Contract
IL PAGAMENTO DEL PREZZO NELL’APPALTO
THE PAYMENT OF THE PRICE IN THE CONTRACT
Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 20, febrero 2024, ISSN: 2386-4567, pp. 418-447
Xxxxxxx XXXXXXXX
ARTÍCULO RECIBIDO: 00 xx xxxxxxxxx xx 2023 ARTÍCULO APROBADO: 12 de enero de 2024
RESUMEN: L’applicazione della disciplina dell’appalto quando il corrispettivo è diverso dal denaro discende da un giudizio di compatibilità da condurre caso per caso. Se, invece, il corrispettivo manca del tutto, si può riconoscere nell’appalto una causa liberale ed esso può essere assoggettato alle regole delle donazioni indirette; ma va anche considerata la eventuale operatività della disciplina delle obbligazioni naturali o dell’arricchimento ingiustificato. In ogni caso, la specificazione del prezzo dell’appalto non costituisce elemento essenziale dell’accordo tra le parti, giacché la legge preordina congrui criteri per la sua determinazione a posteriori.
PALABRAS CLAVE: Prezzo; donazione; obbligazione naturale; arricchimento ingiustificato; alea.
ABSTRACT: The application of the contract discipline when the consideration is different from money derives from a compatibility judgment to be conducted on a case-by-case basis. If, on the other hand, the consideration is completely missing, a liberal cause can be recognized in the contract and it can be subjected to the rules of indirect donations; but the possible effectiveness of the regulation of natural obligations or unjustified enrichment must also be considered. In any case, the specification of the contract price does not constitute an essential element of the agreement between the parties, since the law pre-establishes suitable criteria for its determination a posteriori.
KEY WORDS: Price; donation; natural obligation; unjustified enrichment; alea.
SUMARIO.- I. L’APPALTO COME CONTRATTO ONEROSO.- II. APPALTO GRATUITO E DONAZIONE INDIRETTA.- III. APPALTO, OBBLIGAZIONI NATURALI E ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA.- IV. LA DETERMINAZIONE DEL CORRISPETTIVO.- V. CONTRATTO NON ALEATORIO.
I. L’APPALTO COME CONTRATTO ONEROSO.
L’appalto ha carattere tipicamente oneroso: l’obbligazione del committente, indicata dall’art. 1655 c.c., consiste nella corresponsione di un corrispettivo in denaro.
Ne deriva che se le parti convengono un corrispettivo diverso, consistente nella dazione di beni differenti dal denaro o nell’assunzione di un’obbligazione di facere, si pongono al di fuori dello schema tipico predisposto dal legislatore1; ciò non esclude che la disciplina dell’appalto possa trovare applicazione, ma soltanto dopo aver superato un vaglio di compatibilità con la fattispecie concreta e alla luce dell’economia complessiva del rapporto giuridico instauratosi.
Si tratta pur sempre di appalto, in verità, sia quando al denaro sia aggiunta, come corrispettivo, una cosa in natura che non costituisca la parte maggiore del compenso sia quando l’appaltatore accetti, in sostituzione del danaro, un bene in natura2.
Il prezzo dell’appalto costituisce un debito di valuta ed è quindi insuscettibile di adeguamento a seguito di svalutazione monetaria3. In quanto obbligazione di
1 CAGNASSO: “Il contratto di appalto”, in Contratti commerciali a cura di Xxxxxxx, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ, diretto da Xxxxxxx, XVI, Padova, 1991, p. 665; XXXXXXXXXXXX: L’appalto2, in Trattato dir. civ. comm., diretto da A. CICU-X. XXXXXXXX-X. XXXXXXX, continuato da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 109 ss.; ALBANESE: L’appalto, in Tratt. dir. comm. fondato da X. Xxxxxxxx, xxx. xx X. XXXXX, Xxxxxx, 0000, p. 39 ss.; XXXXXX: L’appalto4 , con aggiornamenti di MOSCATI, in Trattato di diritto civile, diretto da X. XXXXXXXX, VII, 3, Torino, 1980, p. 177; XXXXXX: “Appalto (contratto di)”, Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 636; VIGNALI: “Formazione del corrispettivo”, in L’appalto privato, a cura di COSTANZA, Torino, 2000, p. 213.
2 Diversamente GIANNATTASIO: L’appalto2, cit., p. 114 s., secondo il quale il compimento di un’opera o di un servizio contro corrispettivo di cosa diversa dal denaro non sarebbe appalto, ma un contratto innominato che, con l’appalto, presenta soltanto alcune affinità.
3 Cass., 14 luglio 1983, n. 4814, in Giust. civ. Mass., 1984: “La domanda dell’appaltatore, diretta alla quantificazione ed al pagamento del corrispettivo dovuto dal committente, a norma dell’art. 1657 c. c., investe un’obbligazione avente ad oggetto originariamente la prestazione di una somma di denaro, determinabile dal giudice, e, quindi, un debito di valuta; ne consegue che la sopravvenuta svalutazione monetaria non può comportare l’adeguamento automatico di detto credito dell’appaltatore, effettuabile anche d’ufficio ed in grado d’appello (come nel caso dei debiti di valore), ma può solo implicare il riconoscimento di un maggior danno, ai sensi dell’art. 1224 2° comma c. c., a condizione che il creditore stesso ne abbia fatto espressa domanda, e che tale domanda, in quanto autonoma rispetto a quella rivolta all’adempimento, sia stata tempestivamente proposta nel giudizio di primo grado”. Cass., 8 aprile 1999, n. 3393, in Urbanistica e appalti, 1999, p. 1094: “L’obbligo del committente di pagare all’appaltatore il cosiddetto prezzo dell’appalto, ossia il corrispettivo della sua prestazione, traendo la sua origine dal contratto d’appalto, si configura come debito
• Xxxxxxx Xxxxxxxx
Professore Associato dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. E-mail: x.xxxxxxxx@xxxxx.xx
natura pecuniaria, essa deve adempiersi al domicilio del creditore (art. 1182, 3° comma, c.c.), presso il quale va, pertanto, radicato il forum destinatae solutionis, al fine della competenza per territorio prevista dall’art. 20 c.p.c.4
A differente soluzione deve però pervenirsi allorquando il prezzo dell’appalto non sia determinato (come consentito, senza che ne consegua nullità, dall’art. 1657 c.c.: v. par. 4).
Infatti, il citato 3° comma dell’art. 1182 c.c. si applica nel caso in cui l’obbligazione abbia per oggetto una somma di danaro già determinata nel suo ammontare (oltre che nel caso in cui il credito in denaro sia determinabile solo in base a un semplice calcolo aritmetico e non si renda necessario procedere a ulteriori accertamenti - essendo già noti e determinati dalle parti dalla legge, dai contratti collettivi o dagli usi gli elementi per stabilire l’ammontare della somma dovuta). Quando, invece, al di fuori di tali ipotesi la somma di denaro debba essere ancora liquidata dalle parti o, in loro sostituzione, dal giudice mediante indagini diverse dal semplice calcolo aritmetico, trova applicazione il 4° comma dell’articolo, secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che ha il debitore al tempo della scadenza. Il forum destinatae solutionis, in questi casi, è quindi quello del domicilio del committente al tempo della scadenza5.
Il prezzo viene corrisposto secondo il principio della postnumerazione: il diritto al pagamento non sorge dalla stipulazione del contratto, ma da quando l’opera è stata accettata dal committente, ex art. 1665, ult. xxxxx, c.c. (salvo che nel contratto non sia stato fissato un diverso termine). D’altronde, è solo da quel momento che il committente sa di aver conseguito il risultato oggetto dell’obbligazione dell’appaltatore, avendo constatato la regolare esecuzione6.
di valuta, senza che tale natura muti nel caso di revisione del prezzo originariamente pattuito, sia per fatti non imputabili al committente, sia per le variazioni del progetto che egli ha la facoltà di disporre in corso d’opera, giacché il compenso supplementare per le maggiori spese derivanti dalla modifica del progetto in corso d’opera è dovuto all’appaltatore a titolo di corrispettivo contrattuale e non a titolo di indennità da atto lecito o di risarcimento del danno”.
4 Cass., 26 agosto 1985, n. 4527, Mass. Foro it., 1985; Cass., 24 marzo 1981, n. 1713, Mass. Giur. it., 1981: «In tema di obbligazione avente per oggetto una somma di denaro che, ai sensi del 3° comma dell’art. 1182 c. c., deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza, ai fini della competenza per territorio con riguardo al forum destinatae solutionis, occorre far riferimento non al rapporto tra le parti considerato nella sua interezza, bensì alla specifica prestazione che forma oggetto della pretesa, dovendosi determinare la competenza stessa esclusivamente in base al contenuto della domanda giudiziale, ex art. 5 c.p.c.».
5 Cass., 25 marzo 1995, n. 3538, Mass. Foro it., 1995.
6 Cass., 14 ottobre 1998, n. 10141, Giust. civ., 1999, I, p. 1061, ha affermato che il diritto dell’appaltatore al corrispettivo non sorge al momento della stipulazione del contratto, ma solo dopo e a causa dell’esecuzione (totale o parziale, secondo le specifiche previsioni) dei lavori; ne consegue che, in ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, il diritto di credito vantato dall’appaltatore quale corrispettivo del contratto d’appalto non può comprendersi tra i beni esistenti nel patrimonio del debitore “alla data della proposta di concordato” ove a quella data risulti soltanto stipulato il contratto di appalto, atteso che la stipula di detto contratto non è di per sé sufficiente per l’insorgenza del diritto di credito dell’appaltatore, occorrendo il verificarsi dell’ulteriore presupposto dell’esecuzione dei lavori successivamente alla stipula di detto contratto.
Di norma, tuttavia, l’onere economico a carico dell’appaltatore che deriva dal principio della postnumerazione è alleggerito, nel contratto di appalto, con la previsione del versamento di acconti in corso d’opera.
Tali pagamenti parziali non hanno carattere di solutio, perché risulta, argomentando ex art. 1665 c.c., che non può esservi adempimento da parte del committente che ad opera ultimata e accettata.
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità evidenzia che «la previsione nel contratto di appalto del diritto al pagamento di acconti sul corrispettivo e della periodica esigibilità di essi sulla base della constatazione, misurazione e contabilizzazione dei lavori eseguiti fatta direttamente dalle parti, o in contraddittorio con il direttore dei lavori che rappresenti una di esse, e certificata in “stati di avanzamento”, non integra né sostituisce la verifica dell’opera che, a norma dell’art. 1665 c.c., il committente ha diritto di eseguire dopo la sua ultimazione. Gli stati di avanzamento ed il pagamento e la riscossione degli acconti non comportano, quindi, alcuna preclusione al diritto delle parti di provare, in caso di controversia, che sono state eseguite quantità di lavori diverse da quelle in questi certificati e di pretendere una diversa liquidazione dei lavori in base ai prezzi convenuti», in quanto, “anche quando siano stati formati con il concorso del committente o di persona da lui incaricata, gli stati di avanzamento non possono costituire perciò prova legale, in favore dell’appaltatore e contro il committente, del fatto che il primo ha eseguito, nelle misure in essi indicate e per i prezzi liquidati, i lavori di cui si dichiara constatata l’esecuzione”. Precisa altresì la stessa sentenza che gli stati di avanzamento approvati dal committente “possono essere considerati prova del diritto dell’appaltatore, se il committente non dimostri che nei fatti, per quantità di lavori eseguiti e prezzi applicati, l’opera eseguita è difforme da quella che da tali atti complessivamente risulta”7.
