagare se, nella nuova interazione tra discipline di settore e disciplina codicistica, non sia forse quest‟ultima, comprensiva della parte speciale sui singoli contratti, ad aver assunto la valenza di “parte generale”, mentre la “parte speciale” sia oggi contenuta nella disciplina di settore, dettata dalle Autorità indipendenti, fissata mediante la contrattazione collettiva, o determinata da parte di organizzazioni rappresentative.
La risposta all‟interrogativo sulla sopravvivenza e la rilevanza del tipo contrattuale risente, pertanto, del reciproco rapporto di condizionamento concorrente tra norma generale e norma speciale: da una parte il tipo conserva la sua funzione più propria di integrazione del regolamento contrattuale mediante il
criterio di compatibilità; per altro verso, e all‟opposto, il tipo contrattuale
fornisce un valido criterio di valutazione della legittimità del regolamento pattizio frutto dell‟autonomia delle parti.
A tale proposito, lo studio dell‟incompletezza del contratto ha ribadito ciò che già lo studio del tipo aveva ben messo in evidenza, e cioè che il concorso di fonti nella determinazione del regolamento contrattuale, nell‟interazione tra norme imperative e regole dispositive, mentre sul piano economico costituisce la risposta al problema di limitare i costi transattivi, sul piano giuridico si pone trasversalmente al tema della qualificazione e in generale all‟ermeneutica del contratto, e richiede di ricostruire l‟atto di autonomia e di supplire alle sue intrinseche lacune32.
3. Dal “contratto di investimento” al “contratto finanziario”: i contratti nella disciplina del Testo Unico Finanziario (d. lgs. 58/1998) e la nascita del “formalismo protettivo”.
Diversamente dalla legge n. 1/1991, i successivi interventi legislativi (d. lgs. 58/1998 e successive modifiche) hanno ridisegnato la disciplina dell‟intermediazione finanziaria in modo più analitico e dettagliato, nell‟ottica di una maggior tutela degli operatori del mercato, richiesta in ambito comunitario. Oggi, infatti, i servizi e le attività di investimento sono individuati all‟art. 1, comma 5, T.U.F. Tale norma dispone che ”per „servizi e attività di investimento‟ si intendono i seguenti, quando hanno per oggetto strumenti finanziari: a) negoziazione per conto proprio; b) esecuzione di ordini per conto dei clienti; c)
32 X. XXXXXXXXXXX, I contratti incompleti nel diritto e nell‟economia, Padova, 2000, pag. 38 e ss., l‟A. si riferisce all‟ipotesi in cui il contratto sia preposto a disciplinare non un singolo scambio, ma una pluralità di diritti e di obblighi articolati in un rapporto di durata, caratteristica tipica dei contratti di impresa, che tuttavia determina il generale problema della progettazione di istituzioni che siano in grado di soddisfare gli obbiettivi propri di una determinata società, mediante la predisposizione di incentivi e di limiti all‟esercizio dell‟autonomia privata.
sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente; cbis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente; d) gestione di portafogli; e) ricezione e trasmissione di ordini; f) consulenza in materia di investimenti; g) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione”.
In particolare, qui ci si intende riferire a quegli specifici servizi che vengono identificati col nome di “contratti finanziari”, i quali ricevono, nella regolamentazione di settore, una disciplina in parte comune e in parte specifica, con l‟ulteriore avvertenza, necessaria poiché nei contratti finanziari le controparti degli intermediari ricevono una tutela diversificata in ragione della categoria di clientela nella quale sono inserite che in tale sede, ci si occuperà prevalentemente della disciplina dettata per la conclusione di contratti con clienti al dettaglio.
Le disposizioni comuni che disciplinano la materia dei contratti finanziari possono essere divise in norme che dettano particolari vincoli di forma e di contenuto e norme che impongono una serie di obblighi in capo all‟intermediario.
Per quanto attiene alla forma, l‟art. 23 T.U.F. dispone che i contratti relativi alla prestazione di servizi d‟investimento, eccezion fatta per quelli di consulenza, devono essere redatti per iscritto e che una copia deve essere consegnata al cliente, a pena di nullità33.
Nei contratti di prestazione di servizi finanziari, dunque, sussiste un vincolo di forma scritta accompagnato da un obbligo di consegna. Tale obbligo di consegna
33 XXXXXXX XXXXXXX, Commento all‟art.21, comma 1 lett. a e b, in RABITTI BEDOGNI (a cura di), Testo unico della intermediazione finanziaria, Milano, pag. 170. Cfr. anche XXXXXX, Commento all‟art. 23, ibidem, pag. 200.
rende evidente che, nelle fattispecie in esame, la forma scritta è prevista, oltre che per garantire una generica tutela del cliente, allo specifico fine di veicolare le informazioni.
Ai sensi della norma, non possono essere inserite nel contratto pattuizioni di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto all‟intermediario.
L‟art. 37 del Regolamento Intermediari34 della CONSOB limita poi la necessità della forma scritta, prevista dal T.U.F. indistintamente, ai soli contratti stipulati con clientela al dettaglio e dispone, altresì, una sorta di contenuto minimo necessario dei contratti di fornitura di servizi d‟investimento: devono essere descritti analiticamente l‟oggetto, la durata, le modalità di esecuzione del contratto e la remunerazione spettante all‟intermediario per le proprie prestazioni. In particolare:
1. Gli intermediari forniscono a clienti al dettaglio i propri servizi di investimento, diversi dalla consulenza in materia di investimenti, sulla base di un apposito contratto scritto; una copia di tale contratto è consegnata al cliente.
2. Il contratto:
a) specifica i servizi forniti e le loro caratteristiche, indicando il contenuto delle prestazioni dovute e delle tipologie di strumenti finanziari e di operazioni interessate;
b) stabilisce il periodo di efficacia e le modalità di rinnovo del contratto, nonché le modalità da adottare per le modificazioni del contratto stesso;
c) indica le modalità attraverso cui il cliente può impartire ordini e istruzioni;
34 Delibera CONSOB 29 ottobre 2007 n. 16190, in xxx.xxxxxx.xx.
d) prevede la frequenza, il tipo e i contenuti della documentazione da fornire al cliente a rendiconto dell'attività svolta;
e) indica e disciplina, nei rapporti di esecuzione degli ordini dei clienti, di ricezione e trasmissione di ordini, nonché di gestione di portafogli, la soglia delle perdite, nel caso di posizioni aperte scoperte su operazioni che possano determinare passività effettive o potenziali superiori al costo di acquisto degli strumenti finanziari, oltre la quale è prevista la comunicazione al cliente;
f) indica le remunerazioni spettanti all‟intermediario o i criteri oggettivi per la loro determinazione, specificando le relative modalità di percezione e, ove non diversamente comunicati, gli incentivi ricevuti in conformità dell‟articolo 52;
g) indica se e con quali modalità e contenuti in connessione con il servizio di investimento può essere prestata la consulenza in materia di investimenti;
h) indica le altre condizioni contrattuali convenute con l'investitore per la prestazione del servizio;
i) indica le eventuali procedure di conciliazione e arbitrato per la risoluzione stragiudiziale di controversie, definite ai sensi dell‟articolo 32-ter del Testo Unico.
3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano al servizio accessorio di concessione di finanziamenti agli investitori.
Dubbi di legittimità potrebbero sorgere con riferimento alla circostanza che un regolamento CONSOB limiti l‟ambito di applicazione soggettivo di una norma di protezione, posta da una fonte primaria, quale è l‟art. 23 T.U.F.: in un‟ottica di ricostruzione sistematica, tuttavia, tali dubbi possono essere fugati dall‟art. 39,
primo comma della direttiva MiFID35, ai sensi del quale la richiesta di forma scritta è limitata ai clienti al dettaglio.
Quanto agli obblighi dell‟intermediario di carattere informativo essi sono regolati innanzitutto all‟art. 21, lett. B del T.U.F., che richiede che l‟intermediario acquisisca le informazioni necessarie dai clienti e operi in modo che essi siano sempre adeguatamente informati. Si tratta quindi di informazioni che vengono trasmesse dall‟investitore all‟intermediario e, per altro verso, che vengono trasmesse dall‟intermediario all‟investitore. Ulteriori profili attinenti gli obblighi informativi sono disciplinati nel Libro terzo del Regolamento intermediari, dedicato alla prestazione dei servizi e della attività di investimento e dei servizi accessori, ed in particolare, dalla parte seconda intitolata “Trasparenza e correttezza nella prestazione dei servizi/attività di investimento e dei servizi accessori”.
Tutti i comportamenti che gli intermediari devono assumere nei rapporti con il cliente costituiscono specificazioni del generale dovere di trasparenza e correttezza36, riconducibile alle clausole di buona fede nelle trattative e nell‟esecuzione del contratto di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c., che, data la peculiarità del rapporto in esame, viene declinato dal legislatore in obblighi tipici.
La ratio di tali obblighi è quella di ridurre l‟asimmetria informativa tra intermediario e cliente, in modo che quest‟ultimo sia messo in grado di scegliere
35 Direttiva 2004/39/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, MIFiD –
Markets Financial Instruments Directive.
00 Xxx. Xxxx., Xxx. Xxxxx, x. 00000 del 2007, loc. cit., nota 7.
con consapevolezza quali rischi assumere in relazione ai propri obiettivi d‟investimento.
I comportamenti cui è tenuto l‟intermediario possono essere suddivisi in obblighi di informare ed obblighi di informarsi (art. 21 T.U.F.).
Per quanto attiene gli obblighi di informare37 (disciplinati dagli artt. 29, 30, 31, 32 Reg. int.), l‟intermediario, come si è accennato, deve fornire al cliente (o al potenziale cliente) una serie di notizie riguardanti, per quanto qui interessa, l‟intermediario stesso (nome, indirizzo, recapiti, modalità di comunicazione, estremi dell‟autorizzazione a fornire servizi finanziari, natura, frequenza e date della documentazione di rendiconto ecc.), la tipologia dei servizi prestati, le misure adottate per la salvaguardia degli strumenti finanziari e delle somme di denaro della clientela, gli strumenti finanziari trattati (natura e rischi), i costi e gli oneri connessi alla prestazione dei servizi finanziari. Tali informazioni, peraltro, devono essere corrette, chiare e non fuorvianti; possono essere fornite in formato standardizzato purché su supporto duraturo, o tramite il sito Internet dell‟intermediario38.
Il Regolamento Intermediari si preoccupa anche di disciplinare il tempo in cui le informazioni devono essere fornite, disponendo, in particolare, che quelle concernenti i termini del contratto devono essere date prima della stipulazione, mentre le altre prima che il servizio oggetto del contratto sia prestato.
37 SANGIOVANNI, Informazioni e comunicazioni pubblicitarie nella nuova disciplina dell‟intermediazione finanziaria dopo l‟attuazione della direttiva MIFID, in Giur. it., 2008, pag. 785 ss.; Id., Gli obblighi informativi delle imprese di investimento nella più recente normativa comunitaria, in Dir. com. scambi int., 2007, 363 ss.; nonché XXXXXXX, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive MIFiD, in Riv. dir. priv., I, 2008, pag. 25 ss.
38 Cfr. artt. 27, co. 2, e 34, co. 5, del Reg. Intermediari CONSOB.
L‟obbligo di informazione, permane dunque per tutta la durata del rapporto, trattandosi di contratti di durata: al riguardo, gli intermediari devono comunicare in tempo utile al cliente qualsiasi modifica rilevante delle informazioni precedentemente fornite.
Quanto agli obblighi di informarsi, inoltre, l‟intermediario ha lo specifico dovere di indagare quali siano le disponibilità economiche del proprio cliente e quali i suoi obiettivi d‟investimento, al fine di raccomandare i servizi d‟investimento, nonché quale sia la conoscenza ed esperienza del cliente sul settore di investimento rilevante, e gli strumenti finanziari adatti. Per fare ciò, egli deve acquisire dal cliente stesso alcune informazioni, che variano a seconda del servizio finanziario oggetto del contratto.
Gli obblighi sono, in particolare, differenziati a seconda che si tratti di fornire servizi di consulenza e di gestione del portafogli39, ovvero servizi diversi.
La ratio della differenziazione si basa, evidentemente, sulla maggiore discrezionalità attribuita all‟intermediario nella prestazione dei primi servizi di cui si è detto. Specifiche obbligazioni sono poi previste in relazione ai singoli contratti.
Ciò che emerge, allora, dalla disamina della disciplina è la chiara intenzione del Legislatore (e della CONSOB) di “formalizzare” compiutamente la prestazione dei servizi di investimento, nei suoi singoli momenti o fasi (genetica ed esecutiva), sul presupposto che la figura giuridica del contratto possa soddisfare efficacemente la necessità di tutela dell‟investitore- cliente, inteso come parte
39 Cfr. art. 39 del Reg. Intermediari CONSOB, in xxx.xxxxxx.xx.
debole del rapporto, e allo stesso tempo l‟esigenza di “responsabilizzazione” degli intermediari nel fornire le informazioni ai clienti.
La forma scritta assicura anzitutto la trasmissione di certe informazioni. Le circostanze di cui si dà atto nel testo scritto del contratto sono a conoscenza di entrambe le parti che lo sottoscrivono.
Tanto più ampio è l‟obbligo risultante da legge e da regolamento d‟inserire nel testo contrattuale certe informazioni (contenuto minimo del contratto d‟intermediazione finanziaria), tanto maggiore è la quantità di dati e notizie che giungono al cliente. Sotto questo profilo la forma scritta svolge una funzione di protezione informativa dell‟investitore che, di regola, è il soggetto debole del rapporto contrattuale40.
Sotto questo profilo il requisito della forma scritta serve anche a diminuire il pericolo di controversie fra i contraenti: se l‟assetto contrattuale è pre- determinato per iscritto, si riduce il rischio di divergenze fra le parti.
La forma scritta serve, inoltre, a far riflettere l‟investitore sul significato dell‟atto che sta per compiere: i contratti relativi alla prestazione di servizi d‟investimento incidono sul patrimonio finanziario degli investitori e talvolta anche in parte considerevole, per cui apporre una sottoscrizione richiede più tempo di quanto serva a dare il proprio consenso oralmente e comporta un‟appropriata riflessione preventiva sugli effetti dell‟atto che si sta per compiere.
40 Cfr. XXXXXXXXX, La forma scritta e i c.d. contratti di intermediazione finanziaria nella ricostruzione giurisprudenziale, in Resp. civ., n. 10, 2010, pag. 688.
Indubbiamente qualche perplessità in merito alla reale capacità di tutti gli investitori di comprendere l‟effettiva rilevanza di ogni informazione contenuta nel contratto può essere legittimamente avanzata, così come, di contro, può dubitarsi che gli investitori “qualificati”, nei cui confronti non sussistono le necessità di tutela anzidette, siano effettivamente in grado di valutare la convenienza o meno delle operazioni poste in essere.
Tuttavia la preoccupazione del legislatore e dell‟Autorità di regolazione non può essere quella di garantire che qualsiasi destinatario comprenda nel caso concreto ogni dettaglio del testo contrattuale; si tratterebbe di un obiettivo destinato all‟insuccesso.
Il fine è diverso: è quello di far sì che un destinatario “medio” comprenda gli elementi “essenziali” del rapporto contrattuale.
Non si può però sottacere che l‟utilizzo della forma scritta, unitamente alla necessità di un contenuto dettagliato dei contratti d‟intermediazione finanziaria, comporta anche alcuni svantaggi per i soggetti che se ne devono avvalere. Sono identificabili tre aspetti problematici principali: 1) i costi connessi al soddisfacimento degli adempimenti formali; 2) il paradossale rischio d‟incomprensibilità dei contratti; 3) il rallentamento dell‟operatività dei mercati finanziari.
Con riguardo ai costi, è innegabile che il formalismo accresce i costi transattivi41. A ciò si aggiunga che la necessità della forma scritta dei contratti
41 XXXXXXX, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, pag. 235 e ss., compie un‟ampia analisi economica dei costi e benefici del formalismo giuridico. In particolare, evidenzia testualmente come “l‟idea di fondo sia quella di assicurare al cliente, tramite il contratto, una maggior consapevolezza circa il servizio di investimento che l‟intermediario è in
d‟intermediazione finanziaria, unita alla complessità tecnica della materia, spinge gli intermediari ad avvalersi di consulenti legali nella predisposizione dei contratti. Ciò produce l‟effetto di aumentare il costo dei servizi finanziari, oneri che vengono traslati sugli stessi risparmiatori.
Con riguardo al secondo aspetto cui si accennava (la potenziale incomprensibilità dei testi contrattuali), si deve preliminarmente osservare che la forma scritta è certamente utile, poiché consente teoricamente di fissare con trasparenza le condizioni che regolano il rapporto contrattuale.
