Sopravvenienze e usura
Sopravvenienze e usura
SOMMARIO: 1. Il caso (esempio); 2. Considerazioni preliminari: l’usura, quadro normativo di riferimento; 3. Squilibri sopravvenuti: l’inadeguatezza del modello risolutorio e l’obbligo di rinegoziare; 4. La rinegoziazione come possibile soluzione al problema dell’usura sopravvenuta.
1. Il caso (esempio)
Xxxxx stipulava con l’istituto di credito Alfa un contratto di mutuo trentennale al tasso fisso del 7%, rispettoso, all’epoca della conclusione dell’accordo, del limite massimo legalmente stabilito per il tipo di operazione eseguita (Xxxxx xxxxxx xxxxx). Trascorsi diversi anni dalla sottoscrizione del contratto ed a seguito dell’abbassamento dei tassi medi di mercato, il tasso fisso stabilito nel contratto di mutuo tra Xxxxx ed Alfa, diveniva superiore rispetto al Tasso soglia di usura.
A seguito del mutamento di detta circostanza Xxxxx dovrà ritenersi ancora vincolato alla pattuizione originaria o avrà ragione di pretendere l’adeguamento del paradigma contrattuale alla nuova realtà di fatto?
2. Considerazioni preliminari: l’usura, quadro normativo di riferimento.
L’usura è un fenomeno giuridico particolarmente complesso nel suo manifestarsi nel mondo materiale poiché, data la intrinseca gravità dalla quale è connotato, coinvolge simmetricamente tanto aspetti di natura penalistica quanto civilistica.
Il parametro civilistico di riferimento è dato dall’art. 1815, II co. c.c. così come modificato dalla legge 108/96, che disponendo: “se sono dovuti interessi usurai, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” sanziona con la conversione del mutuo da oneroso a gratuito, i mutuanti che abbiano inteso formulare un regolamento contrattuale fortemente squilibrato a danno della parte mutuataria.
A confermare il particolare disvalore cui è carica una pattuizione violativa del divieto di convenire interessi superiori rispetto ad una determinata soglia (tassi soglia usura1), è il suo inscindibile collegamento con l’art. 644 c.p. che, oltre a sanzionare penalmente la condotta dell’usuraio, fornisce il contenuto definitorio di quelli che vengono indicati come “interessi usurai”. Infatti, per definire il carattere usuraio di un interesse non può che farsi riferimento a quella fattispecie penale che sanziona gravemente il reato di usura.
Vi è da precisare che le modifiche introdotte, tanto in ambito civile quanto in quello penale dalla legge 108/96, non mirano più a sanzionare la condotta di approfittamento di una parte sull’altra, quanto il macroscopico squilibrio2 contrattuale derivante dallo sbilanciamento tra le
1 La rilevazione del tasso soglia avviene mediante un procedimento disciplinato dall’art. 2 della legge 108/96, come modificato dal d.l. 70/2011, secondo cui, ogni tre mesi il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, rileva il TEGM (Tasso effettivo globale medio), rispetto ad esso la soglia di usura viene calcolata aumentandolo di un quarto, cui si aggiunge un ulteriore margine di quattro punti percentuali.
2 Si precisa che le novità legislative introdotte dalla legge 108/96, piuttosto che escludere la rilevanza dello stato di bisogno (difficoltà economica) del prenditore del danaro, hanno ampliato l’ordine di tutela di quest’ultimo, prevendendo che la reazione sanzionatrice dell’ordinamento operi sia nelle ipotesi in cui lo squilibrio contrattuale sia di tipo puramente quantitativo, quando cioè il tasso nominale convenuto sia superiore al tasso soglia di usura, sia quando lo squilibrio derivi da fattori qualitativi, si tratta delle eventualità entro le quali il tasso convenuto non risulta
rispettive prestazioni valutato secondo le leggi del mercato (in particolare attraverso la comparazione dei tassi convenuti rispetto al c.d. tasso soglia usura del periodo trimestrale di riferimento).
Il passaggio in questione è fondamentale per la piena comprensione del fenomeno e dei problemi ad esso connessi, infatti, se prima dell’entrata in vigore della citata legge, il disvalore giuridico era ancorato ad uno stato soggettivo della parte debole del rapporto, ad oggi la fattispecie si realizza a prescindere da esso e si concretizza sostanzialmente in un ingiustificato squilibrio contrattuale che trova particolare e forte tutela.