Il prezzo può essere pagato a corpo (o à forfait o per aversionem) o a misura (o “a prezzi unitari”): nel primo caso, è fissato globalmente in via preventiva, sicché conviene che l’opera da compiere sia determinata con particolare cura; nel secondo caso, è corrisposto in base a ogni unità di misura della prestazione (tanto per metro cubo o per ogni ambiente costruito o per chilometro, ecc.), e pertanto l’entità totale dell’opera viene indicata per approssimazione.
Quando il corrispettivo sia stato fissato a misura, il prezzo globale varia col variare della quantità dell’opera ed è quindi pienamente determinabile soltanto ad opus compiuto. Talvolta, però, si preferisce concordare la misura massima del
7 Cass., 4 gennaio 2011, n. 106, Bollett. legisl. tecnica, 2011; per i giudici di merito, di recente, Trib. Trieste, 9 ottobre 2021, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
costo dell’opera e, con tale xxxxxxxx, si finisce con uniformare parzialmente la previsione del pagamento a misura a quella del pagamento a corpo8.
Quando il corrispettivo sia stato fissato a corpo e non a misura, il prezzo viene determinato in una somma fissa e invariabile che non può subire modifiche, se non giustificate da variazioni in corso d’opera9.
Qualora dal contratto non risulti con chiarezza la modalità di fissazione del prezzo, possono essere utilizzati elementi indiziari: se a esso si sia fatto riferimento sempre in via complessiva, onnicomprensiva e senza riferimento a prezzi unitari per unita di misura, si può ritenere che le parti abbiano voluto un appalto à forfait e non a misura.
Come noto, il codice prevede modificazioni dell’opera appaltata, distinguendo, soprattutto ai fini del corrispettivo che può chiedersi dall’appaltatore, tra variazioni autorizzate (concordate) dal committente (art. 1659 c.c.) e variazioni da questi ordinate (art. 1661 c.c.). Per le prime, è riconosciuto un compenso all’appaltatore quando si tratti di appalti a misura (come si argomenta a contrario dall’art. 1659 c.c.), mentre è escluso per gli appalti a corpo o à forfait. Per le altre variazioni, l’appaltatore ha diritto a compenso supplementare (sempre che esse abbiano importato un maggior costo rispetto alle opere inizialmente commesse) anche se il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente (a corpo), e non a misura10.
La previsione del pagamento a corpo consente di escludere un errore essenziale (riconoscibile e determinante) dell’appaltatore fondato sull’inesatta indicazione, ad esempio, dei metri cubi da realizzare, in quanto tale ultima circostanza determina semmai un allargamento del rischio per l’appaltatore (pur rimanendo nell’alea normale del tipo di contatto) ed è destinata a essere assorbita, soltanto, attraverso il meccanismo della revisione dei prezzi ex art. 1664 c.c. Ciò significa che quando il corrispettivo è stato fissato a corpo, la sua revisione è possibile solo per fatti imprevedibili al momento della conclusione del contratto11.
8 Lodo arb., 18 ottobre 1963, Rass. Avv. stato, 1964, I, p. 663, ha considerato appalto a corpo quello in cui il richiamo a prezzi unitari aveva mero valore di traccia indicativa delle modalità di formazione del prezzo globale.
9 Sicché, nel caso di parziale inadempimento dell’appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo, con la conseguenza che da questo va detratto il costo dei lavori non eseguiti e non va invece calcolato il costo di quelli realizzati (Cass., Ord., 20 agosto 2019, n. 21517, CED Cassazione, 2019; Sito Il xxxx.xx, 2019; App. Milano, 3 agosto 2021, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx). Ammette la clausola che preveda una retribuzione a percentuale Cass., 22 aprile 1974,
n. 1146, Giust. civ. Mass., 1974.
10 Cfr. Cass., 27 aprile 1968, n. 1331, Mass. Giur. it., 1968.
11 Cass., 21 gennaio 2011, n. 1494, Mass. Foro it., 2011; Trib. Milano, 17 ottobre 2011, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx: “Quando il corrispettivo sia stato determinato a corpo e non a misura, l’appaltatore non può invocare la revisione dei prezzi, di cui all’art. 1664 c.c., per le variazioni di costo intervenute in corso di esecuzione e dipendenti da fattori che al momento della stipula del contratto potevano essere preveduti; quando, invece, gli aumenti siano dipesi da fattori del tutto imprevedibili al momento della stipula del contratto, la revisione
Analogamente, nel caso di appalto a corpo, l’eventuale difformità tra il prezzo globale e quello ottenuto applicando i prezzi unitari alle quantità previste dal computo metrico non dà luogo ad un errore di calcolo nel senso di errore materiale rettificabile, ai sensi dell’art. 1430 c.c., poiché ciò che conta è solo il prezzo finale che, quando è accettato, è vincolante per l’appaltatore. Il richiamo ai prezzi unitari e ai calcoli contenuti nel computo metrico ha valore di semplice traccia indicativa delle modalità di formazione del prezzo globale che è destinata a restare fuori dal contenuto del contratto12.
Ad ogni modo, quando il prezzo è determinato a corpo, è bene che le opere da eseguire siano descritte con maggiore rigore rispetto all’ipotesi di un’opera a misura, in maniera tecnica e dettagliata al fine di consentire alle parti un’esatta individuazione delle qualità e delle quantità dei lavori da svolgere. In mancanza, in specie laddove gli elaborati tecnico-progettuali siano lacunosi, v’è il rischio che si determini un vizio genetico del contratto che lo renda passibile di nullità per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1418 c.c.13
Può anche accadere che una parte o singole parti dell’opera abbiano una autonomia funzionale ed economica e che, comunque, formino oggetto di autonoma consegna, sebbene rientranti nell’oggetto generale del contratto. L’art. 1666 c.c. prevede l’ipotesi della verifica compiuta su una parte avente la consistenza di “partita”, e diretta a chiudere i rapporti relativi alla medesima. L’appalto di opera da eseguire per partite postula che l’opera sia scomponibile per volontà delle parti (esplicita o implicita) in frazioni, dotata ciascuna di una propria individualità e autonomia in fase di esecuzione. In questo caso, l’appaltatore ha il diritto di domandare il pagamento in proporzione dell’opera eseguita.
I pagamenti che il committente faccia delle singole partite ricevute, allora, non hanno il carattere di semplici anticipazioni sul prezzo dell’appalto, ma importano adempimento parziale dell’obbligazione del committente14.
La ratio specifica di detta norma è del tutto evidente ed è volta a evitare la possibilità di contestazione per un tempo indefinito delle consegne di beni o servizi oggetto di contratti di appalto che, di norma, si protraggono nel tempo, il che inciderebbe negativamente sulla celerità, la facilità e la buona fede negli scambi.
dei prezzi è dovuta anche nell’appalto con corrispettivo a corpo, a meno che le parti, nell’esercizio della loro autonomia, non vi abbiano inequivocabilmente rinunciato”.
12 Cfr. Cass., 7 giugno 2012, n. n. 9246, Mass. Foro it., 2012.
13 Come successo in Trib. Mantova, 23 gennaio 2006, Contratti, 2006, p. 916, con nota di GAETA.
14 XXXXXX: “Xxxxxxx (xxxxxxxxx xx)”, xxx., x. 000. Cass., 9 settembre 2003, n. 13132, Arch. civ., 2004, p. 904; in Gius, 2004, p. 632: l’art. 1666 c.c., comma 2°, si riferisce specificamente ai contratti di appalto di opere da eseguire per partite nei quali sia la verifica che il pagamento sia l’accettazione della (parte di) opera riguardano le singole partite delle quali, una volta avvenuto il pagamento da parte del committente, si presuma l’accettazione senza riserve da parte di costui del lotto consegnato.
Tale ipotesi non è però configurabile nel caso in cui le parti abbiano previsto un sistema rateale di pagamento del prezzo mediante acconti correlati alla graduale esecuzione dell’opera, con la conseguente impossibilità di ritenere la constatazione di ciascuno stato di avanzamento dei lavori equivalente alla verifica delle singole partite ai sensi dell’art. 1666 c.c.15
Una tale previsione non incide sulla indivisibilità dell’obbligazione. Si ritorna, al contrario, alla fattispecie generale e la verifica parziale dell’opera appaltata, in corso di esecuzione, non libera l’appaltatore e non osta a che il committente, in sede di verifica finale e di collaudo, possa far valere i vizi e le difformità anche per le parti già verificate durante i lavori, al fine di conseguire l’eliminazione dei vizi e delle difformità stesse, o la proporzionale riduzione del prezzo, ovvero, ove l’opera sia del tutto inadatta alla sua destinazione, la risoluzione del contratto (art. 1668 c.c.)16.
L’appaltatore, quando agisce in giudizio per ottenere il corrispettivo e questo è controverso, ad esempio perché è stato parzialmente simulato in sede di contrattazione, ha l’onere di fornire la prova della congruità del prezzo, alla stregua della natura, dell’entità e della consistenza delle opere; come visto supra, non costituiscono idonee prove dell’ammontare del credito le fatture da lui emesse17.
Inoltre, l’applicazione all’appalto del principio generale che governa la condanna all’adempimento in materia di contratto con prestazioni corrispettive comporta che l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo abbia l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte.
Viceversa, la domanda di condanna del committente al pagamento non può essere accolta nel caso in cui quest’ultimo contesti l’adempimento dell’appaltatore e tale contestazione risulti fondata, non rilevando in tale contesto che l’inadempimento dell’appaltatore abbia scarsa importanza: a tale nozione, l’art. 1455 c.c. fa riferimento come limite alla domanda di risoluzione del contratto e non a quella volta a ottenere il suo adempimento, stante l’esigenza di prevedere l’operatività del rimedio della risoluzione solo nel caso in cui il comportamento di una parte produca un effettivo pregiudizio all’interesse della parte non inadempiente, alterando il sinallagma funzionale. Qualora il committente eccepisca l’inadempimento dell’appaltatore, spetta a quest’ultimo, che agisca in giudizio
15 Cass., 18 agosto 1993, n. 8752, Mass. Giur. it., 1993.
16 Cass., 4 ottobre 1978, n. 4408, Mass. Giur. it., 1978.
17 Cass., Ord., 19 ottobre 2018, n. 26517, Mass. Foro it., 2018; Cass., 11 maggio 2007, n. 10860, ivi, 2007; Cass.,
21 maggio 1999, n. 4955, ivi, 1999.
per ottenere il pagamento del corrispettivo, provare l’esatto adempimento della propria obbligazione18.
Dalla natura di contratto a prestazioni corrispettive deriva quindi che il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera, invocando l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive19.
Ma vale anche l’inverso: in caso di inadempimento del committente alla sua obbligazione di pagare, in corso d’opera, gli acconti pattuiti, l’appaltatore può sospendere l’esecuzione dei lavori ex art. 1460 c.c.