Ciò nonostante, il rischio è che i contratti divengano pressoché incomprensibili per i non-addetti ai lavori. La necessità d‟inserire tutti gli elementi richiesti da legge e regolamento nonché la complessità della materia fanno sì che, nella prassi, vengano predisposti dei contratti di dimensioni considerevoli, i quali rischiano di disinformare il cliente attraverso l‟eccesso d‟informazioni. Si può così verificare un effetto-paradosso: le disposizioni di legge e di regolamento intendono tutelare l‟investitore (quale soggetto debole del rapporto obbligatorio) mediante l‟informazione, ma finiscono per confondergli le idee. In altre parole vi è il rischio che, al posto di ridurre le asimmetrie informative, le prescrizioni eccessive dei regolatori le lascino sostanzialmente inalterate o addirittura le incrementino.
procinto di fornirgli… Emerge la spinta legislativa e regolamentare al ritorno del fenomeno del
c.d. formalismo negoziale. La prescrizione di requisiti formali sembra cozzare con il ridotto formalismo che ha storicamente caratterizzato il diritto commerciale”.
La forma scritta può infine essere svantaggiosa nel senso che il soddisfacimento di tale requisito rallenta la conclusione del contratto: si tratta tuttavia, a ben vedere, di un limite di poca importanza pratica.
Nella prassi i contratti d‟intermediazione finanziaria vengono difatti generalmente firmati dal cliente sulla base di un modello predisposto dalla banca. Non vi sono, dunque, perdite di tempo per la stipulazione del testo contrattuale poiché si tratta solo di riempire alcuni spazi lasciati vuoti.
Inoltre, l‟urgenza di procedere è più probabile che sussista relativamente a singole operazioni d‟investimento piuttosto che alla decisione originaria di concludere il contratto del servizio di investimento. Questo, infatti, non costituisce un‟operazione finanziaria in sé, ma è una mera determinazione preventiva delle regole che disciplineranno il rapporto fra le parti in relazione al futuro compimento di operazioni finanziarie.
Si pone il problema di quale sia il destino di un contratto- quadro non sufficientemente dettagliato.
Più specificamente si tratta di capire se le omissioni d‟informazioni richieste da legge e regolamento (nel senso di prescrizioni normative sul contenuto minimo del contratto) producano effetti sul contenuto del contratto oppure sulla forma del contratto42.
42 Secondo SCODITTI, Intermediazione finanziaria e formalismo protettivo, in Foro it., I, 2009, pag. 191, il contratto relativo alla prestazione dei servizio di investimento è sottoposto a requisiti di forma non solo per ciò che concerne la stipulazione per iscritto, ma anche per quanto riguarda il contenuto minimo. La norma di specificazione del contenuto minimo contrattuale, anche se di carattere regolamentare, ha carattere imperativo, ai sensi dell‟art. 1418, 1° comma c.c., in quanto emanata in forza dell‟art. 6 t.u.f…Il mancato richiamo nell‟art. 6 alla nullità, come invece accade in una norma analoga quale l‟art. 117, 8° comma d.lgs. 385/93i in materia bancaria, non rileva, essendosi ipotizzata la nullità virtuale.
In dottrina si è affermato che l‟assenza delle indicazioni richieste dall‟art. 37 reg.
n. 16190 del 2007 non dovrebbe essere in grado, in linea di principio, d‟invalidare l‟intero contratto43.
Una soluzione diversa si potrebbe prospettare, secondo questa opinione, laddove l‟omissione di importanti elementi possa ritenersi equivalente alla mancanza dell‟oggetto del contratto: in un caso del genere si potrebbe pensare a una nullità ai sensi dell‟art. 1418 comma 2 c.c., per mancanza di uno dei requisiti (l‟oggetto) di cui all‟art. 1325 c.c.
Tuttavia, secondo una diversa tesi, l‟art. 37 comma 2 reg. n. 16190 del 2007, nel prevedere un contenuto minimo dei contratti d‟intermediazione finanziaria, costituisce una disposizione imperativa posta a tutela non solo del contraente debole (il cliente), ma anche d‟interessi pubblicistici come il buon funzionamento dei mercati finanziari. Conseguentemente l‟omissione dei dati richiesti dal regolamento configurerebbe una violazione di norma imperativa e condurrebbe a nullità del contratto anche se si è obiettato che l‟art. 37 reg. n. 16190 del 2007 (e prima l‟art. 30 reg. n. 11522 del 1998) statuisce un dovere dell‟intermediario, non delle parti.
Se così è, per le ragioni evidenziate dalla Corte di Cassazione nelle sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007, la violazione di tale obbligo comportamentale non può dare luogo a nullità del contratto, bensì può fare scattare altri rimedi: risarcimento del danno in ogni caso e, nelle ipotesi più gravi, annullamento o risoluzione.
43 SALANITRO, Società per azioni e mercati finanziari, Milano, 2000, pag. 186. L‟A. tuttavia si riferiva al testo previgente dell‟art. 30 del Reg. Int., ma analoga conclusione dovrebbe valere con riferimento alla versione attuale dell‟art. 37.
Il problema, allora, sussiste con riferimento all‟esatta individuazione del significato dell‟omissione, nel contratto d‟intermediazione finanziaria, del contenuto richiesto dall‟art. 37 reg. n. 16190 del 2007 (e, precedentemente, dal reg. n. 11522 del 1998).
Si potrebbe ipotizzare che l‟assenza del contenuto minimo dei contratti d‟intermediazione finanziaria coincida con un‟omessa informazione dell‟investitore. Il non indicare, ad esempio, quali siano i servizi che un intermediario finanziario può rendere significa non informare il risparmiatore sulle prestazioni che vengono rese dalla banca.
Vero è che la forma scritta del contratto ha una funzione informativa. Ma, ancora di più, che è la prescrizione di un contenuto minimo del contratto ad avere una funzione informativa.
Sotto questo profilo il mancato inserimento in un testo contrattuale dei dati richiesti dal regolamento potrebbe essere equiparato a un‟omessa informativa. Come le sentenze della Cassazione nn. 26724 e 26725 del 2007 hanno stabilito, i rimedi per tale omissione sono no il risarcimento del danno e (nei casi più gravi) l‟annullamento del contratto oppure la risoluzione del contratto.
O ancora, che l‟omesso inserimento in un contratto d‟intermediazione finanziaria delle informazioni richieste da legge e regolamento possa addirittura rilevare sotto il profilo dell‟assenza di forma e, dunque, cagionare la nullità del contratto per tale ragione.
La legge impone che il contratto relativo alla prestazione di servizi d‟investimento venga redatto per iscritto (art. 23 comma 1 d.lgs. n. 58 del 1998).
Lo stesso xxxxx prevede altresì che “nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”44.
La tesi è un po‟ azzardata, ma sostenibile: perché non ritenere che la forma “prescritta” sia quella che risulta dalla sommatoria di legge (forma scritta del contratto d‟intermediazione finanziaria) e di regolamento (contenuto minimo obbligatorio del contratto)?
A queste condizioni si potrebbe in ipotesi affermare che l‟omissione del contenuto minimo dei contratti d‟intermediazione finanziaria determina nullità del contratto ai sensi dell‟art. 23 comma 1 d.lgs. n. 58 del 1998 per inosservanza della “forma prescritta”.
In questo contesto non si tratta nemmeno di chiedersi se la forma prescritta (forma scritta e contenuto minimo) sia un obbligo che fa capo all‟intermediario oppure al cliente.
Se tale requisito non è osservato, il contratto è nullo. Considerato che la nullità può essere fatta valere solo dal cliente (art. 23 comma 3 d.lgs. n. 58 del 1998), è evidentemente interesse dell‟intermediario premurarsi di soddisfare i requisiti di legge e regolamento.
44 Cfr. XXXXXXXXX, Il problema della forma nei contratti di intermediazione mobiliare, in Contr. e Impr., 1,1994, pag. 40 e ss., secondo cui “La forma del contratto di intermediazione mobiliare ... discende immediatamente dal dettato normativo alla stregua di un elemento necessario alla struttura del negozio”. In senso analogo, cfr. XXXXX, Forma contrattuale e tutela del contraente «non qualificato» nel mercato finanziario, Milano, 1996, pag. 173 e ss.
4. La relazione di agency come postulato economico dei servizi di investimento.
I servizi di investimento che gli intermediari prestano alla clientela presuppongono l‟esistenza di una relazione di agency in senso economico tra le parti45.
Questa consiste, in particolare, in una relazione in cui una parte (il principal) trae beneficio quando l‟altra (l‟agent) esegue alcuni compiti con diligenza e lealtà. Tale modello economico è in grado di attrarre tutti i rapporti in cui un soggetto agisce nell‟interesse altrui; l‟elemento caratterizzante di tale forma di cooperazione in senso economico, è tradizionalmente la sussistenza di una asimmetria informativa che separa il principal dall‟agent.
Nella disciplina dell‟intermediazione finanziaria, l‟asimmetria informativa rappresenta il postulato di fondo della normativa posta a tutela dei diritti (rectius, degli interessi) dei singoli investitori nei rapporti con gli intermediari e degli obblighi di trasparenza degli emittenti quotati nei confronti del mondo finanziario.
La tesi tradizionale46, in sostanza, definisce “mercato efficiente” il mercato in cui i prezzi riflettono in ogni momento tutte le informazioni disponibili, in una duplice dimensione:
che tutte le informazioni siano disponibili per tutti gli operatori;
che vi sia piena ed immediata incorporazione di queste informazioni nei prezzi dei titoli.
45 XXXXXXX, Le regole di condotta, op. cit., pag. 80 e ss.
46 FAMA, Efficient capital markets: a review empirical works, Journal of finance, 1970,
passim.
Secondo queste direttrici, utilizzando il modello economico dell‟agency appare possibile concludere che i servizi di investimento quali, in generale, la negoziazione, la ricezione e trasmissione ordini, nonché la mediazione e il collocamento sono potenzialmente meno rischiosi per l‟investitore rispetto al servizio di gestione di portafogli di investimento su base individuale, per il diverso grado di discrezionalità (c.d. discretionary trading) che l‟intermediario conserva nelle scelte di investimento.
La negoziazione di strumenti finanziari per conto proprio e quella per conto terzi, costituiscono oggi due distinti servizi di investimento, che possono formare oggetto di autorizzazioni separate o cumulative. Il servizio di negoziazione si traduce, in sintesi, in un‟attività di compravendita di strumenti finanziari all‟interno, ovvero all‟esterno, di un mercato regolamentato ed assume una differente connotazione a seconda che l‟intermediario agisca in nome proprio e nel proprio esclusivo interesse (c.d. dealer), o nell‟esclusivo interesse dell‟investitore (c.d. broker), a prescindere dalla spendita del nome. La regola della rappresentanza indiretta (o di interessi), appare affermata come regola generale, invero, nel disposto sancito dall‟art. 21 co. 2 del T.u.f. secondo cui “nello svolgimento dei servizi, le imprese di investimento…possono, previo consenso scritto, agire in nome proprio e per conto del cliente”.
La diversità strutturale tra i due sottotipi si coglie, inoltre, sul piano della remunerazione dell‟attività posta in essere dall‟intermediario: qualora quest‟ultimo agisca come negoziatore percepirà eventualmente la somma risultante dalla differenza tra prezzo di acquisto e quello di vendita (spread),
assumendosi dunque un rischio di posizione; diversamente, il compenso
spettante sarà a carico del cliente, per conto del quale agisce, sotto forma di compenso.
Il servizio di negoziazione per conto proprio, inoltre, non si esaurisce in un‟attività di dealing, ossia di compravendita, in quanto comprende anche altre attività, quali il “market making”47.
Tali servizi inoltre si differenziano notevolmente anche in considerazione della posizione contrattuale assunta dalle parti: soltanto nella negoziazione per conto terzi può dirsi sussistente la relazione di agency tra intermediario e cliente, come relazione fiduciaria, giacchè nella negoziazione per conto proprio l‟interesse dell‟intermediario è contrapposto ed alieno rispetto a quello del cliente. Tuttavia non pare che la diversità strutturale tra i due servizi incida sulla disciplina giuridica di essi, in quanto soggiacenti entrambi alle medesime regole comportamentali, specie con riferimento alla best execution rule (art. 32 reg. Intermediari CONSOB).
Il Testo unico finanziario non fornisce un‟esatta nozione del servizio di collocamento, limitandosi esclusivamente ad inserire quest‟ultimo, prestato “con o senza preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero assunzione di garanzia nei confronti dell‟emittente”, nella categoria dei servizi di investimento (art. 1, co. 5 lett. c).
In termini generali il collocamento si traduce nell‟attività di placement presso terzi di strumenti finanziari: precisamente esso consiste nell‟attività diretta a far acquistare dai risparmiatori titoli di nuova emissione ovvero già emessi, per
47 ENRIQUES, Dalle attività di intermediazione mobiliare ai servizi di investimento, in Riv. soc.
1998, I, pag. 1032 e ss.
conto di un emittente o di un potenziale venditore attraverso la propria rete distributiva. Solo nel caso di acquisto a fermo, con preventiva sottoscrizione ovvero assunzione di garanzia, l‟intermediario assume un rischio di posizione analogamente alla posizione contrattuale assunte dal negoziatore per conto proprio.
In quest‟ultimo caso, xxxxxx, appare evidente che il collocatore non si pone in una situazione di “terzietà” ed anzi, fin dall‟origine del rapporto, si pone come controparte del cliente, rispetto al quale persegue un interesse diverso ed autonomo.
Diversamente, per i servizi di ricezione e trasmissione ordini nonché mediazione (c.d. execution only) non si pone affatto un problema di discrezionalità dell‟intermediario nel porre in essere l‟operazione. Il servizio di ricezione e trasmissione degli ordini precede logicamente e cronologicamente il servizio di negoziazione o collocamento, presupponendo la diversità giuridica del soggetto che riceve e trasmette l‟ordine da quello che lo esegue, anche nell‟ipotesi non remota in cui, il negoziatore sia legato al ricevente da rapporti infragruppo o ulteriori di natura finanziaria. Ancor più nel servizio di mediazione, consistente nel mettere in contatto due o più investitori per la conclusione di operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari (art. 34 Reg. Int.), nella prassi affermatasi con riferimento a operazioni su prodotti non negoziati nei mercati regolamentati ovvero sui cambi di valute.
Una riflessione più dettagliata è necessaria invece con riguardo al servizio dei gestione portafogli su base individuale per conto terzi.
Questa, infatti, è un servizio che si caratterizza per la discrezionalità di cui gode l‟intermediario nell‟esecuzione dell‟incarico48.
La natura discrezionale del servizio emerge inequivocabilmente dalla disciplina normativa di riferimento, atteso che è l‟intermediario che conserva il potere/dovere di effettuare le decisioni di investimento del portafoglio del cliente, mentre quest‟ultimo conserva al più una mera facoltà di impartire istruzioni49.
Altri elementi caratterizzanti il servizio in esame consistono nell‟individualizzazione del rapporto cliente-intermediario, specie con riferimento alle strategie di investimento, nonostante una progressiva standardizzazione delle linee gestorie50, e nell‟attività tipicamente gestoria posta in essere dall‟intermediario che amministra il patrimonio del cliente.
Anche, infine, nella “consulenza finanziaria”, ormai divenuta un servizio di investimento principale e non più accessorio, per effetto del recepimento della direttiva MIFiD, l‟anzidetta relazione di agency contraddistingue il rapporto cliente- intermediario. Con una ulteriore specificazione, tuttavia: qui l‟elemento fiduciario assume carattere assorbente dell‟oggetto del contratto e non è finalizzato al perseguimento in concreto di un determinato programma di investimento, bensì soltanto nella sua dimensione ideativa o creativa.
Oggetto della consulenza è, difatti, la prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell‟impresa di
48 MEO, Tendenze e problemi nell‟attività fiduciaria, in Giur. comm., 1989, I, pag. 112 e ss.
49 Cfr. comunicazione Consob n. DIN/2014610 del 4 marzo 2002, in xxx.xxxxxx.xx.
50 ENRIQUES, Le gestioni mobiliari: profili giuridici, in BANFI E DI BATTISTA, Problemi e prospettive del risparmio gestito, Bologna, 1998, pag. 350 e ss.
investimento riguardo ad una o più operazioni relativa a strumenti finanziari; inoltre “raccomandazione personalizzata è una raccomandazione che viene fatta ad una persona nella sua qualità di investitore” (art. 53 Direttiva 2006/73/CE). Tale raccomandazione deve essere presentata come adatta per tale persona o deve essere basata sulla considerazione delle caratteristiche di tale persona.
