Andrea Rapacciuolo – Responsabile Vigilanza Ordinaria della Direzione Interregionale del Lavoro di Milano
Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti: la principale forma di impiego a discapito dell’apprendistato e del contratto a tempo determinato.
Xxxxxx Xxxxxxxxxxx – Responsabile Vigilanza Ordinaria della Direzione Interregionale del Lavoro di Milano
Ai sensi della circolare del 18 Marzo 2004 del Ministro del Lavoro si precisa che le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione.
Il decreto legislativo (delegato dalla legge n.183/2014) n. 23 del 4 marzo 2015 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 6 marzo ed è entrato in vigore il giorno seguente.
Evidentemente era questo il decreto più atteso perché delinea la disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nella sua nuova versione “a tutele crescenti”.
Oltremodo chiara è la scelta del legislatore: fare del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (a tutele crescenti) la forma di impiego prevalente nel mercato del lavoro attuale. Come? Incentivandolo !!!
Ma una prima domanda si pone alla nostra attenzione: sarà questa la strada giusta per creare nuova occupazione?
Non è, ovviamente, semplice rispondere a questa domanda tenendo conto del contesto attuale in cui l’economia italiana non da segnali di “risveglio” ed i livelli occupazionali sono fermi: da più parti si prevede che, per ora, la nuova disciplina del contratto a tempo indeterminato si limiterà alla stabilizzazione di un buon numero di lavoratori “precari”.
Ed infatti i primi dati ufficiali sono in questo senso: il Presidente dell’INPS a metà marzo, ha fornito il primo dato relativo al numero di imprese che hanno fatto richiesta del bonus per l’assunzione a tempo indeterminato (non è precisato se per uno o più lavoratori): 76.000 sono i datori di lavoro che fra il 1° ed il 20 febbraio ne hanno fatto richiesta.
Una conferma è poi arrivata dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro: " Nei primi due mesi del 2015 le persone assunte a tempo indeterminato con gli sgravi contributivi previsti dalla legge di stabilità sono state 275.000.
Nell'80% dei casi si è trattato di una stabilizzazione di un precedente rapporto di lavoro precario mentre un altro 20% riguarda nuove assunzioni e dunque incrementi occupazionali".
A seguire i dati forniti dal Ministro del Lavoro, Xxxxxxxx Xxxxxxx: nei primi due mesi del 2015 sono stati attivati
79.000 contratti a tempo indeterminato in più rispetto ai primi due mesi del 2014. Xxxxxxx ha spiegato che a gennaio 2015 i contratti a tempo indeterminato sono stati il 32,5% in più rispetto a gennaio 2014 (per i giovani tra i 15 ed i 29 anni la variazione è pari a +43,1%) mentre a febbraio l'aumento percentuale è stato del 38,5% (per i giovani è arrivato al 41,4%). Il Ministro ha aggiunto, riferendosi alla possiblità che si tratti di “nuovi posti di lavoro” bensì di “stabilizzazioni” che "l'orientamento a stabilizzare i rapporti di lavoro è un dato assolutamente positivo".
I dati ‐ spiega un report del ministero del Lavoro ‐ sono da leggere anche in relazione ai forti incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato introdotti con la legge di stabilità 2015, con la decontribuzione triennale più lo sgravio permanente dell'Irap per i datori di lavoro.
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I vantaggi “proposti” a imprenditori e professionisti per “incentivare” oltremodo il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato possono essere distinti in due tipologie: una di tipo economico ed una di tipo normativo.
Vantaggi di tipo economico:
1. esonero contributivo ai sensi della legge di stabilità 2015, art. 1 commi 118 e 119;
2. possibilità di “sottrarre” dalla base di calcolo per l’IRAP (per intero) le spese sostenute per il costo del lavoro, ai sensi dei commi 20 e segg. dell’art. 1 della legge di stabilità 2015.
Vantaggi di tipo normativo:
3. una maggiore flessibilità (per ora solo nella legge di delega) della normativa in materia di controllo sull’attività lavorativa e di demansionamento;
4. una flessibilità “agevolata” in uscita, dove la regola è oggi l’indennizzabilità del licenziamento illegittimo con corresponsione di un’indennità di entità certa e crescente con l'anzianità di servizio.
Prima di esaminare “gli incentivi all’assunzione
a tempo indeterminato”, fermiamoci a riflettere sulle tipologie contrattuali che saranno le “vittime” del nuovo sistema incentrato sul contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato …
A) Innanzitutto, le collaborazioni che
costituiscono la c.d. parasubordinazione.