A tal fine, non è necessario che quello dell’appaltatore o del committente sia un inadempimento grave: la riduzione, sovente operata nella pratica, dell’art. 1460 c.c., tale che l’eccezione di inadempimento sarebbe conforme a buona fede soltanto se sollevata a fronte di un inadempimento grave, è criticabile. Questa norma non fa alcun riferimento, infatti, a quella «gravità» che è invece richiesta dall’art. 1455
c.c. al fine di legittimare la risoluzione del contratto. L’eccezione di inadempimento ha la funzione di sospendere l’obbligazione di eseguire la propria prestazione finché non sia cessato l’inadempimento altrui; essa non ha alcun effetto risolutivo del contratto. L’effetto liberatorio del debitore si produce con la domanda di risoluzione. Mentre dunque la risoluzione scioglie il contratto e distrugge le relative obbligazioni, l’eccezione si limita a sospendere temporaneamente l’obbligazione della parte che eccepisce. Questa diversità sostanziale impedisce di equiparare i requisiti di due strumenti che hanno finalità distinte: è comprensibile che occorra un inadempimento grave (e per l’appalto, ai sensi dell’art. 1668 c.c., persino che l’opera sia del tutto inadatta alla sua destinazione) al fine di domandare la risoluzione; non si vede invece perché, al fine di sospendere momentaneamente la propria prestazione, non debba essere sufficiente il mancato inizio o il mancato rispetto dell’attività preparatoria e/o esecutiva della controparte.
D’altronde, il rifiuto di eseguire la propria prestazione ex art. 1460 c.c. non contrasta con i principi di buona fede e correttezza, quando l’inadempimento della controparte sia in grado di “menomare la fiducia sul corretto adempimento del contratto”20.
18 Trib. Milano, 18 luglio 2013, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx; Cass., 13 febbraio 2008, n. 3472, Foro pad., 2008, I, c. 287. Specificamente sull’onere probatorio: Cass., Ord., 4 gennaio 2019, n. 98, Mass. Foro it., 2019.
19 Trib. Ascoli Xxxxxx, 28 gennaio 2020, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx: il corrispettivo dell’opera deve essere pagato alle scadenze contrattuali ovvero, in difetto di pattuizione, quando l’opera sia accettata dal committente, sicché è da tale momento che decorrono per l’appaltatore gli interessi sulle somme dovutegli. Peraltro, il corrispettivo diviene inesigibile se vengono riscontrati nell’opera difetti legittimanti l’exceptio inadimpleti contractus: tale inesigibilità si protrae finché i vizi non vengano eliminati, ovvero il committente non opti per la riduzione del corrispettivo.
20 Cass., 18 marzo 1999, n. 2474, Mass. Giust. civ., 1999.
In sede di valutazione comparativa delle condotte delle parti, non si può avere riguardo alle sole obbligazioni principali dedotte in contratto (il pagamento del compenso, per il committente, ed il compimento dell’opera, per l’appaltatore), ma anche a quelle di collaborazione, di protezione, di informazione, ecc. Il principio che sorregge l’eccezione inadimpleti contractus, infatti, trae fondamento dal nesso di interdipendenza che nei contratti a prestazioni corrispettive lega le opposte obbligazioni e prestazioni nell’ambito di un rapporto sinallagmatico il cui contenuto, indipendentemente da esplicite previsioni negoziali, è correlato all’obbligo di correttezza delle parti (art. 1175 c.c.), esteso alle cosiddette obbligazioni collaterali.
Va tuttavia ricordato che lo stesso art. 1460 c.c. esclude che nei contratti con prestazioni corrispettive, ove sia pattiziamente prevista la diversità dei termini di adempimento, il contraente tenuto per primo alla prestazione e resosi inadempiente possa giovarsi dell’exceptio inadimpleti contractus (salva l’ipotesi del pericolo di perdere la controprestazione) 21.
II. APPALTO GRATUITO E DONAZIONE INDIRETTA.
Se il corrispettivo manca del tutto, si può riconoscere nell’appalto una causa liberale, purché sussistano gli elementi oggettivi dell’impoverimento e dell’arricchimento e quello, soggettivo, dell’animus donandi22.
Infatti, se l’appalto importa l’acquisto di un bene a favore del committente, costituisce una donazione indiretta ai sensi dell’art. 809 c.c.
Può accadere che l’appaltatore, per rapporti di parentela o di amicizia nei confronti del committente, esegua gratuitamente l’appalto: in tal caso, sono ovvi sia l’arricchimento del committente, sotto forma di risparmio di spesa, sia
21 Cass., Ord., 26 novembre 2013, n. 26365, CED Cassazione, 2013; Cass., 16 gennaio 1997, n. 387, Mass. Giur. it., 1997; Trib. Trani, 20 marzo 2018, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx. Pertanto, “qualora in un contratto di appalto le parti abbiano previsto il versamento di acconti sul corrispettivo in favore dell’appaltatore subordinati solo al decorso dell’unità di tempo prevista o alla contabilizzazione da parte della direzione dei lavori della quantità di prestazioni previste nel contratto, e non anche alla accettazione dei lavori fino a quel momento eseguiti, le singole obbligazioni di pagamento a carico del committente non sorgono contestualmente alla obbligazione dell’appaltatore all’esatto adempimento, che ha come termine di adempimento unico quello della consegna dell’opera compiuta; ne consegue che il committente inadempiente all’obbligazione di corrispondere i singoli acconti non può fondatamente avvalersi dell’eccezione di inadempimento” (Cass., 28 agosto 2002, n. 12609, Arch. civ., 2003, p. 668, e Gius, 2003, p. 152). L’eccezione d’inadempimento, “è opponibile anche alla parte che debba adempiere entro un termine diverso e successivo, a fronte di un evidente pericolo di perderne la controprestazione, avendo essa già dimostrato di non essere in grado di provvedere ai propri obblighi”: Cass., 28 novembre 1984, n. 6196, Foro it., Rep. 1984, voce Contratto in genere, n. 264. A proposito del rifiuto di una parte a prestare il consenso alla stipulazione del contratto definitivo, si è affermato che “l’eccezione di inadempimento deve essere consentita quando sia già evidente che la controprestazione non potrà mai essere adempiuta ovvero quando vi siano fondate probabilità di un ritardo tale che supererà il termine successivo fissato in contratto per la controprestazione, eccedendo i limiti della normalità secondo una interpretazione di buona fede” (Cass., 4 aprile 1979, n. 1950, Mass. Foro it., 1979).
22 ALBANESE: L’appalto, cit., p. 46 ss.; XXXXXXXXXXXX: L’appalto2, cit., p. 109 s.; XXXXXX: L’appalto4 , con aggiornamenti di MOSCATI, cit., p. 177; VIGNALI: “Formazione del corrispettivo”, cit., p. 211.
l’impoverimento dell’appaltatore, non solo per il mancato guadagno ma anche per i costi cui dà luogo un’organizzazione di mezzi e di persone nonché, se non procurata dal committente, la materia prima acquistata.
Ma ben più frequente è l’ipotesi che i lavori siano commissionati e/o pagati da un soggetto diverso rispetto al beneficiario.
Nel contratto di appalto, la qualità di committente può, del resto, anche non coincidere con quella del soggetto a favore del quale i lavori vanno eseguiti, di tal che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un appaltatore affinché questi compia le opere a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente e l’appaltatore, il quale resta obbligato verso il primo ad adempiere alla prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso. Ma proprio in quanto il committente può non coincidere con il soggetto in favore del quale debbano essere eseguiti i lavori, l’appaltatore che agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo ha l’onere di provare l’esistenza del contratto e il suo specifico contenuto, onde dimostrare la titolarità della situazione soggettiva passiva in capo al convenuto. La titolarità della posizione soggettiva passiva di committente delle opere appaltate, perciò tenuto al pagamento del corrispettivo, è, invero, un elemento costitutivo della domanda di adempimento proposta dall’appaltatore ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla (salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto)23.
Anche in queste ipotesi è frequente ravvisare una causa liberale. Si pensi, ad esempio, all’edificazione avvenuta, con denaro del genitore, su un terreno di proprietà dei figli. In tal caso, si è evidentemente in presenza di un animus donandi e si tratta di capire se il contratto di appalto affianchi, dalla prospettiva genitore- figli, una donazione diretta del denaro utilizzato per pagare il corrispettivo all’appaltatore o una donazione indiretta dell’edificio.
La soluzione assume rilievo decisivo in tema di riduzione e ai fini della collazione: occorre capire se questo procedimento concretizzi una donazione diretta del
23 Cass., Ordinanza, 10 settembre 2020, n. 18792, Studium juris, 2021, p. 509; Cass., 22 giugno 2017, n. 15508, CED Cassazione, 2017. Già una risalente pronuncia chiariva che, ove l’appaltatore, per ottenere il pagamento del corrispettivo dell’esecuzione di lavori in un appartamento, convenga in causa chi assume essere il proprietario dell’appartamento medesimo, e poi, una volta acclarato che l’immobile sia di proprietà di terzi, deduca che le opere sono state effettuate a seguito di personali disposizioni impartite dal convenuto e di intese con costui direttamente concluse, l’accertamento preliminare ed assorbente da compiere è quello se il convenuto abbia effettivamente contratto un’obbligazione diretta e personale con l’attore per i lavori in questione (Cass., 24 marzo 1972, n. 915, Mass. Foro it., 1972; più di recente, nello stesso senso, Cass., 30 gennaio 2017, n. 2303, non massimata). In un altro remoto precedente, si era definito incensurabile l’apprezzamento del giudice di merito circa l’irrilevanza di un documento esibito dalla parte per dimostrare l’esistenza di un contratto di appalto con un’impresa diversa da quella che agisce in giudizio per il pagamento delle opere eseguite, e per di più ove il documento si riferisse ad opere non del tutto coincidenti con quelle del cui pagamento si controverte (Xxxx., 29 aprile 1965, n. 760, Mass. Foro it., 1965).
denaro o una donazione indiretta dell’immobile, e, dunque, se il figlio, all’apertura della successione del genitore, xxxxx conferire la somma ricevuta o il bene.
Pertanto, soprattutto a fini successori (ma anche a fini formali, richiedendo la donazione diretta, per la propria validità, l’atto pubblico con la presenza dei testimoni), quando un terzo commissiona lavori in appalto, con onere economico a proprio carico, a un’impresa, affinché questa esegua lavori sull’immobile di un terzo, occorre valutare in concreto se la fattispecie configuri una donazione indiretta in favore del proprietario dell’immobile.
Il tema è stato affrontato e approfondito soprattutto con riguardo alla fattispecie dell’intestazione del bene in nome altrui nella vendita, ma le soluzioni cui si è pervenuti possono pianamente essere applicate ai casi in cui l’effetto reale scaturisca da un contratto di appalto e in quelli in cui la liberalità consista nel pagamento delle spese per la ristrutturazione dell’immobile.