Il TUF chiarisce che la raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente, contrariamente non è personalizzata se diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione (art. 1 comma 5 septies). Ciò non comporta, appunto, la necessaria consequenzialità tra “consiglio” e “ordine” di investimento, ragion per cui, il profitto che il cliente può ottenere dal corretto svolgimento del servizio in questione è meramente ipotetico ancor più che potenziale.
La relazione tra gli intermediari finanziari e gli investitori, in sintesi, è affetta da strutturali problemi di asimmetria informativa e la regolamentazione dei mercati dei servizi di investimento si preoccupa di mitigare i conseguenti effetti in tema di selezione avversa51 e comportamento sleale.
51 La “selezione avversa” è quel fenomeno economico di distorsione dell‟equilibrio del mercato causato da asimmetrie informative. Il concetto (che ha origine in campo assicurativo) viene impiegato in diversi altri settori. Ad esempio, con riferimento al mercato dei prodotti finanziari, il fenomeno può essere così sintetizzato: gli investitori che non sanno se si trovano di fronte ad un titolo “buono” sono disposti a pagare un prezzo compreso tra quello dei titoli “spazzatura” e quello dei titoli validi, basato sulla probabilità che il titolo in questione sia un titolo “spazzatura”. Se l‟investitore disponesse di un‟informazione perfetta, conoscerebbe con certezza il valore del titolo e pagherebbe semplicemente una somma corrispondente a tale valore. In una situazione di carenza informativa, quindi, le società emittenti solide saranno meno disposte a collocare sul mercato i propri titoli, poiché il prezzo sarebbe troppo basso; al contrario, le società emittenti meno solide saranno invece ben disposte a collocare i propri titoli “spazzatura” sul mercato, perché questi sarebbero pagati più del loro reale valore, consentendo ottimi affari.
Gli investitori, però, si accorgeranno di questa tendenza e non saranno più disposti a pagare il prezzo di prima. Il prezzo quindi scenderà sempre di più e sempre più titoli “spazzatura”
La scarsa cultura finanziaria tecnica degli investitori non sofisticati (che rappresentano la quasi totalità dei clienti di tipo retail) innalza la rilevanza delle problematiche connesse all‟affidabilità delle informazioni rese dagli intermediari e all‟incertezza della qualità dei servizi finanziari offerti nel mercato.
Infatti, la prestazione di servizi di investimento tipicamente incorpora caratteristiche dei c.d. credence good, la cui qualità non è accertabile a costi ragionevoli neppure dopo un processo di acquisti ripetuti (come ad esempio accade nel caso degli experience good).
Date tali condizioni, è assai improbabile che il mercato dei servizi di investimento attivi spontaneamente meccanismi auto-correttivi.
Senza un intervento di regolamentazione, pertanto, il mercato dei servizi finanziari tenderebbe verso il c.d. equilibrio dei “limoni”52, situazione teorica in cui la non verificabilità delle informazioni disponibili per il pubblico degli acquirenti conduce necessariamente al blocco degli scambi economici.
La normativa pubblicistica, nel momento in cui intende regolare l‟attività, come relazione di agency economica contraddistinta da un pregnante deficit informativo a carico del cliente, non può che passare attraverso la regolamentazione del suo aspetto statico, il contratto, come momento di sintesi degli interessi privatistici e delle istanze di tutela di matrice pubblicistica.
saranno messi sul mercato. Nel caso estremo, i titoli “buoni” non saranno più presenti nel mercato che sarà invece dominato dai titoli “spazzatura”.
00 Xxx. XXXXXXXXXXX, D. R. XXXXXX, The Economic Structure of Corporate Law, Harvard University Press, 1991; xxxxxx XXXXXXX, The Market for Lemons: Quality Uncertainty and the Market Mechanism, Quarterly Journal of Economics, 1970.
CAPITOLO II
1. La natura giuridica del master agreement, tra “contratto normativo” e “contratto quadro”.
Pur nell‟eterogeneità che contraddistingue i diversi servizi di investimento, emerge quale filo conduttore la summa divisio tra il contratto-programma di intermediazione finanziaria, c.d. master agreement, ed i singoli atti esecutivi53.
Si è molto discusso sull‟eventuale necessità di un contratto-programma anche a fondamento del servizio di collocamento: servizio, quest‟ultimo, in esecuzione del quale l‟intermediario, come si è notato, assolve un compito del tutto peculiare, in esecuzione di un diverso accordo con il soggetto emittente54. La dottrina, sul punto, ha fornito una risposta positiva.
Si deve, pertanto, prendere atto che coesistono nell‟ordinamento finanziario due tipologie di contratti di collocamento, l‟uno (quello di cui all‟art. 30 del Testo Unico) che deve necessariamente rivestire la forma scritta, intercorre tra il cliente ed emittente o soggetto che presta il servizio oggetto del collocamento, l‟altro, cui fa cenno il regolamento, intercorrente tra il cliente e l‟intermediario collocatore55. Diversamente, non sembra doversi fondare su un contratto- programma con i singoli clienti lo svolgimento dei servizi di consulenza e gestione del sistema multilaterale di negoziazione (MTS).
53 F. DURANTE, Intermediari finanziari e tutela dei risparmiatori, Milano, 2009, pag. 42 e ss.
54 Secondo quanto chiarito dalla CONSOB (Comunicazioni nn. 97006042/1997, 1049452/2001, 1079230/2001) “Il servizio di collocamento tipicamente si caratterizza per essere un accordo tra l‟emittente (o l‟offerente) e l‟intermediario collocatore, finalizzato all‟offerta al pubblico e al conseguente collocamento presso la clientela del collocatore degli strumenti finanziari emessi, a condizione di prezzo e (frequentemente) di tempo predeterminate. E‟ anche configurabile l‟ipotesi che l‟accordo intervenga fra un collocatore primario ed un collocatore secondario”. Cfr. XXXXX, Xxx contratti del mercato finanziario prima e dopo la MIFID, in Riv. dir. priv., 3, 2008, pag. 501 con riferimento al collocamento.
55 SALVATORE, Servizi di investimento e responsabilità civile, Milano, 2004, pag. 148.
Per tutti gli altri servizi di investimento, ad ogni modo, viene in rilievo il contratto come programma di intermediazione finanziaria: trattasi di un‟intesa con la quale intermediario e cliente predispongono un dettagliato regolamento contrattuale, che costituisce la cornice all‟interno della quale si iscriverà la conclusione di futuri (e soltanto eventuali) atti giuridici.
Al riguardo, tuttavia, deve tenersi conto che la scansione di tali due fasi è meramente concettuale, potendo anche non coincidere dal punto di vista temporale e documentale: si pensi, ad esempio, al caso in cui in un unico documento venga accorpato il contenuto del master agreement e il negozio attuativo.
Questa ipotesi, peculiare e non di rara verificazione, rileva semmai sul piano della compatibilità rispetto all‟adempimento degli obblighi formali.
Si è ampiamente discusso tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, circa la natura di siffatto contratto56. Ed a ben vedere il problema della natura giuridica deriva proprio dalla necessità, descritta sopra, di ricondurre il fenomeno dell‟intermediazione finanziaria entro gli schemi del diritto comune, frutto della secolare tradizione giuridica, onde supplire alle eventuali carenze di disciplina. Tale esigenza, non a caso, è andata affiorando nelle pronunce giurisprudenziali più recenti, relative al contenzioso in materia dei celeberrimi crack finanziari di Cirio e Parmalat, nonché dei bonds Argentina. Così, nelle rassegne giurisprudenziali si alternano pronunce che si riferiscono ora alla nozione di
“contratto quadro”57, ora al “contratto normativo”58, per provare a ricostruire la fattispecie del master agreement entro gli schemi degli istituti giuridici tradizionali.
La difficoltà di una ricostruzione dogmatica dell‟attività di intermediazione finanziaria sta proprio nella correlazione fra l‟atto, cioè il contratto, come elemento necessario, e la successiva attività, peraltro meramente eventuale59.
Cosicché stabilire il rapporto, nelle sue varie sfumature, tra il contratto e l‟attività significa allo stesso tempo interrogarsi sulla natura unitaria dell‟attività di intermediazione, di cui il contratto ex art. 23 TUIF rappresenterebbe solo un elemento specifico, ovvero su di una, eventualmente, alternativa natura complessa, quale risultante dalla sommatoria dei singoli contratti.
Certamente non può dirsi che la configurazione del master agreement in termini di “contratto normativo”, ovvero di “contratto quadro”, appaia priva di conseguenze.
Se è vero che entrambe le figure, infatti, presentano un dato comune concretantesi nella necessaria pluralità di atti negoziali che assurge a causa di essi, la ragione giustificatrice di siffatti schemi negoziali, allora, andrebbe
57 Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, nn. 25274 e 26275, loc. cit,, nota 7; in senso conforme Xxxx., sez. I, est. Xxxxxx, 29 gennaio-17 febbraio 2009, n. 3773, in Danno resp., 5, 2009, con nota di SANGIOVANNI, La Cassazione interviene di nuovo sulle norme di condotta degli intermediari finanziari, pag. 513 e ss.
58 Appello Brescia, est. Didone, 20 giugno 2007, n. 739, in xxx.xxxxxx.xx.
59 Cfr. XXXXXX, voce Mercato finanziario, Enc. dir., ult. ed., Milano, 2001, pag. 744 ss., secondo cui “È inutile dire che posizioni parimenti contrastanti si riscontrano nelle analisi più recenti tra chi ha osservato come “il complesso delle norme che disciplina le operazioni finanziarie … appaiono suscettibili di una considerazione distinta rispetto a quelle integranti lo statuto normativo di operazioni di scambio di beni diversi dai prodotti finanziari, ovvero dalla prestazione di servizi diversi da quelli di investimento”.
ricercata nell‟esigenza di ridurre i costi transattivi delle molteplici operazioni reiterate, nell‟ambito di una più complessa relazione economica60.
Tuttavia, la natura del contratto normativo (Normenverträge) è ancora controversa e anche la sua nozione presenta diversi profili di ambiguità. Benché ad esso siano ricondotti i contratti di conto corrente di corrispondenza, di bancogiro, di factoring, di franchising, le operazioni di swaps ed interest rate61, l‟opinione tradizionale tende a svilirne l‟effettivo contenuto vincolante, ricondotto essenzialmente alla categoria dei negozi preparatori, e persino la stessa definizione di “contratto”.
L‟istituto del contratto normativo, generato dalle esigenze e dalla prassi degli affari, è invero il frutto di un‟elaborazione esclusivamente dottrinaria e pretoria. Più precisamente si ritiene che il teorico di tale fattispecie sia Xxxxx che nei primi decenni del 1900 in Germania descrisse compiutamente la nozione di contratto normativo nelle tre classiche ripartizioni Richtlinienverträge, schuldrechtliche Normenveträge e rechtsverbindliche Normenverträge62.
La prima delle tre figure si riferisce ai c.d. “contratti direttivi” che non generano alcuna obbligazione tra le parti; i secondi, al contrario vincolano le parti alla futura inserzione negli eventuali contratti di quanto pattuito all‟interno dei contratti normativi ed, in ultimo, i terzi indicano quei contratti normativi i cui oggetti sono inseriti di diritto all‟ interno dei futuri ed eventuali contratti di diritto, anche contro la volontà degli stessi originari contraenti, ipotesi per altro
60 XXXXXXX, La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, pag. 107.
61 Circolare ABI del 12.11.1991.
62 Per un‟ampia disamina di tali categorie nella dottrina germanica cfr. X. XXXXXXXX,
Grundlagen ziviler Regelsetzung, 2006, Xxxx Siebeck.
inattualizzabile nel nostro ordinamento63, atteso che il meccanismo di sostituzione automatica è previsto esclusivamente con riferimento alle clausole previste dalla legge, che abbiano natura imperativa (artt. 1339, 1419 co. 2., c.c.) La maggior parte della dottrina comunque fa risalire comunque l‟origine del contratto all‟epoca della rivoluzione industriale: l‟esistenza di questi contratti andrebbe ricercata nella produzione industriale di massa, la quale comporta (come conseguenza ineluttabile del suo sviluppo) una standardizzazione non soltanto dei beni prodotti, ma anche del contenuto dei rapporti negoziali.
Il contratto normativo, insomma, sarebbe stato, determinato dal progressivo affermarsi delle produzioni industriali seriali e più in generale dello sviluppo di tutta l‟economia, che ha indotto una velocizzazione molto spinta dei rapporti commerciali.
Ciò ha comportato la necessità di strumenti giuridici parimenti rapidi, alla
quale il contratto normativo corrispondeva pienamente, permettendo di evitare di ricorrere alla negoziazione ogni volta si dovesse stipulare un contratto.
Anche altre esigenze hanno richiesto l‟utilizzo del contratto normativo, soprattutto nei casi, in cui la disparità di forze tra i singoli contraenti suggeriva il ricorso ad un contratto tipo stipulato da loro rappresentanze, tra le quali il rapporto di forza fosse in maggior equilibrio: è il caso dei contratti collettivi di lavoro.
Appare, però, impropria la ricerca della “paternità” del contratto normativo e del momento storico della sua nascita, posto che la sua presenza risulta naturale e
63 Cfr. ALBANESE, Il contratto normativo. Nozione e problematiche generali, in X. XXXXXXXXX (a cura di) I rapporti giuridici preparatori, Milano, 1996, pag. 179.
opportuna, se non necessaria, nello sviluppo delle attività economiche: due o più parti si accordano su quali elementi dovranno esser inclusi in un eventuale contratto futuro.
Esso, in sostanza, consiste in un accordo tra due o più parti, per mezzo del quale le stesse si obbligano reciprocamente a dare determinati contenuti ad un futuro o a futuri ed eventuale/i contratto/i stipulabili tra le stesse o anche altre parti: è da ritenere che questo tipo di contratto, pur sprovvisto del suo moderno appellativo “normativo”, sia uno strumento utilizzato da quando nel mondo si sono affermate efficaci e stabili relazioni commerciali e quindi non possa esser collocato cronologicamente in un determinato momento storico.
Si è di fronte, dunque, ad un risalente istituto; che, ad oggi, non è codificato e nemmeno richiamato ex professo da altre disposizioni legislative, risultando pertanto privo di una tassativa descrizione dei suoi elementi essenziali: l‟istituto inoltre, forse proprio per questo, e benché risalente, è stato scarsamente oggetto di decisioni giurisprudenziali e di trattazioni dottrinali.
Va sottolineato che tale carenza di definizione normativa non rileva solo positivamente, ma anche negativamente: in nessuna parte, infatti, è detto quali caratteristiche un contratto normativo debba obbligatoriamente avere per essere definito tale, ad eccezione naturalmente per i principi generali del contratto.
Da questa assoluta libertà deriva la possibilità che il contratto assuma aspetti molteplici, molto diversi tra loro, nella vita contrattuale, al punto che ci si può chiedere se abbia senso parlare di contratto normativo come istituto unificante, piuttosto che limitarsi all‟esame delle sue varie estrinsecazioni nella realtà, quali
per esempio il contratto collettivo di lavoro, il contratto di conto corrente, il contratto di consorzio.
Secondo l‟opinione più accreditata, il contratto normativo, pur rappresentando un accordo sul contenuto di ulteriori e diversi contratti, anche indefiniti nel numero, intercorrenti fra le stesse parti (c.d. contratto normativo bilaterale) ovvero tra una di esse e soggetti terzi (c.d. unilaterale), non incide sulla libertà negoziale delle medesime, non determinando un vero e proprio obbligo di contrattare, come pactum de contrahendo, ma solo un “modo” di estrinsecazione di essa, ovvero un pactum de modo contrahendi 64.
Sulla medesima linea di pensiero, si sostiene inoltre che la natura giuridica del contratto normativo (bilaterale) andrebbe osservata nel momento, invero patologico, in cui una parte si rifiuti di stipulare uno o più contratti particolari ovvero subordini la successiva stipulazione al mutamento delle clausole o delle condizioni già stabilite con la stipula del contratto normativo.65
Il vincolo derivante dal contratto normativo sarebbe, proseguendo, un vincolo meramente “psicologico”, ragion per cui resterebbe incerto se detto vincolo sia anche giuridicamente rilevante: la volizione delle parti resterebbe meramente astratta perché attraverso la riserva di decidere se stipulare i singoli contratti, ci si riserva anche la facoltà di utilizzare o meno lo strumento posto in essere al fine
64 Cfr. XXXXXXXX, voce Contratto normativo, in Noviss. Digesto it., Milano, 1957, pag. 664. Nello stesso senso cfr. XXXXXXXX, Il contratto tipo nel diritto italiano, Milano 1937.
