Responsabilità ex 38 c.c. e responsabilità di mandato dell'amministratore societario.
Responsabilità ex 38 c.c. e responsabilità di mandato dell'amministratore societario.
Adempimento, solidarietà, escussione.
Responsabilità gestorie, contrattuali ed extracontrattuali, custodia, attività pericolose, sicurezza.
Avvocato Xxxxxx Xxxxxx Viale dei Mille, 73 – Firenze Tel 000.000000
La gestione di un impianto sportivo
Gestire un impianto sportivo significa porre in essere attività ed organizzare strumenti necessari per garantire l’uso degli spazi attrezzati per lo sport, offrendo agli utenti la possibilità di farlo nelle migliori e più sicure condizioni possibili.
Il gestore compie attività promozionali, conserva e custodisce la struttura e gli impianti, si preoccupa della manutenzione ordinaria (ed eventualmente straordinaria), amministra risorse economiche.
La proprietà e la gestione dell’impianto possono essere entrambe pubbliche, piuttosto che private; ed ancora pubblica la prima, ed affidata in convenzione ai privati la seconda. In tale ultimo caso il rapporto tra soggetto pubblico e privato verrà contrattualizzato nell’ambito di un accordo convenzionato, ove sarà previsto l’oggetto e la durata della convenzione, la descrizione dell’impianto, i criteri di utilizzazione, gli obblighi reciproci (custodia, manutenzione, approvvigionamenti), le tariffe ed il corrispettivo.
Il gestore privato di un impianto sportivo ricevuto in concessione da un Ente pubblico, si relaziona primariamente con la Pubblica Amministrazione, con la quale perfeziona gli accordi suddetti.
Nell’esercizio della propria attività, poi, necessiterà di fornitori di beni e servizi; piuttosto che di personale più o meno qualificato che organizzerà secondo le proprie necessità. Infine offrirà la propria organizzazione, gli spazi, gli insegnamenti, agli utenti finali (atleti, utilizzatori degli impianti, società).
La pluralità di rapporti che nascono interagendo con soggetti diversi durante l’esercizio di attività di gestione, può determinare fatti o accadimenti giuridicamente rilevanti e potenzialmente in grado di divenire causa di responsabilità civile per gli enti stessi e per i loro rappresentanti.
Ente riconosciuto VS Ente non riconosciuto
art. 37, c.c.
37. Fondo comune. — 1. I contributi degli associati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo
comune dell'associazione. Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, né pretenderne la quota in caso di recesso.
Pur ricorrendo una responsabilità civile in capo ad entrambe, la distinzione tra associazione riconosciuta e non riconosciuta è essenziale ai fini
dell’individuazione dei criteri di attribuzione di responsabilità nei confronti delle persone fisiche che vi operano
L’Ente Riconosciuto, iscritto nel registro delle persone giuridiche ed ottenuta autonomia patrimoniale perfetta, risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni assunte o dei fatti illeciti compiuti nell’esercizio dell’attività propedeutica al raggiungimento dei propri scopi. Gli amministratori possono così godere dell’irresponsabilità patrimoniale, frapponendo tra loro ed i terzi eventualmente danneggiati o lesi dall’ente, un limite invalicabile.
La personalità giuridica (e la conseguente autonomia patrimoniale perfetta) comporta l’ imputabilità all’ente degli atti compiuti e dell’attività svolta in suo nome, nonché delle relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli. L’ente sarà titolare di diritti e doveri in modo del tutto autonomo ed i creditori sociali potranno far valere le proprie ragioni per le obbligazioni assunte dall’associazione esclusivamente sul patrimonio della stessa.
A diverse conclusioni si deve giungere con riferimento all’ Ente Non Riconosciuto, che pur dotato di un proprio fondo (costituito dai contribuiti degli associati ed indivisibile finché dura l’associazione – art.lo 37 C.C.), non
permette a coloro che agiscono in nome e per conto dell’associazione medesima, di opporre al terzo creditore-danneggiato il limite (privilegio) della propria irresponsabilità patrimoniale. L’autonomia patrimoniale è piena e
perfetta quando l’ente è riconosciuto; imperfetta quando sia sprovvisto di riconoscimento.
art. 38, c.c.
38. Obbligazioni. — 1. Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.
L’Articolo 38 del Codice Civile, detta le regole sostanziali in tema di obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, statuendo che i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Aggiungendo, però, che delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.
Da tale assunto deriva la necessità di individuare, anche in via interpretativa, i soggetti astrattamente personalmente responsabili; oltre che qualificare la loro responsabilità, riguardo alla possibile invocazione, o meno, del beneficio di escussione sul fondo comune.