In un primo momento, nel lontano ’46, i giudici, in contrasto con la dottrina dominante che proclamava la conferibilità del denaro, si erano pronunciati a favore della qualificazione in termini di donazione indiretta: il donante, si disse, intende acquistare l’immobile per costituirlo oggetto di donazione e realizza questa intenzione acquistando egli stesso l’immobile a nome del beneficiario se ha la sua rappresentanza, o facendo comprare il bene al donatario con il denaro che egli stesso versa al venditore o consegna al donatario, al preciso scopo di acquistare un determinato immobile24. L’orientamento mutò a seguito delle aspre critiche mosse alla sentenza da illustri commentatori, i quali obiettarono che “in realtà il padre non ha l’intenzione di acquistare, nemmeno per un momento, la proprietà dell’immobile. Egli vuole beneficiare il figlio, e per questo non ha bisogno di acquistare per sé e poi trasferire. Gli basta fare in modo che l’erede acquisti”25. La dottrina, pertanto, riteneva che la donazione, fosse essa configurabile come diretta o come indiretta, avesse sempre ad oggetto il denaro, e che comunque è del denaro che il donante si spoglia, sia pure per far acquistare un immobile al
24 Cass., 29 marzo 1946, n. 335, Foro it., 1946, I, c. 714, con nota critica di Xxxxxxxx. La Corte aggiunse che solo «se è consegnato denaro al donatario senza alcuna distinzione del suo impiego ed è rispettata la forma (atto pubblico, se non si tratta di donazione manuale) la donazione è diretta; oggetto della donazione è il denaro e la successiva destinazione del denaro da parte del donatario è irrilevante». Cfr. anche Cass., 21 gennaio 1963, n. 86, Mass. Giust. civ., 1963, secondo cui «Qualora venga xxxxxx xxxxxx per l’acquisto di un immobile, si ha non una donazione indiretta dell’immobile, bensì una donazione diretta del denaro gravato dall’onere di un reimpiego determinato». Per Cass., 1° luglio 1966, n. 1967, Mass. Foro it., 1966, se un coniuge fornisce danaro all’altro coniuge al preciso scopo di fargli acquistare un bene immobile si ha donazione indiretta, il cui oggetto non è il danaro ma l’immobile.
25 TORRENTE: “In tema di acquisto di immobile a favore dell’erede con denaro del testatore”, Foro it., 1946, I,
c. 714. In generale, si sono schierati per la conferibilità del denaro, tra gli altri, CARNELUTTI: “Donazione di immobile o donazione di denaro?”, Foro it., 1956, IV, 1956, c. 185; TORRENTE: La donazione, in Trattato di dir. civ. e comm., dir. da A. CICU e X. XXXXXXXX, Milano, 1956, p. 58 ss.; BURDESE: La divisione ereditaria, in Tratt. Xxxxxxxx, XXX, 0, Xxxxxx, 1980, p. 268; XXXXXXXXXX e XXXXXXXX: Della divisione, in in Comm. x.x. Xxxxxxxx-Xxxxxx, Xxxxxxx- Xxxx, 0000, p. 463 ss. Per un puntuale quadro della dottrina e della giurisprudenza: XXXXXXX: La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. dir. civ. e comm., Torino, 1998, II, pp. 413-424. Dello stesso Autore, cfr. “Acquisto di immobile a favore dell’erede con denaro del testatore”, in Giust. civ., 1998, II, p. 87 ss.
congiunto, mentre l’immobile in nessun momento entra a far parte del patrimonio del donante.
Si pervenne così alla soluzione della conferibilità del denaro, e questa posizione venne a lungo mantenuta salda26.
Più recentemente, a seguito di un principio di revirement giurisprudenziale27, si è reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che l’atto con cui in vita il de cuius abbia procurato al discendente l’acquisto di un immobile mediante il suo pagamento costituisce donazione indiretta del bene, sì che, ai fini della collazione, « per effetto del collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio », va conferito l’immobile e non il denaro28. Più precisamente, il Collegio ha chiarito che di donazione diretta del denaro è possibile parlare solo quando il genitore dona il denaro, che successivamente il figlio impiega per l’acquisto immobiliare. Qui, infatti, il denaro è stato donato come tale, è il bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, ed il successivo impiego della somma, rimanendo estraneo alla previsione del donante, non assume alcun rilievo. All’opposto, nell’ipotesi (che è poi quella
26 V. ad esempio Cass., 11 maggio 1973, n. 1255, Giust. civ. Mass., 1973, p. 662; Cass., 19 ottobre 1978, n. 4711,
Giust. civ. Mass., 1978, p. 1968.
27 Xxxxx nuovamente accolto la soluzione della collazione dell’immobile Cass., 15 dicembre 1984, n. 6581, Riv. notar., 1985, II, p. 724; Cass., 31 gennaio 1989, n. 596, ivi, 1989, p. 1163, la quale ha parlato apertamente di donazione indiretta dell’immobile “realizzata attraverso un procedimento complesso del quale è parte essenziale un negozio assimilabile al contratto a favore del terzo”; Cass., 6 maggio 1991, n. 4986, Riv. notar., 1991, p. 1076; Cass., 19 marzo 1980, n. 1851, Foro it., 1981, I, c. 1395, la quale ha ravvisato una donazione indiretta di immobile nel caso in cui il donante, parte di un contratto preliminare di vendita dell’immobile a sé o a persona da nominare, stipuli il contratto definitivo pagando il prezzo con denaro proprio e indicando come acquirente il beneficiario. Cass., 28 febbraio 1987, n. 2147, Vita not., 1987, p. 747, aveva distinto a seconda del procedimento mediante il quale il figlio diviene proprietario dell’immobile: a) nel caso di donazione di denaro al figlio per consentirgli l’acquisto del bene, il donatario è tenuto a restituire alla massa la somma corrispondente, e non già il bene, che non ha mai fatto parte del patrimonio del de cuius. Si ha, pertanto, una donazione diretta del denaro; b) quando l’arricchimento del donatario abbia avuto luogo mediante la disposizione di un diritto o l’assunzione di un’obbligazione nei suoi riguardi da parte del donante, può configurarsi l’obbligo di conferimento dell’immobile acquistato a suo nome. In tal caso, infatti, non ha luogo una donazione del denaro, ma si realizza una donazione indiretta dell’immobile.
28 Cass., sez. un., 5 agosto 1992, n. 9282, Foro it., 1993, I, c. 1544; Resp. civ. prev., 1993, p. 283, con nota di BASINI: “L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi di «intestazione di beni a nome altrui»”; Rass. dir. civ., 1994, p. 613, con nota di CESARO: “Acquisto di immobile con denaro fornito dal genitore e donazione indiretta”; Riv. notar., 1993, p. 144. Da allora, la giurisprudenza si è adeguata alle statuizioni delle Sezioni Unite, ed ha continuato a diversificare l’ipotesi
«della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto» (Cass., 15 novembre 1997, n. 00000, Xxx. notar., 1998, p. 182; Xxxxxxxxx, 1998, p. 242, con nota di BASINI: “Donazione indiretta e applicabilità dell’art. 179, lett. b), c.c.)”. Cfr. anche Cass., 4 settembre 2015, n. 17604, Mass. Foro it., 2015; Cass., 25 ottobre 2005, n. 20638, Mass. Giur. it., 2005, c. 1619; Cass., 22 giugno
1994, n. 5989, Giur. it., 1995, I, 1, c. 1558; App. Catania, 23 marzo 2007, Famiglia, Persone e Successioni, 2008,
p. 243, con nota di ALBANESE; Trib. Firenze, 3 ottobre 2000, Arch. civ., 2001, p. 1268, con nota di SANTARSIERE: “Tra negotium mixtum cum donatione, donazione indiretta e lesione di legittima. Riduzione infondata”.
In dottrina, particolarmente critico verso questa posizione si è mostrato FORCHIELLI: “Acquisto dell’immmobile con denaro del defunto”, Contr. e impr., 1994, p. 51, in coerenza con la sua preferenza per la tesi della conferibilità del denaro, già espressa in precedenti scritti, tra cui la voce “Collazione”, Enc. giur. it., VI, Roma, 1988, p. 6.
classica di intestazione in nome altrui) di denaro elargito dal donante quale mezzo per l’acquisto dell’immobile in capo al figlio, ossia precipuamente finalizzato a tale acquisto immobiliare, che viene o pagato direttamente al venditore dal genitore stesso o pagato dal figlio dopo averlo ricevuto dal padre, si è in presenza, appunto, di una donazione indiretta dell’immobile.
Ulteriormente chiarendo il proprio pensiero, le Sezioni Unite hanno anche confutato una delle principali argomentazioni portate dai sostenitori della conferibilità del denaro: “trattandosi di donazione indiretta (in quanto è tale ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da fine di liberalità e abbia lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario) e dovendo aversi riguardo all’arricchimento del beneficiario, che è lo scopo voluto dal donante, è riduttiva l’affermazione che in effetti il beneficiario si è arricchito del solo bene uscito dal patrimonio del donante, ossia del denaro impiegato nell’acquisto. Questa corrispondenza si riscontra certamente nella donazione diretta del bene, mentre nella donazione indiretta l’arricchimento del beneficiario ben può essere effetto di un negozio che questi ha concluso con un terzo: nel nostro caso con il venditore, rientrando in questo caso la vendita nel complesso procedimento di attuazione della donazione indiretta”.
Pertanto, alla luce dell’oramai prevalso orientamento giurisprudenziale (e in parte mutuando per l’appalto le soluzioni raggiunte per la vendita), se il figlio corrisponde il prezzo dell’appalto con denaro in precedenza donatogli dal genitore, oggetto della donazione (diretta) è considerato il denaro, unica entità uscita dal patrimonio del donante, e sarà quindi questo ad essere assoggettato a riduzione e collazione. Se, invece, il genitore paga direttamente all’appaltatore il prezzo dell’immobile costruito sul suolo del figlio o i lavori da eseguire sul bene del figlio (eventualmente comparendo come parte contrattuale), oggetto della riduzione o della collazione sarà il bene, perché si concretizza una donazione indiretta dell’immobile attuata attraverso l’adempimento dell’obbligo altrui ex art. 1180 c.c. Quando, infatti, l’ascendente (o il coniuge o, per i riflessi limitati alla riduzione e non alla collazione, qualsiasi soggetto) provvede con proprio denaro al pagamento del prezzo l’appalto costituisce mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del beneficiario; sicché si ha donazione indiretta non già del danaro, ma dell’immobile: è di quest’ultimo bene che, “secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, viene arricchito il patrimonio del beneficiario, nel quale, invece, non è mai entrato il danaro utilizzato per l’acquisto”29. Con la
29 Cass., 6 maggio 1991, n. 4986, cit. Conf.: Cass., sez. un., 5 agosto 1992, n. 9282, cit.; Cass., 29 maggio 1998, n. 5310, Giust. civ. Mass., 1998; Cass., 8 febbraio 1994, n. 1257, Foro it., 1995, I, c. 614; Riv. notar., 1994, p. 643; Cass., 31 gennaio 1989, n. 596, cit.
In dottrina, XXXXXX: “Liberalità non donativa e collazione”, Contratti, 2000, p. 527, dà peso a ciò di cui si sia incrementato il patrimonio del donatario, argomentando dal fine della collazione, che secondo l’autore risiederebbe non tanto nella ricostituzione di una titolarità, quanto nella redistribuzione di un arricchimento.
conseguenza che, in caso di riduzione o di collazione, il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro.
Dal qualificare la fattispecie come donazione indiretta dell’immobile, deriva la non necessarietà della forma dell’atto pubblico prevista per la donazione (art. 782 c.c.), e la sufficienza dell’osservanza della forma richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta xxxxxxx00.