Il disvalore del fatto è quindi incentrato sul sinallagma contrattuale e la norma incriminatrice funge da parametro di legalità del contratto. Ne segue che quando il mutuante per il tramite di una pattuizione contrattuale si sia fatto dare o promettere in corrispettivo di una somma di danaro o altra utilità, interessi o altri vantaggi usurai, viene ad essere civilmente sanzionato con la nullità della clausola contrattuale incriminata e la conseguente gratuità della sua prestazione. Si tratta per l’appunto di una nullità parziale che, in quanto tale, non inficia l’esistenza del rapporto, ma, proprio per la sua funzione sanzionatrice, produce una sostanziale conversione della sua disciplina a danno della parte che, secondo il regolamento ab origine predisposto, avrebbe tratto il vantaggio usuraio3.
Una precisazione è d’obbligo: si discorre di sanzione poiché al verificarsi della fattispecie l’ordinamento non risponde equilibrando il sinallagma, ma producendo un nuovo squilibrio non rispondente alla volontà e agli interessi delle parti (meglio: del mutuante), ma giuridicamente giustificato dal disvalore di cui era carico l’accordo precedente. Infatti, la conversione autoritativa del mutuo da oneroso a gratuito neutralizza completamente l’utilità che il mutuante avrebbe dovuto attrarre al proprio patrimonio tramite l’effettuazione della propria prestazione, non potendo più egli pretendere la controprestazione dell’obbligato se non nei limiti della sola restituzione di quanto versatogli a titolo di capitale. Si tratta di una delle più stringenti compressioni dell’autonomia privata presenti nel nostro ordinamento, infatti, la conversione autoritativa del contratto da oneroso a gratuito, imponendo alle parti che il loro regolamento di interessi prosegua secondo un tipo legale diverso rispetto a quello voluto e pattuito, non gli permette neppure di riportare lo stesso a condizioni di equità tali da rendere da un lato sostenibile per il debitore il sacrificio economico cui comunque sapeva doversi obbligare, e dall’altro fruttifera per il creditore la circostanza che egli si fosse privato della materiale disponibilità della somma di danaro mutuata.
Il quadro giuridico di riferimento è poi stato arricchito da una legge di interpretazione autentica, che ha avuto il compito di perimetrare l’ambito di applicazione del combinato disposto tra gli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., al solo momento della stipula del contratto, nonché da una pronuncia della Corte Costituzionale che, oltre a ritenere conforme al principio di ragionevolezza l’interpretazione erogata dal legislatore, ha suggerito, in riferimento all’alterazione in eccesso del tasso convenuto rispetto al tasso soglia di usura successiva alla conclusione del contratto e dunque non
superiore alla soglia trimestralmente rilevata, ma lo stesso è frutto di un approfittamento delle condizioni di difficoltà economica di colui che promette la dazione degli interessi. In quest’ultimo caso al fine di apprezzare l’alterazione del sinallagma negoziale, il parametro di riferimento, non è evidentemente il tasso soglia di usura (che sarebbe rispettato), ma è dato dal tasso medio praticato per le operazioni similari (x. Xxxx. sez. III, 12 settembre 2014, n. 19282).
3 Anche su questo punto si noti che la disciplina è stata fortemente inasprita, infatti, prima delle modifiche apportate dalla legge 108/96, l’art. 1815, II co. prevedeva che all’accertata previsione contrattuale di interessi usurai, gli stessi sarebbero stati ridotti alla misura legale, soluzione questa che, contrariamente a quella adottata successivamente ed oggi in vigore, ristabiliva la perfetta armonia tra le reciproche prestazioni, riportando il contratto ad una dimensione ritenuta oggettivamente equa, senza modificare il tipo negoziale voluto dai contraenti.
corrispondente ad una manifestazione di volontà delle parti, l’utilizzo, a tutela del mutuatario, degli ulteriori strumenti civilistici secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali.
3. Squilibri sopravvenuti: l’inadeguatezza del modello risolutorio e l’obbligo di rinegoziare.
Delineato il quadro di riferimento entro il quale si sviluppa la disciplina sanzionatrice del fenomeno usuraio, si comprende, anche alla luce dell’ultimo arresto delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione4, che nel caso esaminando si è al di fuori del meccanismo precipuamente individuato per la lotta all’usura; invero il disvalore cui è carica una pattuizione usuraia deve dirsi estraneo alla circostanza in cui il superamento del limine dell’usura si manifesta in corso di esecuzione del rapporto, posto che né dipende, né è connesso in alcun modo con la volontà delle parti.