Per motivi di ordine economico:
• perché i committenti non godono né dell’esonero contributivo né tantomeno dell’agevolazione fiscale previsti dalla legge di stabilità 2015;
per motivi di ordine normativo:
• perché la maggiore flessibilità in uscita “avvicina” parecchio i nuovi assunti a tempo indeterminato ai collaboratori sotto il punto di vista della “recedibilità” datoriale ed elimina i “rischi” di una ri‐ qualificazione del rapporto di lavoro.
B) I contratti di apprendistato (non per tutti i
datori di lavoro però ...).
Per motivi di ordine economico:
• perché chi assume apprendisti gode solo dell’agevolazione fiscale sull’IRAP ma non può godere dell’esonero contributivo che risulta superiore rispetto ai vantaggi propri dell’apprendistato;
per motivi di ordine normativo:
• perché l’onere formativo rappresenta un forte “costo” (non tanto in termini monetari quanto di gestione del rapporto) per le imprese;
• perché la disciplina regionale (disomogenea e distonica rispetto a quella nazionale) non offre adeguate garanzie di chiarezza applicativa, esponendo anche al rischio di ri‐qualificazioni (ed al carico sanzionatorio conseguente).
C) I contratti di lavoro subordinato a
tempo determinato.
Per motivi di ordine economico:
• perché i datori di lavoro di t.d. non godono né dell’esonero contributivo né tantomeno dell’agevolazione fiscale previsti dalla legge di stabilità 2015;
per motivi di ordine normativo:
• perché la minore flessibilità in uscita “svantaggia” oltremodo chi assume a tempo determinato rispetto a chi assume a tempo indeterminato;
• perché resta il limite percentuale numerico e quindi il “rischio” di una pesante sanzione amministrativa in caso di superamento delle percentuali poste dalla legge o dai contratti collettivi.
Vediamo ora nel dettaglio come opera il “bonus previdenziale” proposti a chi assume a tempo indeterminato dal 1° al 31 gennaio 2015.
Poi esamineremo la disciplina delle tutele crescenti.
Esonero contributivo
Il 29 gennaio xxxxxx xx xxxxxxxxx x. 00 dell’INPS ha fornito i primi chiarimenti sulle modalità di fruizione dell’esonero contributivo (triennale) previsto dai commi 118 e 119 dell’art. 1 della legge n.190/2014 (c.d. legge di stabilità 2015).
L’esonero si applica a tutte le assunzioni, operate dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
L’esonero contributivo è pari ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con eccezione dei premi e contributi INAIL (e di altre due tipologie di contributo, se previsto – quello di cui alla legge 92/2012 ed alla legge 296/2006).
Il primo fondamentale chiarimento è che si tratta di un intervento generalizzato a favore di tutti i datori di lavoro: l’esonero non si presenta come un aiuto di Stato (secondo la disciplina comunitaria contenuta in particolare agli articoli 107 e 108 del Trattato UE) in quanto in esso non è assolutamente rinvenibile un criterio di selettività (ne deriva, ad esempio, che non si applicano i limiti in materia di importo massimo fruibile previsti dai Regolamenti UE n. 1407/2013 e n. 1408/2013 sul regime “de minimis” così come non risulta necessario il requisito dell’incremento netto dell’occupazione rispetto alla media della forza lavoro occupata nell’anno precedente, come previsto dal Regolamento UE n. 651/2014).
L’esonero di applica a tutti i datori di lavoro privati (non si applica alla pubblica amministrazione) imprenditori e non imprenditori (ad es. studi professionali), anche ai datori di lavoro agricoli per assunzione di dirigenti quadri ed impiegati e, con specifiche modalità, anche per l’assunzione di operai.
Restano esclusi i contratti di apprendistato e di lavoro domestico; è escluso altresì il lavoro intermittente.
Rientrano nelle tipologie incentivate invece il lavoro ripartito (purché le condizioni siano possedute da entrambi i lavoratori coobbligati), le assunzioni di dirigenti, i rapporti di lavoro subordinato instaurati in attuazione del vincolo associativo cooperativistico e le assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato a scopo di somministrazione.
Presupposto fondamentale dell’esonero è la creazione di nuova occupazione a tempo indeterminato e quindi l’esonero è attribuito a prescindere dalla circostanza che le nuove assunzioni costituiscano attuazione di un obbligo di legge (ad es. assunzioni disabili, assunzioni di lavoratori “con precedenza”) o di un CCNL.