Con riferimento, poi, alla collazione, da questa impostazione deriva un importante vantaggio per i coeredi non donatari: il coerede donatario che abbia beneficiato di un appalto di costruzione pagato dal proprio genitore (o dal proprio coniuge) dovrà conferire alla massa l’immobile o, se opta per la collazione per imputazione, il valore commerciale che l’immobile ha al tempo dell’apertura della successione (art. 747 c.c.). Se, invece, si fosse adottata la tesi della donazione diretta del denaro, sarebbe stato il coerede donatario ad avvantaggiarsi. Infatti, il donatario di denaro (art. 751 c.c.), si avvantaggia dell’operare del principio nominalistico, giacché non si terrà conto della svalutazione monetaria intervenuta tra il giorno della donazione e quello della morte del donante, e ovviamente tanto più sarà avvantaggiato dal dover restituire moneta quanto più la liberalità sia risalente nel tempo. Rispetto a lui risulteranno invece sfavoriti i coeredi che conferiscono per imputazione i beni mobili o immobili ricevuti, i quali restituiranno alla massa il valore che il bene ha al tempo dell’aperta successione. La Corte costituzionale, intervenuta a più riprese sul punto, ha confermato la costituzionalità dell’art. 751
c.c. in riferimento all’art. 3 Cost. argomentando dalla assimilazione della collazione del denaro ai conferimenti in natura, e ha dichiarato in alcuni casi la inammissibilità, in altri la manifesta infondatezza, della questione31.
30 Cass., 14 maggio 1997, n. 4231, Giust. civ. Mass., 1997.
31 Xxxxx Xxxx., 00 giugno 1981, n. 107, Arch. civ., 1982, p. 9, e Foro pad., 1981, III, c. 102. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata da Trib. Sciacca, ord. 26 giugno 1975, Giur. it., 1976, I, 2, c. 592, e, successivamente, anche da Trib. Salerno, ord. 4 maggio 1976, Gazz. Uff. n. 246/1976. Nuovamente chiamata in causa pochi anni dopo, la Corte Costituzionale ha stabilito che “la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., degli artt. 556 e 564, cpv., c.c., per la parte in cui richiamano l’art. 751, e dello stesso art. 751 c.c. - secondo cui la riunione fittizia, l’imputazione ex se e la collazione relative a somme di danaro donato devono essere compiute secondo il principio nominalistico - è inammissibile in quanto con essa si chiede alla Corte costituzionale di operare una scelta fra più soluzioni astrattamente possibili, che invece spetta al legislatore ordinario” (Corte Cost., 17 ottobre 1985, n. 230, Giust. civ., 1986, I, p. 14. Cass., ord. 29 gennaio 1983, n. 78, Foro it., 1983, I, c. 946; Riv. notar., 1983, p. 796; Arch. civ., 1984, p. 7, aveva ritenuto non manifestamente infondata (rimettendo quindi l’esame alla Corte Costituzionale) la questione di legittimità costituzionale degli artt. 556 c.c., sulla riunione fittizia a fini di determinazione della porzione disponibile, 564, cpv., c.c., sull’imputazione ex se, nelle parti in cui richiamano l’art. 751 c. c., e dello stesso art. 751, a tenore del quale la collazione del danaro donato si effettua secondo il valore legale della specie donata, in riferimento all’art. 3 Cost.). Pensiero ulteriormente ribadito in seguito, poiché “non è ipotizzabile una soluzione rigida che sostituisca incondizionatamente il principio valoristico al principio nominalistico: conseguentemente la scelta tra varie soluzioni astrattamente possibili, le quali coinvolgono valutazioni non solo di equità, ma anche di politica monetaria dello Stato, è riservata al legislatore” (Corte cost., Ord., 27 luglio 1989, n. 463, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx. Nel senso della manifesta infondatezza: Xxxxx xxxx., Xxx., 00 gennaio 1988, n. 64, CED Cassazione, 1988). Non resta, allora, nonostante le perplessità degli studiosi (ma per una valutazione positiva, v., isolatamente, CUFFARO: “La collazione e il principio nominalistico”, in I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale, a cura di X. XXXXXXXXXXX e M. SESTA, I, Napoli, 2007, p. 573, che prendere atto: l’applicazione, del principio nominalistico, alle ipotesi di collazione di denaro,
Specificamente quanto alla liberalità consistente nella fornitura della provvista occorrente per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione, di recente la Suprema Corte ha affermato che costituiscono donazione indiretta i conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente volti a finanziare lavori in un immobile32.
In definitiva, il bene donato ai figli non va identificato nel denaro, bensì nello stesso edificio realizzato, tutte le volte in cui, tenendo conto degli aspetti sostanziali della vicenda negoziale e dello scopo ultimo perseguito dal disponente, l’impiego del denaro a fini edificatori sia compreso nel programma negoziale perseguito dal genitore donante33.
Altro esempio è dato dall’estinzione, ad opera del genitore, del debito del figlio risultante dal contratto d’appalto sottoscritto da quest’ultimo con l’impresa esecutrice dei lavori. In tal caso, diversamente dal precedente, il progetto edificatorio non risultava riferibile ad iniziativa del genitore, bensì frutto di scelte e pattuizioni del figlio proprietario del terreno, fissate nella descrizione dei lavori e nel preventivo contenuti nella convenzione sottoscritta con la ditta esecutrice. Si tratta quindi di un adempimento dell’obbligo altrui che determina donazione indiretta della somma e non dell’immobile: l’apporto paterno deve intendersi riferibile sostanzialmente alla sola estinzione del debito avente a oggetto il corrispettivo dell’appalto e di tale valore si è arricchito il patrimonio del beneficiato34.
III. APPALTO, OBBLIGAZIONI NATURALI E ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA.
Una casistica di altro genere, sempre in materia di costruzioni o ristrutturazioni edili il cui prezzo è corrisposto da un terzo, pone il tema del rapporto tra liberalità, obbligazioni naturali e arricchimento senza causa.
non comporta violazione del dettato costituzionale per difformità di trattamento rispetto all’ipotesi di collazione per imputazione di beni nel loro equivalente.
32 Cass., Ord., 4 ottobre 2018, n. 24160, CED Cassazione: l’attività con la quale il marito fornisce il denaro affinché la moglie divenga con lui comproprietaria di un immobile è riconducibile nell’ambito della donazione indiretta, così come sono ad essa riconducibili, finché dura il matrimonio, i conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal donante, volti a finanziare lavori nell’immobile, giacché tali conferimenti hanno la stessa causa della donazione indiretta. Tuttavia, dopo la separazione personale dei coniugi, analoga finalità non può automaticamente attribuirsi ai pagamenti fatti dal marito o alle spese sostenute per l’immobile in comproprietà, poiché in tale ultimo caso non può ritenersi più sussistente la finalità di liberalità e tali spese dovranno considerarsi sostenute da uno dei comproprietari in regime di comunione, con l’applicazione delle regole ordinarie ad essa relative. Conseguentemente, il coniuge comproprietario potrà ripetere il 50% delle spese che ha sostenuto per la conservazione ed il miglioramento della cosa comune, purché abbia avvisato preliminarmente l’altro comproprietario e purché questi, a fronte di un intervento necessario, sia rimasto inerte.
33 Cass., 20 maggio 2014, n. 11035, Foro it., 2014, 12, 1, c. 3526: nel caso esaminato, anche il terreno era stato intestato ai figli a seguito di precedente donazione indiretta. Nella specie, giudice del merito aveva alternativamente indicato la vicenda come appalto o come contratto a favore di terzi.
34 Trib. Padova, 28 febbraio 2003, Mass. Giur. Civ. Patavina, 2006.
Un esempio particolarmente suggestivo è quello del fidanzato che esegua lavori di ristrutturazione nella casa dei futuri suoceri ove prevede di andare a vivere con la futura sposa. Un altro esempio, piuttosto frequente, è quello in cui gli oneri per la ristrutturazione sono sopportati dai genitori, ma non (come invece nell’esempio dell’acquisto, visto supra) a esclusivo vantaggio del figlio acquirente, ma in funzione della intrapresa convivenza more uxorio del proprio figlio o della propria figlia.
Anche in queste ipotesi il pagamento del prezzo dell’appalto si risolve in una liberalità? O al contrario il terzo che ha retribuito l’appaltatore ha diritto alla restituzione qualora l’arricchimento dei soggetti che hanno beneficiato, a sue spese, dell’appalto si sia rivelato ingiustificato?
Non pare che possa sempre automaticamente parlarsi di soggetti che agiscono (o che agiscono soltanto) perché spinti dalla volontà di porre in essere un atto di liberalità: se il fidanzamento si rompe o la convivenza si dissolve, sarebbe xxxxxxxx negare loro qualsivoglia ristoro35.
Esistono d’altronde degli indizi normativi piuttosto chiari in proposito: si pensi alla riconosciuta necessità, all’atto della separazione tra i coniugi (ma estensibile alle situazioni familiari di fatto), di tenere conto del contributo di ciascun coniuge alla vita familiare; si pensi anche all’art. 80 c.c., che prescrive la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio se questo non è stato contratto.
La dottrina più sensibile al problema ha ben chiaro che riportare tutte le prestazioni eseguite, senza esserne obbligati, nello schema legale della donazione confina con la finzione; molto più realistica, all’opposto, è una valutazione da effettuarsi caso per caso per capire se l’impoverito sia “ingiustamente” tale e meriti tutela; e una simile valutazione andrà condotta tenendo presente che “– soprattutto quando si tratti di prestazioni eseguite in funzione di una comunione di vita già instaurata – sarebbe arbitrario precludere qualsiasi tutela al soggetto che ha arricchito la controparte, anche nell’ipotesi in cui non esista o sia venuto meno, senza valida giustificazione, il presupposto che aveva in origine motivato in maniera determinante il sacrificio patrimoniale”36.
35 Contra a questo principio, Trib. Ravenna, 9 marzo 1994, Gius, 1994, p. 178, con nota di XXXXXX: “Ingiustificato arricchimento senza causa”, che a ragione del fatto che gli oneri per la ristrutturazione erano stati sopportati dai genitori del ragazzo in funzione della sua intrapresa convivenza more uxorio con la figlia dei convenuti, conclude che “tale dazione di denaro… deve essere sussunta nella fattispecie della liberalità d’uso prevista dall’art. 770, comma 2º, c.c., di cui riveste tutte le caratteristiche, a cominciare dalla già precisata occasione in cui avvenne, per finire alla conformità della stessa agli usi sociali ad alla proporzione dell’entità della dazione alle condizioni economiche degli attori”. La corte ha ritenuto pertanto che la effettuazione di prestazioni d’opera senza corrispettivo da parte degli attori costituisse una liberalità d’uso, la quale aveva la propria causa «nell’intento di compiere la liberalità in favore del proprio figliolo», causa che di per sé esclude ogni possibilità di agire in arricchimento.
36 BRECCIA: “L’arricchimento senza causa”, in Tratt. dir. priv. dir. da XXXXXXXX, IX, Obbligazioni e contratti, Torino, 1984, p. 995.