Può allora rimodellarsi il problema conoscitivo nei seguenti termini: l’usura sopravvenuta è un fenomeno che nulla ha a che vedere con la disciplina dell’usura vera e propria, ed infatti, essa non rileva in termini né di violazione della norma penalistica, né di un principio ricavabile dalla disciplina rigorosamente dettata sul tema, viceversa, non rappresenta altro che uno squilibrio economico sopravvenuto, che in quanto tale esige di essere valutato alla luce dell’intero sistema.
Ciò posto, il campo di indagine prediletto pare dover essere quello strettamente connesso alla gestione delle sopravvenienze5 contrattuali in quanto la categoria cui appartengono i generi contrattuali in questione, e sui quali il problema in esame si innesta, è quella dei contratti di durata, nei quali i rapporti pattizi sono distesi in un ampio lasso temporale.
Proprio quest’ultima circostanza pone il paradigma contrattuale dinnanzi al rischio che avvenimenti successivi ed indipendenti rispetto a quanto dalle parti convenuto, oggettivamente verificabili, possano modificare lo stato di fatto originariamente preso in considerazione dai contraenti, incidendo significativamente sulla proporzionalità dello scambio6.
In questi casi il problema che si pone è quello di stabilire se il contratto debba continuare ad essere adempiuto secondo la sua originaria formulazione nonostante lo scostamento dalla realtà di fatto, oppure possa essere risolto o ancora possa essere revisionato e adattato alle nuove circostanze.
4 “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.” Così Xxxx. SS. UU. 24675/2017.
5 A dare conforto a questa impostazione del problema si pone anche il già citato intervento legislativo volto, in occasione della eccezionale caduta dei tassi di interesse in Europa ed in Italia, alla sostituzione del tasso contrattuale con quello più basso dalla stessa legge individuato. L’intervento modificativo predisposto dalla legge non ha fatto altro che tutelare l’armonioso prosieguo della vita del negozio, attraverso una azione di manutenzione dei contratti in essere volta a riportare il corretto ed equo equilibrio tra le prestazioni.
6 «i rischi di un mutamento delle circostanze tali da creare una divaricazione tra il regolamento contrattuale per definizione statico ed immutabile e la realtà in continua evoluzione saranno naturalmente tanto maggiori quanto più lungo è l’intervallo di tempo che intercorre tra il momento della conclusione e quello della esecuzione. I contratti maggiormente a rischio sono quelli di durata, insuscettibili di esecuzione istantanea, destinati a svolgersi nel tempo per un tempo più o meno lungo, in alcuni casi anche decenni» v. X. XXXXX, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p.4
Al fine di dare risposta al quesito è necessario preliminarmente comprendere quale rilevanza avrà la sopravvenienza sulla sorte del paradigma contrattuale, le ipotesi possono essere raggruppate in tre macroaree:
1. Essere inidonee ad incidere sensibilmente sul vincolo e dunque mantenerlo inalterato;
2. Sciogliere il vincolo contrattuale;
3. Giustificare un adeguamento del contratto alla nuova realtà di fatto.
Nella prima delle ipotesi si è difronte ad una circostanza sì sopravvenuta e non preventivata, ma che, rientrando nell’alea normale del rischio assunto dalle parti che connota ogni operazione negoziale, non è atta ad assurgere a fattore squilibrante il rapporto sicché, seppure materialmente esistente, non sarà in grado di condurre né alla modifica né alla caducazione del contratto, rimanendo così indifferente per il prosieguo del programma negoziale.
Per ciò che concerne invece le sopravvenienze idonee a generare uno squilibrio prestazionale, innanzitutto a porre rimedio alla questione potrebbero essere gli stessi contraenti in via convenzionale, ad es. prevendendo già in sede di conclusione del contratto quelle che comunemente vengono definite clausole di salvaguardia, le quali possono comportare l’adeguamento automatico del contratto mediante il collegamento a parametri di rivalutazione oppure imporre alle parti il dovere di modificare il regolamento pattizio7 ecc.