Ratio legis
La ratio sottesa alla norma in esame consiste nella tutela del terzo che compia attività
negoziale con l’associazione non riconosciuta; si vuole in sostanza compensare la mancanza di pubblicità dei poteri e della consistenza patrimoniale dell’ente, salvaguardando l’affidamento del terzo
Debito altrui
Muovendo da una preliminare tesi frutto di elaborazione dottrinale, si è dapprima
ritenuto che i soggetti richiamati dal secondo comma dell’articolo 38 C.C., dovessero individuarsi esclusivamente negli amministratori delle associazioni, ovvero in coloro in qualche modo dotati di espresso potere di rappresentanza.
Una più recente e ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale, mossa
dall’analisi della lettera normativa e dalla ratio sottesa alla medesima, permette invece di affermare che, solidalmente con l’associazione, risponde chi ha agito in nome e per conto della stessa, anche se si tratti di un semplice associato; che pertanto non rilevi la qualifica propria dell’agente in seno all’associazione, quanto il suo agire. Il principio
della tutela dell’affidamento del terzo, travolge ogni altra contraria considerazione, se è vero che chi entra in rapporto con l’associazione sino a concludere un affare, a stipulare un contratto, a richiederne una prestazione, fa reale affidamento proprio sull’esistenza di determinati poteri in testa al soggetto (persona fisica) conosciuto; ovvero fa affidamento sulla sua supposta capacità patrimoniale, non conoscendo (né potendo agevolmente conoscere in difetto di sistema di pubblicità relativo all’ente ed alle sue cariche) quella degli eventuali diversi amministratori.
Non è prematuro sottolineare che la responsabilità personale di chi agisce in nome per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività concretamente svolta per conto di
essa, tanto che chi invoca tale responsabilità avrà l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in
ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente. In materia opera il principio
dell’apparenza, per il quale il convincimento – non derivante da errore colpevole – di trovarsi in presenza di persona legittimata ad impegnare l’associazione è sufficiente alla valida stipulazione del contratto ed al sorgere delle conseguenti obbligazioni.
Si è discusso, e lo si fa ancora, circa la natura giuridica della responsabilità personale e solidale di cui alla norma in questione.
Avallo dalla giurisprudenza dominante lo ha ricevuto la tesi della natura aggiuntiva
della responsabilità di chi ha agito per l’associazione, quale responsabilità concorrente con quella dell’ente, ma per debito altrui.
Intesa così come una sorta di fideiussione ex lege a favore del terzo creditore.
Alcuni corollari che si ricavano dalla tale lettura interpretativa , che trovano ulteriore conferma nelle pronunce dei Giudici:
- La possibilità di invocare l’applicazione dell’art.lo 1957 CC: la responsabilità di chi ha agito viene meno se il creditore non ha proposto le sue istanze entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale
- Necessaria sussistenza in capo ai rappresentanti dell’ente, della capacità di agire
- Nascita del diritto di regresso a favore di colui che paga i creditori dell’ente
- Esclusione del beneficio della preventiva escussione
E’ subito evidente, su tutto, che il noto principio del beneficio di escussione non corre in soccorso degli amministratori e/o degli associati in attenuazione dei suddetti criteri di attribuzione di responsabilità, proprio in considerazione del fatto che la prevalente giurisprudenza tende ad inquadrare l’obbligazione solidale di colui che ha agito per
l’associazione, alla stregua delle garanzie ex lege (da qui la conseguente esclusione dell’obbligo di tempestiva escussione del patrimonio del debitorie principale)
Debito proprio
Alla tesi della responsabilità per debito altrui si contrappone la minoritaria tesi di una
responsabilità per debito proprio.
Si ritiene in tale prospettiva che la soggettività dell’associazione sussiste solo nei limiti in cui le singole norme la rilevano. Fuori da tali disposizioni operano altre norme che denotano l’assenza della soggettività giuridica: sarebbe, si ritiene minoritariamente,
che l’articolo 38 del codice civile nell’individuare coloro «che hanno agito» debbano correttamente essere trattai come membri di un gruppo privo di autonoma soggettività, rispondendo pertanto per debito proprio -e non altrui – delle obbligazioni assunte.
Senza volersi dilungare eccessivamente sulla dicotomia interpretativa (giusto il prevalente indirizzo della responsabilità per debito altrui), non può non evidenziarsi come il problema dell’individuazione dei soggetti personalmente responsabili verso i terzi risente proprio della natura giuridica della responsabilità personale e solidale.
Aderendo alla tesi prioritaria si concluderà che la responsabilità sussisterà in capo a coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione nei confronti di terzi e solo per le obbligazioni che ciascuno di essi abbia assunto; non anche a carico di chi
abbia agito come rappresentante dell’ente, se non ne sia derivata un’obbligazione per l’associazione; né per gli amministratori che abbiano deliberato l’atto ma non abbiano agito all’esterno in nome dell’associazione. Viceversa la tesi del «debito proprio»
porterebbe all’affermazione di una responsabilità gravante sul patrimonio di tutti
coloro che hanno deliberato l’atto da cui sorge l’obbligazione e non solo su colui che
abbia provveduto ad eseguire le operazioni da altri decise.