Eppure, alla tesi giurisprudenziale secondo cui il rimedio ex art. 2041 c.c. non può essere utilmente azionato dall’impoverito che “volle” l’altrui arricchimento, se ne oppone in dottrina37 una altrettanto radicale che va nella direzione diametralmente opposta: il ricorso all’azione di arricchimento dovrebbe essere sempre concesso quando l’arricchimento è dovuto alla esecuzione volontaria di una attività dell’attore a vantaggio del convenuto. La premessa, cioè, andrebbe addirittura capovolta: lo spostamento patrimoniale voluto dall’impoverito sarebbe sempre e comunque «senza giusta causa» e indennizzabile ex art. 2041 c.c. Alla base di questa impostazione è la preoccupazione che altrimenti, se la ripetizione della prestazione eseguita fosse esclusa, «ciò implicherebbe per il donante la possibilità di sanare i vizi di forma della donazione attraverso l’esecuzione di essa»; ne conseguirebbe che la disciplina della forma della donazione manuale, che ai sensi dell’art. 783 c.c. deve essere limitata ai soli casi in cui la donazione è di modico valore, risulterebbe invece applicata ad ogni caso di donazione. In altre parole, impedire la restituzione comporterebbe violazione delle prescrizioni formali di legge, rendendo valida in ogni caso la donazione manuale.
Si può tuttavia notare che, nei casi in cui è ravvisabile una fattispecie contrattuale gratuita, basata dunque sullo scambio dei consensi, si aprono certamente le porte al rimedio restitutorio dell’azione di ripetizione dell’indebito, come in ogni ipotesi di esecuzione di un contratto irregolare (a nulla rilevando la onerosità o la gratuità della pattuizione). Qui si discute, invece, di situazioni di fatto venute a esistenza al di fuori di uno schema proposta-accettazione, e il problema è, semmai, quello degli arricchimenti imposti.
La base da cui partire è che in tutti i casi in cui l’impoverito è stato spinto a effettuare la prestazione (o la dazione) da fini leciti e non diretti ad imporre maliziosamente un arricchimento non voluto, se in seguito sopravvengono dei fatti imprevisti che contraddicono quei fini e mortificano le sue legittime aspettative, non vi è ragione per escludere un ripristino dello status quo ante che rimedi allo squilibrio ingiustificatamente venuto in essere.
Se il parente, l’amico o il convivente ha contribuito al pagamento del corrispettivo per l’appalto, senza esservi obbligato da uno specifico contratto ma facendo affidamento sul duraturo rapporto affettivo con l’altra persona, e quindi sulla duratura possibilità di ricevere, da questa, conforto e appoggio anche sotto il profilo economico, qualora il rapporto o la relazione si concludano non è giuridicamente infondato, alla luce della vigenza del principio ex art. 2041 c.c., il diritto di ottenere un qualche ristoro inteso al riequilibrio delle posizioni patrimoniali, con conseguente obbligo di natura patrimoniale dell’altro soggetto.
37 TRIMARCHI: L’arricchimento senza causa, Milano, 1962, p. 12.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte è possibile pervenire, a mero titolo esemplificativo, e in contrasto con le statuizioni giurisprudenziali, al risultato che l’azione di arricchimento andrebbe concessa nel caso delle prestazioni effettuate dai genitori in favore di un figlio in occasione dell’inizio di una sua convivenza more uxorio38, qualora a seguito della rottura del rapporto fosse risultato l’arricchimento della partner. Analoga situazione si verifica nel caso delle spese sostenute dai genitori dei futuri sposi per la ristrutturazione della casa: si ritiene che esse, essendo dirette a rispettare il costume sociale (che prevede da parte di tali soggetti una partecipazione economica, di regola, in proporzione delle loro sostanze), configurino le liberalità d’uso di cui all’art. 770, comma 2º, c.c.39. In realtà, quando le spese per la ristrutturazione dell’appartamento, come spesso accade, sono state sostenute dai genitori di uno dei due fidanzati mentre la casa era stata messa a disposizione dall’altro partner o dai suoi genitori, se prima del matrimonio il fidanzamento si rompe e la coabitazione non ha luogo si verifica una palese situazione di arricchimento ingiustificato dei proprietari della casa: negare la restituzione ai soggetti impoveriti significherebbe frustrare, con la fictio dell’intenzione liberale, un loro legittimo affidamento nella stabilità di una comunanza di vita e di affetti.
La soluzione non deve stupire: il § 1301 BGB richiama espressamente la disciplina dell’arricchimento senza causa con riguardo alla rottura del fidanzamento.
Anche nel caso delle prestazioni dell’appaltatore eseguite gratuitamente dal medesimo o di appalto oneroso ma con corrispettivo pagato da terzi, dunque, toccherà al giudice valutare l’esistenza di una donazione oppure precisare il concetto di “ingiustizia” in relazione ai singoli casi di arricchimento. Ciò, in particolare, quando si verterà in tema di famiglia e di rapporti di convivenza, che sembrano i terreni più fertili perché possa sviluppare le proprie potenzialità la clausola generale di arricchimento senza causa. In altre parole, una volta che il primo passaggio interpretativo si sia risolto con l’esclusione di trovarsi innanzi ad una elargizione fatta con intenzione liberale o in esecuzione di una obbligazione naturale, il secondo e definitivo passaggio, nell’impossibilità di dare soluzioni univoche al problema, consisterà nella valutazione di tutte le circostanze di fatto, al fine di pervenire ad una soluzione in grado di tenere presenti gli interessi in conflitto, la loro natura e gli scopi da cui era animata l’iniziativa dell’impoverito40.
38 Contra Trib. Ravenna, 9 marzo 1994, cit., che come già visto ha affermato che le elargizioni costituivano liberalità d’uso e non davano quindi luogo ad un’ipotesi di ingiustificato arricchimento. L’indennizzo era invece stato concesso, in un caso analogo, da App. Venezia, 20 dicembre 1957, Giust. civ. Mass., 1957. Anche in Spagna la questione è stata risolta grazie al principio dell’arricchimento ingiustificato: S. 27 maggio 1958.
39 Trib. Napoli, 9 ottobre 1981, Arch. civ., 1982, p. 392, Dir. e giur., 1981, p. 880, Giur. it., 1982, I, 2, c. 524 e Dir.
fam. pers., 1982, p. 942.
40 Sull’importanza di detti scopi, e sulla condivisione dell’iniziativa da parte del beneficiario, insiste BRECCIA: “L’arricchimento senza causa”, cit., p. 996, il quale rileva come questi fatti, se meritevoli di tutela ed erronei o successivamente frustrati, potrebbero eliminare ogni dubbio sulla possibilità di trovarsi innanzi ad una fattispecie di arricchimento imposto.
IV. LA DETERMINAZIONE DEL CORRISPETTIVO.
La specificazione del prezzo dell’appalto non costituisce elemento essenziale dell’accordo tra le parti, giacché la legge preordina congrui criteri per la sua determinazione a posteriori.
Per stabilire la misura del corrispettivo, i contraenti possono anche affidarsi a un arbitratore, ex art. 1349 c.c. Se l’arbitratore è nominato al termine dell’esecuzione, assume la qualifica di liquidatore dei conti: nella prassi, spesso si tratta del soggetto incaricato del collaudo (collaudatore)41.
Secondo quanto dispone l’art. 1657 c.c., se le parti non hanno determinato espressamente il prezzo né hanno indicato i criteri della sua determinazione, la misura del corrispettivo è calcolata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice.
Tra le menzionate modalità di determinazione del prezzo esiste un ordine gerarchico, al quale in caso di giudizio deve attenersi il giudice, che decise in sede contenziosa e nel contraddittorio tra le parti: applicherà quindi innanzi tutto le tariffe e, solo ove esse manchino, gli usi; se non siano rinvenibili nemmeno gli usi, valuterà le circostanze di fatto, a cominciare dal valore della prestazione dell’appaltatore e, se richiesto dalle parti, deciderà secondo equità ex art. 114
c.p.c.42. Il giudice può tuttavia evitare di applicare, seppure esistano, le tariffe e gli usi, qualora siano le parti stesse di comune accordo a chiedergli di decidere secondo equità, ex art. 114 c.p.c.
Secondo un diverso, minoritario, orientamento, l’art. 1657 c.c. porrebbe sullo stesso piano le tariffe e gli usi, salvo che le parti abbiano fatto riferimento a una data tariffa o che esista una tariffa legale43.
Si tratta di una norma eccezionale, simile a quella dettata per la vendita dall’art. 1474 c.c., che deroga alla previsione generale dell’art. 1346 c.c., giacché la mancata predeterminazione del prezzo (o la sua non predeterminabilità) non si traduce
41 Cfr. MIRABELLI: Dei singoli contratti, in Comm. Utet, Libro IV, tomo 3°, Torino, 1991, p. 403; XXXXXX: L’appalto4 , con aggiornamenti di MOSCATI, cit., p. 197 ss. In generale, sulla nomina, di comune accordo tra committente e appaltatore, di un arbitratore che determini il prezzo “con equo apprezzamento”, od anche con arbitrium merum: XXXXXXXXXXXX: L’appalto2, cit., p. 112 s.; XXXXXXX, IACUANIELLO BRUGGI: Il contratto di appalto, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 1997, p. 108; XXXXXX e IUDICA: Dell’appalto4 , in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2007, p. 225 ss.; XXXXXXX: “Formazione del corrispettivo”, cit., p. 209 ss., p. 223; POLIDORI: Codice civile, annotato con la dottrina e la giurisprudenza, IV, 2, a cura di X. XXXXXXXXXXX, Napoli, 2010, p. 1646.
42 RUBINO e IUDICA: Dell’appalto4 , cit., p. 237 s.; VIGNALI: “Formazione del corrispettivo”, cit., p. 226; POLIDORI: Appalto, in Tratt. Dir. Civ. CNN diretto da X. XXXXXXXXXXX, Napoli, 2015, p. 115 s. In giurisprudenza, x. Xxx. Xxxxxx, 00 maggio 2020, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
43 Cass., 5 giugno 2012, n. 9055, Mass. Foro it., 2012.
nella carenza di un elemento essenziale del contratto e non ne provoca la nullità44. La deroga può giustificarsi in quanto il rapporto di appalto ha per oggetto una prestazione di facere, come tale non retrocedibile, sicché la posizione delle parti non può essere riportata nella posizione antecedente, tipica conseguenza dell’accertata invalidità del vincolo negoziale. In altre parole, se la mancata previsione pattizia del corrispettivo (e del criterio per determinarlo) comportasse la nullità dell’appalto per mancanza o indeterminatezza dell’oggetto, la conseguenza comporterebbe l’eliminazione in via retroattiva degli effetti dell’appalto e il ripristino dello status quo ante.
Nel contratto d’appalto, pertanto, la determinazione del corrispettivo può avvenire a posteriori in base alle tariffe esistenti, ovvero agli usi o da parte del giudice. Sia il committente sia l’appaltatore possono domandare al giudice di stabilire il prezzo, anche in corso d’opera, fermo l’obbligo dell’appaltatore, in tal caso, di proseguire frattanto i lavori e non sospendere l’esecuzione dell’opera o del servizio.
Il ricorso a questi criteri sussidiari è consentito quando le parti abbiano concluso l’accordo tralasciando di occuparsi del prezzo o comunque rimettendosi sul punto ai criteri legali, non già quando il prezzo abbia costituito oggetto di trattativa fra le parti e non si sia raggiunto un accordo sul suo ammontare. Sarebbe assurdo ritenere concluso il contratto di appalto, e sorte quindi le rispettive obbligazioni, sol perché si è raggiunto l’accordo sull’opera, se, essendosi discusso l’ammontare del prezzo, le parti non abbiano raggiunto una intesa. In tal caso, in realtà, il contratto non può dirsi concluso45.