In mancanza del rimedio convenzionale l’attenzione deve spostarsi all’interno dell’apparato normativo, a tal proposito, la disciplina codicistica a riguardo non è del tutto esauriente, posto che, a parte alcune norme di settore dettate specificatamente per alcuni tipi contrattuali e aventi il pregio di positivizzare meccanismi di manutenzione del rapporto (v. ad es. art. 1664 in tema di appalto), gli indici normativi di riferimento per la tutela dalle sopravvenienze nel nostro sistema (escludendo, ai fini di questa breve trattazione, la risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione), sono dati dagli artt. 1467 e 1468 c.c. dei quali il primo, dettato per le operazioni contrattuali a carattere corrispettivo, prevede la possibilità per il contraente svantaggiato dalla sopravvenienza imprevedibile e straordinaria di richiedere la risoluzione del contratto, mentre il secondo, dettato per i contratti con prestazioni a carico di una sola parte, prevede la possibilità per il contraente svantaggiato dalla medesima di richiedere la riduzione ad equità della propria prestazione.
L’inadeguatezza della soluzione generale si coglie con riguardo alla rigidità espressa dall’art. 1467 c.c. e dai suoi requisiti applicativi (straordinarietà ed eccezionalità dell’evento perturbante); nonché, come fatto notare da alcuni studiosi8, con riferimento a quei particolari rapporti in cui la parte colpita dalla sopravvenienza tipica (cioè quella che rispecchia i requisiti dell’art. 1467c.c.), seppure interessata alla prosecuzione del rapporto, avrebbe solo da richiedere la risoluzione ex art. 1467, ma la soluzione offerta dalla norma rappresenterebbe un male peggiore della prosecuzione, seppure iniqua, del rapporto stesso; ipotesi che potrebbe verificarsi nei contratti di finanziamento. Infatti, in questi ultimi lo scioglimento del vincolo contrattuale rappresenterebbe una soluzione aberrante per il finanziato, poiché egli sarebbe costretto alla restituzione immediata del restante capitale prestatogli, a meno che non sia il finanziatore, ex art. 1467c.c., comma 3, ad offrirgli l’equa modificazione delle condizioni del contratto.
7 X. XXXXX, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 364 – 365.
8 X. XXXXXXXXXXXX, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite, in Giurisprudenza Italiana, 1/2018, p. 46, secondo il quale proprio il superamento del tasso soglia di usura (con la conseguente eccessiva onerosità della prestazione) rappresenta un caso emblematico che pone in evidenza l’inadeguatezza della disciplina normativa.
In queste ipotesi, da un punto di vista pratico l’accoglimento pedissequo di una soluzione di questo tipo si tradurrebbe, nei casi come quello sopra esposto, nella sostanziale frustrazione della posizione del soggetto che subisce le conseguenze negative dell’evento perturbatore. E difatti, al debitore la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, non resterebbe altro che confidare nella possibilità che sia la sua controparte, interessata alla prosecuzione del rapporto, ad offrirgli un equo ricomponimento dello squilibrio, sufficiente a far rientrare il paradigma contrattuale all’interno dell’alea normale. Il soggetto che subisce l’aggravio della propria prestazione sarebbe evidentemente in una posizione di debolezza, posto che la facoltà di formulare un’offerta volta al ricomponimento dello squilibrio resterebbe in capo alla parte avvantaggiata dalla stessa, che potrebbe avere meno interesse a riequilibrare il rapporto o, comunque, potrebbe esercitare detta facoltà in virtù di una posizione rafforzata proprio dagli effetti pregiudizievoli che l’altro contraente subisce in conseguenza del sopravvenuto mutamento delle circostanze9. E d’altro canto, ove la sopravvenienza non avesse le caratteristiche atte ad invocare il modello risolutorio, il contraente svantaggiato non avrebbe, almeno apparentemente, altro mezzo per tutelarsi (il riferimento corre alle sopravvenienze atipiche).
La rigidità dell’impostazione codicistica ha reso necessaria la ricerca e la calibrazione degli ulteriori strumenti ricavabili dal sistema, al fine di adeguare il regolamento contrattuale alla nuova realtà di fatto10.
A questo proposito si segnala che l’assenza di una previsione normativa, specificatamente sancente la possibilità per le parti di rinegoziare le condizioni all’origine pattuite, non ha ostacolato il formarsi di correnti dottrinali che, sul solco di alcuni indici normativi di settore e della lettura assiologicamente orientata della clausola generale di buona fede, hanno intercettato anche nel nostro ordinamento, alla ricorrenza di condizioni oggettivamente idonee ad alterare significativamente il rapporto, un principio di adeguamento del contratto ed un contestuale obbligo di rinegoziazione.