65 XXXXXXXXXXXX, voce “Contratto normativo”, in Enc. giur., IV, Roma, 1988; ID, I contratti normativi, Padova, 1969.
di accelerare le trattative. In sostanza, la libertà di decidere l‟an della successiva stipulazione, determinerebbe anche la libertà di scelta nel “quomodo” di essa66.
Conseguentemente67, l‟ambito di rilevanza del contratto normativo andrebbe relegato ad una mera intesa preparatoria non impegnativa per le parti sino al momento dell‟avvenuta conclusione dei singoli contratti, non essendo utilmente praticabile un richiamo alla figura del contratto condizionato alla successiva stipula, sospensivamente68 ovvero risolutivamente, per difetto del requisito dell‟accidentalità della successiva stipula rispetto al “contratto” posto in essere.
Anche la giurisprudenza, in una risalente pronuncia69, definisce il contratto normativo come “un accordo o contratto…, che, avendo ad oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri, dei quali fissa preventivamente il contenuto, non comporta il sorgere di un rapporto da cui scaturiscono immediatamente diritti ed obblighi per i contraenti, ma dette norme intese a regolare il rapporto, nel caso che le parti intendano crearlo”. Pertanto, si è ritenuto finanche “inappropriato” il ricorso al termine “contratto”, soccorrendo la figura dell‟accordo normativo70, ovvero del contratto in senso atecnico 71.
66 ORESTANO, Intese prenegoziali a struttura “normativa” e profili di responsabilità precontrattuale, in Riv. crit. dir. priv., I, 1995, pag.55.
67 XXXXXXXXXXXX, op. cit., pag. 1, testualmente: “Dirò subito che il termine “contratto” è impiegato per ragioni di tradizione, ma che mi riservo di verificare se esso sia corretto”.
68 CARIOTA FERRARA, Riflessioni sul contratto normativo, Archivio Giuridico, 1937 pag. 53, che definisce i contratti normativi come “convenzioni, che hanno appunto per oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri, vanno sotto il nome di “contratti normativi”. La loro funzione è, dunque, una funzione preventiva: le parti vogliono crearsi l‟ assicurazione che, se un giorno si dovranno porre in essere determinati negozi, questi avranno un certo contenuto. Le convenzioni in parola servono a disciplinare i negozi che potranno stipularsi più tardi, se si vuole, a porre le regole, diciamo pure per un momento, le norme decisive per tali negozi”.
69 Cass. n. 6720 del 18.12.81, in Giust. civ., Mass. 1981.
70 Sulla distinzione tra accordo e contratto, cfr. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1950, pag. 305.
71 MESSINEO, voce Contratto normativo, Enc. dir., X, ult. ed. Secondo un‟altra ricostruzione, il contratto normativo (bilaterale) è fonte immediata di obbligazioni tra le parti. Pur non
Esclusa, come logico corollario di quanto detto finora, la possibilità che la parte che intende avvalersi del contratto normativo possa avvalersi del rimedio previsto dall‟art. 2932 c.c., nonché del ricorso a qualche forma di sostituzione automatica delle clausole dei contratti a valle difformi rispetto al contenuto del contratto a monte, si potrebbe ammettere solo una possibile risarcibilità della violazione dell‟intesa preparatoria con riferimento al momento temporale delle trattative per i singoli contratti.
Tuttavia, tale mezzo di tutela appare di agevole praticabilità solo nell‟ipotesi di rifiuto di stipulare i singoli contratti subordinato alla modificazione del contenuto del contratto normativo, ma non altrettanto, com‟è logico dedurre, è sostenibile nel caso in cui, invece, la parte assuma un rifiuto incondizionato.
A ben vedere, le posizioni fin qui espresse andrebbero rivisitate alla luce della nozione di causa c.d. in concreto, ormai generalmente accolta, intesa quale funzione economica- individuale del contratto72.
Il contratto normativo, infatti, benché costituisca un accordo a contenuto patrimoniale non dovrebbe essere declassato a intesa preparatoria ovvero a mero accordo, per il sol fatto che nei limiti di quanto sin qui detto, difetterebbe il requisito ulteriore, richiesto dall‟art. 1321 c.c., della giuridicità del vincolo.
Il vincolo, infatti, esiste e apre la via di accesso alla tutela risarcitoria.
sorgendo l‟obbligo di stipulare i contratti particolari, nascono altri obblighi, tra cui quello di attenersi al contenuto del contratto normativo per i futuri ed eventuali contratti : il contratto normativo vincola la parte singola e, in relazione, la controparte è tutelata, mediante il richiamo al contratto normativo, contro l‟eventuale pressione della prima, a che il contenuto contrattuale si modifichi, rispetto a quello che era già fissato, cfr. anche DI XXXXXXX, La natura giuridica del contratto di concessione di vendita, in xxxx://xxx.xxxxxxx.xx, 2003.
72 FERRI G.B., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968, pag. 249 e ss. Si sostiene così una nozione di causa in senso astratto, utile allo scopo di identificare l‟oggettiva funzione del negozio, nonché di una causa in senso concreto, intesa come sindacato operato caso per caso circa l'effettivo intento dei contraenti.
Il difetto, rispetto alla disciplina comune sul contratto, non si coglie sul piano della validità della fattispecie, ma su quello dell‟efficacia: nell‟ipotesi sopra descritta, in cui sembrerebbe sufficiente che le parti non stipulino nessun successivo contratto, a valle di quello normativo, per porre nel nulla il vincolo da quest‟ultimo risultante, il giudizio sulla vincolatività o meno del contratto normativo attiene al diverso ed ulteriore piano degli effetti e dei rimedi esperibili, nulla togliendo alla nozione di contratto ex art. 1321 c.c..
Ciò che appare sufficiente è la mera eventualità che al contratto normativo seguano ulteriori rapporti contrattuali, appunto perché la meritevolezza di tale contratto innominato consiste nella necessità di predisporre un assetto degli interessi rilevanti in un‟operazione economica, destinato a cristallizzarsi non solo nei singoli rapporti a valle, ma in questi ultimi e nel contratto a monte. Il superamento della teoria bettiana della causa, quale funzione economico- sociale del singolo contratto, ha comportato una rivisitazione del rapporto tra essenzialità della causa e rilevanza del tipo, previsto dal Legislatore.
Ne consegue che, la stessa problematica relativa alla giuridicità del vincolo potrebbe porsi correttamente anche con riferimento al patto di opzione di cui all‟art. 1333 c.c., a nulla rilevando sotto il profilo genetico la sussistenza di una previsione normativa, ma tuttavia non si dubita che tale patto costituisca a tutti gli effetti una figura contrattuale certamente valida e non un minus rispetto alla delineata fattispecie di cui all‟art. 1321 c.c..
Analoghe considerazioni, come si avrà modo di vedere più avanti, sono state
poste con riferimento al factoring. Nell‟ambito di una convenzione complessa, in cui si mescolano i vari profili di gestione, finanziamento e assicurazione,
un‟impresa si obbliga a cedere in esclusiva al factor tutti i crediti che essa acquisterà verso la propria clientela, il quale comunque si riserva la facoltà di accettare o meno i crediti offerti. Per cui una parte è vincolata ab origine a fare delle offerte, mentre l‟altra rimane libera di disporre come crede73.
Né tanto poco potrebbe soccorrere la nota subcategoria, di origine germanica, del contratto “direttivo”, col quale le parti si limiterebbero a dare istruzioni generiche sul modo in cui i futuri contratti da stipulare dovrebbero essere conformati, la cui efficacia vincolante è ampiamente discussa74.
Il problema di fondo, allora, è quello della storicità delle categorie giuridiche, che mostrano “la tendenza a trattare come definitivi contratti necessari di ulteriori determinazioni”, essendo necessario un superamento sotto la lente dell‟ “unitarietà” dell‟operazione negoziale.
Per superare l‟empasse determinato dai caratteri del contratto normativo, il cui modello dunque non apparirebbe economicamente efficiente rispetto alla necessità di riduzione dei transations costs delle operazioni complesse, è stata delineata la figura del “contratto quadro”, figura ben nota alla dottrina d‟oltralpe75, riconducibile al Grund order Rahmenvertrag in Germania ovvero skeleton contract in common law76.
73 PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, pag. 268 e ss., nonché in nota 123 a pag. 280.
74 MESSINEO, Contratto normativo, op. cit, pag. 117, “per contratto normativo va inteso, più appropriatamente, quello che è stato chiamato, anche, convention-loi, poiché racchiude la disciplina (anche se parziale e incompiuta) di futuri contratti- cioè di una serie omogenea- che siano per essere stipulati fra i soggetti stessi del cosiddetto contratto normativo, o anche (il caso è, del pari frequente) fra terzi”.
75 PARDOLESI, I contratti, op. cit., pag. 268.
76 La dottrina anglosassone definisce le “framework transactions” come “transactions by which a purchaser and supplier establish terms on which purchases will be made, but which do not set the precise quantities to be delivered”, precisando che “they are used for the purchase of
In particolare, secondo la migliore ricostruzione77 il contratto “quadro”, pur avendo una sostanziale affinità con la figura del contratto normativo, assolvendo entrambi ad una sostanziale funzione preparatoria di successivi contratti, si distinguerebbe da questo, tuttavia, sotto il profilo degli effetti, in quanto idoneo a determinare un obbligo di contrarre i singoli negozi successivi.
Si tratterebbe, dunque, di una figura in limine tra la categoria dei contratti di coordinamento e la nozione di contratto preliminare, un novello contrahere frutto della necessità di consentire lo sviluppo degli affari, specie nel settore della distribuzione commerciale78.
Evidenti le ricadute sul piano degli effetti derivanti dalla riconduzione nella medesima tipologia tanto del contratto normativo quanto del contratto quadro, nonché la diversità di tutela offerta al contraente non - inadempiente ove si
any goods, services or works for which the purchaser has a repeat need”. Inoltre, con specifico riguardo ai contratti quadro, è data la seguente definizione: “A framework agreement is an agreement under which sets terms for future contracts with a provider under the agreement itself
– a commitment will arise only if specific orders are later placed under the terms of the framework. La finalità delle “framework transactions” è quella di consentire alle parti di negoziare termini e condizioni per i loro acquisti in anticipo rispetto alla richiesta di specifiche commesse; tale accorgimento “saves both purchaser and supplier the time, resources and other costs (such as delays in delivery) which would be involved in negotiating more frequently, such as every time and order is placed”. Ad analogo scopo rispondono i “framework agreements”, che costituiscono, per quanto si è detto sopra, una particolare sottocategoria della più ampia nozione di “framework transactions” e che, come già rilevato, non coincidono perfettamente con queste ultime. Cfr. XXXXXXXXXX, Prospects for the European Community‟s regime on public procurement, in X. XXXXXX (ed.), Gordian knots in European public procurement law, publications by the Academy of European Law Trier, vol. 24, Koln, 1997, pag. 91
77 SALANDRA, Contratti preparatorii e contratti di coordinamento, in Riv. Dir. Comm., 1940, pag. 22., secondo cui il “cosiddetto contratto normativo o regolamentare, messo in luce dalla dottrina più recente, si ha appunto quando le parti, in previsione di una pluralità di rapporti giuridici da costituire tra loro, determinano preventivamente, almeno in parte, la disciplina giuridica cui saranno sottoposti, se ed in quanto effettivamente si costituiranno”.
78 PARDOLESI, I contratti, op. cit. Analogamente in giurisprudenza, cfr. Xxxx. sent. n. 11960 del 17.12.1990 in Giust. Civ. 1991, I, 1214 che ha ricondotto alla nozione di “contratto quadro” la concessione di vendita, per la sussistenza dell‟obbligo di contrarre. Dubita fortemente della configurabilità del contratto quadro ALBANESE, Il Contratto normativo, op. cit., pag. 211.
accolga la tesi per cui dal contratto quadro derivi anche l‟obbligo di stipulare i successivi contratti.
Siffatto problema è stato, ed è tuttora, oggetto di un ampio dibattito sulla natura giuridica degli accordi quadro nel settore dei lavori pubblici.
Il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, infatti, ha introdotto nell‟ordinamento nazionale l‟istituto dell‟accordo quadro (art. 16) per ciò che concerne i c.d. “settori esclusi”.
Si è detto, in particolare, che l‟accordo quadro differirebbe dal contratto normativo, dal momento che quest‟ultimo contiene “la disciplina normativa dei negozi giuridici eventuali e futuri, di cui fissa, in via preventiva, i termini, senza con ciò determinare l‟insorgenza di rapporti da cui scaturiscono immediatamente diritti ed obblighi per i contraenti”79: al contrario, “nell‟accordo quadro sembrerebbe difettare il carattere facoltativo ed eventuale della successiva stipula del contratto”, per cui parte della dottrina propone di recuperare la nozione di “contratto direttivo”, che “definisce il contratto che contiene istruzioni generiche o direttive sul modo in cui futuri contratti devono essere stipulati”80 come categoria di nuovo conio, autonoma rispetto al contratto normativo.
Quanto detto finora vale anche in ordine all‟esatta qualificazione del contratto previsto dall‟art. 23 del T.U.I.F.. Sul punto sono state registrate posizioni alquanto eterogenee: da una parte tanto la dottrina che la giurisprudenza hanno ricondotto tale fattispecie nella categoria del contratto quadro, salvo poi
79 Cfr. X. XXXXX E X. XXXXXXXX, L‟istituto dell‟accordo quadro nel decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 158, in Rivista amministrativa della Repubblica Italiana, 1996, I, pag. 16.
80 MORBIDELLI, L‟appalto comunitario nel settore dell‟energia, in Riv. trim. dir. pubbl. com., 1993, IV, pag. 787.
distinguere, nell‟ambito di questo, posizioni inclini ad assimilare il contratto quadro al contratto normativo e posizioni invece distintive almeno sul piano degli effetti.
A ben vedere, il punto di partenza di tali indirizzi è rappresentato dalla circostanza che alcune tipologie di servizi presuppongono, oltre al contratto di cui all‟art. 23 del T.U.I.F., anche ulteriori contratti successivi derivanti dagli ordini dei clienti.
Il sistema delineato dalla regolamentazione sembra descrivere, dunque, una dinamica negoziale difficilmente assimilabile allo schema ricostruttivo secondo cui il contratto normativo non avrebbe efficacia vincolante rispetto al contenuto dei contratti successivi81.
Xxxxxxxx tesi muove innanzitutto dall‟adesione all‟opinione tradizionale che degrada il contratto normativo ad una mera intesa preparatoria, per cui una parte ben potrebbe sottrarsi al rispetto di quanto pattuito col master agreement, rifiutando la successiva stipulazione ovvero subordinando questa alla rinegoziazione delle clausole, per poi evidenziare che la disciplina dei profili negoziali delle attività di investimento tende a creare uno stretto collegamento fra la regolamentazione dei singoli servizi e il contenuto del contratto originario. Questa funzione sarebbe vanificata, quindi, se l‟intermediario fosse libero di mutare il contenuto delle condizioni contrattuali che regolano i rapporti di investimento con il cliente.
81 XXXXXXX, La responsabilità, op. cit., pag. 120.
Inoltre, non si tiene conto che la normativa regolamentare della CONSOB assolve alla funzione di cristallizzare le regole sul rapporto nell‟atto, cioè il contratto, quale elemento indefettibile di esso.
Di contro, anche la riconduzione del contratto ex art. 23 TUIF allo schema del contratto quadro, nei termini in cui è stato delineato in precedenza rispetto al contratto normativo, sembra prestare il fianco a molteplici rilievi, specie con riferimento all‟obbligo di stipulare i contratti successivi.
Dal punto di vista dell‟investitore non sussiste alcun obbligo pattizio di conferire ordini, ovvero di stipulare i successivi contratti di investimento, rimanendo questi del tutto eventuali; dal punto di vista dell‟intermediario, a ben vedere, non sussiste nemmeno un obbligo generalizzato di contrahere 82, dovendo questi peraltro assolvere a una funzione di garanzia della suitable dell‟ordine ricevuto. Appare allora evidente come la fattispecie contrattuale delineata dall‟art. 23 TUIF sia di difficile compatibilità con le ricostruzione dogmatiche degli istituti del contratto normativo e del contratto quadro, nonostante il frequente richiamo a questi da parte degli operatori del diritto.