44 In dottrina, MOSCARINI: “L’appalto”, in Tratt. Xxxxxxxx, 11, Torino, 1984, p. 715; XXXXXXXXX: Il tipo e l’appalto, Padova, 1996, p. 25. In giurisprudenza, x. Xxxx., 00 xxxxxx 0000, x. 00000, Xxxxxxxxxx legisl. tecnica, 2004,
p. 1054: “la mancata determinazione del corrispettivo, in deroga alla disposizione generale di cui all’art. 1346 c.c., non è causa di nullità del contratto, giacché lo stesso può essere stabilito, ai sensi dell’art. 1657
c.c. in base alle tariffe vigenti o agli usi, e ciò anche quando le parti, pur avendo pattuito il corrispettivo, non abbiano fornita la relativa prova; peraltro, qualora le parti non vi abbiano fatto preciso riferimento, le tariffe del Genio Civile non sono vincolanti ed inderogabili, avendo valore meramente indicativo”. V. anche Cass., 5 aprile 2000, n. 4192, Urbanistica e appalti, 2000, p. 745; Cass., 28 agosto 1993, n. 9129, Mass. Giur. it., 1993.
Osserva in motivazione T.A.R. Puglia Lecce, 13 maggio 2008, n. 1373, che «ai sensi degli artt. 1473, 1474 e 1657 c.c., il prezzo (elemento essenziale in tutti i contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle prestazioni consiste nella dazione di una somma di denaro) può essere determinato dalle parti o direttamente o facendo riferimento a tabelle, tariffe, mercuriali, etc.». MIRABELLI: Dei singoli contratti, cit., p. 402, nota 35, sottolinea la differenza tra l’art. 1474 e l’art. 1657: “la prima norma permette la determinabilità estrinseca del prezzo solo quando dal contenuto del contratto si deduca che si è fatto riferimento al giusto prezzo, mentre nella seconda la determinazione ad opera del giudice è applicabile in ogni caso”.
45 Cfr. Cass, 28 febbraio 1989, n. 1094, Mass. Giur. it., 1989: in merito alla fornitura di un impianto di depurazione, l’appaltatore domandava la condanna di controparte al pagamento del prezzo e al risarcimento dei danni, dichiarandosi pronto a dare esecuzione alle proprie prestazioni. In primo e secondo grado, i giudici di merito avevano tuttavia escluso che si fosse mai raggiunto, tra le parti, un accordo sul prezzo: le risultanze istruttorie avevano dimostrato che nella trattativa tra i due soggetti si erano succedute varie proposte relative al contenuto del contratto, senza che tuttavia si fosse pervenuto ad un accordo circa l’ammontare del prezzo. L’appaltatore, col ricorso in cassazione, lamentava che la Corte d’Xxxxxxx aveva omesso di qualificare il rapporto, perché in assenza di tale omissione il contratto avrebbe dovuto considerarsi di appalto e non di compravendita; sosteneva che una qualificazione in questi termini avrebbe portato a ritenere, per l’art. 1657 c.c., che la determinazione del corrispettivo nell’appalto, diversamente da quanto
Ciò nondimeno, all’ipotesi prevista dall’art. 1657 c.c., che si verifica quando «le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo», è equiparata l’ipotesi in cui le parti, pur avendo pattuito il corrispettivo dell’appalto, non ne abbiano provato la misura, sulla quale insorge lite. Vale in proposito il brocardo paria sunt non esse et non probari: i due casi corrispondono, sul piano probatorio; sicché, se le parti neppure hanno stabilito il modo di determinare la misura del corrispettivo né la stessa è calcolabile in base a tariffe e a usi, è pienamente giustificata, in applicazione della predetta norma, la determinazione officio iudicis del prezzo dell’appalto spettante al locator operis46.
Pertanto, il giudice, in deroga alla disposizione di carattere generale di cui all’art. 1346 c.c., può determinare la misura del corrispettivo dell’appalto sia nell’ipotesi in cui le parti non l’abbiano pattuito sia nell’ipotesi in cui, pur avendolo pattuito, non ne sia stata fornita la prova.
Il corrispettivo del contratto di appalto è commisurabile secondo tariffe preordinate, riferibili sia alla determinazione forfettaria per il servizio nella sua interezza sia in relazione a singole partite.
Valgono le tariffe in vigore nel tempo e nel luogo di conclusione del contratto47. Le tariffe cui fa riferimento l’art. 1657 c.c. sono non solo quelle d’imperio, ma anche quelle che vengono formulate, in via indicativa e derogabile, da organi o collegi, pubblici o privati, indipendentemente dalla loro approvazione ad opera dell’autorità governativa; purché non siano predisposte da una parte o abbiano carattere puramente privato. A proposito di un appalto per la costruzione di un fabbricato, in ordine al quale non risultava provato un accordo delle parti sull’ammontare del prezzo, la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici del merito correttamente avessero fatto riferimento a listini e tariffe per le opere edili
accade nella vendita, non è elemento essenziale del negozio, soccorrendo la norma richiamata a fare determinare il corrispettivo con criterio suppletivi, qualora le parti non vi abbiano provveduto. Da ciò la decisività della questione.
46 Cass., 14 marzo 1962, n. 529, Mass. Giur. it., 1962; Cass., 28 agosto 1993, n. 9129, cit.; Cass., 5 aprile 2000, n. 4192, cit. (nella specie, era stata esclusa l’ammissibilità della prova per testimoni del dedotto pattuito corrispettivo; il che corrispondeva, sul piano probatorio, alla mancata determinazione della misura del corrispettivo, con conseguente applicazione dell’art. 1657 c.c.); Cass., 5 giugno 2012, n. 9055, cit. App. Catania, 10 giugno 2020, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx: “In materia di corrispettivo dovuto per l’appalto privato, laddove il committente contesti l’entità del dovuto, la prova del credito vantato dell’appaltatore può essere tratta dalla contabilità del direttore dei lavori se risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve, pur senza aver manifestato la sua accettazione con formule sacramentali, oppure che il direttore dei lavori per conto del committente abbia redatto la relativa contabilità come rappresentante del suo cliente e non come soggetto normalmente legato a costui da un contratto di prestazione d’opera professionale, che gli fa assumere la rappresentanza del committente limitatamente alla materia tecnica”. Sempre tra i giudici di merito, cfr. anche App. Milano, 5 settembre 2019, ivi; Trib. Monza, 16 giugno 2005, ivi.
47 RUBINO e IUDICA: Dell’appalto4 , cit., p. 235; CAGNASSO: “Il contratto di appalto”, cit., p. 302; VIGNALI: “Formazione del corrispettivo”, cit., p. 225. Cfr. Trib. Forlì, 12 dicembre 1981, Dir. fall., 1982, II, p. 150, con nota di BONSIGNORI.
emanate dalla camera di commercio e dal locale collegio degli ingegneri, geometri e costruttori48.
Gli usi cui fa riferimento l’art. 1657 cit. sono quelli integrativi previsti in via generale dall’art. 1374 c.c.
Qualora non possa farsi riferimento alle tariffe esistenti e agli usi, l’accertamento del giudice avviene a mezzo di indagine tecnica49 e il relativo giudizio ha natura contenziosa. Anche questa previsione è riconducibile all’equità del giudice prevista dall’art. 1374 c.c. come fonte di integrazione del contratto.
Il potere del giudice è esercitabile solo se si dibatta sull’entità del corrispettivo e non ove, invece, si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore, atteso che, in tal caso, questi deve provare l’entità e la consistenza delle opere, non potendo il giudice stabilire il prezzo di cose indeterminate né consentire all’attore di sottrarsi all’onere probatorio che lo riguarda. Trattandosi, infatti, di un potere integrativo della volontà negoziale, esso non opera nel caso in cui specifici criteri di determinazione del quantum siano stati indicati in contratto, e si debba invece sopperire all’inerzia probatoria dell’appaltatore in ordine all’entità delle opere che egli assume di aver compiuto e delle quali richiede il pagamento.
Tuttavia, una volta che le opere eseguite dall’appaltatore siano state, sia pur in parte, dimostrate in giudizio, il giudice di merito, dopo avere accertato che le parti non avevano determinato la misura del corrispettivo dovuto all’appaltatore né il modo di determinarlo, non può, evidentemente, sottrarsi al proprio dovere di determinare il corrispettivo della misura conseguentemente dovuta, avendo riguardo, a norma dell’art. 1657 c.c., alle tariffe esistenti o agli usi, ovvero, in mancanza, procedendo direttamente alla relativa determinazione50.
L’art. 1657 c.c. ha carattere dichiaratamente sussidiario e, pertanto, non è applicabile allorché le parti, in via preventiva o nel corso, ed anche ad avvenuta esecuzione, dell’opera, abbiano raggiunto un’intesa sull’entità del compenso spettante all’appaltatore, fissandone l’importo o stabilendo i criteri in base ai quali pervenire alla sua concreta determinazione51.
48 Cass., 30 marzo 1985, n. 2240, Arch. civ., 1985, p. 1434. Cfr. anche Cass., 23 luglio 1998, n. 7238, Mass. Giur.
it., 1998.
49 Cass., 15 settembre 2014, n. 19413, CED Cassazione, 2014, inerente la misurazione delle opere in contraddittorio tra appaltatore e direttore dei lavori. (Cassa con rinvio App. Venezia, 28 luglio 2008, www. xxxxxxxxxxxx.xx). Per l’applicazione dell’art. 1657 c.c., v. anche: Cass., 23 maggio 2008, n. 13401, Mass. Giur. it., 2008, e CED Cassazione, 2008; nonché le sentenze cit. alla nota successiva.
50 Cass., Ord., 11 novembre 2021, n. 33575, Xxxx XxXxxx.xx, 2022; Cass., 13 settembre 2016, n. 17959, CED Cassazione, 2016; Cass., 12 maggio 2016, n. 9768, Mass. Foro it., 2016; Cass., 29 marzo 1989, n. 1511, Mass. Giur. it., 1989; Cass., 13 aprile 1987, n. 3672, Mass. Giur. it., 1987; Trib. Pescara, 24 giugno 2016, www. xxxxxxxxxxxx.xx.
51 ALBANESE: L’appalto, cit., p. 58; Cass., 28 aprile 1988, n. 3208, Mass. Giur. it., 1988. Specifica che la pattuizione sul punto, oltre che preventiva, può intervenire in corso d’opera o a opera ultimata, anche Trib. Milano, 9
Quanto alla domanda dell’appaltatore, dalla lettura della giurisprudenza emergono due regole fondamentali:
1) Qualora il compenso debba essere liquidato in base alle tariffe o agli usi, ovvero secondo il prudente apprezzamento del giudice, la domanda con la quale l’appaltatore chieda il pagamento di detto compenso, mediante versamento di una certa somma, comporta a carico dell’attore medesimo l’onere di fornire la prova della congruità di tale somma, alla stregua della natura ed entità dell’opera o di eventuali tariffe o usi vigenti in materia52.