In sintesi, sulla premessa che nei contratti a lungo termine il rischio di eventi sopravvenuti e perturbanti sia tanto più alto quanto più sia esteso nel tempo il rapporto contrattuale, e che possa esistere nel caso concreto, al sopravvenire di detti mutamenti, un apprezzabile interesse alla prosecuzione del rapporto, si è ritenuto che gravi sulle parti un dovere di collaborazione che le conduca alla riconduzione a normalità dello stesso11. In questa fase la valutazione degli interessi non potrà più svolgersi sul piano del contenuto del contratto come insieme delle pattuizioni sulle
9 C. D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termini tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, in Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di XXXXXXXXX, Torino, 2003, p. 503 ss.
10 L’adeguamento del contratto alla realtà di fatto è un fenomeno multiforme: può manifestarsi sia come effetto automatico di una disposizione di legge o di una clausola contrattuale, sia come effetto di una pronuncia giudiziale, che una volta accertata l’esistenza dei presupposti per addivenire alla modifica del contratto, provveda, in assenza dell’accordo tra le parti, alla modificazione. Il comune denominatore nella vastità del fenomeno si rinviene nell’interesse, riconosciuto dall’ordinamento come meritevole di tutela, alla prosecuzione del contratto. v. X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 77 ss.
11 Si noti che dal punto di vista del diritto codificato, l’esperienza internazionale mostra chiari segni di avanguardia in tema di gestione delle sopravvenienze sperequative. Basti pensare, esemplificando, alla disciplina della hardship prevista nei principi UNIDROIT, che oltre a dare diritto alla parte svantaggiata dalla sopravvenienza di richiedere la rinegoziazione del contratto, prevede la possibilità per ciascuna delle parti, in caso di mancato accordo entro un termine ragionevole, di rivolgersi al giudice, il quale accertata la ricorrenza delle condizioni per l’attivazione del rimedio potrà o risolvere il contratto in tempi e modi da stabilire di volta in volta oppure procedere egli stesso alla modifica del regolamento negoziale al fine di ripristinarne l’originario equilibrio.
quali era stato raggiunto il consenso, ma dovrà spostarsi sul piano dell’esecuzione, alla ricerca degli strumenti atti a garantire che l’adempimento sia in linea con il concreto sviluppo del rapporto contrattuale12.
Generalmente, sarà il contraente svantaggiato ad attivarsi richiedendo alla propria controparte l’adeguamento del contratto ed a suggerire simultaneamente le modifiche da apportarvi, di converso l’altro contraente dovrà cooperare e condurre la rinegoziazione in modo costruttivo secondo i dettami scaturenti dal dovere di buona fede13.
Il fondamento di tale ricostruzione è stato individuato specialmente attraverso la valorizzazione della clausola generale di buona fede e del ruolo che essa riveste nell’interpretazione e nell’integrazione del contratto.
La buona fede, quale veicolo del principio di solidarietà, impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da una specifica previsione contrattuale, siano atti a preservare gli interessi dell’altra. Nelle ipotesi esaminande il risultato sarebbe quello di far aderire il regolamento contrattuale alla reale situazione di fatto nel frattempo mutata; in altri termini, a rendere l’attuazione del regolamento contrattuale congrua rispetto agli interessi dei contraenti14.
L’obbligo di rinegoziare costituirebbe infatti l’espressione del più generale dovere di collaborazione gravante su tutti i soggetti legati da un vincolo obbligatorio, che troverebbe applicazione tutte le volte in cui il mutamento delle circostanze di fatto sia idoneo a produrre un rilevante appesantimento di una delle posizioni, e avrebbe come precipuo fine quello di salvaguardare i reciproci interessi delle parti15.
Una soluzione di questo tipo si presta a contemperare da un lato l’interesse delle parti a che il patto concluso venga comunque portato a compimento e dall’altro a salvaguardare, al ricorrere di determinate circostanze, la parte debole del rapporto dall’esecuzione di una prestazione ormai squilibrata per l’intervento di un evento non riconducibile in alcun modo alla volontà dei contraenti.
Lungi dal voler operare generalizzazioni, basti qui precisare che la risoluzione del conflitto tra i contrapposti interessi e l’opportunità di condurre il rapporto pattizio a rettifica, dipenderà e sarà strettamente connesso alla realtà di fatto, ove verrà verificata caso per caso la sussistenza di un legittimo interesse alla prosecuzione del rapporto contrattuale.