2. Gli ordini, le operazioni e i contratti di borsa.
Da un punto di vista giuridico l‟ordine di borsa costituisce un prius di fronte al contratto (operazione) di borsa (compravendita o riporto), in ogni caso
82 Cfr. App. Genova, n. 740 del 30 giugno 2006, in Giur. mer., 2007, pag. 1910, secondo cui “il più accreditabile inquadramento dei contratti di investimento …è quello di una (normale) fattispecie a formazione complessa: al primo livello sta il c.d. contratto-quadro (che taluno ascrive alla tipologia del contratto normativo) destinato a disciplinare i contenuti generali del rapporto; al secondo livello, vi sono i singoli «ordini di borsa» impartiti, via via, dal cliente, che danno attuazione concreta al rapporto”.
quest‟ultimo viene concluso con l‟intervento di intermediari; esso è connesso con rapporto di mezzo a fine con l‟operazione che il committente intende porre in essere, ma può e deve essere esaminato nella sua struttura giuridica indipendentemente dal contratto che è destinato a far concludere.
Per ordine di borsa deve intendersi secondo la dottrina più risalente83 il contratto col quale un soggetto (operatore di borsa), che le fonti indicano con il nome di “cliente” ovvero “committente”, conferisce ad un intermediario l‟incarico di concludere per suo conto un contratto di borsa, finalizzato all‟acquisto (buy) ovvero alla vendita (sell) di uno valore mobiliare.
Una volta che l‟intermediario abbia ricevuto l‟ordine dal cliente e sempreché risulti positivamente superato il giudizio sull‟adeguatezza ovvero sull‟appropriatezza dell‟operazione rispetto al profilo di quest‟ultimo, si possono verificare due ipotesi, sovente affrontate nel panorama giurisprudenziale: l‟esecuzione dell‟ordine in contropartita diretta, qualora il prodotto finanziario sia già detenuto nel portafoglio titoli dell‟intermediario, con conseguente riconduzione del c.d. contratto di borsa entro gli schemi della compravendita, a seguito di una negoziazione “in conto proprio”84; ovvero l‟esecuzione mediante ricorso al mercato, da parte dell‟intermediario per conto del cliente.
83 BIANCHI D‟XXXXXXXX, Il contratto di borsa. Il riporto, in CICU– MESSINEO (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, continuato da Xxxxx Xxxxxxx, XXXV, Milano, 1969, pag. 148 e ss.
84 Cfr. Trib. Palermo, 16 marzo 2005, in Foro it. 2005, I, pag. 2539 con nota di XXXXXXXX, Prestiti obbligazionari, default e tutela successiva degli investitori: la mappa dei primi verdetti. In dottrina XXXXXXX, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, op. cit., e DELLACASA, Collocamento di prodotti finanziari e regole di informazione: la scelta del rimedio applicabile, in Danno e resp., 2005, 12, pag. 1241 e ss..
Può dunque astrattamente configurarsi l‟ipotesi in cui per la conclusione di un contratto di borsa intervengano quattro intermediari, due per ciascuno degli intermediari.
Da un punto di vista economico, ci sono molti diversi tipi di ordini di borsa. Alcuni ordini sono semplici e di base, altri sono complessi. In generale può dirsi che la complessità dell‟ordine aumenta proporzionalmente al grado di expertise dell‟ordinante.
Sintetizzando le variabili di ogni ordine sono sempre tre: tempo in ingresso/uscita (t), quantità (q) e prezzo (p). Al riguardo, una prima netta distinzione può farsi tra ordini incondizionati (o “al meglio”, “Market Order” o “At the market” -MKT, di acquisto e vendita al prezzo corrente in un determinato momento85, e condizionati invece ad un dato valore (LMT- “limit order”) o al tempo (GFD, “Day Only or Good For the Day”, valido nella giornata, dal momento del conferimento alla chiusura ufficiale del mercato alle 17.25)
Ad ogni modo, le differenze affiorano sul piano dell‟esecuzione di essi, non rilevando invece sul fronte della nozione concettuale dell‟ordine, la cui natura giuridica, tuttavia, è ampiamente discussa e posta al centro di un vivace dibattito, accompagnato dall‟elevata casistica giurisprudenziale, su di una possibile “negozialità”, o meno, nonché sui rapporti con il master agreement, in chiave ricostruttiva della fattispecie.
85 La modalità d‟uso più diffusa degli Ordini Condizionati è l‟impostazione di uno o più livelli di prezzo “Stop Loss” (per limitare le perdite) e/o di “Take Profit” (per monetizzare i guadagni). L‟automatismo dell‟ordine condizionato permette quindi di svincolare l‟operatività dal costante monitoraggio del mercato.
Al punto n. 1.10 delle sentenze gemelle cc.dd. “Rodorf” (nn. 26724 e 26725 del 2007), la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che “…A siffatto rilievo si deve però opporre che, come già in precedenza chiarito, il compimento delle operazioni di cui si tratta, ancorché queste possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale (ma è significativo che la norma le definisca col generico termine di “operazioni”), si pone pur sempre come “momento attuativo” di obblighi che l'intermediario ha assunto all‟atto della stipulazione col cliente del “contratto quadro”.
L‟affermazione sembra riprendere il non recente dibattito sulla esatta natura dei contratti di borsa e sulla distinzione, non meramente lessicale, di questi con riferimento alle “operazioni” richiamate sovente dalla legislazione attuale.
Così già nel 1954 il Messineo nell‟Avvertenza alla 2° edizione del suo volume dal titolo “Operazioni di borsa e di banca” ebbe ad ammettere che il volume anzidetto avrebbe dovuto intitolarsi “Contratti di borsa e di banca” e che pertanto avrebbe inteso “indulgere” all‟uso corrente che preferisce parlare di “operazioni”.
Sulla stessa linea di pensiero è stata ammessa la promiscuità dei due termini a seconda del significato morfologico riferibile, più strettamente giuridico (dunque “contratti”) ovvero economico (“operazioni”), sul presupposto dell‟esatta riconoscibilità dei contratti di borsa, così come è stata proposta una nozione più ampia di “contratti” che in sé conterrebbe, quale species di un unico genus, la sottocategoria delle “operazioni”.
La prima difficoltà è legata al fatto che i testi legislativi non offrono definizioni
di contratti di borsa. Lo stesso testo unico finanziario disciplina, infatti, l‟attività
dell‟intermediario che presta servizi di investimento aventi per oggetto i valori mobiliari.
Dunque non offre spunti per l‟esatta individuazione della fattispecie giuridica dei contratti del mercato regolamentato.
La disciplina esistente, peraltro, era riferita esclusivamente ai soggetti legalmente legittimati agli affari di borsa, gli agenti di cambio, il cui riconoscimento come figura indefettibile dell‟intermediazione è avvenuto gradualmente, dapprima col
R.D.L. del 9 giugno del 1907, poi col R. D. L. n. 222 del 1925; tale normativa, oramai del tutto superata, si preoccupava quindi solo di regolare l‟intermediazione finanziaria dal punto di vista dei soggetti e non dell‟attività, quest‟ultima potendo consistere, come è stato correttamente evidenziato, tanto in comportamenti di natura negoziale, quanto non negoziale86.
Certamente appare per certi versi oramai “obsoleta” la stessa dicitura “contratti di borsa” per effetto dell‟introduzione e regolamentazione delle piattaforme di negoziazione gestite dagli intermediari, quali valide alternative al tradizionale principio della borsa valori come luogo ideale degli scambi (nel previgente art. 25 T.U.F.).
Inoltre, dal punto di vista pratico, i contratti di borsa classici sono stati quasi soppiantati sul piano numerico-quantitativo da strumenti finanziari più moderni e idonei a rispondere alla crescente domanda del mercato in modo più dinamico. Dal punto di vista storico, proprio questi ultimi strumenti costituiscono il portato
86 XXXXXXX, I contratti di borsa, in VASSALLI (diretto da), Trattato di diritto civile, VII, t. 2, Torino, 1960, pag. 22 e ss., citato anche da XXXXXXX X‟XXXXXXXX, I contratti di borsa, op. cit., in nota 10 a pag. 137.
di un‟evoluzione del sistema finanziario che è ancora in corso, e possono essere affiancati ai contratti della tradizione per comporre la grande categoria dei contratti di borsa. Sul piano dogmatico, la categoria si presenta come categoria aperta sia in relazione al recepimento di figure contrattuali sempre nuove, sia in relazione all‟esatta individuazione della sua portata.
Vi è infatti una risalente discussione in dottrina su quale siano i confini della categoria dei contratti di borsa.
Secondo un primo orientamento, un contratto può essere qualificato “di borsa” solo quando viene concluso attraverso gli organi della borsa87.
Per un diverso orientamento88, sono da considerare contratti di borsa quelli conclusi in borsa e quelli conclusi tramite agenti di cambio o istituti di credito, in quanto assoggettati per volontà delle parti o della legge alla disciplina propria dei contratti conclusi in borsa. Secondo una diversa interpretazione, oggettivistica, la categoria comprende ogni contratto relativo alla negoziazione di titoli o valori genericamente determinati, che sia a termine e che abbia un meccanismo predeterminato per l‟esecuzione o per la proroga degli obblighi assunti89, ovvero quelli che sostanzialmente riproducono, “i modelli presenti nella realtà della borsa, che qualificano e caratterizzano le contrattazioni”.
Sembrano rientrare nella categoria dei contratti di borsa le fattispecie tipiche della compravendita a termine di titoli e del riporto.
87 MESSINEO, Il contratto di borsa per contanti, in Operazioni di borsa e di banca, Milano, 1954, pag. 5.
88 FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1982, pag. 512 e ss.
89 SERRA, I contratti di borsa a premio, Milano, 1971, pag. 79.
La teoria che delimita la nozione dei contratti di borsa in relazione al fatto del collegamento di questi con l‟istituzione della Borsa, per il formalismo ovvero per il procedimento di conclusione, non appare comunque idonea a superare la regola c.d. del “caso per caso”90. Ad una delimitazione unitaria della categoria si può pervenire attraverso l‟esame delle norme giuridiche relative alle borse, di natura consuetudinaria.
Così la giurisprudenza prevalente ha ritenuto che la disciplina concretamente applicabile ai contratti di borsa dovesse rinvenirsi nelle consuetudini di borsa, integrative ex art. 1374 c.c., trattandosi di usi praeter legem, del regolamento degli interessi concretamente voluto dai paciscenti, ragion per cui, nel rapporto giuridico tra l'intermediario di borsa, incaricato di concludere operazioni di borsa in proprio nome e per conto di chi ha conferito l'ordine, l'intermediario non può essere ritenuto inadempiente nei confronti del cliente per la mancata consegna di titoli azionari comprati per suo conto, quando il “ritardo” dipenda da fattori estranei al comportamento delle parti e sia considerato come evento di carattere normale negli usi di borsa91.
Va ricordato, infatti, come, fino ad epoca recente, il nostro ordinamento prevedesse un unico mercato ufficiale dei capitali (organizzato, gestito e vigilato secondo uno schema di tipo pubblicistico; funzionale all‟incontro di flussi di domanda e offerta dei diversi valori mobiliari ammessi alla quotazione di borsa), in cui venivano conclusi contratti.
90 BIANCHI D‟XXXXXXXX, I contratti di borsa, op. cit., pag. 146.
91 Cfr. Cass. sent. n. 5724/77, in Banca borsa, 1978, II, pag. 129; in senso conforme Cass. n. 2907/92, in Giur it. 1992, I, 1, pag. 2032 (solo massima).
Da qui l‟individuazione di un‟autonoma categoria di negozi (che ricomprende le singole fattispecie) da parte di dottrina e giurisprudenza, che li riconoscevano come contratti atipici, regolati principalmente dai cc.dd. ”usi di borsa” (che in quanto consuetudini praeter legem pubblicate nelle raccolte ufficiali delle Camere di Commercio, costituiscono fonti di diritto di terzo grado, cfr. più avanti) e solo poi, in quanto compatibili, dalle norme codicistiche.
In assenza, infatti di una definizione normativa della categoria dei contratti di borsa, erano considerati tali non solo quelli conclusi nel mercato, ma tutti gli accordi che avessero avuto ad oggetto valori (mobiliari o no) quotati in una borsa, anche se stipulati fuori dal mercato borsistico da intermediari qualificati o addirittura da privati che avessero pattiziamente assoggettato il contratto alle norme di borsa.
L‟unico riferimento a tale categoria si rinviene in leggi di inizio secolo, peraltro emanate ai soli effetti fiscali, con le tristi conseguenze che si possono facilmente immaginare sul piano della organicità e della compiutezza per la disciplina relativa alla contrattazione borsistica.
Disciplina che, come detto, si è per ciò venuta a trovare sorretta in toto dalla normativa consuetudinaria, propria di ogni Borsa Valori del luogo (in cui ve ne fosse una).
Infatti “ben dieci erano le borse valori prima della privatizzazione, tutte istituite per pubblica autorità che ha scelto come sedi le città nelle quali si ritenevano esistenti le condizioni commerciali e finanziarie utili per lo sviluppo di tali
mercati, quali Milano, Torino, Genova, Venezia, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo92.
È comprensibile quindi, come la presenza di più piazze per lo scambio di valori abbia dato un contributo notevole al formarsi e al perfezionarsi stesso di usi propri di ciascuna borsa. Come si è accennato sopra, la normativa di carattere legislativo (diversamente da quella consuetudinaria), relativa alla disciplina delle contrattazioni borsistiche, è stata per lungo tempo rappresentata da leggi datate e scarne.
I successivi interventi normativi erano volti al solo fine della disciplina della loro valenza ai fini fiscali, e comunque si collocheranno xxx xxxxxxx dal disciplinare compiutamente il settore in esame.
La definizione stessa di contratto di borsa non emerge se non da disposizioni che ne trattano in modo marginale e senza sistematicità. E non c‟è da stupirsi, dal momento che nella stessa legge del 1913 (che pure avrebbe dovuto trattare con una seppur minima organicità la disciplina della vita borsistica), l‟articolo 34, in cui si qualifica il contratto borsistico, fu collocato all‟apertura del titolo III rubricato “tasse sui contratti di borsa”.
A prescindere dalle considerazioni generali, relative cioè al venire in essere di una consuetudine e alla sua efficacia nel quadro delle fonti normative, v‟è in primo luogo da considerare in che modo fossero riconosciuti, raccolti, e resi pubblici tali usi relativi alla contrattazione nelle borse valori.
92 X. XXXXX, in La disciplina del mercato mobiliare, Padova, 2001, nella parte dedicata alla storia del mercato.
Generalmente i soggetti deputati ad accertarli erano le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura della circoscrizione in cui si trovasse una Borsa Valori, con ultima approvazione da parte della Giunta Camerale.
Tale definitiva approvazione era importante perché, dalla relativa data, decorreva il quinquennio entro cui gli usi dovevano essere, obbligatoriamente per legge, revisionati; e questo quinquennio era a sua volta importantissimo, perché soltanto in esso, e non oltre, gli usi si presumevano esistenti fino a prova contraria.
Peraltro, è fatto notorio che la Borsa Valori di Milano sia stata sempre la piazza scambi per antonomasia, in Italia, per prestigio e, soprattutto, per volumi trattati, anche grazie ad una normativa consuetudinaria più completa e rispondente alle esigenze degli operatori, che inevitabilmente fungeva da pietra di paragone per le raccolte delle altre piazze.
Gli anni ‟90 si sono distinti per due “eventi” che hanno radicalmente inciso sull‟assetto economico-giuridico dei mercati finanziar l‟entrata in vigore della legge del 2 gennaio 1991 n. 1, che ha individuato e disciplinato le attività di intermediazione mobiliare, e la nascita del Mercato Telematico Azionario (25 novembre).
È stata introdotta dunque la riserva di esercizio a soggetti (SIM) sottoposti ad uno statuto speciale ed al controllo delle Autorità di Vigilanza sotto il profilo della stabilità patrimoniale e della correttezza dei comportamenti. È stato di fatto “congelato” il ruolo degli agenti di cambio ed è stata estesa l‟operatività delle banche nei mercati finanziari, proprio per favorire la competitività del settore
bancario italiano con quello dei paesi dell‟U.E., in ossequio ai princìpi del mutuo
riconoscimento e del “home country control” sancito dalla direttiva 89/646/CEE (c.d. “seconda direttiva banche”)
Le conseguenze sono un vistoso e crescente, aumento del volume di scambi, la diminuzione dei piccoli investitori che operavano direttamente, per lasciare così il posto agli investitori istituzionali (fondi comuni, banche, …): domande e offerte si incrociano via computer velocizzando le operazioni e portando esigenze nuove che subito si riflettono, per portare un esempio, sulle modalità di liquidazione delle transazioni.
I vantaggi della contrattazione per mezzo della telematica si estendono poi verso una maggiore trasparenza nel meccanismo di formazione dei prezzi e verso una maggiore rapidità nell‟inoltro degli ordini e nella diffusione delle informazioni di mercato.