2) La domanda dell’appaltatore, diretta alla quantificazione e al pagamento del corrispettivo dovuto dal committente, investe un’obbligazione avente a oggetto originariamente la prestazione di una somma di denaro, determinabile dal giudice, e, quindi, un debito di valuta; ne consegue che la sopravvenuta svalutazione monetaria non può comportare l’adeguamento automatico di detto credito dell’appaltatore. Può tuttavia implicare il riconoscimento di un maggior danno, ai sensi dell’art. 1224, 2° comma, c.c., a condizione che il creditore stesso ne abbia fatto espressa domanda (c che tale domanda, in quanto autonoma rispetto a quella rivolta all’adempimento, sia stata tempestivamente proposta nel giudizio di primo grado). L’appaltatore, per ottenere il risarcimento dei maggiori danni non coperti con l’attribuzione degli interessi legali e dipendenti dalla svalutazione monetaria verificatasi durante la mora del debitore, deve farne richiesta assolvendo, nel contempo, l’onere di allegare e dimostrare il pregiudizio patrimoniale subito, servendosi di ogni possibile mezzo di prova, senza che sia a tal fine sufficiente il semplice riferimento alla svalutazione monetaria come fatto notorio53.
La possibilità di fare ricorso al criterio di determinazione del prezzo previsto nell’art. 1657 c.c. esclude l’applicazione del criterio di cui all’art. 2041 c.c.: il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento (art. 2042 c.c.) ne esclude l’operatività quando sia possibile esperire l’azione contrattuale di adempimento o gli altri rimedi generali previsti nel caso di inadempimento. Ciò è stato fatto valere anche per l’ipotesi di lavori supplementari, allorché nel contratto vi era un’apposita pattuizione riguardo ai lavori extra-contratto; cosicché di tale pattuizione doveva farsi applicazione, anche per l’esistenza e l’entità dei lavori supplementari. E poiché il soggetto terzo, che a norma di contratto avrebbe dovuto stabilire il compenso per tali lavori, non vi aveva provveduto, occorreva fare riferimento alla
gennaio 2004, Guida al Diritto, 2004, 19, 59.
52 La deduzione del convenuto committente circa la eccessività della richiesta avversaria non integra un’eccezione in senso proprio, implicante l’onere della relativa dimostrazione, ma una mera difesa sul fondamento della domanda, mediante contestazione della ricorrenza dei suoi presupposti (Cass., 28 luglio 1983, n. 5208, Mass. Giur. it., 1983).
53 Cass., 12 novembre 1981, n. 5981, Mass. Giur. it., 1981; Cass., 14 luglio 1983, n. 4814, Mass. Giur. it., 1983.
disciplina di cui al citato art. 1657 c.c. e procedere all’applicazione delle tariffe o alla determinazione giudiziale del corrispettivo54.
L’art. 1657 c.c. è stato altresì applicato quando il corrispettivo inizialmente fissato dalle parti in modo forfettario aveva subito, nel corso dell’esecuzione dell’opera, delle variazioni che ne rendevano difficoltosa una nuova e più congrua determinazione55.
V. CONTRATTO NON ALEATORIO.
Vale la pena rimarcare che l’appalto è un contratto commutativo: esso non è aleatorio perché sebbene comporti l’assunzione, da parte dell’appaltatore, di un rischio economico particolarmente ampio, si tratta pur sempre di un rischio che rientra nell’alea normale e che non s’inserisce nel contenuto del contratto e non ne qualifica la funzione.
Non sono mancate prese di posizione minoritarie, tese a evidenziare un’aleatorietà dell’appalto in ragione dell’impossibilità di calcolare con esattezza i costi e i ricavi56.
È però possibile obiettare che è certa ab origine l’estensione di entrambe le prestazioni: non è incerta né la prestazione dell’appaltatore né la controprestazione, ossia il pagamento del prezzo. Nell’appalto le prestazioni delle due parti sono già state determinate al momento della conclusione del contratto, o almeno sono determinabili in base a criteri prestabiliti, e diversamente da quanto accade nei contratti aleatori, non si fanno dipendere da avvenimenti futuri e incerti. Manca dunque quell’incertezza che dove connotare l’aleatorietà in senso tecnico, potendosi parlare, al più, di un’aleatorietà in senso economico.
Peraltro nell’appalto anche il rischio economico è attenuato dalle due ipotesi di revisione del prezzo regolate dall’art. 1664 c.c., a conferma del carattere commutativo e non aleatorio del tipo: la norma rappresenta d’altronde una
54 Cass., sez. un., 9 novembre 1992, n. 12076, Mass. Giur. it., 1992.
55 Trib. Sondrio, 13 marzo 2019, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx; Trib. Vigevano, 12 maggio 2008, ivi.
56 LORIZIO: Il contratto di appalto, parte gen., Padova, 1939, p. 8. Sulla commutatività dell’appalto v. invece, ex multis, CAGNASSO: voce “Appalto nel diritto privato”, Dig. disc. priv., sez. comm., I, Torino, 1987, p. 166; XXXXXX: “Xxxxxxx (xxxxxxxxx xx)”, xxx., x. 000 ss.; RUBINO XXXXXXXXXX, Appalti di opere e contratti di servizi, Padova, 1996, p. 12; CAGNASSO: Appalto e sopravvenienza contrattuale, Milano, 1979, p. 177; ID.: Il contratto di appalto, cit., p. 666; XXXXXXX, “Appalto. I) Diritto privato” (voce aggiornata), Enc. giur., II, Roma, 2006, p. 1 s. Parla di “alea normale del contratto” tipica di quelle fattispecie contrattuali nelle quali intercorre un lasso temporale tra il contratto ed il risultato che ne forma l’oggetto, GIANNATTASIO: L’appalto2, cit., p. 9. RUBINO: L’appalto4 , con aggiornamenti di XXXXXXX, xxx., x. 00, x. 000 xx., xxxxxxx xxxx xxxx della radicale commutatività dell’appalto dopo avere sostenuto, nella prima edizione, l’idea che l’appalto sia un contratto aleatorio fino al limite del decimo complessivo (nell’ipotesi del primo comma dell’art. 1664), o finché l’aumento di onerosità non sia «notevole» (nell’ipotesi del secondo comma dell’art. 1664), per divenire commutativo oltre questo limite.
specificazione della regola generale in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), che non vige, appunto, per i contratti aleatori (art. 1469 c.c.).
È vero che il cit. art. 1664 c.c. non ha carattere vincolante per le parti, le quali possono derogavi fissando convenzionalmente un diverso limite di aumento dei costi, o rimuovendo lo stesso limite legale o escludendo dalla revisione l›aumento del costo di alcune prestazioni. Ed è altrettanto vero che la clausola in deroga all›art. 1664 c.c. può essere variamente formulata: nel senso, ad esempio, di escludere il diritto dell›appaltatore a ulteriore compenso per le difficoltà impreviste incontrate nell›esecuzione dell›opera (cosiddetto appalto a corpo o à forfait); oppure specificando che la revisione sarà negata pure per eventi non previsti o accettati dalle parti.
Tuttavia, comunque sia formulata, una tale clausola non comporta alcuna alterazione della struttura o della funzione dell’appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur così ulteriormente allargato, esorbiti dall’alea normale del tipo contrattuale. Infatti “ciò che può variare nel tempo futuro in cui si proietta l’esecuzione del contratto di appalto non sono le prestazioni del committente o dell’appaltatore, ma soltanto il valore monetario della prima o il costo monetario della seconda”57.
Si consideri, poi, che l’istituto della revisione prezzi non è altro che una particolare applicazione del più ampio istituto della “eccessiva onerosità” disciplinato dall’art. 1467 c.c., del quale condivide il fondamento giuridico, rappresentato dal turbamento dell’equilibrio di valore tra le prestazioni, verificatosi in modo oggettivo e imprevedibile nel corso del rapporto contrattuale. La preventiva determinazione dell’irrilevanza, ai fini del sinallagma contrattuale, delle eventuali variazioni dei costi, fa sì che queste rientrino nella normale alea del contratto, rendendo così inapplicabile l’istituto dell’eccessiva onerosità, giusta il disposto dell’art. 1467, 2° comma, c.c.
57 XXXXXXXXX: Eccessiva onerosità ed appalto, Milano, 1983, p. 132 s. In giurisprudenza: Cass., 23 aprile 1981, n. 2405, Mass. Giur. it., 1981; Cass., 21 febbraio 2014, n. 4198, CED Cassazione, 2014; Cass., 20 settembre 1984,
n. 4806, Mass. Giur. it., 1984; Cass., 6 giugno 1977, n. 2326, Giust. civ., 1977, I, p. 1290. Sulla commutatività
v. anche Trib. Cagliari, 22 marzo 1990, Riv. Giur. Sarda, 1991, p. 359, con nota di Xxxxxx. Trib. Roma, 24 maggio 2000, in Giur. romana, 2000, p. 389: “L’inserzione nel contratto d’appalto di una clausola che, in deroga all’art. 1664 c.c., escluda la possibilità dell’appaltatore di domandare la revisione del prezzo, addossa all’appaltatore un rischio che non eccede la normale alea contrattuale, con la conseguenza che essa non è idonea a trasformare l’appalto, da contratto commutativo qual è, in contratto aleatorio”. Cass., 19 agosto 1950, n. 2479, Mass. Giur. it., 1950: “Anche il contratto che, secondo lo schema ordinario ha carattere commutativo, ma in cui è pur connaturale un qualche elemento di alea, come l’affitto, l’appalto, la somministrazione e la stessa compravendita, può assumere figura e contenuto aleatorio vero e proprio, quando le parti vi introducono un coefficiente di assoluta incertezza nel rischio cui i contraenti vengono esposti, l’assunzione cioè dell’alea per ogni evento anche il più anormale. In tal caso non è esperibile l’azione di risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1469 c.c.) e la pattuizione medesima, importante rinuncia preventiva ad avvalersi del rimedio di cui all’art. 1467 c.c., è pienamente valida”. Cass., 12 marzo 1992, n. 3013, Mass. Giur. it., 1992, ha specificato che in relazione a tale clausola la volontà delle parti di rinunciare alla revisione dei prezzi non deve estrinsecarsi in particolari espressioni formali, purché chiaramente manifestata.
Quando la preventiva valutazione del possibile squilibrio economico è stata effettuata in sede di stipulazione da parte dei contraenti, rimane inteso che il mancato adeguamento del prezzo convenuto al maggior costo non può integrare arricchimento senza causa a favore del committente: l’arricchimento è qui giustificato dalla volontà contrattuale e dal consenso prestato dalla parte impoverita58.
Quanto detto fin qui non esclude che l’appalto, pur non essendo per sua natura aleatorio, possa assumere tale carattere per volontà delle parti, quando vi sia introdotto un coefficiente di assoluta incertezza nel rischio cui i contraenti vengono esposti, cioè l’assunzione dell’alea per ogni evento, anche il più anomalo. In tal caso, non solo non varrà l’art. 1664 c.c., ma, per il disposto dell’art. 1469 c.c., non saranno applicabili neanche le disposizioni degli art. 1467 e 1468 c.c. circa le conseguenze della eccessiva onerosità sopravvenuta59 e dell’azione generale di rescissione.
Ma al di fuori di specifici patti contrari che conferiscano natura aleatoria all’appalto, questo è e rimane un contratto tipicamente commutativo.
58 Cass., 15 luglio 1996, n. 6393, Giur. Bollettino legisl. tecnica, 1997, p. 4017; App. Roma, 17 settembre 2007,
59 Cass., 29 agosto 1990, n. 8949, Mass. Giur. it., 1990, in relazione al contratto di costruzione navale (che è assimilato all’appalto ai sensi dell’art. 241 cod. nav.) nel quale era stata inserita una clausola di blocco dei prezzi anche a fronte di futuri aumenti del costo dei materiali e della mano d’opera.
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