Subentro nelle cariche sociali
Cass. civ. Sez. III, 12/01/2005, n. 455 (rv. 579348)
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Fideiussione
PERSONE FISICHE E GIURIDICHE
Associazioni non riconosciute
La responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta (collegata non alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, ma all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa, concretantesi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi) non è riferibile, neppure in parte, ad un'obbligazione propria dell'associato, ma ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa, di talché detta obbligazione (di natura solidale) è legittimamente inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione. Ne consegue che tale responsabilità grava esclusivamente sui soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, attesa l'esigenza di tutela dei terzi che, nell'instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti, non potendo il semplice avvicendamento nelle cariche sociali del sodalizio comportare alcun fenomeno di successione nel debito in capo al soggetto subentrante, con esclusione di quello (attualmente sostituito) che aveva in origine contratto l'obbligazione. (Xxxx'affermare il principio di diritto che precedere, e nello specificare, ancora, che, per l'effetto, il presidente di un sodalizio non riconosciuto è passivamente legittimato all'azione del creditore anche dopo la cessazione della carica con riguardo alle obbligazioni risalenti al periodo in cui egli aveva esercitato le funzioni di presidente, la Corte di Cassazione ha così cassato la sentenza della Corte di merito che aveva invece ritenuto, con riferimento ad un contratto di locazione sottoscritto, "illo tempore", dall'allora presidente di un'associazione non riconosciuta in nome e per conto di quest'ultima, che tutte le relative obbligazioni, ivi inclusa quella della riconsegna alla scadenza - nonché quella risarcitoria riconnessa all'eventuale ritardo nella consegna - non gravassero su quest'ultimo, bensì sull'attuale legale rappresentante dell'ente).
Analizzando il profilo della responsabilità civile ricadente sulla persona fisica che agisce in nome per conto dell’associazione sotto l’aspetto temporale dell’accadimento dei fatti , preme rilevare:
- è ritenuto che la responsabilità personale prevista dall’articolo in esame permanga anche dopo la cessazione della carica sociale, relativamente agli atti compiuti durante il mandato
- Il soggetto personalmente responsabile è legittimato passivo dell’azione del creditore – senza necessità della preventiva escussione – relativamente alle obbligazioni che risalgono al periodo in cui ha esercitato le sue funzioni, anche nel caso in cui non ricopra più la carica
- l’avvicendarsi delle cariche sociali non determina successione nel debito, non gravando la responsabilità personale su tutti coloro che assumono la rappresentanza nel tempo, ma solo coloro che hanno agito e limitatamente all’atto posto effettivamente in essere
La prova dell’’attività gestoria
Xxxx Xxxxxx, Sez Trib, sent. 12.3.2007 n 5746
«In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e sociale delle persone che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione, prevista dall’articolo 38 CC in aggiunta a quella del fondo comune, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio
dell’ente con l’esigenza di tutela dei creditori, e trascende pertanto la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell’attività dell’ente; ciò non esclude, peraltro, che per i debiti di imposta i quali non sorgono su base negoziale ma ex lege, al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, quanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo
dell’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura»
Come detto la semplice titolarità formale delle cariche rappresentative non è sufficiente per l’insorgere di responsabilità in capo alla persona fisica (con le note conseguenze patrimoniale)
Il creditore che assume il diritto di rivolgere le proprie pretese nei confronti del soggetto persona fisica, è tenuto a dimostrare che il ritenuto obbligato per debito altrui abbia effettivamente svolto l’attività concreta dalla quale si intende derivata l’obbligazione. Se da un lato , quindi, il concetto dell’apparenza agevola il creditore
nell’esercizio del suo diritto nei confronti della persona con cui si è di fatto relazionato; d’altro canto non vale la presunzione per cui chi riveste la carica formale, sia anche effettivamente colui che ha posto in essere la condotta concreta dalla quale scaturisce l’obbligo giuridico.
La mera titolarità della rappresentanza non è fonte automatica e sussidiaria di
responsabilità
Tale principio trova applicazione anche nell’ambito dell’obbligazione tributaria, sussumibile nello spettro normativo dell’articolo 38 C.C.
La sentenza passata in giudicato che cristallizza un debito tributario, all’esito di un processo instaurato con ricorso dell’associazione avverso un avviso di accertamento
notificatole in proprio, che non permette all’Agenzia di trarre soddisfazione dal fondo patrimoniale incapiente, non dovrebbe avere come conseguenza la rinotifica della
cartella al soggetto che ha agito per l’associazione, allo scopo poi di eseguire il titolo giudiziale nei suoi confronti.