Con il d. lgs. n. 415/1996 (c.d. “decreto eurosim”), adottato in attuazione della direttiva 93/22/CEE, è stata sancita la privatizzazione dei mercati e la riserva di tale attività di impresa (art. 46) secondo la forma della società per azioni, anche senza scopo di lucro, sottoposta ad un particolare regime di vigilanza da parte della CONSOB.
Tali soggetti (le società di gestione del mercato regolamentato) vengono poi delegati dalla legge, a disciplinare il funzionamento del mercato che hanno creato e gestiscono, con facoltà di stabilire in particolare quali siano i tipi di contratti ammessi alla negoziazione.
Per effetto dell‟entrata in vigore del Testo Unico dell‟Intermediazione
Finanziaria e dei relativi regolamenti della CONSOB, infine, la disciplina applicabile ai contratti di borsa (nel senso generico di contratti aventi ad oggetto
strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati), ha trovato in norme pienamente efficaci, talvolta di natura pattizia (in virtù del fatto che sono deliberate da un soggetto privato e implicitamente accettate da chi nel mercato stesso voglia operare secondo il modello della “audited self regulation”), talvolta legale, che regolano per ogni mercato particolari tipi di contratti (e la relativa disciplina applicabile), connessi al singolo strumento cui si riferiscono da risultare inapplicabili fuori di essi.
In conclusione, si può dire che sono ormai inapplicabili gli usi di borsa pubblicati presso le Camere di Commercio, in quanto usi praeter legem e come tali operanti solo in materie non disciplinate da fonte scritta.
Quanto detto sinora, assolve principalmente alla funzione di distinguere, sotto il piano concettuale, la nozione di contratto di borsa da quello dell‟ordine, che rappresenta, a ben vedere, il momento centrale della prestazione dei servizi di investimento.
3. Analogie con il factoring.
A ben vedere le problematiche che sottopone all‟interprete la ricostruzione del fenomeno dell‟intermediazione finanziaria sono analoghe a quelle che la dottrina ha posto con riferimento alle operazioni di factoring.
Fondamentalmente, il contrasto degli interpreti si è incentrato su un quesito e cioè se fosse più corretto considerare il contratto di factoring come un negozio unitario o quale negozio plurimo, scomponibile in una convenzione di factoring cui si aggiungono le singole cessioni (quali negozi attuativi della causa sottostante la convenzione).
Da una parte v‟è chi sostiene l‟unitarietà negoziale del factoring come una cessione di crediti futuri il cui trasferimento al factor, avverrebbe con il venire ad esistenza dei crediti, ricorrendo allo strumento condizionale, quindi, per spiegare la facoltà riconosciuta al factor di accettare, o meno, i crediti93.
Dall‟altra chi ha sostenuto la tesi della pluralità negoziale magari ricorrendo alla teoria del collegamento negoziale tra il contratto di factoring e la cessione dei crediti94.
E' rilevante la conseguenza che deriva dall‟accoglimento dell‟una ( unitarietà negoziale ) o dell‟altra tesi (pluralità negoziale). Difatti, se si considera il contratto di factoring come negozio unitario, allora il trasferimento dei crediti è connesso al momento della cessione se, invece, si dovesse accogliere la tesi della pluralità negoziale si dovrà ricollegare il momento traslativo alla conclusione dei singoli negozi (di cessione).
Per coloro i quali propendono per il riconoscimento della pluralità negoziale si pone un ulteriore quesito circa il contenuto della convenzione di factoring alla cui esecuzione provvederanno i negozi di cessione del credito.
A quanti, ritengono che la convenzione di factoring abbia valore normativo si è obiettato95 che le clausole, inserite nei contratti di factoring, hanno contenuto immediatamente vincolante per le parti e costituiscono vere e proprie obbligazioni contrattuali e, almeno per quanto riguarda il cedente, alla stipulazione del contratto definitivo.
93 XXXXXXXXX, I problemi giuridici del factoring, in Riv. dir. civ. , I, 1978, pag. 299 e ss.
94 FRIGNANI, voce “factoring”, in Xxxxxx. Xxxxxxx Xx., Xxxxxx, 0000. ZUDDAS, “Il contratto di Factoring”, Napoli, 1983, pag. 229 e ss.
95 CARNEVALI, I problemi, op. cit., pag. 302 e ss.
Da tali osservazioni scaturiscono le affermazioni della prevalente dottrina volte a riconoscere valore di preliminare alla convenzione di factoring.
Propendere per la tesi che ritiene la convenzione di factoring quale preliminare significa ritenere che il factoring vincola il fornitore a quel regolamento d‟interessi che sarà poi determinato nel definitivo.
Optare per l‟altra tesi significa considerare la convenzione priva di effetti vincolanti, ed avente soltanto funzione preparatoria dei futuri contratti di cessione. Per il factor lo schema assunto dalla convenzione avrebbe, sempre e solo, natura normativa poiché rimarrebbe libero di stipulare, o meno, le singole cessioni96 mentre secondo altra teoria97 potrebbero ravvisarsi nella convenzione due distinti contratti, quello normativo (in base al quale le parti predispongono le regole giuridiche dirette a disciplinare una serie di negozi eventuali e futuri) ed il preliminare (diretto alla creazione di obblighi giuridici).
Contrariamente98, si sostiene a sua volta che bisognerebbe considerare il contratto di factoring come unico e definitivo contratto di cessione di una massa di crediti presenti e futuri derivanti da transazioni di carattere commerciale, da
96 LA BIANCA, “Factoring”, in Riv. dir. comm., 1979, I, pag 137 e ss.
97 XXXXXXX XXXXXXXX, Spunti sul factoring, in Giur. mer., 3, 1989, pag. 764.
98 CASSANDRO-SULPASSO, Collaborazione alla gestione e finanziamento dell‟impresa: il factoring in Europa, Milano, 1981. pag. 28, secondo cui “Ricorrendo il connotato caratteristico dell‟operazione, nella c.d. globalità soggettiva, cioè nella cessione di tutti i crediti verso uno stesso debitore, mi sembrava potersi sostenere che fosse sufficiente una sola notifica al debitore o l‟accettazione da parte sua, secondo le formalità previste per la cessione dall‟art. 1265, perchè la cessione di tutti i crediti fosse efficace nei confronti del debitore stesso e dei terzi. A risultati non dissimili, consente di pervenire la legge n. 52/1991, che da un lato riconosce la possibilità della cessione in blocco di una massa di crediti presenti e futuri e dall‟altro consente anche al cessionario, di rendere opponibile la cessione secondo le disposizioni del codice civile, a fianco dell‟ulteriore criterio introdotto”.
cui nascono diritti ed obblighi per entrambe le parti ed al quale va ricollegato l‟effetto traslativo dei crediti d‟impresa.
Le singole cessioni sarebbero, invece, i momenti attuativi del contratto definitivo.
4. La tesi negoziale e i suoi limiti.
Il panorama dottrinario e giurisprudenziale sui contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento sopra descritto non differisce oltremodo da quello attualmente esistente con riguardo ai contratti di investimento. Xxxx, in qualche modo può ben affermarsi che questo è sostanzialmente connaturato a molte fattispecie contrattuali complesse largamente diffuse nel settore della distribuzione commerciale.
In particolare, una prima e risalente tesi dottrinaria99 sosteneva la sicura riconducibilità al contratto in generale sul presupposto che le norme consuetudinarie relative all‟ordine di borsa100 costituissero un vero e proprio corpus di norme giuridiche, regolanti il rapporto tra cliente ed intermediario (agente di cambio).
Sebbene, in misura parzialmente difforme dall‟opinione maggioritaria, è stato sostenuto che gli usi di borsa costituissero invece condizioni generali del contratto ai sensi dell‟art. 1341 c.c., la dottrina appariva soprattutto divisa con riferimento alla riconduzione di tale fattispecie contrattuale alla mediazione ovvero alla commissione.
99 BIANCHI D‟XXXXXXXX, I contratti di borsa, op. cit., pag. 148.
100 Nella Raccolta Usi della Borsa di Milano, il capo I era intitolato “Esecuzione degli Ordini”.
Più recentemente101, in particolare, si è sostenuta la possibilità di qualificare gli ordini come dichiarazioni negoziali, poste a fondamento di autonomi contratti consensuali, a prestazioni corrispettive, tra cliente e intermediario.
Contratti che in ipotesi si riterranno conclusi, secondo lo schema prefigurato dall‟art. 1327 c.c., mediante “esecuzione prima della risposta dell‟accettante”.
Tale tesi, dunque, valorizza la natura giuridica degli ordini nel quadro dell‟intera operazione economica di investimento, cogliendo l‟essenza di questa proprio nella scelta concreta effettuata dall‟investitore sebbene nel rispetto del più generale programma di investimento contenuto nel master agreement. Secondo questa chiave di lettura l‟ordine, invero, non è affatto uno scontato momento esecutivo, ma un essenziale momento decisionale102.
È stato tuttavia obiettato, che siffatta natura negoziale dell‟ordine non possa prescindere dall‟inquadramento del master agreement entro gli schemi del contratto normativo103.
A parte il carattere apodittico di tale affermazione, nella misura in cui non tiene conto delle peculiarità del contratto normativo rispetto al master agreement, non
101 Cfr. ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento, op. cit., pag. 629 e ss; Id., I contratti di investimento e gli ordini dell‟investitore all‟intermediario, in Contr. e Impr., 2005, 3, pag. 896 e ss.
102 GENTILI, Disinformazione e invalidità: i contratti di intermediazione dopo le Sezioni Unite, in Contr., 4, 2008, pag. 396. Il fatto che i singoli acquisti siano programmati genericamente nel contratto-quadro non toglie affatto l‟importanza determinante che ha la scelta negoziale fatta al momento dei singoli acquisti ai fini degli scopi dell‟investitore. L‟A. sostiene dunque che “Non sono perciò affatto uno scontato momento esecutivo, ma un essenziale momento decisionale”.
103 SCODITTI, Intermediazione finanziaria e formalismo protettivo, op. cit., pag. 191, secondo cui “Il primo test che la decisione della Suprema Corte, circa la sufficienza della forma scritta dell‟ordine di borsa, deve superare è il carattere negoziale, e non meramente esecutivo, di quest‟ultimo. Se è l‟accordo contrattuale che deve rivestire forma scritta, vuol dire che l‟ordine, perché sia rispettato il requisito di legge, deve avere valore negoziale”.
appare così scontata siffatta relazione tra le due nozioni, quand‟anche si ritenesse provato un tale inquadramento dogmatico.
In primo luogo, perché altrettanto potrebbe dirsi qualora si optasse per la tesi che riconduce la fattispecie ex art. 23 TUIF nell‟alveo del contratto quadro (qui autonomamente inteso rispetto al contratto normativo); in secondo luogo perché, accogliendo una ricostruzione metatipica del master agreement oltre i modelli tradizionali del contratto normativo e del contratto quadro (rispetto ai quali, si è visto, sembrerebbero difettare taluni precipui caratteri), come fattispecie negoziale essenzialmente volta a cristallizzare le regole di comportamento rilevanti nell‟attività di intermediazione, nulla osterebbe all‟applicazione della disciplina comune del collegamento negoziale104.
A ben vedere, una volta che l‟intermediario abbia ricevuto l‟ordine dal cliente e sempreché risulti positivamente superato il giudizio sull‟adeguatezza ovvero sull‟appropriatezza dell‟operazione rispetto al profilo di quest‟ultimo, si possono verificare due ipotesi, sovente affrontate nel panorama giurisprudenziale: l‟esecuzione dell‟ordine in contropartita diretta, qualora il prodotto finanziario sia già detenuto nel portafoglio titoli dell‟intermediario, con conseguente riconduzione del c.d. contratto di borsa entro gli schemi della compravendita, a seguito di una negoziazione “in conto proprio”105; ovvero l‟esecuzione mediante ricorso al mercato, da parte dell‟intermediario per conto del cliente, ipotesi più
104 Richiamata peraltro da ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione (a proposito di Xxxxx xxxx & Tango bond), in Danno e resp., 6, 2005, pag. 629 e ss.
105 Cfr. Trib. Palermo, 16 marzo 2005, in Foro it. 2005, I, pag. 2539 con nota di XXXXXXXX, op. cit., in nota 84. In dottrina, cfr. XXXXXXX, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, op. cit. pag. 102. DELLACASA, Collocamento di prodotti finanziari e regole di informazione, op. cit. pag. 1243 e ss.
complessa per cui sono state enucleate numerose tesi ricostruttive, affrontate nel prosieguo.
In tale sede, mette conto osservare che in un caso e nell‟altro, sebbene con diversi risvolti applicativi, è il contratto di borsa ad essere asservito sul piano della validità e dell‟efficacia, alle sorti del master agreement e non viceversa, come invece dovrebbe accadere secondo la teoria del contratto normativo.
Le regole legali di comportamento, cristallizzate invero nel master agreement, si sostanziano in un impedimento legale all‟autonomia contrattuale dell‟intermediario, il quale, nell‟ottica dell‟utilitas publica dell‟iniziativa economica, a sua volta si concretizza in un divieto di accettare l‟ordine non suitable in contropartita diretta, ovvero di metterlo in negoziazione e quindi eseguirlo.
Non sussiste, infatti, alcun automatismo tra conferimento dell‟ordine ed esecuzione dello stesso, poiché l‟intermediario deve decidere, in considerazione delle informazione sul profilo del cliente, se e come porre in esecuzione l‟ordine. In tal senso difficilmente può negarsi che il rifiuto apposto all‟ordine del cliente sia privo di un qualche contenuto volontaristico, tale da fondare la negozialità del rapporto, sebbene in sede attuativa.
Inoltre, la preminenza del regolamento posto a monte dell‟attività rispetto ai singoli atti si pone in antitesi con la concezione tradizionale del contratto normativo come mera intesa preparatoria106, quand‟anche le si riconoscesse una
106 XXXXXXXXXXXX, Contratto normativo, op. cit., pag. 3.
qualche forma di vincolatività107, e del contratto quadro, salvo che il menzionato xxxxxxxx non venga interpretato in senso atecnico.
Una tesi, per così dire mediana, ricostruisce l‟attività di intermediazione nel contratto di “prestazione dei servizi di investimento” e nella negoziazione (ora intesa in senso generico, come esecuzione di un ordine d‟acquisto di prodotti finanziari) due diversi contratti collegati, il primo dei quali sarebbe un “contratto di cooperazione” ed il secondo un mandato.
Si sostiene, dunque, un‟asserita natura anfibia delle intese che si perfezionano con l‟accettazione degli ordini: da una parte, il cliente che abbia stipulato un accordo-quadro è poi libero di non contrarre e (di comune intesa con l‟intermediario) potrà anche pattuire, per le singole operazioni, condizioni difformi da quelle prestabilite nel contratto di intermediazione finanziaria; dall‟altra, la natura attuativa di un‟intesa non è di per sé sola preclusiva della sua identità negoziale.
L‟ordine di investimento, pertanto, risulterebbe caratterizzato da una connotazione bicefala (negoziale ed esecutiva): prevale in esso il momento esecutivo del precedente contratto, ma non è comunque chiaro se trova applicazione integralmente la disciplina generale degli atti negoziali o meno.
Conseguentemente è stato ritenuto che le successive operazioni che l‟intermediario compie per conto del cliente, benché possano a loro volta
107 MESSINEO, Contratto normativo, op. cit., pag. 122.
consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto d‟intermediazione108.
Il meccanismo negoziale così concepito (pur con le rilevanti distinzioni che emergono a seconda della tipologia di servizio di investimento di volta in volta prestato) presenta legami con i contratti tipici di cooperazione giuridica.
Il principale rilievo che viene mosso alla tesi del “doppio contratto”, consiste proprio nella non facile comprensione del modo in cui un “contratto di cooperazione”, che avrebbe la limitata funzione di regolare le modalità della successiva attività negoziale, possa generare degli obblighi di comportamento, molti dei quali aventi natura di obblighi di diligenza, che presuppongo dunque un‟attività di adempimento– attività esecutiva che la natura “normativa” del regolamento pattizio porterebbe invece ad escludere109.
5. La tesi del mandato e i suoi limiti.
Sotto il regime del codice di commercio del 1882, alcuni autori110, sostenevano la sicura riconducibilità, sempre e comunque, del rapporto agente di cambio- cliente allo schema legale della “mediazione”, specie in considerazione della qualifica attribuitagli allora dall‟art. 21 ult. co. della l. 272/1913.
Secondo il disposto dell‟art. 1754 c.c., è “mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di
108 Cass., Sez. Un., est. Rordorf, cit.; in termini, Cass., sez. I, est. Xxxxxx, 29 gennaio- 17 febbraio 2009, n. 3773, cit..