4. La rinegoziazione come possibile soluzione al problema dell’usura sopravvenuta
Rientrando dentro il problema della rilevanza del sopravvenuto superamento del tasso nominale di contratto rispetto al tasso soglia di usura, è stato autorevolmente sottolineato che il meccanismo volto alla individuazione del limite legale entro il quale il tasso dovrebbe contenersi ha una doppia funzione: nella fase genetica, il superamento di tale limite produce uno sforamento “qualificato” che conduce, inevitabilmente, all’applicabilità delle sanzioni previste dall’art. 1815 c.c.; nella fase esecutiva, piuttosto che consegnare alla irrilevanza giuridica qualsiasi evento successivo
12 X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 152
13 F.P. XXXXX, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, in I Contratti, n. 7, 2012, p. 579 14 X. XXXXXXXX, L’obbligo di rinegoziazione, in I Contratti, n. 2, 2016, p. 187.
15 X. XXXXXXXXXXXX, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 146.
alla stipula, colloca il rapporto pattizio in costante tensione rispetto alle dinamiche del mercato, con la precipua finalità selezionatrice di squilibri in grado di generare un disallineamento sanzionabile16.
Il tasso soglia, in questa accezione, costituirebbe un valido strumento volto a garantire che l’autonomia privata non superi i limiti ad essa insiti e si esplichi nell’equilibrio delle prestazioni che deve essere immanente, tanto al momento della conclusione dell’accordo quanto nella fase esecutiva dello stesso17.
In estrema sintesi: anche le variazioni del tasso di interesse nei contratti di finanziamento18, in quanto contratti di durata, sono suscettibili di subire alterazioni atte a mutare l’originario stato della contrattazione e idonee a squilibrare l’assetto di interessi, così da rendere non più attuale il programma pattizio pur se valido ed efficace.
Si è detto che, ogni volta che le variazioni fattuali scompensano l’assetto negoziale si pone un problema di allocazione dei rischi, cioè il punto imprescindibile diviene comprendere se il fatto sopravvenuto abbia, prima di tutto, un’incidenza oggettivamente apprezzabile sulla proporzionalità dello scambio, ed in secondo luogo se le parti abbiano convenuto l’eventuale sopportazione del mutamento dello stato delle cose in capo ad una delle stesse.
Sul punto, e con riferimento ai finanziamenti a tasso fisso, è stato obiettato, a confutazione della tesi volta a disconoscere l’esistenza giuridica della c.d. usura sopravvenuta, che l’oscillazione del tasso anche sopra la soglia trimestralmente rilevata rientra nell’alea normale del rischio sotteso alla scelta negoziale effettuata all’origine. Per converso, i sostenitori della rilevanza del fenomeno sottolineano – a ragione – che la soglia entro la quale le parti del rapporto si impegnano a sopportare i relativi rischi connessi allo stesso di diminuzione o aumento del tasso, non può mai esorbitare il limite legalmente statuito. Quando ciò accade l’eccedenza, non rientrando nella
16 X. XXXXXXXXXXXX, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 44, l. A. precisa che se il meccanismo legale fosse limitato al solo momento costitutivo del rapporto, si perverrebbe ad una disparità di trattamento tra coloro i quali continuerebbero a percepire un tasso di interesse inizialmente legale ma divenuto usuraio e chi, viceversa, sarebbe passibile delle sanzioni tanto civili quanto penali per aver pattuito e percepito, nel medesimo arco temporale, lo stesso interesse. La considerazione è ripresa da X. XXXX, Lo «squilibrio» contrattuale tra diritto civile e diritto penale, Riv. Dir. Civ., 5/1999, p. 536 ss., il quale nel ritenere rilevante lo sforamento del limite legale in corso di esecuzione del contratto, sostiene che il tasso nominale debba ridursi alla «soglia» stabilita di volta in volta poiché solo essa la legge tollera. L’A. conclude per l’applicazione dell’art. 1419 c.c. in quanto la sostituzione prevista nello stesso è una soluzione riconducibile ad una valutazione sistematica del problema; Sulla disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., dei diversi operatori economici, v. anche X. XXXXXXXXXXX, L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle SS.UU. : ultimo atto?, in Il Corriere Giuridico, 12/2017, p. 1492, secondo cui se l’usura sopravvenuta non esistesse si creerebbe un doppio paradosso: una disparità di trattamento in quanto lo stesso xxxxx, in quanto divenuto usuraio, nello stesso momento, non potrebbe essere validamente promesso da un altro debitore; un surplus di profitto poiché il tasso sopra soglia frutterebbe al creditore, nello stesso periodo, più di quanto frutta agli altri creditori un tasso legale perché inferiore alla soglia.