Dovrebbe invece ritenersi indispensabile notificare nuovamente alla persona fisica un nuovo avviso di accertamento, affinché il processo abbia nuovo inizio. Processo volto ad individuare anche la personale responsabilità in concreto della persona fisica agente.
Per l’Amministrazione vige l’onere della prova comune ai privati creditori, dovendo anch’essa fornire motivazione delle proprie pretese in termini di diretto
coinvolgimento del soggetto indicato nell’irregolarità fiscale, a prescindere dal ruolo
assunto formalmente.
Ne consegue che la notifica dell’avviso di accertamento in proprio all’amministratore, è atto formale e processualmente sostanziale, che consente il corretto esercizio del diritto di difesa, esercitabile allo scopo di poter dimostrare il proprio concreto
coinvolgimento nell’attività gestoria, o meno; piuttosto che l’assenza di svolgimento di attività negoziale propedeutica alla nascita di obblighi giuridici.
Cass. civ. Sez. III, 19/10/2016, n. 21066
Le associazioni non riconosciute sono enti che, al pari delle società di persona, non sono dotate di personalità giuridica ma di limitata soggettività. Ne consegue che delle obbligazioni sociali rispondono solidalmente ed illimitatamente alcuni degli associati, in particolare coloro che hanno agito in concreto, e per le quali si afferma che la responsabilità personale e solidale con quella dell'associazione, senza il beneficio dell'escussione, di colui o di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, si configura come una forma di fideiussione ex lege, disposta a tutela dei terzi che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro. L'art. 38 c.c. sancisce infatti la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione e trova applicazione unicamente rispetto ai terzi estranei all'associazione medesima e non può giovare agli associati creditori dell'associazione, i quali, per il fatto stesso di esserne membri, non possono non essere a conoscenza della consistenza patrimoniale dell'ente. Detto principio trova applicazione anche per le società di persona che con le associazioni non riconosciute condividono la struttura associativa non personificata, il riconoscimento di una limitata soggettività giuridica, l'esistenza di un fondo comune che può essere aggredito dai terzi titolari di crediti nei confronti dell'ente ed al tempo stesso la illimitata responsabilità degli associati nei confronti dei terzi, per le relative obbligazioni.
Trib. Udine Sez. lavoro, 25/08/2016
La responsabilità solidale prevista dall'art. 38 c.c., per colui che ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa; consegue che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione, e che il diritto del terzo creditore è assoggettato alla decadenza di cui all'art. 1957 c.c. secondo i principi riguardanti la fideiussione solidale, per cui non si richiede la tempestiva escussione del debitore principale ma, ad impedire l'estinzione della garanzia, è indispensabile che il creditore eserciti tempestivamente l'azione nei confronti, a sua scelta, del debitore principale o del fideiussore.
Cass. pen. Sez. V, 03/02/2016, n. 12645 (rv. 266877)
Bancarotta semplice
In tema di bancarotta semplice, al fine di configurare la responsabilità del presidente del consiglio direttivo di un'associazione non riconosciuta non è sufficiente il dato formale di aver ricoperto la predetta carica sociale,
ma è necessario verificare in capo al medesimo l'effettivo esercizio di poteri gestionali nei rapporti dell'associazione con i terzi. (X. Xxxx. civ., sez. 3, n. 18188 del 2014, Rv. 632925; Cass. civ., sez. 1, n. 9589
Giudice di pace Milano Sez. II, 08/01/2016
La responsabilità personale e solidale di chi ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta deve essere collegata all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra questa e i terzi. Riguarda le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione a tutela dei terzi che con esse hanno concluso un rapporto negoziale facendo affidamento sulla loro solvibilità e sul loro patrimonio personale.
Cass. civ. Sez. VI 5, 17/06/2015, n. 12473 Agenzia delle Entrate c. Ass. Xx.Xx.
In tema di obbligazioni tributarie, deve essere esclusa la responsabilità personale e solidale ex art. 38 c.c. in capo al legale rappresentante di un'associazione non riconosciuta fondata sul mero presupposto della copertura della suddetta carica in quanto tale responsabilità deve essere invece collegata alla concreta attività negoziale svolta per conto dell'associazione e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra l'ente ed i terzi.
Cass. civ. Sez. V, 06/09/2013, n. 20485 Agenzia delle Entrate c. C.N.
Nelle associazioni non riconosciute, se pur esiste una separazione tra il patrimonio degli associati e quello dell'associazione, si riconosce una responsabilità solidale e illimitata in capo a chi agisce in nome e per conto dell'associazione. Tuttavia, non è la carica in sè il presupposto della responsabilità solidale ma è il compimento di atti di gestione in favore e per conto della associazione medesima. Ne consegue che, in presenza di reati tributari, la persona fisica destinataria di un avviso di accertamento a carico di una associazione sportiva dilettantistica non riconosciuta potrà dimostrare di non essere stato consigliere nel periodo accertato o, comunque, anche ove lo fosse stato, di non aver interferito con atti di gestione.