109 Trib. Rovereto, 18 gennaio 2006, in Contr. e impr., 2006, pag. 579.
110 BOLAFFIO, Commentario al codice di commercio, II, sub art. 31, Torino, 1923; XXXXXXXXX, Sul fallimento dell‟agente di cambio, in Foro it. 1931, I, pag. 1105; XXXXXXXX, La figura giuridica dell‟agente di cambio, in Riv. dir. comm., II, 1931, pag. 536 e ss.
esse da rapporti di collaborazione, di indipendenza, di rappresentanza, avendo poi diritto ad una provvigione se il contratto è concluso”.
La natura contrattuale della mediazione è discussa proprio perché a differenza del mandatario, l‟attività del mediatore sembra essere un‟attività squisitamente materiale. Conseguentemente, la sua volontà non ha influenza giuridica determinante per la costituzione del rapporto contrattuale, che è lasciata libera, diretta deliberazione degli interessati che contrattano fra loro. In sostanza il mediatore appare terzo rispetto al contratto posto in essere da questi ultimi.
Cosicchè una parte della dottrina111 sostiene la tesi contrattualista, secondo cui il contratto di mediazione si perfezionerebbe quando il mediatore entra in contatto con la prima parte, dovendosi ritenere implicita l‟accettazione successiva delle altre, anche ex art. 1327 c.c., in presenza dell‟attività del mediatore; diversamente, la tesi non contrattualista112 vede invece nella mediazione un atto giuridico in senso stretto, che si identifica con la messa in relazione delle parti e che è fonte di obbligazioni simultanee a carico delle parti stesse ex art. 1173 c.c.. Su posizioni analoghe si attesta la giurisprudenza di merito e di legittimità.
Diversamente, altra tesi sosteneva il carattere non decisivo della qualificazione legislativa degli agenti di cambio come mediatori iscritti delle borse valori ai fini del corretto inquadramento del rapporto intrattenuto con i clienti. La legge menzionata, in sostanza, avrebbe fatto riferimento alla mediazione solo per
111 MARINI, La Mediazione, in X. XXXXXXXXXXX (a cura di) Commentario al codice civile, Milano, 1992, sub. art. 1754, pag. 163.
112 sostenuta da CATAUDELLA, Note sulla natura giuridica della mediazione, in Riv. dir. comm., I, 1978, pag. 361 e ss.
identificare la categoria professionale di appartenenza degli agenti (“mediatori iscritti”), non implicando che l‟attività di intermediazione dovesse in ogni caso assumere la forma negoziale della mediazione113.
Né poteva dirsi, sempre secondo quest‟ultima opzione interpretativa, ostativo alla riconduzione del rapporto cliente-agente ad uno schema diverso dalla mediazione, il divieto allora disposto dall‟art. 24 della l. 272/1913 “di esercitare il commercio relativo alla specie di mediazione da essi professata”, atteso che quest‟ultimo era riferito all‟attività in nome proprio dell‟agente di cambio e trovava la propria ratio legis nell‟esigenza di evitare potenziali conflitti di interessi con i clienti114.
Tale divieto, dunque, non poteva dirsi risolutivo del problema, ben potendosi ricondurre l‟attività dell‟agente di cambio anche allo schema della commissione. Ancora, lo schema della mediazione apparirebbe inadeguato rispetto al dato empirico del fenomeno in esame. Da una parte, infatti, l‟agente di cambio non riceve incarichi di “trattative” bensì ordini di borsa, finalizzati a comprare, vendere o riportare titoli, e stipula i relativi contratti; dall‟altra il cliente è legato al proprio agente da un rapporto di natura fiduciaria, facendosi quest‟ultimo unilateralmente carico degli interessi del primo, connotato del tutto assente, invece, nei rapporti di mediazione pura.
113 XXXXXXXX, voce Agente di cambio, in Enc. Dir., I, Milano, ult. ed..
114 XXXXXXXX, Commentario, op. cit.; XXXXXXXX, Agente di cambio, op. cit.; attualmente tuttavia l‟art. 201 co. 7 del TUF espressamente vieta agli agenti di cambio, ancora iscritti al ruolo unico nazionale, di esercitare i servizi di investimento che comportino l‟assunzione di un rischio di posizione.
Sotto un‟altra prospettiva, risalente nel tempo, è stata formulata una diversa ipotesi ricostruttiva della natura giuridica dell‟ordine di borsa, che giunge a negare la riconducibilità di questa negli schemi dei contratti previsti dal codice civile, in particolare della mediazione, della commissione e del mandato.
Il dato di partenza è costituito dal riconoscimento di una valenza meramente “descrittiva” del richiamo alla mediazione, contenuto nella l. 272/1913, riferibile all‟attività degli agenti di cambio come categoria professionale, per poi aggiungere, attraverso l‟analisi dall‟art. 1762 c.c. (ex art. 31 cod. comm.), alla conclusione che il ruolo dell‟agente di cambio andrebbe relegato ad una funzione di garanzia ex lege dell‟esecuzione del contratto di borsa115.
Xxxxxxxx, dapprima si escluderebbe ogni teoria che tende a configurare il contratto di borsa come una fattispecie pluri-negoziale e le parti contraenti di un solo ed unico contratto sarebbero sempre i soli operatori (clienti) di borsa.
Proprio questo contratto, non potrebbe essere ricondotto allo schema tipico mediazione per il carattere vincolato dell‟attività dell‟intermediario che ha ricevuto l‟ordine, poiché discrezionale si ritiene l‟attività del mediatore.
Si riteneva dunque che l‟ordine di borsa non poteva sostanzialmente essere inquadrato in nessuno dei contratti tipici regolati dal codice civile. Questa conclusione era chiaramente frutto dell‟insufficienza dei dati normativi ad orientare l‟interprete nella ricerca del modello giuridico di riferimento, cui far riferimento nella soluzione dei problemi determinati dalla natura giuridica dei contratti di borsa.
115 BIANCHI D‟XXXXXXXX, I contratti di borsa, op. cit., pag. 275.
Ed anche la giurisprudenza non troppo recente concludeva che l‟ordine di borsa non potesse essere inquadrabile in alcuna delle categorie negoziali tipiche previste dal codice civile e, in particolare, né alla commissione, né a quello della mediazione né a quello del mandato (senza rappresentanza), configurando un contratto atipico, il quale, in difetto di una disciplina legislativa organica e compiuta, deve considerarsi regolato dalle consuetudini di borsa, rappresentanti usi giuridici “praeter legem”116.
Nella vigenza della legge 1/1991, la riconducibilità dell‟attività di intermediazione allo schema del mandato era sostenuto, invero, pressoché pacificamente sia in dottrina che in giurisprudenza.
Tale tesi appariva corroborata segnatamente, dalla previsione dell‟art. 13 della l. 1/1991 che disponeva circa la “diligenza del mandatario” come canone di comportamento dell‟intermediario.
Secondo il più accreditato sostenitore117 di tale corrente di pensiero, i contratti di investimento inquadrano, come già si è avvertito, nello schema codicistico del conto corrente bancario, di cui all‟art. 1852 ss. c.c., detto anche conto corrente di corrispondenza.
La Cassazione lo ha talvolta qualificato come un contratto misto di conto corrente e di mandato, in forza del quale la banca si obbliga a dare esecuzione alle disposizioni del cliente, utilizzando la provvista da questo fornita con un
116 Cass. n. 11834/95 in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, pag. 780 e ss.
117 XXXXXXX, I contratti di investimento e gli ordini dell‟investitore all‟intermediario, in
Contr. e Imp, 3, 2005, pag. 889 e ss.
deposito o con un‟apertura di credito118; e le norme sul mandato sono espressamente richiamate quanto alla responsabilità della banca per l‟esecuzione degli incarichi ricevuti (art. 1856 c.c.).
Il contratto riprodurrebbe lo schema del mandato: qui del mandato ad acquistare o a vendere strumenti finanziari.
Pertanto, gli ordini del cliente alla banca sarebbero, nel senso dell‟art. 1711 c.c.,
istruzioni del mandante al mandatario.
La banca, quale mandatario, si obbliga ad eseguire le istruzioni del cliente, suo mandante, acquistando o vendendo a seconda degli ordini ad essa impartiti. Si tratta, in particolare, di mandato senza rappresentanza: la banca acquista per ordine del cliente, ma in nome proprio (art. 1705 c.c.), a ciò autorizzata dal cliente ed è tenuta a ritrasferire al cliente gli strumenti finanziari acquistati, salvo il diritto di quest‟ultimo di rivendicarli (art. 1706 c.c.).
Questo ritrasferimento è superfluo nel mandato senza rappresentanza avente per oggetto l‟acquisto di cose mobili, quali sono gli strumenti finanziari, come è reso palese dal diritto di rivendica spettante al mandatario nei confronti del terzo.
L‟acquisto dello strumento finanziario da parte del cliente della banca non è, perciò, l‟effetto di un ulteriore contratto traslativo fra la banca e il cliente; non ha la causa di un ulteriore ed autonomo contratto bancario e non è soggetto alle relative norme; ripete la propria causa dal contratto di negoziazione, di cui costituisce adempimento.
118 XXXXXXX, I contratti, op. cit. pag. 892. Cfr. Cass., 27 luglio 1972, n. 2545, in Dir. fall., 1973, II, pag. 310; Trib. Napoli, 10 settembre 1996, in Banca borsa, 1998, II, pag. 344, nonchè Trib. Milano, 12 luglio 1984, in Banca borsa, 1986, II, pag. 95.
Appare di tutta evidenza, alla stregua di siffatta tesi, l‟insostenibilità dell‟assunto di fondo di diverse sentenze, pronunciate in relazione ai xxxx Xxxxxxxxx: quello secondo il quale gli ordini dell‟investitore all‟intermediario darebbero luogo ad altrettanti contratti di investimento, preceduti dal “contratto quadro” o “master agreement”119.
Secondo questa tesi l‟ordine del cliente alla banca sarebbe un atto unilaterale esecutivo del mandato, non già una proposta contrattuale del cliente alla banca, e non richiede alcuna accettazione della banca diretta a perfezionare una compravendita120.
La banca a sua volta, nell‟acquistare sul mercato i titoli di cui all‟ordine del cliente, pone in essere una prestazione esecutiva che vale come adempimento del contratto di negoziazione. Una compravendita di titoli c‟è stata, ma è stata la compravendita stipulata dalla banca con il terzo fornitore dei titoli stessi, i quali sono entrati nel patrimonio del cliente, grazie al già ricordato meccanismo del mandato senza rappresentanza avente per oggetto cose mobili acquistate dal mandatario per conto del mandante (art. 1706 c.c.).
Negli interni rapporti fra banca e cliente, il contratto con il quale la prima si procura sul mercato i titoli sarebbe atto esecutivo del mandato, da essa posto in essere in adempimento delle istruzioni del mandante.
E si tratta di una fattispecie che ha molteplici applicazioni; si pensi, sempre in materia bancaria, al cd. castelletto di sconto: le singole operazioni di sconto non
119 Cfr. Trib. Milano, 25 luglio 2005, in Corr. mer., 2005, pag. 1049, nonché Trib. Genova, 18 aprile 2005 in Danno e resp. 2005, 6, pag. 604-630.
120 Trib. Mantova, 14 aprile 2005, in Danno e resp. 2005, 6, pag. 604-630.
sono nei rapporti fra banca e cliente, autonomi contratti di sconto, ma atti esecutivi del generale contratto intercorrente fra le parti ed avente ad oggetto il servizio di sconto.
Cosicchè non vi sarebbe ragione per distinguere tra l‟ordine impartito dall‟investitore all‟intermediario e le istruzioni dettate dal mandante al mandatario nell‟esecuzione del mandato, trattandosi in entrambi i casi di dichiarazioni non negoziali di volontà (c.d. determinative) cui fa seguito una mera attività esecutiva, “che non si concreta in un ulteriore accordo tra le parti (proprio perché l‟intermediario esegue e non accetta di eseguire l‟ordine)”121.
Si pensi inoltre al contratto di factoring: le singole cessioni di crediti del cliente alla società non sono altrettanti autonomi contratti di cessione di crediti, ma atti esecutivi del contratto di factoring. Si tratta insomma della ben nota categoria dei cd. negozi di attuazione, quali atti di volontà, talvolta individuali, talvolta bilaterali, esecutivi di un preesistente contratto intercorrente fra le parti e privi di una propria causa, trovando essi causa nel predetto preesistente contratto.
Solo successivamente alla riforma del 1998 si è andata delineando una nozione di contratto di investimento sempre più autonoma dal contratto di mandato, connotata da caratteri tipici, specie con riferimento all‟introduzione degli obblighi di comportamento degli intermediari122, anche in considerazione che
121 Trib. Catania, est. Paternò Raddusa, 21 ottobre 2005, R.G. 2874/04, inedita, testo integrale in xxx.xxxxxx.xx.
122 INZITARI – PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, op. cit, pag. 14 e ss. secondo cui “Con il tempo, sia in dottrina che in giurisprudenza si è cominciato a dubitare della correttezza di tale qualificazione, dubbi vieppiù aumentati e consolidatisi successivamente alla riforma attuatasi con l‟entrata in vigore del TUF e del relativo regolamento di attuazione che ha più dettagliatamente specificato la disciplina gli obblighi comportamentali
l‟art. 23 comma 6 del TUIF non richiama più la diligenza del mandatario, bensì introduce un modello comportamentale più elastico, consistente nella “specifica diligenza richiesta” (mentre in ogni ipotesi di gestione di affari altrui, le fattispecie appaiono caratterizzate dalla diligenza richiesta in tema di mandato dagli artt. 1710 ss. c.c.123).
Dunque, concludendo, se si adotta la qualificazione in termini di mandato, sia pure non esaustiva dei diversi profili del rapporto posto in essere, l‟ordine del cliente sarebbe privo del carattere della negozialità, in quanto costituisce atto unilaterale esecutivo del mandato, ed in particolare l‟istruzione del mandante al mandatario.
Sebbene il TUF del 1998, come già anticipato, abbia allentato i legami tra i contratti di investimento (elencati all‟art. 1 comma 5°) da un lato e il mandato e la commissione dall‟altro, la giurisprudenza ha più volte riconosciuto nel contratto di mandato, l‟archetipo di tutte le fattispecie di gestione nell‟interesse altrui124, tanto con riferimento al servizio di gestione portafogli di investimento su base individuale, quanto con riferimento alla stessa negoziazione125, in cui
imposti agli intermediari, delineando in questo modo una serie di caratteri tipici dei contratti di investimento che consentono oramai di considerarli autonomamente e separatamente rispetto alla figura del mandato…Pare certo… che la loro riconduzione allo schema di contratto di mandato sia molto riduttiva rispetto alle diverse complessità che caratterizzano i contratti di investimento e, soprattutto, rispetto alle molteplici regole di condotta ed ai numerosi obblighi informativi imposti all‟intermediario della normativa di settore”.
123 Cass. civ., sez. I, n. 28260 del 20 dicembre 2005, in Mass. Giust. civ. 2005, n. 12.
124 In termini generali XXXXXXX, Gli obblighi dell‟incaricato nella trattazione d‟affari per conto nel sistema tedesco e in quello italiano, in Riv. dir. civ. 1994, I, pag. 639 e ss.
125 Cass. n. 2336/99, in Giust civ., 1999, I, 2333. Fra le sentenze di merito si segnalano Trib. La Spezia del 27 novembre 1999, in Gius., 2000, pag. 809, Trib. Palermo del 16 marzo 2005 in Foro it. 2005, I, pag. 2539 .
certamente, e a differenza del primo, non può certo sostenersi che l‟attività gestoria ne rappresenti un connotato essenziale.
Il confronto, in verità, dovrebbe essere effettuato in maniera più analitica in relazione ai singoli tipi o sottotipi di contratti di investimento e di gestione collettiva del patrimonio, dato che mentre per alcune figure negoziali (ad esempio, la negoziazione per conto terzi) deve ammettersi una sostanziale identità, per altre figure (come, ad esempio, la gestione su base individuale126 di portafogli di investimento e alcune di operazioni di collocamento di strumenti finanziari nonché le gestioni di fondi comuni di investimento) può riconoscersi solo una generica colorazione funzionale di tipo gestorio, e per altre figure ancora (in particolare, le negoziazioni per conto proprio) deve invece escludersi qualsiasi connotazione gestoria”127.