17 X. XXXXXXXXXXXX, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 44, per l’A. il tasso soglia rappresenta il termine di raffronto del corrispettivo individuato alla luce dei valori del mercato attraverso il quale l’ordinamento calmiera le operazioni di credito «alla stregua di un principio di equità in un’accezione squisitamente economica».
18 A tal proposito, fa notare A.A. DOLMETTA, L’usura sopravvenuta in Cassazione, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, p. 3 ss., che «l’esecuzione del rapporto di mutuo (dei contratti di credito in genere) si snoda lungo una serie di frazioni temporali che – se in sommatoria formano il periodo di godimento del danaro ricevuto, secondo quanto determinato nel contratto - peraltro restano strutturalmente distinte tra loro. A livello scomposto, ciascuna di esse viene a ricevere una propria retribuzione […] Secondo quanto risulta rispondente, del resto, alla costruzione assunta dalla norma generale dell’art. 821, comma 3, c.c., per cui gli interessi – intesi propriamente come «corrispettivo del godimento del danaro», che sia concesso dal proprietario delle somme erogare a prestito - «maturano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto» (nella vigente legge sull’usura, il «giorno per giorno» viene trasformato in «trimestre per trimestre»). Il contratto di mutuo stipulato nel tempo presente, di conseguenza, non viene a rimanere estraneo al mercato che andrà a seguire nel futuro, lungo le varie frazioni temporali in cui il relativo rapporto è destinato a durare».
normale alea di rischio a cui sono sottoposti i contraenti, rappresenta un aggravio della prestazione restitutoria in termini di maggiore, sopravvenuta e non prevedibile onerosità19.
Sicché il debitore che si trovi nella condizione di versare un tasso di interesse ab origine lecito, ma divenuto eccedente rispetto al parametro dalla legge stabilito, dovrebbe avere la possibilità di richiedere alla sua controparte la rivisitazione dei termini dell’accordo, e di contro il rifiuto immotivato e arbitrario del creditore di ricondurre il rapporto a giustizia, dovrebbe ritenersi sanzionabile per contrarietà al dovere di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto.
Ecco allora che l’obbligo legale di rinegoziare20, come sopra esposto, potrebbe, con riferimento a questo tipo di operazioni, essere una soluzione ragionevolmente adeguata a contemperare i contrapposti interessi dei contraenti, posto che si renderebbe idonea per un verso
19 Rispetto alla integrazione, per il tema esaminando, dei requisiti richiesti dall’art. 1467 c.c. per il dipanarsi della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione v. X. XXXXXXXXXXXX, Xxxxx sopravvenuta e principio di proporzionalità, Napoli, 2018, p.135, il quale sostiene che «di fronte ad una situazione in cui sono ormai congenite le continue variazioni dei tassi di mercato, del tasso ufficiale di sconto e del tasso di interesse legale “qualunque contratto che non abbia durata brevissima e che comporti il pagamento di un interesse, fisso o variabile, ha una componente di aleatorietà, costituita dalla divaricazione fra la curva dei tassi prevista al momento della stipulazione del contratto e quella che si verificherà effettivamente”[…] la molteplicità poi, dei fattori di natura politica, sociale, economica, che influiscono sulla instabile curvatura degli interessi, non consente alle parti stesse, all’atto di concludere l’accordo, di preventivare costi e vantaggi che ne seguiranno»; sul punto è interessante evidenziare il contributo di X. XXXXXXX, Oltre la sopravvenuta: usura originaria da costo atteso, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, il quale ritiene che per alcuni tipi di operazioni il finanziatore sia in grado di prevedere, quanto meno ipoteticamente, quale sarà l’andamento dei tassi e dunque conoscere in anticipo se un tasso lecito all’origine diverrà usuraio nel futuro prossimo, vertendosi dunque in un caso di usura originaria. Così l’A. sulla previsione delle oscillazioni dei tassi «gli interessi sono quelli che saranno pagati nel tempo e le curve dei tassi forward, implicite nei tassi spot del momento della conclusione del contratto, consentono di sapere, al momento della conclusione del contratto, non ovviamente quali interessi saranno effettivamente pagati (predire, non si può: nessuno sa come si muoverà l’indice al quale la loro misura è connessa), ma quali interessi saranno molto probabilmente dovuti (prevedere, si deve; nessuno dovrebbe entrare in un programma di flussi variabile se non consapevole delle curve attese e degli scenari), appunto, sulla base della curva forward del parametro del tempo della conclusione del contratto o secondo il modello di calcolo applicato al tempo della conclusione del contratto.».