Da alcuni principi contenuti nella rassegna precedentemente letta, deve a questo punto ricavarsi che diversi possono essere i criteri di attribuzione di responsabilità civile - e non solo – nei confronti dell’ente e dei suoi rappresentanti; responsabilità che può sorgere su base negoziale; ex lege; in conseguenza di fatto extracontrattuale; può infine desumersi in via presuntiva.
Art. 2043, c.c.
2043. Risarcimento per fatto illecito.
Qualunque fatto doloso o
colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno
L’ articolo 2043 C.C. dispone che “Qualunque fatto doloso o colposo , che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno”. Detta norma costituisce il fondamento della responsabilità extracontrattuale nel nostro ordinamento: la lesione di una posizione giuridica soggettiva, obbliga il suo autore a risarcirne le conseguenze negative.
Gli elementi costitutivi del fatto illecito sono
- oggettivi: il fatto (l’accadimento) – il danno ingiusto – il nesso di causalità
- soggettivi: il dolo – la colpa (per imprudenza, negligenza o imperizia)
Il danneggiato per poter ottenere il risarcimento preteso deve provare tutti gli
elementi della fattispecie (anche l’elemento soggettivo)
Art. 1218, c.c.
1218. Responsabilità del debitore. — 1. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa
a lui non imputabile.
art. 2048, c.c.
2048. Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte. — 1. Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.
D’altro canto il debitore che non esegue correttamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno, salvo causa a lui non imputabile (articolo 1218 C.C.), in virtù della prevista e disciplinata responsabilità contrattuale,
derivante dall’inosservanza degli obblighi pattiziamente assunti. L’ente è centro di imputazione di norme giuridiche e pertanto soggetto di imputazione per responsabilità contrattuale.
Come detto, fonti di obbligazione possono essere i contratti di lavoro diversamente stipulati di carattere subordinato o autonomo. I contratti che regolamentano la fornitura di beni o servizi necessari per lo svolgimento della attività. Contrattuale è anche la responsabilità che scaturisce in capo all’ente in virtù delle obbligazioni che assume nei confronti degli utenti ai quali rivolge il servizio.
Il danneggiato per ottenere il risarcimento del danno che asserisce di aver subito, deve principalmente dare prova dell’inadempimento altrui.
Il nostro ordinamento prevede peraltro ipotesi tipiche di responsabilità in cui, prescindendo dall’elemento soggettivo della colpa e quindi dalla condotta
dell’agente, individuano di volta in volta criteri di imputazione, ricercandoli
nell’esercizio di un’attività pericolosa , nella custodia di cose piuttosto che nella proprietà di animali o edifici (…), introducendo presunzioni e principi di responsabilità oggettiva (xxx.xx 2048 CC e ss)
art. 2051, c.c.
2051. Danno cagionato da cosa in custodia. Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito
La responsabilità dell’istruttore sportivo può essere diretta, qualora compia
l’atto che genera il danno; o indiretta ed oggettiva, qualora il fatto illecito venga compiuto da un proprio allievo (Art.lo 2048 CC) nel tempo in cui è sotto la sua vigilanza. Questi può arrecare danni agli altri o a sé medesimo: La presunzione di responsabilità può essere vinta dimostrando di non aver potuto impedire il verificarsi dell’evento pur avendo adottato ogni precauzione possibile.
Le dichiarazioni di esonero di responsabilità, seppur abitualmente utilizzate, sono sostanzialmente inefficaci costituendo generalmente vere e proprie
esimenti negoziali rispetto alla lesione di beni per i quali l’ordinamento prevede l’indisponibilità (art.lo 1229 CC e 5 CC).
La responsabilità di cose in custodia è argomento che può riferirsi all’obbligo di custodia delle strutture, mezzi, macchinari e attrezzature (art.lo 2051 CC - responsabilità oggettiva); ma pure ai beni ed oggetti del cliente/atleta, che il
gestore, l’ente, l’associazione custodiscono momentaneamente e limitatamente al tempo della prestazione sportiva. Ed in questo secondo caso va altresì
distinto il caso in cui i beni vengono portati dal cliente nei locali dell’impianto; dall’ipotesi in cui vengano espressamente consegnati al gestore o ente responsabile dello stesso.
art. 2050, c.c.
2050. Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose. — 1. Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno (c. 16811 , 20541) (1).
2052. Danno cagionato da animali. — 1. Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito (c. 2051).
art. 2053, c.c.