La prima critica che viene mossa alla tesi che riconduce l‟attività di intermediazione al mandato è, quindi, di tipo strettamente empirico: se l‟attività gestoria, infatti, consiste tipicamente nel potere- dovere di un soggetto di amministrare un dato patrimonio altrui, in senso economico e non giuridico, e quindi in un‟attività decisionale, ebbene siffatto potere sembra difettare nel servizio di negoziazione, sino ad annullarsi del tutto nel servizio di ricezione ordini, in cui comunque il potere di incidere da parte dell‟intermediario nella
126 COSSU, La gestione di portafogli di investimento tra diritto dei contratti e diritto dei mercati finanziari, Milano, 2002, pag. 197 e ss., in cui il “portafogli” viene peraltro definito come “un insieme di valori fungibili, quali sono il denaro e gli strumenti finanziari, rispetto ai quali coesistono un vincolo di indisponibilità del valore del coacervo e una libertà di alienazione delle specie ivi presenti”. L‟A. non sembra dubitare della tipicità di del contratto di gestione, né della sostanziale riconducibilità allo schema del mandato della fattispecie delineata dal TUF.
127 LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in XXXXXXXX E XXXXXX (a cura di), Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e di rappresentanza, Milano, 2007, pag. 44.
scelta dell‟investimento da effettuare, sembra sussistere solo nell‟ipotesi in cui quest‟ultima si riveli potenzialmente pericolosa per l‟interesse del cliente.
Così come la loro riconduzione allo schema di contratto di mandato appare molto riduttiva rispetto alle diverse complessità che caratterizzano i contratti di investimento e, soprattutto, rispetto alle molteplici regole di condotta ed ai numerosi obblighi informativi imposti all‟intermediario della normativa di settore”128.
In primo luogo, la stessa possibilità che l‟intermediario, in obbedienza alla regola che comporta una valutazione preliminare sull‟adeguatezza (ovvero appropriatezza) dell‟operazione finanziaria ordinata, decida di non dare seguito a questa costituisce a ben vedere un ostacolo alla tesi che nega il carattere negoziale dell‟ordine.
In verità, una manifestazione di volontà c‟è ed è inequivocabile: se così non fosse, se allora, come è stato sostenuto da più parti, l‟attività posta in essere a valle del master agreement abbia carattere meramente esecutivo rispetto a quest‟ultimo, dovrebbe affermarsi la tesi consequenziale che 1) l‟ordine impartito sia diretta esplicazione del programma fissato dal contratto “quadro” e dunque siffatta valutazione da parte dell‟intermediario dovrebbe avvenire in quel momento contrattuale; 2) ovvero che l‟intermediario non potrebbe essere ritenuto responsabile delle scelte di investimento comunque decise dal cliente.
Quanto alla considerazione sub 1), è sufficiente prendere visione dei contratti stipulati dagli intermediari bancari più importanti per rendersi conto che è vero
128 INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente, op. cit., pag. 30 e ss.
l‟esatto contrario, ossia che i “contratti di prestazione di servizi di investimento” (così, IntesaSanpaolo s.p.a.) sono redatti indistintamente per tutti i tipi di servizi e per tutti le tipologie di prodotti o di clienti.
Possiedono, dunque, un contenuto fortemente de-personalizzato, composto da moduli e formulari da cui non si può in alcun modo desumere quale servizio, e per quali prodotti, effettivamente il cliente intenderà servirsi dell‟intermediario. Ecco allora che l‟ordine rappresenta il momento saliente dell‟intera disciplina sull‟intermediazione finanziaria: dalla parte del cliente, esso costituisce volontà di avvalersi di quei servizi e a quelle condizioni descritte nel master agreement, per un determinato tipo di prodotto; dalla parte dell‟intermediario, esso segna il momento in cui si cristallizzano le regole di comportamento, dovendo questi formulare un giudizio (implicito od esplicito) circa la conformità del servizio o prodotto richiesto con il profilo di rischio del cliente, in ragione dell‟expertise tipica dell‟attività posta in essere.
Ancora correttamente si afferma, sin dall‟entrata in vigore della l. 1/1991 che la stipulazione del contratto scritto tra intermediario e cliente non dà vita ad alcun obbligo di prestazione129: da un lato quest‟ultimo nasce quando nel rapporto già instauratosi (c. d. “contratto-cornice”) si innesti il rapporto attinente ad una specifica operazione richiesta dal cliente all‟intermediario.
129 XXXXXXXXXX, Il diritto civile nella Legislazione nuova, in Banca borsa, I, 1993, pag. 300 e ss., secondo cui la responsabilità da informazione non veritiera sarebbe una responsabilità di stato, che da luogo ad un particolare tipo di responsabilità contrattuale, diversa dalla responsabilità da inadempimento: si tratterebbe della responsabilità da obbligazione senza prestazione, in forza della quale il soggetto qualificato dal particolare status professionale “è tenuto verso i terzi alla perizia e diligenza previste dall‟art. 1176 c.c., anche se non è obbligato a nessuna prestazione nei confronti di colui che ha chiesto l‟informazione.
Ove se ne voglia una conferma, basterebbe riflettere che dalla stipulazione del contratto scritto può non nascere alcun obbligo di prestazione da parte del cliente, almeno fin quando quest‟ultimo non abbia deciso l‟operazione da richiedere all‟intermediario. Questo esclude pure che un obbligo di prestazione nasca dal contratto scritto in capo all‟intermediario, per la natura sinallagmatica del rapporto posto in essere.
Si rileva inoltre, che il contratto scritto, una volta stipulato, rimane a disciplinare il rapporto tra intermediario e cliente per tutte le successive operazioni attinenti all‟intermediazione: esso instaura così quella che la dottrina tedesca chiama “relazione contrattuale corrente” la quale “non è generata da un contratto foriero di prestazioni ma funge da reticolo di base nel quale si inseriscono i singoli rapporti operativi ogni volta che siano effettivamente voluti dalle parti”130.
Non a caso, peraltro, la dottrina tedesca adopera tale categoria dogmatica con riguardo al “contratto bancario generale”, in cui la banca si obbliga a indicare i servizi che intende offrire e le relative condizioni alle quali si atterrà, mentre il cliente si limita a prendere atto di questi al momento in cui deciderà di compiere una determinata operazione. Pertanto, solo riconoscendone la natura negoziale, l‟ordine può assumere l‟efficacia determinativa dell‟oggetto contrattuale131, fino a tal momento assente a causa dell‟eccessiva genericità del master agreement.
130 Così XXXXXXXXXX, Il diritto civile, op. cit., pag. 310.
131 SCODITTI, Intermediazione finanziaria e formalismo, op. cit. pag. 190, secondo cui “se l‟ordine è impartito per iscritto, per la determinazione dell‟oggetto negoziale può farsi riferimento all‟atto posto successivamente alla conclusione del c.d. contratto quadro. Il rispetto del requisito di forma di cui all‟art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998…, in relazione ad un ordine di borsa che contempli una tipologia di strumento finanziario non prevista dall‟originario contratto intervenuto fra intermediario e cliente, è così garantito dalla forma scritta dell‟ordine”.
Ciò comporta, rispetto alla considerazione sub 2), che è giustamente l‟intermediario ad essere responsabile delle scelte di investimento poste in essere dal cliente, sempreché venga meno ad uno dei suoi doveri di comportamento e che comunque su questi incombe l‟onere della prova liberatoria.
Ciò non significa tuttavia che il modello legale del mandato debba essere respinto in toto.
Infatti, come sovente è stato affermato in giurisprudenza lo schema relativo alla negoziazione di strumenti finanziari, pur se non esaustivamente riconducibile alle figure codicistiche del mandato o della commissione132, trova tuttavia in questi tipi contrattuali forti momenti di analogia che divengono punti di assoluta identità con specifico riguardo agli ordini impartiti dall‟investitore e portati ad esecuzione dall‟intermediario in forza dell‟incarico conferito a monte. Più precisamente, i particolari obblighi imposti normativamente agli intermediari, icasticamente riassunti nella sinergia tra gli obblighi di informarsi, di informare e di non effettuare operazioni non adeguate si sostanziano in regole di condotta sicuramente più stringenti rispetto a quelle dettate dal codice civile in punto ai doveri di correttezza, lealtà e diligenza chiesti al mandatario.
Ad avviso di chi scrive, sebbene il mandato appaia oggi più che mai un tipo contrattuale di complessa applicazione ai rapporti di impresa,133 a causa di un progressivo affinamento dell‟interpretazione giuridica sulle problematiche dell‟agire per conto altrui, non può disconoscersi l‟utilità che offre all‟interprete
132 Cfr., per un‟analisi storica della dottrina, cfr. XXXXXXX X‟XXXXXXXX, I contratti di borsa, op. cit., pag. 281 e ss.
133 Cfr. i rilievi critici espressi da DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, pag. 97 e ss.
nella ricostruzione del fenomeno, specie per quanto attiene al meccanismo delineato dagli artt. 1705 e 1706 c.c. in assenza di un atto di ritrasferimento degli strumenti finanziari eventualmente acquistati dall‟intermediario per conto del cliente.
6. Casistica giurisprudenziale; il difetto di forma del master agreement e degli ordini;
L‟accoglimento, o meno, dell‟una piuttosto che dell‟altra tesi determina non poche conseguenze sul piano applicativo, specie con riferimento all‟esatto rispetto degli obblighi formali imposti dalla legge.
Un primo indirizzo, peraltro minoritario, ha accolto la tesi più “rigorosa”, cui hanno aderito diversi Giudici di merito134, secondo cui “L‟art. 23 d.lgs. n. 58/1998, che prescrive ad substantiam il rispetto della forma scritta per i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, comminando espressamente la sanzione della nullità per il mancato rispetto di tale requisito formale, è applicabile non solo al contratto quadro, bensì anche ai singoli ordini di borsa”.
Secondo la Corte d‟Appello di Venezia135 il requisito della forma scritta ad substantiam è previsto dall‟art. 23 del T.u.f. non solo per il c.d. contratto quadro, in base al quale l‟intermediario si obbliga a prestare il servizio di investimento, ma anche per i contratti di acquisto dei singoli strumenti finanziari, implicitamente accogliendo dunque la tesi negoziale dell‟ordine di borsa.
134 Ex multis, cfr. Trib. Torino 30.05.05 in Giur. it., 2005, pag. 1857.
135 Sent. del 19 novembre 2007, n. 1566, Pres. Xxxxxxx, R. G. 571/2006, inedita, testo integrale disponibile su xxx.xxxxxx.xx.
Così, anche il Trib. di Genova136 ha affermato che “il rispetto della forma scritta è necessario anche per i singoli ordini di borsa e non solo per il mandato di investimento”, con ciò ponendosi sulla scia aperta da Trib. Milano 137.
Tuttavia, la sentenza sostiene che gli obblighi formali di cui all‟art. 30 del Reg. CONSOB n.11522/98 riguardano non solo il “contratto quadro” ma anche i singoli ordini: invero, sia sotto la vigenza della l. 1/1991, sia a seguito dell‟entrata in vigore del T.U.F., la forma scritta a pena di nullità è imposta non solo con riferimento al contratto con cui viene regolato il rapporto, ricondotto al “mandato”, intercorrente tra cliente e Banca per la trasmissione degli ordini di borsa (com‟era da intendersi nell‟originaria previsione dell‟art.6 L. n.1/1991 ), ma anche dei singoli ordini esecutivi del mandato; ciò si ricaverebbe sia dal tenore letterale della nuova normativa, che fa riferimento “ai contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento”(art.23 T.U.F.), sia dalla ratio della normativa posta a tutela dei risparmiatori: è l‟esigenza di assicurare la massima certezza sull‟operato degli intermediari e di salvaguardare la trasparenza nei rapporti con i consumatori. Tali esigenze non potrebbero che riguardare sia i contratti-quadro, sia i singoli ordini138.
136 Sent. n. 2525 del 26 giugno 2006, Pres. Xxxxxxx, X.X. 9093/05, inedita, testo integrale disponibile su xxx.xxxxxx.xx.
137 Sent. del 07.10.04, in Giur. it., 2005, pag. 754.
138 Secondo ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità e risarcimento, op. cit., pag. 626, “si potrà convenire che: la citata norma del Regolamento Consob individua nella previa conclusione di apposito contratto quadro un requisito di legittimazione dell'intermediario a fornire servizi di investimento ai propri clienti; la conclusione col cliente di un contratto per la vendita di titoli (mediante accettazione ed esecuzione del relativo ordine) è, precisamente, fornitura di un servizio di investimento (di negoziazione o raccolta ordini); in mancanza del contratto quadro, la banca non era quindi legittimata (forse può dirsi: era priva di capacità giuridica) ad accettare ed eseguire l'ordine di acquisto del cliente, concludendo con lui il relativo contratto; pertanto, il singolo contratto di acquisto dei titoli in mancanza di contratto quadro è nullo. Ma allora la
Sullo stesso senso, il Tribunale di Lodi139 ha statuito che la disposizione dell‟art. 23 del d.lgs. n. 58/98 che prevede la sanzione della nullità per la violazione della forma dei contratti relativi ai servizi di investimento riguarda tanto i cd. contratti quadro quanto i singoli ordini di negoziazione imparti dai clienti: sarebbero pertanto nulli gli ordini privi della forma scritta qualora questa sia prevista dal contratto.
In alcune pronunce si legge peraltro che l‟art. 23 del T.U.F. ricollegherebbe la sanzione della nullità dell‟ordine non solo al mancato rispetto della forma scritta, ma più in generale alle “forme prescritte” e cioè anche le altre forme previste dal Regolamento CONSOB (id est: ordine telefonico debitamente registrato e ordine on line, purchè conservato negli archivi informatici della Banca) e che si riferiscono espressamente ai singoli ordini di acquisto.
Diversa l‟opinione dell‟Autorità di vigilanza. La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ha recentemente chiarito, con un atto di moral suasion140, che, sulla premessa secondo cui l‟attuale sistema risulta dominato il principio di libertà delle forme, il requisito della forma scritta ad substantiam è espressamente previsto dalla disciplina in materia di servizi di investimento per la conclusione dei contratti – quadro (sic!).
In particolare, secondo la CONSOB, ai sensi dell‟art. 39 della direttiva di secondo livello 2006/73, recante modalità di esecuzione dei paragrafi 1 e 7 dell‟art. 19 della direttiva 2004/39, “gli Stati membri prescrivono all'impresa di investimento
nullità, propriamente, deriva non già da violazione del requisito di forma dell'art. 23 tuf, bensì dal contrasto con la norma imperativa di cui all'art. 30, comma 1 Reg. Consob n. 1 152211998”.
139 Sent. n. 665 del 2 ottobre 2008, Pres. Xxxxxxxx, R.G. 3865/08, inedita, testo integrale disponibile su xxx.xxxxxx.xx.
140 Comunicazione DIN/10047146 del 21 maggio 2010, in xxx.xxxxxx.xx.
che fornisce servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti ad un nuovo cliente al dettaglio per la prima volta dopo la data di applicazione della presente direttiva di concludere un accordo di base scritto, su carta o altro supporto durevole, con il cliente, in cui vengano fissati i diritti e gli obblighi essenziali dell'impresa e del cliente”.
Coerentemente a tale impostazione, la normativa italiana adottata in recepimento della MiFID non prevede alcun requisito formale per la disposizione di ordini, ma si limita a stabilire che il contratto, ai sensi della lett. c) del comma 2 dell‟art. 37 del Regolamento CONSOB n. 16190/2007, “indica le modalità attraverso cui il cliente può impartire ordini e istruzioni”.
Così, risulterebbe la piena conformità alla normativa di riferimento non solo di un ordine impartito telefonicamente141, ma anche di un ordine inoltrato elettronicamente.
Con particolare riguardo al conferimento in via elettronica dei singoli ordini di compravendita, L‟Autorità rileva che pur non essendo imposti dalla normativa di settore particolari e specifici metodi di identificazione informatica, l‟intermediario dovrà apprestare meccanismi comunque idonei a garantire la corretta riconducibilità delle singole disposizioni ai clienti142.
141 Come già espressamente evidenziato nella Comunicazione n. DIN/5055217 del 3 agosto 2005, in xxx.xxxxxx.xx.
142 In sostanza, il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, come già prima il d. lgs. n. 415/1996, pur prescrivendo a pena di nullità la forma scritta per i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento (contratti-quadro), nessuna forma vincolata prevede per l‟ordine di acquisto (Trib. Roma 31 marzo 2005, in Foro it., 2005, I, 2538). sembra chiaro, quindi, che viene lasciata alle parti contraenti la libertà di individuare le modalità con cui il cliente deve impartire gli ordini. Questo pensiero è, di fatti, fatto proprio dall‟orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di merito. In alcune pronunce, tale disposizione, che rimette all‟autonomia delle parti la libertà di stabilire la forma per i singoli ordini di acquisto, avrebbe significato fintanto che la forma scritta per i singoli ordini non sia prevista dalla legge ad