20 Evidenzia X. XXXXXXXX, Xxxxx originaria, usura sopravvenuta e interessi moratori, in Rivista di diritto bancario, 6/2015,
p. 13, che, in merito al problema del sopravvenuto superamento del tasso soglia, un ruolo significativo può essere riservato alla clausola generale di buona fede quale fonte di un obbligo di rinegoziazione legale tutte le volte in cui la pretesa di interessi divenuti usurai non trovi giustificazione neppure alla luce della distribuzione dei rischi programmata a monte dalle parti. Secondo P. L. XXXXXX, La “rinegoziazione” dei mutui, in Studi e Materiali, 4/2018, p. 1505 ss., la presenza dell’obbligo di rinegoziazione sarebbe avvalorata dagli interventi legislativi in materia di mutui sulla prima casa, che hanno previsto, per questo tipo contrattuale, un obbligo di rinegoziazione, «L’argomento più significativo è dato proprio dal fatto che la rinegoziazione era già stata individuata dalla prassi come un meccanismo risolutivo dei problemi: essa però si era scontrata con alcune rigidità dei creditori interessati che le nuove leggi, in qualche maniera, anche approssimativa, hanno cercato di eliminare. Senz’altro, lo scopo è stato quello di risolvere problemi concreti: ad esempio, il rifiuto opposto dalle banche di rinegoziare (o anche surrogare) i mutui cartolarizzati; oppure l’atteggiamento di alcune banche, che assume carattere particolarmente vessatorio, di dimostrarsi sì disponibili ad una rinegoziazione in senso economico del mutuo ma solo o prevalentemente secondo le forme giuridiche di un mutuo di sostituzione, il quale è il sistema più costoso sia sotto l’aspetto fiscale che sotto l’aspetto professionale.
Il legislatore, in definitiva, ha tratto ispirazione dalla prassi, riconoscendo l’utilità sociale di un rimedio manutentivo, non ablativo, al punto da imporne l’utilizzo. Per quanto permangano dubbi circa la piena assimilazione delle ricontrattazioni introdotte e disciplinate dalle nuove norme al concetto tecnico di rinegoziazione, è indubbio che sia stato lanciato un segnale non trascurabile nella citata prospettiva generale di evoluzione del diritto interno verso le codificazioni internazionali più avanzate.». Di contro, X. XXXXXXXXXXXX, Xxxxx sopravvenuta e principio di proporzionalità, cit., p. 150, ritiene che gli interventi predisposti in materia di mutui ipotecari per l’acquisto della prima casa, che hanno previsto misure riconducibili al modello della rinegoziazione, dimostrano sì una chiara scelta di politica del diritto che predilige sistemi manutentori dell’atto, ma per altro verso che l’obbligo di rinegoziazione è espressamente previsto dal legislatore e non riconducibile alla clausola generale di buona fede.
a salvaguardare l’interesse del debitore a contenere la prestazione restitutoria nei limiti stabiliti dall’autorità - sia che l’aggravio prestazionale sia stato causato da un discostamento tale da integrare gli estremi della eccezionalità e della straordinarietà, sia che esso non abbia raggiunto tale soglia - e per altro verso il creditore continuerebbe a trarre un giusto guadagno per essersi privato della materiale disponibilità, per un certo periodo di tempo, della somma data in prestito.
Tuttavia, per dovere di completezza va segnalato che anche tale soluzione seppure appare sufficientemente idonea a porre fine al problema non è esente da critiche, specie con riferimento alla stessa ricostruzione dell’obbligo di rinegoziare. Non è però questa la sede onde indagare tale problematica, basti avvertire che il dibattito sulla questione oggetto d’esame è vivace e non ha ancora trovato un suo definitivo e stabile inquadramento.