2053. Rovina di edificio. — 1. Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione (c. 1669).
art. 1783, c.c.
1783. Responsabilità per le cose portate in albergo. - Gli albergatori sono responsabili di ogni deterioramento,
distruzione o sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo. Sono considerate cose portate in albergo:
1) le cose che si trovano durante il tempo nel quale il cliente dispone dell'alloggio;
2) le cose di cui l'albergatore, un membro della sua famiglia o un suo ausiliario assumono la custodia, fuori dell'albergo, durante il periodo di tempo in cui il cliente dispone dell'alloggio;
3) le cose di cui l'albergatore, un membro della sua famiglia o un suo ausiliario assumono la custodia sia nell'albergo, sia fuori dell'albergo, durante un periodo di tempo ragionevole, precedente o successivo a quello in cui il cliente dispone dell'alloggio.
La responsabilità di cui al presente articolo è limitata al valore di quanto sia deteriorato, distrutto o sottratto, sino all'equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell'alloggio per giornata.
art. 1784, c.c.
1784. Responsabilità per le cose consegnate e obblighi dell’albergatore La responsabilità dell’albergatore è illimitata:
1) quando le cose gli sono state consegnate in custodia;
2) quando ha rifiutato di ricevere in custodia cose che aveva l’obbligo di accettare.
L’albergatore ha l’obbligo di accettare le carte-valori, il danaro contante e gli oggetti di valore; egli può rifiutarsi di riceverli soltanto se si tratti di oggetti pericolosi o che, tenuto conto della importanza e delle condizioni di gestione dell’albergo, abbiano valore eccessivo o natura ingombrante.
L’albergatore può esigere che la cosa consegnatagli sia contenuta in un involucro chiuso o sigillato.
Breve rassegna giurisprudenziale
- Cass. civ., sez. III, 29-12-2011, n. 29733.
Nell’associazione non riconosciuta la responsabilità personale grava esclusivamente sui soggetti, che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, attesa l’esigenza di tutela dei terzi che, nell’instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti, non potendo il semplice avvicendamento nelle cariche sociali comportare alcun fenomeno di successione del debito in capo al soggetto subentrante, con
l’esclusione di quello che aveva in origine contratto l’obbligazione; ne consegue che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile tra le garanzie ex lege assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli art. 1944 e 1957 c.c.
- Cass. civ., sez. trib., 10-09-2009, n. 19486.
La responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto
dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi; tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa; l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege e chi invoca in giudizio tale responsabilità - pertanto - ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse
dell’associazione, non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente.
- Cass. civ., sez. III, 28-11-2008, n. 28417.
La responsabilità di chi ha agito in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta non si trasmette in capo al soggetto che subentra nelle cariche sociali (nella specie, la corte ha ritenuto la sussistenza della responsabilità del
precedente rappresentante dell’ente, con riferimento ad un contratto di locazione dallo stesso concluso in nome e per conto dell’associazione, non assumendo alcun rilievo le vicende successive del contratto).
- Cass. civ., sez. trib., 10-09-2009, n. 19486.
Il principio secondo il quale la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto
dell’associazione non riconosciuta ai sensi dell’art. 38 c.c., non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza formale dell’associazione ma si fonda sull’attività negoziale concretamente svolta e sulle obbligazioni assunte verso i terzi che hanno confidato sulla solvibilità e sul patrimonio di chi ha concretamente agito, si applica anche ai debiti di natura tributaria.
- T. Cagliari, 27-06-2006.
In mancanza di ogni forma di pubblicità sui poteri di rappresentanza degli organi delle associazioni non riconosciute, per i terzi, ai quali sia obiettivamente impossibile verificare i poteri rappresentativi della controparte, non può che operare il principio dell’apparenza, in base al quale il convincimento, non derivante da errore colpevole, di trovarsi in presenza di persona legittimata ad impegnare l’associazione è sufficiente alla valida stipulazione del contratto ed al sorgere delle conseguenti obbligazioni sia per il soggetto stipulante sia per l’associazione non riconosciuta, secondo quanto stabilito dall’art. 38 c.c.
- Cass. civ., sez. III, 17-01-2008, n. 858.
In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, prevista dall’art. 38 c.c. in aggiunta a quella del fondo comune è volta a contemperare
l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente con le esigenze di tutela dei creditori e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, precisandosi, in ogni caso, che detta norma si riferisce ad obbligazioni assunte nei confronti dei terzi da persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione; ne consegue che l’annunciato è legittimato a proporre azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dei responsabili dell’associazione per omessa custodia riconducibile all’art. 2051 c.c. (nella specie, la suprema corte, sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il motivo proposto dai ricorrenti gestori di una palestra evocati in giudizio da un associato a titolo di responsabilità per omessa custodia cui era conseguito un suo infortunio, sul corretto presupposto indicato nella sentenza impugnata alla stregua del quale il danneggiato aveva agito sulla base di una responsabilità extracontrattuale nei confronti dei predetti gestori quali titolari dell’associazione in relazione all’omesso controllo sulla sicurezza degli attrezzi in uso nella palestra).