In particolare l’esonero è previsto nei casi di conversione di un rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato o per la trasformazione di un contratto a progetto o di un’associazione in partecipazione.
Importante sottolineare che vale anche per i datori di lavoro acquirenti o affittuari di aziende o di ramo aziendale ma solo per quei lavoratori che non sono passati alle loro dipendenze nel corso della procedura.
Unico limite: l’esonero non si applica nel caso di lavoratori che negli ultimi sei mesi sono stati titolari di un rapporto a tempo indeterminato o che sono stati in forza nei tre mesi antecedenti il 1° gennaio 2015, sempre a tempo indeterminato, al datore di lavoro richiedente ovvero ad aziende collegate o controllate o anche correlate da rapporti interpersonali con l’azienda che assume. Non spetta inoltre per i lavoratori per i quali lo stesso datore di lavoro abbia usufruito già dell’esonero.
L’esonero è subordinato al rispetto dei principi prescritti dalla legge n. 92/12. Le assunzioni cioè:
• non devono violare il diritto di precedenza;
• non devono avvenire in imprese interessate da sospensioni di lavoro (CIGS E CIGD) fatta eccezione per professionalità diverse e/o per unità produttive diverse;
• non devono riguardare lavoratori licenziati nei 6 mesi precedenti dallo stesso datore di lavoro o da datore collegato o controllato;
• non devono riguardare lavoratori il cui UNILAV sia stato inviato in ritardo (la perdita dell’esonero vale solo per il periodo di ritardo).
L’esonero è subordinato altresì (legge n.296/2006):
• al rispetto degli obblighi di contribuzione previdenziale ed all’assenza di violazioni afferenti norme poste a tutela del lavoro (gli obblighi del DURC);
• al rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti.
L’esonero è cumulabile con i seguenti incentivi:
• incentivo per assunzione lavoratori disabili;
• incentivo per assunzione di giovani genitori;
• incentivo per assunzione di beneficiari Aspi;
• incentivo di cui al programma “Garanzia giovani”;
• incentivo per l’assunzione di giovani lavoratori agricoli.
Particolari calcoli vanno effettuati per la cumulabilità dell’esonero con gli sgravi per l’assunzione di giovani entro 29 anni e di lavoratori iscritti in liste di mobilità.
A partire dal 1° gennaio 2015 cessa di vivere l’art. 8, comma 9, della legge n 407/1990, che però continuerà ad applicarsi ai rapporti instaurati entro il 31 dicembre 2014. Viene così cancellata un’agevolazione assai rilevante che ha consentito l’assunzione a tempo indeterminato dei disoccupati da oltre ventiquattro mesi (tra cui, ovviamente, molti giovani) o di lavoratori in CIGS da un uguale periodo (incentivi di natura contributiva per trentasei mesi, pari al 50% per le imprese del Centro – Nord e del 100% per quelle del Mezzogiorno e per le imprese artigiane).
E’ stato espressamente previsto l’adeguamento in diminuzione della misura dell’esonero (8.060 euro) per i lavoratori part‐time sulla base dello specifico orario di lavoro ridotto.
Flessibilità nella fase di recesso datoriale
La vera novità è l’introduzione delle cosiddette “tutele crescenti” in caso di recesso datoriale dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato: per gli assunti dal 7 marzo (ad eccezione dei dirigenti e degli autoferrotranvieri), in caso di illegittima risoluzione disposta dal datore, non si applica più né la disciplina dettata dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (c.d. “tutela reale”) né quella di cui all’art. 8 della legge n.604/1966 (c.d. “tutela obbligatoria“).
La nuova normativa si applicherà a tutte le assunzioni a tempo indeterminato
effettuate a decorrere dal 7 marzo, mentre per gli assunti in data antecedente continueranno ad applicarsi le disposizioni dell’art. 18 ovvero della legge n.604/66, a seconda che il datore di lavoro occupi più o meno di quindici dipendenti.
In tal senso la nuova disciplina va ad affiancarsi
alla vigente ma, in realtà, l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori diventa “norma ad esaurimento”: a regime, si applicherà il sistema delle tutele crescenti a tutti i lavoratori.
Nel sistema a tutele crescenti la tutela del lavoratore illegittimamente licenziato si sposta dal “posto di lavoro” al “mercato del lavoro”: si tutela il lavoratore non tanto “conservando un rapporto di lavoro ormai logoro” quanto con un sostegno davvero efficace nel mercato del lavoro affinché il lavoratore possa – utilmente e velocemente – trovare nuova occupazione (in tal senso la nuova disciplina dell’ASPI (la NASPI), dell’ASDI e del contratto di ricollocazione.
Il legislatore delegato precisa poi che le nuove norme si applicano a tutti i dipendenti, anche se assunti in epoca antecedente, di quelle imprese che dovessero superare il requisito dimensionale previsto dall’art. 18 in conseguenza delle assunzioni effettuate dal datore in epoca successiva all’entrata in vigore del decreto (seppur logica e condivisibile nella finalità, di certo la previsione è di dubbia legittimità costituzionale per eccesso di delega).
E’ importante la precisazione successiva, inserita nella versione definitiva del decreto: la nuova disciplina è applicabile non soltanto alle assunzioni operate direttamente dall’origine a tempo indeterminato, ma anche alle ipotesi in cui l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dovesse essere dichiarata giudizialmente nel caso di conversione di un contratto di lavoro a tempo determinato o di apprendistato (questa previsione sull’apprendistato è oltremodo censurabile costituzionalmente, per eccesso di delega).
I casi eccezionali e tassativi di reintegrazione nel posto di lavoro sono cinque:
1. licenziamento discriminatorio;
2. licenziamento intimato in forma orale;
3. licenziamento nullo;
4. licenziamento per inidoneità alla mansione;
5. licenziamento disciplinare, solo se si prova che il fatto materiale non sussiste.
In questi casi la tutela reale è indipendente dal requisito dimensionale dell’impresa ed è identica a quella finora apprestata dall’art. 18, vale a dire: reintegrazione nel posto di lavoro o, a scelta del lavoratore, indennità sostitutiva PIU’ risarcimento del danno, commisurato all’ultima retribuzione utile per il TFR (con un massimo di 12 mensilità nel caso del licenziamento disciplinare) dedotto quanto percepito (e quanto avrebbe potuto percepire, nel caso del licenziamento disciplinare) in altra attività lavorativa (senza alcuna sanzione per omissione contributiva).
Le definizioni e le casistiche dei licenziamenti per cui si appresta la tutela reale sono quelle ormai acquisite nel mondo degli operatori del diritto del lavoro:
1. licenziamento per motivi di natura politica, razziale, di lingua, sesso, handicap, età, orientamento sessuale e convinzioni personali (art.15 Statuto dei lavoratori);
2. licenziamento carente della forma scritta;
3. licenziamento a causa del matrimonio o nell’anno dal matrimonio, della lavoratrice madre dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per malattia del bambino da parte del genitore, e soprattutto, vista la giurisprudenza della Cassazione in merito all’art. 1345 c.c., anche licenziamento per ritorsione o rappresaglia;
4. licenziamento di cui il giudice accerti il difetto di giustificazione in relazione al motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore;
5. licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo nel quale si accerti giudizialmente che il fatto materiale non sussiste (N.B. per le imprese fino a 15 dipendenti non si applica mai la tutela reale in caso di licenziamento disciplinare).
A tal ultimo proposito, non si può non citare la
sentenza della Corte di Cassazione n. 23669 del
6 novembre 2014 nella quale si afferma un rilevante principio di diritto ripreso nel decreto delegato in esame: solo un giudizio di insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (non un giudizio di proporzionalità) può sfociare nell’applicazione della tutela reale.
Va sottolineato che resta fuori dalla tutela
reale il giudizio sulla proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione espulsiva adottata, con conseguenze davvero “forti” …
… pensiamo ad un licenziamento intimato per due minuti di ritardo !!! Nella nuova disciplina la tutela sarebbe solo risarcitoria …
Contro questo effetto paradossale della nuova disciplina vanno considerate però ragioni di razionalità e di giustizia che derivano dalla nostra Costituzione.
Saranno gli interpreti giudiziari a superare le conseguenze più aberranti (giuridicamente) della nuova disciplina ed a riportare all’interno della tutela reintegratoria fattispecie quali l’irrilevanza in iure del fatto, la carenza dell’elemento soggettivo, il fatto scriminato o soggetto a forza maggiore.
Ne consegue un importante indirizzo per il
professionista che assiste il datore di lavoro in fase di contestazione di provvedimento di tipo espulsivo: la contestazione deve avere una solida base probatoria relativamente alle circostanze precise del fatto illecito.