- Cass. civ., sez. III, 26-07-2001, n. 10213.
La responsabilità aquiliana per fatto illecito di un’associazione non riconosciuta chiamata a rispondere con il proprio fondo comune (art. 37 c.c.) si fonda sul rapporto organico e sul generale principio che rende responsabili le persone fisiche e gli enti giuridici per l’operato dannoso di coloro che sono inseriti nell’organizzazione burocratica o aziendale.
- X. Xxxxxxxxxx, 20-09-2010.
Sul gestore dell’impianto sciistico grava un obbligo di garanzia, che gli impone di predisporre le cautele necessarie a rendere sicura la pista da sci, in modo che non presenti pericoli per i soggetti terzi che con essa vengono in contatto; il gestore ha quindi l’obbligo protettivo ed accessorio di manutenere la pista garantendo l’incolumità degli sciatori anche in occasione della stipula di un contratto di skipass, considerando il contratto atipico di skipass più ampio nelle sue funzioni rispetto a quello tipico di trasporto.
- Cass. civ., sez. III, 30-01-2009, n. 2482.
La gestione di un ippodromo non costituisce necessariamente un’attività pericolosa, ma può diventarlo solo in
determinati casi, come nell’ipotesi in cui sia funzionale all’esercizio di scuole di equitazione od all’organizzazione di gare ippiche; ne consegue che il gestore di un ippodromo non può essere ritenuto responsabile ipso facto per i danni conseguenti ai rischi insiti nell’attività del cavalcare, e che per tale genere di rischi la sua responsabilità va esclusa in tutti i casi in cui risulti che abbia adottato i mezzi idonei per far sì che la suddetta attività si svolga senza rischio (nella specie, era accaduto che un cavallo il quale percorreva l’ippodromo al galoppo, incrociando un altro animale che
percorreva l’adiacente pista riservata al trotto, aveva avuto una brusca ed imprevista reazione, che lo aveva portato a cozzare violentemente contro lo steccato che separava le due piste, perdendo la vita; la suprema corte ha ritenuto
corretta la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità dei gestore dell’impianto per la morte dell’animale).
- X. Xxxxxx, 01-07-2004.
Nel caso di impianto pubblico concesso in gestione ad un privato (nella specie, una piscina di proprietà comunale), l’ente pubblico proprietario non può ritenersi esonerato dall’obbligo di custodia e di vigilanza sullo stato di
conservazione e di efficienza delle relative strutture, ed è quindi configurabile una sua responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., concorrente con quella del gestore dell’impianto, verso i terzi danneggiati.
- X. Xxxxxxxx, 01-06-2010.
AVVOCATO XXXXXX XXXXXX
Viale dei Mille, 73 – 50131 Firenze - Tel/fax 000000000 – 3356578044 xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxx.xx - xxxxxx.xxxxxx@xxxxxxx.xxxxxxxxxxx.xx
In tema di lesioni cagionate nel contesto di un’attività sportiva, non dà luogo a responsabilità civile l’intervento
commesso da un calciatore ai danni di un avversario se è finalizzato all’attuazione del gioco e non è di durezza tale da comportare la prevedibilità di un serio pericolo all’altrui incolumità (nella specie, l’attore era stato colpito con un
calcio al volto dal convenuto che cercava di intercettare un lungo spiovente, intervento non sanzionato dall’arbitro).
- X. Xxxxxx, 04-05-2000.
La società sportiva ha l’obbligo di garantire con mezzi organizzativi idonei l’incolumità fisica degli allievi e deve,
pertanto, organizzare i corsi vigilando sull’attività degli istruttori e sull’andamento delle lezioni, al fine di impedire che vengano superati i confini del rischio connaturato all’attività sportiva stessa (nella specie, si è dichiarata la
responsabilità a titolo contrattuale della società sportiva, avente ad oggetto l’esercizio del karate, per le lesioni subite da un’allieva che, invitata durante una lezione a partecipare ad una lotta con una cintura nera, subiva una mossa, detta gancio, che le cagionava la rottura del menisco).
- T. Roma, 04-04-1996.
È colposa la condotta dell’atleta che, in occasione di un incontro sportivo di scherma, cagioni lesioni fisiche all’altro
contendente, trascendendo i limiti dati dal carattere di mera esibizione della gara ed imprimendo all’arma una forza di penetrazione anomala ed eterodossa rispetto a detto tipo di competizione; contribuisce colposamente alla
verificazione dell’evento, ai sensi dell’art. 1227 c.c., la condotta del danneggiato, che prende parte all’incontro in condizioni di minorata protezione.