Orbene, fatti salvi i 5 casi eccezionali di cui sopra, la regola in caso di licenziamento illegittimo (sia per giustificato motivo soggettivo o oggettivo o per giusta causa) è l’applicazione della tutela risarcitoria: il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna al pagamento di un’indennità (non soggetta a contribuzione) pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio in una misura compresa tra 4 e 24 mensilità.
Con riguardo all’individuazione degli elementi rientranti nella retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR la Cassazione ha chiarito, in merito all’art. 2120 c.c., quali siano le voci da escludere dal computo del TFR. Si tratta di quelle collegate a ragioni del tutto imprevedibili, accidentali e fortuite rispetto al normale svolgimento dell’attività lavorativa, quali ad esempio il lavoro straordinario occasionale e non continuativo, l’indennità di trasferta, l’indennità di viaggio stabilita in ragione chilometrica secondo tariffe Aci, il rimborso spese ivi compreso quello a piè di lista (N.B: l’individuazione dei suddetti elementi retributivi è derogabile in peius dai CCNL).
Nei casi di licenziamento viziato
esclusivamente nella forma – art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966 – ovvero nella procedura – art. 7 dello Statuto dei lavoratori
– si applica una tutela risarcitoria “attenuata” consistente in un’indennità, non assoggettata a contribuzione, di importo pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il TFR per ogni anno di servizio, in misura compresa tra 2 e 12 mensilità.
Nei casi di licenziamento illegittimo irrogato da imprese fino a 15 dipendenti, si applica la tutela risarcitoria “ridotta” con importo ridotto della metà e, in ogni caso, non superiore a sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il TFR.
La disciplina delle tutele crescenti si applica anche nel caso di licenziamenti collettivi disciplinati dalle legge n. 223/1991 (più di 5 lavoratori licenziati nell’arco di almeno 120 giorni): solo nel caso di assenza di forma scritta ‐ e di licenziamento discriminatorio
‐ si applica la tutela reale (N.B. è prevista la sola tutela risarcitoria nel caso del mancato rispetto dei criteri di scelta).
Di assoluta importanza l’istituto introdotto dall’art. 6 del decreto legislativo delegato: il datore di lavoro che ha intimato il licenziamento ad un lavoratore assunto successivamente all’entrata in vigore del decreto ha la possibilità di convocare il lavoratore in una delle sedi “assistite” per offrire entro il termine previsto per l’impugnazione del licenziamento un importo, non soggetto a contribuzione né ad imposizione fiscale, commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il TFR, pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque compresa tra 2 e 18 mensilità.
Se le parti vogliono godere dei benefici previsti dall’art. 6 devono rispettare le condizioni stabilite dal decreto:
• il luogo della conciliazione = solo le c.d. sedi assistite;
• il tempo della proposta = 60 gg. dal licenziamento;
• l’entità dell’importo offerto (una mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 2 ed un massimo di 18);
• le modalità del pagamento = assegno circolare consegnato al momento della conciliazione;
• il titolo della transazione = rinunzia all’impugnazione del licenziamento.
Importante chiarimento, inserito nella versione finale del decreto, è stato quello relativo al fatto che la transazione può avere ad oggetto, oltre alla rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche altre doglianze inerenti il rapporto di lavoro. Questa soluzione favorisce il processo di conciliazione. Ne deriva che l’esenzione fiscale e contributiva si applica solo alle somme che sono corrisposte a titolo di rinunzia alla impugnazione del licenziamento, fermo restando l’ordinario regime fiscale per le ulteriori somme (non soggette ad onere contributivo) corrisposte in riferimento alle altre pendenze “transate” (corrisposte a mezzo bonifico bancario per evitare frodi fiscali).
Nell’ambito del monitoraggio del mercato del lavoro di cui alla legge n.92/2012, il legislatore delegato ha scelto di introdurre una seconda comunicazione relativa alla cessazione del rapporto: oltre la prima, quella ordinaria entro il termine di 5 giorni dalla fine del rapporto, se ne aggiunge una seconda, entro 65 giorni dalla stessa cessazione, al solo fine di monitorare gli esiti dell’offerta di conciliazione.
Importante sottolineare che ai licenziamenti disciplinati dalla nuova normativa non si applica il rito processuale della “riforma Fornero” e neanche il tentativo obbligatorio di conciliazione davanti alla DTL competente per territorio.
E per chiudere un argomento su cui riflettere: cosa ne sarà della spinosa questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza relativamente alla decorrenza della prescrizione dei crediti dei lavoratori in costanza di rapporto di lavoro?