- Cass. pen. Sez. IV, 20/09/2011, n. 18798 (rv. 253918
Lesione personale e percosse
REATO - Elemento soggettivo - Colpa - In genere - Gestore di impianto sportivo - Adozione delle cautele per preservare l'incolumità fisica degli utenti - Posizione di garanzia - Responsabilità - Fattispecie
In tema di lesioni colpose, il gestore di un centro sportivo è titolare di una posizione di garanzia, che gli impone di adottare le necessarie cautele per preservare l'incolumità fisica degli utilizzatori, provvedendo alla manutenzione delle infrastrutture e delle attrezzature. (Fattispecie nella quale la causa delle lesioni patite da un calciatore é stata individuata nella collocazione di una rete di recinzione a distanza troppo ravvicinata dal fondo campo, nella mancata adozione di accorgimenti volti a fissarla al cordolo posto alla sua base e a schermare quest'ultimo con materiale idoneo ad assorbire gli urti degli atleti in corsa). (Annulla ai soli effetti civili, Trib. Milano, 01/03/2010)
- Giudice di pace Frosinone, 26/04/2001 RESPONSABILITA' CIVILE
Genitori, tutori, precettori e maestri d'arte
L'amministrazione scolastica è responsabile dei danni riportati da un'autovettura parcheggiata nel piazzale antistante alla scuola, per effetto di una pallonata scagliata da un alunno che, durante lezione di educazione fisica, giocava a calcetto nella palestra all'aperto, recintata con rete metallica alta cinque metri.
- Trib. Bassano del Grappa, 13/06/2011
RESPONSABILITA' CIVILE
Cosa in custodia
In merito all'infortunio occorso all'attore che nel corso di una partita di calcetto, al fine di recuperare la palla incastratasi tra le tubazioni dell'impianto di riscaldamento e quelle della tensostruttura, abbia alzato il braccio e compiendo un balzo in alto, sia rimasto impigliato con l'anello che portava all'anulare della mano sinistra su una vite del collare di sostegno dell'impianto di riscaldamento, procurandosi la sguotamento del 4° dito della mano sinistra, non sussiste la responsabilità del centro sportivo ai sensi dell'art. 2051 c.c. Essa opera in virtù della relazione diretta tra la cosa e l'evento dannoso nonché dell'esistenza di un effettivo potere fisico del soggetto sulla cosa e quindi in conseguenza della violazione dell'obbligo di vigilanza imposto sul custode al fine di tenere la cosa sotto controllo ed impedire il verificarsi di qualsiasi pregiudizio per i terzi, nel caso di specie non può ravvisarsi alcun nesso di causalità tra la presenza della vite e l'infortunio occorso all'attore. Nel caso di specie l'evento dannoso è da ritenersi imputabile unicamente alla condotta imprudente di quest'ultimo il quale non solo ha tentato di recuperare la palla autonomamente in un luogo non interessato dal gioco del calcetto approfittando della sua elevata altezza ma nell'attuare detta iniziativa, indossava la fede nuziale poi impigliatasi nella vite.
- Trib. Xxxxxxx, 18/04/2002 RESPONSABILITA' CIVILE
Nesso di causalità
Il gestore di un impianto sportivo e l'organizzatore della gara non rispondono dei danni subiti da un atleta (nella specie, calciatore colpito al volto da una pallonata), a meno che l'infortunato non deduca e dimostri che il danno è stato causato (o concausato) dalle concrete modalità di organizzazione o gestione dell'impianto, dalla mancanza di misure di sicurezza, o dal ritardo nell'intervento di sanitari.
- Trib. Mantova Sez. I, 24/02/2012
ASSICURAZIONE (CONTRATTO DI)
La mancata stipulazione della polizza assicurativa in favore dell'utente di impianto sportivo da parte del gestore comporta l'obbligo per quest'ultimo di risarcire il danno nei confronti di colui che, in conseguenza di un incidente di gioco, abbia subito un danno biologico atteso che siffatta omissione ha privato l'infortunato della unica chance di poter ottenere un adeguato ristoro economico.
- Trib. Monza, 16/04/2004
RESPONSABILITA' CIVILE
Colpa in genere
Sussiste in capo al gestore di un impianto sportivo una responsabilità sia di natura contrattuale, in caso di uso oneroso dell'impianto, sia aquiliana ex art. 2043 c.c., se ha omesso colposamente di predisporre adeguati strumenti di protezione, sia presuntiva ex art. 2051 c.c., in quanto custode dell'impianto (nella fattispecie, durante una partita di calcetto un giocatore, cadendo sul campo da gioco, aveva urtato un lampione dell'illuminazione posto a ridosso della reti di recinzione, riportando lesioni).